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-Combatterò
per restituire Narnia ai suoi legittimi
abitanti.-
Erano state
quelle le parole che avevano convinto i
narniani. I centauri, i nani, persino i burberi minotauri e i fauni
diffidenti:
la passione nelle sue parole, la forza e la determinazione con cui
aveva
promesso di schierarsi al loro fianco, erano state decisive.
Caspian
sospirò appena nel buio della notte, disteso nella
macchia più scura formata dall’ombra di
un’immensa quercia nodosa.
Era tardi: le
creature magiche, dopo ore
ed ore di discussioni, fraintendimenti, stesure di piani uno
più improbabile
dell’altro, erano finalmente crollate dal sonno, dandogli la
possibilità di
distendersi lì, in quel silenzio ovattato e ristoratore,
a pensare.
Sarebbe stata
una lunga e difficile guerra quella che si
prospettava dinanzi a lui.
Si era ritrovato
senza nemmeno comprendere come a capo di un
esercito eterogeneo, male organizzato, composto da creature che spesso
e
volentieri non si sopportavano.
Come avrebbe
sconfitto Miraz, il traditore, a capo di uno
sparuto gruppo di creature troppo pure perché il suo cuore
idealista potesse
pregarli di entrare in battaglia? Come avrebbe potuto chiedergli di
macchiare
le loro mani, zampe, zoccoli, del sangue immondo dei traditori?
Sospirò
di nuovo, passandosi una mano fra i lunghi capelli boccoluti, sparsi
sulla nuda terra. Il viso affilato
era teso, gli occhi neri angosciosi e persi nel cielo stellato che
brillava sopra
di lui…
Se soltanto i Re
e le Regine del passato fossero arrivati, e
al più presto…
-AIUTO!-
Caspian
balzò in piedi, sguainando istintivamente la spada; il
sibilo della lama
spezzò il silenzio che, inquietante, era calato dopo
quell'agghiacciante grido che aveva squarciato l’aria fredda
della
notte di Narnia.
Una
donna, fu il suo
primo pensiero, era certo
di averla sentita gridare, non molto lontano da dove si trovava
lui.
Con tutti i
sensi tesi al massimo seguì il
suono del disperato grido che aveva udito, correndo attraverso la
foresta
addormentata ormai da secoli, inciampando sulle insidiose radici
invisibili ai
suoi occhi e scostando con le braccia i sadici rami più
bassi degli alberi che
sferzavano il suo volto, ferendolo e facendolo lacrimare.
-AIUTO!-
Di nuovo
udì quell'urlo e i suoi passi lievi e concitati sul
terriccio;
un’altra
coppia di passi, molto più pesanti, parevano
inseguirla… un uomo, probabilmente piuttosto massiccio a
giudicare dalla sua corsa pesante e rumorosa.
Non gli ci volle
molto per comprendere la situazione.
Caspian irruppe
in una radura non molto dissimile da
quella
dove lui era rimasto fino a quel momento; una figura alta
e massiccia si stava curvando minacciosamente su un’altra,
esile e avvolta in
un mantello scuro…
-Ehi, tu!
Lasciala subito andare!-
Fra i rami di
uno degli alberi più alti, celato
dall'oscurità, un sorriso
soddisfatto si
dipinse su un paio di labbra sottili, pallide, incastrate in un viso
altrettanto diafano.
-Ma bravo,
principino. Corri in aiuto della fanciulla in
difficoltà.- mormorò quella bocca crudele.
Mani chiare e
rovinate tesero la corda della balestra,
mentre un occhio si chiudeva e l’altro mise a fuoco il
profilo del principe
Caspian, che
aveva appena gridato un cavalleresco e decisamente poco furbo
avvertimento
all’“aggressore” della
“fanciulla” in difficoltà.
Con quel
sogghigno
soddisfatto ancora sul volto, lo sconosciuto
premette il grilletto della balestra, e la spessa freccia di acciaio
sibilò con
un fischio inquietante verso la schiena del ragazzo.
Caspian
trattenne una bestemmia quando picchiò la testa, per la
seconda volta in pochi giorni, e la vista gli s'offuscò.
-Ma cosa
diamine__- imprecò quando si rese
conto di non essere in grado di rialzarsi – aveva udito
soltanto un sibilo
prima che qualcosa di pesante gli crollasse addosso, spezzandogli il
respiro e
scaraventandolo sul brullo sottobosco.
Una pesante rete
d’acciaio
gli impediva qualsiasi movimento, persino alzare il braccio armato gli
era impossibile. Era steso supino a terra, completamente indifeso,
mentre
l’uomo massiccio e la giovane “indifesa”
si stavano avvicinando; poteva
scorgere i loro ghigni compiaciuti anche nel buio.
Una
trappola,
si disse, maledicendo fra sé la propria
ingenuità.
-Pensavo fosse
più difficile catturare un principe, sai?-
disse la voce divertita e profonda dell’uomo, prima che due
immensi occhi azzurri occupassero il campo visivo di Caspian.
Trasalì,
quando si rese conto che l’uomo che aveva
partecipato alla sua cattura altro non era che un ragazzo: poteva avere
qualche
anno più di lui, e il suo volto era pulito, allegro, e
arruffati
riccioli color miele spuntavano da sotto il cappuccio che aveva calcato
in
testa.
-Sinceramente
anch’io. Sei una delusione, principe Caspian.-
commentò un’altra voce, ironica ed irridente, che
per un istante il ragazzo non
riuscì a collegare all’atterrito grido
d’aiuto di poco prima.
La ragazza si
era sfilata il mantello, rivelando un fisico
minuto e sottile fasciato da abiti comodi dello stesso verde della
foresta. Era
una tunica semplice, aderente sul petto snello e sul ventre piatto,
legata in
vita da una spessa cintura di cuoio, da cui pendevano
un’anonima spada ed uno
stiletto. Sulla schiena
portava una faretra, le piume delle lunghe frecce erano di un bel verde
smeraldo, ed un arco lungo – misurava probabilmente
più di un metro e mezzo, quasi quanto lei –,
bellissimo ed elegante, era
assicurato alla sua figura da un fodero in pelle.
Non aveva mai
visto una donna vestire in quel modo.
Da quel che
poteva intravedere, sdraiato com’era a terra
molto più in basso di lei, aveva i capelli scuri e corti
– un altro dettaglio
assolutamente singolare: le donne non tagliavano mai i capelli, a
Narnia. Gli
occhi erano nocciola, grandi ed allungati in un visetto ovale e
dall’aspetto
spigliato.
Ma
ciò che lo sorprese di più, che lo fece
sussultare,
allibito, furono le orecchie.
Non potevano,
non potevano assolutamente essere… umane.
Erano grandi,
molto più simili a quelle di una volpe
piuttosto che a quelle di una donna; erano spostate più in
alto rispetto alla
loro normale posizione, ed emergevano dalla zazzera di capelli scuri,
ben
dritte ed eleganti come tutto ciò che riguardava la ragazza
dalla pelle
olivastra.
Aveva sentito
parlare di quelle creature… che, come tutti
gli abitanti di Narnia, erano state credute estinte.
Elfo.
Ma…
c’era qualcosa, in lei, che contrastava con
l’immagine
che si era fatto di loro tramite i racconti del suo maestro, del suo
mentore,
Cornelius.
Gli elfi erano
descritti tutti come altissimi, dalla
carnagione quasi diafana e dai capelli indifferentemente chiari o
scuri, creature
eteree e apparentemente fragili come un alito di
vento…quella ragazza era sì
bellissima ma, a parte le orecchie ed il portamento inequivocabilmente
elegante, era ben lontana da quella descrizione poco veritiera.
-Più
che altro è fortunato, Tallie.- commentò il
ragazzone,
rivolgendosi a lei con un sorriso entusiasta e quasi innocente.
Sembrava un bambino
– un bambino muscoloso alto un metro e novanta e con le
spalle altrettanto
larghe. -Se avessimo fatto come pensava Sir si sarebbe fatto molto
più male.-
aggiunse, divertito, mentre la ragazza chiamata Tallie alzava gli occhi
al
cielo, esasperata.
-Se avessimo
fatto come diceva Sir non so nemmeno se sarebbe
sopravvissuto…-
commentò, provocando un brivido gelato lungo la schiena del
principe in
trappola.
Il ragazzone
spostò repentinamente gli occhi verso la
foresta, e la sua espressione si fece immediatamente
più seria e determinata.
-Parli del
demonio…- sussurrò e, nella sua voce,
nell’istantaneo mutamento del suo atteggiamento, Caspian
scorse un’emozione
vibrante che seppe
riconoscere all’istante: rispetto. -…Siria.-
Dunque
il fantomatico “Sir” non era un
uomo…
Incuriosito
dalla reazione che quella donna misteriosa
sembrava scatenare nel giovane biondo – ma non
nell’altra ragazza, notò, che
semmai sembrava più divertita che altro –, Caspian
si sforzò di alzare lo
sguardo, tentando di scorgere la nuova arrivata.
Nello stesso
istante vide una scintilla zampillare
e, un attimo più tardi, una fiamma divampò,
accecandolo momentaneamente; quando tornò a vedere
Caspian
trattenne il respiro, allibito, nell'attimo stesso in cui mise a fuoco
la donna più bella che avesse mai avuto la
fortuna – fortuna?
– di incontrare.
Era vestita di
verde e di nero, in un completo non molto
dissimile da quella dell’altra ragazza. La
scollatura del corsetto era
ampia e lasciava intravedere il solco dei seni generosi
nell’incavo che
formava, su cui gli occhi neri ed allibiti di Caspian si soffermarono
per
qualche istante più del necessario. Il suo volto era affilato
e
chiaro, tanto bianco da sembrare innaturale: gli zigomi erano
alti ed arcuati, ed il tutto sembrava essere troppo affilato e scavato
per
risultare
affascinante nel senso comune del termine; gli occhi erano grandi,
allungati
come quelli di una cerbiatta – ma
voraci
come quelli di un predatore –, di un colore
indefinito fra il blu e il
grigio.
Rimase per un
istante a guardarli, affascinato, cogliendo
soltanto con dopo un istante la folta chioma di capelli rossi che le
contornava
le guance, ricadendo sulla schiena fino alla vita.
Erano
occhi… magnetici.
Magnetici
e spietati.
Caspian si
costrinse a sottrarsi da quello sprazzo
d’incredulità
in cui era sprofondato, distogliendo lo sguardo
dall’espressione indifferente
della donna. Notò che era armata, come gli altri due:
portava a vita bassa un
cinturone a cui era appesa una spada dall'aspetto molto più
intarsiato rispetto a quella dell'elfa, ed un pugnale le penzolava dal
fianco. Anche lei aveva una faretra ma, a differenza
della piccoletta, le
sue frecce erano ornate da piume cremisi e la sua arma, stretta
in mano,
era ben più pesante e pericolosa: una balestra.
Era –
non poteva essere altro – una guerriera.
Tutto in lei
urlava forza, spietatezza; era una donna ed era
perfettamente conscia di esserlo… ma, allo stesso tempo, in
un connubio quasi impossibile,
era un sicario – qualcuno abituato ad usare le armi, qualcuno
senza la minima
remora nell’uccidere.
-Preso,
immagino.- mormorò. Aveva una voce calda, sarcastica
e suadente; per qualche istante, gli occhi di Caspian indugiarono sulle
sue
labbra chiare e sottili, quelle labbra che si muovevano lentamente,
articolando
parole dal marcato accento di Telmar.
-Vantati un po'
meno, lo sappiamo che hai una buona mira.- fece Tallie,
sorridendo divertita.
Gli occhi di
Siria dardeggiarono per qualche istante sulla
radura, alla ricerca di eventuali pericoli, prima di soffermarsi
sul
volto di Caspian.
Istintivamente,
il ragazzo rabbrividì. Era uno sguardo
gelido, quello di Siria, calcolatore ed intelligente; fin troppo,
forse. Ma
allo stesso tempo era caldo, avvolgente, pareva affondare nelle sue
iridi con
una forza ed una passionalità inaspettate…
-Talia, per
favore, non farle anche
dei complimenti, o diventerà più insopportabile
di quanto già non sia.-
una quarta voce, maschile, non molto dissimile
come pronuncia a quella di Siria, emerse dal buio della foresta.
Caspian alzò
lo sguardo, sempre più allarmato, quando altre due persone,
una alta ed una
molto più bassa, fecero capolino dalla fitta boscaglia.
L’uomo,
dai capelli rossi ed arruffati, si accostò a Siria,
sussurrandole qualcosa che Caspian non riuscì a cogliere.
Superava la giovane,
che comunque era stranamente alta per essere una donna, di tutta la
testa, le spalle erano larghe ma aveva il fisico snello e
nervoso di un
cacciatore o
di un esploratore. La ragazzina, invece – perché
ciò era l’altra figura –, era
piccolina e snella, dagli occhi celesti e troppo scaltri per
appartenere ad una
bambina. Una cascata di capelli biondi e lisci ricadeva sulla sua
schiena
esile, a cui era assicurato uno spadino sottile ed insidioso, e le
ciocche
ribelli erano tenute indietro da un fermaglio.
-Che
cosa…- Caspian riuscì finalmente a trovare il
fiato per
parlare, dopo la dolorosa botta che gli aveva mozzato violentemente il
respiro.
-…chi siete? Cosa volete?- si rivolse istintivamente a
Siria: l’atteggiamento
che i quattro sconosciuti usavano verso di lei, esclusa forse
l’elfa mora,
facevano intuire che, di quel manipolo di guerrieri eterogenei,
lei fosse il capo.
-Oh, ma allora
sai anche parlare.- commentò la
rossa, sarcastica, muovendo qualche passo ed avvicinandosi a lui.
Si
piegò sulle ginocchia, il volto illuminato dal fuoco. I
suoi lineamenti erano strani, esotici: sembravano quelli di un gatto, e
lo guardava da sotto le palpebre appena socchiuse, incuriosita.
-Ho chiesto chi
siete.- replicò lui, tentando di mantenere
un minimo di tono sostenuto, nonostante la vicinanza di quella donna
che non
avrebbe mai potuto immaginare nemmeno nei suoi sogni più
arditi.
-Siamo il tuo
peggior problema, al momento.- replicò lei, un lieve sorriso
divertito che si
dipingeva sulle labbra
chiare, nel notare lo sguardo di lui lottare per non lasciarsi irretire
dalle
forme che il corpetto rigido metteva spietatamente in evidenza. Le
giunse
all’orecchio la prevedibile, argentina risata di
Talia… la sua amica
si divertiva sempre più di quanto fosse lecito quando
l'atteggiamento prepotente di
Siria provocava quelle reazioni alquanto prevedibili nei loro
prigionieri.
Si
alzò, rivolgendosi con una civettuola occhiata che non
convinse nessuno ai due uomini, il biondo Caleb ed Aaron, il rosso.
-Non vorrete
mica far faticare una fanciulla, vero?- gli
chiese, sbattendo angelicamente le palpebre. Talia scoppiò
di nuovo a ridere
quando i due alzarono gli occhi al cielo, esasperati.
-Io non vedo
fanciulle, qui intorno, ma solo schiaviste...- borbottò
Caleb, scuotendo la testa, avvicinandosi a Caspian
assieme al
rosso. Di peso, scostando la pesante rete d’acciaio, lo
sollevarono bruscamente
e lo rimisero in piedi.
Siria
tornò ad avvicinarglisi, con
l’espressione insolente ed un lieve sorriso sul volto.
-Non provare ad
urlare, principino…- sussurrò, accostando
provocante il proprio corpo flessuoso a quello alto e dinoccolato del
moro.
Vide le iridi scure dardeggiare un istante, confuse,
allibite…forse,
probabilmente, confuse dal contatto accennato dei loro corpi, delle
labbra a
pochi millimetri dalle sue. -…sarebbe completamente inutile.-
Così
dicendo, le lunghe dita diafane scivolarono,
delicate, sui lineamenti del ragazzo. Percorsero la linea del mento,
degli
zigomi
sottili, in un tocco appena accennato eppure capace di dargli i
brividi. Il
volto di Siria era a pochi centimetri dal suo… gli occhi ad
un soffio da lui, le
labbra schiuse ed il respiro che accarezzava il suo volto…
L’istante
più tardi sentì una stretta sulla nuca
tutt’altro
che gentile, ed un bavaglio apparentemente comparso dal nulla gli
impedì di
pronunciare alcunché.
Siria sorrise,
divertita e soddisfatta, allontanandosi
repentinamente. Caspian avvertì una dolorosa
stretta ai polsi
quando Caleb vi avvolse bruscamente una spessa corda nodosa,
intrecciata,
bloccandogli le braccia in una morsa innaturale dietro la schiena.
Avvertì la
pelle degli avambracci lacerarsi violentemente ma represse un gemito,
maledicendosi
quando si rese conto di essere in trappola.
Si
era lasciato catturare come un
perfetto idiota.
Non si era
nemmeno ribellato, ammaliato com’era da quella
ragazza – da quei capelli rossi, da quegli occhi felini, da
quel corpo ancheggiante
–; non riuscì ad impedirsi di fissarla,
stralunato, di guardare i suoi fianchi muoversi morbidamente ad ogni
passo, su e
giù…
-Ehi,
ragazzino.- Aaron gli rifilò una botta tutt’altro
che
gentile sulla schiena, facendolo barcollare in avanti. Lo
afferrò per il bavero
e lo costrinse a guardarlo: a differenza di Siria, con cui condivideva
i
lineamenti assurdi ed esotici, aveva gli occhi di un azzurro talmente
chiaro da
parer quasi bianco. -Se non vuoi morire prima di tornare fra le mani di
Miraz,
modera gli sguardi.- lo avvisò, lasciandolo poi bruscamente
andare, facendolo
barcollare sotto il peso di quella rivelazione che sapeva di morte.
Miraz.
Chiunque fossero
quei cinque sconosciuti, lo stavano
portando da Miraz.
Improvvisamente
conscio di ciò che stava succedendo, di
quello che rischiava, Caspian lanciò un’occhiata
allarmata verso gli alberi,
cercando disperatamente qualcuno – uno
scoiattolo, un uccello, qualsiasi
animale potesse avvertire le altre creature che il loro novello capo si
era
lasciato catturare come un emerito cretino…
Dopo lunghi,
ansiosi istanti di ricerca, eccolo.
Un martin
pescatore stava osservando tutta la scena, e i
suoi occhi piccoli e lucenti parevano allibiti. Caspian
sperò
ardentemente che
sapesse parlare, che potesse avvertire i centauri ed il
tasso…
Una mano ruvida
e grande lo sfiorò,
distraendolo.
-Vuoi un
consiglio, ragazzo?- era il biondo, Caleb. Non
sembrava malvagio, dovette ammettere
con se stesso: i suoi occhi azzurri erano puliti come ne aveva visti
pochi, e sembrava
incapace di fare del male persino ad una mosca…
-…se non vuoi che Aaron ti
faccia muovere a frustate, cammina.- gli suggerì, divertito.
Caspian lanciò
un’occhiata intorno a sé: la bambina, la
mezz’elfa e il rosso erano già
scomparsi nella foresta, lasciando soli lui, Caleb e la rossa, Siria.
-Seguila.- gli
ordinò Caleb, spingendolo in avanti con minor
violenza di quanta ne avesse usata il rosso poco prima – e
Caspian si ritrovò
ad annuire mestamente, sconfitto, gli occhi che seguivano la figura
dannatamente
provocante di lei.
Cos’altro poteva
fare se non obbedire?
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My Space:
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CAPITOLO
CORRETTO
E RIPOSTATO IL 26/01/2014
.
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Siria:
Talia: Caleb: Aaron:
Tara:
Nota dell'Autrice:
La descrizione di Siria è volutamente
esagerata, dettagliata e descritta per esigenze di trama; le
motivazioni di questa scelta stilistica si capiranno durante lo
svolgimento della storia. In questa fanfiction non si
parlerà di Mary Sue/Gary Stu. Big hugs,
B.
.. .
-Ma
dov’è finito quel benedetto ragazzo?!- Tartufello
sospirò, alzando lo sguardo verso il soffitto di rami
intrecciati della sua
tana. Caspian era scomparso, sarebbe dovuto tornare più di
un’ora prima…
-Sarà
scappato come il coniglio che è.- commentò il
nano al
suo fianco, sarcastico come sempre.
-Piantala,
prevenuto! È un bravo ragazzo!- replicò
l’altro, punto
sul vivo. Si era affezionato subito a quel principe, a quel giovane
idealista;
per certi versi, se fosse stato umano, sarebbe stato molto simile a lui.
Ma
ora dove era andato a cacciarsi!?
-TARTUFELLO!- la
vocina acuta e petulante di Martin fece
sobbalzare tanto il tasso quanto il nano, quando un fulmine blu
attraversò con
veemenza l’aere intorno a loro, rischiando di privare di un
occhio l’irritante
e burbero gnomo.
-Martin!-
riuscì soltanto ad esclamare il quadrupede,
allibito dal nervosismo di quell’uccellino solitamente
pacifico e mansueto.
-Tasso!!
Allarme! Allarme improvviso!-
Fu Nikabrik ad
afferrare l’uccellino al volo, impedendogli
di continuare a scorrazzare liberamente per l’angusta tana
del Tasso,
rischiando prima di tutto di ferire se stesso.
-Martin, cosa
succede? Prendi un bel respiro e parla.- la
voce gentile e tranquillizzante del morbido quadrupede
riuscì a calmare il
piccolo animaletto, che, non appena liberato dalla salda presa dello
gnomo,
balzò sulla testa di quest’ultimo, sbattendo le
ali nell’aria ferma ed
arruffando le penne, agitatissimo.
-Il principe!
Caspian, il principe!- a quelle parole sia
Tartufello che Nikabrik alzarono gli occhi, improvvisamente allarmati.
-Cos’è
successo a Caspian?- chiese il quadrupede,
preoccupato.
-Cos’ha
fatto?- domandò invece l’altro, più
prudente e
sospettoso.
-Rapito!
Principe Caspian è catturato! Mercenari di Miraz!!-
§
Peter Pevensie
aprì di scatto gli occhi, quando un fruscio
sospetto spezzò il suo già di per sé
leggero sonno.
Balzò
a sedere, la mano destra che istintivamente si
avvolgeva intorno all’elsa d’oro della sua fidata
spada – la spada del Re
Supremo, la spada la cui elsa era intarsiata sull’aspetto di
Aslan…
Represse
all’istante quella figura ammantata di malinconia e
livore, quando il chiaro ricordo del leone fece prepotentemente
capolino fra i
suoi pensieri. Non poteva pensare adesso a dove fosse finito Aslan; non
poteva
chiedersi perché non fosse accanto a loro, a combattere per
quel regno che
amavano entrambi; non poteva rimuginare su tutte quelle domande che
avrebbe
voluto porgli, a tutti i perché irrisolti.
Ma forse, forse
Aslan li aveva abbandonati… forse se n’era
andato, forse aveva voltato le spalle al suo regno, forse li aveva
lasciati in
balia di una morte certa…
Si
voltò, istintivamente, per controllare che i suoi
fratelli stessero bene. Susan dormiva profondamente, sdraiata su un
fianco;
Edmund era accanto al nano, Trumpkin, e russava piano, beatamente
disperso nel
mondo dei sogni; Lucy, invece…
-Lucy!-
sibilò, scattando in piedi come punto da uno
scorpione.
Lucy…
I suoi occhi
dardeggiarono, allarmati, intorno a lui, cercando
di scrutare oltre l’impenetrabile muro della foresta silente.
Dov’era finita
quella piccola peste? Perché doveva
sempre farlo preoccupare?
Improvvisamente
udì un secondo fruscio, del tutto simile a
quello che lo aveva strappato al suo sonno leggero. Alzò lo
sguardo, ansioso e
preoccupato, appena in tempo per vedere un lembo della veste color
pesca della
più piccola dei Pevensie sparire in un tortuoso sentiero,
oltre il suo campo
visivo.
Masticando
un’imprecazione scavalcò in silenzio i tre ancora
profondamente addormentati, stringendo più forte la sua
fidata spada in pugno,
e si lanciò di corsa lungo quel viottolo con
l’ansia che pulsava forte nelle
sue tempie insieme all’adrenalina.
Se
Lucy fosse stata attaccata… non se
lo sarebbe mai perdonato.
Emerse dal
sentiero di corsa, registrando automaticamente di
trovarsi in una radura deserta e silenziosa – troppo
silenziosa per essere
rassicurante – mentre i suoi occhi e la sua mente
focalizzarono immediatamente
la figuretta di Lucy.
La bambina era
là… stava per parlare ma sicuramente qualcuno
là intorno li stava osservando, pronti a ghermirli al minimo
suono…
Silenziosamente,
ma il più rapidamente possibile, le arrivò
alle spalle e la trascinò giù con sé,
ignorando il suo sussulto e nascondendo
entrambi dietro ad un cespuglio. La ragazzina gli lanciò
un’occhiata allarmata,
come se non capisse… Lucy non capiva mai, non si rendeva
conto che Narnia non
era più, per lei, il luogo sicuro che era stato una volta.
Quasi a
confermare il suo istinto infallibile, avvertì un
pesante rumore di passi, come se una creatura molto, molto
grossa stesse
camminando a pochi centimetri da loro. Poteva avvertirne il respiro
pesante,
l’andatura cadenzata simile a quella di un orso… minotauro,
suggerì una
voce nella sua testa. Li avrebbe riconosciuti ovunque, ed anche il
tanfo,
l’odore acre che sentiva nell’aria era quello che
aveva imparato ad associare a
quelle creature.
Uno…
se fosse riuscito a coglierlo di sorpresa avrebbe avuto buone
probabilità di
finirlo subito.
Due…
doveva colpirlo alla base del collo, dove i minotauri erano
più vulnerabili.
Tre!
Con un ruggito
silenzioso, Peter si lanciò oltre
l’improvvisato riparo, brandendo la spada. Eccolo, il
minotauro: non si sarebbe
nemmeno accorto del suo arri__
-FERMO!-
-E
così Caspian è scomparso?-
Il tasso,
torcendosi nervosamente le zampe pelose, annuì.
Non capitava tutti i giorni di ritrovarsi davanti ai Grandi Re del
passato, era
una situazione complicata, una situazione ansiosa… e di
sicuro non se li era
sicuramente immaginati così giovani.
-Martin sostiene
che dei mercenari lo hanno catturato.-
confermò bruscamente Nikabrik, scrutandoli con la stessa
diffidenza con cui
aveva soppesato lo stesso principe Caspian. Non si fidava degli umani,
lui.
Erano tutti semplicemente feccia.
-Sapreste
descrivermeli?- Peter scambiò soltanto una breve
occhiata con Edmund, che annuì lievemente; entrambi i
fratelli Pevensie
pensavano già al futuro, a cosa avrebbero fatto una volta
scoperti tutti i dettagli
di quel rapimento. Dietro di loro, Trumpkin sedeva accanto a Lucy,
dedicando
uno sguardo diffidente a tutti loro fuorché alla ragazzina.
-Erano in
cinque, secondo Martin. Due donne, due uomini e
una ragazza più giovane.- spiegò lo gnomo dai
capelli scuri, bruscamente,
torcendosi le mani e lanciando un’occhiata pensierosa ai
graffiti sulle pareti,
quei segni iscritti nelle lingue ormai quasi estinte degli abitanti di
Narnia.
Raccontavano una storia, quei disegni fatti col carboncino…
narravano di una grande
personalità del passato, e della sua discendenza che forse,
dopo tanto tempo,
sarebbe giunta per occupare quel trono che le spettava di
diritto… -Conosciamo
i due rossi che ne sono a capo, la ragazza è__-
Il tasso si
schiarì violentemente la voce, interrompendolo
sul nascere del suo discorso.
-Nikabrik!- lo
avvertì, in tono severo, lanciandogli
un’occhiata di puro rimprovero. Anche Trumpkin, insolitamente
silenzioso, alzò
lo sguardo per dedicargli un muto, ma cristallino, avvertimento. -Non
sai
nemmeno se si tratta di lei.-
Nikabrik, per
tutta risposta, scrollò rabbiosamente le
spalle, irritato.
-Ha affascinato
Caspian con uno sguardo soltanto, Trumpkin;
chi altri potrebbe essere?- sbottò, ripetendo semplicemente
le parole che
Martin aveva riferito loro: Caspian era rimasto completamente
imbambolato
davanti a quella ragazza, e, per quanto una donna potesse essere bella,
certo
non poteva provocare una reazione del genere.
Edmund, appena
confuso, scambiò un’occhiata con i fratelli,
vedendo sui loro volti la sua stessa espressione.
-Potremmo sapere
di cosa state parlando?- chiese,
educatamente, una nota interrogativa nella voce.
Il tasso
agitò una zampa, liquidando la faccenda… senza,
però, guardare nessuno di loro negli occhi.
-Nulla che sia
importante, Vostra Maestà.- affermò, con un
sorriso che, tutti quanti se ne accorsero, era palesemente falso.
Ma
Tartufello cambiò rapidamente argomento, rivolgendosi a
Peter, seduto nel
medesimo punto in cui lo stesso Caspian si era fermato per ascoltare
lui e
Nikabrik, qualche giorno prima. -Caspian è riuscito a ridare
fuoco agli animi
sopiti dei nostri guerrieri, Sire… senza di lui, sebbene il
vostro arrivo abbia
suscitato grandi speranze, non__-
Il Re Supremo
alzò una mano, fermando il fiume di parole
accorate e sincere dell’emotivo tasso.
-Ho compreso,
Tartufello.- disse soltanto, prima che le sue
labbra si piegassero in un lieve sorriso, così raro sul suo
volto. Si voltò
verso la sorella che, come lui, aveva seguito tutto il discorso,
analizzando ogni
parola. Era un grande pregio di Susan quello di riuscire a comprendere
ogni
minima sfumatura delle parole, ogni secondo fine nelle frasi di chi
aveva
davanti. -D’altronde, non possiamo far ammazzare un
ragazzo… Susie?- la chiamò.
Lei
annuì, decisa.
-Assolutamente.
Miraz va fermato.- affermò, nel tono fermo e
fiero di una vera Regina. -Quando è scomparso?- chiese poi,
rivolgendosi a
Tartufello.
-Ieri notte, mia
Regina.-
-Non
dev’esserci molta distanza fra noi e loro… Ed,
quanto
credi possano essere andati lontani?- Peter si rivolse al fratello
minore, ben
conscio di quanto Edmund fosse più abile di lui nelle arti
dell’inseguimento e
della guerriglia.
Era sempre stato
così a Narnia, fra loro: Peter aveva
imparato la saggezza di rivolgersi ai fratelli e
l’umiltà di riconoscere che,
per alcuni motivi, era più proficuo affidarsi a loro
più che a se stesso.
-Se hanno
marciato tutta la notte? Un paio di miglia,
almeno.- gli rispose il moro, dopo un rapido calcolo.
-Narnia
è molto cambiata da quando voi regnavate, miei Re.-
gli rammentò Trumpkin, parlando per la prima volta da quando
avevano raggiunto
la capanna del tasso.
-Sappiamo
cavarcela.-
Lucy
rovesciò gli occhi al cielo; ecco, nell’orgoglio
Peter
non sarebbe mai cambiato.
-Non ne
dubito… ma una guida che conosca queste genti
selvagge, le creature che ora popolano Narnia, vi sarebbe utile.- la
voce di
Trumpkin fu un po’ troppo condiscendente, per i gusti
dell’Alto Re di Narnia.
-Hai qualcuno da
proporci?- gli chiese, cercando di moderare
il sarcasmo che, lo sapeva, compariva nella sua voce quando qualcuno
metteva in
dubbio le sue capacità.
I due gnomi si
fissarono per un attimo, prima che CPA, come
ormai lo avevano soprannominato Susan e Lucy, annuisse.
-Le naiadi.-
Le naiadi erano
un popolo di ninfe dell’acqua, ritiratesi
nei loro rifugi all’avvento dei telmarini. Peter le ricordava
come esseri
eterei e bellissimi, dalla pelle trasparente e limpida come gli specchi
dei
laghi in cui vivevano; sempre allegre, accoglievano il loro passaggio
vicino
alle loro case con gioia, giocando con la magia che era stata loro
donata da
Madre Natura, riempiendo di zampilli e arcobaleni l’aria
fragrante dei
pomeriggi del regno.
Non avrebbe mai
pensato che proprio loro, creature perfette
e pacifiche come poche, potessero diventare quello che Trumpkin e
Nikabrik gli
avevano descritto.
Le naiadi si erano
erette come protettrici di quelle creature magiche che ancora
sopravvivevano a Narnia; quelle poche che avevano deciso di non
vivere nel rifugio del Regno, ben celato negli Acquitrini
Settentrionali, erano comunque in contatto con la Sovrana Mairead,
sempre disposta ad accogliere i fuggiaschi.
Era difficile
immaginarle in quelle vesti; secondo i due gnomi, erano riuscite a
mutare il loro aspetto in modo semipermanente, facendo in modo di
riuscire a cambiare per assomigliare agli esseri umani, ed a loro
piacimento potevano tornare alla forma d’acqua.
Ricordava
Mairead: quando lui ed i suoi fratelli regnavano
su Narnia, spesso la Sovrana delle Naiadi si era recata come emissaria
a Cair
Paravel, ed in ogni singola occasione il Re Supremo era rimasto stupito
dalla
forza e dalla pacatezza con cui la giovane parlava e si muoveva. Non
avrebbe
potuto immaginare guida migliore per quel popolo diventato
l’ultima difesa dei
narniani.
-Peter, non puoi
andare da solo!- sbottò Edmund,
strappandolo ai suoi pensieri. Peter non si voltò nemmeno,
finendo di
imbrigliare uno dei cavalli rubati alle truppe di Miraz.
-Posso e lo
farò. Sono comunque il Re, Ed.- mormorò,
allacciando con fermezza uno dei passanti.
-È
una pazzia! Sono passati milletrecento anni, idiota!-
solitamente, quando Susan perdeva la calma era meglio fermarsi ed
ascoltarla:
poteva diventare davvero pericolosa se si arrabbiava, la cara, dolce
Susie.
Si
voltò verso di lei sospirando, tenendo ben strette le
briglie del cavallo.
-Sue, sono
l’unico a cui potrebbero dare udienza, l’hai
sentito anche tu Nikabrik.-
La Sovrana delle
Naiadi era sottoposta soltanto al Re di
Narnia; era
sempre stato così e questo, perlomeno, sembrava non essere
cambiato.
-Non mi fido di
lui.- mugugnò la ragazza, scuotendo la
testa. Suo fratello aveva quel brutto vizio di volersi sempre,
ostinatamente
mettere nei guai…
-Nemmeno
io… ma mi fido del tasso e di Trumpkin, e loro sono
d’accordo.- a questo, per fortuna, Susan non seppe ribattere.
-Peter, non
è una buona idea.- la voce di Lucy, più sottile
ma ugualmente penetrante, lo fece trasalire. Aveva un debole per la sua
sorellina,
era sempre stato così e soltanto lei riusciva, il
più delle volte, a farlo
desistere dai suoi propositi.
-Devo farlo, Lu.
Voi dovete radunare queste creature; devono
essere pronte.- mormorò, alzando gli occhi azzurri su quelli
identici della
piccina. Stava crescendo, la sua Lucy. Si stava facendo donna, come
già una
volta era stata… abbandonarla, lasciarla sola in quella
Narnia che non
riconosceva più, gli sembrava sempre di più una
follia. -Nel nascondiglio delle
naiadi si celano gran parte delle creature di Narnia… devo
convincere anche
loro. Abbiamo bisogno di un esercito.- le spiegò,
inginocchiandosi di fronte a
lei e posando una mano sulla sua spalla esile, cercando di convincere
delle sue
parole prima di tutto sé stesso.
La piccola,
testarda Lucy annuì, gli occhioni limpidi
tutt’altro
che felici.
-Stai attento,
fratellone.- sussurrò soltanto, alzando lo
sguardo lucido ma fiero sul biondo.
Peter
montò a cavallo con scioltezza, grato della sensazione
di ritrovarsi sulla sella di uno di quegli animali che tanto adorava,
che tanto
gli erano mancati.
-Tornerò presto,
piccolina. Promesso.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
.
CAPITOLO
CORRETTO
E RIPOSTATO IL 26/01/2014
.
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
-Muoviti!- sbottò
Aaron, spintonando violentemente Caspian per costringerlo a
camminare; il ragazzo barcollò, rischiando di perdere l’equilibrio,
digrignando i denti quando i polsi legati lanciarono una fitta e
maledicendo il bavaglio che gli impediva di rispondere a tono a quel
bastardo d'un rosso.
-Dovremmo
trovargli un cavallo, il principino non pare intenzionato a
collaborare.- commentò Caleb divertito, gli occhi azzurri accesi e
brillanti nel Sole mattutino, scambiando un’occhiata maliziosa con
la mezz'elfa.
-Non ha tutti i
torti, no? Nemmeno tu saresti tanto contento di farti portare al
patibolo…- replicò lei, inarcando un sopracciglio, piegando le
labbra in un sorrisetto ironico. Caleb rallentò l’andatura per
affiancarlesi, lasciando soli Aaron e Caspian – povero
Caspian.
-Beh…- gli occhi
di Caleb dardeggiarono verso Siria, che saltellava sorridendo fra i
rami sopra di loro prima di tornare alla mezz’elfa, percorrendo con
lo sguardo il suo corpo snello e minuto, le labbra che si
arricciavano in un mezzo sorriso malizioso. -…se fossi tu
a portarmi alla morte ci andrei col sorriso, nanerottola.- mormorò,
rivolgendole un occhiolino.
Talia sospirò,
alzando gli occhi al cielo.
-Ma quanto sei
stupido da uno a dieci, sottospecie di minotauro malformato?-
replicò, scoccandogli uno sguardo di rimprovero – in realtà,
molto in fondo, lusingata da quei commenti decisamente poco casti che
Caleb, nemmeno tanto raramente, le dedicava.
“Magari, un
giorno…”
Talia scosse
appena la testa, allontanando quel pensiero prima che divenisse
proprietà anche di una persona decisamente troppo ficcanaso, per i
suoi gusti, che certo non avrebbe mancato di farle notare che__
“Guarda che
ti ho sentita.”
__appunto.
Gli occhi scuri
della mezz’elfa si rovesciarono verso l’alto, cercando
istintivamente la figura ora immobile dell’amica dai capelli rossi:
Siria era là, in piedi sul robusto ramo di un tasso, e la stava
fissando, la testa che si muoveva appena in un inequivocabile segno
di esasperazione.
“Era soltanto
un pensiero, Sir.” le
rispose subito, abituata com'era a quel contatto mentale che, ormai
da tempo, le univa.
Il loro era un
rapporto ai confini dell'assurdità, secondo Caleb, ma tutti loro
sapevano bene quale fosse l'origine tutt'altro che assurda di quel
contatto e di quella affinità.
Le due ragazze si
erano conosciute molti anni prima quando Siria, poco più che
bambina, si era perduta in un bosco non molto dissimile da quello che
stavano attraversando in quel momento; Talia l'aveva trovata e si era
presa cura di lei e, col passare degli anni, fra loro si era
instaurata un'amicizia salda e forte come ben poche potevano sperare
di nascere in un periodo turbolento come quello che Narnia stava
attraversando.
“Non
offendere la mia intelligenza, Tallie.”
La voce
sarcastica, seppur mentale, dell’amica strappò un sorriso a Talia
che, sentendosi punta sul vivo, distolse gli occhi dalla figura
allampanata della rossa per riportarlo sul sentiero a malapena
distinguibile che stavano percorrendo.
“Davvero,
Sir. Lascia stare.”
sussurrò, mentalmente, costringendo i propri pensieri a non
soffermarsi su quello – stranamente
difficile da reprimere
– di Caleb.
-Intorno al
milione, direi.- commentò una voce più acuta ed infantile, seccata.
La mezz’elfa si
voltò, sorridendo, per vedere la piccola Tara che quasi correva per
mantenere il passo spedito degli altri; la ragazzina sollevò gli
occhioni azzurri sul fratello maggiore che, come lei, si era voltato
al suono della sua voce indispettita, scoccandogli uno sguardo capace
di ridurre a più miti consigli persino un uomo grande e grosso come
Caleb.
-Potresti anche
fare il galantuomo per una volta, almeno con tua sorella!- sbottò,
irritata, sventolandosi una mano davanti al volto accaldato.
Talia,
ridacchiando, l’afferrò al volo e, con uno scatto rapidissimo che
solo il sangue elfico poteva permettere ad un corpo, si spostò alle
spalle di Caleb, permettendo alla piccola di arrampicarsi sulla sua
schiena poderosa.
-Tuo fratello è
uno scimmione, piccina, non puoi pretendere che conosca il galateo.-
commentò, ironica, strizzando l'occhio alla bambina.
Lei la adorava,
Tara.
Le ricordava un
po’ se stessa… la se stessa che era stata tanto, tantissimo tempo
prima. Più
o meno cinquecento anni,
commentò mentalmente, con una smorfia. Almeno
li porto bene.
-Almeno io supero
il metro d’altezza, nanerottola.- replicò Caleb, piccato,
affondando la mano grande, lievemente callosa ma calda e
rassicurante, fra i corti capelli di Talia, arruffandoli.
-Caleb ho ucciso
per molto meno! I capelli no!-
sbottò lei, scacciandolo bruscamente e sferrandogli un pugno,
per'altro non troppo determinato a ferirlo, sulla spalla.
Caleb scoppiò a
ridere, accusando il colpo ed esagerando il dolore mentre Tara,
appollaiata come un piccolo folletto sulla sua spalla, gli appioppava
un poco simpatico scappellotto sulla nuca.
-Oh, insomma!-
esclamò, fingendosi esasperato, alzando gli occhi verso la rossa che
li stava guardando, di cui sentiva la risata argentina fin da laggiù.
-Sir, le tue amiche, qui, mi picchiano! Non è giusto!- protestò,
afferrando Talia quando lei tentò di superarlo e tirandola verso di
sé, avvolgendole un braccio intorno ai fianchi asciutti.
Oh, ma Siria
doveva smetterla di sogghignare.
-Caleb mollami!-
protestò lei, avvampando di botto quando Caleb, senza troppe
cerimonie, se la caricò in spalla accanto a Tara: era forte,
abbastanza per sollevare la ragazzina e la mezz’elfa, non molto più
pesante.
-Non mollarla,
Cal, vediamo se per una volta la pianta di blaterare.-
Ridacchiando, la
figura troppo alta e smagrita della mercenaria dai capelli rossi
piombò come un falco a poca distanza da loro, sollevando uno sbuffo
di foglie secche.
Istintivamente, i
suoi occhi dardeggiarono verso il principe prigioniero.
Nel medesimo
istante, come richiamato dalla sua presenza – eppure
non avrebbe dovuto trovarsi ancora sotto l'effetto dei fumi della
malia
–
Caspian si voltò di scatto, udendo il suono dei suoi calzari sul
terreno; e per un attimo, soltanto per un rapido attimo, i loro occhi
s’incrociarono.
C'era
determinazione, nello sguardo ribelle del principe di Telmar.
Caspian sostenne
l'occhiata curiosa di Siria senza cedimenti, senza paura, nonostante
si sentisse a disagio sotto quell'indagine spietata; tuttavia,
nonostante quelle sgradevoli emozioni, la curiosità prevalse.
Per la prima
volta, da quando era stato catturato, riuscì a guardare per bene
quella donna che gli era parsa tanto bella e surreale durante
l'agguato: l'alone misterioso e seducente che lo aveva irretito in
precedenza sembrava essere scomparso, rifletté, concedendosi di
studiarla più a lungo di quanto, forse, si sarebbe dovuto
permettere.
Aveva due begli
occhi blu e dei lineamenti affilati, forse troppo, che contrastavano
con il naso rotondo e con la simpatia innata che suscitavano le
decine di lentiggini che le punteggiavano tutto il viso. Era pallida
e profonde occhiaie dall'aspetto vecchio e trascurato le segnavano le
guance ma, quando la ragazza prese fiato dopo la corsa fra gli
alberi, Caspian notò che aveva i denti puliti e regolari – strano,
per una popolana.
Ciò che lo aveva
colpito subito era stata quella capigliatura meravigliosamente folta
e brillante: i capelli di Siria sembravano la criniera di un leone,
ricci e ribelli e lunghi sino alla vita – una criniera imbrigliata
in una serie di lacci che, tuttavia, non riuscivano a trattenere
lunghe ciocche fuggiasche dal darsi alla pazza gioia attorno al suo
viso.
Era decisamente
troppo magra, come tutti coloro che non potevano permettersi dei
pasti regolari ed abbondanti, ma era di costituzione robusta e
proporzionata e, dal modo in cui si muoveva, si potevano intuire
muscoli affusolati e ben definiti sotto la calzamaglia, il
giustacuore, la camicia ed il corpino.
Una bella ragazza,
tutto sommato, ma non c'era niente in lei che gli riportasse alla
mente la figura sensuale ed irresistibile che lo aveva fatto
capitolare.
Però c'era
quello sguardo... quello
sguardo ferace e guardingo che contrastava con tutto ciò che poteva
dedurre dal suo aspetto.
Non appena quel
pensiero lo sfiorò, un ennesimo spintone lo distolse dai suoi
pensieri: Aaron lo aveva spinto avanti e Siria, incupita da chissà
cosa, si era voltata verso gli amici – quel
dannato ragazzino non aveva alcun diritto di guardarla in quel modo.
Scosse appena la
testa, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa, e sogghignò
quando notò che Talia non era ancora riuscita a liberarsi della
salda presa del biondo.
Gli occhi nocciola
della mezz’elfa si soffermarono su di lei, mentre quella
sgambettava per liberarsi dalla presa di Caleb.
“Quello
cos’era, Sir?”
La domanda quasi
ovvia di Talia non la sorprese affatto, a dirla tutta; a loro non
servivano parole né discorsi, per comprendersi: bastava uno sguardo.
“Quello
cosa?”
Siria si strinse
appena nelle spalle, alzando gli occhi al cielo.
Sapeva a cosa si
stava riferendo Talia: era raro che qualcuno riuscisse a destare la
curiosità di Siria – e lei, Talia, aveva sentito
chiaramente i pensieri di Siria concentrarsi sul ragazzo, irritarsi
davanti alla determinazione e alla testardaggine con cui lui la stava
fissando sino a poco prima, domandarsi perché
quello stupido principino non la smettesse di osservarla.
Sapeva che Siria,
con un vecchio trucchetto appreso da una chiromante di uno sperduto
villaggio di Archen, aveva ammaliato Caspian per catturarlo;
tuttavia, da allora, si era ben guardata dall’utilizzare lo stesso
giochetto per sedurlo o attrarlo verso di sé – anzi, aveva
mantenuto una prudente distanza di sicurezza da quel giovane che
aveva suscitato, primo fra tanti, la sua inesauribile curiosità.
“Quello
sguardo.”
“Quale
sguardo? Pensa a liberarti dell’uomo-minotauro, piuttosto che
vagare nella mia testa…”
Talia alzò gli
occhi al cielo in risposta alla prevedibile replica della rossa. Era
un classico che Siria cambiasse bruscamente discorso, spostandolo
verso argomenti meno vicini alla sua preziosissima persona… se
Talia non l’avesse conosciuta bene l’avrebbe sicuramente
scambiata per un’altezzosa egoista – e mai errore sarebbe stato
più fatale.
“Ah, beh, di
sicuro vagherei in un posto molto spazioso!”
Suo malgrado Siria
sorrise al commento ironico e pungente dell’amica, tornando ad
arrampicarsi sull’albero più vicino.
“Sì,
ti voglio bene anch’io.”
fu la sua risposta divertita, gli occhi blu che, senza davvero
volerlo, tornavano a cercare la figura di Caspian.
. .
§
. .
Peter prese un
lungo respiro, costringendosi a mantenere un rigido e ferreo
autocontrollo sulle proprie emozioni.
Eppure era così
difficile…
La commozione ed
il peso grande e doloroso che vigevano nel suo petto da quando aveva
rimesso piede a Narnia erano, ad ogni lieve passo del cavallo, un
poco più forti.
Davanti a lui,
silenzioso e mite come non avrebbe desiderato vederlo, un fauno lo
guidava attraverso strade che sembravano non essere mai cambiate, in
una foresta minuta i cui rami danzavano. Danzavano.
Gli alberi
ballavano intorno a lui, le foglie brillavano di un verde acceso,
vivo, un verde che niente poteva eguagliare in ciò che aveva visto
sino a quell’istante.
Creature fatte
soltanto di fiori di pesco, d’arancio, di ciliegio, si radunavano
ai lati di quel sentiero stretto che serpeggiava in un bosco come
credeva non esistessero più, a Narnia.
Quella era la
sua Narnia.
Fauni, elfi,
folletti, gnomi, unicorni d’un bianco abbacinante, danzatrici,
ninfe – decine e decine di paia d’occhi facevano capolino ogni
volta che il suo sguardo si allontanava da un punto preciso, da
dietro i tronchi che, con un suono familiare quanto alieno, si
muovevano al ritmo di una musica muta.
Era incredibile
– era incredibilmente assurdo che un luogo del genere
esistesse ancora…
Aveva varcato la
soglia di quel rifugio guidato da Tartufello e da Nikabrik, poche ore
prima.
Aveva guardato,
perplesso, quella cascata prepotente, scrosciante, che sembrava
nascere dal nulla e nel nulla pareva sparire. I due lo avevano spinto
ad attraversarla, nonostante il suo cavallo non fosse per nulla
contento di farlo, assicurandogli che non sarebbero stati travolti
dall’acqua.
Perplesso ma
fiducioso, soprattutto nei confronti del tasso, aveva obbedito.
Aveva attraversato
quella cascata, senza esserne bagnato nemmeno minimamente, e si era
ritrovato… a Narnia.
La gente era la
stessa con cui aveva convissuto per trent’anni, le creature le
medesime, il luogo era esattamente come lo ricordava – solamente
gli sguardi erano diversi: erano occhiate timorose, diffidenti, dense
di un velato rimprovero che lui prima di chiunque altro si rivolgeva.
Soltanto i
centauri, possenti, scuri, misteriosi, avanzavano sicuri in mezzo
agli alberi di quella foresta incantata, fermandosi sul ciglio della
strada per osservarlo sicuri, fieri, enigmatici com’erano sempre
stati.
Aveva chiesto di
parlare con Mairead, una volta varcata quella soglia, una volta
superato l’iniziale stupore di ritrovarsi sotto il tiro di una
decina di frecce. Si era presentato, mantenendo il più possibile una
calma che non possedeva e, nello stupore generale, era stato
riconosciuto; ed ora uno dei fauni armati lo stava conducendo in un
silenzio denso di magia verso la residenza della Sovrana delle
Naiadi.
Non era un
edificio imponente, eppure era rimasto lo stesso, identico luogo che
rammentava del suo passato a Narnia.
Era una residenza
forse modesta, per gli standard di Cair Paravel, ma comunque immensa;
ciò che era visibile agli occhi di chi non vi era ancora entrato era
un castello difficile da riconoscere, illuminata dai raggi di un raro
Sole che fendeva le uniformi nubi candide che velavano il cielo.
L’edera cresceva rigogliosa su tutta la struttura, intrecciandosi
in mille disegni spezzati soltanto dalle ampie vetrate ora
spalancate, ricoprendo quasi totalmente le pareti del loro
incredibile verdeggiare. Fiori candidi, piccoli e delicati,
adornavano il giardino e persino le mura, inerpicandosi sui rami
dell’edera come serpenti su un albero.
Sorrise, Peter.
Caprifogli.
Quei piccoli,
delicati fiori bianchi che tanto amava, che spesso aveva osservato
con tenerezza ornare i muri di Cair Paravel, crescevano rigogliosi su
quelle pareti anomale, il loro candore illuminato dai tenui raggi del
Sole.
Sentì il cuore
gonfiarsi di commozione a quella vista, quando distinse i grifoni
solcare il cielo al di sopra della reggia.
Era a casa.
-La Sovrana
Mairead la sta aspettando, sire.- il fauno, con devozione, s’inchinò
di fronte al giovane, quando raggiunsero la soglia di quel palazzo
sempre più grande mano a mano che s’avvicinavano.
Conosceva quel
luogo. Il sentiero che avevano percorso si snodava su uno specchio
d’acqua profondo, un lago immenso che si stendeva racchiuso in
muraglie di monti impervi. La rocca, costruita nella stessa pietra
bruna di Cair Paravel e che lui ricordava nel pieno dello splendore,
si ergeva alla fine di quella strada. C’erano differenze, però:
piante di tutti i tipi avevano ricoperto la maggior parte della
struttura arrotondata del castello, presentando alla mente una
costruzione che pareva partorita dalla natura stessa.
-Ti ringrazio…-
Peter tacque un istante, osservando il fauno prostrato ai suoi piedi.
Non aveva mai chiesto – né mai preteso – tutto questo.
La creatura alzò
lo sguardo, comprendendo il desiderio del biondo di conoscere il suo
nome. Lo vide appena imbarazzato da quel gesto, ma il Re non se ne
curò: era sempre stato un sovrano attento al suo popolo, ai bisogni
del regno, sempre pronto a rendersi loro pari quando giungevano a
chiedergli aiuto.
-…Pallante, mio
sire.- mormorò il fauno, abbassando di nuovo lo sguardo.
Peter sorrise,
smontando da cavallo e posando con tranquilla e studiata serenità
una mano sulla spalla dell’altro, vedendolo sobbalzare al contatto
inaspettato.
-Ti ringrazio
infinitamente, Pallante.- mormorò, gli occhi azzurri penetranti ed
eccezionalmente calmi. Vide il fauno sbalordirsi di quell’azione, e
lo lasciò lì, soddisfatto di sé e del suo operato, varcando senza
esitazione la soglia della residenza di Mairead.
Il peso che
gravava sul suo petto non poté che aumentare quando i suoi occhi
celesti dardeggiarono con un gesto doloroso sui corridoi ampiamente
illuminati, tinteggiati nelle calde tonalità dell’oro e dell’ocra.
I dipinti alle pareti, i mobili in legno chiaro – di faggio, colto
col consenso dell’albero stesso – le spade e gli archi racchiusi
in eleganti teche di cristallo: tutto era esattamente come ricordava.
E l’erba soffice, sotto di lui, troppo perfetta per non essere
frutto di magia, era la stessa su cui tanti anni prima correva
ridendo con i suoi fratelli, giocando come i regnanti felici che
erano.
Tutto, tutto
quanto, era come ciò che aveva lasciato, in una sfolgorante e
luminosa imitazione della sua Cair Paravel.
I suoi passi
lenti, misurati, risuonavano nel silenzio ovattato del palazzo come
le pulsazioni del cuore nel suo petto.
Fu davanti alle
grandi porte di vetro soffiato, smerigliato ad arte in modo da
lasciar intravedere soltanto ombre confuse della sala che
racchiudevano, che si fermò. Per la prima volta, in tanto tempo, non
sapeva cosa aspettarsi dalle creature del suo regno.
Ma non servì che
fosse lui ad aprire le porte: non appena il Re smise di camminare ed
il suo sguardo indugiò sulle maniglie dorate il portone,
semplicemente, si aprì.
Il prato incantato
si stendeva in quell’ampia sala come in nessun altro luogo di
Narnia avrebbe mai potuto fare: l’erba sarebbe stata soffocata dal
fogliame e dai frutti degli alberi… ma lì no, lì poteva crescere
rigogliosa e lucente come appariva soltanto nei ricordi più sbiaditi
del Re, mossa da una brezza inesistente che accarezzò per un istante
il volto del biondo, portandolo a socchiudere gli occhi per
ricacciare indietro la commozione, con l’angoscia che gonfiava il
suo cuore.
-Re Peter.-
Peter spalancò
nuovamente le palpebre quando, in quel silenzio quasi innaturale,
risuonò una voce eterea capace però di spezzare l’aria come il
ruggito di un leone. Dolcezza e fermezza, ecco cos’era quella voce.
Ecco cos’era sempre stata.
Sorrise, Peter. Un
sorriso sorpreso e forzato, doloroso… un sorriso, però, sincero.
-Sovrana Mairead.-
mormorò, chinando il capo in un decoroso e cavalleresco cenno di
saluto, avanzando di qualche passo nell’immensa sala alberata.
Pareva una radura,
la stanza del trono di Mairead: vi si snodava pigro un corso d’acqua,
un ruscello limpido e trasparente che scorreva su ciottoli levigati e
troppo perfetti per essere naturali, ed un enorme salice piangente
velava quella creatura meravigliosa che ricordava essere molto, molto
diversa da ora.
-Ti trovo
splendida, come sempre.- mormorò, la voce rotta appena
dall’emozione, quando la Sovrana delle Naiadi si alzò dal morbido
tappeto verdeggiante per andargli incontro.
Gli ultimi ricordi
che aveva di Mairead erano di una creatura allegra, vivace, modellata
dall’acqua e nell’acqua.
Ora, invece, la donna che aveva dinanzi era di carne e ossa, viva e
concreta almeno quanto lui.
Si chiese quanti
anni avesse in realtà; ai suoi occhi di figlio d’Adamo non ne
dimostrava più di una trentina.
Morbide onde
dorate ricadevano intorno a quel volto dalla carnagione chiara,
eburnea quasi, priva di qualsivoglia tipo d’imperfezione. Il viso
era affilato ma delicato allo stesso tempo, le labbra chiare e
carnose, le guance delicate simili a panna…
E gli occhi, gli
occhi erano due specchi di un celeste chiarissimo, quasi simile a
ghiaccio; altrettanto taglienti, all’occorrenza, ma ora dischiusi
in un sorriso sereno, un sorriso che metteva in evidenza una chiostra
di denti bianchissimi e un sincero affetto nei confronti del giovane
regnante.
Mairead camminò
con leggiadria verso Peter, quasi danzasse; fu lei ad inchinarsi al
giovane, sorridendo lievemente quando Peter, galante e signore
esattamente com’era sempre stato, sfiorò appena il dorso della sua
mano con un lievissimo bacio.
-Ed io ti trovo
inaspettatamente più giovane, mio Re, nonostante siano passati
secoli dal tuo avvento.- mormorò la Sovrana, sempre con quella voce
mistica, eterea, quasi lontana. Gli rivolse un morbido cenno con la
mano affusolata, invitandolo a seguirla verso il luogo in cui era in
meditazione fino a pochi istanti prima.
-È una lunga
storia.- fu il commento neutro di Peter, che continuava a guardarsi
intorno, cercando di imprimersi ogni dettaglio di quel luogo nella
mente.
-Ho tempo per
ascoltarti.- il biondo sospirò, guardando Mairead tornare ad
accoccolarsi con dolcezza accanto al salice, posando le mani candide
sulla sua corteccia – una corteccia viva, pulsante d’energia,
diametralmente opposta agli alberi all’infuori di quel posto.
-Sono desolato…
ma il tempo invece è proprio ciò che manca a me, adesso.- mormorò,
inginocchiandosi accanto a lei prima di lasciarsi stancamente cadere
contro il tronco del salice, chiudendo gli occhi soltanto per un
istante; non era abituato a mostrare così le proprie debolezze, la
propria fragilità, ma sapeva bene che Mairead era una delle poche
persone, a Narnia, di cui poteva fidarsi ciecamente.
-Qualcosa turba i
tuoi occhi, Peter.- la sentì infatti mormorare, avvertendo su di sé
quello sguardo limpido, celeste e tagliente.
Schiuse di nuovo
le palpebre, alzando le iridi sul volto splendido della donna. Ma
esitò, soltanto per un istante, quando poté chiaramente sentire il
contorcersi del suo orgoglio nello stomaco.
-Sono qui per
implorare il tuo aiuto.- il sapore amaro dell’umiltà con cui aveva
parlato si fece presto sentire fra le sue labbra, in bocca – ma lo
sapeva, quella perdita di orgoglio era necessaria, per il suo popolo,
per Narnia… sebbene bruciasse, bruciasse come fuoco. -Stanno
succedendo molte cose a Narnia. Il principe di Telmar si è posto a
capo dei narniani, li ha radunati, li ha spronati a combattere per
riprendersi la loro terra.- distolse lo sguardo, portandolo sul fiume
che scorreva placido di fronte a lui. Quel principe, da ciò che
aveva scoperto di lui, gli sarebbe piaciuto… -Ha fatto ciò che
avrei fatto io…- sussurrò, rivolto più a se stesso che alla
naiade.
-Azioni degne di
stima.-
Tornò a guardare
la ninfa, lo sguardo greve, angosciato, più distante che mai. -Ma è
scomparso, Mairead. Nonostante il nostro arrivo i narniani fanno
affidamento su di lui, li ha spronati, li ha guidati.-
Ciò che non ho
fatto io…
-Ho bisogno di una
guida che conosca questa nuova Narnia.- affermò, dopo un secondo,
ignorando quel pensiero che ardeva più della perdita d’orgoglio.
-E che
possibilmente possa affrontare anche la magia che tanto temi.-
completò per lui la naiade, in quel tono sereno e pacato che celava
un carattere tanto attento quanto scaltro e calcolatore.
Peter esitò
soltanto un istante prima di annuire, lo sguardo ancor più cupo.
-È in tempi come
questi che prendono il potere le creature come Jadis.-
Mairead, a quelle
parole, annuì. Peter nemmeno era ben conscio di quanto quel timore
potesse essere fondato, in quell’istante… il sangue della Strega
Bianca scorreva ancora sulle terre di Narnia… e presto, molto
presto, si sarebbe rivelato.
Posò una mano
affusolata sul braccio del ragazzo, guardandolo con uno sguardo
greve, deciso.
-Ti prego di
uscire, Peter. Ho necessità di pensare.- mormorò, sostenendo il suo
sguardo con quell’ammirevole caparbietà che lui non aveva mai
dimenticato.
Il biondo annuì,
distogliendo gli occhi dai suoi, sentendo l’ansia crescere ad ogni
passo che muoveva fin quando non si ritrovò fuori da quella sala di
nuovo chiusa, per lui.
. .
-Shaylee.- la voce
di Mairead echeggiò nella sala improvvisamente vuota, il silenzio
spezzato soltanto dal gorgoglio delicato del torrente limpido.
Eppure, Mairead
sapeva bene di non parlare al nulla.
Socchiuse gli
occhi per un momento, le dita sottili ed eleganti che andavano a
racchiudere un boccolo nella loro pelle color panna, aspettando.
Dopo un istante,
il suo fine udito colse lievi passi di piedi nudi sull’erba
soffice, ed il respiro accennato di una creatura di fronte a lei.
Alzò gli occhi, per nulla sorpresa di ritrovarsi davanti ad un’altra
ninfa: la nuova arrivata era giovane, aveva il volto e l’aspetto di
una ragazza umana ma, come la sua signora, anche la seconda naiade
nascondeva dietro il suo volto molti più anni di quelli che
dimostravano.
-Mi ha chiamato,
mia Sovrana?- la voce melodiosa della fanciulla risuonò come un’eco
nel soffice silenzio della sala, il volto chinato verso il basso, la
veste candida che velava il suo corpo chiaro.
Mairead alzò lo
sguardo, gli occhi azzurri e freddi improvvisamente privi di quella
patina di cortesia che avevano velato il suo sguardo in presenza di
Peter.
-Ho un incarico da
affidarti.- affermò alzandosi in piedi, più alta della ragazza di
almeno una spanna. Si voltò verso le ampie vetrate del suo castello,
scrutando il popolo nascosto nel suo regno, guardando con ansia
sempre crescente il cielo terso di Narnia. -Gli Antichi Re sono
tornati a Narnia.- mormorò, piano. E sentì sussultare Shaylee, a
quell’affermazione; anche senza guardarla poté vedere i suoi occhi
sgranare, il suo volto deformarsi nella rabbia.
-Pensavo fossero
soltanto voci.- fu infatti la fredda constatazione della ragazza –
la voce gelida, vibrante di odio a stento trattenuto.
-È la realtà. Il
Re Supremo è qui.- Mairead si voltò a guardarla; negli occhi della
giovane c’era un misto di sorpresa, di rabbia, di dolore, che la
Sovrana comprendeva perfettamente. -È giunto per implorare il nostro
aiuto. Ha bisogno di una guida magica; non conosce più questo mondo,
mentre tu
sì.- vide chiaramente Shaylee impallidire, a quell’affermazione.
-Mia Sovrana,
io__- cominciò lei, ma Mairead alzò una mano, interrompendola.
-Tu sei la mia
risorsa più importante. Sei la più saggia e giusta fra le mie
ninfe, e so di potermi fidare ciecamente di te. So che non fallirai.-
le spiegò, sostenendo il suo sguardo con la determinazione di una
regina, con la forza e la pacatezza di chi ha tanto sofferto – e
sacrificato – per il suo popolo.
Shaylee era, senza
altre definizioni possibili, la più fidata delle sue ancelle
personali: le naiadi erano state costrette ad imparare a difendersi
molto tempo prima, quando gli invasori telmarini le avevano cacciate
come selvaggina; a quei tempi, Shaylee era poco più che una novizia
delle battaglie… una novizia che aveva costretto se stessa a
rinchiudersi nel guscio di una lottatrice incantata, armata solamente
della sua magia ma guidata da un dolore immenso che Mairead non era
riuscita ad evitarle.
Orfana, sola al
mondo, era nata poco tempo prima che i Quattro Regnanti
abbandonassero Narnia; i suoi genitori erano rimasti uccisi tempo
dopo, durante le prime sanguinose schermaglie con gli abitanti di
Telmar, affidando quella bambina al fato e a Mairead, già allora
Sovrana che, colpita da subito da quegli occhioni dorati e limpidi,
si era presa cura di lei come della figlia che non aveva mai
concepito.
-Ne sono onorata.-
Shaylee chinò il capo, i lunghi capelli lisci che velavano appena il
suo volto candido.
Mairead si limitò
ad annuire, più conscia della giovane di quanto quella decisione
avrebbe potuto cambiare tutto.
-Peter.- sussurrò
soltanto, voltandosi verso le ampie porte. Bastò quell’unica
parola, quel nome, per far sì che si spalancassero.
Peter era là,
appoggiato alla parete di fondo con la schiena, le braccia incrociate
sul petto; alzò gli occhi dai suoi pensieri, quando la grande sala
tornò ad accogliere il suo sguardo… e un brivido di sorpresa lo
attraversò di botto quando distinse la seconda donna accanto a
Mairead.
Il primo, assurdo
pensiero che la sua mente produsse fu quello di trovarsi davanti ad
un cammeo: l’espressione della ninfa era rigida, troppo forse, gli
occhi erano socchiusi, le labbra strette e la veste severa, capace
comunque di valorizzare il suo corpo minuto ma ben proporzionato.
Aveva la
carnagione bianca come la spuma delle onde marine sugli scogli e
lunghi capelli dorati le incorniciavano i lineamenti dolci; gli occhi
erano lontani dai suoi, stretti fra ciglia chiare e folte come pizzo,
le labbra sottili serrate in una inequivocabile espressione di
disprezzo.
Rimase a
guardarla, improvvisamente incapace di pensare ad altro: non era la
ragazza più bella che avesse mai visto, ma c’era qualcosa…
qualcosa che non aveva mai notato in nessun’altra.
Forse erano le
mani chiare, affusolate, minute, strette rigidamente nei pugni, le
braccia rigide sui fianchi; forse il collo arcuato, teso e rigido per
il nervoso; o forse quello sguardo che repentinamente si spostò su
di lui – forse fu tutto questo a fargli comprendere esattamente ciò
che lo aveva colpito di lei.
Aveva gli occhi
dorati, liquidi e grandi ed allungati come quelli di una cerbiatta:
erano luminosi, in splendida armonia con la carnagione chiara e le
labbra rosee, e spiccavano nel suo volto come un dente di leone in
mezzo ad un prato innevato.
Ed erano pieni
d'odio.
Rabbia, veleno,
ira:
in quegli
occhi c’era
una marea di emozioni terribili, angosciose, che lo trafissero con la
prepotenza e la violenza di una lama.
Odio.
Non seppe il
motivo, non seppe il perché, ma ne fu certo praticamente
all’istante: la ninfa, quella bella
ninfa sconosciuta, lo odiava.
Rimase a
guardarla, sorpreso, allibito… ferito da qual fendente che aveva
trapassato senza motivo apparente il suo petto, spezzando il suo
respiro e rendendo, per un istante, silenzioso il suo cuore.
-Peter, lei è
Shaylee. Fa parte della mia scorta personale e conosce ogni… ah,
ogni più singolare creatura di Narnia.- la voce di Mairead si velò
per un istante di una lievissima malizia, scoccando un’occhiata a
Shaylee. La vide chinare appena il capo senza, però, allontanare
quegli occhi densi d’odio dalle iridi azzurre e colpevoli di Peter.
-Sarà la tua guida.-
Un sorriso
enigmatico si disegnò sulle labbra della Sovrana, quando si accorse
di quella lotta di sguardi.
Oh, sì.
Sarebbe presto cambiato tutto.
-Ti sono
riconoscente, Mairead. E a te, Shaylee.- sentì mormorare Peter, e
distinse la testa bionda chinarsi, in un muto gesto di
ringraziamento.
Fu tagliente, e
per nulla sorprendente, la risposta secca di Shaylee: -Dovere.-
. .
. .
Le creature di
Narnia avrebbero lasciato il loro rifugio: Mairead aveva assicurato a
Peter che presto si sarebbero congiunti ai loro fratelli rimasti
nelle foreste, che sarebbero tornati alla loro terra per combattere,
per riprendersela.
Il suo esercito
sarebbe tornato ad essere glorioso come una volta… le creature
magiche avrebbero avuto ragione di Miraz, dei suoi uomini. Avrebbe
schiacciato Telmar, e riportato Narnia al suo splendore – avrebbe
dovuto pensare tutto questo, Peter. Avrebbe dovuto pianificare,
congetturare, elaborare ogni dettaglio delle future battaglie, di ciò
che poteva succedere. Mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno
di Edmund: era lui lo stratega fra i quattro, era lui il giocatore di
scacchi.
Avrebbe dovuto
concentrarsi sul suo popolo mentre, a cavallo, seguito da una quanto
mai silenziosa figura elegantemente in groppa ad un pony non sellato,
ripercorreva a ritroso la strada alberata che lo aveva condotto alla
reggia di Mairead.
Avrebbe dovuto, ma
non vi riusciva.
I suoi pensieri,
l’angoscia che penetrava come una lama il suo cuore, continuavano a
rivedere lo sguardo carico d’odio che gli aveva rivolto Shaylee.
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My Space:
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CAPITOLO AGGIORNATO IL 02/03/2015
. .
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
-Smettila di
fissarlo.- Siria distolse bruscamente la propria attenzione dalla
figura addormentata di Caspian quando quel sibilo irato attraversò
il buio della notte e la colpì con la forza di uno schiaffo.
Si voltò,
sorpresa e a disagio, quando gli occhi grigio-azzurri di Aaron
lampeggiarono rabbiosamente verso di lei.
-Non lo sto
fissando.- rispose, sussurrando, per non svegliare Caleb e Tara –
Tallie, lo sapeva, dormiva sempre con un occhio soltanto: la
mezz’elfa stava sicuramente ascoltando il dialogo appena iniziato
fra lei e suo fratello, ne era certa.
Il rosso storse la
bocca in un inequivocabile segno di disprezzo.
-Lui ti fissa, e
va bene, lo stai ammaliando, posso capi__- cominciò, ma
l’espressione sorpresa e irritata della sorella lo interruppe.
-Io non
lo sto ammaliando. Sta facendo tutto da solo.- replicò, piccata,
assottigliando gli occhi grandi e blu in un inequivocabile sguardo
indignato.
-Davvero?- Aaron
sembrava sorpreso – fin
troppo,
notò Siria, con un moto ben più violento di rabbia negli occhi e
nella mente.
La incuriosiva
il modo in cui la guardava il principino.
Non era lo sguardo
degli uomini di paese, quell’occhiata famelica e porcina che dedica
un affamato a un pezzo di carne, né quelli istupiditi dalla malia
che esercitava per ottenere ciò che voleva da quei pecoroni schiavi
delle pulsioni carnali:
Caspian la guardava come se volesse studiarla, capirla, e lei voleva
assolutamente comprendere perché
quel ragazzetto si stesse intestardendo a voler risolvere l'enigma
che, evidentemente, lei doveva essere per lui.
Talia, da figlia
dei boschi e sorella delle creature che li abitavano, aveva ottenuto
alcune informazioni che non avevano fatto altro che aumentare la
confusione di Siria: Caspian aveva riorganizzato i narniani, li aveva
spronati a uscire di nuovo allo scoperto e a prepararsi per
combattere le truppe di Miraz, aveva persino
ottenuto
la fedeltà dei centauri.
Era rimasta affascinata da quella notizia, da quell’impresa quasi
impossibile che era riuscito a compiere il ragazzo dopo milletrecento
anni di fughe continue, di nascondigli, di paura: convincerli a
combattere per se stessi, per la giustizia, per la libertà…
-Sì, davvero.
Magari, per una volta, attiro qualcuno senza diavolerie.- sbottò,
più duramente di quanto in realtà avrebbe voluto essere nei
confronti di suo fratello.
Aaron sospirò,
rovesciando per un istante gli occhi al cielo.
-Ehi, sorellina,
calmati. Non intendevo offenderti.- sbottò, attizzando il fuoco in
procinto di spegnersi con un lungo bastone nodoso e rivolgendo
un’occhiata appena divertita alla sorella – ma quella scintilla
di allegria scomparve quasi immediatamente quando distinse il volto
chiaro di lei ancora corrucciato, pensieroso, lontano.
-Potremmo
lasciarlo tornare indietro.- mormorò infatti la giovane dopo un
istante, senza riuscire ad alzare gli occhi su Aaron. Lo sentì
sospirare, paziente.
-Non dire
sciocchezze. Avrebbe portato i narniani solo allo sterminio.- le fece
notare con una tranquillità solo apparente: Siria non aveva mai
avuto cedimenti, ripensamenti, ripicche... nonostante il tono calmo
della voce, quell'improvviso ripensamento lo preoccupava non poco.
-Magari invece li
avrebbe portati alla vittoria. Miraz è un bastardo, mira soltanto al
trono… lui vuole riportare la pace, e noi lo stiamo portando alla
morte.- replicò lei col viso nascosto fra le braccia, gli occhi blu
fissi sulle fiamme – quelle fiamme che non riuscivano a scaldarla,
che non riuscivano a raggiungerla, vacue e fredde come il ghiaccio
che pareva attanagliare il suo cuore immobile. -Non è giusto.-
Non è giusto.
Con un gesto
frustrato scosse la testa, affondando il viso fra le ginocchia: non
riusciva ad accettare tutte le ingiustizie che i telmarini avevano
perpetrato contro Narnia… ma non riusciva nemmeno a capire perché
improvvisamente le interessasse tanto la causa del principe.
Non erano
affari suoi.
Non si era mai
interessata a tutto ciò che non fossero i suoi interessi, i suoi
compagni. Il mondo intorno a loro era gretto, meschino e corrotto, e
nessuno meglio di Siria ne era conscio… e allora perché, adesso,
la semplice consapevolezza che qualcuno aveva deciso di lottare per
Narnia la turbava in quel modo?
È un illuso.È
soltanto un illuso.Narnia
non può più essere salvata…
Aaron parve dar
voce ai suoi dilemmi, alla sua stessa sorpresa. -Sir, da quando ti
fai questi problemi? Giusto, sbagliato, hai sempre sostenuto
fossero__-
La rossa alzò gli
occhi sul fratello, zittendolo all’istante con uno sguardo triste,
abbattuto… sconfitto.
Sconfitto
quanto Narnia.
-__soltanto
parole. Lo so.- terminò per lui, mesta, un lieve sorriso sardonico
che si dipingeva sulle sue labbra rosse. -Ma continua a non essere
giusto.- aggiunse, dopo un attimo, con sarcasmo.
Si accorse del
movimento, del gesto repentino del fratello, ma non volle fermarlo.
Ritrovò gli occhi di Aaron, freddi, diversi dai suoi, a poco più di
una spanna dal proprio volto; l’aveva presa per le spalle
costringendola bruscamente a guardarlo, a vedere l’espressione
preoccupata ed allarmata che aveva preso il posto
dell’imperturbabilità caratteristica del suo fratellastro.
-Quello che è
successo a tua madre è giusto? Quello che fa la feccia che
catturiamo di solito è giusto?-
sbottò il rosso, sentendo il corpo della ragazza fremere sotto le
mani, vedendo i suoi occhi oscurarsi di botto quando nominò sua
madre, quella
madre che i due non condividevano, ma che li aveva cresciuti entrambi
come figli propri.
Lasciò andare la
sorellastra, guardandola chiudersi di nuovo in se stessa con le
ginocchia strette al petto e il viso contratto, pensieroso, distante.
-Narnia è un
posto crudele. Non c’è spazio per la pietà.- le ricordò, più
duro di quanto non volesse in realtà essere.
Doveva
assolutamente proteggerla; anche – soprattutto
– da se stessa.
Siria era già
stata ferita così tante volte da quel mondo crudele in cui non
sembrava trovare il suo posto… non avrebbe lasciato che qualche
bizzarro rimorso la portasse a soffrire ancor di più.
Non per quello
stupido principe.
-È soltanto uno
dei tanti.- si limitò ad aggiungere, con una nota definitiva in
quell’ultima frase.
Non è vero.
Siria si strinse
di più su se stessa, serrando gli occhi umidi, lanciando un’occhiata
angosciata al ragazzo legato poco lontano da lei, abbandonato in un
sonno inquieto.
Lui non è
feccia… lui non è come me.
§
-Ragazzi… lei è
Shaylee. Shaylee, loro… beh, immagino tu ci conosca tutti.- Peter
sorrise debolmente, indicando con un gesto morbido della mano i suoi
fratelli – sorriso che svanì quasi all’istante davanti
all’espressione fredda della naiade.
-Sì,
esattamente.- rispose lei, rigidamente, con un mezzo inchino. -È un
onore incontrarvi di persona.- mormorò, a testa bassa, cercando di
non mostrare l’odio e la rabbia che provava verso gli antichi
regnanti.
-Il piacere è
nostro.- inaspettatamente, Susan e Lucy fecero una lieve riverenza,
sorprendendo non poco la ninfa: i regnanti, solitamente, non
ricambiavano così accuratamente… o forse lei non vi era più
abituata.
Alzò lo sguardo,
altezzosa, scrutando tutti loro con diffidenza decisamente mal
celata; Edmund, però, si accostò a lei, prendendole galantemente la
mano per portarsela alle labbra, sfiorandone appena il dorso.
-Grazie per
l’aiuto.- sussurrò con gentilezza il moro, sorridendole.
La ragazza
ritrasse la mano, incredula, guardandosi intorno come per scrutare il
paesaggio circostante, cercando di nascondere l'imbarazzo che sentiva
minacciarla di arrossarle il volto.
-Sei… diversa da
come ricordavo le ninfe.-
Shaylee si voltò
repentinamente verso la voce che, esitante, le si era rivolta: a
parlare era stata la ragazzina, la più giovane, la Regina Lucy.
-Siamo state
costrette a cambiare. Narnia si è fatta più selvaggia, più aspra…
non saremmo sopravvissute, altrimenti.- spiegò Shaylee,
sospirando, cercando di non soffermarsi sulla figura della piccola
Regina. Non voleva ricominciare a soffrire, non
voleva scorgere
il dolore che lei stessa aveva vissuto per quel cambiamento violento
riflesso in quel volto giovane, troppo
giovane.
-Non è più
Narnia…- mormorò, con voce spezzata, la piccola Pevensie.
-Regina Lucy…-
-Per favore,
soltanto “Lucy”. Sono solo una bambina.- la interruppe lei,
stirando le labbra in un sorriso cordiale, con un’ombra di giocosa
malizia sul visino delicato.
-Va bene… Lucy.-
la naiade s’inginocchiò dinanzi alla ragazzina, osservandola prima
di appoggiare una mano sulla sua spalla esile. -Narnia si è chiusa
in se stessa tanto tempo fa. Quasi tutti i suoi abitanti sono stati
costretti a farlo.- raccontò e, nel suo sguardo malinconico, Lucy
poté scorgere tutti gli anni passati, tutte le battaglie, le perdite
avvenute, il dolore inciso a fuoco nella sua anima – nell'anima di
ogni abitante di Narnia.
-Anche tu?-
domandò la ragazzina, incuriosita da quella sofferenza antica che
poteva scorgere nello sguardo diffidente della naiade; tuttavia
Shaylee si limitò ad annuire rigidamente, prima di rialzarsi.
-Quanti anni hai,
Shaylee?- chiese Susan, scrutandola con quell'alterigia che, nel
corso dei secoli, era stata cantata infinite volte dalle ballate dei
fauni.
-Ero bambina
quando Aslan v’incoronò Re e Regine.- rispose seccamente la ninfa,
sfuggendo all'indagine silenziosa ed implacabile della Regina più
grande. Lucy, sorpresa, le rivolse un’occhiata incredula e,
malgrado tutto, quell’espressione strappò un sincero sorriso alla
ninfa.
-Viviamo molto più
a lungo degli umani, Lucy, lo sai.- le ricordò.
-Eppure non sembri
più grande di mia sorella. Voglio diventare una ninfa.-
Shay sorrise
ancora di più notando che, malgrado tutto, ciò che si era narrato
di Lucy Pevensie era vero: nessuno, in nessun caso, sarebbe mai stato
in grado di impedire a quella piccola regnante di conquistare la
fiducia e la simpatia del suo prossimo.
-A volte una vita
troppo lunga diventa noiosa, sai?- le disse, alzando gli occhi verso
il cielo coperto dalla fitta chioma degli alberi.
-Come vivere due
volte la stessa.-
Un brivido gelido
trafisse il petto di Peter quando la naiade si voltò di scatto verso
di lui, sorpresa e infastidita dal suo intervento. Si pentì
all’istante di essersi intromesso in quella discussione, di aver
osato spezzare quel fragile cameratismo appena sbocciato fra la ninfa
e la sua sorellina.
Prese un lungo
respiro, cercando di non dare a vedere quanto quello sguardo, quelle
iridi dorate ricolme di puro odio, lo turbassero.
-La… direzione è
quella giusta?- le chiese, a disagio.
-Sì. Sono andati
a nord, verso il castello di Telmar.- fu la gelida risposta della
ragazza, indicando tracce invisibili che soltanto lei – cheavvertiva
la magia, avvertiva ciò che altri non avrebbero mai compreso –
poteva aver notato.
Peter si volse
verso il ramo dove Martin, il fedele martin pescatore amico di
Tartufello, aspettava diligentemente i suoi ordini.
-Fai radunare le
truppe ad est della Cittadella di Miraz.- gli ordinò soltanto,
seccamente. Avvertì pizzicare sulla nuca lo sguardo gelido della
naiade, quando l’uccellino sfrecciò via, obbedendo fedelmente a
ciò che gli era stato imposto.
-Dobbiamo essere
pronti… se non riuscissimo a prendere i mercenari prima che
arrivino da Miraz dovremo fare irruzione.- le spiegò, senza riuscire
a voltarsi, a fronteggiarla.
-Pensavo di essere
stata scelta per essere una guida.-
Non lo sorprese
proprio del tutto la sua risposta caustica, talmente fredda da
riuscire a congelare persino l’aria intorno a loro.
Lo superò di
scatto, camminando con passo spedito, svelto, la pratica veste da
viaggio che frusciava nsul sottobosco.
Peter scambiò
un’occhiata perplessa con Edmund, allibito tanto quanto lui, quando
la sentirono mormorare solamente due parole:
-Ci riusciremo.-
§
Il fuoco era
spento, le braci cupe ardevano ancora di un misterioso rossastro nel
buio fitto della notte.
Aaron giaceva
tranquillo poco distante da Caleb e sua sorella ed anche Talia,
finalmente, pareva essersi assopita completamente. Il respiro pesante
e tranquillo del biondo risuonava nell’aria fredda, dando un ritmo
cadenzato, regolare, sonnacchioso all’atmosfera altrimenti gelida
di quel luogo.
Siria sospirò di
sollievo, allungando le flessuose gambe sul terriccio appena erboso,
stiracchiando le braccia rimaste troppo a lungo conserte sul petto.
Lanciò
un’occhiata guardinga alla foresta intorno a loro ma la trovò
calma e cheta, profondamente addormentata; nessuno sguardo pareva
turbare il sonno dei suoi compagni… il suo, invece, era troppo
impegnato.
Per l’ennesima
volta portò gli occhi in basso, alla sua sinistra, avvertendo un
fremito dalle parti della spina dorsale quando incontrò i lineamenti
contratti di Caspian.
Il ragazzo
dormiva, ma non era un sonno tranquillo quello che, dispettoso, era
calato sui suoi occhi neri: le labbra erano serrate, le iridi
parevano sfrecciare terrorizzate sotto le palpebre chiare e lui
mugolava appena, sfregando i polsi fra loro: le spesse corde che lo
imprigionavano probabilmente gli davano fastidio… si voltò di
scatto, sul fianco, i capelli riccioluti che ricadevano sul suo volto
angosciato.
Una fitta di
tenerezza attraversò repentinamente il cuore di Siria, a quella
vista: quel ragazzo ne aveva passate già così tante…
Perché mi sto
preoccupando per te, principino?
Se fosse stato per
lei, se non ci fossero state conseguenze, lo avrebbe lasciato
scappare. Già quando Aaron aveva accettato il lavoro si era
dimostrata scettica, irritata dal dover obbedire a un tiranno del
calibro di Miraz; loro non catturavano altro che ladri, truffatori,
feccia insomma, ma Caspian… Caspian era diverso.
Se non fossero
stati con l’acqua alla gola, se suo padre non avesse rischiato
tutti i giorni di morire per stenti…
Sospirò,
spostando le iridi blu sulle braci ormai spente.
Avrebbe voluto
fare la cosa giusta, ma farla avrebbe significato mettere in pericolo
tutti quanti… Miraz li avrebbe condannati e Aaron, Caleb, Tara…
Talia – a
cui doveva tutto
– sarebbero stati braccati, costretti a fuggire il più lontano
possibile.
E tutto a causa
della sua coscienza, una coscienza tormentata che non riusciva a
zittire in nessun modo.
Chiuse gli occhi
per un istante. Quanto avrebbe desiderato dormire…
Caspian si mosse
ancora, sfregando nuovamente i polsi, frustrato anche nel sonno da
quelle corde troppo strette; le si strinse il cuore, di nuovo, a
quella vista, perché quel ragazzo davvero non meritava di essere
trattato in quel modo… nessuno lo avrebbe mai meritato.
E cedette.
Esitando appena
allungò una mano, sfiorando con delicatezza i capelli scuri del
principe. Erano incredibilmente soffici… scivolavano fra le sue
dita come seta corvina.
Con gentilezza,
temendo in cuor suo di svegliarlo, scostò quei morbidi riccioli dal
volto del ragazzo, accarezzandogli poi i capelli, la fronte, la
guancia liscia. Lo vide rilassarsi appena, le labbra socchiudersi…
ne percorse il profilo con la punta dell’indice, rabbrividendo
violentemente, dicendosi che no, non poteva farlo, doveva
allontanarsi subito da lui prima che…
Eppure… era così
dolce quel volto di giovane.
Un lieve sorriso
si disegnò sulle guance di Siria, quando lo vide più tranquillo
sotto le sue attenzioni – non
era mai, mai stata così tenera, con nessuno
–, sicuramente molto più calmo.
Dormi sereno,
principe Caspian.
Veglierò io su
di te, questa notte.
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My Space:
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CAPITOLO AGGIORNATO IL 03/03/2015
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Nota dell'Autrice:
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
Gli
ultimi giorni erano passati placidamente fra le marce sostenute imposte
da
Aaron e brevi pause raramente notturne, perché si muovevano
solamente quando il
favore delle tenebre avrebbe permesso loro un maggior anonimato. Il
gelo
dell’autunno inoltrato infastidiva Caleb e rendeva Tara
più taciturna del
solito, mentre Aaron non dava segni di avvertire la temperatura
scendere ad
ogni calar del Sole e Talia, probabilmente in favore della sua natura
elfica,
non accusava alcun fastidio.
Siria,
tuttavia, che temeva il gelo che aveva dentro di sé
più d’ogni altra cosa,
negli ultimi giorni non aveva fatto altro che incupirsi e chiudersi
ancor di
più in se stessa. Gli occhi ed il corpo avevano continuato,
ligi al dovere, a
controllare dall’alto ogni possibile pericolo per i suoi
compagni; ma la sua
mente vagava, ideava, progettava… e il centro di tutti quei
pensieri era il bel
principe dagli occhi neri che, testardo come pochi, aveva perseverato
nello
studiarla e nell'osservarla con un'insistenza quasi maleducata.
Aaron
aveva perseverato nel tentare di sciogliere quel legame bizzarro e non
voluto
che era venuto a crearsi fra il prigioniero e sua sorella, ma Siria gli
aveva
impedito di maltrattare Caspian più del dovuto –
voleva cavarsela da sola,
capire da sola che cosa Caspian volesse da lei.
Lo
aveva osservato a lungo, in quei giorni.
Non
si lamentava delle corde, del bavaglio, nonostante entrambi avessero
ormai
scavato solchi sicuramente dolorosi nella sua pelle; non parlava, non
tentava
di ribellarsi – nonostante i suoi sforzi, il trattamento di
Aaron aveva sortito
i suoi effetti, scoraggiando qualunque velleità di fuga.
Per
un istante, una fitta ormai ben conosciuta attraversò il
petto della rossa.
Era
soltanto un ragazzo…
La
forza e l’idealismo in quegli occhi – non poteva
negarlo – l’avevano colpita.
Caspian
non pareva intenzionato ad arrendersi: aveva in volto lo sguardo di chi
avrebbe
lottato fino all’ultimo pur di non cedere allo sconforto e
alla sconfitta, e
nei gesti un’inquieta remissività preludio di
tempeste e ribellioni.
Lui
era tutto ciò che lei non aveva mai
avuto occasione di essere.
-Con
un paio di moine il ragazzo farebbe tutto quello che vuoi, lo sai?-
Siria
ridacchiò, divertita, seduta accanto all'amica meticcia
mentre Caleb e Tara
dormivano ed Aaron si era allontanato per perlustrare la zona in cui si
erano
accampati. Le piaceva la schiettezza irriverente di Talia: era uno dei
motivi
per cui si era affezionata tanto a lei, la sorella che non aveva mai
avuto,
quando si erano incontrate… più di sette anni
prima.
Il
ricordo, per qualche istante, offuscò la sua vista.
Aveva
avuto tredici anni, all’epoca.
Lei,
Aaron e suo padre, a quel tempo, erano in viaggio: erano fuggiti dal
villaggio
in cui avevano vissuto per tutta l’infanzia dei due ragazzi,
esiliati dalla
loro stessa gente; loro padre, zoppo, non poteva badare a loro, non
poteva
nemmeno garantirgli un pasto al giorno… non era una vita
facile quella di tre
rinnegati.
Una
notte, stanca dei continui rimproveri di Aaron su quanto fosse
bellamente
inutile, aveva preso arco e frecce e si era addentrata nel bosco,
decisissima a
fare la sua parte, a trovare qualcosa da mangiare, intestardendosi
sull’idea di
dimostrare quanto non fosse inutile.
Era
stato allora… là, niente più di una
bambina ingenua, si era perduta. E non
inconsapevolmente.
Il
bosco non le era mai parso tanto terrificante: le ombre degli alberi
erano
divenute minacciose e sembravano allungarsi verso di lei, pronte a
ghermirla
come quei mostri di cui tanto parlavano i più vecchi del
villaggio quando
narravano di creature dall’aspetto terribile pronte a
mangiarsi i bambini
ignari… lei aveva sempre ribattuto che dormiva con un occhio
solo e una mano
sulla sua spada, spavalda – ma
quelle
storie la terrorizzavano ancor ora.
Era
caduta a terra, le mani e le ginocchia che si scorticavano sulle radici
che
emergevano dal terreno, senza il minimo desiderio di rialzarsi.
Sentiva
ancora il sapore del sangue, l’odore metallico nelle narici,
la testa che
girava… non aveva mai dimenticato quelle sensazioni. Erano
ancora il suo incubo
peggiore.
Era
stata Talia a trovarla.
Nonostante
ora sembrassero coetanee, Talia era molto più vecchia di
Siria: essendo elfa,
anche se solo per metà, invecchiava molto, molto
più lentamente rispetto agli
esseri umani.
Talia
l’aveva trovata e l’aveva portata via con
sé.
_
-Chi
sei?-
-La
domanda più impellente, ragazzina, è chi sei tu.-
_
Talia
conosceva la risposta a quella domanda spinosa, e non ne aveva fatto
mistero
alla ragazzina che si era ritrovata fra capo e collo.
Siria
non era telmarina: era un ibrido, come la mezz’elfa, ma al
contrario di Talia
poteva facilmente passare per un’umana. Sua madre era stata
uccisa, bruciata
sul rogo dalla popolazione di quel villaggio che avevano abbandonato,
proprio
perché non del tutto umana…
Siria
fremette, serrando il pugno con tanta forza da sentire le unghie ferire
il
palmo della mano.
Sua
madre…
I
suoi occhi, freddi, si fissarono con astio su Caspian, mezzo
addormentato.
Erano
stati i telmarini ad uccidere sua madre sotto i suoi occhi
– sotto gli
occhi di quella bambina che piangeva disperata, mentre suo fratello la
tratteneva dal correre in suo aiuto, mentre le fiamme divampavano alte
nella
piazza del villaggio e le grida della donna riempivano
l’aria…
_
-MAMMA!
NO! MAMMA!-
_
La
rossa scosse la testa, allontanando bruscamente quei ricordi;
tornò a
concentrarsi su Talia e su ciò che si erano dette quel
mattino, dopo essersi
risvegliata lontano dalla foresta in cui si era perduta.
La
sua prima reazione, davanti ad una creatura così palesemente
magica, era stata
di repulsione: Siria sapeva che molti narniani vivevano ancora ma
quelle
creature, quei mostri, avevano, con la loro sola
esistenza, causato la
morte di sua madre.
Le
era servito tanto tempo per cominciare a guardare al di là
dell’odio: tempo,
ma, soprattutto, l’amicizia di Talia. Era rimasta con lei a
lungo, imparando su
Narnia molto più di quanto avesse mai potuto apprendere dai
libri.
La
bruna, per farle comprendere di non essere una creatura malvagia, le
aveva
raccontato la sua storia.
Essendo
mezz’elfa, figlia di un’umana e un elfo di sangue,
Talia era stata condannata a
morte fin dalla sua nascita; da quel che aveva scoperto, il padre
l’aveva
portata via poco prima che la sentenza degli umani la uccidesse,
salvandola…
l’aveva portata dagli altri elfi, dove Tallie era cresciuta e
aveva imparato a
combattere.
Ma
lei, esattamente come Siria, non era mai stata accettata per
ciò che era.
La
sua natura di mezzosangue, d’ibrido, l’aveva sempre
allontanata da tutti quelli
che aveva intorno: i telmarini non erano mai stati molto democratici,
specialmente con delle creature come lei, ma nemmeno gli elfi, famosi
di solito
per la loro tolleranza, avevano mai accettato davvero quella ragazzina
troppo
bassa, troppo scura di pelle… troppo umana
per essere una di loro.
Gli
elfi invecchiavano molto più lentamente degli umani: Talia
aveva passato quasi
ottocento anni in quel luogo per lei infernale, troppo giovane per
badare a se
stessa ma troppo diversa per essere accettata. Quando il suo aspetto e
la sua
mente erano stati maturi, e la sua pazienza ormai finita, aveva
raccolto armi e
bagagli e se n’era semplicemente andata.
Talia
era una persona schietta, ironica: il mondo le andava stretto, e
preferiva
vivere all’insegna dell’avventura e del rischio
piuttosto che fermarsi in un
posto dove, comunque, non sarebbe stata ben accolta.
A
Siria, tredicenne purtroppo già adulta, era piaciuta subito.
La
mezz’elfa l’aveva accudita, si era presa cura di
lei e del ginocchio che si era
rotta vagando nella foresta e, quando aveva ripreso a camminare e a
correre,
aveva deciso di insegnarle a combattere.
_
-Tieni.-
-Grazie,
ma_-
-Non
hai capito. Adesso difenditi.-
_
Siria
si era da subito dimostrata dotata di un’affinità
quasi istantanea con le armi,
che sopperiva alla sua palese inesperienza; Talia era rimasta stupita
dalla
forza e dalla rabbia che metteva in quei colpi, dalla luce assassina
che si
accendeva nei suoi occhi durante un duello, dalla velocità e
dalla spietatezza
di quella lama saettante.
Stupita
e preoccupata.
La
mezz’elfa sapeva bene cosa era
esattamente quella ragazzina – una
creatura unica quanto lei ma, purtroppo per Siria, ben più
pericolosa: se
quella ragazzetta avesse continuato a vivere in mezzo ai telmarini, a
quella
gente che detestava e denigrava creature come loro,
quell’odio e quella rabbia
sarebbero degenerati… e Talia non poteva, non poteva
permetterlo: la sua nuova amica,
che in tre settimane aveva imparato a maneggiare una spada con
l’abilità di un
soldato di fanteria, avrebbe potuto essere la causa di un disastro.
Per
questo si era presa l’onere di insegnarle a combattere, di
farle apprendere ciò
che significavano l’onore e il rispetto per
l’avversario, di raccontarle la
storia di Narnia come soltanto il popolo magico poteva narrarla
– di insegnarle
capire, da sola, cosa era giusto e cosa sbagliato.
Doveva
tanto a Talia.
Se
non fosse stato per lei probabilmente il suo cuore sarebbe stato gonfio
di
odio, di sete di vendetta… e invece, dopo due mesi di
convivenza, Talia le
aveva suggerito l’unico impiego possibile per quelle sue
capacità: suo padre
aveva bisogno di denaro, suo fratello non riusciva a badare nemmeno a
se stesso
nel piccolo paesino dov’erano approdati, e l’unica
cosa che Siria avrebbe
potuto fare era cominciare a cacciare.
Ladri,
assassini, traditori: le prede di un cacciatore di taglie, di un
mercenario,
abbondavano fra la gente di Telmar.
Siria
aveva deciso subito: una volta ritrovato il fratello e dopo averlo
convinto a
seguirla si era messa alla ricerca di una squadra, di gente abbastanza
spietata
e singolare da poterla aiutare in quei compiti dalla morale alquanto
discutibile.
Aveva
cercato, ed aveva trovato Caleb.
Lo
avevano conosciuto in una locanda ai limiti delle terre di Narnia: era
rimasto
coinvolto in una rissa, solo contro sei uomini ubriachi ma nerboruti, e
ne era
uscito vincitore senza riportare altro che qualche livido e un graffio
sulla
guancia.
Il
modo in cui si batteva, sfruttando la forza bruta e
l’insospettabile agilità di
cui aveva dato prova, aveva subito convinto Siria.
Caleb
era rimasto orfano tanti anni prima: aveva cresciuto sua sorella, la
quattordicenne Tara, fin dalla più tenera età.
Come Siria, Talia e Aaron aveva
sempre vissuto ai margini, mal visto per la sua giovane età
e per la sua
inclinazione alle scazzottate, sebbene fosse uno dei ragazzi
più dolci e
sinceri che avessero mai conosciuto.
Caleb
era stato entusiasta di poterli seguire e guadagnare qualche soldo in
più;
l’unica pretesa che aveva avanzato, e che Siria non gli aveva
negato, era stata
quella di portare con sé sua sorella.
E
Talia… Talia era stata a dir poco entusiasta del suo arrivo.
Siria
non ne aveva mai nemmeno accennato, in quegli anni passati in mezzo a
quell'eterogeneo e bizzarro gruppetto di mercenari, ma già
da tempo la
convinzione che la mezz’elfa e Caleb si ronzassero intorno
più o meno dal
momento stesso in cui si erano incontrati aveva preteso spazio nella
sua mente.
Chissà: magari, un giorno, uno dei due si sarebbe finalmente
deciso a
dichiararsi...
-Sir?
Sei sveglia?-
Siria
riaprì di scatto gli occhi, in risposta al suono divertito
della voce
dell’amica.
-Sì…
pensavo.- mormorò, stirando le braccia e lanciando
un’occhiata alla radura dove
si erano accampati: Caleb dormiva profondamente, avvertiva il suo
respiro
profondo e pesante; accanto a lui, Tara, i lunghi capelli biondi sparsi
sul
mantello che usava come cuscino; Aaron, invece, era in perlustrazione
nella
foresta.
-È
un evento.- la rossa replicò al commento
dell’amica con una smorfia, ma Talia
si limitò a ridere. -Cos'ha che ti disturba tanto, questo
principe? È il titolo
nobiliare che ti lascia perplessa?- continuò a punzecchiarla
bonariamente.
-Penso
di essere una delle poche donne in questo mondo disgraziato a non
vedere di
buon occhio l'idea di avere sangue blu nelle vene.- borbottò
l’altra, cupa,
lanciando un’occhiataccia al buio che celava il punto in cui
avevano legato
Caspian. -Non riesco a capirlo, Tallie. Parte di me è
convinta che sia solo un
povero pazzo, ma...- cominciò, ma la sua voce
scemò in un indefinibile mugugno
che nemmeno l’udito della mezz’elfa
riuscì a comprendere.
-Beh,
chiediglielo.-
Rise,
Talia, quando Siria le scoccò uno sguardo palesemente
scettico.
-Ehi,
domandare è lecito, rispondere è cortesia.- si
difese da quelle accuse
silenziose, ammiccando. -E poi non credo che ti negherebbe nulla, se tu
lo
guardassi sbattendo le tue lunghe ciglia rosse...-
-Ma
piantala!- sbottò Siria, arrossendo furiosamente, e Talia
rise più forte quando
le lentiggini cosparse sul suo viso sembrarono quasi lampeggiare. -Non
sto più
usando nessun trucco, su di lui. Non mi interessa.-
brontolò, a disagio,
alzandosi in piedi e voltando le spalle all’amica per
dirigersi verso il folto
della foresta.
-Lo
so. È proprio questo il lato divertente di questa
situazione.-
La
risposta di Talia, però, la raggiunse comunque, strappandole
un versaccio
esasperato che, sicuramente, l’altra non mancò di
cogliere.
_
_
-Ehi,
principino.-
Caspian
si lasciò strappare violentemente dal dormiveglia in cui era
scivolato da
quella voce brusca, che aveva la stessa tonalità dei suoni
di quella stessa
foresta in cui gli sembrava di essersi perduto ormai da una vita intera.
La
riconobbe all’istante: Siria.
Un
suono attutito, una lama che sfregava su un tronco, e Caspian
sentì le
ginocchia cedere, improvvisamente prive dello scomodo sostegno della
corda che
lo aveva trattenuto contro l’albero. Crollò a
terra, in ginocchio, con le gambe
intorpidite ed i polsi ancora legati dietro la schiena.
Fu
lei, Siria, a sorreggerlo.
Sorpreso,
il principe telmarino alzò lo sguardo, distinguendo gli
occhi allungati della
rossa nella penombra di quel bosco illuminato dal chiarore della
bellissima
Luna crescente che aveva permesso loro di marciare a lungo, fino a
poche ore
dall'alba.
Tacque
per un istante, sentendo la bocca inaridirsi e la gola farsi dolente.
Come mai
Siria, quella sedicente mercenaria che lo aveva intrappolato come un
pivello
alle prime armi, ora lo stava liberando? Cosa c’era dietro?
-Cosa
stai facendo?- sussurrò, cercando di ignorare il brivido
caldo che le mani
bollenti di lei, posate con grazia sulle sue spalle, gli provocavano
– non era
sicuro di apprezzare quella sensazione, perché sentirsi a
disagio era qualcosa
che l’orgoglioso principe di Telmar non aveva mai davvero
accettato: eppure,
dovette ammettere con se stesso, non si sentiva davvero pronto a
rinunciare al
tumulto di dilemmi e sensazioni che Siria scatenava nel suo animo.
-Io?-
la rossa sembrò divertita dalla domanda – si
stava prendendo gioco di lui –, aiutandolo intanto
a sedersi. -Sto soltanto
preservando i miei interessi. Se ti avessi lasciato così,
domattina non saresti
stato in grado di camminare.-
-Molto disinteressato da parte tua.-
replicò lui, piccato, scoccandole un’occhiataccia
quando lei ridacchiò e alzò
lo sguardo al cielo – aveva le
lentiggini, su quella pelle bianca, ed il labbro superiore
più carnoso rispetto
a quello inferiore… sembrava molto più
umana, adesso, priva di quell’alone
di perfezione che tanto lo aveva irretito al momento della cattura.
-Oh,
quanto sei scontroso. Ed io che sto provando ad essere gentile.-
-Tu
non sei gentile, sei opportunista.- si ritrovò a commentare,
grato come mai
prima alle interminabili lezioni di dialettica che Cornelius si era
ostinato ad
impartirgli nel corso degli anni.
Si
accomodò contro il tronco, cercando di non mostrare il
proprio sollievo,
allungando le gambe sulla nuda terra del sottobosco e appoggiando la
schiena al
legno palpitante di vita. Almeno con se stesso avrebbe dovuto
ammetterlo: così era
decisamente più comodo.
-E
tu sei un illuso. Ad ognuno i suoi problemi.- replicò,
inaspettatamente, la
ragazza. Alzando lo sguardo, Caspian trovò nei suoi duri
occhi blu – in pochi, a corte,
avevano gli occhi blu
– qualcosa di molto simile al rimprovero.
-Perché
io sarei un illuso?- le domandò, sinceramente incuriosito
dalla piega che stava
prendendo quella conversazione.
-Narnia
non può essere salvata. Nemmeno dal tuo bel faccino.- fu
l’acida risposta che
lei, senza nemmeno un istante di esitazione, gli diede, mentre si
sedeva
accanto a lui e sospirava, apparentemente esausta. -Stai combattendo
una causa
persa.- aggiunse, mesta, aprendo un occhio per scoccargli
un’occhiata di
compatimento.
Forse
fu la sicurezza cinica e disillusa che avvertì nelle sue
parole a smuovere
qualcosa, dentro di lui, che non aveva pensato di possedere fino a poco
tempo
prima: drizzò le spalle e si volse completamente verso di
lei, irritato dalla
cecità inspiegabile di quella persona che viveva proprio
grazie al lerciume di
cui era insozzata Narnia.
-E
chi sei, tu, per dire una cosa del genere con tanta sicurezza?- la
affrontò,
piccato, ma lei si limitò a scuotere la testa e a mormorare
qualcosa d’incomprensibile
fra sé, prima di rispondergli.
-L'esempio
lampante di quanto questa terra sia marcia fino al midollo.-
sussurrò, prima di
allungare una mano per allontanarlo momentaneamente
dall’albero, dandosi così
la possibilità di armeggiare con le corde che lo
ammanettavano.
-Che
cosa stai facendo?- ripeté il principe, allarmato, quando
avvertì la morsa
allentarsi e, dopo un istante, sparire: si portò subito le
mani al petto,
massaggiandosi i polsi lividi e arrossati e fissando, costernato, la
ragazza al
suo fianco.
-Te
l'ho detto. Cerco di essere gentile.- non seppe spiegarsi il motivo ma,
stavolta, Caspian si sentì propenso a crederle: la voce di
Siria si era fatta
molto più amichevole, perdendo tutta la durezza che il
ragazzo le aveva sentito
usare fino a quel momento.
Tacquero
entrambi per una manciata di minuti, mentre Caspian cercava di
individuare la
trappola in quel comportamento anomalo e lei, insolitamente tranquilla,
chiudeva gli occhi, appoggiando la testa al tronco alle sue spalle.
Quella
donna era incomprensibile.
Le
domande e le obiezioni che gli stava ponendo non potevano essere quelle
di un
mercenario qualsiasi: Siria sembrava volerlo convincere ad abbandonare
la causa
di Narnia non tanto per cinismo, quanto più per…
esperienza diretta? Che cosa
significava quella sua affermazione tanto criptica e piena di
sofferenza? Che
razza di mercenario discorreva di politica e di ideali con un
prigioniero,
addirittura liberandolo dai ceppi che avrebbero potuto impedirgli di
fuggire?
-Perché?-
gli domandò, infine, dando voce ad uno dei dubbi che, forse,
la stavano
divorando proprio come stava succedendo a lui.
Il
principe si sfregò il viso, sentendo la barba pungergli il
palmo.
Si
era posto la stessa domanda, molti giorni addietro, quando aveva
parlato davanti
alle creature di Narnia e si era violentemente reso conto di quanto il
suo
animo stesse chiedendo a gran voce di restituire la giustizia ad un
mondo
corrotto: si era risposto più volte, sì, ma
sentirsi porre quella domanda
cruciale – che nessuno aveva avuto l’accortezza o
la gentilezza di fargli – gli
trasmise un sollievo incredibile, come se… come
se lei lo avesse capito.
-Perché
sono convinto che ne valga la pena.- affermò semplicemente,
accennando
addirittura un sorriso e sentendo un peso sollevarsi dal suo petto:
dirlo ad
alta voce, dirlo a lei, rese quella
causa a cui si era votato molto più chiari e luminosi di
quanto non fossero
stati sino a quel momento. -Perché tu ti ostini a pensare il
contrario?-
aggiunse, appoggiando i palmi sul terreno e sollevandosi sulle braccia
per
qualche attimo, sgranchendosi i muscoli.
Siria
non si mosse né aprì gli occhi, assorta in
chissà quali ragionamenti.
-Ho
visto i lati peggiori sia di Narnia che di Telmar.- rispose, atona e
apparentemente tranquilla, ma Caspian scorse i suoi pugni stringersi
nella
penombra.
-Non
esistono soltanto quelli.- obiettò, e lei aprì
gli occhi per sorridergli
debolmente.
-Sei
una strana creatura, principe Caspian.- commentò, allungando
una mano per
dargli un buffetto innocuo sulla guancia.
Il
principe represse un brivido, sorpreso dal contatto fisico: a corte,
nessuna
donna si sarebbe mai permessa di sedere tanto vicina ad un uomo,
né di toccarlo
in quel modo inaspettatamente intimo che, però, non gli
dispiacque.
Tuttavia,
Siria emanava un calore fin troppo piacevole in quella notte fredda, un
calore
che lo attirava irresistibilmente: le loro spalle si toccavano, il
braccio
della rossa era premuto contro al suo fianco… non si era mai
reso conto di
quanto una donna potesse essere destabilizzante semplicemente esistendo – ma non aveva mai
nemmeno
incontrato una donna come lei.
-Ti
pregherei di spostarti.- mormorò sebbene tutto, in lui, si
stesse ribellando
all’idea: Siria era calda e voleva toccare quelle lentiggini,
sentire se il
profilo affilato dei suoi zigomi fosse scolpito nel marmo o nella
carne, se
quei capelli erano davvero così morbidi come
apparivano…
Nella
sua mente le immagini si rincorrevano veloci e si sovrapponevano alla
realtà: i
lunghi capelli rossi che svolazzavano intorno al corpo asciutto della
ragazza
quando saltellava fra i rami, il seno spietatamente schiacciato dal
giustacuore
– quelle stupide lentiggini…
-No,
non credo proprio che lo farò.-
Sembrava
divertirsi parecchio nello stuzzicarlo, come un gattino alle prese con
un
insetto dispettoso e, proprio come un micetto selvatico, sembrava allo
stesso
tempo incuriosita e spaventata da quell'intima vicinanza che nessuno
dei due
aveva davvero visto incombere fra loro.
Le
dita calde e affusolate della giovane si posarono nuovamente sulla
guancia di
Caspian ma, stavolta, lì rimasero, annullando la percezione
che Caspian aveva
del mondo intorno a loro: aveva un tocco insolitamente ruvido,
rovinato, e
Caspian comprese che quelle non erano mani di donna: erano
le mani di un guerriero.
-Non
credo sia una buona idea__- sussurrò, odiando quella bocca
invece tremendamente
morbida che si avvicinò alla sua, quei due grandi occhi blu
che lo fissavano –
ardenti di desiderio, di curiosità, di aspettativa.
-Sì?-
-__che
tu resti così vici__-
-Baciami
e stai zitto.-
-__na
a m_eh!?-
Caspian
ebbe soltanto il tempo di comprendere il significato della sua parola.
Prima
che potesse risponderle, fermarla – obbedirle
–, la rossa aveva già
annullato quel soffio che separava le loro labbra.
L’ondata
di sensazioni, per Siria, fu travolgente.
Non
si era aspettata che la bocca di Caspian le sembrasse tanto attraente:
chissà
quando aveva cominciato a guardarle, quelle labbra… ma
sentirlo parlare di
idealismo, di speranza – di quelle fesserie
– le aveva acceso una strana smania, addosso, che
l’aveva spinta a fare
qualcosa che non avrebbe mai avuto l’ardire di compiere con
chiunque altro.
Fece
per allontanarsi, per spezzare quel contatto seducente che avrebbe
potuto farla
impazzire; ma Caspian alzò le mani e le allargò
intorno al suo viso,
intrecciando la punta delle dita ai suoi capelli e imprigionandola in
una
carezza da cui lei seppe di non avere via di scampo.
Si
aggrappò alla tunica del ragazzo quando lui la trasse a
sé, scoprendosi
bisognosa di toccarlo almeno quanto lui sembrava ansioso di stringerla
– che cosa stava succedendo?
– e
trattenendo il respiro quando lui approfondì il bacio,
accarezzandole una
spalla per poi cingerle la vita per tirarla contro il proprio petto.
Fu
un bacio tenero, inaspettatamente tenero, che li colse entrambi
impreparati:
eppure s’inseguirono come se non avessero aspettato altro
– l’aveva desiderata fin
dal mattino dopo
essersi fatto catturare –, come se abbracciarsi
sotto quel grosso albero
fosse l’unico modo per scacciare ciò che stava
accadendo al mondo – non
c’era nessun mondo, fra le braccia di
Caspian.
Siria
gli infilò le dita nei capelli, scoprendo di saper sorridere
quando li sentì
morbidi, al tatto, e folti, e piacevoli. Si separarono per qualche
istante e si
sorprese nel trovare un sorriso anche sulle labbra di lui, in quegli
occhi neri
che, nonostante il colore scuro, sembravano più luminosi e
vividi della luce
del Sole.
-Permettimi
di obbedire al tuo volere.- le sussurrò e Siria rise, dentro
di sé, sentendo
montare il languore e il palpito del proprio cuore quando si
lasciò travolgere
di nuovo dal bacio di Caspian, dimenticandosi beatamente di tutto il
resto.
-Siria?-
No,
dannazione, adesso NO!
Caspian
e Siria si separarono di scatto, allarmati, tendendo istintivamente
ogni muscolo
del corpo e del viso. Sarebbe stato buffo, per chi li avesse visti in
quel
momento: la loro espressione, su due volti così diversi, era
assolutamente
identica.
-Aaron.-
sibilò Siria, la mente che bruscamente tornava alla
realtà e si accorgeva di
botto della situazione disdicevole, impropria e pericolosa
in cui era andata a cacciarsi: se Aaron l’avesse trovata
lì, in quel momento e in quel modo,
avrebbe ucciso Caspian e avrebbe riempito lei di tanti calci nel sedere
da
farla arrivare fino a Telmar e ritorno.
Volse
lo sguardo verso il principe, rimanendo però interdetta
quando scovò, negli
occhi scuri tipici dei telmarini, un ardore impetuoso e determinato che
sarebbe
bastato, da solo, per farle perdere il senno: Caspian aveva
un’espressione di
fuoco, in volto, l’espressione di chi non aveva la minima
intenzione di
lasciarsi sfuggire… beh, lei.
Per
un folle istante Siria desiderò di restare lì, di
mandare a monte tutto quanto,
di correre il rischio – ma fu proprio Caspian, con uno sforzo
che le parve
titanico, ad allontanarla con delicatezza da sé, alzandosi
in piedi e
porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
Stringere
quella mano, però, fu troppo, per Siria.
Si
aggrappò a quella stretta e seppe che non sarebbe stata in
grado di lasciarlo
andare, che avrebbe fatto qualunque cosa per sottrarlo a Miraz, ad
Aaron e a
chiunque altro: la sicurezza che le trasmisero quelle dita intrecciate
alle sue
fu troppa per rinunciarvi e, per un istante, un ruggito
d’approvazione le
squassò il petto, confondendola ancora di più.
-Siria.-
sussurrò il principe, riscuotendola dal suo torpore,
porgendole le corde che
aveva raccolto.
Si
sarebbe lasciato intrappolare di
nuovo? Ma era completamente pazzo?
Perplessa,
la rossa prese i ceppi fra le mani e lo guardò, incapace di
credere a ciò che
stava accadendo davanti ai suoi occhi anche quando lui le porse gli
avambracci,
senza esitare.
Non
sarebbe fuggito. Si sarebbe davvero
lasciato intrappolare.
Senza
una parola, Siria lo legò di nuovo e assicurò i
ceppi all’albero, ma seppe per certo
di aver fatto dei nodi approssimativi che persino un bambino avrebbe
potuto
sciogliere: Caspian se ne accorse ma non vi badò,
perché niente lo avrebbe
portato lontano da quella ragazza – nemmeno la prospettiva
della morte.
-Vai.-
la avvisò, udendo l’avvicinarsi dei passi di
Aaron. Lei fece per dire qualcosa
ma poi annuì, allungando una mano per sfiorargli una guancia
prima di sparire
nel buio della foresta in un guizzo scarlatto subito inghiottito dal
buio.
Quando
Aaron emerse dal bosco lo trovò proprio come lo aveva
lasciato, scomodamente
legato ad un solido tasso che gli avrebbe impedito di darsi alla fuga.
Il
rosso avanzò circospetto nel piccolo spiazzo fra gli alberi,
guardandosi
intorno, cauto. Aveva lasciato il principe scomodamente legato in
piedi, per
ripicca nei confronti di quegli sguardi che – lo aveva notato
persino quel
tontolone di Caleb – correvano fra lui e sua sorella.
La
sua sorellina troppo adulta non meritava niente di tutto questo: quel
principe
non avrebbe minato la fragile sicurezza a cui Siria stava lavorando da
anni per
tenere insieme i cocci della sua esistenza, né –
tantomeno – li avrebbe messi
in pericolo tutti cercando di affascinare Siria in modo da riottenere
la
libertà.
Scosse
la testa, distogliendo lo sguardo da quello stupido ragazzetto con la
testa
piena d’aria e di idee assurde: doveva
assolutamente tenere quell’illuso lontano da Siria, si
disse, perché
non osasse metterle in testa idee che
le avrebbero portato solamente altra sofferenza.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
.
CAPITOLO
AGGIORNATO IL 23/07/2015
. .
Nota dell'Autrice:
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
1 chap Narnia Non
è una gran giornata, oggi...sono contenta che le recensioni
siano tornate ad aumentare, la cosa mi ha resa felicissima ^__^ oggi
sono solo un pò giù di morale, ma non
preoccupatevi, dovrei tornare alla ribalta a breve ^^'
Capitolo più corto; ho deciso di alternare capitoli brevi a
capitoli lunghi, e nel prossimo - per la gioia di chi ha osservato con
curiosità i loro primi incontri/scontri - torneranno anche
Peter e Shaylee.
A PROPOSITO!
William Moseley torna
a recitare! A ottobre, inizieranno le riprese,
reciterà con Hilary Duff *__________* piccolo dolce Will,
sono immensamente contenta per lui *__________*
*strapazza William* romina,
grazie mille per la risposta, mi sei stata tanto d'aiuto <3 ogni
tanto ho questi crolli, e la nostalgia non è passata,
proprio per niente...però sto cercando di ovviarci ^^
parlando del capitolo, Siria e Caspian a me piacciono molto come
coppia, sono praticamente l'uno l'opposto dell'altra; Siria
è una maschera, la maschera di donna vissuta e passionale,
mentre Caspian è l'apparente principe giovane ed un
pò ingenuo - ciò che, come si vedrà
più avanti, non è. Insomma, conoscendosi si
completano, Siria riscoprirà la parte più umana
di sé mentre lui crescerà (d'altronde, ci vuole
una Donna per far diventare un ragazzo un Uomo, non trovi?) Vesi Schwartz,
ma grazie *-* hai colto appieno gli obiettivi che mi ero prefissata;
dare a Narnia quel tocco di sensualità e realtà
in più. Insomma, va bene tutto, ma non ci credo che quei due
poveretti di Peter e Caspian, in un'età di scleri ormonali e
di pesanti insicurezze, non abbiano almeno qualche volta pensato a
soddisfare i propri istinti maschili, no? E la stessa cosa
può valere per Susan, e più avanti anche per
Edmund. La componente fiabesca di Narnia sto cercando di mantenerla,
perché comunque la mia è una storia fantasy, una
storia che voglio mantenere nei canoni del regno in cui viene
ambientata. Sono contentissima che tu abbia letto le mie storie, ed
ancor più che tu ora voglia commentare *.* grazie per i
complimenti, ma non sento di meritarli, non tutti almeno ^^' KissyKikka,
staaaaaaaaaaai tranquilla, spero che tu ti sia divertita in gita e
respira, io non scappo, la storia è sempre qua che aspetta i
tuoi commenti (fra parentesi, io ADORO le tue recensioni, sono fra
quelle che mi spronano di più a scrivere) ^___^ lucia la misteriosa,
grazie mille per i complimenti, e tranquilla, non sono
persona da lasciare le cose a metà ^^ ho scritto diverse
long, e a costo di sacrifici le ho sempre volute terminare tutte quante
^^ spero di rivederti fra i recensori! MarziaIrish,
ma perseguitami quanto vuoi, a me fa solo che piacere!! Ecco qua il
nuovo capitolo, alterno capitoli lunghi e spesso molto
fisici/psicologici a capitoli in cui prediligo una pausa ad effetto,
una sospensione della trama; è già molto veloce
di per sé, e quindi questi stacchi dalla tensione continua
della situazione in cui si trovano i personaggi sono utili per far
prendere fiato ai lettori ^^ spero che anche questo capitolo,
nonostante l'assenza di colpi di scena - ma con la compresenza di
sonore pippe mentali xD - ti piaccia, fammi sapere!
Bon, io ho finito, vi lascio al capitolo. Come al solito, le recensioni
sono molto, molto bene accette! Fate la gioia degli autori, recensite!!
^___^
Caspian
spalancò di
botto gli occhi, balzando repentinamente in piedi. La prima cosa che
vide, di
fronte a sé, furono due accigliate iridi scure, allungate in
un visetto
spigliato e arrogante.
Talia,
la riconobbe
subito.
-Sveglio.
Sono
sveglio.- borbottò, scuotendo appena la testa, i capelli
ancora arruffati da...
Il
ricordo, improvvisamente,
lo assalì.
Le
mani di
Siria...le sue labbra, i suoi occhi, la sua gola perfetta...era stata
soltanto
un sogno? Un meraviglioso sogno dai capelli rossi?
-Si
può sapere che
hai fatto a mia sorella, principe del cazzo?- sbottò l'elfa,
senza molti
preamboli.
-Io?-
replicò lui,
ancora rintontito, senza ben capire a cosa si stesse riferendo.
Talia
sbuffò, già
spazientita. Era più bassa di Caspian di almeno venti
centimetri, ma sembrava
comunque sovrastarlo, notò lui...non era una persona da far
arrabbiare, la
mezz'elfa. Incuteva davvero tanto, tanto timore.
-Sì,
tu!- esplose,
la voce che si alzava di due ottave nel silenzio ovattato dell'alba.
-Cos'hai
fatto a Siria? Ieri notte era stravolta, e so che era venuta da te!-
Caspian vide il pugno della brunetta fremere, come se volesse stamparlo
definitivamente sulla sua faccia.
-Stravolta?-
chiese, preoccupato suo malgrado.
Siria
era stata
stravolta? Da cosa, esattamente?
Era
stata lei ad
andarlo a cercare, a baciarlo...ma poi, se n'era accorto anche lui, si
era
completamente abbandonata alle sensazioni, lasciando che la toccasse,
che le
sue mani corressero su di lei non proprio gentilmente...
-Sì,
porca miseria,
stravolta! Cosa le hai fatto?- replicò Talia, esasperata.
-Io
non le ho fatto
nulla.- Caspian distolse lo sguardo da lei, pensieroso.
Non
poteva negarsi,
non con sé stesso, di quanto la rossa lo attirasse. Era un
magnete, un
incantesimo irresistibilmente potente, quello che esercitava su di lui;
non
poteva fare a meno di guardarla, di desiderarla...di perdersi in quegli
occhi
di zaffiro e ametista, di un blu denso e malinconico...scorgeva tanto
dolore,
tanta solitudine, in quegli occhi splendidi e misteriosi.
E
voleva scoprire
perché.
Non
desiderava
soltanto quel corpo mozzafiato, no.
Durante
quella
notte, passata praticamente insonne a cercare di calmare i propri
istinti
violentemente divampati a causa di Siria, se n'era lentamente reso
conto: non
voleva soltanto quel corpo, averla per una notte e basta, sfogare la
propria
brama maschile.
No.
Voleva
scoprire
qualcosa su di lei. Voleva scoprire tutto, su di
lei.
Voleva
capire il
perché di quella malinconia, di quella solitudine, voleva
trovare il vero
motivo per cui una così bella ragazza si fosse ritrovata in
una vita tanto
violenta che pareva calzarle così a pennello...
Sospirò,
quando
nella sua mente ripresero vita le stesse parole che in quelle ore
insonni erano
state la sua unica conclusione.
Si
stava
innamorando di lei.
-Balle.-
la
risposta cinica della mezz'elfa lo fece trasalire, strappandolo ai suoi
pensieri. -La stai facendo innamorare di te.-
A
quelle parole,
Caspian sobbalzò, alzando repentinamente gli occhi neri su
quelli altrettanto
scuri di lei.
Siria.
Siria
si stava...
-Che
cosa?- chiese,
incredulo. Ma l'elfa sospirò, alzando gli occhi al cielo,
chiedendosi fra sé
perché, perché sua sorella
fosse andata a scegliersi un principe tanto
coglione.
-Siria
non ha mai
guardato nessuno come fa con te. Non è mai rimasta confusa e
stravolta dopo
qualsiasi cosa abbiate fatto ieri, e non l'ho mai, ripeto mai,
sentita
chiedere ad Aaron di liberare un prigioniero.- sbottò,
irritata.
-Cosa!?-
Tallie gli rivolse un'occhiataccia, spazientita.
-Non
conosci altri
termini? Ha chiesto ad Aaron di liberarti, Caspian! L’ha
scongiurato, lei, lei!
Caspian, Siria col suo orgoglio valicherebbe le montagne, te ne rendi
conto!?-
esclamò, ignorando l'acuto strillo di disappunto di un
animaletto svegliatosi
di soprassalto fra i rami sopra di loro.
-E
perché?-
insistette lui, incredulo.
Siria
aveva
chiesto...aveva chiesto di liberarlo?
-Te
l'ho detto il
perché! Lei non lo sa, non conosce l'amore, ma tu in pochi
giorni sei riuscito
a cambiarla fin nel profondo, la vedo sorridere appena come un'idiota,
la vedo
arrossire, la vedo perdersi nel mondo dei sogni! Porca puttana,
principino, un
po' di cervello!- ormai Talia quasi urlava, la sua già poca
pazienza ormai
finita.
-Io
non...-
cominciò lui, ma la sua voce, quasi subito, si perse.
Siria
si stava
innamorando di lui. Non se ne rendeva conto, a detta di Talia, ma
l'elfa pareva
conoscerla meglio di sé stessa.
E,
con un tempismo
perfetto, anche lui arrivava alla conclusione di provare per lei
qualcosa di
altrettanto potente.
-...io
non so che
cosa tu voglia da me, Talia.- sospirò, riportando gli occhi
in quelli
dell'elfa, la voce bassa e sincera.
L'elfa
parve
sgonfiarsi, quando scorse negli occhioni limpidi e scuri del principe
la stessa
confusione, la stessa cacofonia di sentimenti e di emozioni, che
riusciva a
leggere negli occhi di Siria.
-Voglio
soltanto
che tu non le faccia del male.- mormorò, improvvisamente
cupa, le orecchie che
si afflosciavano fra i capelli scuri.
-Io
non voglio
farle del male.- Caspian rispose subito, prim'ancora di rendersene
conto, le
parole che salivano repentine dal suo cuore.
Era
vero.
Non
poteva, non
avrebbe mai potuto farle del male.
Soltanto
il
pensiero di ferirla era inaccettabile...era assurda, quella situazione.
Non la
conosceva, non sapeva da dove veniva, non sapeva dove andava,
eppure...eppure,
aveva già rubato il suo cuore.
L'elfa
scosse appena
la testa, cominciando a misurare a grandi passi la piccola radura
solitaria
dove si trovavano. Aveva un'espressione concentrata, pensierosa:
sembrava preda
di mille e più pensieri diversi, di mille e più
idee che si accavallavano l'una
sull'altra.
-Aaron
non ti
lascerà andare via. Dei soldi della ricompensa ne abbiamo
tutti bisogno,
specialmente loro...- s'interruppe, sorvolando sul penoso ricordo del
padre dei
fratelli dai capelli rossi, a cui tutti i soldi dei due andavano.
-...Siria non
oserà mettersi contro suo fratello. Sembra molto
più forte di lui, ma in realtà
è Aaron a prendere le decisioni più
importanti...quei due si adorano, si sono
sempre adorati. Ma Aaron non capisce...no, non capisce niente...-
scosse la
testa, prendendola fra le manine sottili, sentendola pulsare per il
peso di
quei troppi pensieri.
-Cosa
non capisce?-
le chiese Caspian, osservandola andare su e giù per la
radura, sempre più
agitata.
-Siria
ha avuto
tanti amanti, Caspian, ma non ha mai incontrato qualcuno capace di
farle in
così poco tempo quello che le stai facendo tu. Vuole
proteggerla, e da una
parte lo capisco: ne ha già passate troppe, e soffrire per
amore sarebbe la
classica goccia a far traboccare il vaso.- le orecchie della mezz'elfa
fremettero, intimidite. -E non si può permettere questo,
Siria...- soltanto
Aslan avrebbe potuto immaginare le devastanti conseguenze del dolore di
Siria,
se la rossa si fosse abbandonata al dolore e all'oscurità.
Non
era, non era
davvero un bel pensiero, pensare a ciò che sarebbe potuto
succedere.
Siria
era ben
conscia della propria pericolosità, del proprio essere
anormale; era stata lei
stessa, quando aveva incontrato Talia, a scongiurarla di trattenerla,
di
evitare che venisse travolta dal male, cancellando ciò che
di buono c'era nel
cuore di quella creatura misteriosa.
E
Talia, Talia si
era offerta di proteggerla, di evitare che il male avesse il
sopravvento su di
lei...in primis, perché già si era affezionata a
quella rossa assurda capace di
entrare troppo facilmente nel cuore di chiunque.
L'elfa
tornò a
guardare il principe, che la fissava, allibito, da almeno quindici
minuti.
-Hai
due
possibilità, moretto.- mormorò infine, le iridi
inchiodate con forza in quelle
di lui. -Uno: la lasci in pace, le stai lontano e la ignori
completamente.-
Caspian fece per ribattere, ma lei alzò la mano, zittendolo.
-Due: per quel
poco tempo che vi rimane, vi lasciate completamente andare, godendovi
almeno
per poco il tempo che avete.-
.
.
-Aaron,
è soltanto
un ragazzo!- sbottò Siria, per l'ennesima volta, passandosi
esasperata le dita
fra i lunghi capelli ramati.
Se
esisteva
qualcosa in grado di farle perdere il controllo, era la cocciutaggine.
Specialmente se proveniva dall'unica persona capace di farle abbassare
la
cresta, specialmente se quella persona era suo fratello.
-Sarà
anche un
ragazzo, ma quei soldi ci servono, Sir.-
replicò Aaron. Pacato, freddo,
controllato: esattamente il contrario di lei. -E poi, non hai pensato
ad una
cosa; se non lo portiamo a Miraz, saremo noi quelli a cui
verrà data la caccia.-
I
pugni della rossa
si serrarono, le unghie affilate che affondavano con violenza nei palmi
diafani
delle sue mani.
Era
vero: se
avessero lasciato andare Caspian, sarebbero stati sicuramente additati
come
traditori, sarebbero stati costretti a fuggire, a nascondersi, braccati
quanto
e più del principino...
-Sir,
vuoi davvero
rischiare così per quel ragazzo?- insistette Aaron,
cogliendo la sua
indecisione. Non poteva permetterle di mettersi nei guai per
quell'idiota; era
già abbastanza in pericolo per conto suo, sua sorella. Non
le serviva proprio
che un principe imbecille la costringesse a darsi alla latitanza, e
tutti loro
con lei...
Stava
accadendo ciò
che aveva temuto di più. Siria si era invaghita dell'idiota,
e adesso la stava
soltanto usando per fuggire.
Questa
me la paghi,
principe Caspian.
-Di
solito
catturiamo dei delinquenti peggiori di noi. Perché hai
accettato questo
incarico, Aaron? È soltanto un ragazzo come me, cosa
avrà poi fatto?- mormorò
lei, gli occhi bassi, la voce ridotta ad un sibilo nervoso.
-Non
m'interessa, e
non deve nemmeno interessare a te.- la rispostaccia di suo fratello fu
una
secchiata d'acqua gelida, per Siria.
Aveva
ragione.
Aaron
aveva
ragione, avrebbe dovuto fregarsene di tutto questo, di Caspian, del suo
destino, del mistero su ciò che aveva spinto Miraz ad
ingaggiarli...eppure, non
ci riusciva.
Non
ci riusciva,
perché lei se lo sentiva. Lo sapeva, non si capacitava di
esserne così certa,
ma Caspian non era un reietto, non aveva fatto nulla di
sbagliato.
Oppure
sei tu,
Siria? Sei tu che non vuoi vedere cos'è, chi è
davvero?
Forse
era
quell'assurdo ascendente che il moretto aveva su di lei, a farla
dubitare, a
far nascere per la prima volta degli scrupoli nel suo cuore.
Forse
è quello che
ti ha fatto provare...forse sei tu che sorvoleresti su qualsiasi cosa,
pur di
appartenergli, vero?
Ma
perché, perché
quella stupida vocina nella sua testa le ricordava tanto Shaylee?!?!?
-Dimenticalo,
Sir.-
la voce di Aaron era bassa, schietta, dannatamente seria, mentre lei si
voltava
per andarsene, irritata. Da lui, dalla situazione, da quella stupida
voce della
verità che le rimbombava nel petto.
Sì, non fate quelle
facce. Sono viva xD Purtroppo questo capitolo è stato
duro da scrivere, e non mi piace, no, proprio per niente -.-
Alchemia: chicaaaaa
<3 questo capitolo non mi piace, non mi piace, non mi piace -.-’’’’
Brillina: non preoccuparti,
spero solo che ti piacciano comunque i miei capitoli ^__^
Romina75: beh, Caspian non è un genio di furbizia, povero scemo xD però è tanto bellino *-* lo si perdona solo per questo
*-* su Siria, beh, c’è ancora taaaanto da scoprire, e
non escludo che nei prossimi capitoli riesca a sorprenderti ^^ la mail l’ho
ricevuta, ho anche visto il film in italiano….Bwahahahahahahah ma quanto non sarà scemo!? XD
MarziaIrish: innanzitutto,
GRAZIE per aver segnalato la storia su Will *____* mi sono venuti i lacrimoni a vederla *___* spero che ti piaccia anche questo
capitolo, sebbene non mi convinca per nulla…sappimi
dire!
KissyKikka: traaaaaaaaaaaaaanzolla,
quando avrai tempo e pazienza per scrivere una recensione, io sto qui ^___^ non
ti preoccupare, capisco benissimo cosa significa essere pieni di impegni -.-‘
Niente immagine né link
alla canzone; non sono dal mio piccì Augusto (è dal
dottore ç___ç), quindi non ho nemmeno NVU T___T speriamo di non fare disastri
con l’html!
Due occhi nocciola scattarono
fra gli alberi silenti della foresta.
-Peter, c’è silenzio.-
Edmund sguainò la spada,
una frazione di secondo più tardi di suo fratello; Peter era già accanto a lui,
la lama d’acciaio che rifletteva i bagliori del sole morente, gli occhi celesti
che dardeggiavano rapidamente nella foresta silenziosa.
Troppo silenziosa.
Non un cinguettio,
non un fruscio nel sottobosco…
-Lo so.- sussurrò soltanto, il sibilo inudibile della lama che
fendeva l’aria che vibrava attraverso il suo braccio, la sua mano, saldamente
stretta intorno all’elsa istoriata. Si voltò di scatto, notando lo sguardo
allarmato della ninfa, quello confuso di Lucy; Susan era già al suo fianco, una
freccia incoccata nell’arco e il volto duro, concentrato.
-Lucy, Shaylee, state indietro.- ordinò seccamente il Re, con un
vigoroso cenno della testa bionda rivolto alla ninfa. Lei serrò gli occhi,
piccata da quell’ordine assolutamente ingiusto.
-Sono una naiade
guerriera, non ho bisogno di…- provò a protestare; ma
lo sguardo gelido di Peter fu più che sufficiente per far morire ogni singola
parola sulle sue labbra.
-Per l’appunto, Shaylee.
Proteggi mia sorella.- rincarò lui, una punta di sarcasmo nella voce.
Ebbe solo il tempo
di vedere gli occhioni dorati della ragazza
stringersi, indispettiti, prima che si scatenasse l’inferno.
-PETER!- l’urlo di
avvertimento di Edmund giunse appena in tempo; il biondo abbassò di scatto la
testa, sentendo un violento sibilo saettare con rabbia sopra di sé.
Senza premeditare,
sferrò un fendente alle proprie spalle, roteando su sé stesso; il suono
ributtante della carne perforata dall’acciaio raggiunse il suo udito fine,
disgustandolo come ogni, singola volta.
Finalmente, riuscì
ad alzare lo sguardo, gemendo sgomento quando vide la situazione in cui si
trovavano.
Susan scagliava
frecce su frecce, colpendo gli uomini che tentavano di circondarla con le
estremità rinforzate dell’arco. Si batteva con la fierezza di una leonessa, il
viso teso e concentrato, lo sguardo gelido che si posava, uno dopo l’altro,
sugli obiettivi che un istante dopo cadevano, morti.
Edmund era quasi
invisibile; saettava rapidissimo intorno agli uomini di Miraz,
affondando stoccate e menando fendenti quasi impossibili da vedere, scivolando
alle loro spalle grazie al suo fisico asciutto, allampanato, decisamente più
veloce di tutti quegli uomini bardati di tutto punto.
Peter sorrise
appena, soddisfatto nel vederli combattere, rassicurato…e
un istante dopo si buttò nella mischia, con un ruggito baldanzoso.
Era il suo
elemento, quello.
La spada stretta in
pugno, il sudore che colava sulla tempia, l’adrenalina che pompava prepotente
nelle sue vene…era ciò per cui era nato, ciò a cui
era destinato. Un destino forse crudele, ma che al Re Supremo di Narnia andava più che a genio.
Combattere.
Combattere e,
soprattutto, vincere.
Schivò un colpo
troppo lento, atterrò un altro soldato; era fin troppo facile, sembrava che gli
uomini tentassero di ignorarlo, concentrandosi sugli altri…
A quel pensiero, un
campanello d’allarme cominciò a suonare nel suo petto.
Si voltò di scatto;
i suoi fratelli erano in piedi, combattevano, si difendevano senza troppi
problemi.
Ma…
-Peter!- non gli servì
l’urlo angosciato della sorella più grande, per capire dove stavano convergendo
i soldati.
Si voltò di scatto,
e quello che vide lo raggelò lì, dove si trovava.
Lucy era alle
spalle di Shaylee, che la tratteneva saldamente con
un braccio, impedendole di allontanarsi da sé. Ma entrambe arretravano, mentre
un ghignante omaccione armato di un lungo spadone macchiato di sangue si
avvicinava a loro, come il lupo con un cerbiatto indifeso.
Vide gli occhi di Shay fremere, i pugni stringersi.
Troppo tardi, Peter
si rese conto dell’errore commesso.
Shaylee era una Naiade; la
sua miglior difesa era la sua magia, legata all’acqua dei fiumi e dei laghi,
quell’acqua che poteva evocare soltanto con un pensiero. Era magia, lei stessa
era una creatura forgiata da malie ed incantesimi…
Ed i Telmariniodiavano
gli esseri magici…
-NO!- il suo grido
echeggiò nella radura, sopra il clangore e le urla di Edmund, Susan e dei loro
assalitori. I suoi occhi saettarono attraverso lo spiazzo erboso, piantandosi
addosso alla naiade con una forza impressionante; una forza che la lasciò
interdetta, le labbra abbandonate in un incanto lasciato a mezzo.
Con un ruggito
esasperato, il Re Supremo affondò violentemente la spada nel petto del suo
aggressore; non si fermò a guardarlo morire, odiava vedere la vita spegnersi
negli occhi dei suoi avversari. Lui non era mai stato un assassino…
Vide un altro uomo
scagliarsi verso Lucy, verso Shaylee; la naiade si
ritrasse, obbedendo senza pensarci all’ordine di non utilizzare la magia,
trascinando con sé, alle proprie spalle, la piccola Regina.
Usando violenza su
se stesso, ignorò Edmund in difficoltà, lanciandosi alla massima velocità
consentita alle sue gambe verso le due giovani.
Guardò la lama
della spada già sporca di sangue alzarsi verso la ninfa…lei
rimaneva immobile, gli occhi dorati fissi con orrore sul rosso che colava dal
metallo, puro odio in quelle iridi che aspettavano con suicida determinazione
il colpo letale.
Ebbe appena un
istante per distinguere il movimento, Peter. Sentì l’orrore mascherare il suo
viso, un ributtante disgusto prendere vita nel suo petto; la lama si scaraventò
con prepotenza contro Shaylee, troppo lontana, troppo
distante per poterla difendere…
Il suono dell’acqua
che s’infrangeva su sé stessa lo distrasse, facendogli sgranare gli occhi.
Shaylee…
Shaylee non era più di
fronte all’uomo, di fronte a Lucy.
Al suo posto,
l’espressione rabbiosa incisa in ogni singolo tratto del viso traslucido, stava
ritta in piedi una creatura che Peter ricordava di aver visto soltanto molto,
molto tempo addietro.
Acqua; c’era soltanto
acqua, pelle disegnata dalla spuma che si forma sulla cresta delle onde, occhi
trasparenti addensati dall’ira, dall’odio, le labbra carnose serrate fra loro.
La Naiade…
Rimase paralizzato
per un istante, il biondo Re di Narnia, completamente
allibito nel fissare quella creatura proiettata nel presente direttamente dal
passato.
Il loro passato.
Edmund, Lucy, Susan…lui…un
brivido serpeggiò violentemente nei corpi dei Re e delle Regine di Narnia, quando i loro occhi si legarono indissolubilmente a
quella figura che apparteneva ad un luogo lontano, abbandonato, per sempre perduto.
Durò soltanto un
istante; un battito di ciglia più tardi, Shaylee
aveva assunto nuovamente il proprio aspetto umano, l’espressione l’unica cosa
identica a quella della ninfa.
Odio.
Il suo aggressore
fu il primo a riprendersi.
-Strega!- sputò con
rabbia, alzando nuovamente la spada, brandendola con foga, con disgusto.
Fu allora, che un
lampo biondo si frappose fra loro. Con un movimento rapido, troppo rapido,
Peter alzò di scatto il pugno armato, il suono delle lame che cozzavano fra
loro che risuonava, agghiacciante, nelle sue vene.
Avvertì un bruciore
intenso a livello del sopracciglio, un qualcosa di caldo e viscoso che colava
sulla sua tempia, sulla guancia; un taglio, probabilmente…
Serrò i denti,
ignorando il dolore, roteando la spada con maestria e aprendosi un varco,
lasciando che il braccio dell’altro si spostasse naturalmente, per il peso
della propria arma violentemente sbalzata di lato. Vide la breccia aprirsi, il
petto dell’uomo scoperto, il cuore esposto e vulnerabile.
E colpì.
Improvvisamente,
nella radura fu silenzio.
Il tonfo del corpo
già cadavere dell’uomo fu l’ultimo suono ad echeggiare fra gli alberi. Peter
non riuscì a guardarlo; distolse gli occhi celesti, disgustato da sé stesso e
da ciò che aveva compiuto, costringendosi a rivolgere lo sguardo verso i suoi
fratelli, preoccupato. Ma Sue ed Edmund stavano benissimo; l’unico che pareva
aver riportato una qualche ferita era proprio lui.
-Da dove diavolo
sono saltati fuori!?- sbottò, irritato, rinfoderando rabbiosamente la spada e
rivolgendo una smorfia irata ad Edmund.
-Non ne ho la
minima idea…- fu il sussurro del fratello,
mortificato. Peter prese un lungo respiro, tentando in tutti i modi di
calmarlo, di tranquillizzarsi almeno un poco; nemmeno lui li aveva notati, non
era colpa di Ed…
-Peter, sei ferito.- gli
fece notare Susan, avvicinandosi rapidamente di qualche passo al fratello,
preoccupata.
Fu soltanto un
lampo, un’immagine impressa sulla retina, prima che Shaylee
si frapponesse fra loro.
-Non è il momento.
Potrebbero non essere stati soli.- Peter inarcò un sopracciglio, passandosi una
mano sulla fronte, detergendo il sangue dalla propria pelle.
-Ha ragione.
Abbiamo passato un fiumiciattolo poco fa, torniamo lì.-
annuì, sorpreso dall’assoluta concordanza fra i pensieri suoi e quelli della
ninfa. Shaylee s’irrigidì, alle sue parole, lo vide
dalle sue spalle repentinamente drizzate; ma non disse nulla, limitandosi a
precedere tutti quanti sul sentiero che avevano appena percorso.
-E’ meglio pulirla,
quella ferita.-
Peter alzò lo
sguardo dall’acqua in cui stava per immergere il viso, sorpreso.
La naiade era in
piedi di fianco a lui, inginocchiato sul greto del minuscolo fiume dove erano
appena tornati. Si era distanziato un poco dai fratelli, liberandosi della
cinta, della spada, restando soltanto con la casacca addosso, sospirando di
piacere nel sentirsi finalmente libero da quegli impedimenti soffocanti.
Ogni volta, provava
sempre il medesimo sollievo.
Era come se,
liberandosi degli abiti in eccesso, potesse per un poco sfilarsi anche quella
maschera di Re che pesava ogni istante un poco di più.
Era come se, in
quei momenti, potesse tornare ad essere semplicemente un ragazzo, semplicemente
Peter.
I suoi fratelli
conoscevano quella sua abitudine, quella sua debolezza; ma la ninfa no, e
sebbene mostrasse apertamente verso di lui un astio assolutamente non
ricambiato, si era spinta a disturbarlo, per…per?
-Oh…no, non è
necessario.- mormorò lui, tanto sorpreso dalla sua volontaria vicinanza da non
riuscire nemmeno a trovare qualcosa di più intelligente, da dire.
Lo sbuffo di Shay lo avrebbe fatto sorridere, in un’altra situazione, in
un altro mondo. Un mondo dove loro sarebbero soltanto stati due ragazzi comuni,
magari nemmeno amici, e dove lui non sarebbe stato costretto a portare una
spada al fianco.
-Non ho intenzione
di lasciar morire il mio Re per una stupida infezione.- sbottò; un attimo dopo,
però, si rese conto delle parole e del tono che aveva appena utilizzato.
Arrossì furiosamente, biascicando delle scuse incomprensibili per il suo
atteggiamento irrispettoso.
Un lieve sorriso
arricciò le labbra del biondo, che si alzò in piedi, lentamente, osservandola.
-Se ci tieni.-
commentò, sedendosi obbediente sulla roccia più vicina, senza perderla d’occhio
nemmeno per un istante. Non poteva nascondersi quanto fosse divertente, far
arrossire quella ragazza piena di misteri…
La vide esitare un
istante, le mani che tormentavano una ciocca dei lunghi capelli dorati.
Evidentemente, nel suo cuore stava divampando una feroce battaglia fra il
risentimento e l’altruismo, fra l’odio che provava per lui e l’umana, gentile
disponibilità ad aiutare qualcuno…
Un istante più
tardi, però, la distinse chiaramente annuire, gli occhi chiusi per un attimo,
prima che con poche falcate gli si avvicinasse.
Nessuno dei due
disse nulla, mentre le dita sottili ed abili della ninfa danzavano con cura
sulla sua ferita ancora aperta. Peter ignorò il vago dolore dell’ago di sutura
che ricuciva i lembi strappati della sua pelle – era stata Susan, un tempo, ad
importare quell’innovazione a Narnia –, dedicandosi
più che altro a studiare l’atteggiamento della ragazza.
Le sue mani erano
calde, dolci.
I muscoli del corpo
erano in tensione, il respiro rapido; poteva avvertire l’avversione verso in
ogni singola cellula del suo corpo, del suo fiato, del suo ventre liscio che
poteva intravedere attraverso la veste candida. Si permise di guardarla, di
guardarla come un uomo, soltanto per
il tempo che lei impiegò per ricucirgli il taglio sulla fronte.
-Fatto.- lo informò
gelidamente Shaylee, una volta terminato,
allontanandosi con uno scatto da lui. Non le piaceva il brivido che le causavano
gli occhi celesti del Re. Nemmeno un po’.
-Grazie.- Peter non
si sorprese, non più, del repentino scatto della ragazza, fatto per
allontanarsi il più possibile da lui. Ci aveva fatto l’abitudine, in quei
giorni.
-Dovere.- fece lei,
voltandosi verso il fiume, sentendosi progressivamente sempre più a disagio nel
restare sola con l’alto Re di Narnia.
Cosa diavolo le era
saltato in mente!? Per quello che le interessava, poteva anche morire
dissanguato. Non si sentiva in colpa per essere stata la causa di quel taglio,
non si sentiva in colpa e basta, non aveva motivo di sentirsi in colpa, in pena. No. Assolutamente no.
-Shaylee. Devo parlarti.-
oh, ma perché quello stupido, stupido
re non poteva semplicemente starsene zitto e continuare a soffrire della sua
sindrome dell’eroe?
-Sto ascoltando.-
replicò freddamente, sentendo le guance imporporarsi per il nervosismo, per la
rabbia.
-Non puoi usare la
magia, di fronte ai telmarini.- a quell’affermazione,
la ninfa dimenticò istantaneamente ogni tipo di timidezza, voltandosi con uno
scatto di rabbia verso il biondo.
-Che cosa!?- sbottò, improvvisamente
furibonda, sostenendo senza il minimo problema le iridi celesti e trapassanti
del giovane re. Re che non si scompose minimamente alla sua esplosione,
trafficando intanto con l’elsa della spada, senza perderla di vista.
-I Telmarini odiano la magia. Rischieresti non soltanto la tua
vita usando la magia, non scordarlo mai.- il biondo terminò di allacciarsi la
cinta in vita, qualcosa di dorato stretto nel pugno destro.
-L’ho sempre fatto!
Non ho intenzione di nascondermi da loro,
che mi scoprano, non…- la furiosa protesta della
Naiade si perse, in quei baratri azzurri e divertiti che erano gli occhi
meravigliosi di Peter.
Arrossì ancor di più,
nel riconoscere che sì…era un bel ragazzo, dopotutto.
-Shaylee, non ti sto
dicendo che non dovrai combatterli.- le spiegò lui, pacatamente, avvicinandosi
con lentezza estrema alla diffidente ninfa ersa sul
ciglio del fiumiciattolo. -Sto soltanto chiedendoti di tenere la tua magia come
ultima risorsa, e nel caso, difenderti con questo.- aggiunse, porgendole ciò
che aveva estratto dal fodero della sua spada.
Shaylee, allibita, abbassò
lo sguardo. Era uno stiletto, un pugnale lungo e sottile che si sarebbe
adattato perfettamente alle sue manine affusolate; l’impugnatura era dorata, il
fodero di un bel rosso sanguigno…e sull’elsa
istoriata, riconobbe immediatamente il simbolo del leone stilizzato.
Aslan.
-Io…io non credo, di…- ancora una volta, a Peter fu sufficiente uno sguardo,
per zittirla. Sospirando, sentendosi trapassata da quegli occhi assurdamente
penetranti, allungando una manina e chiudendo cautamente le dita intorno a
quella piccola, infida arma.
Stando bene attenta
a non sfiorare, nemmeno con il pensiero, la pelle calda e ruvida delle mani di
Peter.
Più tardi.
Si erano accampati
lì, vicino a quel rigagnolo. Ed aveva acceso il fuoco, Susan aveva estratto
dalla sua borsa i viveri recuperati a CairParavel, Lucy era seduta a gambe incrociate, vispa e pensierosa
come sempre. Nessuno diceva niente; la battaglia li aveva lasciati stanchi,
spossati.
-Dov’è Shaylee?- furono le prime parole che spezzarono quel
silenzio innaturale. Parole rauche, borbottate a mezza voce, una mano che
scivolava ansiosa fra serici capelli biondi.
Peter si rivolse al
fratello, che si strinse nelle spalle, ignaro quanto lui su dove fosse finita
la ninfa. Era scomparsa appena dopo averlo medicato, ricordava benissimo il
tocco lieve e soffice delle sue dita sottili sulla pelle; non aveva pronunciato
una parola che fosse una, da quando le aveva consegnato il pugnale.
-L’ho vista andare
verso il fiume.- fu Lucy a rispondere alla sua domanda angosciata, gli occhi
azzurri che si alzavano,vispi e allegri, sul fratello. Chissà cos’aveva in
mente quel piccolo tornado, si ritrovò a chiedersi Peter; aveva la tipica,
palese espressione che compariva sul suo visetto quando un’idea alquanto
malvagia prendeva forma nella sua testolina.
Avrebbe compreso
più tardi il piano oscuro della sorellina. Di scatto, senza nemmeno farci caso,
balzò in piedi, improvvisamente desideroso di raggiungere la naiade, di
parlarle, di scusarsi per come l’aveva trattata e cercare di lenire un poco
quell’odio che, lo sapeva ormai, Shaylee provava
verso di lui.
Fu la voce di
Susan, bassa e appena concitata, a fermarlo.
-Peter…lasciala stare.- mormorò,
decisamente comprensiva verso quella ragazza in cui aveva visto non soltanto la
rabbia, la diffidenza, l’odio; no. Susan sapeva riconoscere il dolore e la
solitudine, quando le si presentavano davanti con così tanta chiarezza.
Ma il fratello,
invece di darle retta, scosse la testa bionda, esasperato.
-Voglio solo essere
sicuro che stia bene.- commentò, ed un istante più tardi era scomparso nel
fitto fogliame del sottobosco.
Non ci mise molto
tempo, a trovarla. Era là, seduta sul greto di quel piccolo fiume, gli occhi
dorati socchiusi e l’espressione stanca, vuota, le dita che scioglievano
lentamente i capelli arruffati.
Una sensazione
strana, mai provata prima d’allora, si agitò violentemente nel petto del
ragazzo, quando si rese conto che perlacee lacrime sottili rigavano quelle
guance candide.
Piangeva.
Peter dovette costringersi
a restare dov’era, all’ombra degli alberi che nascondevano completamente la sua
figura alla ninfa.
Piangeva. Shaylee stava piangendo.
Perché non poteva
andare da lei, e tentare di confortarla?
Perché ti odia. Ti manderebbe via, Peter, ti caccerebbe.
Era immobile,
soltanto brevissimi singhiozzi scuotevano la sua schiena sottile. Sembrava volersi
trattenere dallo scoppiare in un pianto a dirotto, le dita che lievemente
sfioravano la superficie limpida delle acque tranquille.
E poi la sentì
sussurrare. Soltanto quattro parole.
Quattro parole che
ebbero il potere di spalancare un dolore immenso nel suo petto, trafiggendo da
parte a parte quel qualcosa che si
agitava ansioso nel suo petto.
-Mi manchi, amore
mio.-
Il mattino dopo.
Talia sospirò,
esasperata, quando si rese conto della tensione che aleggiava nella loro
stranamente silenziosa marcia giornaliera.
Aaron era
semplicemente infuriato; soltanto lo sguardo gelido di Siria gli aveva impedito
di prendersela con Caspian, e l’elfa
lo sapeva, sua sorella non avrebbe esitato a mettersi in mezzo fra loro – con
delle probabili, poco piacevoli conseguenze per il fratellastro.
Siria era come al
solito arrampicata sugli alberi, procedeva dall’alto per controllare la
situazione da un punto di vista privilegiato; ma lo avvertiva nella sua mente,
la sua amica non era mai stata meno attenta come in quell’istante; non le
serviva guardarla, per sapere che gli occhi della rossa erano piantati addosso
al principe.
Caspian era il più bravo,
in quel bizzarro triangolo di silenzi, a mantenere un’aria imperturbabile. Non portava
il bavaglio, le corde intorno ai polsi erano sicuramente meno strette;
probabilmente era opera di Siria, ma Talia sapeva che
poteva essere stato anche Aaron. Era tutto fuorché crudele, il rosso, e sebbene
lo guardasse con astio, non avrebbe dimenticato di trovarsi davanti ad un
ragazzo anche più giovane di sua sorella.
Sospirò di nuovo,
scambiando un’occhiata preoccupata con Caleb; il gelo
che emanavano gli occhi invisibili di Siria aveva persino zittito i loro
continui, scherzosi battibecchi.
Doveva fare
qualcosa.
-Fermiamoci qui.-
sbottò all’improvviso, facendo sobbalzare tutti quanti. Aaron si voltò a
guardarla, indispettito ed oltraggiato, ma ben lungi dal protestare; Talia sapeva essere davvero spaventosa, se si arrabbiava.
-E’ una buona idea.- fu il commento di Caleb,
che colse al volo l’intenzione della piccoletta e si spostò rapidamente accanto
a Caspian, sottraendolo dalle grinfie del rosso.
Avvertì addosso gli
occhi di Siria, quando trascinò verso un albero abbastanza sottile il principe,
assicurandovi la corda che legava i suoi polsi con un’altra, non troppo
strettamente. Aveva visto giusto; Siria era pesantemente persa per il ragazzo,
non c’era più alcun dubbio. Un rapido sguardo, e ne ebbe la conferma; l’amica
stava fissando insistentemente il ragazzo, che senza molti problemi teneva gli
occhi color pece inchiodati sul suo viso affilato.
Incredibile, a
dirla tutta.
-Siria, fai un giro qui
intorno, controlla che non ci sia nessuno.- fu il secco ordine di Talia, e, per una volta, la rossa fu grata che qualcuno le
dicesse cosa fare, senza dover pensare a nulla che non fosse obbedire.
Mentre sfrecciava
fra gli alberi, la mente assente ben lontana dal suo compito, si permise di
divagare di nuovo sul pensiero di Caspian, perché era
doloroso – non poteva negarlo –
sapere di provare qualcosa, ma allo stesso tempo era l’agonia più dolce che
avesse mai provato.
Sentire il cuore
battere d’un amore neonato, struggeva la sua anima ma curava i suoi sentimenti,
sanando ferite e vuoti che nemmeno aveva mai nemmeno definito realmente.
Si sentiva viva,
molto più di quanto non fosse mai stata in vent’anni; nelle sue vene non
scorreva lo scherzo maligno della natura, ma puro e semplice amore, di
quell’amore vero e genuino che soltanto una volta, nella vita, si può provare.
Caspian…
Caspian era il fautore e
la causa di quello sconvolgimento, di quella rinascita.
E lei lo amava, sì.
Per quanto impossibile ed irrazionale le sembrasse, il suo cuore batteva,
batteva davvero; ma soltanto per lui.
Furono i suoi
pensieri, le sue emozioni, a distrarla.
Un sibilo.
Lo udì troppo tardi
spezzare il silenzio innaturale che la circondava.
Ebbe appena il
tempo di sgranare gli occhi, di vedere qualcosa di rosso sangue fare breccia
nel fitto fogliame, prima di avvertire qualcosa di orrendamente sbagliato
trapassarle la spalla da parte a parte.
-Merda!- sibilò,
sentendo mille stelle di dolore esplodere nei suoi occhi, portandosi
istintivamente una mano alla spalla destra; una freccia la attraversava da
parte a parte, ne avvertiva la punta acuminata…trapassare…
Un violento
giramento di testa, seguito dalla nausea, la investì. Il sangue sgorgò
rapidamente sulla sua tunica, cancellando tutto ciò che non fosse rosso dai suoi occhi.
Sanguinava; un
pensiero così assurdamente illogico da non essere assimilato, gli occhi blu che
seguivano increduli la scia rossa, di un rosso vivo, scendere lungo il suo
braccio, sulla spalla, sulla scollatura, sul seno, diramarsi in decine di
rivoli più piccoli sulla sua pelle candida…
VATTENE!
L’urlo
tremendamente forte nella sua mente quasi la fece cadere dall’albero,
riscuotendola dall’improvvisa confusione che l’aveva bloccata.
In un guizzo di
capelli fiammeggianti, sparì dal punto in cui era stata colpita, nascondendosi
al riparo di una gigantesca quercia e cercando di riprendere fiato.
-Che cosa, o chi, diamine era?- Susan si voltò
rabbiosamente verso la naiade, sperando di trovare una risposta in quel volto
perennemente enigmatico.
Ed invece la ninfa
fissava intensamente il punto in cui la creatura rossa era scomparsa, gli occhi
socchiusi e le labbra convulsamente strette, indecifrabile più che mai.
-Non saprei.-
mormorò, senza un particolare tono di voce, il cuore e la mente in tumulto
sotto la superficie gelida.
Siria.
Quella figura era
assolutamente inconfondibile.
Siria era lì, ed
era stata colpita in pieno da una delle frecce di Susan; dopo l’assalto, la
Regina era diventata ben più che attenta, per ogni minima cosa. E non sapeva
minimamente quanto fosse andata vicina a colpire…
Sostenne il suo
sguardo duro, indagatore, celando perfettamente il tumulto che la vista della
rossa le aveva causato.
Susan non avrebbe
mai capito.
Lei non aveva avvertito la mente di Siria tacere
improvvisamente, travolta dallo shock; lei
non si era vista passare davanti i pensieri cristallini solitamente imbrigliati
in una solida rete mentale, lei non
aveva intravisto in quei ricordi fulminei la figura del principe Caspian…
Ed il sapore delle
sue labbra, e la forma del suo viso, ed un sentimento che, per un istante,
lasciò Shaylee completamente attonita.
Amore?
Siria!? Ma, soprattutto…
Caspian!?
Cercò di
raccapezzarsi un istante, completamente travolta dalle emozioni che avevano
investito la sua mente, nello stesso attimo in cui la freccia di Susan aveva
colpito la rossa. Si massaggiò le tempie, tentando di dare un ordine preciso a
quelle immagini confuse.
Caspian.
Aaron aveva
catturato Caspian, lo stavano portando da Miraz.
Siria era ferita;
non era stato un colpo mortale, sarebbe sopravvissuta.
Caspian e Siria…
Ma non è possibile! È assurdo!
-Che razza di guida
saresti, tu?- la voce dura di Susan la riportò bruscamente alla realtà; si
ritrovò a specchiarsi in due gelidi occhi di ghiaccio, densi di rabbia, di
diffidenza, di pura e semplice ira.
-La migliore.
Probabilmente era solo un animale selvatico.- fu la risposta indifferente di Shay, gli occhi che evitavano accuratamente qualsiasi
contatto con quelli di Peter. Non sapeva, a dirla tutta, se sarebbe stata in
grado di mentire anche a lui.
-Rosso?- replicò
scettica la Regina, rinfoderando nervosamente l’arco, senza risparmiare gli
sguardi irritati verso la naiade.
Non poteva esserne
sicura al cento per cento; ma lo sentiva.
Shaylee stava nascondendo
qualcosa.
Ora sentiva il
dolore. Oh, se lo sentiva.
Siria sussultò,
rischiando nuovamente di cadere quando vide la traccia del proprio sangue
disegnarsi sul sottobosco, fra le fronde. Macchiava, sgorgava sempre più
velocemente, scendeva sul suo corpetto e lungo le sue braccia bianche…
Scosse la testa,
cercando di scacciare la prepotente nebbia che tentava di avvolgerla, cercando
di allontanare il dolore terribile che rischiava di strapparle urla e urla di
straziante agonia.
Bruciava.
Dea, quanto bruciava…
Se sentiva sempre
più debole, fiacca; stava perdendo molto, troppo sangue, ed il suo respiro era
pesante ed irregolare, il cuore batteva furioso per mantenere vivo il suo
corpo.
Ma la mente era
sempre meno nitida, gli angoli del suo campo visivo si stavano oscurando, i
pensieri erano sempre più surreali, incontrollati.
Dolore!
Il dolore era una
lama che la trapassava nettamente, che faceva sussultare di convulsioni il suo
corpo morbido. Tremava, tremava tanto violentemente da sentire le dita mancare
gli appigli sui rami, il braccio destro inerte lungo il fianco insanguinato.
Sarebbe stato più
facile lasciarsi cadere. Crollare lì, esausta, sotto il peso di una sofferenza
troppo grande, lasciandosi dissanguare da quella ferita netta…avrebbe
risolto tutti i problemi, in un colpo solo.
Ma non poteva.
C’era qualcuno che
contava su di lei…
Doveva raggiungere
i suoi compagni…doveva arrivare da Aaron, da Talia, da…
Caspian.
Quel nome le diede
la forza di serrare i denti, contando disperatamente quanti altri balzi ancora
le mancassero, la carne scoperta che pulsava terribilmente.
Doveva tornare da Caspian. Doveva andare da lui, doveva baciarlo di nuovo,
doveva liberarlo e permettergli di tornare alla sua guerra…
Ma la presa sul
ramo venne improvvisamente a mancare, quando ormai mancava pochissimo per
giungere dagli altri.
Crollò a terra
senza nemmeno accorgersene; il suo corpo già lavorava per non farle sentire
dolore, e presto sarebbe tutto finito, perduto. Come lei.
L’ultimo
singhiozzo, prima di crollare, fu rivolto all’amica.
Mmmm....le recensioni
calano T.T però lo capisco, il periodo è uno dei
più orribili per gli studenti ^___^'''
Allora, rispondo in fretta alle recensioni e poi vi lascio al
capitolo...Caspiaaaaaaaan *spupazza il principino*
Ehm...scusate....momento di grande amore per il ricciolino di Narnia
*.* questo capitolo, a parte un - finalmente! - inizio fra
Caleb e Talia, è tuuuuutto per lui e Siria *-* ammori *-*
*love love love assoluto* Romina, Siria è meglio di
Highlander, non muore mai *rule* comunque, non ti preoccupare, il
brutto momento è più o meno passato...sapere che
ci sei sempre però è un conforto non da poco,
grazie ^_____^ un bacione! Marzia, ti rivelerò un
segreto...io adoro Peter xD lo maltratto, lo picchio, gli faccio fare
figuracce (aspetta solo che conosca Siria xD), ma lo adoro *.*
Susan...no, lei proprio non la tollero U.U vedremo poi come se la
caverà, alle prese con una Shay sempre più
incazzosa, e poi anche con Siria O=D Tranquilla, non ho
intenzione di abbandonare questa fic!!!
Una
fitta di dolore
trapassò la mente di Talia, strappandole un grido di dolore
che spezzò con
l’intensità di un’esplosione il silenzio
intorno a loro. L’elfa crollò in
ginocchio, le mani che salivano repentinamente a serrarsi sulle tempie,
travolta da una nuova ondata di dolore improvviso, violento,
distruttivo.
Dolore!
Come
poteva
ragionare?
Come
poteva
riuscire a capire, in mezzo a
quell’oceano di sofferenza, di confusione, di morte?
Non
ragionava, non
poteva ragionare, sentiva la sofferenza delle ossa spaccate, della
carne che
suppurava sangue…vedeva i propri occhi chiudersi, perdere
fuoco, sentiva
l’oblio farsi strada nel suo petto, scavando voragini
là dove una volta
pulsavano i suoi organi vitali.
Non
sarebbe sopravvissuta.
La sua unica certezza era quella.
Non
avrebbe vissuto
abbastanza da capire, da conoscere il perché di tutto quel
male…la sensazione delle foglie
secche che si
bagnano di sangue…
Siria.
Un
pensiero lucido
in quel mare in cui stava per affogare.
Siria.
Sua
sorella…
Quel
dolore,
apparteneva a Siria.
Lentamente,
costrinse la propria mente a riemergere da quell’oceano, da
quell’agonizzante
sofferenza che aveva attanagliato in una morsa d’acciaio i
suoi pensieri,
mozzato il suo respiro, accelerato il battito del suo cuore spaventato.
Usò
violenza su sé
stessa, per strapparsi con un urlo a quel dolore capace di ucciderla.
Lentamente,
riprese
il controllo di sé, del proprio corpo raggomitolato contro
qualcosa di caldo,
delle braccia serrate intorno alle ginocchia. Gli occhi erano serrati,
aveva
paura di aprirli, paura di scoprire che quell’incubo era
reale…
Una
voce.
-Tallie!
Tallie,
guardami, avanti piccola, apri gli occhi!-
Una
voce che
conosceva, che sperava, che…che amava.
-Avanti,
nanetta,
mi stai spaventando!-
Caleb.
Doveva
essere lui,
ad averla accolta fra le braccia. Doveva essere suo, il torace contro
cui era
appallottolata. Doveva essere lui, a scongiurarla
di svegliarsi…
-Tallie…Tallie
ti
prego, guardami!-
Con
uno sforzo
orribile, Talia si strappò violentemente da quel mare di
atrocità e sofferenza,
spalancando gli occhi scuri con tanta forza che le sue palpebre,
doloranti,
lanciarono una fitta di protesta.
Ed
ecco quel
rifugio caldo e sicuro, fatto di muscoli e braccia che
l’accoglievano, che non
era un sogno…lentamente, mise a fuoco gli occhioni celesti e
colmi d’ansia del
ragazzone, di Caleb, a poco
più di un
palmo dal proprio viso.
-Talia…-
sussurrò,
lasciandosi pesantemente cadere a terra quando finalmente
riuscì a distinguere
le familiari, calde iridi color nocciola della mezzelfa. La strinse a
sé, con
forza, con una forza tale che temette per un istante di spezzarla
– lei, così
piccina, così minuta, eppure così tremendamente
forte…
-Cal…tranquillo,
sto bene.- furono le prime parole, sussurrate, ansimanti, che le
sentì
sussurrare nell’incavo del proprio collo.
-Tranquillo…non
dirmi di stare tranquillo, Talia!-
sbottò il biondo, accarezzandole con dolce premura i capelli
arruffati,
guardandola negli occhi con un misto di preoccupazione e rimprovero
nelle iridi
azzurre.
Non
poteva
spaventarlo così. Lui non doveva aver paura di nulla, non
poteva allarmarsi,
preoccuparsi come un matto per qualcuno che non fosse lui, o Tara. Non
poteva
fargli perdere diversi anni di vita, crollando in quel modo, urlando
come se la
stessero torturando.
Non
poteva.
Non
poteva, perché
in quel modo gli ricordava costantemente quanto quell’elfa
mezzosangue in
realtà fosse importante per lui…
Talia
sospirò,
accennando un breve sorriso dolce verso di lui, sfiorandogli i riccioli
color
miele. Sarebbe stata una perfetta occasione per baciarlo, per
dimostrargli quel
che provava…e gli occhi di Cal erano tremendamente vicini,
sentiva il suo
respiro mischiarsi lentamente al proprio, un sapore indistinto e
sconosciuto
che sfiorava i suoi sensi…
Siria!
L’elfa
balzò
repentinamente in piedi, seguita a ruota da un Caleb quanto mai
allibito.
-Slegalo!-
sbottò,
indicando con un nervoso cenno della testa il principe, poco lontano.
Caspian,
sentendosi tirato in causa, alzò il viso, preoccupato ed
allibito almeno quanto
Caleb.
-Non
me ne fotte un
cazzo! Liberalo, ho bisogno di lui!- replicò, e qualcosa,
forse il tono
concitato della sua voce, forse la paura che scorgeva nei suoi occhi,
convinse
il biondo ad obbedire.
-Cosa
sta
succedendo?- furono le prime parole di Caspian, una volta libero. Aaron
era
lontano, con Tara, stavano cacciando; tanto meglio.
Talia
gli lanciò
rapidamente la sua spada, che il principe afferrò al volo,
sempre più
stupefatto dalle azioni prive di senso dell’elfa.
Perché lo stava liberando?
Perché lo stava armando? Non c’era alcun motivo
logico che l’avrebbe spinta a
lasciarlo fuggire…
Ma
l’elfa era già
al suo fianco, l’espressione dura in volto ed il terrore
dipinto in ogni
screzio di quegli occhi scuri e taglienti.
E
poi pronunciò una
parola. Una parola soltanto, capace di cancellare qualsiasi altro
pensiero
dalla sua mente.
-Siria.-
.
.
Siria
è in pericolo.
Caspian
serrò ancor
più prepotentemente la mano destra intorno
all’elsa della propria spada. Gli
occhi neri dardeggiarono in quella foresta tutta uguale, fra gli alberi
silenziosi, nell’erba alta; cercava un segno, Caspian,
cercava una qualsiasi
traccia di rosso che potesse condurlo da lei.
Siria
è in pericolo.
Erano
bastate
quattro parole. Quattro, semplici parole, per cancellare anche solo il
più
remoto pensiero di fuga dalla sua mente.
Siria
è in pericolo.
Non
poteva
pensarci. Non riusciva ad accettare l’idea, non poteva, non
era fisicamente in
grado di rendersi conto che Siria poteva essere nei guai, che poteva
essere
sola, spaventata, ferita…o peggio, morta.
No,
no, non doveva,
non doveva pensarlo!
L’ansia
gli
attanagliò i polmoni, mozzandogli il fiato. Non la trovava.
Talia era, come lui,
a caccia di un dettaglio, di una speranza, di una macchia sanguigna
sull’erba
verdeggiante…Caleb era andato ad avvertire Aaron, per
evitare che, se avesse
visto il principe libero, lo ammazzasse.
Non
si sarebbe
lasciato ammazzare. Lo avrebbe affrontato, piuttosto, lo avrebbe
ucciso, se
necessario. Ma nessuno, nessuno, si
sarebbe frapposto fra lui e Siria, adesso.
Doveva
trovarla.
Non
contava altro,
in quel momento.
Doveva,
assolutamente, trovarla.
E
come ad esaudire
le sue richieste, una macchia. Un colore contrastante, una fiamma
accesa nel
bel mezzo del sottobosco, lunghi crini infuocati che serpeggiavano fra
sottili
fili d’erba.
-SIRIA!-
urlò,
inconsciamente, quando distinse il corpo flessuoso della ragazza
abbandonato
scompostamente nel prato incolto.
In
un attimo, si
ritrovò accanto a lei. Si lasciò cadere sulle
ginocchia, la spada abbandonata
al suo fianco, le braccia che sollevavano quel corpo esanime, ferito,
spossato.
Era
ferita. C’era
una profonda voragine rossa sulla sua spalla, ed era ricoperta di
sangue,
sangue ovunque, gli sembrava che divorasse ogni centimetro di
lei…
Dannazione!
Il
viso della
ragazza era contratto, le labbra schiuse in sospiri affannati, gli
occhi
serrati. Soffriva. Soffriva come una bestia ferita a morte, e lui non
poteva alleviare
quel dolore, non poteva riportare quel sangue che macchiava le sue
stesse mani
nel corpo della giovane.
Senza
nemmeno
esitare, lasciò scivolare le braccia sotto al corpo di lei,
sollevandola subito
dal terreno brullo ed accidentato. I capelli rossi caddero lungo il
corpo del
principe, il bel capino si posò contro la sua spalla; era
leggera, troppo…
La
strinse a sé,
guardandosi intorno per cercare l’elfa, oppure il biondo;
doveva riportarla
indietro, e alla svelta, se voleva salvarla. E doveva ignorare il
profumo
conosciuto che avvertiva sotto l’odore stomachevole del
sangue: quell’odore
particolare di rose canine e ghiaccio che apparteneva alla rossa
esanime fra le
sue braccia.
Percorse
a ritroso
la strada che aveva compiuto in uno stato di trance, di ansia mista a
quello
stordimento che la sola presenza della ragazza gli provocava. Sarebbe
potuto
scappare, avrebbe potuto abbandonarla al suo destino, avrebbe potuto
tornare
indietro e vincere le sue battaglie…
Ma
senza di lei?
Come sarebbe stato, vivere senza di lei, che in pochi giorni aveva
preso
prepotentemente posto nel suo cuore, dove nessuno aveva mai avuto
accesso?
Non
l’avrebbe
lasciata morire.
A
qualunque prezzo.
.
.
Un
rumore di foglie
pestate, di rami spezzati.
Talia
si voltò di
scatto, l’ansia incisa in ogni tratto del viso affilato. E
sgranò gli occhi,
sobbalzando, quando la figura del principe Caspian emerse dal fitto
della
boscaglia, il corpo insanguinato di Siria fra le braccia.
-Oh,
merda!-
sbottò, e un battito di ciglia più tardi si
ritrovò di fronte a lui, più
concitata e spaventata di prima.
Perché
devi sempre cacciarti nei guai?!
Sembrava
che lo
facesse apposta, per farla preoccupare.
Era
svenuta, ma la
sua espressione non era incosciente; stava soffrendo, e Talia sapeva
bene che
non era soltanto l’orrenda ferita sulla spalla a disegnare il
tormento su quel
viso tanto conosciuto.
-Stendila
qui.- un
istante prima non c’era nemmeno un qui,
osservò Caspian allibito, vedendo soltanto un guizzo
indistinto e una coperta
apparire dal nulla sul terreno erboso.
Obbedì,
restando
inginocchiato accanto a Siria, gli occhi nerissimi inchiodati sul viso
sofferente della rossa. Talia gli lanciò
un’occhiata: poteva quasi vedere il
dolore dell’amica riflesso in quegli occhi, nei tratti tesi
di quel viso così
giovane.
-Sei
tornato.-
commentò, atona, trafficando rapidamente per estrarre il
proprio pugnale.
-Non
potevo
lasciarla.- fu la risposta di Caspian, semplice, vera, diretta,
così tanto che
Talia sgranò di botto gli occhi – per la seconda
volta in pochi minuti. Quel
ragazzo era fonte di continua sorpresa.
Caspian
ignorò la
sua sorpresa, sfiorando la pelle candida di Siria con la punta delle
dita. Era
calda, fin troppo…ed era morbida, delicata, un fiore rosso
sbocciato sulla cima
di una rupe.
Un
premio ambito,
meraviglioso, per chi avesse avuto il coraggio di coglierlo.
Talia
nascose un
minuscolo sorriso, alla vista della premura con cui il principe le
restava
accanto, ansioso. Dopotutto, Siria non aveva scelto così
male, con lui…
Tornò
alle sue
occupazioni, scoprendosi il braccio destro, posando la lama affilata
del
pugnale sulla vena blu, pulsante al di sotto della pelle.
-Cosa…-
zittì
Caleb, giunto silenziosamente alle sue spalle, alzando semplicemente
l’indice.
Un
lampo, e il
sangue scuro zampillò sulla pelle bronzea
dell’elfa.
-Non
è la prima
volta che la salvo, così.- mormorò soltanto,
spostando l’avambraccio
sanguinante sopra la ferita aperta e suppurante dell’amica.
Come
affascinato,
Caspian guardò le dense gocce di sangue scivolare lungo il
braccio della
mezzosangue, addensarsi e poi, con un attimo di esitazione, cadere.
Nello
stesso attimo
in cui sfiorarono la carne viva di Siria, avvertì
l’odore ributtante del sangue
bruciato invadergli le narici, riempiendogli gli occhi di lacrime.
La
ferita non sanguinava
più. Un’evanescente linea di fumo rossastro si
alzava da quella carne ancora
viva e visibile, mentre le taumaturgiche gocce che appartenevano
all’elfa
penetravano quello squarcio, sanando la ferita dal profondo,
dall’interno.
Sangue
elfico.
Forse
Talia non era
un’elfa pura, ma sicuramente aveva ereditato quel carattere,
dalla sua razza.
La
giovane si
lasciò cadere a terra, esausta. Bastò premere due
dita sulla ferita, perché del
taglio non rimanesse che un vago segno rossastro che presto sarebbe
scomparso,
come tutte le ferite sul suo corpo snello.
-Stai
bene?- non fu
Caleb a porle quella domanda premurosa. Fu Caspian, che, rassicurato
sulla
sorte di Siria che ora riposava già molto più
serena, aveva alzato gli occhi
neri e molto più tranquilli su di lei, cortese e
sinceramente preoccupato.
Ma
era davvero
Telmarino, quel ragazzo!?
Nessuno
di loro le
aveva mai rivolto quel tono…come se fosse una sua pari, come
se le sue orecchie
e la sua età fossero normalissimi, come se non
l’avesse appena vista curare col
sangue una ferita a dir poco orribile.
Annuì,
guardandolo
con un misto di stupore e gratitudine, abbandonandosi esausta contro il
petto
caldo e rassicurante di Caleb.
Cominciava
a starle
simpatico, quel principino.
.
.
.
.
Calore.
Era
questa, la
precisa sensazione che provava in quell’istante.
Un
calore
sconosciuto, strano; qualcosa che l’avvolgeva in una stretta
morbida, sicura,
qualcosa che la cullava nel buio e nel silenzio calati sui suoi occhi
chiusi. E
quel profumo…un profumo intenso, un profumo di sole e di
foresta, che riempiva
ed annebbiava i suoi pensieri, abbandonandola in una dolce
inconsapevolezza che
mai, era stata più dolce.
Quel
profumo…quel
profumo apparteneva ad una persona.
-Caspian…?-
Siria
si mosse appena, il viso che cercava inconsciamente la fonte di quel
profumo,
di quell’odore meraviglioso. Sentì delinearsi
sotto il proprio respiro la linea
marcata di un collo, una gola rilassata, morbida, elegante.
-Sssh.
Non
agitarti, sei ancora molto debole.- una voce dolce, bassa e calda,
s’insinuò
con dolcezza nella sua mente, risvegliandola da quel torpore da cui si
era
lasciata volontariamente avvolgere, esausta.
Si
mosse di nuovo,
cautamente, sentendo qualcosa di soffice e delicato accarezzarle i
lunghi
capelli. Dita. Caspian.
Carezza.
Sembrava
che i suoi
pensieri non riuscissero a riordinare le parole in frasi di senso
compiuto;
c’era soltanto una gran confusione, nella sua mente, nomi e
sensazioni si
rincorrevano senza sosta, mentre la sua volontà ancora
intorpidita lottava per
schiudere gli occhi, per costringere le palpebre pesanti a lasciarla
vedere.
Istintivamente,
alzò una mano a velare il proprio sguardo, la tenue luce di
un fuocherello che
bruciava terribilmente le sue retine fuori fase. Le braccia le
sembravano così
pesanti, ma cos’era successo? Aveva provato sensazioni simili
soltanto
dopo…dopo una non indifferente perdita di sangue, se si
poteva definire così.
Scacciò
quel
pensiero, quel ricordo che minacciava di strapparla da quella
sconosciuta
serenità che la pervadeva. Una, due, tre volte;
sbatté le palpebre,
riacquistando lentamente il dono della vista, mettendo a fuoco due
caldi pozzi
neri sorprendentemente vicini a lei.
Sobbalzò,
ma
qualcosa impedì al suo corpo di allontanarsi da lui, quando
si accorse di
trovarsi accoccolata fra le braccia calde e sicure del suo principe.
Qualcosa
che la spinse soltanto ad alzare il viso, la testa pesante come un
macigno, e a
rivolgere uno sguardo sinceramente allibito al ragazzo che fino a quel
momento
l’aveva cullata, proteggendola dagli incubi.
-Caspian?
Che
cosa…cos’è successo? Stai bene, dove
sono gli altri?- sorrise, il principe,
vedendo gli occhioni blu allargarsi di sorpresa, le guance candide
imporporarsi
di un imbarazzo del tutto inaspettato, adorabile.
-Calma,
una domanda
per volta.- la tranquillizzò, sciogliendo soltanto allora la
presa fin troppo
salda con cui l’aveva stretta a sé,
l’ansia negli occhi e la paura nel cuore.
La vide mordersi la lingua, e non riuscì a trattenere un
secondo sorriso dal
disegnarsi sul proprio volto, dinanzi a quel visetto di solito
così gelido
improvvisamente molto più emotivo.
-Scusami.-
mormorò
lei, stupendo anche sé stessa per la facilità con
cui era in grado di farla
arrossire, di farla reagire come una ragazza normale.
Era fin troppo assurdo, sentire quell’assurdo
battito galoppare nel petto.
Era
fra le sue
braccia, ed intorno a loro non vedeva altro che un piccolo fuocherello
e la
foresta immersa nella notte. Non c’erano i suoi compagni, non
c’era Talia, non
c’era… -Perché Aaron non ti ha ancora
ucciso?- gli chiese, non senza una punta
di apprensione nella voce.
Sentì
il petto di
lui sussultare, il volto abbronzato illuminato dalle tenui fiamme che
guizzavano a poco più di un metro da loro, ed un istante
più tardi vide un
nuovo sorriso, indulgente questa volta, prendere vita su quei
lineamenti
perfetti. Quanto era bello il suo principe, soltanto lei poteva
vederlo…ed era
così tremendamente vicina, un soffio soltanto e avrebbe
potuto sfiorare quel
volto perfetto, affilato, quegli zigomi alti, quelle ciglia
folte…e quelle
labbra…
-Perché
penso di
averti salvato la vita, e questo lo ha convinto a desistere.- furono le
sue
parole tranquille, divertite, a riscuoterla da quell’istante
che l’aveva
lasciata imbambolata a fissarlo, rapita.
Sgranò
gli occhi,
le mani – fino a quel momento abbandonate sul petto del
ragazzo – che si
posavano senza premeditazione sulla gola del giovane, il volto
tranquillo che
accolse serenamente l’espressione allibita di lei.
-Tu…tu
mi hai…-
balbettò Siria, confusa, sconcertata…felice,
immensamente felice di trovarsi lì, di sapere che lui…
Caspian
le sorrise,
accarezzando con tenerezza quella guancia soffice, candida come neve,
levigata
ma allo stesso tempo calda, invitante.
-Eri
svenuta, per
colpa di questa…- scese
a sfiorare
con la punta delle dita la ferita rimarginata sulla spalla della
giovane,
reprimendo a stento un brivido che però avvertì
scuotere il corpo della
ragazza, così vicino al suo. -…ti ho trovata, e
Talia ha potuto curarti.-
-Sei
venuto a
cercarmi?- Siria sembrava incredula di quel dettaglio, più
che di tutto il
resto. Sostenne i suoi occhioni blu senza esitazione, una calda pace
nelle
iridi profondamente nere, due abissi scuri ed ardenti in cui Siria
avrebbe
soltanto desiderato sprofondare, senza più alcun pensiero
che non fosse lui.
-Sì.-
le rispose,
serenamente, sfiorando teneramente la punta del naso di lei col
proprio. La
vide sorridere, imbarazzata e bambina, chiudere gli occhi un istante ed
abbassare appena il volto, arrossita.
-Tu
devi essere
pazzo, principino.- mormorò, ma le sue parole contraddissero
il dolce gesto di
posare la mano bianca su quella di lui, trattenendo il suo tocco
meraviglioso
sulla guancia, sul viso.
-E’
probabile, in
effetti.- commentò lui, con un accenno di risata, il cuore
molto più caldo di fronte
a quella vista tanto meravigliosa. Era così bella, la Siria
che stringeva fra
le braccia, la vera Siria
– quella
che aveva soltanto scorto da lontano, in quei giorni.
Non
c’era più
nessuna maschera, fra loro.
Finalmente
si
trovavano vicini, da soli, senza il terrore di essere scoperti e
nuovamente
separati; finalmente Siria poteva lasciare che quel cuoricino impazzito
rispondesse per lei, finalmente Caspian poteva bearsi di ogni sfumatura
del suo
sorriso, della sua ironia, della risata argentina che, dopo un istante,
riempì
l’aria intorno a loro.
Sentirla
ridere.
Non
avrebbe
desiderato altro, per tutta la vita. Quel suono non avrebbe
più abbandonato la
sua mente, il suo petto, il suo cuore. Durò poco, di sicuro
troppo poco perché
lui ne fosse sazio; ma si ripromise che avrebbe trovato il modo di
sentirla
ridere ancora, di farla ridere di nuovo.
-Sei
venuto a
salvarmi.- commentò lei un istante più tardi,
l’ombra di quella risata ancora
impressa nel visetto. Caspian annuì, serio, sistemandosi
meglio contro il
tronco dell’albero, la ragazza accoccolata sul petto.
-Ti
sembra così
strano?- le chiese, stupito lui stesso da
quell’incredulità. Siria non aveva
ancora capito quanto tenesse a lei?
La
rossa abbassò lo
sguardo, un velo di tristezza che oscurava i suoi occhi.
-Io
non valgo tutto
questo. Io non…non sono abbastanza, non lo merito. Non da
te.- mormorò, ma non
tentò nemmeno stavolta di allontanarsi da lui.
-E
perché?-
allibita, alzò gli occhi, non trovando la minima incrinatura
nell’espressione
serena di Caspian. Premette le dita sulla sua guancia, un gesto
semplice,
spontaneo, mosso dal genuino desiderio di sentire che fosse vero.
-Perché
ti sto
portando alla morte.- sussurrò, piano, confessando quella
colpa nel silenzio
ovattato della foresta.
-Non
tu. Tu stai
provando ad aiutarmi.- le fece notare il ragazzo, con un mezzo sorriso
malandrino che era tutto un programma.
-Tu
sai…?- arrossì
furiosamente, Siria, quando istantaneamente collegò quelle
parole all’unica
persona che potesse averle rivelate al giovane. -…Talia.-
ringhiò, rovesciando
gli occhi al cielo, esasperata.
-Ha
un modo tutto
particolare di dimostrare le sue simpatie, quella ragazza.-
ridacchiò lui,
sicuro che Siria stesse rivolgendo qualche silenzioso, ma colorito
insulto
all’amica.
-E’
unica, sì.-
mormorò lei dopo un attimo, scuotendo appena la testa,
divertita. Ma un istante
più tardi il buio tornò ad aggredire i suoi
occhi, gelandoli di nuovo,
allontanandoli nuovamente dal volto del giovane. -Tu non sai nulla,
Caspian…se
sapessi, non saresti così gentile con me.-
sussurrò, pianissimo, le braccia che
scivolavano dalle spalle di Caspian per serrarsi sul proprio petto,
scostandosi
per quanto possibile dal petto del ragazzo.
Aveva
dimenticato…lei non meritava quel conforto, quel calore.
Doveva smetterla di
illudersi, doveva trattenere quelle emozioni tanto semplici quanto
potenti…sarebbe stato pericoloso, per Caspian, per lei, per
chiunque, se quelle
barriere di ghiaccio si fossero sciolte.
Ma
Caspian la
trattenne a sé, le braccia che scendevano ad allacciarsi
alla vita esile della
ragazza, le mani calde sui suoi fianchi. E Siria non ebbe la forza, il
masochismo, di tentare ancora di separarsi da quel conforto
meraviglioso; si
abbandonò di nuovo sul suo petto, restando però
appallottolata su sé stessa,
gli occhi che si chiudevano nel profumo del principe.
-Io
invece penso
che non può essere nulla di così terribile,
quello che nascondi.- furono le
parole calme del principe, un sorriso enigmatico sul viso alla reazione
incredibilmente docile di lei. Le accarezzò i lunghi capelli
rossi, cullandola
appena contro di sé, protettivo.
-Non
sai di cosa
parli.- la voce di Siria suonò calda e morbida, quasi
trasognata, intenerita da
quelle attenzioni che – lo aveva capito, ormai –
erano in grado di ammorbidirla
molto più di tanto altro.
-E’
vero.- annuì,
premendo quasi inconsciamente le labbra fra i capelli profumati della
giovane,
sentendola rabbrividire. Si separò appena da lei, posando
l’indice sotto al suo
mento sottile, alzandole il volto. Quei due occhioni tormentati,
lucidi,
brillanti sotto le lingue guizzanti del fuoco, si spostarono
imbarazzati nei
suoi, scuotendolo dentro, dentro.
-Ma
so cosa c’è in questi occhi…e in questo
cuore.- aggiunse, dopo un istante,
sfiorando appena le ciglia di lei con la punta delle dita, il palpito
prepotente che vibrava sotto l’altra mano.
-C’è
soltanto il
vuoto.- e vuota pareva anche la sua voce, le iridi che fuggivano
nuovamente da
lui. Caspian scosse appena la testa, sorridendo con una punta
d’esasperazione
nel viso, tanto da attrarre nuovamente quello sguardo complesso nel
proprio.
-C’è
paura, del vuoto.- la corresse, la
guancia bianca che riempiva perfettamente il suo palmo, gli occhi che
ardevano.
-Sei tutto fuorché arida, Sir. C’è
tanto in questi occhi, sono così belli…- la
voce del principe si spense per un istante, perdendosi completamente in
quei
due occhioni immensi, lucidi in quell’attimo soltanto di
qualcosa che sentiva
bruciare anche dentro di sé.
-Qualunque
cosa
sia, non riesce ad intaccarli. Hai mai provato a guardarti dentro? Hai
gli
occhi di una bambina abbandonata, Siria. Se c’è
una cosa di cui sono certo, è
che tu non sei malvagia.-
Inaspettatamente…Siria
sorrise, arrossendo, senza più abbassare lo sguardo di
fronte al suo.
-Non
dirlo a
nessuno. Ho una reputazione da difendere, io.- commentò,
piano, sciogliendo la
stretta sul proprio petto e posando le manine candide sul collo
profumato del
principe, sentendolo morbido, invitante, al tocco delle proprie dita.
-Il
tuo segreto è
al sicuro, con me.- ed i loro volti, a quel sussurro scivolato fra
calde labbra
sorridenti, si avvicinarono ancora un poco, i respiri che si
mischiavano, fuoco
e sale, cannella e rosa canina, uniti in una fragranza del tutto nuova,
mai
sentita davvero. La loro.
Perché
non perdersi,
in quei baratri neri?
Caldi,
vivi,
sicuri, le ricordavano l’abbraccio delle notti di luna nuova,
quelle notti in
cui il suo animo trovava pace, mentre l’astro moriva per poi
rinascere
nuovamente – specchio della fenice ancora dormiente,
latitante sulla terra di
Narnia.
Socchiuse
appena
gli occhi, Siria, senza però abbassare completamente le
palpebre. Sapeva che a
Caspian piacevano i suoi occhi, e non gli avrebbe mai negato quella
vista, non
gli avrebbe tolto la possibilità di scorgere in lei tutto
quello che non aveva
mai nemmeno avuto il coraggio di ammettere, nemmeno a sé
stessa...
Sfiorò
timidamente
la sua guancia, sentendo i polpastrelli punti appena dalla barba non
fatta.
Sorrise, sentendo il viso accendersi di un rossore del tutto nuovo
– adorabile –,
le labbra carnose
invitanti, schiuse, che con dolcezza sfioravano quelle di
lui…
Il
tempo non aveva
più significato, adesso. C’erano soltanto loro
due, il corpo caldo della
ragazza accoccolato fra le sue braccia, i loro volti vicini.
C’era
soltanto quel
timido accenno di bacio, le labbra di Caspian che fremevano per
trascinarla via
con sé, per travolgerla, per farla sua.
Erano
morbide, le
labbra di Siria. Morbide, calde, perfette. Lei
era morbida, lei scatenava reazioni
contrastanti nel suo corpo, travolgendolo con una tempesta di
eccitazione e
desiderio nello stesso istante in cui la dolcezza voleva prendere il
sopravvento, spingerlo a baciarla con tenerezza e stringerla a
sé, senza fare
altro.
Era
così bella…
-E-ehm.-
tanto
Siria quanto Caspian sobbalzarono di botto, allontanando repentinamente
i volti
l’uno dall’altro, quando una sonora schiarita di
voce spezzò il silenzio
ovattato di quel piccolo angolo di foresta.
La
rossa alzò lo
sguardo, sciogliendo le mani che aveva intrecciato sulla nuca del moro;
ed istintivamente
tornò a respirare, distinguendo nel ragazzone sopraggiunto
non la figura del
fratello, bensì quella altrettanto massiccia, molto
più benvenuta, di Caleb.
Si
era quasi
scordata di loro; di lui, di Tara, di Aaron, soltanto Talia
sopravviveva in un
angolo della sua mente, stanca ma serena, tranquilla. La presenza di
Caspian, i
suoi gesti, le sue parole, la sua voce…avevano cancellato
tutto il resto. Tutto
quanto, tranne lui.
-Oh,
ho interrotto
qualcosa? Come mi dispiace.- il sorriso sarcastico e trionfante del
biondo
avrebbe dovuto darle sui nervi; in una situazione normale, gli avrebbe
sicuramente tirato qualcosa, sicuramente quattro pedate nel sedere.
Ma
essere lì,
stretta al petto di un Caspian divertito e assolutamente deciso a non
lasciarla
andare – come se avesse voluto… –,
riusciva a raddolcire parti di lei che
credeva ormai consolidate nel ghiaccio.
-Hai
lo spirito di
un buzzurro, davvero.- commentò soltanto, il viso rosso non
soltanto per il
calore del fuoco. Il biondo si lasciò andare ad una grossa
risata tonante,
raggiungendoli in poche falcate, inginocchiandosi accanto a loro. Una
piccola
parte dell’istinto di Siria, quella non ancora irretita del
tutto dal bel
principe, si accorse dell’assoluta tranquillità
con cui il moro interagiva con
Caleb; evidentemente, mentre lei era fuori gioco – quanto aveva dormito? –, i due
avevano avuto il tempo di
conoscersi, almeno un poco.
-Ringrazia
che non
sia Aaron! Fra un po’ comincerà a fumare, te
l’assicuro, non l’ho mai visto
tanto incazzato.- ridacchiò ancora il biondo, ignaro delle
sue elucubrazioni.
Lei si strinse nelle spalle, sorprendendosi di scoprirsi tanto
indifferente
alla reazione del fratello.
-Gli
passerà.-
commentò, e Caleb non poté che sorridere, nel
vederla nuovamente strusciare il
viso sul collo del principe, intrecciare le sue mani con le proprie, cercarlo. Somigliava ad una gattina, in
quel momento; una piccola, fulva, arruffata gattina fra le braccia di
un
ragazzo innamorato.
Alzò
gli occhi
celesti sul moro, appena in tempo per vedere lo sguardo dolcissimo,
protettivo
ed anche un po’ ebete, che Caspian stava rivolgendo alla
ragazza.
Quei
due erano
terribilmente belli, insieme. Diversi, certo; come il giorno e la
notte, come
il fuoco e l’acqua, come la luce ed il buio. Ma insieme, non
potevano essere
più semplicemente perfetti.
-Mi
dispiace, ma
devo…- mormorò, e Caspian alzò lo
sguardo, annuendo.
-Lo
so, non c’è
problema.- a malincuore, convincendola con un solo sguardo penetrante,
lasciò
che Siria scivolasse delicatamente dal suo abbraccio, porgendo un
istante più
tardi i polsi al ragazzo. Ne fu certo; il lampo negli occhi azzurri di
Caleb fu
di rimorso, quando dovette serrare nuovamente le sue mani nella
trappola delle
corde. Non erano più tanto strette, non sfregavano
più dolorosamente sulla sua
pelle; Cal era molto più delicato di Aaron, nel legarlo.
-Siria?-
mormorò il
biondo, la voce che tradiva il conflitto inferiore in atto nel suo
cuore; non
gli sembrava giusto intrappolarlo, costringerlo a vivere come il
prigioniero
che in effetti era. Ma Aaron era stato irremovibile; poteva anche aver
salvato
sua sorella – e questo, in effetti, poteva benissimo spiegare
l’indulgenza con
cui aveva permesso quella vicinanza –, ma il principino
doveva essere legato,
per sicurezza.
Lei
scosse la testa,
accoccolandosi con una naturalezza sorprendente vicino a Caspian. Lui
sorrise,
di nuovo imbambolato, alzando appena il braccio destro e permettendole
d’insinuarsi nuovamente nel suo abbraccio. Poco mancava che
facesse le fusa,
sogghignò Caleb, divertito.
-Io
resto qui.-
mormorò Siria; mai tre parole furono più inutili.
-Ci
lasci in balia
dell’Aaron furioso, eh? Grazie, bell’amica.-
commentò il biondo ridacchiando,
sfiorando appena la zazzera ribelle della rossa con la punta delle
dita. Vedere
quella piccola peste così serena, così felice,
era un qualcosa di inaspettato;
inaspettato, ma assolutamente splendido. -Fai la brava.- le
sussurrò soltanto,
e dopo uno sguardo amichevole verso Caspian, si alzò in
piedi e sparì
silenziosamente nel bosco, lasciandoli nuovamente soli.
Il
principe di
Telmar sorrise, spegnendo con un calcio le tremule fiamme poco distanti
da
loro. Era stanco, terribilmente stanco; se la testardaggine di volersi
godere
ogni istante insieme a Siria non avesse prevalso, si sarebbe
addormentato già
diversi minuti prima.
La
sentì
accoccolarsi meglio contro di lui, e sorrise, permettendosi di
nascondere il
viso in quel mare rosso in cui si sarebbe volentieri lasciato affogare.
-Mi
togli una
curiosità?- la sentì sussurrare, il respiro dolce
che stuzzicava la pelle
sensibile della sua gola. Nel buio, ogni sensazione era amplificata,
quasi
esagerata; concentrandosi, avrebbe potuto sentire il battito palpitante
del
cuore di Siria.
-Tutto
quello che
vuoi.- le rispose, dolcemente, sentendola rilassarsi contro di
sé.
-So
quello che vuoi
fare per Narnia.- non era una domanda, quella mormorata di lei; la
lasciò
parlare, intuendo che non avesse terminato il discorso. -Sei un
Telmarino…perché vuoi salvare una razza ormai
agli sgoccioli?-
La
risposta gli
salì dal petto, istintiva, spontanea.
-Perché
è giusto.-
replicò fermamente, la voce calda, bassa, ad un millimetro
dall’orecchio di
lei. La sentì muoversi, tremare un istante, le dita
improvvisamente strette
sulla sua casacca; poté quasi vederla serrare gli occhi, il
visetto di nuovo
tormentato, cupo.
-Come
fai a sapere
cosa è giusto, cos’è sbagliato?
Caspian, come fai?- mormorò infatti, la voce
spezzata da un fremito, dalla paura. Perché era
così facile, per tutti,
distinguere quella labile linea fra giusto e sbagliato, quella stessa
linea su
cui lei indugiava da vent’anni? -Come fai a pensare che
salvarmi, oggi, sia
stata la cosa giusta?- non riuscì a soffocare quella
domanda, quelle parole che
rimbombavano nel suo petto da quando si era svegliata.
Avvertì
il calore
della mano di lui, per quanto possibile, posarsi sulla propria guancia.
Le alzò
il volto, ed il respiro caldo di lui tornò ad inebriarla, ad
accarezzarle il
viso, le labbra.
-Me
lo ha detto il
mio cuore.- Caspian non poté vederla arrossire, per fortuna.
-Il
tuo cuore
dovrebbe dar retta al cervello, ogni tanto.- commentò,
sussurrando, sentendo
però il proprio di cuore accelerare bruscamente.
-E
il tuo dovrebbe
smettere di farlo, invece.- le fece notare il principe, una risata
serena che
scuoteva per un istante il suo petto. -Siria, se ho fatto davvero una
cosa
giusta ultimamente è stata proprio prenderti fra le braccia
e portarti da
Talia, questa mattina. Non penso ti sarei sopravvissuto.-
Per
fortuna, per
fortuna non poteva vedere i livelli di rossore che stava raggiungendo
il suo
viso.
-Mao.-
mugolò,
affondando repentinamente il viso nel collo di lui, strusciando il viso
sulla
sua pelle.
-Miagoli,
adesso?-
ridacchiò lui, lasciando che la sua testa trovasse
l’incavo della sua spalla,
posando il mento fra i suoi capelli.
-Mao.-
fu l’assonnata
risposta di Siria, gli occhi che si chiudevano appena, la stanchezza
che tornava
prepotente a farsi sentire.
Caspian
sorrise; un
sorriso che illuminò, per qualche istante, il buio della
notte.
-Buonanotte,
gattina.-
-Buonanotte,
principino.-
.
.
.
.
.
.
My Space:
mi sono fatta perdonare, con questo capitolo? Shi? ^______^
Commentino? Commentinocommentinocommentino? *occhi da cucciolo
bastonato*
Erano
passati
diversi giorni, ormai. La temperatura era sempre più calda,
afosa, il sole non
concedeva la minima pietà a quel bizzarro gruppo di
viandanti, la marcia
sostenuta e costretta a cui Aaron li costringeva tutti stava seriamente
mettendo a dura prova la pazienza di Talia.
Aveva
discusso, con
lui; ricordava bene la lite furibonda avuta con il rosso, mentre Siria
e
Caspian, finalmente, si godevano un po’ di tempo soltanto per
loro.
-Tu
non sei sua sorella! Sto soltanto cercando di
proteggerla!-
-Allora
lasciala amare! Lascia che si renda conto che
non è un mostro, Aaron!-
-Non lui!
La sta soltanto usando, non lo vedi
nemmeno tu?-
-Sei TU
ad essere cieco, Aaron! L’ha
salvata!
L’ha riportata indietro, invece di scappare!-
-Gliene
sarò eternamente debitore, ma la cosa non
cambia, se lasciamo andare lui siamo condannati a morte tutti quanti.-
Aaron
aveva anche
ragione, sotto un certo punto di vista. Se avessero lasciato andare
Caspian – e
con lui, probabilmente, Siria – si sarebbero trovati alle
calcagna un quarto
dell’immenso esercito di Miraz, sarebbero dovuti scappare
come conigli in
trappola, tacciati di aver tradito la grande
e giusta corona di Telmar.
Caspian
però
rendeva felice Siria. Li vedeva, li osservava scambiarsi sguardi, mezze
parole
e palpitanti sorrisi; non riuscivano più a starsi lontani, e
Siria non sarebbe
certo stata contenta, nel momento in cui sarebbero entrati a Telmar.
Troppi
equilibri,
troppi equilibrismi.
Lasciarli
andare
via, ridursi alla macchia, o salvare sé stessi e condannare
quel piccolo,
insperato, prepotente amore nascente?
Talia
sospirò,
massaggiandosi le tempie. Si erano accampati, vicino ad un laghetto
questa
volta: Aaron sonnecchiava, Caleb montava la guardia mentre Tara
affilava il suo
piccolo pugnale. Caspian, invece, continuava a guardarsi intorno
agitato,
preoccupato: Siria era sparita da circa mezz’ora, senza dire
nulla a nessuno…e già il
principino diventa ansioso,
costatò l’elfa, divertita.
Bene.
Doveva
fare
qualcosa.
Si
alzò silenziosamente
in piedi, facendo cenno al ragazzo di imitarla. Caspian, i polsi legati
ma non
più assicurati a qualcosa di immobile, la guardò
un istante con la confusione
scritta nel volto, prima di obbedire ed alzarsi in piedi, le gambe
doloranti
per le lunghe ore di marcia sostenuta a cui si stavano costringendo.
La
mora mosse
appena la testa, senza pronunciare alcunché: Caleb seguiva
ogni suo movimento
con un mezzo sorriso divertito sul volto, Tara nemmeno vi faceva caso.
Ma il
ragazzone pareva ipnotizzato dalla figura esile e minuta della
mezzelfa, dai
bagliori del fuoco in quei vigili ed attenti occhi scuri, del riflesso
ambrato
della sua pelle illuminata dalle fiamme.
Gli
rivolse
soltanto un occhiolino, Talia, sentendosi avvampare sotto il suo
sguardo
adorante. Avrebbe dovuto smetterla, Caleb, di guardarla
così. Faceva agitare
qualcosa sotto la sua pelle, nel suo petto, ed era una sensazione che
Talia non
conosceva – che la spaventava, ma allo stesso tempo la
emozionava come una
bambina dinanzi ad un regalo.
Caspian
la seguì in
silenzio, cercando di non fare il minimo rumore; Aaron dormiva, ed era
tutto
fuorché ansioso di svegliarlo e sorbirsi le sue occhiatacce,
il suo disappunto,
la sua gelosia tutta fraterna.
-Talia…?-
la
chiamò, dopo una manciata di secondi di marcia, confuso.
Distinse fra gli
alberi il bagliore del riflesso della Luna sull’acqua, e
comprese di trovarsi
vicino al laghetto nominato poco prima da Caleb.
Con
uno dei suoi
movimenti impossibili, Talia apparve alle sue spalle, sorridendo.
-Lavati.
Non so se
te ne sei accorto, ma puzzi parecchio, principino.- gli fece notare, e
con uno
schiocco le corde che bloccavano i suoi polsi caddero a terra,
spezzate. Il principe
scosse la testa, divertito, passandosi una mano fra i capelli e
voltandosi a
guardarla.
-Ma
quanto sei
gentile.- commentò, ironico, soppesando il sogghigno
decisamente poco
rassicurante dell’elfa. Aveva sicuramente in mente qualcosa,
oramai aveva
imparato un minimo a conoscerla.
-Vero?
Sono un
mostro di delicatezza.- fu la risposta criptica e divertita di Talia,
un
sopracciglio inarcato e l’espressione ironica sul visetto
affilato.
-Non
farmi
commentare.- ridacchiò il ragazzo, massaggiandosi lentamente
i polsi
intorpiditi, doloranti.
La
risata di Talia
fu l’ultima cosa che riuscì ad udire, prima che la
sua figuretta minuta
scomparisse, portando via con sé il suono gorgogliante delle
sue risate.
Scosse
nuovamente
la testa, socchiudendo gli occhi, sorridendo fra sé. Quella
ragazza cominciava
seriamente a stargli simpatica, come del resto anche Caleb; non sarebbe
dovuto
succedere, non avrebbe mai immaginato di potersi affezionare a due
persone che
lo stavano molto controvoglia conducendo a morte certa.
Del
resto…non si
sarebbe nemmeno dovuto invaghire di Siria.
No,
gli suggerì quella vocina fastidiosa nella sua mente.
“Invaghito” non era la parola più
giusta, non calzava al sentimento che provava
per la bella, tormentata, enigmatica rossa che non riusciva a smettere
di
rivedere dinanzi ai propri occhi.
Dipendente.
No, non era malsano ciò che sentiva.
Malato.
Eppure, avrebbe potuto morire di lei, e
nessuna fine sarebbe stata più bella…
Innamorato.
Ecco.
Quella,
forse, era
la parola più giusta.
Sospirò,
liberandosi della casacca e dei pantaloni con un gesto stanco,
distratto;
nemmeno si accorse del gelo di quell’acqua trasparente,
quando s’immerse fra i
flutti che accolsero immediatamente le sue membra stanche,
restituendovi
vigore. Si sentì immediatamente meno confuso, meno stanco:
l’acqua fredda aveva
quel portentoso effetto, su di lui. Fin da bambino, aveva preferito
giocare
nelle acqua limpide delle fontane del castello, piuttosto che nelle
sontuose
vasche da bagno preparate dalle nutrici…
Chiuse
gli occhi,
immergendosi fino alle spalle, lasciando liberi i pensieri di vagare
sulla sua
bella raminga.
.
.
.
Siria
chiuse gli
occhi, lasciando che l’acqua scivolasse lenta e carezzevole
lungo il suo corpo
nudo, flessuoso, immerso nell’acqua limpida fino al ventre.
Portò le dita agili
alla propria nuca, sciogliendo il nodo in cui aveva trattenuto i
capelli fino a
quell’istante.
Scivolarono
morbidi
lungo la sua schiena, subito catturati dai lievi flutti della
cascatella;
scesero delicati lungo la schiena, velando di striature infuocate la
sua pelle,
altrimenti candida, fino alle natiche sode, fino alle cosce.
Si
era separata
dagli altri per concedersi un’oretta di riflessione, di pace
in solitudine. L’acqua
fredda della cascata portava via con sé le ultime tracce di
sangue lasciate
dalla ferita oramai rimarginata, il sudore, l’angoscia. E,
purtroppo, anche la
presenza di Caspian.
Sospirò,
chinando
il capo in avanti, le lunghe ciocche ramate che scivolavano ad
accarezzarle il
seno nudo, velandolo di rosso. L’acqua scorreva copiosa sul
suo volto,
disegnando alla perfezione i suoi lineamenti esotici, felini; sfiorava
le
palpebre chiuse, intumidiva le labbra rosse.
Caspian.
I
suoi pugni, fino
a quell’istante abbandonati lungo i fianchi soffici, si
strinsero.
L’espressione insolitamente serena si contrasse, facendosi
istantaneamente
ansiosa, preoccupata; stanca.
Era
confusa.
…
No.
Non era semplicemente confusa.
Era
terribilmente,
maledettamente, completamente innamorata.
L’acqua
disegnava
pietosa sul suo volto quelle lacrime di frustrazione che
l’orgoglio le impediva
di piangere, mentre il sanguigno cupo dei suoi capelli cadeva a
macchiarle le
guance perlacee, la fronte, la bocca carnosa.
Non
è possibile.
Non
può succedere. Non a me, non a lui.
Caspian…
Non
riusciva a
smettere di pensarlo. Non ci riusciva, era più forte di lei,
gli occhi neri e
ardenti del principe di Telmar erano impressi a fuoco nella sua anima
inquieta,
nella sua mente, nel suo stesso respiro.
Il
ricordo del
sapore forte delle sue labbra non la abbandonava mai;
l’irruenza delle loro
bocche l’una nell’altra, il tocco deciso di quelle
bellissime mani sul corpo…
Un
brivido caldo la
percorse, dandole la pelle d’oca. Poteva quasi sentire ancora
le dita che
sfioravano le sue gambe, i suoi fianchi, il suo viso…
Il
fuoco sotto la
sua pelle, quel fuoco lontano eppure onnipresente, divampò
improvvisamente più
forte, irradiandosi nel suo corpo con decisione, languendo poi eccitato
nel suo
sangue.
Siria
sospirò,
irritata dalle sue stesse reazioni, dai suoi stessi pensieri.
Non
aveva mai, mai provato nulla di
simile per un uomo.
Non
si era mai
preoccupata per qualcuno che non appartenesse a quella stretta cerchia
di
persone che chiamava famiglia.
Aaron,
Talia, Caleb, Tara e la ninfa…verso di loro era semplice
provare affetto,
preoccuparsi per la loro incolumità, desiderare di
proteggerli fino all’ultimo
respiro…
Eppure,
e non
capiva come, Caspian sembrava aver prepotentemente scavato un proprio
posto in
quella nicchia ristretta del suo cuore spaventato.
Sì.
Aveva paura,
Siria, l’indomata raminga di Narnia.
Una
tremenda,
incredibile paura che a Caspian succedesse qualcosa, un terrore che
attanagliava il suo petto già freddo in una morsa senza
fine…
-Cosa
mi stai
facendo, principino?- mormorò fra sé, scuotendo
appena il bel capino fradicio.
Un
fruscio nell’acqua.
Il
fine udito di
Siria si allertò all’istante, quando un lieve
rumore di acqua smossa la
raggiunse, facendola sobbalzare.
C’era
qualcuno.
Persa
com’era nei
suoi pensieri, non si era accorta della presenza di qualcun
altro…ed ora, a
giudicare dalla vicinanza del rumore quasi inudibile sotto lo
scrosciare della
cascata, era a meno di un metro da lei.
D’istinto,
le sue
dita si allacciarono all’elsa del pugnale
d’argento, dalla lama ricurva e
affilata, che aveva in precedenza posato sulle rocce di fronte a lei.
Non se ne
separava mai; non era mai completamente disarmata, la mercenaria.
Ogni
singolo
muscolo del suo corpo si tese, quando la mano armata salì a
proteggerle la
gola; tutti i sensi erano all’erta, il respiro talmente
flebile da sembrare
fermo.
Era
lì, vicinissimo
a lei, nuda e vulnerabile sotto l’acqua scrosciante della
cascata…
Tre…
Due…
Uno.
.
L’acqua
schizzò la
lama d’argento, quando sibilò rapida e mortale
verso la gola dello sconosciuto
alle sue spalle.
Ma
gli occhi blu
mare di Siria sgranarono improvvisamente, quando sottili dita
incredibilmente
forti si serrarono intorno al suo polso, fermandola appena prima che
riuscisse
ad affondare.
La
lama era
immobile, ora.
Ferma,
immota a
pochi centimetri da una gola maschile, sensuale…perfetta.
Il
cuore della
rossa sobbalzò; letteralmente, sussultò nel suo
petto, dandole un capogiro,
quando alzando stupefatta lo sguardo, le sue iridi chiare si persero in
due
ardenti carboni color pece.
Caspian.
Le
sue guance
candide avvamparono di botto, quando lo riconobbe.
Caspian
era lì, a
poco più di una spanna dal suo corpo nudo.
Il
suo sguardo era
penetrante, indecifrabile, affondava in lei con una prepotenza che
Siria non
aveva mai subito, mai provato, scatenando un brivido che percorse il
suo corpo
dalla nuca, ai piedi.
Il
suo calore, la sua
stessa presenza…parvero riscaldare l’acqua fredda
che scrosciava alle sue
spalle, mentre la sua pelle sembrava prendere fuoco, il volto acceso da
un
imbarazzo mai provato prima.
La
nudità non
l’aveva mai imbarazzata…eppure, di fronte a quelle
iridi profonde e scaltre
come non ne aveva mai incontrate, provò
l’improvviso desiderio di coprirsi,
immerita di essere guardata da lui, imperfetta,
sbagliata, un errore terribile che viveva per puro dispetto.
Deglutì,
la
ragazza, il respiro corto, l’espressione allarmata e confusa.
Cosa…cosa
ci fai qui?
Perché
sei qui, Caspian?
Vai
via…stammi lontano…ti prego…
Non
costringermi, ti scongiuro, vattene.
Era
immobile, il
suo polso serrato nella mano. Le labbra rosee e allungate nel suo volto
erano
appena schiuse, il viso levigato accarezzato dalle gocce
d’acqua che
schizzavano, come invisibili dita d’amanti, dalla cascata.
Sussultò,
Siria,
quando si accorse che nulla velava il torace del ragazzo dinanzi a lei.
Nulla.
Sentì
il fiato
mozzarsi, quando i suoi occhi scesero irreversibilmente sul petto del
giovane
principe. Il corpo di Caspian era slanciato, alto e snello, i pettorali
ampi e
scolpiti nella sua pelle chiara, le spalle grandi e nodose, le braccia
dai
muscoli affusolati in tensione, il ventre appena scolpito.
Avvertì
un
languore, fra le labbra, quando, nella penombra regalata dalla luce
della Luna,
distinse le linee marcate del suo torace, dei fianchi asciutti. Avrebbe
voluto
sfiorarlo, baciare ogni singolo millimetro di quel corpo che non poteva
definire diversamente che perfetto,
raggiungere la marcata linea dell’inguine che spariva oltre
l’acqua
cristallina, trasparente…
Siria
rialzò repentinamente
lo sguardo, richiamata come un magnete dal suo opposto, da quelle pozze
nere,
da quegli sprazzi d’universo ardente.
Sentiva
quegli
occhi trafiggerla, attraversarla…mai, mai nessuno
l’aveva guardata come faceva
lui.
Desiderava
soltanto
che quegli occhi non si spostassero mai, che continuassero a bearsi di
ogni
singolo dettaglio di lei, a farla sentire desiderata,
bramata come mai prima d’allora, come se non fosse la feccia
che era ma
qualcosa di bello, di desiderabile…qualcosa, qualcuno, da amare.
Nessuno
dei due
pareva voler spezzare quell’attimo, il cristallino silenzio
spezzato soltanto
dagli educati, sommessi zampilli della cascata.
Eppure,
entrambi
bramavano di affondare le dita fra i capelli dell’altro, di
sfiorarsi a
vicenda, di trovare, finalmente, sé
stessi…
Caspian
allentò
delicatamente la presa sul polso della giovane, senza abbandonare
nemmeno per
un istante quei due specchi blu, illuminati dal riflesso della Luna,
alta nel
cielo.
Era…era
bellissima.
I
capelli bagnati
avvolgevano tutto il suo corpo, velandolo appena dal suo sguardo.
Scendevano
sinuosi sulle spalle sottili, sulla scollatura, aderivano perfettamente
ai seni
bianchi ed invitanti a poco più di qualche centimetro dal
suo petto,
accarezzandola poi sinuosi sul ventre morbido, sui fianchi che
attendevano
soltanto di essere stretti dalle sue mani…
Ed
il volto, il
volto di lei lo aveva stregato.
Quei
lineamenti affilati, eppure allo stesso tempo morbidi e delicati, erano
diventati una droga, un’ossessione da cui non poteva
– non voleva –
più fuggire…così come gli occhi, quei
due baratri
cacofonia di una miriade di emozioni diverse, che spaventati, paurosi,
speranzosi,
lo guardavano.
Lentamente,
le sue
dita abbandonarono il polso di Siria, che rimase immobile, la mano
ancora
armata adagiata nell’aria.
Sfiorando
appena la
sua pelle, lasciò scivolare le dita sul suo palmo,
avvolgendole intorno
all’elsa del pugnale. Siria non reagì nemmeno, gli
occhioni ancora perdutamente
abbandonati in quelli del principe, quando le sfilarono
l’arma dalla mano,
disarmandola.
L’istante
più tardi,
avvertì nelle orecchie il suono attutito del metallo caduto
in acqua.
Nuda.
Ecco
come si
sentiva adesso.
Nuda,
completamente
priva anche dell’ultima, magra difesa ersa intorno al suo
cuore impazzito.
Caspian
intrecciò
le dita alle sue, le palpebre che non osavano spezzare il loro sguardo,
le mani
ruvide, eppure incredibilmente soffici ed eleganti. Stordita, Siria
lasciò che
guidasse la sua mano sul proprio petto…là, dove
batteva il suo cuore.
Sgranò
gli occhi,
spostandoli repentinamente sulla pelle chiara del giovane.
Là, sotto le dita,
poteva sentire un battito prepotente, rapido, lo avvertiva come se
fosse parte
di sé, come se fra la mano del principe e il suo torace non
vi fosse altro che
una sua parte…lei.
Avvertì
il proprio
cuore assumere gradualmente lo stesso ritmo, accordandosi alle
pulsazioni
rapide ed emozionate del principe. Quel principe che dinanzi a lei non
voleva
scappare, che era lì non per qualche malia, per qualche
giochetto di sguardi e
sensualità…che era lì per lei.
Non
avrebbe mai
pensato di poter essere così importante per
qualcuno…non tanto da far
accelerare un cuore in quel modo.
Dolcemente,
l’altra
mano del principe le sfiorò il fianco, sentendola fresca e
morbida, umida sotto
le dita. La avvicinò a sé con dolcezza, lasciando
che i loro corpi, nudi, si
sfiorassero appena. Timidi, esitanti, ma allo stesso tempo frementi
d’attesa,
quell’attesa durata per due vite, due strade destinate a
intrecciarsi.
Uno
di fronte
all’altra, l’acqua che scivolava improvvisamente
silenziosa su di loro.
.
Blu
contro nero.
Mare
contro onice.
Ghiaccio
contro carbone.
.
Fu
il gesto più
semplice, ma allo stesso tempo il più difficile della sua
giovane vita, chinare
il volto su di lei, il respiro delizioso della ragazza che si mischiava
al
proprio, e posare le labbra trepidanti sulle sue.
Gli
occhioni di
Siria sgranarono, a quel gesto.
Caspian…Caspian
la
stava baciando.
Caspian
era lì,
Caspian la sfiorava, Caspian la stringeva…
Ma
il terrore era
prepotente, troppo prepotente. Quelle labbra erano soffici, calde,
premevano
sulle sue con una dolcezza mai provata…ma temeva, Siria, che
quell’istante potesse
spezzarsi, che il suo cuore, quel cuore che batteva forsennato nel suo
petto,
rischiasse di essere frantumato per l’ultima volta…
Aveva
paura.
Paura
di toccarlo,
paura di ricambiare quel bacio delicato che non aveva davvero
assaporato
appieno…aveva paura di amarlo, e di lasciarsi amare.
Rimase
immobile,
rimase passiva, soltanto le palpebre si abbassarono lente, celando il
fuoco
trattenuto nelle sue iridi.
Ma
quel bacio,
quella dolcezza, non si fermò.
Caspian
comprese la
sua esitazione, il fremito che aveva attraversato il suo corpo.
Avvertì le sue
dita stringersi sul suo petto, senza allontanarlo, tremando di quel
terrore che
era riuscito a scorgere in lei.
Era
spaventata…riuscì a capirlo in quello stesso
istante, quando l’altra mano della
ragazza cercò la sua, avvertendo le labbra tremare, appena
schiuse…
Siria,
non temere…Siria guardami, sono io, sono
Caspian, non ti farò del male.
Se
Siria fosse
scappata, se avesse ceduto alla paura…
Ho
paura Caspian…ho paura di quello che mi stai
facendo…
Quanto,
quanto avrebbe desiderato fuggire,
allontanarsi da lui e da quella bocca che bruciava sulla sua, invitante
e
proibita. Lei non poteva, lei non amava, lei era destinata a morire il
più
presto possibile…
Ed
eccola,
finalmente, quella risposta che il principe tanto aspettava.
Le
dita affusolate
di Siria risalirono con decisione il suo petto, affondando fra i
capelli
bagnati sulla sua nuca, provocandogli un intenso brivido di piacere
lungo la
spina dorsale. Le labbra invitanti della rossa si schiusero appena, la
lingua
timida che sfiorava, cercava, assaporava quelle di lui.
Soltanto
Caspian
sapeva quanto le fosse costato, quel gesto. Lasciarsi
andare…abbandonarsi a
lui…
Sorrise,
il
principe, inclinando con dolcezza il capo e lasciandosi completamente
travolgere da quella bocca, da quel profumo, da quel respiro.
Allacciò
fermamente
le mani intorno alla vita nuda di lei, stringendola a sé,
lasciando che
dolcemente i loro corpi s’incontrassero, si premessero
l’uno sull’altro.
E
per ogni curva,
per ogni rotondità di lei, c’era un angolo di lui.
Le
lingue giocano, le lingue danzano.
Caspian
lasciò
scorrere le mani sulla schiena della ragazza, fra i capelli rossi,
fradici, scendendo
lentamente, coi polpastrelli, lungo la spina dorsale ben marcata,
definita. La
toccava con dolcezza, con rispetto, con infinito desiderio di far suo
ogni
millimetro di quel corpo, di quel cuore, di quell’anima.
E
Siria non poté
far altro che lasciarsi trascinare via, abbandonandosi completamente
nel calore
di quelle braccia.
Sentiva
la linea nodosa
delle spalle delinearsi sotto le dita candide, i capelli scuri
accarezzarle il
dorso delle mani, il torace nudo premere sui seni…
Il
bacio si spezzò
improvvisamente, i respiri corti, affannati, i polmoni in fiamme, gli
occhi che
si cercavano.
Ed
erano luminosi,
rapiti, gli occhi di lei; perduti, in quei baratri neri ed infuocati.
Siria lo
guardava come non aveva mai fatto, come non aveva mai adorato
– non c’era altra definizione possibile –
nessun altro
nella sua vita. C’era soltanto amore, in quegli occhi
enigmatici. Passione,
sentimento, desiderio…desiderio di appartenergli, di essere
sua.
Soltanto,
solamente, sua.
Un
lieve sorriso
comparve sulle labbra di Caspian, un sorriso imbambolato, completamente
ammaliato da ciò che riusciva a distinguere in quei due
frammenti d’oceano. Le
scostò delicatamente una ciocca di capelli dalla guancia,
raccogliendoli dietro
l’orecchio candido, soffice.
Siria
inclinò
appena il capo, seguendo l’onda della sua carezza, gli
zampilli argentati della
cascata che creavano sulle loro pelli strani giochi di luce e di ombra,
giocando con i raggi della Luna che fendevano il cristallo trasparente
dell’acqua limpida.
Fu
lei a
sorridergli di rimando, il cuore che palpitava nel suo petto. Fu lei ad
accarezzargli il volto, avvicinandosi di nuovo, lasciando che le loro
bocche si
trovassero ancora.
Nuovi
sospiri
riempirono il silenzio ovattato della cascatella, quando a quel nuovo
bacio ne
seguirono altri, molti altri.
Le
mani si cercano, i corpi si trovano.
Un
nuovo brivido
attraversò il corpo del principe, quando il viso della rossa
si nascose
repentinamente nell’incavo del suo collo. Quelle
labbra…quelle labbra potevano
farlo impazzire, percorrevano con una lentezza esasperante le linee
marcate
della sua gola, catturando il pomo d’Adamo in un bacio
più pressante, una
dolcezza mai vissuta in ogni singolo gesto.
Il
suo respiro si
fece irregolare, più rapido. Premette la guancia contro la
tempia della
ragazza, affondando le dita fra i suoi capelli, chiudendo gli occhi e
lasciandole completa libertà in quel punto estremamente
sensibile.
Siria
chiuse gli
occhi, abbandonando il viso in quel rifugio caldo, sicuro, perfetto.
Non si
sarebbe più mossa da quel punto, si disse, premendo la
fronte contro la pelle
calda e soffice della gola del principe, lasciando una miriade di
piccoli baci
su quel collo perfetto. Avrebbe combattuto strenuamente, avrebbe fatto
qualsiasi cosa.
Ma
non si sarebbe
più separata da lui.
-Ti
fidi di me?- il
sussurro di Caspian la fece sobbalzare, il respiro caldo che
solleticava il suo
orecchio.
Alzò
lo sguardo,
rabbrividendo per l’ennesima volta sotto quello sguardo
scuro, caldo, denso di
sentimenti che non avrebbe mai potuto sperare di scorgervi.
Si
fidava di lui?
Lei, che mai nella sua vita si era data incondizionatamente a qualcuno,
donando
la propria fiducia e il proprio cuore, lasciandosi scoprire fino a
quell’anima
che non credeva di possedere più?
La
risposta era
una. Una soltanto.
Semplicemente,
sorridendo appena, annuì.
Ed
il suo sorriso
si riflesse istantaneamente sul viso di Caspian, che chinò
ancora una volta il
viso su quello di lei, lasciando che in quello spazio nullo fra loro si
consumasse un nuovo, dolcissimo bacio.
Senza
che lei se ne
accorgesse, rapita com’era dalle sue labbra,
lasciò scivolare una mano lungo il
suo corpo, sotto le ginocchia, prendendola in braccio
prim’ancora di capire lui
stesso ciò che stava facendo.
Una
sensazione mai
provata, uno sconosciuto calore nel petto, il cuore che batteva forte.
Lì,
fra le sue
braccia, per la prima volta nella sua vita, Siria si sentì
al sicuro.
Si
aggrappò alle
sue spalle, circondandogli la schiena in un abbraccio spaventato,
stretto,
gelato; affondò il volto nell’incavo del suo
petto, rannicchiandovisi contro
come una bambina terrorizzata…come la donna sola che era.
Sorrise,
Caspian,
stringendola con più forza al proprio corpo, inclinando
appena la testa per
permetterle di seppellire il volto nella sua spalla, posando con
delicatezza le
labbra sulla sua guancia levigata, candida. Gli occhi socchiusi, il
sorriso indulgente
sul volto, nell’avvertire la sua pelle ardere improvvisamente.
Soffice.
Non
avrebbe mai
nemmeno sognato di poter assaporare quella morbidezza sotto il suo
tocco, quel
profumo di selvatico e di fuoco, quella fiamma che languiva eccitata
nel sangue
di entrambi, quel rogo che minacciava di distruggerli, di bruciarli in
una
passione fin troppo trattenuta.
Chiuse
gli occhi,
Siria, soltanto per un istante. Il profumo di Caspian le entrava nella
mente,
la accarezzava, la riempiva come mai nulla era riuscito a
fare…
L’odore
dell’erba
alta si mischiò lentamente a quella fragranza, quando i
delicati fili
verdeggianti accarezzarono la sua schiena, solleticandola.
Riaprì gli occhi,
sorpresa, desiderando di vedere dove l’aveva portata, il
corpo che si adagiava lentamente
sulla terra. Ma il volto di Caspian catturò immediatamente
la sua attenzione, a
pochi palmi di distanza dal suo, gli occhi neri ardenti del fuoco che
bruciava
nelle sue vene.
I
capelli rossi
erano sparsi sull’erba, un mare di fuoco in cui affondare,
annegare; quegli
occhioni si spostarono nei suoi, lucidi, belli, vivi come non li aveva
mai
visti.
Non
servirono
parole, non servì nulla. Semplicemente, le sorrise,
lasciando che le loro dita
s’intrecciassero, e Siria lo traesse a sé.
Fu
quando le loro
labbra si trovarono ancora, ed il suo corpo snello si adagiò
su quello sinuoso
di Siria, che Caspian comprese che non avrebbe più potuto
fare a meno di lei.
Non
erano più
esitanti, le loro bocche; si schiusero naturalmente, come se fosse un
qualcosa
di conosciuto, di amato, di aspettato, le lingue che andavano a
cercarsi
freneticamente, bramose.
Non
più un
pensiero, non più una paura.
Dita
che affondavano fra crini scuri, occhi neri che si
schiudevano appena, trovando il proprio riflesso in frammenti di mare.
Siria
sorrise,
lievemente, sentendosi andare a fuoco sotto di lui. Era tutto
così perfetto…era
tutto semplicemente perfetto.
Lo
baciò ancora,
ancora ed ancora, quando le loro bocche dovettero lasciarsi in cerca di
ossigeno. Baciò quel sorriso che sentiva nascere sul volto
del ragazzo, le dita
affusolate che accarezzavano la sua nuca, portandola ancor
più verso di sé,
baciò quelle labbra da cui sentiva di dipendere, drogata
dalla pace e dal
desiderio che scatenavano nel suo cuore.
Più
bramoso di lei,
Caspian le spinse nuovamente la lingua fra le labbra, baciandola con
impeto,
con forza. Lasciò scivolare le dita lungo il suo collo,
sulla spalla morbida,
sulla clavicola ben esposta; avrebbe voluto baciare ogni singolo
millimetro di
quel corpo pieno di curve, amarle, venerarle, udire nelle orecchie i
sospiri
innamorati di lei…
L’ennesimo
bacio si
spezzò nuovamente, quando la bocca del principe scese sulla
sua gola, lambendo
quello stesso segno ancora vivido che lui stesso aveva lasciato. Vi
passò la
lingua con dolcezza, le labbra, vezzeggiando quel marchio che aveva
osato
martoriare la pelle di panna di Siria, avvertendo le dita di lei
stringersi fra
i suoi capelli – un tocco afrodisiaco, che lo spinse a
scendere ancora di più,
appropriandosi di quella clavicola che aveva accarezzato, sentendo
Siria
fremere.
Fu
il sospiro che
sfuggì dalle labbra rosee della ragazza, il suo volto
sereno, docile,
completamente fiducioso, a spezzare anche l’ultima barriera
che lo tratteneva.
La
baciò di nuovo
sulle labbra, e ancora, e ancora, percorrendone ogni millimetro,
sentendo lei
rispondergli con eguale desiderio. E quelle curve si modellavano sotto
di lui,
soltanto per lui, le dita che delicate, ma allo stesso tempo esigenti,
ne
percorrevano ogni millimetro.
Affondò
la bocca
sul suo seno, nello stesso istante in cui la mano si chiudeva
sull’altro.
La
schiena di Sir
s’inarcò improvvisamente, quando la sua lingua la
sfiorò con delicatezza,
facendo suo il sapore di quella pelle morbida, terribilmente calda,
invitante.
Sentì il suo bacino muoversi verso il proprio, ed
inconsciamente rispose a quel
gesto, spingendosi e lasciando che le loro intimità nude, ma
non ancora unite,
si premessero l’una sull’altra.
-Caspian…-
un
mugolio le sfuggì, quando si sentì
così vicina a lui, quando avvertì tangibile
il suo desiderio. Avrebbe potuto prenderla subito, soddisfacendo la
brama del
proprio corpo…ed invece la stava vezzeggiando, stava
lentamente lasciando che
la sua mente si scollegasse, impazzisse del tutto, annegata in quel
bisogno sempre
più martellante di appartenergli.
-Caspian…-
un sussurro ancora
più
strozzato, gli occhi serrati, le unghie che graffiavano la schiena del
ragazzo;
dita perse nella sua pelle più nascosta, fra curve che
appartenevano soltanto a
lei, sfiorando quell’anima che credeva di non possedere
più. Era pronta,
aspettava soltanto che Caspian la rendesse sua, sua come non era mai
appartenuta a nessuno.
Aveva
avuto tanti
amanti; non era un segreto, per nessuno. Ma ciò che nemmeno
suo fratello o
Talia sapevano, che soltanto Caleb aveva intuito, era che Siria si era
sempre
lasciata soddisfare, e soddisfacendo a sua volta, senza lasciarsi
prendere.
Ma
in
quell’istante…in quel momento, seppe che non
sarebbe mai appartenutaa
nessun altro. Seppe che il suo corpo ed il
suo cuore erano già di Caspian, così
com’era ben conscia che quel battito
forsennato nel petto di lui – quel petto che accarezzava, che
vezzeggiava, che
venerava con carezze di una dolcezza mai cercata – era
soltanto per lei.
Si
era sempre
considerata un errore…ma
in quel
momento, comprese che, per lui, era semplicemente perfetta.
Caspian
alzò il
volto, guardandola sospirare per lui, soltanto per lui; gli occhioni
blu erano
dischiusi, lo cercavano, lo guardavano con una luce che non aveva mai
scorto in
nessuno…quella stessa luce che avvertiva ardere nei propri.
-Siria…-
mormorò,
pianissimo, baciandola ancora a fior di labbra. Avrebbe ripetuto il suo
nome
per sempre, per ogni singolo secondo in cui il suo cuore avrebbe
battuto forte
come in quell’attimo, innamorato come in quel momento.
Le
loro labbra si
sciolsero in un bacio lungo, appassionato, coinvolgente, la pelle di
lei che
avvampava sotto le dita che, sapienti, l’accarezzavano.
Coglievano un fiore,
quelle dita sottili. Un fiore che lentamente si schiudeva nel ventre
della
giovane, un fiore scarlatto che soltanto lui poteva cogliere,
assaporare.
Gli
occhioni blu
tornarono a guardarlo, gemme splendenti nel cuore della notte, mentre
lentamente permetteva ai loro corpi di diventare uno soltanto.
Caspian
avvertì un
violento fremito attraversarla, vide gli occhioni serrarsi
improvvisamente.
Tremava.
Tremava,
ma non di
freddo.
Si
mosse lento, fin
troppo, avvertendo il suo corpo fremere spaventato nel sentirsi unire
al suo.
Soltanto quando avvertì una resistenza improvvisa, i suoi
occhi nerissimi
sgranarono e la sua mente comprese.
Mia.
Era…non
era mai
stata di nessuno. Mai, lo sentiva dal suo corpo, dal suo respiro
irregolare,
dalle unghie che graffiavano debolmente le sue spalle.
Ed
ora si stava
donando a lui…
Sentì
il cuore
accelerare, farsi martellante, a quel pensiero.
Si
stava dando a
lui.
Senza
remore, senza
inibizioni, senza paure.
Mia.
E
fece l’unica cosa
possibile, ciò che, lo sapeva, avrebbe permesso al suo corpo
di adattarsi a sé;
ciò che avrebbe cancellato il dolore dal suo volto splendido
ora contratto.
Spinse;
e in
un’unica spinta, sentì lacerarsi e crollare
quell’ultima resistenza
involontaria, un urlo subito soffocato dai suoi baci sfuggire dalle
labbra di
Siria.
La
vide gemere,
serrare le labbra e le palpebre, le unghie che graffiavano i suoi
fianchi, la
schiena. Le accarezzò il viso, confortandola, baciando tante
volte quelle
labbra gonfie con dolcezza, con amore.
-Adesso
passa…- le
sussurrò, piano, passandole una mano sulla schiena e
stringendola di più a sé,
muovendo con delicatezza il bacino per permetterle di abituarsi alla
sua intrusione.
No, presenza.
Non
c’era niente, niente di
sbagliato in tutto quello che
stava accadendo…nel suono dei sospiri tremanti di Siria
nelle orecchie, del suo
corpo caldo e fremente sotto al proprio, dentro di lei. Uniti, in una
cosa
soltanto.
Le
cosce di lei si
strinsero intorno ai suoi fianchi, avvertì i suoi muscoli
cedere appena,
rilassarsi. Gli occhi blu si schiusero dopo quella che gli era parsa
un’eternità, lucidi, ardenti, imbarazzati, vividi,
una miriade di sensazioni
diverse che animavano quei due sprazzi di cielo.
E
poi semplicemente
Siria alzò il volto, andando a catturare di nuovo le sue
labbra, quel sapore da
cui ormai sapeva di dipendere, affondando una mano fra i suoi capelli
scurissimi, lasciando che il dolore svanisse ed il suo corpo si
modellasse
insieme a quello di Caspian.
Bastò
questo. Bastò
soltanto questo, perché entrambi si lasciassero travolgere
da quel sentimento
che ormai li legava. Indissolubilmente.
Una
spinta.
I
corpi che si muovono insieme, in una danza tutta loro.
Era
bella. Cielo,
quant’era bella, in quel momento.
Un
sospiro. Labbra che mordono, dita che esplorano,
accarezzano, graffiano.
E
il suo corpo che
danzava. Che ballava per lui, che si fondeva e si lasciava modellare
come creta
sotto le sue mani, morendo per rinascere nuova, viva, completa.
Occhi
negli occhi, blu contro nero.
Come
poteva
saziarsi di guardarla?
Le
mani correvano
sui corpi di entrambi, sfiorandosi, intrecciandosi per poi riprendere
ad
esplorarsi. I respiri si mischiavano, gli sguardi si rincorrevano
l’uno
nell’altro.
Il
lieve dondolio
dei loro corpi si fece più profondo, più intenso.
Sempre
di più, dentro di lei, fino a sfiorarle l’anima.
Quella
era magia.
Quella
era l’unica
magia che Siria avrebbe desiderato vivere per sempre, che sperava di
poter
racchiudere dentro di sé, trattenendola nel proprio cuore,
nel proprio corpo.
Un corpo che non era più soltanto suo, un corpo che era
un’unica cosa con lui,
con Caspian.
Un
nuovo bacio li
travolse, bevendo ognuno il respiro dell’altro, le lingue che
freneticamente si
cercavano, allacciandosi, intrecciandosi.
E
la notte,
educata, smise di spiare quel caldo abbraccio da cui nessuno dei due si
sarebbe
separato tanto presto.
.
.
.
Più
tardi.
Niente.
Non
c’era niente, nella sua
mente, se non una
meravigliosa sensazione di pace.
Non
c’era paura, non c’era ansia, non c’era
tensione. Vi languiva soltanto
un’estrema dolcezza, un respiro caldo, il battito lento e
profondo di un cuore
innamorato.
Caspian
riaprì gli
occhi, dopo qualche attimo durato in eterno. E sorrise, non
poté impedire alla
sua stessa serenità di dipingersi sul proprio volto, quando
i suoi occhi
incontrarono i rami fruscianti di un salice, ed il suo corpo
percepì
distintamente la presenza calda e soffice accanto a sé.
Siria.
Era
stata sua. Era
sua.
Pareva
incredibile
che fosse passata soltanto mezz’ora,
un’ora…gli sembrava di aver vissuto una
vita intera, facendo l’amore con lei, quella notte.
La
guardò
abbandonarsi docilmente al sonno, rannicchiata contro di lui, una mano
affondata fra i suoi capelli e l’altra intrecciata alla sua,
le dita affusolate
abbandonate con grazia fra le proprie.
Il
suo visino era
rilassato, il corpo morbido e caldo era premuto sul suo.
Come
sei bella, Siria.
Distrattamente,
con
la mano libera, cominciò ad accarezzarle la schiena,
sentendola sospirare di
piacere e stringersi ancora più a lui, il volto sul suo
torace.
Mia.
Fu
in quell’istante,
quando quella parola risuonò prepotentemente nel suo cuore,
che notò un
dettaglio ancora non visto.
Avvertì
sotto le
dita tracciarsi un disegno, un rilievo delicato che premeva sui suoi
polpastrelli come il segno di una cicatrice. Cautamente, usando la
massima
accortezza per non svegliarla, si voltò verso di lei e si
sporse appena oltre
la sua spalla, incuriosito.
Ciò
che vide, lo
lasciò letteralmente senza fiato.
Sulla
schiena della
ragazza, docilmente addormentata sul suo fianco, riposava placida una
creatura
di cui Caspian aveva soltanto sentito parlare, dai racconti di
Cornelius; un
magnifico uccello dal piumaggio evanescente, tendente dal sanguigno al
dorato,
un manto meraviglioso che in delicati intrecci andava a disegnare ogni
millimetro della pelle candida di Siria.
Una
fenice
dormiente, la cui bella testa si posava sulla spalla della giovane.
Rimase
a osservare
quel tatuaggio, incantato, per quelle che gli parvero ore. Non avrebbe
mai
potuto pensare ad un qualcosa di più perfetto per la ragazza
che riposava accoccolata
fra le sue braccia, il viso che andava a trovare l’incavo
perfetto fra la sua
spalla ed il collo, le mani affusolate che accarezzavano il suo torace,
nel
sonno.
Soltanto
ad un
sospiro appena più pesante di lei, un lieve arricciarsi
delle sue labbra, si
riscosse. Siria, probabilmente, si era accorta della tensione
inevitabile del
suo corpo ancora sveglio.
Sorrise,
accarezzandole la nuca, il collo, la guancia; lei si rilassò
quasi immediatamente,
stringendosi subito a lui ed affondando il volto sul suo torace,
cingendo i
fianchi asciutti del principe con un braccio.
Mia.
Ne
era certo.
A
nessuno, mai, Siria aveva permesso
di arrivare
dove lui aveva deciso di essere.
Le
passò un braccio
sulla schiena, dolcemente, andando a velare la fenice nel proprio
abbraccio e
stringendola a sé, abbandonando il volto fra i crini
profumati della rossa.
Il
corpo di Siria
era caldo, morbido. Sentiva che avrebbe potuto fermarsi lì,
con lei fra le
braccia finalmente serena, spogliata delle sue paure, finalmente sua, e lasciare che il mondo finisse
pure per distruggersi.
Non
gli interessava
altro.
Chiuse
gli occhi,
inspirando quel profumo controverso, dolce e forte, passionale e
delicato al
contempo, capace di eccitarlo quanto di irretire ogni suo senso.
Il
suo ultimo
pensiero, prima che il buio calasse sui suoi occhi d’onice,
fu uno soltanto.
Siria.
.
.
.
.
.
.
My Space:
sì,
lo so, sono tremendamente carini *.* sono innamorata persa di questi
due ragazzi, ma tanto tanto *.* <3<3<3
oramai le tue faccine sono
storiche xD tranzolla, tanto tu mi commenti sempre via msn, quindi ho
ben precisa l'idea che hai di questa storia e di questo capitolo in
particolare ^^'
Oddio, grazie mille per i
complimenti *.* fanno un immenso piacere, anche se non credo di
meritarmeli tutti. Siria è un personaggio polimorfo, tanto
duro quanto fragile...è molto bella da descrivere e
caratterizzare ^^ spero che questo capitolo ti piaccia, francamente
è il mio preferito in assoluto. Grazie ^^
Io non tratto male peter,
è lui che mi costringe a farlo xD ha la faccia da uno da
picchiare U.U spero che questo capitolo riesca a emozionarti, io lo
adoro, personalmente ^^
Aaron avrà il suo
bel daffare, presto xD Siria e Caspian, aw *-* quanto sono belli *-*
non ti preoccupare, sto bene davvero, è un periodo meno nero
dei precedenti ^^ un bacione cara! <3
Susan sospirò,
palesemente scocciata. Quelle continue soste, troppe per i suoi gusti, non
facevano altro che innervosirla ancor di più; il castello di Miraz era ancora lontano, troppo lontano, e quei mercenari
che stavano inseguendo sicuramente erano già arrivati a destinazione,
condannando la loro caccia ad un misero fallimento. Erano in viaggio da troppi
giorni, da troppe settimane, ormai. Non avrebbe accettato di lasciar morire un
innocente soltanto per le pretese di suo fratello, o di quella Naiade.
Quella ninfa che
non le piaceva, non le piaceva minimamente; non aveva dimenticato l’accaduto,
con quella – ne era sicura – donna
che aveva colpito nella foresta. Shaylee aveva finto
di non conoscerla, era stata brava; ma Susan aveva scorto capelli rossi, folti,
e una figura sicuramente umana che non poteva non appartenere alla mercenaria
descritta dal martin pescatore.
Siria…
Non ne era sicura,
ma quel nome non le piaceva. Portava con sé un alone di disgrazie, di
preoccupazioni, di dilemmi uno dopo l’altro. La sparizione del principe era
causa sua, la partecipazione quasi forzata della ninfa a quella marcia era
sicuramente legata a lei; non l’avrebbe sorpresa minimamente, scoprire che la
Naiade era in qualche modo legata alla rapitrice.
Ogni volta che
tentava di parlarle di quell’argomento – come poi su qualsiasi argomento –, Shaylee diventava
se possibile ancor più scostante e misteriosa, regalando alla Regina soltanto
sguardi gelidi e, a meno che il suo intuito non sbagliasse, astiosi.
Oh, sì. Shaylee li odiava. Tutti e quattro. Forse, faceva soltanto
eccezione per la piccola Lucy, con cui più di una volta l’aveva vista scambiare
qualche parola, qualche mezzo sorriso tirato in quel volto enigmatico.
-Un penny per i
tuoi pensieri.- la voce calda e tranquilla di suo fratello, alle sue spalle, la
fece sobbalzare. Susan si voltò di scatto, nervosamente, scoccandogli
un’occhiataccia per nulla efficace.
-Sto…ragionando, Peter. Cosa che
tu non fai mai.- lo punzecchiò; lo conosceva, lo conosceva meglio di quanto lui
stesso credesse. Per allontanarlo dai propri pensieri, bastava colpirlo là dove
Peter era più sensibile, vulnerabile; nel suo incrollabile, fragile, saccente
orgoglio di Re.
-Quanto siamo
acide, sorellina…- la punzecchiò lui di rimando,
guadagnandosi un’altra smorfia offesa. Quei battibecchi erano all’ordine del
giorno, fra loro; nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma ad entrambi quegli
scontri erano familiari, cari, un’impronta di quotidianità in una situazione
del tutto ribaltata.
-Vorrei soltanto
ripartire.- sospirò la Regina, scostando i lunghi capelli castani dal viso,
raccogliendoli dietro l’orecchio sinistro. Peter annuì, indulgente; sua sorella
non aveva tutti i torti, erano parecchio distanti ancora per ritenersi soddisfatti.
Si guardò intorno,
pensieroso, cercando la figura inconfondibile della loro guida.
Shaylee aveva sempre
insistito per fermarsi vicino agli specchi d’acqua; un laghetto, in questo
caso, era stato il rifugio perfetto per quella notte. Poteva benissimo
immaginare dove trovarla, dove andarla a cercare; e così sembrava pensarla
Lucy, che accanto alla sorella dava evidenti segni di allegria a stento
repressa.
-Vieni, andiamo a cercarla.- le disse soltanto, con un
sorriso, tendendole la mano. Un istante più tardi, la sorellina era già al suo
fianco, un sorrisone da orecchio a orecchio stampato sul visino chiaro, negli occhioni celesti.
-Secondo te cosa fa tutto il tempo
da sola?- domandò Lucy, tra il curioso e il preoccupato, lasciandosi guidare
dal fratello che tanto adorava. Lo osservò mentre le rispondeva, percependo le
sue parole, senza assimilarle del tutto...lo studiò con attenzione: Peter era
tormentato... e nei suoi occhi ormai da un anno non riusciva più a scorgere
quella meravigliosa luce cristallina che li aveva sempre contraddistinti. A
Londra non lo riconosceva da mesi: sempre teso, sempre arrabbiato..mai un secondo
sereno. Un piccolo cambiamento l'aveva scorto una volta tornati a Narnia, una luce antica, conosciuta, una speranza…prima, ovviamente, che scoprissero tutto
l’accaduto.
Guardava Peter, e inevitabilmente
le si presentava davanti agli occhi Shaylee.
Quei due avevano la stessa luce
negli occhi: dolore e solitudine.
Lucy s'incupì un istante, prima
che la sua testolina ribelle sfornasse repentinamente quell'idea che già da un
po’ si arrovellava fra i suoi pensieri: certo che la ninfa e il Re, insieme,
avrebbero potuto risolversi tutti i problemi....ghignò, divertita, senza
rendersi conto che il biondo stava richiamando la sua attenzione.
-Non saprei…non sono pratico dei passatempi delle Naiadi.
Probabilmente ha bisogno di restarsene per contosuo…- le
parole del biondo si persero in un borbottio confuso, segno che già da
parecchio si barcamenava su quegli stessi pensieri.
Abbassò lo sguardo,
cercando in una muta preghiera il visetto sempre allegro della sorellina;
sapeva di potervi trovare quella gioia di vivere che a lui mancava, che lui
aveva perso troppo tempo prima. Ma ciò che vide, e poteva intuire il perché, lo
preoccupò.
Lucy sorrideva; un
sorrisetto nascosto ma allo stesso tempo chiaramente distinguibile sulle sue
labbra sottili, gli occhi celesti – come i suoi – che brillavano
di una luce alquanto pericolosa. Peter conosceva bene, moltobene quelle
espressioni a dir poco terrificanti nella sua piccola Pevensie.
Lucy
aveva in mente qualcosa.
Cosa,
sperava soltanto che non riguardasse anche lui.
Lucy si fermò di botto,
costringendo il fratello a fare lo stesso.
-Lu, perché…-
le parole morirono in gola al Re, quando la piccola con un'occhiata lo zittì,
invitandolo a dare un'occhiata dinnanzi a sè.
Sussultò, Peter, di fronte a
quello spettacolo del tutto inatteso.
Là, come prevedibile, fra i
canneti e i salici che proteggevano quel laghetto da sguardi insidiosi, c'era
la Naiade. Ma non pareva nemmeno lontanamente simile alla ragazza fredda e
chiusa che avevano conosciuto, non aveva nulla della ninfa scostante e gelida
con cui convivevano da parecchi giorni, ormai. No.
Per la prima volta, forse potevano
scorgere la veraShaylee, in quella creatura accoccolata con grazia
sull'orlo del lago.
La ninfa sorrideva, serena. Gli
occhi dorati erano illuminati dal riflesso della Luna, infranto in mille
piccoli diamanti che danzavano allegramente intorno alla figura snella della
giovane. Con un sussulto, Peter si rese conto che quelle minuscole schegge,
quei piccoli brillanti nell'oscurità, altro non erano che gocce d'acqua,
filamenti che la ninfa aveva sollevato dal lago, chiamandoli a sé come un
incantatore attira i propri serpenti.
E danzavano. Danzavano intorno a
lei, scivolando fra le sue dita che ballavano con loro, sulla pelle chiara, fra
i capelli. La guardava, e non poteva non sorridere come un idiota,
semplicemente imbambolato nel fissare la creatura più pura che avesse mai
incontrato nella sua vita.
Perché era questo, che Shaylee era; pura. Pura e splendida come l'acqua che ora le
accarezzava una guancia, scivolando come perle sulla sua carnagione soffice.
Lucy guardava Shay,
e sorrideva, rapita dalla dolcezza di quell'immagine. La Naiade incarnava
perfettamente la sua vecchia Narnia…quella
splendente, quella libera e popolata dalle creature più belle e disparate, con
le quali lei amava passare il tempo. Quella Narnia
che, adesso, non c'era più.
Voltò il viso verso il fratello
maggiore e sorrise sorniona, notando la sua espressione rapita, sognante. Oh,
si, qualcosa stava cambiando nel suo amato fratello. Qualcosa di buono.
Shaylee non si era accorta
di loro; sorrideva gioiosa, illuminata dai riflessi lunari nell’acqua,
completamente assorta dalla danza priva di musica che ballavano quelle gocce
argentate.
Mosse appena le
mani, quelle piccole, minute mani da fata che possedeva. Intorno a quelle dita
piccine, le gocce d’acqua si raccolsero, si unirono in una sola bolla perlacea,
che racchiudeva perfettamente il profilo della falce di luna ardente nel cielo.
Peter si accorse
quasi immediatamente del mutamento, del cambiamento nel suo volto. Fu come
un’ombra su quel volto chiaro, un rapace alle spalle di quelle iridi dorate.
Non sorrideva più.
Vide la bolla
assumere gradualmente sembianze sconosciute, sembianze che non conosceva. Le
fattezze erano appena accennate, abbozzate in quella irrealistica scultura
fatta di limpida acqua, ma abbastanza distinguibili per permettergli di
comprendere che appartenevano ad un uomo.
Che fosse…
Improvvisamente,
desiderò di non trovarsi lì. Sperò di riuscire ad allontanarsi, a non essere
spettatore – come già era successo – di un dolore che non gli apparteneva, che
scatenava in lui un’angoscia del tutto nuova, una frustrazione terribilmente
difficile da controllare.
Mi manchi, amore mio.
Quelle parole non
avevano smesso di echeggiare nel suo petto. Mai, nemmeno per un istante da
quando le aveva udite, sussurrate e spezzate dalle lacrime, era riuscito a
dimenticarle, a cancellare quell’immagine tanto bella quanto straziante che era
rimasta impressa nella sua mente.
Era arrivato alla
conclusione che Shaylee doveva aver perso qualcuno;
una persona importante, un uomo, che
l’aveva lasciata nel modo più drastico.
Soltanto il
pensiero che soffrisse così…in quel modo totale, terribile…e lui non poteva fare niente, per impedirlo. Niente.
-Sai…- il sussurro di Shay fu basso, quasi inudibile; eppure, la sentì
chiaramente, come se si trovasse a poco più di un palmo di distanza da lui.
La vide sfiorare
appena quel volto, quel ritratto di una vita perduta, di un ricordo dal sapore
amaro.
-…avrei potuto lasciarmi
colpire, da quell’uomo…sarei tornata da te…-
Una lacrima. Una
lacrima soltanto scivolò sulla guancia della Naiade, lacrima che non venne
fermata da nulla, libera di scendere fino a perdersi nella sua gola.
Lucy avvertì la
stretta di Peter farsi più salda, nella propria mano. Alzò lo sguardo,
preoccupata, e vide nello sguardo del fratello una muta angoscia che vi aveva
scorto soltanto una volta; quando aveva creduto di aver perso lei, nel fiume
ghiacciato, la prima volta a Narnia.
Sarei tornata da te.
Un nuovo tormento
andò ad aggiungersi al primo, nel cuore scricchiolante del Re Supremo.
Sarei tornata da te.
Perché faceva così
male? Perché lo tormentava così tanto l’idea che Shay
avesse desiderato la morte, pur di tornare dalla persona che aveva amato – che
amava ancora?
Sarei tornata da te.
Peter non sentì la
vocina concitata di Lucy, non la udì chiamarlo indietro. Gli occhi azzurri
erano puntati sulla ninfa, sembravano non volersi separare nemmeno per un
attimo da quel volto sofferente, malinconico.
Fu lo schianto
improvviso dell’acqua, l’incantesimo di Shaylee che
si spezzava, a rompere quell’istante di stasi.
Peter e Lucy si
voltarono di scatto, quando alle loro spalle risuonò chiaro e limpido
l’inconfondibile suono della voce di Susan.
-Peter, Lu…- il viso palesemente irritato di Susan fece capolino da
oltre la fitta boscaglia, gli occhi chiari che andavano, con un’ombra di rimprovero,
a posarsi sui due fratelli.
-Zitta!- la
interruppe bruscamente Lucy, ma era già troppo tardi; uno schiocco, un brivido
gelido lungo la schiena, e Peter istintivamente sentì l’obbligo di voltarsi,
qualcosa di sgradevole e velenoso che si agitava prepotentemente nel suo
stomaco nel vedere l’espressione gelida della ninfa appena apparsa poco dietro
di lui.
-Shaylee…- mormorò, senza ben
sapere cosa aggiungere, come spiegarle e scusarsi del fatto che la stessero
palesemente sbirciando…ma la Naiade pareva non
volerlo nemmeno guardare; gli occhioni dorati,
ricolmi di rabbia, erano fissi sulla Regina più grande.
-Oh, adesso basta!-
sbottò infatti Susan, rovesciando gli occhi al cielo; Peter si comportava fin
troppo bene con quella ninfa bugiarda. Si stava invaghendo di lei, persino Ed
se n’era accorto; ma lei non diceva la verità, lei era un continuo mistero. -Mi
hai stancata, Shaylee.
Adesso ripartiamo, senza altre soste.- aggiunse, col tono freddo e distaccato
di un despota.
-Le mie sono soste
necessarie, regina Susan.- fu la risposta altrettanto gelida della ninfa, le
palpebre che si stringevano su quelle stupefacenti iridi d’oro liquido.
-Necessarie per cosa?- sbottò la bruna, avanzando di
qualche passo fino a trovarsi esattamente di fronte alla naiade immobile. Fra
loro, appena discosti, un alquanto preoccupato Peter e una curiosa,
misteriosamente sorridente, Lucy.
-Non sono tenuta a
spiegare.-
-Susan.- intervenne il
biondo, cercando di placare sul nascere quella discussione che avrebbe portato
conseguenze ben più devastanti di un po’ di astio fra le due. Ma tanto Susan
quanto Shaylee si voltarono di scatto, fulminandolo
con uno sguardo furibondo che lo ridusse immediatamente al silenzio; lui, il
grande Re di Narnia, zittito da due donne.
Lucy, alle sue
spalle, dovette seriamente trattenersi dallo scoppiare a ridere,
all’espressione di puro terrore, misto a orgoglio ferito, apparsa sul viso del
fratello maggiore.
-Non sei tenuta a
spiegare? Come non vuoi spiegare come mai
non ti ha sorpresa la presenza di quella donna, quella che ho colpito?- Susan
tornò a rivolgersi duramente alla ninfa, le parole taglienti e sibilanti come
la lama di una spada; Shaylee sostenne ampiamente il
suo sguardo, i pugni serrati lungo i fianchi, le labbra strette, una furia silenziosa
ma dirompente che inondava quelle silenziose, furenti iridi dorate.
-Io non ho nulla da
nascondere.- furono le sue attente, controllate, misurate parole, la voce
ridotta a nulla più di un sibilo. Ma Susan, Susan era stanca di segreti, era
stanca di bugie; schioccò la lingua,
irritata, avvicinandosi ancora di un altro passo alla ninfa.
-Invece penso che
tu ne abbia fin troppi, di segreti. Tu la conosci, vero? Era Siria, quella a cui stiamo dando la
caccia, non è così?- se Susan avesse potuto sentire il battito del cuore di Shaylee, avrebbe trionfato; perché a quell’affermazione, al
nome di Siria, qualcosa di sgradevole pareva aver preso vita nel suo stomaco,
nella sua pancia, a ricordarle esattamente quanto
e cosa stesse celando agli occhi
dei quattro Re.
Aveva giurato di
servirli, di obbedire ai loro ordini con la remissività degna di un suddito; ma
era un altro, il giuramento che doveva e voleva
osservare, un giuramento fatto col sangue, compiuto con la consapevolezza di
aver legato sé stessa, ed il proprio destino, a qualcosa di ben più grande.
-Probabilmente lo
era, stando alla descrizione.- affermò, la voce piatta, atona, gli occhi
adombrati da quella dura consapevolezza.
-Tu la conosci.- Shaylee avvertì su di sé tre paia di occhi azzurri; chi
sorpreso, chi astioso e furibondo…chi semplicemente
confuso, che non comprendeva, che non capiva, che non voleva sapere.
-L’ho sentita
nominare. Ha una sua fama, a Narnia.- ammise.
Una mezza verità,
un lievissimo accenno di ciò che davvero la legava indissolubilmente a Siria ed
anche a Talia.
-Fama di cosa?- insistette la Regina, una luce
trionfante che le illuminava il volto a quella rivelazione.
Shaylee abbassò lo
sguardo, torcendosi improvvisamente le mani. Quanto avrebbe desiderato zittire
quella donna, quanto avrebbe desiderato sparire, non essere lì…
Quanto, quanto
avrebbe desiderato non sentire gli occhi celesti del Re trapassarle la nuca,
come una lama affilata.
-Di guai.-
Erano ripartiti,
avevano marciato ininterrottamente per tutta una notte. Susan non aveva più
parlato, non si era più rivolta alla ninfa; camminava sostenuta di fronte a
tutti quanti, appena accanto ad Edmund. Edmund, che aveva estorto alla sorella
più piccola ogni più infima informazione, che si era fatto spiegare per filo e
per segno tutto l’accaduto. Ed ora, sul suo volto, vigeva la tipica espressione
che assumeva quando rimuginava, quando studiava.
Peter, invece,
pensava.
Pensava a ciò che
aveva detto Shaylee, a ciò che Susan le aveva
estorto. Pensava al tormento che aveva scorto nelle iridi dorate, pensava alla
rabbia che aveva visto sorgere in quei pozzi d’oro. Pensava al fremito
impercettibile che l’aveva attraversata, quando Susan l’aveva accusata di
conoscere quella misteriosa mercenaria…
-La stai coprendo?-
le parole dure e decise del Re di Narnia fecero
sobbalzare la silenziosa ninfa, in coda al gruppo. Shaylee
alzò lo sguardo, le iridi velate da una densa foschia di pensieri, di tormenti.
-Io non…- cominciò, la voce bassa, sottile, nulla più di un
sussurro che solamente il Re riuscì a cogliere.
Peter prese un
lungo respiro, rallentando appena l’andatura per affiancarsi alla ninfa.
-Io non sono mia
sorella, Shaylee.- affermò, la voce calma, pacata,
eppure tagliente. -Voglio solo la verità. Quella vera.- aggiunse, dopo un
istante, gli occhi celesti e terribilmente freddi che si spostavano sul volto
della naiade.
-…no. Non la sto
coprendo.- mormorò la ninfa, senza più nascondersi dietro parole senza senso,
le braccia che istintivamente salivano a proteggerle il corpo, ad allacciarsi
sul ventre.
-La conosci?-
insistette il biondo, la voce sempre troppo tranquilla, troppo calma. Era
innaturale. Era frustrante, sentire quell’aura di fermezza e decisione nelle
parole di Peter, rendersi improvvisamente conto di quanto, il Re Supremo di Narnia avesse
realmente meritato il suo titolo.
La Naiade
ricominciò a tormentarsi i capelli, l’orlo della veste, le dita.
-Di persona? L’ho
incontrata, una volta. Quando era ancora una bambina.- ammise, piano, lo
sguardo che si abbassava sul terriccio incolto.
-Chi è? Perché è
così famosa, a Narnia?- la esortò il Re, avendo ormai
colto quella breccia, quell’incrinatura nello scudo di freddezza ed
indifferenza che la ninfa tanto ostentava.
La vide sospirare,
gli occhi ancora più scuri, più angosciati…e per un
istante, per un doloroso istante, si odiò. Si odiò, perché la stava usando, si
stava costringendo a rubarle ogni informazione che gli sarebbe potuta servire…si odiò, perché Shaylee
non meritava questo. Non da lui.
-È una creatura che
rinnega sé stessa. E potrebbe diventare un pericolo per tutti quanti.- quasi
non avvertì quel sussurro, ma il tono eccessivamente greve, tempestoso della
naiade lo sorprese; quanto poteva essere pericolosa, una sola donna?
-Mi sembra che lo
sia già, dopotutto.- commentò, il sarcasmo che riempiva la sua voce senza che
in realtà lo volesse davvero. Probabilmente Shaylee
si sentì ferita, colpita in un punto particolarmente esposto.
-Io non la sto
coprendo.- una fitta di dolcezza attraversò il petto del Re, quando vide il
tormento disegnarsi sul visetto dolce della ninfa, quel visetto che – troppo
spesso, oramai – faceva capolino fra i suoi pensieri.
-Ne sono convinto, Shaylee. Non penso potresti coprirla.- le disse, e la
dolcezza che gli aveva provocato si riflesse nella sua voce, nell’inflessione
morbida con cui aveva pronunciato il nome della ninfa.
Shay alzò lo sguardo,
sorpresa; vide l’espressione sostenuta del Re incrinarsi, vide il Peter umile e
cordiale che tanto aveva odiato alla reggia di Mairead
fare nuovamente capolino dietro quella maschera invincibile.
Era come lei, come
lei giocava un gioco di maschere, di finzioni; come lei, celava ben altro
dietro la roccia che tutti credevano che fosse.
Quella
consapevolezza si fece improvvisamente strada dentro di lei, annientando per
qualche attimo il risentimento che provava nei suoi confronti; come poteva
odiarlo, quando vedeva un ragazzo ben più fragile dietro quegli occhi
d’acciaio?
-Perché?- chiese,
lentamente, suo malgrado molto più gentile.
-Perché è stata lei
a catturare Caspian. Forse era l’unico…-
un attimo. Un battito di ciglia, una pulsazione del cuore, le ali di una
farfalla che si spiegavano.
Peter era
nuovamente l’Alto Re, adesso. Quel barlume, quel giovane dolce e tormentato che
aveva appena scorto, era già scomparso.
-…a poter fare
qualcosa per te, per la tua gente. Forse era davvero l’unico, in grado di
restituire la libertà a Narnia…-
Peter vide gli occhioni della ninfa oscurarsi ancora, perdersi nel vuoto.
La vide impallidire appena, la vide torcersi le mani, tormentare una ciocca dei
lunghi capelli bruni in preda all’ansia, in preda ad una miriade di pensieri
che vorticavano in quelle iridi dorate.
Si voltò,
semplicemente, lasciandola in preda dei propri pensieri, delle proprie paure…delle proprie colpe.
Dimmi che non sbaglio, Siria.
Dimmi che non sto sbagliando, a proteggerti.
MySpace:
ebbene sì, eccomi
qua, sono tornata ^__^ e con me sono tornati anche Peter e Shaylee…e
la piccola, pestifera Lucy, e Susan – quanto la detesto, non si nota, vero? ^^’
di questo capitolo apprezzo specialmente la parte finale; il dialogo fra Peter
e Shaylee, quel gioco di maschere che cadono e si
rialzano, s’intrecciano e si abbandonano continuamente. Sono difficili sti due da scrivere, ma danno tante soddisfazioni, a me
come spero anche a voi ^__^’’
Spero davvero che
questo capitolo vi sia piaciuto; non vi nascondo che scrivere, per me, sta
diventando davvero molto difficile. E fa male, perché è sempre stato lo sfogo
primario di…beh, di tutto quanto. E sapere che il mio
“talento”, se posso osare chiamarlo così, rischia di svanire…fa
decisamente un po’ male.
Va beh, basta,
della mia depressione non è il caso di parlare qui ^^’
Allora, non ti preoccupare per nulla carissima, io
sono sempre qua, non fuggo ^__^ stai tranquilla, scrivi con calma e non
ammazzarti, che la mia storia non fugge ^^’ sono contenta comunque che ti
piaccia, sono molto insicura ultimamente su ciò che scrivo -.- un bacione!
Eccoti accontentata con Peteronzolo
caro ^^ lui e Shaylee hanno una carica sessuale,
intorno, da far esplodere scintille U.U arriverà
anche il loro momento, te l’assicuro O=D ma prima
li farò dannare parecchio, e anche per Siria e Caspian
saranno tutto fuorché rose e fiori…Susan…aaaah,
Susan, si nota che la odio profondamente? ^^’’’ sperando di rivederti fra i
recensori, un bacione grande!
Talia e Caleb,
che coppia *____* li adoro quasi più di Siria e CaspianxD a proposito di questi due, sono tanto pucciosi *.* sono teneri loro, sono tremendamente coccolosi *.* *anche io
spupazza principino, ancheioancheioancheio!* ma
anche per Talia e Cal
ci sarà da aspettare, temo…insomma, per nessuna
delle tre coppie prevedo tempo sereno, anzi, piuttosto burrascoso!!! Alla
prossima ^^
Tesoro, grazie mille dei complimenti <3 te l’avevo
detto che Siria avrebbe riservato tante sorprese ^^ e non ne ho mostrate
ancora nemmeno metà, quella donna è un vulcano di segreti e sorprese non da
poco ^^ Aaron e Susan…potreipensarci…oppureno…oppure ci ho già pensato…chissàxD grazie mille dei complimenti, anche a tuo
marito ^^ un abbraccio forte forte a tutta la
famiglia <3
Un
brivido scosse
dolcemente la sua schiena, un brivido di freddo, un brivido delicato
scatenato
dai lievi fili d’erba che accarezzavano la sua schiena. Si
mosse appena, le
mani candide, affusolate, che accarezzavano il petto contro cui era
accoccolata, quella sensazione sconosciuta – bellissima
– che aleggiava morbida nella sua mente.
Pace.
Il
braccio che la
cingeva la strinse inconsciamente un po’ di più,
avvertendo il fremito della
sua spina dorsale, della sua pelle. Sorrise, gli occhi chiusi, i lunghi
capelli
rossi che velavano il suo corpo come una coperta sanguigna, lunghi
crini del
colore del fuoco che scivolavano lievi sulla sua pelle lattea.
Pace.
Serenità, gioia, completezza.
Inspirò
profondamente, Siria, il sorriso che aleggiava inconscio sulle sue
labbra, il
profumo dell’erba umida di rugiada nella mente,
l’essenza ben più prepotente
della pelle calda che avvertiva sotto al viso, sotto le dita, ad
inebriarla.
Amore.
Non…non
si era mai
sentita così. Così serena, così
felice, così semplicemente in pace
con sé stessa. Il suo sonno era stato denso di
sogni
meravigliosi, sogni che altro non erano che ricordi, ricordi di
ciò che avevano vissuto
quella notte, di quello
che aveva mischiato le loro pelli, le loro anime.
Caspian.
Fu
il suo nome a
rimbombare dolcemente in quel cuore vivo e galoppante, in quel battito
veloce,
forte, innamorato. Fu quel nome a far schiudere trepidanti le sue
palpebre, gli
occhioni d’ametista e cobalto che si affacciavano per la
prima volta al mondo
con il desiderio di svegliarsi, di vedere, di vivere.
Vivere,
vivere
davvero, vivere lui, ed essere
sicura
di non essersi appena svegliata dal sogno più bello che
avesse mai vissuto…
Il
sorriso si
allargò sul suo visetto affilato, quando i suoi occhioni
lucidi, vivi, misero a
fuoco la figura di Caspian, disteso sul fianco, accanto a lei. Era
stretta fra
le sue braccia, il viso del principe era affondato fra i suoi capelli,
avvertiva sotto la guancia il battito forte, sano, sicuro del suo
cuore…
Con
cautela, stando
bene attenta a non svegliarlo, scivolò a malincuore dal suo
abbraccio. Si
accoccolò sull’erba, le gambe incrociate, i lunghi
capelli scuri e di nuovo
asciutti che si attorcigliavano in boccoli rossastri lungo il suo
corpo,
velando il seno, le gambe, quel corpo che adesso apparteneva a Caspian.
Solo
il pensiero
riusciva a farla sorridere, ad accendere le sue guance, a far palpitare
quel
cuore rinato nella sua gabbia toracica. Un refolo d’aria
fredda le sfiorò la
schiena nuda, costringendola a serrare le braccia intorno al ventre,
mentre la
fenice rabbrividiva con lei, chiudendosi fra le proprie ali.
Quella
fenice…sorrise appena, sfiorando con la punta delle dita la
bella testa
dell’animale tatuato. Feldir,
l’aveva
chiamata Mairead.
Schiuderà
le sue ali quando troverai la tua strada.
La
regina delle
ninfe…e Shaylee, Shaylee che l’aveva curata, che
le aveva fatto giurare
di…scacciò quei pensieri, concentrandosi
unicamente sulla sensazione di pura pace
che ancora la invadeva, tentando – fallendo
– di non lasciare che quei
pensieri l’inquinassero, la sporcassero.
Eppure,
non poté
fare a meno di ricordare.
Shaylee,
che
l’aveva curata da ferite che lei stessa si era inferta;
Shaylee, che cercava disperatamente
di capire perché non volesse accettare la sua natura,
perché si ostinasse nel
non voler vivere, nel voler rinnegare sé stessa; Shaylee, a
cui si era
affezionata più di quanto avrebbe dovuto, che insieme a
Talia l’aveva protetta,
che grazie a Talia le aveva
permesso
di redimersi.
E
Feldir, Feldir
non era che la dimostrazione più eclatante della promessa
che aveva fatto, del
giuramento che aveva compiuto. Quel giuramento che legava le sue azioni
a Talia
e a Shay, quel giuramento che lei era stata disposta a fare, che non
avrebbe
mai chiesto alle due amiche di
compiere con lei.
Come
avrebbe fatto,
senza di loro? Senza Shay, senza il suo intestardirsi sul farle capire
quanto
la vita potesse essere bella, senza la sua cocciutaggine? E senza
Talia? Solo
il pensiero di vivere senza la presenza della mezzelfa accanto era
soffocante,
era terribilmente doloroso.
Non
sarebbe stata niente, senza di loro.
E
senza di lui.
Eppure,
adesso
stava rischiando la vita di un innocente, un innocente che non era soltanto un innocente. Era Caspian, era
il suo principe, era il ragazzo dolce e protettivo che aveva fatto
l’amore con
lei quella notte. Era il giovane che l’aveva stretta, che le
aveva sussurrato
dolci parole, che aveva baciato le sue labbra, il suo corpo, suggendo
la sua
anima da quei sospiri innamorati.
Qualcosa
turbò
improvvisamente la serenità insolita sul suo viso, facendo
corrugare la sua
fronte, oscurando i suoi occhioni limpidi.
Non
poteva.
Non
poteva
permettere ad Aaron di fargli del male.
Il
suo sguardo si
posò sul volto del principe, addormentato, sereno,
splendido. Con delicatezza,
quasi col terrore di toccarlo, allungò una manina candida e
le sue dita si
posarono con dolcezza sulla sua guancia, sfiorandolo timorosa, timida.
Percorse
delicatamente il suo volto, ogni singolo lineamento, ognuno di quei
tratti che
l’avevano stregata; e si ritrovò ad accarezzargli
teneramente i capelli
boccoluti, il volto, le palpebre chiuse.
Non
lo avrebbe
permesso.
Non
avrebbe
permesso a nessuno di rovinare tutto. Non voleva
perderlo…soltanto il pensiero
la fece fremere, tremare, gli occhi che si riempivano di lacrime.
Piangi,
Siria? Piangi per un uomo?
No,
lei non
piangeva per un uomo qualsiasi, lei piangeva, soffriva soltanto
all’idea che a
Caspian succedesse qualcosa…non osava nemmeno pensarlo; il suo Caspian, il suo
principe, quel principe a cui aveva donato il cuore, insieme a tutta
sé stessa…
Forse
doveva solo
andare via. Forse era tutta un’illusione. Forse aveva ragione
Aaron, forse
l’aveva solo usata, forse…
…forse,
proprio in
quell’istante, aveva deciso di aprire i suoi splendidi occhi
neri, cercando
istintivamente lei nello sfocato senso di appagamento in cui era
sprofondato.
Siria
lo stava
osservando, accoccolata accanto a lui sulla morbida erba umida di
rugiada, il
corpo nudo velato dai lunghi capelli ramati. Gli occhioni blu, ferini,
angosciati, erano fissi nei suoi, immobili, tanto che nemmeno le
palpebre si
abbassavano per spezzare quello sguardo intenso, insostenibile.
Era
trapassante.
Caspian
si sentì
trafitto da quegli occhioni, da quei due specchi di cobalto lucidi e
spaventati, dall'espressione contratta del suo visetto pallido. Era
bella,
bellissima; ma qualcosa la turbava, oscurava il suo volto.
Prese
fiato, anche
se nessuna idea su cosa dirle si presentava alla sua mente.
-Stai
bene?- fu
l'unica cosa che riuscì a chiederle…l'unica cosa
che gli interessasse davvero
sapere.
Siria
annuì appena,
avvicinandosi appena di più a lui, tornando ad accoccolarsi
al suo fianco, sentendo
il suo respiro fresco, dolce, infrangersi sulle proprie labbra. I loro
occhi
erano vicini, si specchiavano gli uni negli altri; i corpi si
sfioravano
appena, spossati dall'appagamento di essersi appartenuti, frementi
d'attesa e
d'amore nella speranza di toccarsi ancora.
-Ho
paura.- sussurrò,
col timore infondato di spezzare quell'istante.
Una
scintilla di
preoccupazione negli occhi del moro.
-Di
cosa?- le
chiese, accarezzandole inconsciamente la vita, costringendosi a non
indugiare
sulle curve del suo corpo, accarezzate, accentuate dai lunghi capelli
di fuoco
che scendevano sulla sua pelle lattea.
Siria
socchiuse
appena gli occhi; un lieve movimento della testa infuocata, una
tensione più
visibile del suo volto. Soffriva.
-Che
ti succeda
qualcosa.- sussurrò, la voce lieve, candida, densa
d’angoscia e di terrore.
Puro, vero, semplice terrore; qualcosa di così grande da
occupare tutto il suo
cuore, da oscurare persino la sensazione di pace e gioia che
l’aveva avvolta
sino a quel momento, che rendeva doloroso ogni singolo battito nel suo
petto.
Caspian
sospirò
appena, lasciando che le proprie mani andassero a intrecciarsi sulla
schiena
della ragazza, che la testa fulva si nascondesse nell’incavo
della propria
gola. Era calda, Siria. Era calda, era morbida, era terribilmente
profumata…
-Non
mi succederà
nulla.- mormorò, piano, socchiudendo appena gli occhi nel
profumo inebriante
della sua…amante?
-Devo
fermare tutto
questo.- la voce di Siria vibrava decisa come non mai nella sua gola,
il
respiro caldo che lo solleticava, che lo accarezzava.
-Non
devi farlo.-
il principe scosse appena la testa, qualcosa di orribilmente pesante,
orribile,
che sembrava depositarsi nel suo petto. Non poteva nemmeno pensare di
metterla
in pericolo, di metterla contro Aaron, contro Miraz, contro
l’intero
esercito…per lui.
Siria
era pronta,
decisa a farlo…per lui. Perché…Perché lo
amava, gli suggerì una vocina insistente nella sua
testa.
La
rossa alzò lo
sguardo, gli occhioni decisi ed angosciati al medesimo tempo che si
spostavano
rapidamente nei suoi, testardi, infiammati, meravigliosamente cocciuti.
-Caspian,
io non
voglio che ti uccidano.- gli fece notare, una nota sarcastica nella
voce; come
se davvero avesse avuto bisogno di puntualizzare, di pronunciare
davvero quelle
parole.
-Se
non lo faranno,
uccideranno te.- come diavolo faceva ad essere così
tranquillo, Caspian?
Rischiava di perderlo, rischiava di vederlo morire…
-Che
lo facciano.
Non posso perderti, non voglio, io…- le labbra del principe
soppressero
morbidamente le parole sussurrate di Siria, coinvolgendole in un bacio
deciso,
trascinante, denso di passione. Le lingue, le bocche; un cercarsi
continuo,
morbido, i sapori e le anime che si mischiavano, confondendosi ancora.
Il
corpo flessuoso
di Siria tornò in contatto col suo, adagiandosi morbidamente
sul suo petto.
Caspian avvertì i seni sodi, quei seni perfetti per essere
racchiusi nel palmo
di una mano aderire al suo torace, il ventre diventare una cosa
soltanto col
proprio.
Sospirò,
il viso
che avvampava, gli occhi blu di Siria ad un millimetro dai suoi.
Intrecciò le
gambe alle sue, riportandola fra i dolci fili d’erba che
già quella notte
avevano accolto il loro amore, la loro dolcezza.
Rise,
Siria, i
capelli che si spargevano nel verde.
-Non
è valido tutto
ciò, mio principe…lei irretisce
l’innocenza di una fanciulla.- sussurrò, la
voce spezzata, gli occhioni vividi ad un millimetro da quegli specchi
caldi, da
quel sorriso trascinante e malandrino.
-Le
chiedo perdono,
mia dama, per la mia sfrontatezza…- Siria inclinò
indietro il capo, un sorriso
tenue e sincero sul viso levigato, quando le labbra bollenti di Caspian
scesero
a percorrere lentamente la sua gola.
-…e
per la
passione…di ogni singolo bacio.- la sua voce
scivolò come cera bollente sulla
sua carne, strappandole un brivido, le dita lunghe ed affusolate che
percorrevano il corpo nudo del principe, sopra di lei.
S’intrecciarono ai
capelli scuri, quelle dita, a quei capelli sparsi sul suo seno mentre
si
scioglieva al tocco di quella bocca che rapiva ogni brandello del suo
desiderio, accentuandolo, provocandolo.
Un
brivido nacque
dalla nuca del giovane, quando quelle dita fresche
s’immersero nei riccioli che
gl’incorniciavano il volto affilato, regale. Si
lasciò condurre nuovamente a
quelle labbra, a quegli occhi, naufragando ancora in quei boccioli
rossi gonfi
di desiderio e di passione.
-Sei
mia.-
sussurrò, in ogni istante in cui respirare si faceva
impellente.
-Sei
mia.- le
guance bianche tinte di un rosso invitante, seducente nella loro
insospettata
innocenza.
-Sei
mia.- quel
corpo…quel corpo che si modellava sotto le sue carezze e le
sue spinte, facendo
morbidamente l’amore con lui, e quei frammenti
d’oceano ricolmi d’amore puro,
di quell’amore lucido e vero che nessun altro, mai, avrebbe
colto.
-Tua…-
-Mia.-
E
su quell’ultima
parola, colsero entrambi quel fiore rosso, rosso di sangue, sbocciato
quella
notte fra i morbidi fili di quell’erba, occasionale talamo di
due giovani
amanti.
.
.
Aaron
sapeva.
Siria
non poteva
fare a meno di pensarlo, di esserne convinta. Aaron sapeva quel che era
successo la notte precedente, sapeva che se non le aveva rivolto la
parola per
tutto il giorno il motivo era quello.
Scambiò
un’occhiata
con Talia, rivolgendole un cenno verso il fratello che marciava in
silenzio, di
fronte a tutti. Si stavano avvicinando ad uno dei villaggi
più esterni di
Telmar, già intravedevano le luci del paesello attraverso il
fitto fogliame.
L’elfa
si strinse
nelle spalle, rivolgendo al rosso voltato una palese linguaccia,
strappando un
sorriso all’amica in pena. Era così tenera, Siria,
che non poteva non
desiderare di fare il possibile per aiutarla; sul suo viso, era scritta
una
nuova consapevolezza, una serenità che non le aveva mai
visto negli occhi.
Non
vi era stato
bisogno di sentirle dire quelle parole; le era bastato avvertire
l’amore, vivo
e forte, vibrare fra i pensieri dell’amica, per sapere
ciò che era successo fra
lei ed il suo principe.
Non
sembrava più
tormentata; non da sé stessa, se non altro.
L’unica paura che avvertiva in lei,
era quella che provava nei confronti di ciò che poteva
separarla da Caspian.
Aaron
sapeva, ma
non aveva fatto nulla; Siria e Caspian erano riapparsi prima che si
svegliasse,
ma i loro sguardi, il sorriso nascosto sul viso di lei, gli occhi neri
che non
la lasciavano mai, erano fin troppo palesi.
Aaron
sapeva, ma Siria
non aveva idea di cosa avrebbe fatto.
Caleb
era poco
indietro, assieme a Tara e Caspian; il principe era libero, Aaron non
aveva
ordinato di legarlo; forse, si era reso conto che il suo desiderio di
scappare
era pari a zero, in quel momento.
-Ci
fermeremo qui.-
la voce di Aaron spezzò in un istante il silenzio che li
avvolgeva da diverse
ore, ormai.
Siria
si guardò
intorno, preoccupata; le prime abitazioni del villaggio erano poco
distanti,
immerse fra gli alberi che parevano formarne le colonne portanti.
-Siamo
troppo
vicini.- commentò, con una punta di preoccupazione,
l’ansia che tornava ad
attanagliare il suo cuore palpitante. Erano troppo vicini al castello,
qualcuno
avrebbe potuto vederli, riconoscerli, riconoscere
Caspian…
-Vorrà
dire che il
nostro compito è quasi finito.- replicò duramente
il rosso, senza guardarlo; ma
Siria era spazientita, Siria non ne poteva davvero più.
Talia non ebbe nemmeno
il tempo di fermarla, prima che bruscamente costringesse il fratello a
voltarsi, a guardarla negli occhi.
-Dannazione,
Aaron!- sbottò, quando il viso duro come la roccia del
fratello si scontrò con
la sua semplice, innamorata paura.
-Taci.-
quell’ordine improvviso, gelido come il ghiaccio, fu una
dolorosa pugnalata nel
petto di Siria. La rossa sgranò gli occhi, qualcosa che
s’incrinava
violentemente in quelle iridi tanto nuove,
tanto limpide.
Aaron
non l’aveva
mai trattata così.
Nemmeno
nei momenti
peggiori, si era mai rivolto a lei con tanta durezza, con tanta
rabbia…la
raminga rimase indietro, rallentando inconsciamente il passo quando il
fratello
tornò a voltarsi, continuando a camminare; il suo stesso
corpo si rifiutava di
restare accanto a lui, senza nemmeno accorgersene aveva lasciato che
gli altri
la superassero.
Finché
non avvertì
una mano calda, conosciuta, posarsi sulla sua schiena.
Alzò
lo sguardo,
grata, riconoscendo immediatamente il tocco dolce, sicuro, meraviglioso
di
Caspian; e quella calma iniziale, quella confortevole scossa elettrica
che
aveva suscitato la mano di lui, si irradiò in tutto il
corpo, quando ritrovò
quei caldi occhi neri a poca distanza dai propri.
-Ehi.-
sussurrò
soltanto il principe, sfiorandole appena con le labbra i capelli,
traendola a
sé. C’erano Talia e Caleb, dinanzi a loro; due innocenti e ignari
fringuelli che casualmente
coprivano
la visuale di Aaron, rimasto ostinatamente voltato verso la locanda
sempre più
vicina.
Il
principe
sorrise, grato a quei due amici
– non
poteva definirli diversamente, oramai – che tanto stavano
facendo per loro; e
colse l’attimo, avvolgendo la vita della rossa con un
braccio, traendola a sé e
sentendola immergere il viso nella propria gola, in quel punto preciso
che
tanto adorava.
-Ti
prego, scappa.-
l’avvertì mormorare, le mani candide che si
chiudevano sul suo petto,
stringendo la casacca fra le dita.
Scosse
la testa,
abbracciandola con più forza, chiudendo gli occhi e posando
la fronte contro la
sua spalla, respirando il profumo intenso della sua pelle.
-Non
ti lascio.-
sussurrò, piano, posando un tenero bacio sulla pelle appena
sotto l’orecchio di
lei, sentendola sussultare per il contatto delle sue labbra con quel
punto
incredibilmente sensibile.
La
strinse più
forte, senza dire niente, sentendola rifugiarsi nel suo abbraccio,
spaventata
come non mai da ciò che sarebbe inevitabilmente successo.
-Sei
un dannato
zuccone.- mugugnò, la voce tremante, gli occhioni blu
serrati e le dita perse
fra i capelli riccioluti del principe.
Aaron
a ore dodici!
Di
scatto,
avvertendo sé stessa protestare come non mai, Siria si
separò appena dal corpo
del principe, lasciando che soltanto le loro dita
s’intrecciassero. Gli rimase
però accanto, sillabando il nome del fratello quando lui le
rivolse un’occhiata
confusa, stupita.
-Tu.-
sospirò, la
rossa, voltandosi per fronteggiare l’espressione fredda e
dolorosa del
fratello. Aaron era tornato indietro, ed ora torreggiava su di lei; ma
non
provava la benché minima traccia di paura, Siria. Sarebbe
stata pronta anche a
combattere, contro di lui, se avesse tentato di separarla da Caspian.
Caspian,
che
improvvisamente fissava il rosso con un astio ampiamente ricambiato, la
stretta
nella mano di lei che si rinsaldava, lo sguardo che sosteneva con
rabbia
l’occhiataccia che il rosso gli rivolgeva.
Non
gli avrebbe
portato via Siria. Avrebbe potuto uccidere, se avessero tentato di
portarla via
da lui.
-Aaron…-
cominciò
la rossa, con un sospiro, notando le occhiate di fuoco che
intercorrevano fra i
due giovani. Ma Aaron la zittì con un cenno, fissando
insistentemente il volto
del principe.
E
Caspian se ne
accorse; rimase stupito, quando vide che non era realmente odio, quello
negli
occhi del rosso. Era più una domanda; una muta domanda che
Aaron gli rivolgeva,
e che gli occhi azzurri cercavano nei suoi, nel suo viso, nel modo in
cui
stringeva Siria a sé.
Siria
non lo vide,
concentrata com’era sul fratello; ma Aaron sì,
Aaron lo vide sillabare quelle
parole che cercava, quella risposta a cui non poteva più
fare a meno di
credere.
Non
le farò del male.
-Tu
ti occuperai di
lui.- l’espressione mista di sorpresa e pura gioia apparsa
sul viso di Siria, a
quelle parole, riuscì a strappare un mezzo sorriso persino a
quel burbero
fratello maggiore non più così cieco.
Un
istante dopo,
Aaron era tornato lo stesso; duro, lontano, di nuovo a capo del gruppo,
mentre
una Tallie più allibita che mai lo seguiva con lo sguardo, e
Caleb ridacchiava
insieme a Tara, osservando l’espressione esilarante di Siria
e di Caspian.
-Copritevi,
voi
due. Siete troppo riconoscibili, e anche il ragazzo.- ordinò
soltanto il rosso,
rivolgendosi a Talia e Siria mentre lentamente, le luci
dell’unica, povera
locanda di quel paesucolo illuminavano la notte che li aveva portati
sin lì. Le
due annuirono, calcando sul viso i cappucci dei mantelli che
indossavano; ed
anche Caspian fece lo stesso. Mancava soltanto che qualcuno lo
riconoscesse, e
mandasse a chiamare i soldati di Miraz; sarebbe stata
un’alquanto ironica fine,
dopotutto.
Procedettero
di
nuovo in silenzio, per le strade semideserte; era una moda coprire il
viso, di
notte, notò Caspian…non aveva mai conosciuto
altro che il castello e i suoi
dintorni benestanti, nei suoi diciassette anni di vita; quella
desolazione,
quella povertà, stridevano dolorosamente nel suo cuore di
principe.
-Ehi!-
ebbe solo un
istante per comprendere, prima che la cascata rossa dei capelli di
Siria
illuminasse la strada buia che stavano percorrendo; un uomo
l’aveva
strattonata, afferrandola con una mano che era apparsa dal nulla,
emersa dalle
ombre di un vicolo.
Ghignò,
lo
sconosciuto, ammantato da un tanfo di alcool e sporco che
riuscì a far persino
inorridire Talia, per nulla preoccupata. Aaron e Caleb si erano appena
voltati,
ed il biondo aveva fatto appena in tempo ad agguantare Caspian; gli
rivolse un
cenno, intimandogli di tacere, sogghignando fra sé mentre
tornava ad osservare
il disgusto altezzoso disegnato sul viso di Siria.
-Ma
guarda che
bella puledra abbiamo qui…- commentò
l’ubriaco, la voce impastata, rauca. Siria
strattonò il braccio, rivolgendogli un’occhiata di
ghiaccio, la mano sinistra
che spariva sotto al mantello.
-Giù
le zampe,
bifolco, se non vuoi che te le tagli.- sibilò, con una voce
tagliente che
Caspian non le aveva mai sentito.
L’uomo
rise,
divertito.
-Oh,
sei
combattiva, eh, puledrina?- una mezza risata di Talia ruppe il
silenzio, quando
vide gli occhi di Siria stringersi, una vena pulsare nel suo collo
bianco.
-Io
non lo direi,
se fossi in te…- commentò infatti, osservando la
rossa, divertita.
Portate
via Caspian, io vi raggiungo subito.,
sentì infatti
mormorare l’amica, mentre il sibilo inconfondibile di una
spada risuonava sotto
il mantello. Tallie annuì, rivolgendo un cenno a Caleb, che
molto gentilmente
si trascinò via un Caspian decisamente recalcitrante.
-Ma…-
il biondo lo
zittì, mentre Aaron sospirava, scuotendo la testa, e le
altre due
ridacchiavano.
-Tranquillo,
Siria
è più che capace di difendersi.-
.
Fu
semplice,
affittare due stanze alla locanda. Aaron conosceva la proprietaria, un
donnone
enorme dagli occhi buoni, che fece un buon prezzo per le due stanze al
secondo
piano. Rivolse un cenno alla donna, mentre salivano le scale, prima di
agguantare Talia per un braccio e trascinarla dentro la prima stanza
vuota,
concitato.
-Vieni
qui, tu.
Caleb, anche tu. Tara, controlla il principe.- ordinò,
seccamente, lanciando la
chiave dell’altra camera alla piccoletta; lei
annuì, trascinandosi un Caspian
silenzioso e preoccupato nella stanza di fronte a quella.
-Che
gentilezza,
rossiccio.- commentò l’elfa, ironica, mentre Aaron
richiudeva la porta dietro
di loro. -Cos’hai? Pare che t’abbia morso una
tarantola…-
-Dobbiamo
andare
via.- sbottò il rosso, senza guardarla, liberandosi della
spada e lanciandola
sul letto spartano in un angolo dell’ambiente spoglio. Tallie
ridacchiò,
scambiando un’occhiata con un Caleb alquanto trionfante.
-Colgo
un velato
“Talia aveva ragione” nel tuo
atteggiamento…- commentò, inarcando un
sopracciglio, non nascondendo un ghigno.
-Sì,
avevi ragione,
va bene?- brontolò il rosso, lasciandosi crollare, esausto,
su una seggiola di
legno grezzo. Si passò una mano fra i capelli, angosciato.
Non
poteva più far
finta di non vedere.
Siria
si era
innamorata, Siria aveva trovato la sua strada, con quel ragazzo. E lui
la
ricambiava, come aveva fatto a non vederlo? Come la stringeva, come la
guardava…
Aveva
commesso un
errore, con loro. Aveva cercato di dividerli, per proteggere la sua
sorellina
sì, ma aveva sbagliato.
Era
così limpido,
lo sguardo di Siria…come aveva potuto dubitare?
Aveva
sbagliato. Ma
ora, poteva ancora rimediare. -Bisogna trovare un modo. Stanotte
possiamo
restare qui, il castello e le guardie sono ancora lontane, ma domattina
dobbiamo andarcene.- spiegò, senza guardare
l’elfa; non avrebbe sopportato la
sua espressione trionfante.
-Allora
non sei del
tutto uno zuccone!- commentò infatti lei, sempre
più fintamente sorpresa. Alzò
lo sguardo, indispettito, rivolgendole una smorfia.
-Ti
sei divertita
abbastanza?- le chiese, ironico.
-No,
ho appena
iniziato, ma continuerò in un altro momento giusto per il
piacere di
tormentarti.-
-Tallie,
dagli
tregua, abbiamo appena scoperto che sa usare anche lui il cervello.-
s’intromise Caleb, dando una fraterna pacca sulla spalla di
un quanto mai
esasperato, ma in fondo divertito, Aaron.
-Giusto,
non sia
mai che si surriscaldi per il troppo uso.-
-Piantatela,
tutti
e due.- per fortuna, Aaron era una delle poche persone che quei due
ascoltavano, quando iniziavano a scherzare fra loro; tornarono tutti e
tre
seri, pensierosi, nel giro di qualche istante. -Che cos’hai
detto su quella
freccia? Quella che ha colpito Sir.-
-È
una freccia
importante. È stata impiumata in un modo particolare,
soltanto una persona ne
ha fatto uso: la Regina Susan, la Dolce.- spiegò Tallie,
estraendola dalla sua
fedele faretra e lanciandogliela.
-Quindi
i Re sono
tornati.- mormorò il rosso, soppesando quell’arma
fra le dita, sentendo il peso
dei secoli premere in quel legno fine, in quelle piume scarlatte.
-Penso
proprio di
sì.-
-E
stanno cercando
il principe.-
-Esatto.-
-E
c’è la vostra
amica ninfa, con loro.- Talia aveva accennato a Shaylee, lei e Siria ne
avevano
parlato spesso, nei mesi addietro.
-Giusto
anche
questo. Ascolti proprio tutto.- commentò l’elfa,
ammirata.
-Potremmo
fare in
modo che il ragazzo li raggiunga, e poi darci alla macchia…o
unirci a loro, se
ce la vedessimo davvero brutta. Tu e Siria, perlomeno, non penso
avreste molti
problemi.- rimuginò il rosso, ripensando a tutto quel che
sapeva, a quel che
sua sorella e Talia erano; creature di Narnia, che a quella terra
appartenevano
fin dalla nascita.
-No,
non con Shay
dalla nostra parte. E Caspian, molto probabilmente, dato che non penso
sarebbe
contento di separarsi da lei.- annuì lei, sedendosi a gambe
incrociate sul
cassettone abbozzato nel legno.
-Sei
davvero
disposto a metterti contro Miraz?- chiese invece Caleb, rivolgendosi
all’amico;
lo conosceva, e sapeva bene quanto Aaron fosse ben più che
astioso nei
confronti di un qualsiasi motivo di lotta. Farsi gli affari propri era
l’occupazione preferita di Aaron; non gli piaceva,
l’idea di mettere in
pericolo tutti loro.
-Sono
stato già
abbastanza cieco, Cal.- sospirò invece il rosso, un lieve
sorriso a dipingergli
le labbra. -Non l’ho mai vista così, e se posso
fare qualcosa, ben venga anche
questo.- Caleb sorrise, a quelle parole.
-Sei
un bravo
fratello.-
.
Tara
lo aveva
lasciato solo da pochi minuti, in quella stanza troppo silenziosa,
quando la
porta si schiuse di nuovo. Si voltò di scatto, Caspian,
illuminandosi quando
riconobbe l’inconfondibile massa di capelli scarlatti della
donna appena
apparsa sulla soglia della porta.
Sorrise,
Siria, e
nessuno dei due seppe chi corse per primo verso l’altro; si
ritrovarono
soltanto a metà della stanza, stretti in un abbraccio forte,
deciso,
innamorato, il profumo del principe che la riempiva come soltanto i
suoi baci
potevano fare.
-Sir…-
mormorò il
principe, fra i suoi capelli, accarezzandoli con dolcezza e sentendola
abbandonarsi contro di sé.
-Ehi,
ti sei
preoccupato per me?- ridacchiò lei, accoccolandosi in
quell’abbraccio sicuro,
caldo, protettivo, posando il viso sul suo petto e chiudendo docilmente
gli
occhi, serena.
-Non
hai idea di
quanto.- fu la risposta pronta del principe, che pareva intenzionato a
non
muoversi tanto presto da quella posizione; le mani che la cingevano, il
torace
ampio e snello che l’accoglieva, il viso immerso nei suoi
capelli.
-Tranquillo,
me li
mangio a colazione tipi come quello.- lo rassicurò lei,
apparentemente
tranquilla. Aveva steso quel tipo con un solo colpo di spada; un colpo
di
piatto, ed era finito direttamente nel mondo dei sogni, senza un fiato.
-Non
fatico a
crederti.- sorrise, Caspian; sorriso che sparì quasi
immediatamente, quando un
brivido attraversò la schiena della ragazza, improvvisamente
tremante. -Ehi.-
mormorò, stupito, stringendola più saldamente
quando lei serrò le dita sul suo
petto, tremando.
Comprese,
un
istante più tardi.
Siria
aveva paura.
Sapeva che il pericolo incombeva, sapeva che lui stava rischiando
parecchio, e
tremava, tremava come mai aveva fatto prima, aggrappandosi a lui e
affondando
il viso nella sua gola, spaventata. -Siria… Adesso basta,
calmati.- mormorò,
accarezzandole i capelli, sentendola singhiozzare.
Repentinamente,
Siria alzò il viso, scoccandogli un’occhiataccia
improvvisamente furibonda.
-Come
faccio a
calmarmi?!- sbottò, il tono di voce più alto di
due ottave, le lacrime che
brillavano nei suoi occhi. -Mi vuoi dire come diavolo posso fare
a…-
s’interruppe, improvvisamente, quando distinse un lieve
sorriso dipingersi
lentamente sul volto del principe. -…perché
sorridi?- gli chiese, attonita,
senza comprendere.
-Sei
ancora più
bella, quando strepiti.- fu la semplice risposta del ragazzo, gli occhi
neri
fissi su di lei. Ridacchiò, quando la vide istantaneamente
arrossire, andando
quasi letteralmente a fuoco.
-Idiota!-
sbottò,
spingendolo via senza nemmeno troppa convinzione. Il principe si
lasciò
ricadere indietro, sul letto, trascinando anche lei con sé
in una risata
trascinante, che riuscì a coinvolgerla mentre si ritrovavano
a lottare, a
giocare, come bambini.
-E
splendida quando
ridi…ahi, Sir, dai, non mi picchiare!- perseverò
lui, ridendo, proteggendosi
dai pugni senza forza con cui lo stava tempestando la rossa.
-Invece
ti picchio
eccome! Tu…non puoi dirmi così. Non puoi. No.-
mugugnò la ragazza,
appallottolandosi al suo fianco, il viso sul suo petto ed il mantello
abbandonato per terra.
Sorrise,
Caspian,
passandole un braccio intorno alla schiena accarezzando quei capelli
che si
spargevano sul letto come un mare scarlatto, in cui affogare.
-E
perché?- le
chiese, dolcemente, voltandosi verso di lei e premendo le labbra sulla
sua
fronte, in un tocco gentile, tenero.
-Perché…perché
no,
ecco.- l’avvertì brontolare, il viso che affondava
il più possibile in
quell’incavo caldo che era la gola del principe, la pelle
sempre più rossa.
-Mi…m’imbarazza.- confessò, dopo un
istante; e seppe per certo che sarebbe
andata a fuoco entro pochi istanti, visto che quel dannato rossore non
accennava minimamente a diminuire.
-Come
se nessuno ti
avesse mai fatto un complimento.- ridacchiò lui, divertito,
giocherellando con
una ciocca di quei capelli ramati che tanto adorava, sentendoli
scivolare
morbidamente fra le dita, come seta.
-Non
come fai tu.-
la sentì lentamente acquietarsi fra le proprie braccia, dopo
quelle parole;
sentì il suo respiro farsi più tranquillo, ma il
battito del cuore rimaneva
martellante, forte, prepotente, lo sentiva palpitare sotto le dita che
accarezzavano lentamente il suo corpo flessuoso. -Caspian…-
si accorse
immediatamente della vena di paura nella voce della rossa; nonostante
si
lasciasse distrarre, per pochi attimi, Siria era ben conscia di cosa li
aspettava, del pericolo che aleggiava su di loro.
Il
principe scosse
la testa, accarezzandole una guancia. Con dolcezza, portò il
suo visetto a
guardarlo, costringendo quegli occhioni immensi a perdersi nei propri,
quelle
labbra a sfiorare le sue.
-Ehi,
non pensarci.
Non pensare a nulla, stanotte, Siria. Soltanto a me.- le
sussurrò, piano,
scostando dolcemente una ciocca di capelli dalla sua guancia.
E
un istante più
tardi, un nuovo bacio li coinvolse entrambi; un bacio dapprima leggero,
fatto
di labbra dolci che si sfioravano, che si accarezzavano lambendo ogni
millimetro
di pelle, di respiro, di fiato. Un bacio che dopo qualche attimo
diventò più
intenso; Siria avvertì le mani di Caspian racchiuderle
delicatamente il viso,
avvertì il suo tocco caldo sulle guance, la pelle morbida
delle dita, la
sicurezza che le trasmettevano con quelle dolci e lievi carezze.
Sospirò,
tremante,
gli occhi blu sperduti nel sapore di quei baci di cui non poteva averne
mai
abbastanza, quei baci che la trascinavano via, che si agitavano nel suo
ventre
e che acceleravano i palpiti di quel cuore che lottava, per la prima
volta, per
vivere.
Vivere
per lui, vivere dilui.
-Sei
un bel
pensiero.- sussurrò, piano, quando il respiro
tornò a fluire fra le sue labbra,
le palpebre socchiuse. Intravide il sorriso del suo
principe, i suoi occhi neri brucianti quanto i propri, le
proprie mani tanto candide immerse in quei riccioli soffici.
E
sentì la pelle
ardere nuovamente, il corpo rabbrividire e fremere ed un calore
languire nel
suo ventre, quando le labbra sottili del principe scesero sul suo
collo,
baciandola con morbidezza, cancellando in quel sentiero fatto di umidi
baci
ardenti tutti i pensieri che tormentavano entrambi.
-Anche
tu, per me.-
lo avvertì sussurrare, e sorrise, arrossendo di nuovo, le
dita affusolate e
candide che slacciavano i lacci della casacca del principe –
ignorando quel
terrore che si ritrovò spinto in un angolo, schiacciato dal
bisogno di
perdersi, ancora una volta, in lui.
.
.
-Caspian.-
fu la
voce di Siria, nel buio della notte, a risvegliare il principe.
Il
ragazzo schiuse
bruscamente gli occhi, il ventre avvolto soltanto dal lenzuolo grezzo
di quel
letto frugale, ritrovando a pochi millimetri dal viso due specchi blu,
illuminati dalla candida luce della luna che filtrava dalla finestra.
-Cosa…?-
le dita
sottili della raminga si posarono sulle sue labbra, la testa rossa,
scompigliata,
si alzò dal cuscino; Siria era tesa, il suo viso era
assente, il suo sguardo
pareva perso ad ascoltare qualcosa che lui non poteva udire.
Rimase
in silenzio,
obbediente, guardando i suoi occhi farsi assenti ed il suo volto
dipingersi
lentamente di terrore.
-Passi
di gente in
armatura. Ascolta.- gli sussurrò, e dopo un istante Caspian
comprese a cosa si
stesse riferendo; conosceva quel suono, lo aveva udito milioni di
volte, osservando
le truppe del regno sottoposte ai rigidi allenamenti dei loro
comandanti…
Con
un fruscio, la
raminga si lasciò scivolare dalle lenzuola, il corpo nudo,
candido, che si
accostava prudentemente ad un angolo della finestra.
Rabbrividì, tentando di
non lasciarsi distrarre dagli ardenti occhi del principe, che
avvertì indugiare
sulle proprie curve, sul seno, sulle natiche, sulla fenice che vigile
adornava
la sua schiena liscia.
E
ciò che vide,
riuscì a fermare per qualche istante quel suo cuore rinato.
-Sono
guardie.
Merda, sono guardie di Miraz!- sibilò, il terrore che
improvvisamente riempiva
quegli occhi repentinamente scuriti, raggelati; Caspian distinse
soltanto una
macchia confusa di capelli, prima di vederla indossare rapidamente il
corpetto,
la calzamaglia scura, il mantello. Talia!
Sono venuti a prenderlo!, sbottò mentalmente la
rossa, allacciandosi in
cintura la propria fedele spada, passando sulla schiena i lacci della
faretra.
Fila
via! Portalo via, subito!,
sentì ribattere
l’amica; Talia era già sveglia e vigile, Talia
aveva già visto cosa stava
succedendo…
-Dobbiamo
andare
via…- mormorò, ma per la prima volta non sembrava
convinta; non poteva lasciare
che prendessero Caspian, ma non poteva nemmeno permettere che i suoi
compagni
rischiassero la vita…
-Uccideranno
gli
altri.- Caspian, già vestito, sembrò dare voce ai
suoi pensieri. Le si
avvicinò, vedendo il tormento tornare ad oscurarle il volto,
lo sguardo, prima
che la raminga si voltasse verso di lui.
-Tu
vai, io non
posso lasciarli.- affermò, un po’ più
sicura, la mano sinistra che si stringeva
quasi convulsamente sull’elsa.
-E
io non posso
lasciare te. Saranno in trenta, Siria, vi ammazzeranno tutti.- distolse
lo sguardo,
la raminga; distolse lo sguardo, perché la crudele
verità negli occhi di
Caspian era troppo pesante, per poter essere accettata.
-Sappiamo
cavarcela.- mormorò, ma nemmeno lei era convinta di
ciò che stava dicendo.
Fu
Caspian a
costringerla a guardarlo; fu lui, a prendere il suo viso fra le mani, a
guardarla con una decisione cupa e determinata nelle iridi scure.
-Siria.-
Siria si
sentì morire, quando la sua mente compì quel
semplice collegamento che Caspian
aveva già fatto.
-No.-
scosse la
testa, nervosamente.
-Siria.-
Siria chiuse
gli occhi, le lacrime che pungevano dolorosamente le palpebre serrate;
non
voleva ascoltarlo, non voleva sentirlo, non voleva essere costretta a
capire
che lui aveva ragione…
-Non
pensarci
neanche.- affermò, la voce tremante, i pugni serrati.
-Sir,
è l’unica
cosa da fare.- e fu quella verità a frantumare
l’ultima speranza che si
ostinava a proteggere nel proprio cuore.
Una
lacrima. Due,
tre.
Perle
d’argento su
velluto candido.
Tentò
di resistere,
per un istante; tentò di non crollare, di non lasciarsi
andare alla
frustrazione, alle lacrime. Ci provò davvero,
perché sapeva che non era il
momento, che doveva essere forte, che doveva combattere…
Fu
Caspian, a
trarla a sé.
Fu
il principe, a
passarle un braccio intorno alla vita ed a stringerla contro di
sé, sentendola
rigida, in tensione, il viso affilato premuto sul proprio torace, le
mani
serrate nei pugni.
La
sentì tremare,
scossa da un singhiozzo soffocato.
-Sssh.-
mormorò,
pianissimo, accarezzandole i capelli, il viso, le guance rigate da
quelle
uniche lacrime che si era permessa di piangere.
Rimasero
lì,
immobili, il clangore delle armature e delle armi che risuonava sempre
più
minacciosamente vicino nel buio tetro di quella notte senza stelle.
-Ti
tirerò fuori da
lì.- sussurrò improvvisamente Siria, la voce
molto più decisa di pochi istanti
prima, alzando lo sguardo.
Non
piangeva più, Siria;
sul suo viso candido, nei suoi lineamenti contratti, c’era
soltanto una
determinazione che non le aveva mai scorto prima, che intimamente
riuscì a
farlo sorridere, fiero del coraggio troppo a lungo dimenticato che ora
vedeva
apparire nei suoi occhi.
Si
era ricordata di
un particolare; un particolare importante, che la sua mente aveva
registrato
senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Mesi prima, ormai, Aaron
l’aveva
portata con sé, quando avevano ricevuto l’incarico
sottobanco di riportare il
principe traditore a palazzo; l’uomo dal volto nascosto, che
aveva riconosciuto
come uno dei generali più malvagi di Miraz, aveva
chiaramente parlato di un’impiccagione
pubblica, di Caspian e del nano catturato al suo posto.
“Per
spronare il popolo contro quella feccia
ancora viva che erano gli abitanti di Narnia”.
Siria
aveva
ignorato il fiotto d’odio che quelle parole le avevano
provocato; non erano
affari suoi, a quei tempi. Nulla, era affar suo.
Ma
adesso, le cose
erano cambiate.
-Io
so che ce la
farai. Mi fido di te, Sir, mi fido ciecamente di te.- incredibilmente,
Caspian
sorrise; e lei annuì, rincuorata da quel sorriso, da quel
viso, dalla sua
presenza che non aveva la minima intenzione
di lasciare.
-Resisti…ti
prego,
resisti.- gli accarezzò una guancia, con dolcezza, sentendo
il cuore protestare
ferito a morte per quella separazione ormai imminente; ma lo
ignorò, così come
ignorò tutto ciò che non rappresentava il piano
folle che stava prendendo forma
nella sua mente.
.
Una
freccia dalle piume scarlatte.
.
-Sarò
lì ad
aspettarti. È una promessa.- annuì lui, sempre
più fiero del fuoco che vedeva
ardere in quelle iridi, vedendo gli altri – Aaron, Talia,
Caleb, Tara – entrare
nella stanza, con la coda dell’occhio.
E
poi la lasciò
andare; fu doloroso, separarsi da lei, ma qualcosa gli diceva che non
sarebbe
stato per troppo tempo.
E
poi, sorprendendo
tanto lei quanto sé stesso, alzò gli occhi
nerissimi per incontrare quelli
azzurri ed allarmati di Aaron.
-Aaron…ho
bisogno
del tuo aiuto.-
.
.
-Angus.-
La
voce sprezzante
di un ragazzo dai capelli rossi interruppe la marcia dei soldati, ad un
rapido
cenno del loro comandante.
Il
ragazzo era
apparso dal nulla, o così pareva: se, fino a pochi istanti
prima, il piccolo
drappello di una trentina di uomini si stava dirigendo verso la
locanda, lungo
quella strada costeggiata dagli alberi, ora si ritrovava immobile, una
figura
alta ed insolente a bloccargli la strada.
Aaron
sorrise; il
miglior sorriso indifferente che gli potesse riuscire, in quella
situazione,
vedendo gli occhi di tutti quei soldati puntati su di sé,
sapendo che a poco
più di qualche metro da loro, Talia e Siria stavano
prendendo in prestito (in
un modo un po’ ortodosso) un cavallo dalle scuderie della
locanda.
Siria
aveva un
piano, un piano folle, potenzialmente suicida e ad alto tasso di
disfatta; ma
lui, aveva smesso di mettere in dubbio la parola di sua sorella.
Angus,
il comandante
dal volto coperto del piccolo drappello, scoprì appena il
viso; una lunga
cicatrice sfregiava il suo volto ruvido, barbuto ma fin troppo magro,
inquietante.
Uno
dei soldati più
spietati al servizio di Miraz; la spia.
-Il
ragazzo.
L’avete trovato, ho saputo.- sorrise, crudele, vedendo gli
occhi insolenti di
Aaron assottigliarsi impercettibilmente.
-Le
notizie
corrono, a quanto pare.- commentò il mercenario, le braccia
muscolose
incrociate sul petto, la testa rossa inclinata appena di lato, le
fredde iridi
azzurre puntate insistentemente sul proprio interlocutore.
-Avete
avuto la
fortuna di trovarci in questo villaggio. Il nostro reggente sta
organizzando un
attacco alla foresta.- Aaron non si mosse, mantenendo
quell’espressione
distaccata che tanto sapeva irritare quell’uomo; ma dentro,
avvertì qualcosa
contrarsi, rabbiosamente.
Siria
si stava già
probabilmente addentrando nella foresta, in quel momento. Cosa avrebbe
incontrato? Ce l’avrebbe fatta, a compiere ciò che
aveva deciso di fare?
-Interessante.-
commentò, ignorando le proprie paure, non lasciando che i
pensieri oscurassero
il suo sguardo. -I nostri soldi?-
-Il
ragazzo.-
ribatté Angus, seccamente, schioccando le nocche in un gesto
decisamente
eloquente.
Aaron
si odiò, per
quello che dovette fare. In quell’istante, in quel cenno che
rivolse al buio
impenetrabile della notte, riversò tutta la sua rabbia;
verso il piano folle di
sua sorella, verso quel pazzo di principe che le dava anche corda,
verso tutta
quella stramaledetta situazione che li aveva messi ampiamente nei
casini.
Fosse
stato per
lui, si sarebbero dileguati nella foresta; impossibile,
sussurrò una vocina amara nella sua testa. Tara,
dall’alto dei tetti dove s’era
arrampicata, gli rivolse un cenno che non fece altro che confermare i
suoi
dubbi. La locanda era stata circondata, e non certo da soldati in
armatura…
Fu
Caleb, ad
emergere dal buio, impassibile quanto lui. Al suo fianco, silenzioso e
scuro in
volto, uno stupido principe che se
si
fosse fatto ammazzare sarebbe incorso nell’ira funesta di un
iperprotettivo
fratello maggiore.
-Caspian,
è un
piacere rivederti vivo.- fu il commento di Angus, un sorriso crudele
sulle
labbra storpiate; il principe non alzò lo sguardo, troppo
concentrato a
mantenere quell’espressione accuratamente spaventata,
rivolgendo solo una
rapida occhiata ad Aaron prima che due soldati lo raggiungessero,
afferrandolo
e sottraendolo dall’amica, rassicurante presenza di Caleb.
In
trappola.
Era
questa, la
sgradevole sensazione che lo animò per un istante, quando si
lasciò trascinare,
senza una protesta, fra gli altri soldati.
Un
sibilo
improvviso lo costrinse a voltarsi; e per un istante, sorrise, vedendo
l’immenso
spadone che Caleb portava sempre con sé puntato alla gola di
Angus, il ghigno
ancora impresso sul volto.
-I
soldi, Angus.-
la voce di Aaron vibrava di fastidio; ma Caspian, sapeva bene che non
era
dettato dalla mancanza del pagamento.
Angus
non perse la
sua flemma; con lentezza, estrasse un pesante sacchetto di iuta,
gettandolo ai
piedi di un Aaron sempre più scuro in volto.
-Eccoli,
i tuoi
soldi. Dopotutto, sono l’unica cosa che
v’interessa.- commentò, velenoso,
mentre Caleb abbassava – con molta poca convinzione
– l’arma.
Il
soldato si voltò
per seguire la sua truppa, che già si stava allontanando, il
prezioso principe
ben controllato da due soldati massicci.
Sull’ultimo,
prima
di sparire nei meandri del mantello scuro, Angus si voltò a
guardare Aaron,
sogghignando.
-Io
terrei d’occhio
le vostre donne, se fossi in te e nel tuo amico…non si sa
mai.-
.
.
-Avremmo
potuto
trovare una scusa per arrestare anche le due puttane, quelle che il
rosso aveva
con sé l’altra volta. Te le ricordi?- suo
malgrado, Caspian si voltò verso il
soldato che aveva parlato, sorpreso ed innervosito insieme.
Siria
e Talia,
gli suggerì istintivamente la sua mente.
Avvertì
il sapore
amaro dell’odio farsi strada fra le proprie labbra,
insinuarsi come un veleno
nella sua mente.
-Altroché!
La nana
coi capelli scuri sarebbe stata interessante, da provare.- dovette
mordersi
violentemente un labbro, per non reagire a quelle parole disgustose,
una sorta
di rabbia fraterna che sorgeva repentinamente ad animare i suoi occhi,
sentendo
quell’uomo riferirsi
così a Talia.
-E
la rossa…sarebbe
interessante provare a domarla, eh, principino?- l’altro
uomo, sghignazzando,
si rivolse al ragazzo, vedendo una furia ben più prepotente
farsi strada sul
suo volto. E lo sguardo di puro odio che Caspian gli rivolse, fu
più che
sufficiente a far morire ogni goliardico sorriso dal volto del soldato.
.
È
andato.
Il
pensiero
telepatico di Talia non le giunse inaspettato, ma non poté
impedire al proprio
cuore d’incrinarsi, disperato.
Siria
scosse la
testa, chiudendo dietro di sé ogni contatto, ogni legame.
Avvertì la presenza
di Talia affievolirsi, ed improvvisamente, a cavallo di quella bestia
lanciata
al galoppo in mezzo alla foresta, si ritrovò sola.
Sola.
Era sola,
lei, e la sua determinazione. Ce l’avrebbe fatta, o sarebbe
crollata?
Nemmeno
lei ne era
ben certa. Sapeva soltanto che non avrebbe permesso che facessero del
male a
Caspian, sapeva soltanto che in qualche modo, a costo di qualsiasi
cosa, lo
avrebbe liberato.
Era
questo, ad
animarla. Era questo, a darle la forza di affondare i talloni nei
fianchi dell’animale,
spronandolo il più possibile.
Doveva
trovarli, si
ripeteva, lo scalpitio violento degli zoccoli che scandiva il battito
furioso
del suo cuore.
Doveva
salvare
Caspian. Dipendeva soltanto da lei, solamente lei avrebbe potuto
salvare quella
vita che improvvisamente le pareva la più importante di
quella terra. Quella
vita che si era intrecciata prepotentemente alla propria, da cui
sentiva già di
dipendere; e sapeva, che se uno dei due lacci di quel legame fosse
stato
spezzato, l’altro non avrebbe mai resistito.
Doveva
salvare Caspian,
si ripeteva,
mentre il cavallo correva lungo quei sentieri che soltanto quella
mattina
avevano percorso.
Doveva
trovare i Re.
.
.
My
Space:
Eeeeeeeeeeeccomi
qua, dopo un bel pò che non aggiornavo ^^' allora, ho tante
cose
da dire su questo capitolo decisamente concentrato xD in primis, la
canzone, Blue Eyes; adoro i Within Temptation, come forse
s'è
già capito, quindi aspettatene tante di canzoni come questa
nei
prossimi capitoli :P mi sono fatta perdonare l'assenza? Questo capitolo
è luuuuuuuuuuuungo! ^^
Ppppppoi, vediamo un pò, andando per
ordine alfabetico.
Aaron.
Aaron sta capendo, Aaron ha visto, Aaron ha un pò di
cervello
dopotutto; la cosa mi sorprende, è un uomo......come sono
malefica, lo so xP però davvero, sembra che abbia capito
qualcosa di sua sorella, finalmente...o molto più
probabilmente
Talia gli ha dato una sonora mazzata sulla crapa per farlo rinsavire
U.U e poi, a dirla tutta, m'è piaciuto un casino nella scena
finale ^^'
Caspian.
Caspian è un imbecille, ma a quegli occhioni neri e a quei
capelli cotonati si perdona tutto *W* insomma, la sua scelta
è
semplice; ha messo prima di sé stesso Siria, la donna di cui
si
è palesemente, ma palesemente innamorato. Si è
consegnato
alle guardie, ma non è che abbia tutta sta gran voglia di
morire; infatti, qualcosa
*avrà imparato a conoscere un poco Siria, che dite?* gli
dice
che Siria non se ne starà propriamente con le mani in mano...
Siria,
perl'appunto. La raminga sta crescendo, e sta tirando fuori le palle,
finalmente; c'è un breve scorcio di quanto in
realtà lei
sia capace di combattere, di cavarsela da sola; è un
personaggio
poliedrico, tanto fragile quanto forte, tanto coraggioso nelle cose
"esterne" (battaglie, guerre, morti e via dicendo) tanto pauroso in
quelle "interne" (ergo, i sentimenti). Siria oscilla
continuamente fra il coraggio e la paura, ma alla fine, riesce sempre a
trovare la forza per combattere; e tutto questo grazie a
quel BENdiddio di principino, santo ragazzo xD Amo questa donna *W*
Ho
un'altra precisazione da fare, per chi ha letto le mie Luce e Buio e Il
Sangue della Regina: Siria non è Diana. Siria è
simile,
per certi versi, ma soprattutto è completamente diversa
dalla
mia Regina (che mi manca tanto T.T). Diana era figlia di un destino
crudele già scritto, che ha concluso fino alla fine; Diana
aveva
degli ideali, uno scopo, un senso di giustizia ben precisi. Siria no;
Siria ha un passato altrettanto scabroso, ma al contrario di Diana non
ha mai trovato (prima di Caspian) un motivo valido per cui mettersi in
gioco, degli ideali che non fossero "pensiamo soltanto a me e ai miei
amici" in cui credere. Caspian ha distrutto tutto quanto, portandola
repentinamente a credere in una giustizia che le sembrava tanto
lontana, e che invece le è piombata fra capo e collo assieme
al
principino; è lui, il motivo per cui adesso combatte. Diana
è l'eroe; Siria, per certi versi, è molto
più
umana.
Non mi chiedete chi preferisco fra le due, vi
prego: sono due parti di me, egualmente importanti.
Bon,
ho da dire solo poche cose; dal prossimo capitolo, la prima "parte
della storia è conclusa; ossia la parte dove sono due le
vicende
parallele che si sviluppano, due le storie che vengono narrate, e che
ora, finalmente, s'intrecciano. Ergo, presto vedremo Siria e Peter
nello stesso luogo...sarà da riderci
*muhahahahahahahahahahahahahahah*
*Will inarca un sopracciglio, decisamente
preoccupato*
Io
ti amo *W*
Seriamente, ti sei fatta ampiamente, ma dico AMPIAMENTE perdonare,
anche se non ce n'era alcun bisogno!!! Ho adorato la tua recensione,
davvero *.* e merita una risposta come si deve ^^
Aaron è un personaggio complicato; è un fratello
maggiore, e ha dalla sua l'arroganza e la saccenza tipici di questa
razza (dovrei tacere, visto che sono anch'io sorella maggiore, ma va
beh :P); ma non è cattivo, e in questo capitolo, finalmente,
si
vede ^___^ Siria è anche peggio; ha passato fin troppe
brutte
esperienze, che l'hanno rinchiusa in un bozzolo di durezza e cinismo in
cui prima non era. La tua definizione è praticamente
perfetta,
davvero! Hai colto l'essenza che voglio dare a Siria, l'essenza mia:
Siria si odia, si odia per ciò che è nel
profondo, per
quel cancro che si porta dietro e che si scoprirà fra
parecchio
tempo (anche se di indizi ce ne sono già ^^) Shaylee
è un
personaggio meraviglioso, altrettanto complesso: è dolce, ma
ferita; al contrario di Siria, però, si nasconde dietro la
freddezza, non la durezza. Con Lucy si troverà presto; sono
entrambe decisamente simili. E Peter...aaaaah beh, quell'uomo
è
una versione di me al maschile, poveretto ^^'''
Talia e Caleb; Talia è un personaggio meraviglioso, specchio
fedele della mia migliore amica. E' quel carattere di sorella maggiore
che voglio calcare su di lei, ma allo stesso tempo "compagna di
marachelle" di Siria; è protettiva, vero, ma non ossessiva
come
Aaron, come dici tu. Adoro caratterizzare Talia, è una
ventata
d'aria fresca e travolgente, è uno sprazzo d'ironia e di
allegria trascinanti. Con Caspian, sta stringendo una bizzarra amicizia
che ha dell'incredibile xD Caleb è adorabile; lo amo,
è
un orsacchiotto, non ho altro da dire <3
Siria e Caspian: aaaaaaaaaah, li amo *W* li adoro, senza limite *.* lui
è tenero, è terribilmente coccoloso, lei con lui
riesce
ad essere sè stessa, ad essere fragile senza paura di essere
spezzata. Questi due mi hanno conquistata, senza scelta ^^' Siria
è comunque una guerriera, e presto la vedremo nel suo
elemento;
il fuoco, l'ardore della battaglia ^__^
Ancora Peter: Peter in battaglia, Peter come Re, Peter in tregua con
Shaylee, Peter come ragazzo: amo quest'uomo, amo caratterizzarlo, mi ci
rivedo facilmente (forse anche troppo): sono contenta che ti piaccia
tanto come lavoro su di lui ^^ e con Shaylee lo adoro: sono una coppia
esplosiva, ma che riservano tante, tantissime sorprese. In fondo,
l'odio e l'amore non sono così distanti ^^
Susan: Susan la odio, profondamente, e se la maltratto è
giusto
per questo ^^'' ma li trovo, i suoi dettagli. Non è stupida,
è intelligente; è furba, e sarà una
presenza ben
importante contrapposta a Shay e Siria.
Sono tanto felice che ti piacciano le mie descrizioni *.* adoro
descrivere, è forse la cosa che amo di più nella
scrittura, forse perché adoro anche osservare ^^ anche per
le
emozioni, le sensazioni, i sentimenti, cerco di concentrarmi appieno
per mettere su carta ciò che intendo far provare, a me, ai
miei
personaggi, e ai miei lettori ^^
I tatuaggi sono molto importanti, in questa storia: Siria non ha solo
quello, ma la fenice è il suo marchio, quella che
servirà
in un eventuale seguito ^^
Il gioco di maschere fra Peter e Shay l'ho amato; è quasi
una
danza, un continuo indossare e togliersi queste maschere, questo gioco
che corre fra loro che non sono più così lontani
^^
Finito anche io, ho scritto un mezzo poema xD sappi che adoro le
recensioni lunghe, ma non farti dei problemi, pensa prima agli esami
che sono la cosa più importante in assoluto, tanto la fic
è qua, non scappa! ^___^
Un bacione, e grazie di tutto ^__________^ <3
P.S. Sto lavorando ancora a quella benedetta stesura ufficiale di
L&B; mi sono arenata di nuovo, è noioso riscrivere
tutto T.T
Renditi
conto: "cockerino morbidoso" è diventato il mio epiteto
preferito rivolto a Will *W* meraviglia *.*
Il legame fra le tre dame sarà spiegato nel prossimo
capitolo;
pian piano, siamo arrivati alla conclusione della prima parte della
storia ^__^ Lucy è meravigliosa, ma è grazie alla
Fla che
riesco a scrivere di lei, non la sento molto mia; Susan, eh, Susan ha
davvero bisogno di un uomo, basta che non sia Caspian xD un bacione a
tutta la famiglia, e un abbraccio forte forte <3
Mother
Earth è una
canzone
meravigliosa, l'ho amata dal primo momento in cui l'ho sentita ^^ i
suoni Irish li adoro, hai provato ad ascoltare Medieval Drum Dance su
Youtube? E' splendida ^^ Peter e Shay sono meravigliosi, e questo
è l'ultimo capitolo in cui sono "separati" dalla vicenda di
Siria e Caspian...tremo al pensiero di Siria e Peter nello stesso
posto, due zucconi del genere avranno vita dura:P spero che questo,
nonostante l'assenza del mio amatodiato biondo, ti sia piaciuto ^_____^
Mia
ennesima fanfiction, la numero 40 per essere precisi *W* Incentrata sul
Re Supremo, si può considerare come un prequel di questa
fanfiction...commenti e letture sono sempre gradite ^_____________^
Shaylee
smise
repentinamente di camminare, quando qualcosa di prepotentemente immenso
irruppe
con rabbia nella sua mente.
Smise
di camminare,
le mani affusolate che trovavano istintivamente la corteccia
dell’albero più
vicino, il corpo attraversato da una scarica elettrica che la costrinse
a
serrare gli occhi, cercando di trattenere quell’energia
dall’esplodere.
Siria.
Avrebbe
riconosciuto la sua presenza, i suoi pensieri, la sua energia, in
qualsiasi caso.
La pelle del collo bruciava, bruciava come non mai; la rossa era
vicina, era
più vicina di quanto non fosse stata negli ultimi sette
anni, ed il simbolo che
entrambe portavano impresso sul corpo ardeva per avvertirla
dell’avvicinarsi
rapido della raminga.
Avvertiva
la
coscienza della rossa sempre più vicina. Concitata, il cuore
che batteva ad una
velocità inaudita. Paura.
Paura.
Terrore, ansia, paura, terrore.
Decisione.
C’era
determinazione, in quel turbinio di emozioni che travolsero la ninfa
con una forza
inaudita, costringendola ad aggrapparsi a quel tronco pulsante di vita
repressa
per non crollare in ginocchio.
Non
avvertì le voci
dei suoi scomodi accompagnatori, non avvertì la voce di una
Lucy
improvvisamente allibita.
Un
calore sconosciuto sulla pelle del braccio.
Un
calore che non
riconobbe, un calore che il suo corpo accolse con un brivido che nulla
aveva a
che fare con quelle emozioni dirompenti. Un calore di una mano che non
l’aveva
mai sfiorata, che si strinse intorno al suo esile avambraccio per
sorreggerla,
impedendole di cadere.
E
riuscì davvero ad
impedirglielo.
Fu
quel calore a
trascinarla fuori dal vorticoso turbinare che era la mente della
raminga; fu
quel calore, a ridarle coscienza di sé, a farle
repentinamente riaprire gli
occhi, improvvisamente di nuovo limpidi e vigili.
-Shaylee…?-
una
voce preoccupata, una voce vicina. Una voce, un calore, che
improvvisamente,
con un singulto tremendo dalle parti del cuore, riconobbe.
Alzò
lo sguardo, allibita.
Capelli
biondi.
Stupefacenti
occhi
celesti.
…Peter.
Sobbalzò,
allontanandosi di scatto dal – troppo
vicino – Re Supremo, distogliendo immediatamente
gli occhi dorati dal viso
preoccupato del giovane.
-Shaylee,
tutto
bene?- improvvisamente, la ninfa si rese conto di essersi aggrappata
come un naufrago
sballottato dalla tempesta ad un albero, il viso stravolto, il colore
scomparso
dalla carnagione già chiara di per sé. Li aveva
preoccupati, probabilmente – lo…
-Sì…sì,
tutto bene,
è che…- le parole morirono sulle sue labbra,
mentre lentamente i suoi occhi
mettevano a fuoco la foresta buia che li circondava, lo sguardo
diffidente
della Regina, quelli sinceramente preoccupati di Lucy e di
Edmund…il viso
ansioso di Peter, quel volto che faticava a guardare, quasi quanto
fissare il
Sole.
Siria.
Siria
era vicina,
era terribilmente vicina. Nel breve scorcio che aveva avuto della sua
mente,
aveva distinto lo scalpitio di un cavallo, la stessa foresta che la
circondava
che correva rapida intorno a lei…
Che
diamine stai facendo!?
.
Un
lieve sorriso si
disegnò sulle labbra della raminga, il cavallo che scartava
violentemente per
evitare lo scontro con un albero.
Tranquilla,
non voglio farmi ammazzare.
.
Un’espressione
alquanto
atterrita si disegnò sul volto della ninfa, alle parole
incredibilmente sicure
che risuonarono nella sua mente. Non sembrava nemmeno la voce di Siria,
quella;
c’era troppa sicurezza, troppa determinazione, per una
ragazza che non aveva
ancora trovato la propria strada.
Trasalì,
quando
avvertì due suoni quasi sovrapporsi; lo scalpitio di un
cavallo, e il sibilo
frusciante di una spada elegantemente estratta dal fodero.
-Peter…-
mormorò,
scuotendo appena la testa, rivolgendo il suo sguardo atterrito agli
alberi bui.
Il Re aveva sguainato la sua spada, il corpo muscoloso e slanciato era
pronto,
scattante, la tensione emanava dalla sua pelle in un modo quasi
palpabile.
Siria,
dannazione, frena!,
sbottò con
veemenza, sentendo l’avvicinarsi del cavallo in corsa,
avvertendo la coscienza
dell’amica sempre più vicina.
E
la voce
irridente, decisa, incredibilmente viva
della rossa risuonò nuovamente fra i suoi pensieri,
sorprendendola per la
determinazione che prevaleva persino su quel terrore quasi atavico.
No.
Si
sarebbe messa
nei guai, guai grossi. Shaylee ne era davvero certa.
Per
fortuna, però,
sembrava darle retta. Avvertì il cavallo rallentare,
l’andatura si fece meno
frenetica, più tranquilla.
E
dopo un istante,
lo vide emergere dagli alberi; un bel cavallo fulvo, dalla criniera
scura e gli
occhi dolci, i fianchi poderosi che si allargavano freneticamente dopo
una
corsa durata probabilmente ore ed ore.
-Ma
che diamine…-
fu il lieve sussurro di Peter, i muscoli tesi e l’udito
pronto a cogliere ogni
singolo suono fuori dal normale.
Il
cavallo non
portava nessuno, in sella. A dir la verità, non portava
nemmeno la sella,
soltanto una coperta grezza era buttata sul suo dorso, e soltanto le
redini
apparivano come finimento al muso ansimante.
Non
un fruscio, non
un suono, precedettero un’unica parola a poco più
di una spanna dietro la
ninfa.
-Shaylee.-
in altre
circostanze, Siria avrebbe riso, ed anche di gusto; il balzo della
ninfa,
l’urlo che riuscì per un pelo a soffocare, furono
davvero esilaranti.
Ma
la
determinazione scolpita nei suoi duri occhi blu le permise soltanto di
piegare
appena le labbra in un mezzo sorriso frettoloso, quando le iridi dorate
della
ninfa si posarono su di lei.
-Siria!-
la vide serrare le labbra, non
appena il suo nome le sfuggì in un’esclamazione
quasi esasperata. Vide i suoi
occhi saettare sull’altra ragazza, sulla bruna dagli occhi
azzurri dal viso
improvvisamente illuminato. Vide un ragazzo dai capelli neri sguainare
la
spada, scrutarla con diffidenza mista a qualcosa di molto simile a
spietatezza;
e distinse l’espressione confusa di una bambina, una bambina
dai limpidi occhi
celesti che la fissava completamente allibita.
Ma
la sua
attenzione, prevedibilmente, venne attratta dal biondo, e dalla spada
lucente
che in un istante si ritrovò puntata alla gola.
Non
mosse un
muscolo, quando gli occhi celesti del Re Supremo si scontrarono con i
suoi. Non
ebbe bisogno di presentazioni, non ebbe bisogno dello sguardo di
avvertimento
che Shaylee le lanciò con furia, preoccupata.
Le
bastò vedere il
leone inciso sull’elsa di quella spada, per riconoscere nel
suo proprietario
l’Alto Re di Narnia.
Rimase
completamente immobile, scrutando con palese insolenza il viso
contratto del
biondo. E sostenne quello sguardo, quello sguardo che veniva da secoli
addietro, quei gelidi occhi azzurri che riuscirono, per un istante, a
trapassare la flebile maschera che sapeva di dover indossare.
Peter
non aveva
sentito il sibilo di Shaylee. Non aveva nemmeno collegato la
descrizione
frettolosa della mercenaria che aveva rapito Caspian alla diafana
ragazza
avvolta in un mantello nero, che ora aveva dinanzi.
Aveva
semplicemente
reagito; reagito all’istinto prepotente che quella donna
dallo sguardo gelido
gli provocava.
Pericolo.
Qualcosa,
nel suo
stomaco, si stava agitando violentemente; non era una bella sensazione,
era la
sensazione che aveva provato prima di una battaglia, prima di
scontrarsi con
nemici pronti a tutto pur di ucciderlo.
Pericolo.
Quella
donna dagli occhi blu, e i capelli rossi come fuoco, era un pericolo.
Un
pericolo spaventato,
perché in quelle iridi,
sotto una scorza d’indifferenza, c’era il tumulto.
-Shaylee,
ho
bisogno del tuo aiuto…e del loro.- mormorò Siria,
la voce perfettamente calma,
il corpo completamente immobile. Istintivamente, Peter
allontanò la lama dalla
sua gola, sentendola nominare la ninfa; se conosceva Shaylee, se
chiedeva il loro
aiuto, probabilmente non era un nemico.
Perché,
allora, quella sensazione non svaniva?
-Tu
chi diavolo
sei, rossa?- sbottò, con molta più veemenza di
quanto si aspettasse; non era
solito rivolgersi così ad uno sconosciuto, e men che meno ad
una donna; eppure,
il suo istinto continuava a urlargli di tenere la guardia alzata, di
tenerla
sotto tiro. Rivolse un breve cenno ad Edmund, che annuì, la
spada ancora alzata
e gli occhi scuri piantati addosso alla rossa.
-Potrei
farti la
stessa domanda, biondo.-
replicò lei,
gli insolenti occhi blu che si spostavano di nuovo su di lui,
irridenti. E
Peter avrebbe probabilmente ribattuto di gusto, se non avesse sentito,
alle sue
spalle, un esasperato versaccio spazientito proveniente da Shaylee.
-Siria!-
la
avvertì, infatti, esclamare, la voce venata di rimprovero. E
in un istante,
Shay si frappose fra loro, ignorandolo completamente per la prima volta
da
quando l’aveva incontrata, gli occhi dorati posati con aria
severa
sull’indifferente rossa – più alta di
lei di almeno una quindicina di
centimetri.
Fu
nel sentire quel
nome, nel vedere lo sguardo di Susan indurirsi, che qualcosa
scattò nella sua
mente.
-Aspetta
un
secondo…Siria? La mercenaria, quella che ha rapito Caspian?-
mormorò, mentre
una voce prepotente nella sua testa gli dava dell’imbecille;
come diavolo aveva
fatto a non capire, a non riconoscerla immediatamente!?
Il
suo primo
istinto, fu quello di rialzare la spada, di puntarla nuovamente contro
di lei;
ma era disarmata, non indossava armi.
E,
soprattutto, due
decisi occhi dorati si posarono su di lui, inchiodandolo lì
dov’era ed
impedendogli di muoversi.
Stai
invecchiando, Re Supremo, se una donna ti fa
questo effetto…
-Proprio
io.
Immagino che tu sia invece quell'imbecille che ci ritroviamo come Re.-
l’irritazione
crebbe a dismisura, nello sguardo improvvisamente furibondo del Re,
alle parole
irridenti e sarcastiche che la raminga, con un lieve ghigno sul viso
levigato,
gli rivolse.
-Ehi!
Come…-
sbottò, ma Shaylee ancora si frapponeva fra loro, ancora gli
impediva di
muovere anche solo un muscolo. Poco dietro di lui, Edmund era in
guardia,
accanto alle due sorelle; ma per la prima volta non era sicuro di cosa
fare, di
come muoversi. Shaylee si era guadagnata la sua simpatia ed il suo
rispetto, e
quella ragazza sconosciuta non poteva essere davvero così
sciocca da cacciarsi
da sola nella bocca del leone.
-Non
ho tempo per
discutere con te, idiota.- Siria liquidò in fretta
l’orgoglio ferito del Re
Supremo; quel ragazzo non le piaceva, non le piaceva proprio. E quel leone, sulla spada…
Ignorò
la morsa che
serrò il suo stomaco in una stretta d’acciaio, nel
fissare per un istante di
troppo quell’intaglio che tanto la spaventava, e si rivolse
alla ninfa, che
ancora la scrutava con un cipiglio di severità mista a
preoccupazione.
Doveva
spiegarle,
doveva raccontarle tutto, e far arrabbiare l’unico che
avrebbe potuto fare
qualcosa non era, dopotutto, una buona idea…
Improvvisamente,
nella sua espressione sostenuta, qualcosa
s’incrinò.
-Shaylee…-
mormorò,
la voce ben diversa, gli occhi blu che si spostavano repentinamente dal
volto
sorpreso della ninfa.
.
Caspian.
Caspian,
che si consegnava spontaneamente ai soldati di
Miraz.
Caspian,
che si fidava di lei.
Caspian,
che stava rischiando la vita.
Caspian…
.
-I
soldati hanno
preso Caspian…eravamo in una locanda, io non ho
potuto…- si odiò, per il
fremito che spezzò la sua voce, che riempì i suoi
occhi di lacrime trattenute
per puro orgoglio. Si odiò, vedendo gli occhi crudeli del Re
e della Regina più
grande indugiare su quelle crepe, su quelle voragini capaci di spaccare
a metà
quella sottile maschera che si era costretta ad indossare.
Si
odiò, sentendo
l’orgoglio ruggire ferito a morte, ma lo ignorò.
Lo ignorò, come tutto il
resto, chiudendo gli occhi per un istante troppo lungo, vedendo nel
buio della
mente il riflesso del viso del suo principe.
Avvertì
una mano
piccina, affusolata, terribilmente calda, posarsi sul braccio scoperto.
Non
poté impedirsi un sorriso, un minuscolo sorriso denso di
gratitudine,
riconoscendo all’istante il tocco dell’amica, di
Shaylee.
-Calmati.
Siria,
avanti, calmati.- si rese conto solo in quell’istante, Siria,
di tremare;
tremava, tremava di un freddo che veniva da dentro di lei, un gelo che
minacciava di mangiarla viva, un battito disperato del cuore dopo
l’altro.
No.
Non
l’avrebbe
permesso. Non si sarebbe lasciata sopraffare dal terrore, Caspian ce
l’avrebbe
fatta, lo avrebbe tirato fuori di lì. Non gli sarebbe
successo niente. Non gli succederà
niente.
Ma
ogni istante che
passava, il terrore diventava più grande.
-Shaylee,
non posso
calmarmi, dannazione!- sbottò, improvvisamente di nuovo
determinata, gli occhi
blu che si riaprivano e si fissavano con forza in quelli
d’oro colato della
naiade. -Lo ammazzeranno domattina davanti a tutti, dobbiamo fermarli,
lo
condanneranno come un traditore!- Shaylee trasalì, quando
riuscì per un istante
a sfiorare la paura che animava Siria, che Siria stava combattendo per
incanalare, per sfruttare; era quella ad averla spinta fin
lì, direttamente in
mezzo a persone sicuramente ostili.
Vide
Peter, alle
spalle della ninfa, sgranare gli occhi.
-Scusa…tu
vuoi
salvarlo? Lo hai consegnato a Miraz, e ora vuoi andare a salvarlo?-
Shaylee
nemmeno la vide. Avvertì soltanto uno strattone poco
gentile, qualche passo, e
voltandosi di scatto trovò il viso furibondo di Siria a poco
più di una spanna
da quello sconcertato del Re.
-Io
non ho consegnato nessuno
a Miraz.- sibilò la rossa, lo sguardo furibondo, duro come
la roccia, che si scontrava con quello altrettanto arrogante di Peter.
Shay
fu seriamente
tentata di alzare gli occhi al cielo; quei due erano uno più
testardo
dell’altra, farli andare d’accordo sarebbe stato un
miracolo…
-Non
mi sfidare,
mercenaria.- sibilò Peter, ma non alzò nuovamente
la spada; la ferocia della
raminga lo aveva sorpreso, non poco…le ipotesi erano due: o
era un’attrice
formidabile, oppure non mentiva.
E
il suo istinto,
stavolta, parve stare dalla parte della mercenaria.
-Stai
mentendo.
Come credi che possiamo crederti?- le chiese, duramente, dopo un attimo
di
silenzio; ma fu Siria a fare un passo indietro, a voltarsi, a non
sostenere più
il suo sguardo, di nuovo impaziente, concitata.
Cambiava
umore ad
una velocità impressionante, una velocità che
aveva distinto soltanto in una
persona: sé stesso.
-Shaylee,
non c'è
tempo! Tu sai che non posso mentirti, quindi convinci questo imbecille
a darmi
retta!- sbottò, rivolgendosi ad una Naiade alquanto
pensierosa, che mordendosi
nervosamente un labbro scrutava entrambi, tormentata.
Per
un istante,
rimase in silenzio; un silenzio pesante, gli occhi celesti di Peter
piantati
addosso, lo sguardo implorante di Siria che la feriva più di
quanto potesse
immaginare.
-Peter…-
mormorò,
infine, alzando lo sguardo sul Re sempre più sospettoso.
-Siria non può mentire
a me, lo ha giurato col sangue tanto tempo fa.- spiegò, il
più brevemente
possibile.
-Davvero?-
Susan si
era portata accanto al fratello, che pareva del tutto intenzionato a
crederle
sulla parola; ma la Regina era un osso ben più duro del
biondo, Shaylee se
n’era accorta diversi giorni prima, quando quella lite che
ancora bruciava
negli occhi di Susan era divampata fra loro.
-Io
sono una ninfa.
La bugia non è annoverata nelle mie capacità.-
Siria la fissò, completamente
colta di sorpresa dall’astio vibrante nella voce della
solitamente gentile e
pacifica Shaylee; scoccò un’occhiata allibita a
Susan, come a chiedersi cosa
potesse aver fatto per irritare l’amica fino a quel punto.
Shaylee arrabbiata
la spaventava non poco, a pensarci. Decisamente non poco.
-Curai
Siria, tanto
tempo fa, da una ferita che poteva esserle mortale. La mia regina le
fece
giurare fedeltà alle ninfe, e fra tutte, fui scelta io come
custode della sua
lealtà.- con una decisione dettata dal puro disprezzo,
Shaylee scostò
bruscamente i propri capelli, rivelando un piccolo tatuaggio dorato
impresso a
fuoco sulla sua pelle altrimenti perlacea.
Un
attimo dopo, le
dita sottili della ninfa si erano serrate sul cappuccio calato sui
capelli
rossi di Siria, che non reagì minimamente quando le
avvertì ripetere lo stesso
gesto su di sé, rivelando il medesimo marchio impresso sul
collo bianco della
raminga.
Peter
e Susan
trasalirono visibilmente, nel riconoscere quel simbolo sulla pelle
delle due
ragazze; era un simbolo molto antico, sigillo di un
giuramento prestato
con il
sangue, formato da una linea continua che s’intrecciava in
quattro trifogli
stilizzati.
Il
sigillo di Iona.
Il
sigillo
suggellato da Susan stessa, più di milletrecento anni prima.
La Regina lo
conosceva bene, conosceva gli effetti di quel marchio; chi stringeva
quel
patto, chi lasciava che il sigillo di Iona s’imprimesse sulla
propria pelle,
non poteva più mentire a coloro con cui aveva stretto il
giuramento. Se
l’avesse fatto, sarebbe morto.
E
non potevano
mentire a lei; a lei, suggello di ogni patto di quel genere che venisse
compiuto a Narnia.
Shaylee
represse a
stento un sorrisetto di vittoria, vedendo la sconfitta disegnarsi sul
volto di
Susan, e il sollievo su quello di Peter.
Le
avevano creduto.
Avevano creduto a Siria.
La
gratitudine
della raminga le invase la mente un istante più tardi,
insieme al suono lieve
di un sospiro.
Grazie.,
mormorò. Shay le scoccò un’occhiata
burbera, severa, ma non realmente arrabbiata; Siria voleva soltanto
proteggere
il principe, il suo principe.
Ne
parleremo poi.,
rispose, ma sentiva quell’amore del
tutto nuovo vibrare nel cuore dell’amica, e non poteva
davvero avercela con
lei; non poteva.
-Però,
quando vuoi
sai tirar fuori le unghie, sorella.- Siria, incredibilmente, riusciva a
spezzare la tensione con una battuta, con una vena di sarcasmo,
d’ironia; Shay
dovette lottare, per non sorridere.
-Tu,
zitta,
che con te farò i conti più tardi.- le
intimò, più dolcemente di quanto in
realtà volesse essere; ma non poteva farci niente, era
difficile non volerle
bene, ed era ancor più difficile arrabbiarsi sul serio con
lei. -Allora?
Dov'è?- le chiese, nello stesso istante in cui vide
quell’istante d’ilarità
sparire dal volto della rossa, soppiantato di nuovo da quella rinnovata
maschera di durezza.
-Lo
hanno portato al
castello, presumo sarà tenuto nelle segrete. Le conosco, le
ho già viste. Penso
non risparmieranno le torture, questa notte, ma so per certo che
vogliono
un’impiccagione in pompa magna, Miraz l’ha accusato
di tradimento e ha
sobillato la gente contro di lui.- spiegò la raminga, rapida
e concisa,
fissando solamente l’amica ed ignorando ancora una volta i Re
intorno a loro.
-Dobbiamo muoverci subito.-
-E
come?- sbottò
nervosamente Peter, rinfoderando la spada, la sensazione di pericolo un
po’
attenuata dalle parti dello stomaco. -Siamo in sei, se hai notato! Vuoi
affrontare un castello intero in questo stato?- le chiese, irritato,
notando
però il lampo di gratitudine negli occhi di Shaylee, quando
entrambi si
accorsero che in quel conto, erano incluse anche lei e Siria.
-Io
conterei meglio
se fossi in te, biondino.- una voce improvvisa fece sobbalzare tutti
quanti,
echeggiando dal nulla della foresta improvvisamente vicini a loro.
Peter si
voltò di scatto, sguainando repentinamente la spada quando
quattro figure cupe
apparvero fra i rami degli alberi, piombando silenziosamente
sull’erba come
rapaci notturni. Era stato tanto distratto dalla discussione con la
ninfa e la
rossa, che non se n’era accorto…si maledisse, fra
sé, quando distinse in quelle
figure due uomini, una creatura strana che pareva un’elfa a
metà, e una bambina
dai boccolosi capelli biondi non più grande di Lucy.
Ma
ancor di più, lo
sorprese la voce altrettanto stupita di Siria, che risuonò
alle sue spalle in
una nota di speranza.
-Aaron!-
la ragazza
si precipitò in un istante fra le braccia del ragazzo
più grande, dai capelli
rossi quanto i suoi, abbracciandolo con una forza che sfociava
realmente nel
terrore. Si staccò in fretta da lui, ma il rosso chiamato
Aaron le sorrise,
scostandole i capelli dal viso.
-Pensavi
davvero
che ti avremmo lasciata sola, cretina?- la voce squillante della
ragazza
bassina dai capelli neri, dalle appuntite orecchie elfiche,
risuonò in tutta la
radura, vibrando di un’energia incredibilmente prepotente.
Scoccò un sorriso allegro
e deciso alla ninfa, che sospirò, sorridendo con solo una
punta di
esasperazione.
Sbaglio
o quel ragazzo ha fatto un miracolo?,
furono i
pensieri che la Naiade le rivolse, a mò di saluto, prendendo
finalmente fiato.
Non
sbagli. Ed è anche simpatico, solo per questo
merita salva la pelle!
Suo malgrado, Shaylee non poté non sorridere,
all’ironia tutta particolare
della mezz’elfa.
-Non
vi faranno
niente, sono…amici.- mormorò, la voce lievemente
più bassa, quando vide
l’occhiata interrogativa che tutti e quattro i Re le
rivolsero.
Ma
guarda te cosa mi tocca vedere…
-Ragazzi…voi
non
c'entrate, è una scelta mia, vi metterete soltanto nei guai,
non…- fu Aaron,
con un sorriso, a zittire dolcemente le proteste di Siria.
-Non
parlare a
vanvera, per favore.- le chiese, posando una mano ruvida, calda,
sicura, sul
viso della sorellastra. Era cambiata così tanto, in quei
giorni…sembrava
un’altra persona, sembrava una donna fatta e finita.
C’era luce, nei suoi
occhi, non più il buio. -E’ il mio modo per farmi
perdonare.- e dopo quelle
parole, vide un sorriso farsi lentamente strada sul suo visetto,
illuminandola
fin dall’interno.
-Su,
gli scambi di
effusioni familiari rimandiamole a dopo! Sir, c'è da salvare
il tuo principino,
ricordi!?- la voce squillante e pratica di Talia strappò un
mezzo sorriso ai
due fratello, che si voltarono repentinamente verso di lei, ignorando
tranquillamente l’espressione sempre più allibita
del Re Supremo, quelle
attonite dei suoi fratelli.
-Sei
di una
simpatia quasi innaturale, Tallie.- fu il commento divertito di Aaron,
una mano
sulla spalla della sorella, gli occhi che scrutavano gli altri
presenti.
Riconobbe all’istante, nella ragazza bruna
dall’espressione esasperata, la
ninfa di cui tanto aveva sentito parlare; mentre gli altri quattro
dovevano
essere i “grandi” Re del
passato…inarcò un sopracciglio, soppesandoli ma
restando in silenzio, poco convinto.
Di
certo, non si
sarebbe aspettato una bambina, due ragazzi e una fanciulla.
-Lo
so, sono un
genio.- replicò Tallie, divertita.
Fu
Shaylee,
spazientita, a ricordare tanto a lei quanto a Siria la situazione in
cui si
trovavano.
Ragazze,
già è stato abbastanza complicato convincerli,
potreste cortesemente darvi una mossa?
Quanto
sei acida, Shay, il biondino ti fa un brutto
effetto? Non è brutto, però!
Shaylee
avrebbe
strozzato Talia, prima o poi. Sentì le guance avvampare,
mentre con poche,
decise falcate si portava fra Peter e il gruppo dei mercenari, decisa
più che
mai a far sì che quella bizzarra alleanza funzionasse.
Vedessi
come l’ha guardata, fino adesso…
E
anche Siria. Oh,
sì, le avrebbe strangolate entrambe.
La
mente del Re
lavorava veloce; poteva distinguerlo negli occhi azzurri che si
posarono un
istante nei suoi, prima che saettassero nuovamente su Siria, su Aaron.
La
sensazione di pericolo pareva essersi chetata, sostituita da
un’urgenza del
tutto nuova; la rossa non aveva mentito, quindi il principe di Telmar
era
davvero a poche ore dalla sua fine…
-Dobbiamo
muoverci.- affermò, improvvisamente, la spada abbassata ma
comunque stretta in
pugno. La sua voce era ben diversa, era decisa, dura, calcolata; era la
voce di
un generale, di un uomo pronto alla battaglia, mentre nel suo sguardo,
i suoi
fratelli lo sapevano bene, brillava la luce di un piano ardito appena
formatosi.
Quel
ragazzo era
importante, lo sapeva bene; Miraz non si sarebbe aspettato un attacco,
in
teoria nessuno sapeva che Caspian era stato riportato a Telmar da una
banda di
mercenari alquanto recalcitranti all’idea…
Si
permise di
osservare la raminga, per più di un istante. C’era
qualcosa in lei che non
riusciva a cogliere, che non riusciva ad inquadrare; ma era soltanto un
dettaglio, nella miriade di informazioni diverse che soltanto la sua
figura gli
trasmetteva.
Era
una guerriera;
portava le armi con fin troppa disinvoltura, una balestra sulla schiena
e un’immensa
spada a due mani al fianco. Non era una vigliacca, non si era mossa
quando le
aveva puntato la spada alla gola; oppure, era veramente disperata, e il
terrore
che aveva scorto nei suoi occhi era davvero legato al principe
più di quanto
immaginasse…
Spostò
gli occhi su
Shaylee, che come lui pareva preda di quella sorta di fredda agitazione
che
precede una battaglia; la sua figura, nonostante la tensione,
riuscì a
calmarlo, a trasmettergli un vago senso di pace che riuscì
ad acquetarlo, a
rasserenarlo per qualche istante.
Soltanto
un
istante, prima che la ninfa spostasse gli occhi su di lui ed il suo
sguardo
corresse all’elfa anomala accanto alla rossa.
-Tu
sei in parte
elfa, giusto?- le chiese, non senza cortesia, ma deciso. E Talia, ben
sapendo che
non era il momento di rispondere ironicamente, si limitò ad
annuire, concisa.
-Le
truppe sono
radunate due miglia indietro da qui, a Sud.- intervenne Edmund, mentre
Siria si
voltava a guardare Talia, pensierosa. Il Re più giovane
aveva capito
immediatamente l’idea appena accennata nella mente di Peter;
gli elfi, a quanto
ne sapeva, potevano muoversi nella foresta a tali velocità
da risultare
invisibili.
Pensi
di farcela?
In
mezz’ora due miglia le faccio tre volte, sorella.
-Io
conosco il
castello.- aggiunse Siria, la voce fredda e decisa quanto quella del Re
supremo. -Ci sono stata, più di una volta.- si
limitò a spiegare in risposta
allo sguardo interrogativo del biondo, sorvolando sulle situazioni poco
ortodosse che l’avevano condotta nelle stanze del castello di
Miraz.
Eh,
rubare nei bei castelli appollaiati sulle rocche, è
divertente…
Tallie non doveva farla ridere, in quel momento. Era una situazione
seria,
perdiana.
-Susan,
bisogna che
tu resti indietro con Lucy.- gli occhi azzurri della fiera Regina di
Narnia
sgranarono di botto, indignati.
-Io
sono
perfettamente in grado di combattere, Peter!- sbottò, ferita
nel profondo del
suo orgoglio, scoccando al fratello maggiore un’occhiataccia
che, in
circostanze normali, lo avrebbe intimorito non poco.
-Non
è questo il
problema, Sue.- le rispose, con voce pacata, paziente. -Non voglio che
Lucy
partecipi a questo. Se qualcosa dovesse andare storto, sarebbe una
carneficina.- gli occhi celesti del Re Supremo si spostarono sulla
piccola
Lucy, che accanto a Shaylee li osservava tutti quanti, pensierosa.
C’erano
troppi
giochi di equilibrismo, in quel gruppo.
La
mercenaria,
Siria, pareva pronta a tutto per salvare Caspian; glielo si leggeva
negli
occhi, nell’espressione altalenante fra terrore e
determinazione. Quando la
raminga la guardò, soltanto per qualche istante, Lucy le
sorrise: uno di quei
sorrisi luminosi, rapido come il battito delle ali di una farfalla, che
strappò
un’espressione raddolcita a quel volto diafano, contratto
dall’ansia.
Siria
aveva bisogno
del loro aiuto; ma l’astio, la testardaggine,
l’orgoglio con cui aveva
ribattuto a Peter…
Peter…Peter
era splendido.
Non poteva definirlo diversamente, era meraviglioso; suo fratello era
tornato
nel suo elemento, nel suo posto. Suo fratello aveva appena ritrovato
ciò che lo
animava, l’eccitazione e l’adrenalina che
precedevano un piano pericoloso, il
desiderio di battersi per difendere una causa giusta, per dar sfogo al
suo
inesauribile senso di giustizia.
Peter
guardava
Shaylee, cercando nella sua figura conforto, calma, risposte.
Shaylee,
Shaylee
che le teneva la mano, Shaylee che pareva quasi più decisa
di Peter…Shaylee pareva
immensamente più sollevata, adesso che aveva potuto rivelare
l’entità del suo
legame con la rossa. Parevano molto più amiche di quanto
probabilmente avesse
colto Peter, e qualcosa, negli sguardi che intercorrevano fra la mezza
elfa e
la rossa, le disse che entrambe avevano già intuito quella
conclusione che lei
aveva già raggiunto.
Shaylee,
che era l’unico
nodo che legava tutte le persone presenti; Shaylee, che era
l’unico motivo per
cui, in quella radura improvvisamente affollata, si era appena stretta
un’alleanza
mai vista prima, sulle Terre di Narnia.
-La
bambina posso
portarla via io.- intervenne Talia, pratica, rivolgendosi a Peter e
sedando per
un pelo l’esplosione ormai imminente di Susan.
L’Alto Re le rivolse uno sguardo
grato, uno sguardo di chi non voleva altre discussioni, altri problemi;
e Susan
assunse quell’irritante espressione soddisfatta che prendeva
quando otteneva
ciò che desiderava, quell’espressione che dava
tanto sui nervi al fratello, fin
troppo simile a lei.
-Tallie…-
fu la
voce del biondo gigante a raggiungere l’elfa, strappandole un
lieve sorriso
molto più dolce di quanto Lucy potesse aspettarsi.
-Anche
Tara. Sono
mezz’elfa, Cal, sono più forte di te volendo.- il
ragazzone sorrise, sollevato,
mentre la ragazzina al suo fianco raggiungeva rapida e allegra la bruna
elfa,
rivolgendole un sorriso; non poteva essere molto più grande
di lei, al massimo
un paio d’anni.
-Questo
è ancora da
dimostrare!- ridacchiò l’omone, un ragazzo
più alto di una decina di centimetri
di Peter, avvicinandosi. Lucy non poté non sorridere, nel
vederlo in viso;
sembrava un grosso bambinone, non molto più vecchio di Susan.
-Vorrà
dire che
alla prima occasione te ne darò una prova.- fu Siria, il
volto contratto da
quel misto di ansia e decisione, a schiarirsi sonoramente la voce,
interrompendoli.
-Tallie.-
le disse
soltanto, il viso terreo che si alzava su quello dell’elfa.
-Giusto.
Vado,
volo, mi precipito e porto al castello un bel po’ di
creaturine bellicose.-
Lucy e Tara, a quell’affermazione, al sorriso spigliato di
Tallie, non poterono
non ridacchiare, divertite; una risatina che attirò loro
addosso lo sguardo
stralunato di Edmund, decisamente terrorizzato nel capire che, molto
probabilmente, Lucy aveva trovato un’anima affine.
-Porta
questa con
te. Basterà per farti riconoscere e ascoltare.- intervenne
Susan, porgendole
una delle proprie frecce; la presenza di Lucy sarebbe forse bastata, ma
una
prova in più non avrebbe certo guastato.
Ridacchiò,
Talia, accettando
la freccia dalla Regina e riponendola nella faretra, issandosi con un
gesto
fulmineo le due bambine sulla schiena.
-Si
spera! Ora,
scusatemi, ma abbiamo un principe da salvare!-
E
fu la sua risata
cristallina, l’ultimo suono amichevole che Siria
riuscì a sentire.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
Dai, stavolta sono stata più che brava,
guardate con che velocità aggiorno la fanfiction xD
E per di più con un altro capitolo
luuuuuuuuuuuungo, oserei dire fulcro per la chiusura di questa prima
parte di fiction; ora, saranno come si dice "uccelli senza zucchero",
per Peter, per Shaylee, per Siria, per Talia, per tutti quanti xD non
vi nascondo che riuscire a far quadrare tutto è stato una
faticaccia: intrecciare due storie parallele, ma allo stesso tempo ben
distinte l'una dall'altra, non è stato per nulla facile ^^'
spero che il risultato sia gradito ^^'
E
così si spiega il legame che corre fra Shay e Siria; un
legame di cui fa parte anche Talia, nel medesimo modo, un legame su cui
tornerò presto ^_____^
Spero che anche
questo capitolo ti piaccia, in quanto a lunghezza xD Aaron vuole tanto
bene a Siria, anche ciò che ha fatto in precedenza lo ha
fatto esclusivamente per amore; quell'amore fraterno a cui tengo
veramente tanto, che mi piace tanto descrivere. Per
l'imbecillità di Caspian, concordo pienamente :P per il
fatto che non sia né smielato né diabetico,
probabilmente è grazie al mio cinismo, e alla mia
idiosincrasia per i troppi zuccheri volanti xD che sia protettivo piace
tanto anche a me *.* coccoloso lui *.*
Il piano di Siria è chiaro in questo capitolo; ma
già il piano di Peter crea non propri grattacapi alla
sottoscritta (che ne so io di quel che gli gira in testa...xD) spero ti
sia piaciuto il confronto fra Siria e Peter, sono due teste che avranno
modo di scontrarsi parecchie volte xD un bacione!
Tesoro, che
piacere risentirti <3 Sto abbastanza bene, si tira avanti, anche
se la schiena e la depressione non sono particolarmente semplici da
sopportare...ci si prova :)
Aaron è tanto dolce, in questi due capitoli; insomma, non
è scemo (forse un pochino... :P), ma vuole farsi perdonare!
^^
Caspian è coccolo; è stupido, fa il principe
senza macchia senza paura, ma è tanto coccoloso *W* sono in
una fase di adorazione totale per il principino di Narnia ^^'
Ecco qua Siria alle prese con Peter; povera Shaylee, mi fa una
pena...ma tanta, tanta pena! Due testoni così, chi li
sopporta più? xD
Non penso che voler strizzare le guance di Will sia una cosa da
"vecchia zia": è la stessa, identica cosa che vorrei fare io
ogni volta che lo guardo in foto xDDDD Per la questione Yin e
Yang...concordo completamente!!!! E' una cosa che mi è
passata per la mente più e più volte,
probabilmente un giorno io e la Fla ne tireremo fuori una fanfiction :)
Aaron e Susan...ma sai che li sto considerando? xDDDD
Un abbraccio forte forte a te e alla famiglia <3
ti ringrazio
tantissimo per i complimenti *W* il fatto di non essere sdolcinata
è una delle poche cose che mi piace realmente di me stessa;
non riesco a concepire troppo zucchero, il mio cinismo me lo vieta
categoricamente - dannoso alla salute! xD Sono contentissima di
rivederti fra i recensori, è un piacere ^____^ le mie
protagoniste...sì, sono tutte terribilmente testone, con un
passato un pò macabro alle spalle e decisamente troppe pare
mentali xD Grazie davvero, non penso di meritarli tutti questi
complimenti!
La raminga
scalpitava, i suoi bizzarri compagni d’armi potevano
chiaramente avvertire la
sua agitazione, il suo nervosismo. In particolare, era Peter a
scoccarle sempre
più spesso una dura e irritantemente saccente occhiata
d’avvertimento, che la
rossa, senza problemi, ignorava.
Aaron e Caleb si
scambiarono un’occhiata, silenziosi come fantasmi,
nascondendo un ghigno. Quel
biondino poteva essere qualunque Re di quella terra, ma stuzzicare una
donna in
quello stato – per di più, una donna armata di
spada e balestra, con poco
autocontrollo e che di nome faceva Siria – poteva risultargli
quasi sicuramente
fatale.
Erano entrati; in
poco più di un’ora, mentre marciavano silenziosi
in direzione del castello cupo
e minaccioso che si ergeva al centro della cittadella, sei grifoni
avevano
compiuto una tanto silenziosa quanto improvvisa planata di fronte a
loro, una
Talia sorridente e trionfante in groppa a quello più
massiccio.
Era stato allora,
che si erano divisi. Avrebbero agito in due volte, due giri avrebbero
compiuto
i grifoni. Siria, senza nemmeno parlare, era salita sul grifone non
senza
nervosismo, vedendo gli occhi intelligenti della creatura scrutarla,
ben
conscio di chi era la persona che portava in groppa.
Talia e Aaron erano
andati senza possibilità di replica con Siria; Peter ed
Edmund non avevano
sentito ragioni, sarebbero andati loro, per primi. L’ultimo
grifone, con somma
soddisfazione della Naiade, era stato destinato proprio a lei.
Ricordava bene
l’espressione indignata di Susan, alla scelta drastica e
impossibile da
ribattere di Peter.
-Verrà lei. Della rossa non mi fido, e
Shaylee conosce la magia.-
Shay abbassò gli
occhi di scatto, nascondendo un sorriso trionfante quando Peter le
dedicò una
breve, fulminea, intensa occhiata, capace di far contorcere qualcosa
nel suo
stomaco.
Shaylee,
hai fatto colpo sul biondino, a quanto vedo…
Ma stai
un po’ zitta, Sir, non è assolutamente vero!, replicò, alla
voce metallica e quasi incolore di Siria. Avvertiva la sua agitazione,
il suo
terrore, la sua preoccupazione; ma una flebile nota di sarcasmo era
ancora lì,
nascosta da qualche parte nel commento della sua amica.
Ah, no?
Va bene, vorrei proprio vedere cosa farebbe se
ti vedesse ferita…
È
un Re, sono una dei suoi sudditi. È ovvio che si
preoccuperebbe!
Ma chi stava cercando di convincere, Shaylee? Siria, o sé
stessa?
Non poteva negare
che quegli sguardi riuscissero ad irretirla…non poteva
negare, che il disagio,
l’imbarazzo e il disprezzo si mescolassero sempre
più di frequente, di fronte
agli occhi celesti del Re Supremo, quando lo sguardo traditore si
perdeva ad
osservare gli sprazzi dorati fra quei capelli biondo miele, illuminati
dal
Sole.
Ma no.
Era Re Peter, era
Re Peter. Aveva abbandonato Narnia. Aveva abbandonato tutto. Doveva
odiarlo, odiarlo…
C’è
modo e modo, di preoccuparsi.
E il commento di
Siria la riportò bruscamente alla realtà, quando
si ritrovarono nell’ampio
spiazzo dinanzi al mastio, di fronte ad una porta ora aperta ed una
guardia
appena messa fuori uso da un lieve colpo di Aaron.
-Di là si sale alle
stanze reali.- sussurrò Siria, rivolgendosi a Shaylee, non a
Peter. Non avrebbe
accettato la sua autorità, e questo il Re sembrava averlo
capito; di certo, non
era una cosa che le attirasse la sua simpatia.
Shaylee annuì,
notando che Peter aveva sentito ogni parola, e aveva distinto il gesto
secco di
Siria verso una scalinata in penombra.
Il piano di Peter
era quello; lui, assieme a Susan – distinse i grifoni
atterrare dove già loro
erano discesi, nel buio fitto della notte illuminata dal vivido
chiarore delle
torce –, avrebbe raggiunto le stanze di Miraz. Edmund sarebbe
rimasto di
vedetta, pronto a dare il segnale di attacco alle truppe che si stavano
radunando alle porte della cittadella.
Aaron, Caleb e
Talia avrebbero coperto Siria. Nessuno aveva ordinato loro di farlo,
Siria non
lo aveva chiesto; già la preoccupava che fossero
lì, con lei, quando avrebbe
desiderato essere l’unica a rischiare…
Shaylee, invece,
aveva un compito ben più sottile; doveva mettere fuori gioco
le guardie al
portone, sfruttando l’acqua del fossato. Peter era stato
decisamente restio, a
darle quel compito, Siria non poteva non notarlo…
-Io vado giù nelle
segrete. C'è Caspian, là.- aggiunse, dopo un
istante, intravedendo nella
penombra quella stessa porta oltre cui aveva visto sparire i soldati
che
avevano trascinato via tanti prigionieri in catene, mentre spiava,
studiava il
luogo, prima di un furto. Aveva fatto anche la ladra, per arrotondare
le
entrate; e quel castello, era pieno di cose preziose e facilmente
smerciabili.
-Vedi di non
metterci troppo tempo.- sibilò Peter, irritato
più che mai dall'arroganza tutta
singolare di quella rossa.
-Oh, tranquillo Re
Supremo, tornerò in tempo per vederti prenderla in quel
posto dai guerrieri di
Miraz.- replicò lei, ignorando l'occhiataccia di Shay alle
sue parole. Peter
fece per ribattere, ma fu Shaylee, esasperata, a zittirlo con uno
sguardo. Era
strano, quel potere che sembrava esercitare sul Re Supremo…
-Stai attenta.- le
sussurrò soltanto Talia, sfiorandole la spalla quando le
passò accanto, la
spada in pugno e l'espressione determinata.
-Io sono sempre
attenta.- fu la risposta della rossa, prima che, con pochi passi
silenziosi,
scomparisse al di là di quel corridoio buio.
Con un gesto
fluido, calcò il cappuccio sopra ai capelli rosso fiamma,
troppo evidenti per
non attirare gli occhi delle guardie su di sé. I suoi piedi
si muovevano
silenziosi, veloci e rapidi sulla pietra levigata che componeva il
pavimento,
le iridi che fendevano senza alcun timore le ombre fra cui si era
sempre
sentita sovrana.
Se il suo senso
d'orientamento non la ingannava, la porta in legno ad un paio di metri
da lei,
in fondo ad un bivio di due stretti corridoi all'apparenza identici fra
loro,
era quella che conduceva alle celle.
-Caspian!- sibilò,
nella penombra, distinguendo la figura del principe incatenato alla
parete...sembrava
così immobile, così maledettamente immobile...per
un istante, per un solo,
maledetto istante, credette di essere arrivata troppo tardi.
Ma immediatamente,
al suono della sua voce, il moro alzò la testa,
l'espressione sorpresa di chi
ha appena riconosciuto qualcosa di assolutamente inaspettato.
-Sir? Siria?-
chiamò, incredulo, senza riuscire a credere a ciò
che vedeva. Doveva essere
un'illusione, quell'angelo dai capelli rossi e gli occhi di cobalto che
scendeva correndo le scale della prigione, che lo aveva chiamato con la
paura,
la paura vera, nella voce.
Ma dovette
ricredersi, quando vide chiaramente il volto della ragazza che amava
accostarsi
atterrito alle sbarre arrugginite dal tempo.
Quanto era bella,
Siria.
Ancora di più,
adesso, preoccupata per lui, ansiosa, il fiato corto ed il seno che si
alzava e
si abbassava velocemente, agitato, velato soltanto da un corpetto che
le
lasciava scoperto il ventre ed i fianchi eleganti.
-Caspian, stai
bene?- gli chiese, ansimando per la corsa, i lunghi capelli tutti
arruffati
raccolti in un concio scomposto, da cui ciocche rossastre ricadevano
intorno al
suo volto.
-Sì, sto bene,
ma...tu cosa ci fai qui?- le chiese, senza comprendere, sul momento, la
sua – meravigliosa
– presenza lì. Aaron gliel’aveva
giurato…aveva promesso di tenerla lontana da
quel posto, di non permetterle di andare a salvarlo, di tenerla
al sicuro…era stata la sua unica consolazione,
nelle ultime
ore.
Siria era in
pericolo, in quel luogo: aveva sentito lui stesso i commenti poco
signorili dei
soldati di Miraz, sulla mercenaria, e se l'avessero scoperta
lì, se fossero
riusciti a disarmarla...non osava, non riusciva a sostenere l'orribile
idea di
cosa avrebbero potuto farle.
-Secondo te?- la
rossa, inaspettatamente, gli rivolse un'occhiata ironica, mentre armata
di una
chiave presa chissà dove apriva la cella dove lui era
rinchiuso ed incatenato,
avvicinandosi di corsa. -Ti salvo la vita, sciocco.- aggiunse, senza
guardarlo,
con uno strano sorriso dipinto sulle labbra.
-Sir, come hai
fatto a entrare? Il castello...- Siria alzò lo sguardo,
zittendolo
semplicemente con un'occhiata dei suoi penetranti occhi blu.
E per un istante,
Caspian dimenticò tutto il resto.
Quegli
occhioni...allungati, belli, sprezzanti del pericolo...in quelle ore
lontano da
lei, erano sempre stati presenti, sempre vivi ed accesi in un angolo
della sua
mente. Gli avevano dato la forza di affrontare quella notte, di
aspettare l'ora
della sua esecuzione, ben sapendo di non avere più scampo...
Almeno, così aveva
pensato.
Siria sfiorò appena
la sua guancia, il suo viso. Caspian era stato ferito, c'erano dei
profondi
tagli, sul suo volto...sentì una fitta, da qualche parte in
mezzo al petto,
quando si rese conto di essere l'unica colpevole di quelle ferite.
-Non guardare.-
mormorò, prima di allontanarsi repentinamente da lui,
sguainando la spada.
Caspian, allibito, seguì con lo sguardo la pesante lama
d'argento sfilare via
dalla fodera, in un sibilo sommesso ed inquietante.
-Sir, cosa...-
T-CLANG!
Il rumore del ferro
spezzato risuonò terribile e prepotente in tutta la segreta,
quando Siria,
rapida ed efficiente, abbatté la spada sulle catene che lo
imprigionavano.
Caspian sgranò gli
occhi, improvvisamente libero, quando si rese conto che la bella
mercenaria
aveva colpito a cinque centimetri di distanza dal suo avambraccio.
-Bel colpo.-
commentò, allibito, liberandosi alla svelta di quelle catene
ormai inutili.
E lei sorrise: un
sorriso vero, bello, sollevato, che riuscì a riscaldare, per
quegli attimi in
cui durò, persino il freddo gelo della cella in cui si
trovavano.
-Andiamo, avanti.-
mormorò, voltandosi verso le scale, di nuovo dura, di nuovo
tesa e concentrata.
Mosse un passo, uno soltanto, con l'intenzione di uscire da quelle
segrete che
le davano un maledetto senso di claustrofobia...
Ma, prim'ancora di
rendersene conto, le dita affusolate di Caspian si erano strette
intorno al suo
polso, ed il principe l'aveva tratta a sé, catturando le sue
labbra con le
proprie.
L'ondata di
emozioni, di sensazioni, fu immensa.
Siria si ritrovò ad
affondare le dita fra i capelli di lui, accarezzandogli una guancia, le
braccia
forti di Caspian che si stringevano intorno alla sua schiena, il corpo
muscoloso che si accostava al suo.
Sollievo, paura,
amore...ci fu tutto, in quel bacio breve ma intenso, in quell'abbraccio
dolce
ma al contempo saldissimo.
Non erano capaci,
di parlare. Non erano in grado di spiegare ad alta voce i loro
sentimenti, ciò
che repentinamente, nell'arco di pochi giorni, si erano ritrovati a
provare, a
sentire l'uno per l'altra.
Ma durante quel
bacio, durante quella stretta morbida e carezzevole, entrambi
riuscirono a
sentire quelle parole inutili nel cuore martellante dell'altro.
Ti amo...perdonami,
dovevo arrivare prima, ho avuto paura di perderti...
Erano questi i
pensieri di Siria, era questo che il suo cuore palpitante urlava a
quello di
lui, accordato sullo stesso ritmo furibondo.
Sapevo che saresti arrivata...lo
speravo, speravo di essere per te ciò che tu sei divenuta
per me...
Si separarono
lentamente, dimentichi entrambi della situazione di pericolo estremo in
cui si
trovavano, concentrati soltanto sugli occhi dell'altro.
Erano così belli,
gli occhi di lei. Erano vivi, erano puliti, lucidi e splendenti come
non li
aveva mai visti, sembravano per qualche istante privi di quella patina
di
malinconia che tanto lo aveva incuriosito e rattristato allo stesso
tempo...
Le sorridevano,
quelle due pozze d'oro nero. Anche soltanto vedendo i suoi occhi
avrebbe potuto
distinguere il bellissimo sorriso di Caspian, un sorriso che nasceva
prima di
tutto da quelle iridi profonde e calde, due specchi lucenti in cui
distingueva
una dolcezza, un senso di pace e protezione, che nessuno le aveva mai
rivolto
prima d'allora...
-Andiamo.- sussurrò
soltanto, intrecciando con delicatezza le dita a quelle di lui e
voltandosi, la
stretta forte e calda nella sua mano l'unica sicurezza nel buio fitto
di quelle
inquietanti prigioni.
-Ci sono i Re,
qui.- il sussurro di Siria, alle sue spalle, lo fece trasalire. Si
voltò di
scatto a guardarla, in tempo per vederla avvampare, gli occhi blu che
si
abbassavano e un mezzo sorriso imbarazzato disegnarsi sulle sue labbra.
-Cosa?- le chiese,
completamente allibito, senza comprendere in un primo momento il
significato di
quelle parole.
Siria arrossì ancor
di più, palesemente in imbarazzo.
-Ecco…secondo
Talia, a colpirmi era stata la Regina, Susan. Probabilmente ci stavano
seguendo, e quando ti hanno portato via, sono tornata
indietro…loro sono qui,
ora, hanno – abbiamo…un
piano.-
borbottò, sempre più rossa.
In quell’istante, si rese
davvero conto di quello
che aveva fatto; era andata contro sé stessa, aveva ingoiato
l’orgoglio davanti
a quell’antipatico del Re Supremo.
Aveva chinato la testa.
Aveva chiesto
aiuto…per lui, per Caspian.
Arrossì ancor
più
furiosamente, e il principe, nella sua mano, sentì la sua
pelle ardere.
Caspian non disse
nulla, per qualche istante. Gli stessi pensieri che si rincorrevano
veloci
nella mente di lei attraversavano i suoi, stupendolo più di
quanto avesse
potuto pensare; Siria aveva…aveva rischiato la vita, aveva
rinunciato
all’orgoglio, aveva implorato aiuto…
Per
salvarlo.
-Sir…Sir,
l’hai
fatto…- mormorò, ma non riuscì a
continuare a parlare; le dita di lei sulla
propria bocca, gli occhioni vividi e lucidi ad un millimetro dai
propri, lo zittirono.
-Per te.- lo
interruppe la ragazza, sorridendo, ormai dello stesso colore dei propri
capelli. -Te l’avevo detto, che non ti avrei lasciato qui.-
il sorriso
spigliato della ragazza ricomparve, strappandone uno anche al principe;
un
sorriso quasi adorante, innamorato, perso in quegli occhi blu.
-Non pensavo che
avresti mosso tanta gente per venire a salvarmi.- ridacchiò,
accarezzandole una
guancia, scostando una ciocca di lunghi capelli rossi dal suo viso.
-Mi piace fare le
cose per bene.- e in quelle poche parole, Caspian avvertì
fremere quel sorriso
spigliato, malandrino, sicuro, che per la prima volta poteva ammirare
in tutto
il suo splendore; lo sentiva, avvertiva un’aura di
determinazione e sollievo,
di dolcezza e forza emanare da quella ragazza che gli aveva rubato il
cuore:
sfiorarlo, avvolgerlo in quel calore di cui non poteva più
fare a meno, e far
accelerare i battiti del suo cuore.
E l’avrebbe
sicuramente baciata, entrambi non aspettavano altro, se la voce
sibilata – ma
udibilissima – di Talia non fosse, in quel momento, risuonata
nelle segrete,
facendoli sobbalzare entrambi.
-Datevi una mossa,
piccioni!-
Improvvisamente,
ripiombarono in quel corridoio umido, buio, tetro; repentinamente, si
ritrovarono in pericolo, l’ansia che attanagliava nuovamente
i loro cuori, i
loro petti.
Erano in territorio
nemico.
Una guardia, un soldato,
avrebbe potuto scoprirli entro pochi secondi, avrebbe potuto
ucciderli...e tutto, tutto,
sarebbe stato vano…
Si guardarono un
istante, prima di annuire all’unisono e cominciare a correre
a perdifiato, in
quei corridoi che Caspian, per fortuna, conosceva bene; soltanto quando
si
ritrovarono fuori, ansanti, le dita ancora intrecciate, quella
sensazione di
terribile oppressione parve attenuarsi un poco, indebolirsi.
-Ma guarda, quanto
tempo che non ci vediamo, principino!- la voce sussurrata, ma
egualmente
squillante di Talia li raggiunse, strappando un sorriso ad entrambi,
gli occhi
che si alzavano sulla mezz’elfa. Li stava fissando, Talia, le
braccia conserte
sul petto e l’espressione palesemente divertita.
-E’ un piacere
rivederti, Talia. Non immagini quanto.- commentò il ragazzo,
sorridendo,
passandosi una mano fra i capelli e guardandosi intorno.
Aaron gli rivolse
un cenno, guardandolo per la prima volta con rispetto, senza astio;
Caleb,
invece, sgranò un sorrisone immenso nel riconoscerlo, nel
vederlo sano e salvo
– e mano nella mano con Siria, soprattutto.
Non se la sentì di
non ricambiare; quei mercenari, quell’improbabile banda di
delinquenti, era
diventata per lui più importante di quanto avesse pensato.
Soprattutto…
Volse il sorriso
verso Siria, vedendola ancora molto rossa, ancora imbarazzata, che
ostinatamente cercava di evitare lo sguardo di Talia.
Incrociò invece per un
attimo i suoi occhi, e sorrise, un sorriso celato che vide palpitare
nelle sue
iridi, ombra sulle sue labbra.
Cornelius.
Quel pensiero
improvviso lo colpì con la forza di una mazzata.
Cornelius. Il
suo maestro.
Non poteva
lasciarlo al castello. Non dopo tutto quello che aveva fatto per lui,
non dopo
averlo accudito e amato come il padre che il ragazzo aveva
perduto…
-Il biondo e la
ragazza non sono ancora arrivati.- la voce asciutta e concisa di Aaron,
rivolto
a Siria, lo fece sobbalzare.
-Dove sono andati?-
la domanda del principe fece stringere appena più saldamente
la stretta nella
sua mano. Si voltò a guardare Siria, sorpreso, e la vide
scambiare uno sguardo
tormentato con il fratello; e fu lei, in un sussurro, a rispondergli.
-Da Miraz.-
Un odio malcelato
distorse per un istante il bel viso del principe; una reazione che
Siria si era
aspettata, ma che le provocò comunque una fitta, dalle parti
del cuore.
Risentire il nome
dello zio, ricordare cosa aveva fatto, la cattiveria, la durezza, la
spietatezza che lo aveva portato a tentare di uccidere suo
nipote…
Siria se ne
accorse, vide il suo volto tanto amato adombrarsi improvvisamente,
incupirsi.
Sapeva cosa aveva fatto Miraz; aveva usurpato il trono di Caspian,
aveva ucciso
suo padre, lo aveva fatto cercare e catturare da una banda di
mercenari…
-Io devo trovare il
mio mentore.- la decisione nella voce del ragazzo fece sobbalzare tutti
e
quattro; otto occhi si puntarono stupiti sul viso nuovamente deciso di
Caspian,
sugli occhi che bruciavano determinati, accesi, vivi.
-Ma…- Caleb
provò a
dire qualcosa, ad obiettare; dopotutto, se il ragazzo si fosse fatto
catturare
di nuovo, sarebbe stato un bel problema per loro e per i due antichi
regnanti
al momento impegnati a cercare le stanze di Miraz…
Ma fu Siria,
alzando appena una mano, a zittirlo. Non fu un ordine, quanto
più una muta,
gentile richiesta; e Caleb sentì le parole morirgli sulle
labbra, quando vide
lo sguardo intenso e trapassante che la raminga spostò sul
suo principe,
distinguendo la decisione, l’affetto, la determinazione
dell’uomo di cui si era
innamorata.
-Fai in fretta.- gli
disse soltanto, ignorando la ragione che le urlava di non lasciarlo
andare,
ignorando il brutto presentimento che ammorbava i suoi pensieri.
Ma il breve sorriso
che apparve sul viso di Caspian fu più che sufficiente per
cancellare quelle
nubi dalla sua mente, dal suo cuore. Bastò quel sorriso, per
rincuorarla, per
farle credere che – forse – non tutto sarebbe
finito male, quella notte.
Dopotutto, Caspian
voleva soltanto salvare il suo mentore. Lo avrebbero portato con loro,
al
sicuro. Sarebbero usciti di lì, e forse avrebbero persino
potuto evitare che si
scatenasse un massacro…
Improvvisamente, si
sentì stanca.
Stanca di tutto
quanto, stanca di vivere sul filo di un rasoio.
Il peso di sette
anni passati a vivere agli estremi, passati a scappare, rapire, rubare,
le
crollò improvvisamente sulle spalle, costringendo le sue
ginocchia a piegarsi,
il suo viso a celarsi dietro il cappuccio scuro.
Si nascose, dietro
quel velo che poteva proteggere i suoi occhi fin troppo espressivi, le
nubi che
nuovamente li avevano adombrati. Sparì nelle ombre di quel
mantello che
l’avvolgeva, serrandolo contro di sé, stringendosi
in quel manto del colore
della notte in cui poteva rifugiarsi, sparire.
Avrebbe soltanto
voluto un po’ di pace.
Avrebbe soltanto
voluto un angolino sereno, tranquillo. Desiderava soltanto un posto
lontano da
quel mondo, lontano dagli intrighi, lontano dall’odio,
lontano da tutto quanto.
Solo lei e Caspian.
Soltanto loro.
Un posticino caldo
e tranquillo dove poter naufragare nel suo profumo, nel suo abbraccio;
un luogo
dove rifugiarsi, e annegare nel sapore delle labbra del suo principe.
E invece, era
intrappolata in una guerra da cui sapeva di non potersi esimere.
Caspian la vide.
Caspian vide il suo
viso celarsi dietro il mantello, vide l’espressione confusa
di Talia –
evidentemente, Siria l’aveva tagliata fuori dai propri
pensieri. Si era
trincerata in sé stessa, qualcosa doveva averla
turbata…
Si accostò a lei,
scostando il cappuccio con un lieve gesto delle dita, vedendo quelle
iridi
sfuggenti tentare inutilmente di scappare, di non soffermarsi nelle sue.
-Andrà tutto bene.-
le sussurrò, talmente piano che Siria dovette per forza
posare lo sguardo sul
suo volto, per carpire le sue parole dal movimento di quelle labbra che
adorava.
-Stai attento.- fu
la sua risposta, la voce – traditrice
– che tremava, gli occhioni blu che si spostavano con
dolcezza e paura in
quelli di lui. E Caspian, nello stesso istante in cui
catturò il suo sguardo,
seppe che l’avrebbe portata via; che una volta finito tutto
questo, una volta
lasciatisi alle spalle quella guerra, quei tradimenti, quegli intrighi,
l’avrebbe portata lontano da lì, da ciò
che la feriva. Sarebbero rimasti
solamente loro. Nessun altro, mai.
E l’avrebbe vista
di nuovo sorridere.
Annuì, Caspian, il
cuore che ruggiva l’impellente desiderio di stringerla, di
abbracciarla con
forza, di sentirla rannicchiarsi contro di sé.
Ma sapeva di
doversi muovere, di dover correre; sapeva, nonostante desiderasse
soltanto lei, che in quel momento
doveva
aspettare. Ci sarebbe stato tempo, dopo, per abbracciarla e sentire
quel
meraviglioso profumo di fiori intriso nei suoi capelli.
E chinò appena il
viso su di lei, rubandole un rapido, intenso bacio sulla bocca, prima
di
sparire in un istante in quei corridoi bui che sembrava conoscere con
tanta
sicurezza.
-Ma quanto siete
carini.- fu il commento divertito di Talia, alle spalle di una Siria un
poco
imbambolata.
-Oh, quanto sei
spiritosa, davvero.- la replica pronta, sarcastica di Siria la
raggiunse nello
stesso istante in cui si voltò verso la grata che avrebbero
dovuto raggiungere
entro pochi attimi.
Calcò con più
decisione il cappuccio sul volto, nascondendovisi, celando la propria
identità
in quell’oscurità fitta che l’avvolgeva;
bastò un’occhiata, uno sguardo
incrociato con i suoi compagni.
Nessuno, distinse
le quattro, silenti ombre sparire nel nero impenetrabile del castello.
.
.
Shaylee trasse un
lungo respiro, tentando inutilmente di calmarsi un poco. Le acque
limpide del
fossato parevano chiamarla, incantarla con il loro lieve sussurro di
magia; fosse
stato per lei, si sarebbe lasciata scivolare dal ponte levatoio,
immergendosi e
diventando una cosa soltanto con quella polla limpida.
Ma non poteva
lasciarsi andare, non poteva permettersi di distrarsi neanche per un
istante.
Il corpo in
tensione, un lungo mantello cupo che copriva anche lei, si
acquattò ancor di
più nella minuscola nicchia che aveva trovato come
provvidenziale nascondiglio.
Lì accanto, due
uomini che non sarebbero più andati da nessuna parte.
Chiuse gli occhi,
costringendosi a non fissarli, a non guardarli; a non distinguere, sui
loro
volti, gli inconfondibili segni di una morte per annegamento.
Era
stato necessario.
Per loro, come per
le guardie che aveva eliminato poco prima.
Era
stato necessario. Era il suo compito.
Era una Naiade
guerriera; no, non soltanto, lei era la guida delle sue guerriere,
aveva
rinnegato la sua stessa natura pacifica pur di combattere contro i
Telmarini.
Ed era
lì per salvare uno di loro.
Le sembrava tutto così
assurdo. I Pevensie che accettavano un’alleanza con Siria,
Siria stessa che
combatteva per uno di quegli uomini che l’avevano costretta
all’esilio nelle
foreste…e lei? Lei perché era lì, lei
perché combatteva?
Perché
è giusto…? No, non ci credo più.
Non era la
giustizia, il motivo per cui si costringeva a restare lì.
Non era la
giustizia, ad averla spinta ad uccidere – di
nuovo, troppe volte aveva visto gli occhi dei suoi nemici spegnersi
– quei
soldati… non era stato un atto voluto, era stato necessario; era ciò che doveva
essere fatto. Lei lo aveva fatto.
Sentiva ancora
l’odio pulsare nelle sue vene. Quell’odio
terribile, quell’odio che minacciava
di consumarla, quell’odio che l’aveva spinta a
porre fine alle vite di quei
telmarini senza il minimo rimorso.
Non poteva
perdervisi.
Non poteva
lasciarsi andare a quel cancro, a quelle emozioni che minacciavano di
sopraffarla.
Non poteva.
Lei era Pura…eppure,
era stata costretta a
uccidere, più e più volte…
No, no.
Non doveva perdere
la concentrazione.
Doveva restare
lucida, doveva concentrarsi su ciò che aveva intorno, non
poteva perdersi in
quei cupi pensieri che avrebbero potuto distruggerla fin da
dentro…
Spalancò gli occhi,
improvvisamente. Le acque del fossato erano calme, l’acqua
che scorreva rapida
non dava alcun segno di pericoli imminenti; i suoi sensi erano acuiti
dalla
vicinanza con quella polla d’acqua, il suo udito poteva
carpire ogni suono, i
suoi occhi erano gli stessi dell’acqua…
-Shay.- un sussurro
flebile, venuto dall’ombra.
La ninfa annuì dopo
un istante, senza sobbalzare; l’aveva riconosciuta. Aveva
avvertito la sua
vicinanza, più per intuizione che per suoni, che per reali
avvertimenti della
sua presenza.
Talia, Siria e gli
altri erano al loro posto. Dall’altro lato della grata, e
poteva già sentire le
catene tirarsi, il cancello alzarsi lentamente, il cigolio terribile
del
meccanismo echeggiare nel silenzio.
Chiuse nuovamente
gli occhi, chiedendo gentilmente all’acqua di limitare quei
suoni, di zittire
il metallo arrugginito. Lievi spirali d’acqua serpeggiarono
quasi
immediatamente dal fossato, andando a lenire quel suono, insinuandosi
nei
meccanismi e ovattandone il movimento.
Vide gli occhi blu
di Siria fare capolino nel buio, mentre lentamente la grata si alzava.
-Sta per succedere
qualcosa.- sussurrò Shaylee alla raminga, e la vide annuire,
il volto buio
contratto per la preoccupazione.
Nemmeno il tempo di
pronunciare quelle parole, che uno schianto improvviso
spezzò violentemente il
silenzio che li circondava.
-ALLARME! INTRUSI
NEL CASTELLO!-
-Oh, meraviglioso!-
Tutti e cinque,
contemporaneamente, si voltarono a guardare il colonnato del castello;
e un
indistinto sospiro esasperato sfuggì dalle labbra dei
mercenari e della ninfa,
quando distinsero la fiumana di soldati che, dal nulla, apparvero dalle
porte
nascoste nel buio.
E là, da una
soglia, videro tre figure ben diverse emergere
dall’oscurità, le armi strette
in pugno, le gambe che correvano veloci e un grido esasperato sulle
labbra.
Peter, Susan…Caspian.
Siria lanciò
un’occhiata
ai soldati che, come uno sciame d’insetti, stava emergendo
dai meandri
sconosciuti del castello. Erano tanti, veramente tantissimi; e
sembravano non
finire mai, sembrava che ad ogni istante, le armature illuminate dal
fuoco
delle torce infiammate aumentassero.
Vide le armi
luccicare sotto le fiamme; vide spade, vide lance, vide pugnali ed
archi.
Vide, e avvertì una
sensazione ben conosciuta prendere vita dentro di lei.
Adrenalina.
La battaglia, mai
troppo lontana, improvvisamente aveva preso forma e spessore; e il suo
aspetto,
era quello di quelle decine e decine di soldati, che improvvisamente
riempivano
di riflessi metallici il buio del castello.
E l’eccitazione,
dentro di lei, crebbe ad una velocità quasi impossibile.
Strinse le dita
candide sull’elsa della spada, sfilandola dal fodero con un
gesto fluido, un
gesto compiuto mille volte; e la sua arma, ruggente nel clangore
assordante
delle armi telmarine, brillò per un istante di una luce
propria, interna, viva.
Era una spada molto
bella, una spada con una storia; l’elsa e la lama erano
lavorate per somigliare
alle ali di un drago, i fregi su entrambi erano stati incisi dai maghi
delle ninfe.
L’impugnatura era nera, lavorata nell’onice, mentre
le ali erano d’oro, e la
spada di un acciaio chiaro, quasi candido.
Una spada unica,
una spada inimitabile; una spada bastarda, stretta in un pugno saldo e
fremente
di eccitazione.
Un sorriso si
disegnò sul suo viso affilato, specchio del ghigno
decisamente compiaciuto che
aleggiava già sul volto di Talia.
La rossa si voltò
verso l'elfa, divertita.
-Tallie, ci sei?-
le chiese, mentre la spada nel suo pugno sembrava ardere, ansiosa di
mettersi
alla prova.
-Sì che ci sono.-
rispose l'altra, l’arco già teso fra le mani, le
frecce dalle piume smeraldine
che brillavano alla luce delle torce accese. Fianco a fianco, spalla
contro
spalla, mentre il sibilo di perlomeno altre due spade sguainate alle
loro
spalle le avvertiva che Caleb e Aaron si stavano preparando a
combattere.
-Bene.- annuì la
rossa, guardando i soldati sciamare come mosche dai corridoi bui del
castello.
Il clangore delle armi la raggiungeva, il suono della battaglia
imminente
crepitava nel suo petto, nel suo sangue.
Sorrise.
-Allora…- si
voltò
verso Talia, la spada che brillava dello stesso colore del fuoco. E non
ci fu
bisogno di parole, fra loro, quando entrambe scagliarono il pugno in
aria, la
stessa luce combattiva negli occhi così diversi.
-QUESTA…E'…NARNIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!-
.
.
.
.
.
My
Space:
Sì,
la citazione è di Leonida di Sparta U.U
Non mi piace,
questo capitolo. Cioè, l'ho riletto, è scritto
bene, l'introspezione è decente; ma boh, non mi attira. Non
mi piacciono i capitoli di attesa, non mi piacciono i preludi. Dal
prossimo, però...BATTAGLIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
*risata
malefica*
No, dai,
scherzi
a parte: non è male questo capitolo, ma davvero non mi
piacciono davvero molto i preludi alle battaglie, non mi piace la
sensazione di attesa, non mi piace l'ansia da palcoscenico;
è una delle cose che più mi preoccupano,
soprattutto prima di calcare il palco per recitare o cantare. Comunque,
spero che vi sia piaciuto ^^'
Ne approffitto:
UN AUGURONE IMMENSO a chi ha in questi giorni l'esame di
maturità!!!!!!!!!!
Mi dispiace,
non
ho molto tempo per rispondere alle recensioni; ma un commentino
è sempre ben accetto, quindi sotto con le tastiere! xD Spero
davvero che la storia vi piaccia...non lo so, momento di insicurezza,
non mi piace più nulla di ciò che scrivo :S
Ecco
però qualche immagine moooooooolto carina, utile per il
capitolo; sperando che passi, questo momento schifoso -.-
.
.
La spada di
Siria:
.
.
.
.
.
.
.
L'arco
di Talia:
. . . . . . . . .
Le spade, rispettivamente, di Aaron e di Caleb; perché,
quando si parla di spadoni.............xD
Il
sibilo gelido di
Rhindon* fu quasi inudibile, nel minaccioso vociare delle armi e delle
urla dei
telmarini.
Re
Peter scoccò
un’occhiataccia al principe Caspian, ostinatamente voltato
verso i soldati che
emergevano dagli anfratti più bui del castello. Il ragazzo
pareva intenzionato
a non guardarlo, a non sostenere il suo sguardo; perché lo
sapeva, il suo gesto
sconsiderato aveva causato l’allarme, e adesso, sarebbero
stati sicuramente
costretti a combattere.
-Edmund!
Dai il
segnale!- gridò, nonostante l’impellente desiderio
di prendersela con il
giovane, alzando lo sguardo e cercando la figura del fratello fra gli
alti
merli delle torri.
-Sarei
giusto un
poco impegnato, Peter!- fu la sarcastica risposta di Edmund; e in
effetti, il
soldato che lo stava attaccando pareva occupare, al momento, la maggior
parte
dei pensieri del fratello.
Si
lasciò sfuggire
un’imprecazione, masticata fra i denti; i soldati erano
tanti, erano troppi,
come uno sciame di formiche stavano riempiendo il cortile dinanzi al
mastio. Se
Ed non fosse riuscito a dare il segnale, sarebbero stati in pochi,
talmente pochi
da essere massacrati senza alcuna pietà…
Ma
il cancello,
i suoi occhi registrarono
quell’informazione prima di lui.
La
grata era aperta.
Gli
occhi celesti
sgranarono, quando videro il cancello completamente alzato, il ponte
levatoio
al suo posto; Reepecheep e Trumpkin avevano compiuto il loro lavoro,
l’esercito
sarebbe potuto passare, e…
Un
lampo.
Un
lampo rosso, un
nugolo di frecce smeraldine attorno a quella fiamma.
Trasalì,
d’istinto,
la pelle d’oca che scorreva rapida e sgradevole sulla sua
schiena.
Un
demone.
Un
demone apparso
dal nulla, nero come la morte, avvolto in una cascata di capelli che
parevano
il fuoco dell’Inferno.
Un
demone armato di
un’inusuale spada bastarda, un demone che stringeva in pugno
un’arma
particolare, un demone che, il volto assente – trasfigurato,
metamorfosato – si scagliò con tutta la
sua forza sui
soldati di Telmar.
Siria.
La
riconobbe con un
sussulto, quella sensazione di pericolo che di nuovo prendeva vita nel
suo
stomaco, nella sua pancia.
Quella
donna era un
pericolo. Nascondeva qualcosa, qualcosa di spaventoso, qualcosa di
marcio –
dentro, dentro di sé. Lo aveva intravisto dal disgusto con
cui parlava di sé
stessa, lo aveva notato dalle ombre che minacciavano in continuazione
di sopraffare
i suoi occhi.
Era
un pericolo.
Ma,
soprattutto, in
quel momento era anche un’arma.
Un’arma
che guardò,
allibito e suo malgrado impressionato, scagliarsi fra i soldati
telmarini e
combattere; combattere, combattere e combattere, la spada che lanciava
bagliori
incrociando le fiamme delle torce, che affondava, feriva, uccideva
senza freni.
Un’arma, dotata di una grazia che poteva soltanto associare
al movimento fluido
della sua spada: era una danza, la sua, una danza mortale fra le frecce
letali
della sua compagna.
Distinse
al suo
fianco altri due combattenti: il fratello e il ragazzone biondo, armati
di due
pesanti spadoni altrettanto unici, altrettanto letali. L’elfa
era poco dietro
di loro: le frecce, dalle piume smeraldine, sfrecciavano scoccate ad
una
velocità impossibile attorno a loro, proteggendoli,
aiutandoli.
Erano
una squadra.
Quei quattro erano un meccanismo perfetto, oliato, testato centinaia di
volte:
non c’era movimento di uno, che non trovasse il suo speculare
in quelli degli
altri; non c’era affondo, senza una difesa, senza una freccia
incoccata.
Erano
perfetti, si
ritrovò ad ammettere con sé stesso.
Le
due ali, la
difesa. E l’attacco.
Perfetti.
Ma
non gli ci volle
molto, per lasciarsi distrarre; in quel breve istante di comprensione,
quell’attimo che gl’era servito per assimilare il
movimento di quei quattro
discutibili alleati, scorse anche qualcos’altro.
Qualcosa
che riuscì
a coglierlo di sorpresa, a lasciarlo completamente allibito,
improvvisamente
dimentico di tutto quanto il resto.
Là,
nel fossato del
castello, vedeva qualcosa rilucere.
Qualcosa
che aveva
le sembianze di una donna, lunghi capelli intrecciati in argentati fili
d’acqua, un viso limpido come la polla che gli dava vita e
forma.
Qualcosa,
che
brillava di una luce interna; viva, pulsante.
Qualcosa,
dalle
braccia spalancate, l’espressione assente, concentrata,
lontana milioni di
chilometri da lui e da chiunque altro la circondasse.
Qualcosa,
qualcuno, cui le spire
d’acqua che
s’innalzavano in arabescanti colonne ubbidivano.
Fu
il suo cuore, a
dargli quella risposta.
Furono
i suoi
occhi, a distinguere in quella creatura fatta di magia pura, limpida,
armoniosa, la silenziosa e lontana compagna di viaggio che non riusciva
più a
schiodarsi dalla mente.
Shaylee.
Shaylee,
che
comandava quelle acque trasparenti di alzarsi, di prendere vita, di
combattere.
Shaylee,
gli occhi
chiusi, il corpo soltanto limpida acqua che brillava, che riluceva, che
illuminava il buio della notte intorno a sé.
Peter
rimase
completamente allibito, per un istante infinito che parve dilatarsi
nella sua
mente, nel suo cuore.
Shaylee
era…era
indescrivibile.
Era
bellissima, era
perfetta, era più lontana che mai…non esistevano
termini, per definire quello
che aveva provocato nel suo cuore. Un turbinio di emozioni diverse, la
sensazione che quell’essere etereo fosse troppo perfetto per
essere toccato –
il desiderio, il bruciante
desiderio
di sfiorarla, di sentire quella pelle d’acqua scivolare sotto
le dita.
Rimase
immobile, su
quelle scale, per poco più di un paio di secondi. Un paio di
secondi, in cui
non si rese conto che il suo sguardo era lo specchio esatto di
ciò che il
ragazzo al suo fianco stava provando, nei confronti di quel demone
rosso che
aveva catturato i suoi occhi nerissimi.
Siria.
Caspian
non si rese
nemmeno conto di aver trattenuto il respiro, riconoscendola.
La
spada affondava,
scartava, danzava con un’eleganza innata fra le lance. Un
ballo, una danza
mortale che l’aveva completamente assorbita, che leggeva nei
suoi occhi blu,
vacui, assenti.
Per
la prima volta,
Caspian la vide sotto quella luce che non aveva forse mai voluto
mostrargli.
Per
la prima volta,
la vide come la guerriera esperta che doveva essere, dalla sua
un’agilità di
poco, forse, inferiore a quella degli elfi.
Ed
era bella.
Era
bella, Siria,
il corpetto che si alzava e si abbassava freneticamente, i capelli
ramati che
l’avvolgevano in spire di fuoco, la pelle diafana che
riluceva nel buio della
battaglia, quanto e più delle cupe armature dei soldati.
Era
bella, talmente
tanto che rimase incantato per qualche attimo a guardarla;
dimenticò la furia
che Miraz aveva scatenato nel suo animo, dimenticò la
rabbia, il dolore,
dimenticò tutto ciò che non fosse il profumo di
quei capelli, il sapore di
quelle labbra, il suono delle sue parole e del battito del suo cuore.
Era
bella. Era nel
suo elemento, combatteva con la ferocia e la grazia di un felino, di un
puma.
Era
bella.
Ed
era sua.
Sua,
almeno quanto lui apparteneva a lei.
Si
concesse solo
qualche istante, per guardarla, prima che il frastuono della battaglia
irrompesse nuovamente nella sua testa. E fu allora che tutto
riacquistò
concretezza e orrore; il sangue, le creature e gli uomini che
sopperivano, che
cadevano sotto i colpi degli avversari. Le spade, che affondavano con
odio nei
cuori di anime innocenti, che combattevano soltanto per la loro terra.
Gli
artigli, i denti, le spade dei centauri, che disperatamente si
battevano per la
loro giustizia.
Era
sbagliato.
Era
tutto,
orribilmente, sbagliato.
Un
brivido freddo
parve attraversarlo, quando si rese conto che nulla avrebbe mai posto
fine a
quell’orrore: niente, in quel momento, avrebbe potuto fermare
la battaglia
cruenta del popolo di Narnia contro gli invasori.
Ma
si costrinse a
non dare spazio alla tristezza, al senso d’ineluttabile
sconforto che gli dava
quella consapevolezza.
Sguainò
la spada –
nello stesso istante in cui un ruggito di guerra irrompeva sulle labbra
di
Peter, e il Re Supremo si lanciava nella mischia – e si
buttò in mezzo alla
battaglia, fianco a fianco dei Narniani che aveva giurato di aiutare.
,
La
battaglia
divampò in fretta; più in fretta di quanto
chiunque avrebbe mai potuto pensare,
osare anche solo immaginare.
La
furia dei
Narniani pareva non avere limite. Siria li guardava, mentre combatteva
al loro
fianco, mentre uno dopo l’altro i suoi avversari cadevano:
combattevano con la
rabbia e l’odio nel corpo, combattevano con quella furia
covata nel silenzio
delle foreste per secoli, combattevano per difendersi e per sfogare
tutto
l’odio che i Telmarini avevano lasciato proliferare nei loro
cuori.
Non
era una
battaglia, quella.
Era
una
carneficina.
Schivò
un attacco,
roteando su sé stessa e calando con tutta la forza che
possedeva in corpo la
propria spada, tranciando di netto la leggera armatura del soldato.
Vide
il sangue
schizzare il metallo, un urlo animalesco sfuggire dalle labbra
dell’uomo. Il
telmarino sferzò la lancia contro di lei, un gesto
disperato, un gesto folle: a
Siria bastò saltare, per schivare il colpo, immergendo con
un gesto secco la
spada nel suo petto.
Distolse
lo
sguardo, disgustata da sé stessa, da ciò che
stava facendo.
Non
le piaceva,
uccidere.
Era
necessario, lo
sapeva anche lei; ma ogni volta, ogni volta che il suo Kain –
il Guerriero, la
sua fidata spada – affondava nella carne di un avversario,
ogni volta che
vedeva i loro occhi spegnersi…qualcosa, dentro di lei,
urlava.
Non
si fermava.
Uccideva, combatteva fino a battere il suo avversario, non esitava mai
dinanzi
ad un nemico…ma ogni volta, ogni volta un qualcosa gridava
il suo orrore,
sepolto nei meandri della sua anima.
Le
piaceva,
combattere. Le piaceva, l’adrenalina che pompava veloce nel
suo corpo, la
elettrizzava, la riempiva di un’energia che soltanto in
battaglia riusciva a
sfruttare.
Adorava,
sentire
l’elsa di Kain fra le dita; amava sentirla muoversi con
leggiadria, sentiva il
proprio corpo esultare quando schivava i colpi, attaccare e diventare
ella
stessa un’arma.
Talia,
le aveva
insegnato la bellezza del combattimento; Siria era sempre stata portata
per i
duelli, per gli scontri, e l’elfa non aveva fatto che
coltivare quella sua
passione, trasformandola in un vero e proprio talento.
Era
stata talmente
presa dalla battaglia, che non si era resa conto di essersi spostata;
le frecce
di Talia non fioccavano più dalle sue spalle, Aaron e Caleb
si erano buttati a
capofitto nella fitta marmaglia di soldati, avvertiva le risate del
biondo
echeggiare fino a lei.
Ora,
guardandosi
intorno, vide soltanto il colonnato intorno a sé; il soldato
che l’aveva
trascinata fin lì, nella foga del duello, oramai giaceva
inerte sul pavimento
di pietra, una macchia scura che si allargava sotto il suo petto.
Si
permise di
prendere fiato, dopo quella che le era parsa
un’eternità. Chiuse gli occhi per
solo un istante, cercando di riordinare le idee, tentando di scacciare
il rosso
del sangue impresso sulle sue retine in un marchio di fuoco…
.
Improvvisamente,
il sonoro rumore di uno schiaffo.
.
Siria
si ritrovò
scaraventata a terra, il volto in fiamme e la mente disorientata. Ebbe
appena
il tempo di capire cosa le fosse successo, che un peso non indifferente
le si
buttasse addosso, e due mani crudelmente forti le serrassero i polsi in
una
morsa di ferro.
-Ma
guarda chi c'è…la
puttana di Caspian, sicuramente.- Siria si ritrovò stordita
dall'alito pesante
e cattivo dell'uomo che le era addosso, che le impediva di rialzarsi,
di
tornare a combattere. Sentì il cuore accelerare bruscamente,
spaventato,
terrorizzato da quell'improvvisa incapacità di
reagire…provò a divincolarsi,
scalciando, stringendo i denti e soffocando un ringhio in gola.
-Mollami
subito,
bastardo!- sbottò, atterrita, serrando istintivamente le
gambe e cercando di
allontanare il petto dallo sguardo famelico del soldato. Gli occhi
chiusi,
l'espressione impaurita, costretta; il suo sangue pulsava impazzito di
terrore,
nelle sue vene, nel suo corpo.
-Non
ci penso
nemmeno, puttanella!-
SCIAFF!
Un
secondo schiaffo
la colpì in pieno viso, stordendola ancor di più.
Sentì un dolore tremendo al
volto, e qualcosa di caldo bagnarle il viso, le labbra: sangue.
Le
aveva spaccato un
labbro…
-Con
te ho intenzione
di divertirmi, puttana...hai fatto male a restare sola.- approfittando
della
confusione di lei, il soldato sconosciuto serrò in una morsa
unica i polsi di
Siria, liberando una mano che subito scese ad afferrarle le cosce,
schiudendole
a forza, nonostante lei ancora tentasse di divincolarsi.
No,
no, no, no!
Siria
serrò i
denti, tentando ancora una volta di liberarsi, invano. Si sentiva
inerme, era
completamente in potere di quell'uomo…quell'uomo che la
toccava rudemente, che
armeggiava frenetico con i suoi vestiti già a brandelli, con
la sua pelle
lacera…
.
Fallo!
No!
Difenditi!
Mai!
Invece
sì.
.
Fu
soltanto un
istante.
Le
iridi di Siria
brillarono di rosso, appena per un attimo; più che
sufficiente, però, per
rendere la sua pelle incandescente come la lava più viva.
Soltanto
un
istante, perché il baratro dentro di lei si spalancasse di
nuovo.
,
E
si ritrovò perduta, come più aveva temuto in
sette
anni di odio verso sé stessa.
.
-AAAARGH!-
gridò il
soldato, mollando di scatto il corpo della rossa, ustionato da quella
pelle che
aveva arso come le fiamme dell’inferno.
Siria
balzò in
piedi con un unico movimento della schiena, gli occhi vacui, pieni
soltanto di
quel fuoco innaturale. La sua mente era improvvisamente molto
più fredda,
calma…la paura era scomparsa dal suo viso, così
come ogni traccia di umanità.
Ogni
pensiero…ogni
sensazione…scomparso. Tutto scomparso.
Nella
sua testa,
solamente un beato vuoto.
Nei
suoi occhi,
soltanto il freddo calcolo di un predatore.
FERMATI!
Ignorò
la voce
atterrita nella sua testa, quella voce che sicuramente apparteneva a
Talia.
SIRIA
FERMATI, MALEDIZIONE! STAI PERDENDO IL CONTROLLO!
E
quella era Shaylee. Shaylee, che la sentiva chiaramente, di cui
percepiva la magia. Ignorò anche lei, assorta in
ciò che l'aveva completamente travolta.
.
Non
ha importanza. Niente ha importanza.
.
Uccidere.
.
Uccidere
quell’uomo, uccidere quel soldato. Telmar.
Lui, come tutti gli altri.
Lui
era una delle
migliaia di cause del suo dolore.
.
I
suoi occhi, rossi
di fuoco, analizzarono perfettamente l'uomo di fronte a lei, che ora
indietreggiava, terrorizzato da ciò che stava diventando;
trovarono la
pulsazione frenetica sul suo collo, il punto preciso del suo petto in
cui
batteva forsennato il cuore.
Sarebbe
bastato
soltanto toccarlo, per bruciarlo vivo…
-SIRIA!-
una voce
spaventata risuonò sotto al porticato…una voce
che Siria conosceva, che
conosceva fin troppo bene.
.
Caspian.
Caspian,
il suo principe.
Caspian,
che era un telmarino.
Caspian,
Caspian, Caspian che l’amava, Caspian e la sua
voglia di vivere, e il suo sorriso, e il sapore delle sue labbra.
.
Il
baratro, o il suo cuore?
La
bestia, affamata di morte e di vendetta, o
quell’amore insperato che pulsava insistente dentro di lei?
.
Le
bastò un attimo
per riconoscerlo; quello stesso attimo, che costrinse il fuoco a
scemare da
lei, sparendo veloce com'era apparso.
.
Via,
di nuovo celato negli anfratti più bui della sua
anima.
Via,
lontano, di nuovo soltanto un brutto ricordo.
E
con lui, l’odio. La rabbia, la vendetta, la
disperazione di una creatura rimasta sola per sempre.
.
La
ragazza crollò
in ginocchio, improvvisamente esausta, tremante quanto il soldato
allibito e
spaventato a pochi metri da lei.
-Maledetta…-
lo
sentì mormorare, lo sentì alzarsi in piedi e
sguainare la spada…ma era troppo
stanca, aveva quasi lasciato che qualcosa prendesse
il sopravvento su di
lei e la spossasse, ed ora non riusciva quasi a tenere gli occhi
aperti, a
guardare il soldato che torreggiava su di lei brandendo la sua
arma…
-No!-
un sibilo
metallico, il suono di una lama che affondava nella tenera carne umana,
e la
figura minacciosa che si stagliava su di lei scomparve.
-Sir,
stai bene?-
avvertì un suono, una persona che s'inginocchiava di fronte
a lei. Prese un
lungo respiro, tentando di calmare il battito forsennato del cuore,
alzando gli
occhi e cercando di rassicurare quelli pieni di spavento di lui.
-S-sto
bene, mi
sono solo…fatta prendere di sorpresa.- lo
rassicurò, accettando la sua mano
quando gliela porse, lasciandosi aiutare a rialzarsi.
Il
calore della
mano di Caspian era bello, era rassicurante. Nulla a che vedere con le
fiamme
intollerabilmente brucianti che avevano arso dentro di lei, bruciando
ogni
briciola di umanità dal suo corpo, devastando tutto, facendo
di lei solamente
un’orribile macchina di morte.
Era
durato poco più
di qualche istante.
Non
si era nemmeno
resa conto di ciò che stava accadendo, non si era capacitata
nemmeno lei di
aver permesso a quell’orrore di riprendere vita.
Un’altra
volta…
Ingoiò
le lacrime a
forza, costringendosi dietro una maschera sollevata, nascondendo
ciò che era
appena successo agli occhi preoccupati del suo principe.
Caspian
non doveva,
non poteva sapere.
Se
fosse
successo…lo avrebbe perduto, per sempre. E con lui, ogni
motivo che aveva
ancora per vivere.
Caspian
sorrise,
rassicurato, intrecciando le dita alle sue.
-Andiamo,
avanti.-
la esortò, ed insieme a lei si rituffò nel caos
della battaglia. Una battaglia
che, Siria se ne accorse immediatamente, non stavano vincendo.
Una
battaglia, che
stava volgendo in un modo inaspettato.
Gli
arcieri e i
balestrieri erano apparsi sui merli: Edmund si era salvato a malapena,
ma lo
vedeva combattere, là, sull’alto dei torrioni, con
almeno tre soldati che si
accanivano violentemente contro di lui.
-Dannazione!-
sbottò la rossa, sentendo le dita del moro scivolare via
dalle sue, voltandosi
di scatto e vedendo la stessa espressione cupa disegnarsi sul volto del
principe.
-Avverti
Peter,
dobbiamo andarcene di qui!- le gridò, sparendo in mezzo alla
battaglia che
infuriava, che massacrava, che distruggeva.
Fosse
facile!
Siria
si lanciò in
mezzo ai soldati, ai Narniani, salvando per un pelo Cornell
dall’essere
pugnalato alle spalle. Lo vide voltarsi, il centauro, lo vide guardarla
stupita; ma non ebbe il tempo di dargli spiegazioni, doveva trovare
quel
dannatissimo Re Supremo – prima che li facesse ammazzare
tutti quanti.
-Peter,
la grata!-
la voce di Susan la raggiunse improvvisamente, con la violenza di una
mazzata.
Lei,
e nello stesso
istante il biondo, si voltarono verso il cancello: c’era un
minotauro, a
sostenerlo, e la fatica della povera creatura era palese. Non avrebbe
retto
ancora per molto, sarebbe crollato, e se non fossero fuggiti
subito…
Spazientita,
Siria
si voltò verso Peter: il Re Supremo fissava come spiritato
la battaglia, il
minotauro, la grata che si abbassava a ogni secondo un millimetro in
più.
-DANNATO
BIONDO,
ORDINA QUESTA FOTTUTA RITIRATA!- strillò, esasperata, la
voce tonante che
rimbombava in tutto il cortile, anche sopra ai ruggiti delle bestie,
alle urla
degli uomini.
Lo
vide
riscuotersi, guardarla improvvisamente con astio, sorpreso e
infastidito dalla
sua intromissione.
-IO
NON PRENDO
ORDINI DA TE, ROSSA!- sbottò, ma un attimo più
tardi, un violento schianto
costrinse entrambi a voltarsi, allarmati.
Tre
cavalli avevano
sfondato le porte della scuderia, trascinando con sé il
resto della mandria,
liberata dai propri box. Tre cavalli sellati, in mezzo a
un’orda di bestie
prive di finimenti, che travolsero tutti coloro non abbastanza veloci
per
spostarsi dalla loro traiettoria.
C’era
Caspian, in
groppa ad un bellissimo animale nero come la notte, dal folto manto che
arrivava a velare gli zoccoli, la criniera lunga e selvaggia che
ricadeva lungo
il collo muscoloso. Dietro di lui, stanco e provato ma saldo sulla
groppa di un
morello, c’era un uomo anziano che Siria riconobbe come
Cornelius, il mentore
che Caspian era stato tanto deciso ad andare a salvare.
Vide
gli occhi
scuri di Caspian alzarsi con odio, odio vero, verso la terrazza.
Là,
le mani serrate
sul cornicione in pietra, gli occhi nerissimi così diversi
da quelli del
nipote, Miraz lo fissava con una rabbia, un disprezzo, un rancore che
mai Siria
aveva visto su volto d’uomo.
E
poi lo vide
incoccare la balestra.
Lo
vide puntare
alla schiena del nipote, che si era voltato verso di loro, che spronava
il suo
cavallo verso la grata – già conscio, di quanto
quella battaglia fosse perduta.
-NO!-
e all’improvviso,
la sua fidata balestra aveva già scoccato una freccia.
Una
soltanto, un
mortale dardo che sfrecciò rapidissimo in direzione di Miraz.
Ma
il nuovo Re di
Telmar si era scostato, il nuovo Re di Telmar l’aveva
guardata con odio, con lo
stesso disprezzo che aveva dedicato al nipote: e solamente un segno
rosso, un
taglio netto ma superficiale sulla guancia irsuta, comparve come
indelebile
traccia del gesto di Siria.
-RITIRIAMOCI!-
l’urlo
di Peter le giunse esattamente quando il suo sguardo
incrociò quello del
despota, sostenendolo senza paura.
In
quell’istante,
Siria seppe che l’avrebbe uccisa.
Perché
Miraz poteva
essere un tiranno, poteva essere maligno, ma non era uno sciocco; e,
soprattutto, non avrebbe dimenticato quell’affronto. Non
avrebbe dimenticato,
che una mercenaria qualsiasi si era permessa di togliergli il piacere
di uccidere
quel nipote traditore.
Non
avrebbe
dimenticato, di aver visto il legame fin troppo evidente fra quella
rossa e il
ragazzo.
Ma
Siria un istante
dopo si era voltata, in tempo per vedere l’acrobatico salto
del Re biondo in
groppa ad un cavallo in corsa; niente da dire, era un idiota, ma anche
un
guerriero eccellente.
Vide
Talia già
fuori, vide anche Aaron e Caleb in salvo. Vide Caspian, in groppa a
quel
magnifico cavallo, che si voltava a cercarla, appena fuori dalla grata.
E
poi lo vide.
Vide
l’arciere
mirare alla schiena del biondo, di Peter. Distinse la corda tendersi,
la
freccia dalla punta mortale fissarsi con gelida attenzione in mezzo
alle
scapole del Re.
No.
Siria
non pensò
nemmeno, quando con un ruggito esasperato cambiò bruscamente
direzione,
balzando in avanti e piantando con tutta la forza che aveva la spada
nel petto
del soldato.
La
estrasse
praticamente subito, disgustata dal gesto e sorpresa da sé
stessa; aveva
salvato la vita di quel borioso arrogante, e l’aveva fatto
senza
esitare…perché?
SBRANG!
Si
voltò di scatto,
al suono terribile di un corpo schiacciato sotto il metallo.
La
grata era
caduta. Il minotauro aveva ceduto, non c’era più
alcuna via di fuga…e là,
dall’altra parte di quel cancello nero, due occhi azzurri la
fissarono stupiti.
Aveva
salvato la
vita del Re Supremo.
E
aveva condannato
sé stessa, nel farlo.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
*Rhindon: è il nome della spada del Re
Supremo di Narnia, quella con il pomo lavorato a muso di leone ^__^ la
trovate QUI
^^
Aaaaaallora...
WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA! Battaglie, guerre, morti,
distruzione, abomini, creature varie con tante di quelle pippe mentali
che in confronto Harry Potter impallidisce *___* Caaaaaaaaaaaaasa!
*____________*
Davvero, sono tornata nel mio elemento con questo
capitolo: battaglie, introspezione, strategie. Casa *-* E'
ciò che mi riesce meglio, che ho imparato ad essere, che
SONO. E mi piace, mi piace essere me stessa, mi piace fogarmi come una
matta con questi capitoli *.*
Allora, vediamo un pò di andare per
ordine, da brave bambini diligenti.
Siria e Caspian vinceranno l'Oscar come coppia
più dolciosa di Narnia, questo è poco ma sicuro;
il fatto che Peter non si renda conto che ha guardato Shay nello stesso
modo in cui il principino ha guardato Siria, la dice lunga sulla sua
*quale?* intelligenza...Siria e Peter? Siria e Peter sono due cosi
assurdi. Sono due crape dure come il marmo, testardi all'inverosimile,
orgogliosi in due modi profondamente diversi: gli sprazzi di lite che
si vedono in questo capitolo, non sono altro che un preludio a una
bella scazzottata coi controfiocchi. Perché Siria
è come me, e io Peter, nel suo egocentrismo, in questa
particolare battaglia l'ho profondamente odiato. Sono io
stessa una persona dannatamente orgogliosa, ma questo non è
più orgoglio: è vanità, è
narcisismo, è megalomania. Non ha voluto ordinare la
ritirata, perché lui poteva farcela:
e sarà questo, che Siria gli rinfaccerà - con
decisamente poca gentilezza, penso.
Okay, ho finito di odiare Peter Pevensie, torno a
coccolarlo xD *sì, il mio amore/odio per il biondo
è mooolto altalenante xD*
E ora? Cosa farà la nostra Siria,
intrappolata?
Piccolo spoiler:
-Combattiamo,
gente di Narnia! Combattiamo per la nostra terra!- li esortò
la rossa, la voce sempre più simile ad un ruggito, ad un
esaltato, trionfante grido di battaglia.
-PER...NARNIAAAA!-
ruggì, sentendo l'eco delle proprie parole nel petto, nel
cuore, nell'urlo di battaglia che risuonò alle sue spalle; e
brandì la spada verso il cielo tinto di sangue, mentre al
suo fianco i guerrieri sguainavano le loro armi.
...
Sì, ho fregato la battuta a Peter O=D
ALTRA GRANDE NOTIZIA, TROVATI I VOLTI
UFFICIALI PER LE TRE GRAZIE!!!! XD
Noi ci siamo scervellate per trovare le donnette
adatte, e non vi nascondo di adorare profondamente Rachelle *W*
Per chi non volesse cliccare sul link, a fondo
pagina ci sono le immagini, più qualche foterella dei
beniamini maschili della fic, che non fan mai male xD
Per fortuna il momento
è passato, ora mi sono ripigliata ^^ Allora...i miei
capitoli danno sempre emozioni? *diventa fucsia* ma-ma-ma-mao! Non mi
puoi dire cose così, arrossisco!
...
Okay, fanno piacere, fai pure xP
Ecco qua uno dei capitoli che più amo, uno dei capitoli di
battaglia: la strada è ancora luuuuunga per arrivare alla
fine, ma ci arriverò, amo troppo questa storia - e ho
già in mente la trama di altri due seguiti, per di
più xD Oddio, incredibile la mia storia? Mannò,
cioè...*BLUSH*
Grazie mille, per tutto, per essere sempre fra i recensori e per essere
così entusiasta <3 mi date la forza e la voglia di
scrivere <3 <3
Eccola qua la battaglia, con
fiocchi e controfiocchi ^^' mi sono sfogata scrivendo questo capitolo,
mi sono sfogata non poco - e Peter, come al solito, è e
sarà quello che sopporterà i nervosismi miei e di
Siria, poraccio ^^' perché Siria salva Peter? Eh,
è un'ottima domanda, ma penso sia soprattutto per il senso
di giustizia e il fatto che - comunque - è un'abitante di
Narnia anche lei, e senta molto più di quanto dia a vedere
Peter come suo Re. Non si lascia ammazzare il Re, anche se è
un coglione ^^' c'è anche un breve scorcio su Siria e su
ciò che è, ho voluto rivelare un pò di
più su questa donna ancora molto misteriosa, spero ti sia
piaciuto ^^ per le cose private, ci sentiamo per mail...un abbraccio
forte forte <3 <3
sono arcicontenta che la mia
storia ti piaccia tanto, fin dall'inizio! Spero di rivederti fra i
recensori, una voce nuova è sempre splendida da
sentire/leggere, mi farebbe piacere sapere cosa pensi anche di questo
capitolo! Grazie mille!
Love
you all, B <3
.
.
.
NON
SI PUO' NON COCCOLARLO! ç.ç
Una parola: GNOCCO!
Cokerino
morbidoso!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Con la spada, che giochi di
mano...
Se
qualcuno glielo
avesse raccontato, Peter non ci avrebbe mai creduto.
Non
poteva essere.
Non
poteva essere
stata Siria, a farlo.
Aveva
visto
l’arciere. Aveva visto, che mirava a lui, aveva visto che non
sarebbe riuscito
ad evitare il colpo. Si era preparato, era pronto a subire quel dolore,
a
rischiare la pelle…
E
invece, aveva
soltanto udito il “NO!” disperato del principe
Caspian.
E
invece, aveva
visto una confusa macchia di capelli rossi voltarsi orgogliosamente
verso di
lui, due fieri occhi blu sostenere testardi il suo sguardo allibito
attraverso
le sbarre crollate.
Gli
aveva salvato la vita.
Quella
mercenaria,
quella rossa che aveva palesemente dimostrato di non soffrirlo
minimamente…gli
aveva salvato la vita.
Di
più. Senza
esitare, senza nemmeno pensare…aveva condannato
sé stessa a morte certa.
Rimase
immobile,
sul dorso del cavallo, il volto stravolto e stupefatto voltato verso
quella
creatura avvolta da un mantello nero, lasciando che il giovane ragazzo
moro lo
superasse di corsa.
Gli
aveva salvato la vita.
Continuava
a
ripeterselo, continuava a non riuscire a crederci.
Gli
aveva salvato la vita.
.
Siria!
Siria, da lontano, vide l’espressione
terrorizzata e improvvisamente consapevole di Talia, quando la
riconobbe -
intrappolata, insieme a buona parte dell’esercito narniano,
al di là della
grata.
Va
tutto bene.
Tentò di rassicurarla, costringendosi a
reprimere il vuoto tremendo che si era spalancato dentro di lei, nel
vedere la
grata abbassarsi di botto.
No,
non va tutto bene! Siria, esci di lì, trova un
modo!
Siria sapeva bene, a cosa si stava riferendo la sua amica. Lo sapeva
bene,
sapeva che ne sarebbe stata in grado…ma non poteva, non
poteva farlo, avrebbe
significato la fine comunque, la morte comunque.
Non
posso. Tallie, non posso, lo sai.
Le disse, mesta,
rassegnata, cercando di avvicinarsi al cancello mentre le guardie li
stavano
accerchiando. Erano in una trentina, intrappolati là; una
trentina di bestie,
mandate al macello.
E
in quelle poche
parole, Talia avvertì quella decisione mai vista, quella
testardaggine, quella
cupa rassegnazione, che aveva preso il posto della furia del
combattimento nel
cuore della sua amica.
Era
pronta a
morire, Siria.
Era
pronta ad
andarsene.
Sir,
ne va della tua vita! Non possiamo lasciarti là
dentro, te ne rendi conto?!
Fu la voce determinata, decisa, testarda di Shaylee ad
unirsi alle loro, a rimbombarle violentemente in una mente
improvvisamente
molto più calma.
Forse
è meglio così, Shay. Sarà solo un
problema di
meno.
Siria scosse la testa, un sorriso triste disegnato sul viso, gli occhi
che
cercavano la figura della Naiade, ancora immersa nel fossato. La stava
guardando, una scintilla di disperata determinazione nelle iridi
dorate,
l’espressione furiosa, frustrata, più che mai
decisa a non lasciare che si
sacrificasse.
Sir,
no, no, no, NO!
Siria guardò Talia, non del tutto
stupita nel vederla scuotere vigorosamente la testa, tutto il suo
ferreo
autocontrollo ormai dimenticato.
Tallie.
Ti voglio bene.
Siria
lo vide dagli
occhi dell’elfa.
Lo
vide, chiaro e
cristallino, quanto quelle ultime parole fossero riuscite a colpirla,
ad
arrivarle fin dentro, nel cuore. Quelle parole che erano vere, quelle
parole
che troppo poco spesso le aveva detto.
Ti
voglio bene.
Avrebbe
voluto dare
ragione alle due amiche, avrebbe voluto lasciar andare quella belva,
dentro di
sé, per potersi salvare.
Ma
poi, della sua
vita non sarebbe rimasto più nulla.
Il
Re Supremo
l’avrebbe uccisa comunque, e avrebbe fatto bene: in ogni
caso, lei era
spacciata.
E
lo fece lo
stesso.
Si
costrinse a
chiudere ogni contatto, ogni pensiero, interrompendo quel contatto
mentale che
la legava a Shaylee, a Talia. Si costrinse a distogliere lo sguardo dal
viso
dell’amica elfa, perché sapeva che non avrebbe
retto, se l’avesse guardata
ancora per qualche istante.
Sette
anni.
Avevano
passato
insieme sette anni, diventando forse qualcosa in più di
semplici sorelle. Erano
due parti della stessa anima, non esisteva l’una, senza
l’altra: sette anni, in
cui si erano ritrovate ad essere due facce della stessa medaglia, due
parti
dello stesso cuore.
Eppure,
adesso,
Siria aveva scelto volontariamente di non salvarsi.
Talia
lo sapeva.
Talia lo sapeva bene, sapeva che non sbagliava, che era nel giusto.
Ma
non riusciva ad
accettarlo.
Serrò
gli occhi,
cercando di impedire alle lacrime di scendere lungo le guance, al
dolore di
prendere il sopravvento su di sé. Si costrinse a voltarsi,
si costrinse ad
abbassare il capo, impedendo ad Aaron di fiondarsi verso il cancello,
serrando
una mano sulla sua casacca, trattenendolo.
Non
poteva
lasciarla morire.
Non
la sua amica,
non la sua compagna, non sua sorella.
-Tallie.-
si
costrinse a non ascoltare Caleb, a non dargli retta. Eppure, era quello
che il
suo cuore avrebbe voluto di più…ma doveva essere
forte, non doveva piangere,
non doveva stringersi a lui e scoppiare in quel pianto disperato che
sentiva
pulsare appena dietro le sue strenue difese.
Doveva
essere
forte.
Doveva.
-Tallie,
ascoltami!- le mani forti, grandi, rassicuranti di Caleb si chiusero
sulle sue
spalle, costringendola a guardarlo.
Costringendola
ad
alzare quegli occhi scuri, caldi, vivi, pieni di lacrime, sulle iridi
celesti –
decise, determinate, incapaci di arrendersi – di Caleb.
-Non
è finita.
Ascoltami bene, non è finita.-
Costringendola
ad
ascoltarlo, a lasciare che le sue parole la cullassero in
un’effimera speranza
a cui voleva, con tutte le proprie forze, aggrapparsi.
-Talia,
il
grifone!-
Soltanto
allora,
Tallie smise di lasciarsi costringere, e lo guardò davvero.
Caleb
stava
indicando uno dei grifoni, il grifone che aveva salvato Edmund dalla
torre.
Sorvolava ancora il castello, poteva distinguere
l’espressione angosciata del
giovane Re, il suo tormento nel guardare tutti quei guerrieri chiusi in
trappola.
Soltanto
allora,
Talia comprese che Caleb aveva ragione.
Non
è finita.
Credici
Tallie, credigli.
Sostenne
il suo
sguardo, vedendo quelle iridi celesti pronte a tutto, pur di non
lasciarla
andare, pur di non lasciarla crollare. Sostenne quegli occhi, quei
vividi occhi
azzurri che troppo spesso facevano capolino nel suo cuore, sentendo lo
stomaco
contorcersi terribilmente – una sensazione piacevole,
dopotutto. Strana, ma
piacevole.
E
poi, con un
repentino e rapidissimo sorriso, in un guizzo l’elfa
scomparve.
.
Le
sbarre tremarono
violentemente, sotto l’impatto delle sue mani, della sua
rabbia. Sbarre che
avrebbe voluto avere la forza di divellere, sbarre nere che
significavano
soltanto morte, morte del suo cuore, morte della persona per cui si era
reso
conto di vivere.
-Siria!-
sbottò Caspian,
angosciato, vedendo la ragazza spintonare i soldati ammassati vicino
alla
grata, tentando di avvicinarsi a lui.
Lo
raggiunse
soltanto qualche attimo più tardi, quando le dita del
principe s’intrecciarono
alle sue, tirandola verso di sé.
Ma
c’era quel
cancello, a dividerli. C’erano quelle sbarre nere,
arrugginite, che si ergevano
fra loro a decretare la morte di Siria, dei loro cuori, di
quell’amore a cui
nessuno dei due era pronto a rinunciare. Non così presto,
non adesso, non dopo
essersi cercati per così tanto tempo…
-Sir…-
sussurrò,
lasciando che una mano si perdesse sulla guancia di lei, immergendosi
in quei
capelli rossi come il fuoco, gli occhi neri a poco più di
qualche millimetro
dalle iridi allargate, immense, spaventate di Siria.
-Caspian,
devi
andare via da qui.- il suo sussurro non lo avrebbe nemmeno raggiunto,
se non
fossero stati così vicini, soltanto quelle sbarre maledette
a dividerli.
Scosse
violentemente la testa, i lunghi capelli scuri e arruffati, macchiati
di
sangue, agitati dal gesto.
-No.-
affermò, con
veemenza quasi, stringendo con più forza le dita di Siria
fra le sue. Lasciò
scivolare le dita sul suo volto bianco, spaventato ma terribilmente
determinato, accarezzandole quelle guance soffici, gli occhi pieni di
lacrime,
sfiorando i suoi capelli. -Non chiedermelo, non posso andarmene, non
posso
lasciarti…- la sua voce si ridusse a un sussurro, quasi a
una preghiera, una
preghiera disperata.
Non
poteva, non
poteva lasciarla andare.
Non
poteva, perché
senza di lei lui non era niente.
La
amava. La amava
forse dal primo attimo in cui i loro occhi si erano incrociati, la
amava in
tutto e per tutto, con ogni fibra del suo cuore e della sua mente.
La
amava, e sapeva
che senza di lei non sarebbe più stata vita.
La
amava, e non
poteva, non poteva nemmeno pensare
di
abbandonarla alla morte.
Ci
fu un istante,
fra i loro occhi.
Soltanto
un attimo,
in cui il nero si specchiò nel cangiante celeste e
nell'indaco profondo, in
quegli occhi bellissimi ed imploranti in cui Caspian, per un istante,
riuscì a
scorgere il riflesso di sé stesso.
-Va'
via, Caspian.-
gli sussurrò lei, la voce ridotta ad un sussurro, bassa,
concitata.
Gli
prese il viso
fra le mani e si spinse sulle punte dei piedi, posando la fronte contro
alla
sua, perdendosi per quell'istante rubato negli occhi di carbone, vivi,
ardenti
del ragazzo…quegli occhi che appartenevano all'unico uomo
che le fosse entrato
nell'anima, quell'uomo che era diventato l’epicentro della
sua esistenza, del
suo amore…
-Non
posso
lasciarti qui!- replicò lui, frustrato, serrando le dita
intorno alle spesse
sbarre di ferro, desiderando soltanto di strapparle, di portarla via da
lì…
-Caspian,
sei molto
più importante di me! Va via, io me la caverò!-
sbottò Siria, gli occhi pieni
di lacrime che non voleva piangere, spezzando quell'istante
dannatamente
doloroso che aveva legato i loro sguardi, che aveva sincronizzato il
battito
dei loro cuori.
Non
poteva
permetterglielo…non poteva lasciare che rischiasse di nuovo
la vita, e
stavolta…no, non per lei.
Si
allontanò di
scatto, mentre la sua anima ed il suo cuore urlavano furiosamente,
protestando.
Si
voltò, dandogli
le spalle e buttandosi attraverso i Narniani affollati intorno al
cancello,
l'espressione dura e decisa di chi non ha più nulla da
perdere.
Là,
lenti ma
inesorabili come predatori, si stavano lentamente avvicinando i soldati
di
Miraz.
Si
fermò
bruscamente sull'orlo dei pochi metri che la separavano da loro,
l'affilata
spada in pugno, fiera e salda sui suoi piedi.
-Narniani!-
gridò,
e tutti i guerrieri intrappolati si voltarono a guardarla, sorpresi. Si
fece largo
fra la folla, recuperando uno scudo da terra, da uno dei guerrieri
caduti,
proteggendosi dal nugolo di frecce che li stavano tempestando.
–Vogliamo
lasciarci trucidare come dei topi in trappola? Dico, ma siamo
impazziti?-
sbottò, il sarcasmo che venava la sua voce.
A
cosa sarebbe
servito, disperarsi?
Ormai
erano
condannati. Loro, lei, tutti i combattenti rimasti in trappola.
Sarebbero
morti. A
cosa serviva, piangersi addosso?
Poteva
fare qualcosa di buono.
Poteva, per la prima e l'ultima volta, seguire quella sete di giustizia
che aveva sempre soppresso, dentro di sé, annegata nel
cinismo.
-Noi
siamo guerrieri, non siamo carne da
macello!-
gridò, voltandosi a guardare l’esiguo manipolo di
guerrieri che ora la stavano
osservando, allibiti. -Siamo in trappola? Moriremo? Bene! Portiamocene
dietro
il più possibile, allora!- aggiunse, la voce tonante come
mai prima, gli occhi
blu illuminati dalla foga del combattimento.
-Ha
ragione!- la
acclamarono i centauri, alzando le spade al cielo, spalleggiandola
contro i
soldati sempre più vicini.
-Fino
alla morte!-
gli fecero eco gli altri guerrieri, imitandoli.
-Combattiamo,
gente
di Narnia! Combattiamo per la nostra terra!- li esortò la
rossa, la voce sempre
più simile ad un ruggito, ad un esaltato, trionfante grido
di battaglia.
-PER…NARNIAAAAA!!!!!!-
ruggì, sentendo l’eco delle proprie parole nel
petto, nel cuore, nel ruggito di
battaglia che risuonò alle sue spalle; e brandì
la spada verso il cielo tinto
di sangue, mentre al suo fianco i guerrieri sguainavano le loro armi.
E
per la prima
volta, nella sua vita, si sentì davvero
una di loro.
.
.
-Tallie…non
può
averlo detto davvero, vero? - mormorò Shaylee, udendo anche
da lontano l'urlo
inconfondibile dell'amica dai capelli rossi.
-Sì,
l’ha detto.
Eccome se l’ha detto, era una vita che voleva farlo.-
mormorò l'elfa, scuotendo
la testa, una nuova luce negli occhi castani, vividi.
Dietro
di loro,
Peter inarcò un sopracciglio, scettico: quella battuta gli
ricordava vagamente
qualcosa…
-Caspian!-
l’urlo a
pieni polmoni dell’elfa fece sobbalzare il principe, che non
pareva
intenzionato a rassegnarsi, a lasciare che Siria finisse uccisa.
Il
moro si voltò di
scatto, udendo nella voce di Talia qualcosa
– qualcosa, a cui non sapeva dare un nome, quello stesso
qualcosa che lo aveva
spinto a fidarsi di lei – che riuscì a strapparlo
dalla sua disperazione,
dall’odio repentino che animava il suo animo.
Si
voltò, e vide
l’elfa indicare il grifone, quello stesso grifone che
volteggiava alto, nel
cielo sopra di loro.
Caspian
le superò
tutt'e due di corsa, l'espressione stravolta, il respiro corto. Udiva
nelle
orecchie il suono violento della battaglia…una battaglia che
Siria ed i
Narniani rimasti in trappola avrebbero perduto...
-EDMUND!-
gridò,
quando il grifone che cavalcava il Re più giovane si
abbassò fin quasi a
sfiorare la sua testa. Lo riconobbe subito, anche senza averlo mai
visto prima;
le miniature che Cornelius gli aveva mostrato, che erano rimaste
impresse nel
suo cuore, erano molto più dettagliate di quanto avesse mai
potuto pensare.
-Cosa
c'è?- replicò
l'altro, gli occhi che non si separavano dalla cruenta scena dall'altro
lato
della cancellata. Ma il principe si rivolse al grifone, agitato, la
spada
stretta in pugno ed un folle piano che prendeva fulmineamente vita
nella mente.
-Potresti
portarmi
dall'altra parte?- gli chiese, ansimando.
-Certo,
mio
principe.- rispose lui, annuendo, la grande testa d'aquila che si
muoveva
nell'aria fredda. Ed balzò subito giù dalla sua
groppa, immediatamente
sostituito dal moro.
-Caspian!-
Peter lo
raggiunse al galoppo, allibito. -Cosa vuoi fare?- gli chiese, scettico,
mentre
il grifone sbatteva furiosamente le ali per innalzarsi nell'aria
immobile,
portando con sé il suo determinato cavaliere.
-Voglio
salvarli
tutti!-
.
Un
ruggito
esasperato sfuggì dalle belle labbra di Siria, quando con
una pesante stoccata
affondò la lama nell'ennesimo collo umano. Intorno a lei
cadevano i fauni, i
centauri, gli animali, il sangue bagnava copioso la terra, le lame
saettavano,
le frecce scagliate dagli arcieri di Miraz sibilavano imprecazioni...
Di
scatto, si
abbassò e si voltò rapidamente, allungando il
braccio e sferrando un colpo
tremendo alle gambe del soldato che la stava attaccando alle spalle.
Balzò in
piedi l'istante più tardi, roteando su sé stessa
con grazia letale, una fiamma
indistinta che danzava, sensuale, portando con sé la morte.
-AAAH!-
il grido di
dolore le sfuggì senza che potesse fermarlo, quando una
freccia trapassò da
parte a parte il suo ginocchio.
Crollò
a terra,
sbattendo la schiena, il fiato mozzato dalla violenta botta. Per un
istante
credette di sognare, quando vide un grifone calare dal cielo, afferrare
il
guerriero più vicino a lei e affondare gli artigli nella sua
gola…
Tentò
di rimettersi
in piedi, combattendo contro un altro soldato nonostante fosse in
ginocchio.
Parò un attacco da destra, ma l'avversario
approfittò della sua debolezza,
roteando nell'aria la spada e attaccando il suo fianco scoperto.
Il
dolore fu
lancinante.
Siria
crollò di
nuovo a terra, riversa su un fianco, il sapore del terriccio sulle
labbra che
si mischiava a quello metallico del sangue, che colava dalla sua bocca,
violentemente morsa per il dolore assurdo. Era indifesa, il soldato
l'avrebbe
sicuramente finita…pregò che facesse in fretta,
perché la terra bruciava le sue
ferite come una lama infuocata.
Pregò
perché
finisse alla svelta, e liberasse Narnia dal pericolo della sua
esistenza.
I
suoi occhi,
appannati da lacrime di dolore, si alzarono. Videro il grifone, privo
di
cavaliere, afferrare la catena che sollevava la cancellata e spezzarla,
prima
di cominciare a tirarla furiosamente. Vide i più vicini
Narniani accorgersi
della via di fuga, cominciare a fuggire…furbi,
loro…
Ma
ecco qualcuno di
completamente pazzo.
Re
Peter aveva
spronato il cavallo, costringendolo ad impennarsi e a nitrire
furiosamente. Lo
vide sguainare la spada, urlare qualcosa, prima che, con un violento
colpo di
talloni, partisse alla carica.
Dietro
di lui, con
un sorrisone da orecchio a orecchio ed il suo immenso spadone in mano,
avanzava
un Caleb chiaramente esilarato dall'adrenalina della situazione, che
menava
fendenti massacranti a destra e sinistra senza grazia, sfruttando
soltanto la
forza bruta. E divertendosi come un pazzo.
Dalle
sue spalle,
silenziose in confronto al caos tremendo della battaglia furibonda,
frecce
dalle piume di smeraldo e di rubino sfrecciavano verso gli arcieri
telmarini,
atterrandoli uno ad uno, inesorabili. Riuscì a distinguere
la zazzera
scompigliata di Talia accanto a Susan, la sua espressione decisa e
scanzonata,
mentre lentamente avanzavano, passo per passo, scagliando una freccia
ad ogni
movimento.
Ed
ecco là
innaturali luci ben conosciute che affondavano nelle acque del fossato,
improvvisamente molto più scintillanti, molto più
limpide. Con un moto di gioia
e di speranza assolutamente inaspettate, riconobbe una figura eterea,
dagli
occhi chiusi e l’espressione concentrata, in piedi in mezzo
alle acque che si
innalzavano in mulinelli immensi, che catturavano i soldati, che li
affogavano
dentro sé stessi…
Shay,
le suggerì la sua mente confusa.
Ma…dov’era
suo
fratello? Dov’era Aaron? E Caspian? Dove…
Siria
riportò i
suoi occhi confusi sul soldato che l'aveva attaccata, stupita
dall'esitazione…avrebbe
già dovuto colpirla…
Ma
le sue iridi
chiare incontrarono una figura alta, slanciata, due spalle larghe e
forti
contratte per lo sforzo, una lama saettante che sfrecciava verso il
petto del
suo aggressore.
Sentì
un immenso
sollievo invaderla improvvisamente, quando riconobbe anche di spalle la
figura
inconfondibile di Caspian.
Era
tornato
indietro…era tornato per lei, quello stupido, adorabile
idiota…
-Cas...pian...-
mormorò, tossendo, portando istintivamente una mano a
coprire la bocca. Vi
lanciò un'occhiata sorpresa, e vide la sua pelle d'avorio
macchiata di sangue.
Provò
a rialzarsi,
la vista sempre più appannata, ma il suo corpo non
rispondeva più ai suoi
comandi.
Vedeva
chiaramente
soltanto Caspian, che combatteva furiosamente per proteggerla fianco a
fianco
con un uomo dai capelli rossi – Aaron!
–, mentre il grifone calava dal cielo, artigliando a sua
volta i soldati che
attaccavano in massa. Vide il principe balzare in groppa alla magnifica
bestia,
la spada sguainata, il volto lucido di sangue e di sudore, i lunghi
capelli
scuri arruffati dal vento che le immense ali della creatura innalzavano.
-Siria!-
La
stava chiamando…udiva
la paura, la paura per lei, nella sua voce, ma non
riusciva più a
muoversi, era stanca, maledettamente stanca…
Ma
non poteva, non
poteva rinunciare adesso. Per Aaron, per Talia, per Shay.
Per
Caspian…non
poteva mollare adesso, non poteva cedere al dolore.
Con
un ultimo gesto
disperato, afferrò la mano che Caspian tendeva verso di lei,
l'ultima ancora
per strapparla a morte certa.
-Vai!-
lo sentì
gridare, distintamente, quando la trasse in groppa al grifone,
stringendola al
petto ed afferrando la spada di lei con l'altra mano. Sferrò
un fendente
micidiale contro un soldato troppo vicino, proteggendo le ali del
grifone,
prima che la creatura li trascinasse entrambi su, sempre più
su, lontani dal
mastio del castello, lontani dalle pericolose frecce degli arcieri. I
Narniani
ancora vivi erano riusciti a fuggire, ed ora anche loro stavano
fuggendo,
miracolosamente scampati da una morte quasi certa.
Ma
Siria…Siria era
lontano, da tutto questo.
L'ultimo
suo
pensiero, nella sua mente annebbiata dal dolore, fu quello di trovarsi
lì, al
sicuro, fra le braccia di Caspian.
Peter
quasi non
riusciva a crederci, mentre ordinava ai suoi soldati di allontanarsi,
di
abbandonare quel castello e di lasciarsi alle spalle i nemici uccisi, i
nemici
distrutti dalla seconda furia che si era abbattuta su di loro.
Avevano
vinto.
O,
perlomeno, non
si erano lasciati trucidare.
Molti
soldati
telmarini non avrebbero più combattuto per Miraz, da quella
notte. Molti,
tantissimi, avevano affrontato la forza di Narnia, e non erano riusciti
a
impedirle di travolgerli, di ucciderli.
Anche
tanti
Narniani, però, non sarebbero più tornati a casa.
Tanti,
ma
sicuramente molti meno di quanto, senza l’idea
dell’elfa e di Caspian,
sarebbero stati se il cancello non fosse stato di nuovo sollevato.
Li
guardò fuggire,
il cavallo fermo dall’altra parte del ponte levatoio,
guardò le sue truppe
sparire nel folto dedalo di vie ancora addormentate, diretti verso la
foresta.
Ma
non tutti,
ancora, si erano arresi.
Peter
si voltò di
scatto, quando udì un ruggito umano troppo lontano dal luogo
di battaglia
principale, un ruggito di odio, della disperazione dei vinti.
Là,
sull’orlo del
fossato, vicino a Shaylee, un uomo brandiva una spada, e le si stava
velocemente avvicinando. La Naiade era concentrata sulla magia che
stava
creando, non lo aveva visto, non…
.
Un
flash improvviso, un balzo indietro di settimane.
Un
soldato che brandiva una spada contro di lei.
Un
soldato che voleva ucciderla, che voleva farle del
male.
Un
soldato, che non era riuscito a fermare.
.
Quella
volta,
Shaylee si era salvata soltanto grazie alla sua magia. Si era salvata
perché
era concentrata, perché era attenta, mentre
adesso…
Qualcosa
sembrò
bruciare, nel suo petto, quando si rese conto che la Naiade non avrebbe
potuto
fare nulla.
-NO!-con un ruggito,
affondò la spada
nell’ennesimo nemico e sferrò un violento colpo di
talloni nei fianchi del
cavallo, spronandolo brutalmente.
Shaylee!
Vide
la spada
calare verso di lei…vide la lama rilucere della magia della
Naiade, vide gli
occhi dorati di lei aprirsi improvvisamente, allarmati e
spaventati…
-NO!-
gridò di
nuovo, sferrando l’ennesimo colpo al cavallo. Quello
s’impennò sull’orlo del
ponte levatoio, e, lanciando un nitrito esasperato, si tuffò
nel vuoto fangoso
lasciato dalle acque del fossato.
La
spada del Re
Supremo, con una violenza mai vista, si abbatté con rabbia
inaudita sul braccio
armato dello sconosciuto assalitore di Shaylee.
La
ragazza si
spostò di scatto, perdendo la concentrazione,
l’acqua che ricadeva tutt’intorno
a loro in mille zampilli simili a pioggia, il cavallo che annaspava nel
fossato
improvvisamente pieno, i capelli biondi di Peter completamente
bagnati…
Per
un istante, la
vista della Naiade fu offuscata dall’acqua, scurita dal
fango, in cui
incespicando era ricaduta all’indietro. Ma subito
l’Elemento la riconobbe come
amica, sciolse la stretta mortale in cui avrebbe avvinghiato un essere
umano,
la sostenne, accarezzò la sua veste lacera…veste
lacera?
Sorpresa
ed
allarmata, Shay riemerse dalle acque, la testa che infrangeva il
tumultuoso
profilo delle acque che tornavano prepotentemente nei loro argini
artificiali.
La
sua veste da
battaglia, sul fianco, era lacerata. Abbassò lo sguardo,
sorpresa, impallidendo
improvvisamente quando vide che il bianco della tunica era mutato in
rosso
vivo…
-Shaylee!-
la voce
atterrita di Peter la raggiunse, facendola sobbalzare. Sembrava
terrorizzato,
lo sentiva metà correre metà nuotare per
raggiungerla, sentiva l’acqua
infrangersi sui suoi abiti, nonostante quella ferita non fosse
così grave come
sembrava il Re pareva davvero terrorizzato, davvero in pena per
lei…
Come
se fosse
possibile, pensò amaramente, senza però riuscire
a distogliere gli occhi dalla
ferita sanguinante, eppure superficiale, sulla sua pelle eburnea.
Shay,
perdiana! Fingi di esserti fatta male davvero, e
poi vediamo cosa succede!
La
Naiade sobbalzò,
quando la voce prepotente di Siria risuonò nella sua mente.
Quello era il
consiglio che le aveva dato poche ore prima, dopo aver notato gli
sguardi del
biondo verso di lei, quegli sguardi di cui Shay non si era mai
accorta…e Siria,
almeno sugli uomini, raramente sbagliava giudizio…
Sospirò
appena,
prima di lasciare che le sue ginocchia cedessero.
Nello
stesso
istante, avvertì Peter arrivare accanto a lei. Ebbe un
attimo di confusione,
prima che gli occhi celesti del ragazzo entrassero nel suo campo visivo.
Erano
ansiosi…terribilmente ansiosi, come se fosse lui stesso in
pericolo, od una
persona che…che amava…
-Shaylee,
stai…stai
bene?- ansimò, senza fiato per la corsa in mezzo
all’acqua. Solo in quel
momento Shay si accorse dei capelli bagnati che ricadevano su quegli
occhi
azzurri, del colore del mare di Narnia, del petto vestito soltanto
della tunica
bagnata, che delineava perfettamente ogni curva marcata del suo fisico
statuario…arrossì violentemente, quando la mano
calda e lievemente ruvida del
Re Supremo si posò sulla sua guancia, cercando con lo
sguardo i suoi occhi
dorati. -Shaylee…?- la chiamò ancora,
l’ansia nella voce e negli occhi.
-Sto…sto
bene, io…-
balbettò, prima di abbassare lo sguardo sul proprio fianco,
dove sgorgava il
sangue. Non faceva nemmeno tanto male, ma, se voleva davvero seguire il
consiglio di Siria, doveva esagerare un po’.
“Ma
guarda te…ora
seguo i consigli di quella pazza…” si
ritrovò a pensare, ironica.
Quella
pazza ha ragione! Guardalo in faccia, ingenua
d’una Naiade! Sta per venirgli un colpo, come minimo!
Shaylee
alzò lo
sguardo, sorpresa. E, effettivamente, l’espressione di Peter
era alquanto
ansiosa…
.
Perché,
quel calore improvviso in mezzo al petto?
Perché,
quel rossore sulle guance, quel battito
forsennato nella cassa toracica?
Perché,
continuarsi a ripetere che lui era Re Peter,
che doveva odiarlo, non sembrava servire più a niente?
.
-Fammi
vedere.-
così dicendo, il biondo posò una mano sul suo
fianco esposto, appena sotto la
ferita, sfiorando la sua pelle morbida e chiara.
Nello
stesso
istante in cui la toccò, la ninfa sobbalzò di
scatto, il sangue che affluiva
ancor più violentemente al suo viso.
-Oh,
io…perdonami.-
Peter allontanò repentinamente la mano da lei, credendo di
averle fatto del
male toccando la ferita.
-Sto…sto
bene,
credo.- mormorò, gli occhi bassi, il respiro molto
più veloce del normale.
Perché
lei, in quel
momento, non era normale.
Non
era normale,
che il suo cuore martellasse così forte il suo petto,
tentando di farsi sentire
da lui. Non era dannatamente normale che soltanto essere sfiorata, da
quelle
dita, avesse provocato un brivido tanto violento quanto piacevole,
dentro di
lei.
Non
era normale.
Oh,
se non lo era.
-Vieni.-
la
interruppe lui, bruscamente, e prima che la ninfa potesse fare o dire
qualsiasi
altra cosa già le aveva fatto passare un braccio sotto le
ginocchia, l’altro
sulla schiena e l’aveva presa fra le braccia, sollevandola ed
accogliendola sul
suo petto muscoloso.
Shaylee,
a quel
contatto inaspettato, avvertì il cuore accelerare
bruscamente.
Il
corpo di Peter
era caldo, nonostante fosse fradicio. Caldo e rassicurante, la
stringeva a sé
con forza, l’espressione dura e decisa, i capelli biondi che
ricadevano in
ciocche sottili sul suo volto, le spalle contratte per lo sforzo e la
stanchezza.
-Non
c’è bisogno,
davvero potete mettermi…- provò a protestare,
quando raggiunsero la riva. Ma
Peter la depose con dolcezza sul bagnasciuga, il volto ad una manciata
di
centimetri dal suo, un lieve sorriso sulle labbra carnose e gli occhi
azzurri
divertiti fissi nei suoi.
-Shaylee…dammi
del
“tu”, d’accordo?- mormorò,
sorridendole quando vide le sue guance accendersi di
nuovo di quel rossore assolutamente adorabile.
Ahahahahahahahahahahahah!
“Perché
non taci,
stupida vocina di Siria!?”
Perché
mi diverto! Ahahahahah ma che razza di Re idiota
ci ritroviamo!
“Senti,
datti
fuoco. Sinceramente. Non dovresti essere moribonda?”
Ho
abbastanza forze per romperti le scatole, cara.
-Io…d’accordo,
se
vuoi…- balbettò la ninfa, avvampando ancor di
più quando
si accorse della mano di lui, appoggiata sulla sua
spalla.
-Certo
che voglio.
E ora, fammi vedere quella ferita.- Peter abbassò lo
sguardo, non riuscendo ad
ignorare il profilo morbido e sinuoso del fianco esposto della Naiade,
la pelle
morbida e vellutata ideale per essere accarezzata…morbida e
calda, come quando
l’aveva sfiorata appena…
-Ma
non è nulla,
davvero, io…- Shay tentò di scostarsi,
imbarazzata.
-PETER!-
la voce di
Edmund fece trasalire entrambi. Il biondo alzò lo sguardo,
improvvisamente
attento, duro e concentrato come il Re che era.
-Ed,
tutto bene?-
gridò in risposta, quando il fratello apparve sul ponte
levatoio, a cavallo dell'animale di Caspian. I loro guerrieri stavano
scappando…in tanti, tantissimi.
L’idea di Caspian era riuscita a salvarli tutti…e
a
proposito del principe,
ecco il grifone sfrecciare nell’aria, una macchia rossa e
viva
che ricadeva
sulle sue ali, spiccando nella notte.
-Sì,
ma andiamo! Ci
stanno inseguendo!- sbottò l’altro, agitato,
lanciando un’occhiata ansiosa ai
soldati che stavano uscendo a frotte dalla cancellata rimasta aperta.
Peter
annuì e gli
rivolse un cenno, invitandolo a precederli. Corse a prendere il suo
cavallo,
rimasto sulla riva dopo il bagno improvviso, e tornò in
fretta da Shaylee,
rimasta dov’era, in procinto di una crisi cardiaca.
Il
biondo montò a
cavallo, prima di rivolgersi a lei, tendendole una mano, esitante.
-Shaylee…so
che non
mi apprezzi, ed hai tutte le ragioni di essere diffidente verso di me,
ma…- la
ragazza non lo lasciò nemmeno finire: afferrò la
sua mano tesa e montò a
cavallo dietro di lui, senza lasciarsi nemmeno il tempo di pensare.
Peter
sorrise
appena, quando avvertì il suo corpo tonico e snello premere
sulla sua schiena
poderosa, il volto dolce posarsi sulla sua spalla, le braccia esili
della ninfa
avvolgersi intorno ai suoi fianchi.
-Forza
bello, un
ultimo sforzo.- mormorò al cavallo, spronandolo per
l’ennesima volta in
direzione della foresta.
.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
Sì, sono cattiva, vi lascio con il
destino di Siria in sospeso *mweheheheheheheh*
No,
va beh, la gente che mi legge da un pochetto di tempo sa che io sono
una fan sfegatata dei "cliff-hanger", ossia di questo preciso metodo:
lasciare in sospeso l'azione, fino al capitolo successivo.
Allora,
vediamo un pò: stavolta non ho molto da dire, ho da
sottolineare
solo un paio di cose. La prima, su Siria. Cosa fa lei, quando non ha
più nulla da perdere? Non si consuma, non si butta via, ma
segue
quella sete di giustizia che il principino ha scoperto dentro di lei.
E' una cosa importante, che più avanti mi servirà
per
spiegare la fine che farà Siria, al termine di questa
storia.
Un'altra cosa che devo segnalare, è l'idiozia dilagante del
Re
Supremo: ma io dico, è pirla? Insomma...niente da fare, non
riuscirò mai a portargli il rispetto dovuto xD
sì, i combattimenti mi
vengono dal profondo, forse perché fin da piccola ho provato
una passione per questo genere di cose che poi è sfociata in
anni e anni di addestramento ^^" Siria non è soltanto la
personificazione del fuoco; quello che ho lasciato intendere di lei
è soltanto una minima parte di ciò che nasconde:
sono due cose distinte, una è il "demone" di cui hai parlato
tu, mentre l'altra è la sua vera natura - non
necessariamente cattiva, anzi :)
Peter c'è rimasto male, male male quando s'è reso
conto che lei l'ha salvato xDDD concordo, le baruffe con Siria e le
pene d'amore con Shaylee penso proprio che gli serviranno
*mweheheheheeh*
Grazie mille per i complimenti, fanno sempre un immenso piacere :) un
abbraccio e un bacione a tutta la famiglia <3
Sì, so che quella
descrizione t'è piaciuta parecchio xD questo non mi pare di
avertelo mandato tutto, sbaglio? Almeno il pezzo finale...ma boh, te
leggi tutto in anteprima, ormai xDDDD
Una piiiiiiiccola recensione? Fa sempre
piacere a questa povera donnina!!!!
Il
grifone atterrò con violenza di fronte al palazzo, di fronte ad una
Lucy ormai da ore appollaiata sul muretto eroso di fronte alla
fortezza.
Caspian
balzò a terra, il corpo privo di sensi di Siria stretto fra le
braccia, l'armatura leggera macchiata di sangue, del sangue di lei.
Poco indietro, sul sentiero, una lunga colonna di persone, animali,
guerrieri feriti ma trionfanti, seguiva un cavallo, dove riusciva a
distinguere suo fratello più grande e Shaylee. Gli altri due
fratelli, montavano poco dietro uno splendido stallone nero,
scalpitante.
Talia
e Caleb erano più indietro; il biondo pareva ferito gravemente,
perché sembrava quasi privo di sensi, aggrappato pesantemente alle
spalle del malconcio, ma fondamentalmente sano fratello di…
-Oh,
mioddio…- mormorò, esterrefatta, quando riconobbe i lunghi capelli
rossi, macchiati di sangue, appartenenti alla ragazza esangue fra le
braccia di Caspian.
-Ti
prego…- mormorò il moro, disperato, crollando in ginocchio. La
ragazzina riuscì a distinguere il volto di Siria, posato sulla
spalla del principe, le labbra carnose macchiate di sangue, gli occhi
stretti e l’espressione sofferente. Caspian sapeva, Cornelius gli
aveva parlato di lei, della pozione che la Regina più giovane
portava sempre con sé…
Senza
esitare, prese l’ampolla di pozione dalla sua custodia e si
avvicinò a lei, versandone una goccia soltanto, più che sufficiente
per curarla…se, ovviamente, non fosse stato troppo tardi.
Il
silenzio calò improvvisamente, quando Siria, abbandonata fra le
braccia di Caspian, i lunghi capelli rossi sparsi sul corpo d’avorio,
lacero, la veste strappata, non diede segno di muoversi.
Lucy
vide l’espressione del ragazzo spezzarsi, letteralmente. I suoi
occhi neri si chiusero, sofferenti, e una mano s'immerse fra i
capelli scompigliati della ragazza, stringendola a sé, le labbra
premute sulla sua fronte.
La
ragazzina avvertì gli occhi pizzicare dolorosamente, a
quell’immagine bella quanto straziante. Si era già accorta, dalla
veemenza con cui Siria aveva affrontato Peter pur di salvarlo, di
quanto quei due fossero legati…ma adesso, il dilaniante senso di
colpa tornò ad oscurare i suoi dolci occhi chiari, quando si rese
conto di non essere riuscita ad aiutarla in tempo.
.
Talia
alzò lo sguardo, gli occhi appannati dalla stanchezza e dall’ansia.
Caleb era ferito, e se Lucy non lo avesse aiutato subito…quello
stupido idiota…
Non
aveva mai provato nulla di simile.
Sentiva
il cuore che minacciava di spegnersi, di smettere di pulsare
ostinato…le sembrava che fosse direttamente collegato alla vita di
Caleb: se lui fosse morto, il suo cuore e la sua anima lo avrebbero
seguito.
Ma
no, no, no…Caleb non poteva morire, non poteva lasciare Tara…non
poteva lasciare lei, che si era sempre negata il sentimento ogni
giorno più forte verso di lui, che non aveva mai preso il coraggio a
due mani per dirgli tutto quanto…per dirgli che fin dal primo
momento lei lo aveva amato, da subito, da quel primo incontro di
sguardi, da quel primo sorriso scanzonato, da quel primo scambio di
battute…
Non
poteva morire. Non poteva.
Alzò
lo sguardo, pronta a rivolgersi verso la bambina, a pregarla,
addirittura scongiurarla purché lo aiutasse…
Ma
ciò che vide, per quanto non lo credesse possibile, riuscì anche a
farla sentire peggio.
-Sir…-
mormorò, gli occhi che si spalancavano, improvvisamente
terrorizzati.
Siria…
Siria
era là, fra le braccia del suo principino. Abbandonata con grazia
sul selciato incolto, i lunghissimi capelli che seguivano le linee
del suo volto, del suo corpo, del ventre. Immobile, gli occhi chiusi,
immobile come non l’aveva mai vista…
Aaron
udì il suo sussurro atterrito, la vide bloccarsi, ignorando le
creature che lo superavano, che intralciava.
E
alzò lo sguardo.
-…SIRIA!-
.
Siria.
Siria,
non arrenderti.
Maledetta
strega che non sei altro, non arrenderti!
Perché?
Io
voglio soltanto morire.
Li
senti? Li senti Talia e Aaron? Vuoi davvero fargli del male? Sono i
tuoi fratelli, perdiana!
Lo
senti Caspian? Dimmi Siria, dimmelo! Lo so che lo senti!
No…non
voglio sentirlo, non voglio sopravvivere.
.
-Siria…ti
scongiuro, ti prego, non andartene…-
.
Non
puoi lasciarlo, non puoi abbandonarlo! Cazzo Siria! Vuoi davvero
portargli via la donna che ama? Vuoi davvero fargli del male così, a
lui?
Starà
meglio senza di me. Sono soltanto un pericolo…
SIRIA,
SVEGLIATI!
.
.
-Cas…-
Violentemente,
l’aria tornò a pompare nei polmoni, il sangue irruppe nelle vene,
la schiena ebbe un sussulto violento ed involontario.
Siria
spalancò gli occhi, completamente, un dolore lancinante che
s’irradiava in tutto il corpo lacerato; il sangue riprese a
scorrere ostinato dentro di lei, e il suo cuore…
Il
suo cuore accelerò ancor più bruscamente, quando riconobbe le
braccia fra cui si trovava, il petto caldo contro cui era abbandonata
la sua schiena, la voce dall’accento ispanico che le riempiva
beatamente la testa, escludendo persino il dolore infernale delle
ferite.
-Caspian…-
sussurrò, chiudendo di nuovo gli occhi per scongiurare la violenta
vertigine che la costrinse ad aggrapparsi alla spalla di lui, le sue
braccia sicure strette intorno al ventre, il sorriso che poteva
avvertire fra i capelli.
-Sono
qui.- le rispose, sollevato, stringendola appena di più a sé.
-SIRIA!-
il principe alzò lo sguardo per lei, perché la ragazza sembrava sul
punto di crollare di nuovo nel sonno, esausta. C’era suo fratello,
Aaron, che le stava correndo incontro, mentre Caleb dietro di lui,
grazie alla pozione di Lucy, riapriva gli occhi e ritrovava dinanzi a
sé gli occhi nocciola di Talia.
-Sta
bene.- mormorò Caspian, sentendo improvvisamente la tensione
sciogliersi nel suo petto, in ognuno dei suoi muscoli.
Aaron
crollò in ginocchio accanto a loro, esausto, privo di forze, il
volto sporco e sudato, gli occhi fissi con sollievo sul volto della
ragazza.
-Sir...-
mormorò, e lei agitò debolmente una mano in risposta, il volto
sempre affondato nel collo di Caspian. Non sembrava volersi spostare
tanto presto da lì, notò, sorridendo suo malgrado quando vide la
ferma dolcezza con cui il principe la stringeva a sé.
Alzò
gli occhi sul moro, che teneva gli occhi socchiusi, concentrandosi
soltanto sulla rossa.
-Grazie.-
mormorò, sentendo il peso della tensione e della paura scaricarsi
improvvisamente sui suoi poveri nervi già logori.
.
Svegliati.
Talia
seguì con terrore quell’unica goccia scarlatta, scivolare sulle
labbra carnose di Caleb, fino ad insinuarvisi, fino a sparire in
quella bocca socchiusa, dal respiro rantolante.
Svegliati.
Doveva,
doveva
svegliarsi.
Trattenne
il respiro, il cuore che martellava dolorosamente il suo petto, che
rimbombava in un silenzio assordante nelle sue orecchie. Caleb non si
muoveva, Caleb continuava a rantolare, il respiro sempre più
flebile, sempre più spezzato.
Doveva
svegliarsi.
Doveva,
perché lei doveva dirgli una cosa importante.
Doveva,
perché lei era stanca di nascondergli, di nascondersi,
quello che provava.
Doveva,
perché non gli aveva ancora detto di amarlo.
-Caleb.-
nemmeno si accorse di aver parlato. Il suo volto affilato, sottile,
era vicino alla guancia macchiata di sangue del biondo, quel biondo
immobile, quel biondo il cui respiro rallentava sempre di più,
riducendosi ad un sussurro.
-Cal.-
un gemito, un singulto di rabbia, di dolore. Ignorò il sangue,
lasciando scorrere le dita sul viso un poco ruvido del ragazzo,
accoccolandosi accanto a lui.
-Caleb,
svegliati.- sussurrò, i corti capelli, sciolti dalla coda alta in
cui li teneva sempre stretti, che ricadevano a velarle il viso sporco
di terra e di sangue.
Il
respiro del biondo era sempre più flebile, sempre più sottile. E
non apriva gli occhi, non si svegliava, il sangue continuava a
zampillare dalla ferita che gli squarciava il petto.
-Caleb!-
e quello di Talia non fu più un sussurro strozzato, non fu più un
gemito. La sua voce si alzò di tre ottave, e gli occhi si serrarono
con violenza, una lacrima sottile, una soltanto, che le rigava la
guancia abbronzata.
Non
poteva, non poteva, non poteva morire.
Caleb…
Caleb,
no, non poteva morire. Si rifiutava di accettarlo, si rifiutava di
rendersene conto, si rifiutava anche solo di pensarlo.
Caleb
sarebbe sopravvissuto.
Sarebbe
sopravvissuto perché lei lo amava, perché Tara aveva bisogno di
lui, sarebbe sopravvissuto perché era forte, perché era lui,
perché non poteva morire…
No.
Non
si svegliava.
Non
si sarebbe più svegliato…
-Caleb,
prova a morire e giuro che ti verrò a cercare all’inferno, ti
riporterò in vita e ti ucciderò con le mie mani!-
Talia
serrò i pugni, le lacrime che rigavano le guance sottili, gli occhi
serrati ed il cuore che urlava il suo dolore, disperato.
Le
sembrava di sentire qualcosa lacerarsi, in quel cuore, sotto il
corpetto di pelle scura.
Qualcosa
che si spezzava, che si frantumava in un milione di schegge acuminate
– schegge che la trafiggevano, la ferivano in ogni millimetro di
pelle, la uccidevano.
Sentì
le spalle crollare, mentre l’autocontrollo, la sua incredibile
forza, crollavano sotto il peso di quel dolore totalmente
inaspettato. Abbassò il viso, le lacrime che scorrevano
violentemente sulla sua pelle, bagnandole le labbra, il collo, la
gola.
Sentì
le spalle crollare, e le sentì scosse da quei singhiozzi terribili
che parevano convulsioni, convulsioni di un cuore spezzato, di un
cuore che urlava tutto quel dolore, quella rabbia.
-Sarebbe
interessante…magari un giorno…potrei provare.-
In
quell’istante, Talia credette davvero di aver sognato. Di aver
immaginato quelle parole stanche, divertite ma esauste, quella voce
scanzonata che tanto conosceva, che tanto amava.
Ci
credette, per quell’attimo di silenzio che seguì le sue
parole, finché una mano caldissima, forte, ruvida, non si posò
sulla sua guancia bagnata di lacrime.
Uno,
due, tre. I secondi che le servirono per capire, per comprendere.
Uno,
due, tre. I secondi durante i quali il suo cuore smise di battere,
per poi accelerare bruscamente, veloce come non aveva mai fatto.
Uno,
due, tre.
E
Talia spalancò gli occhi, le manine minute che salivano a bloccare
quella grande e forte di Caleb sulla guancia, incredula, stupefatta,
allibita…felice.
-Caleb…-
riuscì soltanto a mormorare, la testa del biondo in grembo, gli
occhioni celesti che la guardavano luminosi, allegri, esausti ma –
vivi,
dannazione. Vivi.
-Noo,
qualcun altro.- fu la risposta divertita, esausta ma immancabilmente
allegra, del ragazzo, le dita che con una dolcezza insospettata
cancellavano le lacrime dalla sua guancia, beandosi di quella
morbidezza che tanto aveva agognato.
Quant’era
bella in quell’istante, Talia.
Gli
occhi scuri lucidi, gonfi, rossi di pianto; le guance accese di
rabbia e di dolore, le lacrime che le rigavano il viso macchiato di
terra, i capelli neri tutti arruffati intorno al visetto affilato.
Era
bella, Talia.
Non
lo era mai stata così tanto.
-Vaffanculo!-
sbottò repentinamente lei, tirando su col naso con violenza,
scuotendo appena la testa per riprendersi. -Mi hai fatta piangere,
pezzo di coglione!- aggiunse, nervosamente, passandosi una mano sul
viso per tentare di fermare le lacrime che ancora sgorgavano copiose
dai suoi occhi, mentre il cuore batteva con forza nel suo petto,
accendendole le guance di rosso. -Sei un coglione, sei una testa di
cazzo, io non so perché mi sto anche a…-
Le
parole morirono sulle sue labbra, quando qualcosa di caldo e soffice
le racchiuse in un bacio.
Un
bacio.
Talia
sgranò gli occhi, quando sentì quella bocca calda, morbida,
carnosa, premere sulla sua.
Caleb.
Avvertì
la nuca formicolare, quando le dita del biondo scivolarono fra i suoi
capelli arruffati, con dolcezza.
Bacio.
La
stava…la stava baciando. L’aveva baciata, l’aveva zittita –
dopo anni, che ci provava, aveva trovato un modo per farle
dimenticare persino il motivo di tanta rabbia…
Ed
era bella, quella sensazione.
Era
bello, sentire il cuore palpitare in gola, lo stomaco aggrovigliato,
le orecchie piene soltanto di quelle pulsazioni scalpitanti. Era
bello, il respiro mozzato da quella bocca, le palpebre che con
lentezza si abbassavano, la mente che si abbandonava in quell’oceano
di sensazioni.
Il
tocco delle sue mani, le sue labbra, la sua bocca. Il calore che il
suo corpo ed il suo viso emanavano, il sapore forte e deciso di quel
bacio, un sapore appena intuito, la pelle che andava a fuoco.
Lui,
che si era alzato sui gomiti, per baciarla.
Lui,
che…che
ricambiava ciò che provava lei.
Perché
non era un bacio di una persona appena scampata alla morte, non era
il bacio di un disperato, non era un bacio amichevole; le dita che le
accarezzavano i capelli trasudavano amore, e il modo in cui le loro
labbra si modellavano le une sulle altre, i respiri si sfioravano, i
volti si cercavano, era tutto ciò che in cinque anni non avevano mai
avuto il coraggio di ammettere.
Né
con sé stessi, né con l’altro.
Durò
troppo poco; durò troppo poco perché entrambi ne fossero
soddisfatti, ma allo stesso tempo due cuori martellavano lo stesso
ritmo scalpitante, la stessa sorpresa e la stessa gioia riempivano
due paia di occhi così diversi, e così innamorati.
Si
separarono senza davvero volerlo, quando un gemito di dolore
costrinse Caleb a lasciar ricadere la testa sul grembo di lei, il
torace dolorante, la ferita non del tutto guarita dalla pozione di
Lucy.
E
Talia non seppe cosa dire. Per la prima volta, nella sua vita, non
trovò nulla da dire fra i suoi pensieri, per il semplice motivo che
non ricordava più nemmeno il proprio nome, dove si trovasse, cosa
stesse facendo prima di quel bacio.
L’unica
cosa che vedeva nitida, nella sua mente e nel suo cuore, erano gli
occhi caldi e pieni d’amore di Caleb.
Caleb.
-Per
la cronaca…non ho intenzione di morire. Né adesso, né in futuro,
Tallie.- il sorriso stanco, ma tremendamente felice del biondo riuscì
a scaldarle il cuore, a far comparire un’espressione dolce e
amorevole sul suo visetto rosso come non mai.
-B-Bene.-
balbettò, sfiorando appena i riccioli biondi sulla fronte del
ragazzo, scostandoli da un taglio superficiale che rovinava la pelle
chiara di Caleb. Lui chiuse gli occhi, provato, entrambi
completamente ignari del silenzio attonito che li aveva circondati,
degli occhi che li guardavano stupiti.
C’erano
soltanto loro, in quel momento.
-Non
prima di averti detto una cosa, se non altro.- mormorò Cal,
schiudendo gli occhi a fatica, le dita sempre immerse in quei soffici
capelli nerissimi che si attorcigliavano disordinati alle sue dita.
E
Talia era lì, bella come non mai, le gote rosse per l’imbarazzo e
la gioia, per la sorpresa e la felicità, un sorriso ignaro e
spontaneo sulle labbra – quelle labbra che aveva potuto sfiorare
per troppo poco tempo, che avevano inconsciamente risposto al suo
bacio, che sapevano di frutta, di fiori, di lei.
-Dopo.-
lo fermò improvvisamente, premendo due dita sottili sulla sua bocca,
zittendolo. La guardò interrogativo, senza capire, vedendo quel
sorriso allargarsi e farsi spigliato, ironico, vivo
– quel sorriso che amava da anni e anni, quel sorriso in grado di
illuminare qualsiasi cosa.
-Se
vuoi dirmi che mi ami, allora mettiti in fila.- decretò Tallie,
senza riuscire a smettere di sorridere, vedendo le iridi celesti
allargarsi per la sorpresa, per lo stupore, per la gioia.
-Ho
tutti i diritti di dirlo prima io, mi hai fatto venire un colpo,
stupido cretino! Qualcuno mi spiegherà perché mi sono innamorata di
un idiota, perché io davvero non lo capisco!- continuò, ma non ebbe
il tempo di aggiungere altro; perché Caleb, con il sorriso più
bello e immenso che gli avesse mai visto, l’aveva di nuovo tratta a
sé – le piaceva, quel modo di zittirla. Le piaceva davvero.
E
stavolta fu un bacio diverso, fu un bacio intenso,
carico, frizzante.
Fu
un bacio che spezzò il silenzio intorno a loro, riempiendolo di
respiri spezzati, di lingue che si cercavano, di labbra che si
premevano le une sulle altre e si davano la caccia, per poi
ritrovarsi.
Fu
un bacio cui si strinsero entrambi, le mani piccine e affusolate
della mezz’elfa fra quei riccioli biondi – ricci, soffici,
morbidi come panna – con cui avrebbe voluto giocare all’infinito,
per sempre.
Fu
un bacio di menta e di frutta, di fresco, di vivo, d’immenso. Fu un
bacio che sapeva di fiori selvatici, di gigli candidi, di fiordalisi,
un bacio che li strappò via da quel luogo, trascinandoli in un beato
oblio che apparteneva solamente a loro.
.
Nello
stesso istante, Siria si costrinse ad alzare nuovamente il volto
dalla spalla del suo principe, completamente colta di sorpresa dalle
emozioni che le avevano repentinamente riempito la mente.
E
quello che vide, riuscì a far disegnare un ghigno sul suo volto
stanco, nello stesso istante e modo di suo fratello.
-Io
l’avevo detto. Sono cinque anni che lo ripeto, ma io l’avevo
detto.- borbottò, divertita, quando i due si staccarono e Talia alzò
gli occhi verso di lei, palesemente imbarazzata.
Vi
farò morire. Quando starò meglio, magari, ma vi farò morire.
Talia
scosse appena la testa, divertita, cercando di scuotere via anche il
rossore che le accendeva le guance.
Chissà
perché, ma lo immaginavo.,
rispose, mentre guardava Caspian alzarsi in piedi, l’amica esausta
fra le braccia. Anche lei si alzò, sostenendo Caleb, passandosi un
braccio del biondo sulle spalle.
-Grazie.-
si rivolse a Lucy, che le sorrideva, felice.
-Di
niente.- rispose la bimba, ma si scostò di scatto quando un cavallo
le superò entrambe al galoppo, frenato bruscamente di fronte al
principe.
-Siria!-
sotto gli occhi allibiti di Lucy, Shaylee si fiondò giù dalla
bestia, scattando preoccupata in direzione della rossa ancora
accoccolata contro al petto di Caspian.
-Sto
bene.- borbottò la ragazza, senza muoversi troppo, sentendo la
ferita al fianco e il ginocchio protestare indignati.
-Questo
lo deciderò poi io. Aaron, per favore.- il rosso rivolse soltanto
un’occhiata divertita a Caspian, prima di prendere con delicatezza
la sorellastra fra le braccia, sentendola mugugnare qualcosa di molto
simile a “stavo
meglio dov’ero prima”.
-Stai
buona, Shay ti rimetterà in forma e poi potrai strapazzare il tuo
principino quanto vorrai.- le sussurrò lui, sorridendo, sentendola
fragile e spossata fra le proprie braccia.
E
Siria si limitò ad annuire, stanca, un sorriso lieve sulle labbra e
il cuore in pace, dopo troppo tempo.
Caspian
ebbe solamente un istante per poterli seguire, con gli occhi, con lo
sguardo, con il cuore.
Sorrideva,
il principe.
Sorrideva
dello stesso sorriso di Siria, sorrideva pacificato, sentendo che
qualcosa – finalmente – poteva andare bene, in tutto quel
disastro che era diventata la sua vita.
Ma
durò poco; durò troppo poco, quell'attimo di quiete, di respiro
freddo che riempiva i polmoni, di cuore che chetava il suo battito
frenetico.
Troppo
poco.
Uno
scalpitio di zoccoli alle sue spalle, una voce irridente, e la realtà
gli ripiombò bruscamente addosso, pesando sulle sue spalle come un
macigno immenso.
-Potevi
evitare tutto questo, se era solo per lei.- Caspian si voltò di
scatto, la rabbia e l'irritazione che riempivano i suoi occhi
nerissimi, irati. E là, prevedibilmente, l'espressione scocciata del
Re Supremo accolse il suo sguardo.
Il
biondo era ancora a cavallo, gli occhi celesti che seguivano
nervosamente i due rossi, fermi sulla soglia della cripta. Nessuno,
avrebbe potuto comprendere ciò che lo animava in quell'istante:
rabbia, frustrazione, impotenza...miriadi di emozioni animavano quei
pozzi celesti, cupi, tempestosi.
Aveva
lasciato che Caspian salvasse tutti.
Aveva
lasciato che Siria gli salvasse la vita.
Aveva
lasciato che il controllo gli sfuggisse dalle mani, come acqua fra le
dita...
-Non
l’ho fatto solo per lei, ho salvato tutti quanti.- replicò il
principe, nervosamente, scoccandogli un'occhiataccia.
-Non
era certo il tuo obiettivo.- il Re smontò bruscamente di sella,
lasciando che il cavallo trottasse pigramente via, brucando l'erba
alta che cresceva un po' ovunque.
-Io
almeno ho fatto qualcosa, non sono rimasto a guardare!- Caspian lo
fronteggiò senza paura, avvicinandosi con due rapide falcate al
biondo, arrivando a poco più di una spanna dal suo volto.
-Nessuno
te lo ha chiesto!- sbottò Peter, la mano che fremeva sull'elsa della
spada.
Eppure,
qualcosa dentro di lui continuava a sussurrare ha
ragione, Peter...
-Però
io li ho salvati, al contrario di te!-
e le parole di Caspian sapevano di veleno, sapevano di una verità
troppo dolorosa perché Peter potesse accettarla: era lui,
il Re, era suo
il compito, il dovere, l'onore
di proteggere quel popolo!
-Ci
hai chiamati tu!-
sbottò, sentendo le dita serrarsi autonomamente sull'elsa dorata,
sul leone effige di Aslan. Chissà cos'avrebbe pensato, Aslan, di
quelle sue urla infantili ed egocentriche...
-Il
mio primo errore.- Peter sentì l'irritazione montare a dismisura, la
rabbia che cancellava rapidamente ogni pensiero logico dalla sua
mente.
-No,
il primo è stato quello di pensare di poter guidare questa gente.-
sputò con odio, con rabbia, desiderando soltanto di ferirlo –
perché quello che diceva era vero, era maledettamente vero.
-Ti
ricordo che non sono io ad aver abbandonato Narnia!- replicò
immediatamente il moro, la voce che grondava sarcasmo.
-No,
tu l'hai
invasa!- vide gli occhi di Caspian lampeggiare d'odio, quello stesso
odio che sentiva pulsare dentro di sé: ma non gl'importava, non
gl'interessava niente di niente. Voleva solo ferirlo, per tentare
almeno un poco di lenire il suo stesso fallimento. -Tu, Miraz, tuo
padre…Narnia stava molto meglio senza di voi.-
Seppe
di aver sbagliato, nello stesso istante in cui vide le iridi del
principe riempirsi di furia.
-EHI!-
e l'urlo che seguì, un urlo di entrambi, un urlo tremendo e denso di
una rabbia tremenda, precedette solamente di un respiro il sibilo
delle spade violentemente estratte, il clangore delle lame che si
colpivano.
-BASTA!-
il grido prepotente di Talia riempì l’aria intorno a loro,
distraendoli entrambi dal sibilo violento delle spade appena
incrociate.
Ebbero
appena il tempo di distinguerla, prima che un lampo minuto, vestito
di verde cupo e dalla scompigliata zazzera nera, si frapponesse. Con
un gesto brusco, Tallie spinse via entrambe le spade, costringendoli
ad allontanarsi l’uno dall’altro, schiumanti di rabbia. -Siete
due adulti, dannazione! Piantatela di fare i bambini!- sbottò,
rivolgendosi soprattutto a Peter, che la fissava con un astio
ampiamente ricambiato.
-Ma…-
provò a protestare il Re Supremo, ma un’ombra alta e massiccia
apparve repentinamente accanto all’elfa, le braccia muscolose
incrociate sul petto ampio e gli occhi celesti che scrutavano cupi il
volto allibito del Re Supremo.
-Ehi,
biondino, sbaglio o ti ha detto di stare zitto?- commentò Caleb,
palesemente irritato dall’espressione tutt’altro che pacificata
dell’irrequieto Re Supremo.
-Io
non…- provò ancora a ribattere il biondo, ignorando il brutto
presentimento che gli suggeriva di non mettersi contro Caleb;
qualcosa, forse la stazza o l’espressione corrucciata del gigante,
gli suggeriva che non avrebbe avuto la meglio su di lui.
Ma
fu una figura più piccola, a distrarlo; una figura minuta, due
severi occhi dorati, una cascata di capelli bruni che scendevano
lungo una schiena dritta ed impettita.
Avvertì
il respiro mozzarsi, quando riconobbe sul volto di Shaylee
quell’espressione dura, fredda, severa, che tanto lo aveva
tormentato nelle ultime settimane.
Distinse
a malapena Caspian rinfoderare la propria spada, dargli bruscamente
le spalle e andarsene via, diretto probabilmente dalla sua rossa,
sparita nella cripta con il fratello. A malapena, perché i suoi
occhi erano stati catturati dal volto chiaro della Naiade, dalla
freddezza di quegli occhi dorati che aveva potuto scorgere – per
poco più di un istante – non così ostili.
-Peter,
basta.- bastarono due parole, per farlo sentire terribilmente male.
Bastarono quelle due semplici parole, quell’occhiata dura e densa
di rimprovero, per farlo sentire dannatamente in colpa.
.
Siria.
Aveva bisogno di Siria.
Aveva bisogno di
guardarla, di sentire la sua voce, di accarezzarle i capelli. Aveva
bisogno di sentire il cuore scaldarsi accanto a lei, la mente
sgombrarsi di quei pensieri tremendi che le parole del Re Supremo
avevano scatenato dentro di lui.
Aveva ragione.
Lui
aveva voluto salvare lei.
Non aveva pensato ad
altro, non aveva pensato alla guerra, non aveva pensato a Miraz:
tutto era scomparso, tutto si era fatto futile ed inutile, quando
l'aveva vista in trappola, destinata a morire.
Raggiunse in fretta la
sala più lontana, la caverna che custodiva la storia degli Antichi
Re e Regine di Narnia. Sapeva che Siria era là, aveva incrociato
Aaron qualche istante prima, proveniente da quello stesso luogo: il
rosso si era limitato a una pacca sulla spalla, segno che sapeva bene
ciò che era successo là fuori, nei confronti del biondo Re.
E infatti, eccola.
Il suo cuore perse un
battito, quando la distinse accoccolata in una nicchia appena in
disparte, appena più buia.
Aveva bisogno di lei,
ma allo stesso tempo provava vergogna, all'idea di guardarla negli
occhi.
Si era lasciato mettere
i piedi in testa da quel borioso arrogante. Si era lasciato trattare
come un ragazzino, da quello spocchioso ed egocentrico Re che non
riusciva ad ammettere di aver sbagliato...
Come avrebbe potuto
guardare la sua donna in viso, ora?
La
sua donna...Dèi,
il suo cuore palpitava solo a pensarle, quelle parole.
Siria lo scorse quasi
immediatamente: era accoccolata sul proprio mantello, gli occhi che
scrutavano pensierosi e cupi la figura, incisa nella pietra, di
Aslan. Ma si voltò subito, nell'avvertire i suoi passi, nel
riconoscere la sua presenza, gli occhi blu che lo cercavano,
accogliendolo con un'amore che Caspian sentiva di non meritare.
-Ehi.-
l’espressione di Siria, dolce come non mai, bastò a fargli capire
che la ragazza aveva udito tutto quanto del litigio avvenuto poco
prima.
Sospirò,
il principe, passandosi una mano fra i capelli e raggiungendola
immediatamente. Si sedette dietro di lei, la schiena addossata alla
parete cupa, sorridendo appena quando Siria posò la testa sulle sue
gambe, ancora stremata dalla battaglia e dalle ferite.
-Bella
figura ho fatto, vero?- mormorò, chiudendo gli occhi, vergognandosi
di sé stesso di fronte alla donna che amava, accarezzandole
lentamente i capelli sparsi sul proprio grembo. -Mi sono lasciato
insultare da un idiota vecchio di milletrecento anni. Grandissima
figura davvero.- le sue parole sfumarono in un borbottio cupo ed
incomprensibile, lo sguardo lontano, le dita perse fra i crini ramati
della sua compagna.
Avvertì
Siria sospirare appena, accorta; la ferita doveva farle parecchio
male, ai gesti più profondi.
-Peter
è un cretino, Caspian, ma da una parte lo capisco. È stato Re
Supremo per tanto tempo…non riesce ad accettare che le cose siano
cambiate, adesso, e che lui non sia più il Re.- Caspian non riuscì
a guardarla, nonostante le sue parole gli suonassero terribilmente
vere: non riusciva, per quanto stesse provando, a non ricordare che
si era reso un idiota davanti a lei.
-Nemmeno
io lo sono.- mormorò, la voce spezzata, atona. Ma vide con la coda
dell’occhio un sorriso dolce disegnarsi sul suo viso e, dopo un
istante, avvertì le ben conosciute dita candide posarsi sulla
propria guancia.
Sorrise
appena, grato, socchiudendo gli occhi a quel tocco in grado di
pacificarlo.
-Ma
tu ce l'hai nel sangue, principino.- la voce di Siria era tanto
dolce…non poteva non crederle, perché sapeva che Sir non gli
avrebbe mai indorato la pillola. Nemmeno per consolarlo.
-Solo…hai
ancora un po' di umiltà da imparare, ecco.- Caspian la guardò quasi
immediatamente, sorpreso.
-Ossia?-
le chiese, senza davvero capire a cosa si riferisse. Ma Siria
sorrise, tenera, accarezzandogli il viso e scostando i capelli dalla
sua guancia, raccogliendoli dietro l’orecchio.
-Caspian,
sei cresciuto in un mondo dove non hai mai dovuto combattere per
vivere, per sfamarti, dove ti è stato insegnato a regnare fin da
bambino.- gli spiegò, arrossendo appena quando il ragazzo voltò
appena il viso, posando un bacio leggero sul palmo della sua mano.
-Hai soltanto bisogno di imparare qualcosa sulla tua gente, e su come
dimostrare umiltà e pazienza. Sono due fra le doti più importanti
di un re.-
Lo
vide sorridere, finalmente con sincerità, alle sue parole: e sorrise
anche lei, serena, felice in cuor suo di essere riuscita – con così
poco, in effetti – a rasserenarlo.
-Non
ti sapevo così saggia, sai?- le disse, lasciandosi sfuggire una
mezza risata, la tensione che si scioglieva. Le accarezzò il volto
candido, percorrendo con tenerezza ogni lineamento: la fronte, le
palpebre che si chiudevano docili al suo tocco, il nasino perfetto,
le labbra. Indugiò appena, su quelle labbra, sentendo qualcosa nel
suo ventre aggrovigliarsi, mentre il ricordo del loro sapore riempiva
per un istante la sua mente.
-Ho
tante qualità, ricciolino. Almeno la metà dei difetti.- ridacchiò
lei, avvampando nel sentire quelle dita affusolate sfiorarle la
bocca, facendo leva sui gomiti per alzarsi a sedere, ignorando la
fitta, prevedibile, al fianco.
Ma
Caspian si accorse immediatamente dello sforzo, del dolore che quel
gesto tanto semplice le aveva causato: la cinse immediatamente in un
abbraccio delicato, eppure saldo al contempo, lasciando che si
abbandonasse già senza forze contro il proprio petto.
La
sentì sospirare, trattenendo un gemito di dolore, intrecciando le
dita alle sue e stringendo forte, troppo forte; avrebbe voluto
evitare di farlo preoccupare, di lasciare che vedesse quanto quella
ferita la stesse tormentando, ma non aveva potuto evitarlo.
Il
dolore era riuscito a sconfiggerla, ed ora non poteva fare altro che
mordersi convulsamente le labbra – sperando, ardentemente, che
passasse in fretta.
-Non
farlo mai più.- la voce di Caspian le giunse improvvisa, dopo un
lungo silenzio.
-Che
cosa?- gli chiese, alzando gli occhi appannati di dolore su di lui,
sentendo i muscoli rilassarsi pian piano e il dolore scemare.
Il
principe le accarezzò una guancia, dolcemente, posando con
delicatezza le labbra sulla sua tempia e inspirando il profumo dei
suoi capelli; bastò solamente quello per tranquillizzare entrambi,
ambedue terribilmente bisognosi di quel contatto, di quella
vicinanza.
-Rischiare
la vita così. Ti prego, Sir.-
Avevano
quasi rischiato di perdersi, in quel castello. Il terrore che aveva
attanagliato i loro cuori era stato troppo grande, la paura troppo
dolorosa: ora, avevano solamente bisogno di restarsene lì, stretti
l’uno all’altra, senza pensare più a niente.
-Hai
avuto paura per me, Caspian?- mormorò la rossa, la voce delicata,
bassa, quasi come le fusa di un gattino.
Sorrise,
Caspian.
Sorrise,
lasciando scivolare le dita sotto il volto di lei, intrappolandole il
mento fra due dita e sollevandole il viso, portandolo a pochi
millimetri dal proprio.
-Sì.
Una paura folle.- annuì, le labbra di Siria ad un soffio dalle
proprie, gli occhi blu vividi e lucidi riflessi nei propri. -Di
perderti.-
Sorrise,
la raminga, posando con dolcezza le lunghe dita candide sulla guancia
del ragazzo, sfiorando con amore la pelle soffice del suo principe.
-Tranquillo,
non ho intenzione di smettere tanto presto di romperti le scatole.-
mormorò, con dolcezza, sfiorando lieve le labbra di lui.
E
fu Caspian ad approfondire quel contatto, immergendo le dita in quel
mare scarlatto ed affogando nel sapore tanto intenso delle sue
labbra, una lieve frase che scivolava delicata dalla sua voce.
-Quanto
vuoi, Sir. Chiedo soltanto questo.-
.
.
.
.
.
My
Space:
uff, ce l'ho fatta xD le recensioni son calate, eh? Ah, l'estate, l'estate...
Mmmmm, che dire di questo capitolo? Aaaaaaaaaaaaaaaaah, sìììì!
FINALMENTE TALIA E CALEB SI SONO DATI UNA MOSSA, SANTA PACE! *una ola per Tallie e Cal*
Caspian e Siria sono sempre terribilmente dolsci, sono la mia endovena di zucchero preferita *W*
Peter...aaaaah Peter, questa è solo la prima lite che ti capita, devi ancora affrontare Siria *mwhehehheeheheh*
No,
seriamente: mi è piaciuto, cercare di analizzare questa parte
presa chiaramente dal film, dal punto di vista di Peter: secondo me,
l'orgoglio del Supremo Coglione ha ricevuto una gran bella botta, in
questo caso....xD
Un'ultima cosa, la canzone: splendida, davvero splendida. E' dei miei adorati tori muschiati californiani, QUI trovate testo e traduzione. Vi consiglio di leggerle bene: è pura poesia.
Bon, è tardi, vado a nanna che ho sonno xD Buonanotte, e mi raccomando, non abbiate paura di recensire, mica mordo io xD
La
notte di Narnia ribolliva, ardeva di vendetta nei petti di coloro che
presenziavano a quel processo.
Già
una volta si erano riuniti: in quella radura dove era cominciato
tutto, adesso non era più Caspian ad essere sotto accusa,
circondato
dalle creature inferocite che abitavano i boschi, le espressioni
rabbiose grottescamente illuminate dalle torce di fuoco.
Era
Siria.
-Va
uccisa!-
-È
una cacciatrice di taglie!-
-Potrebbe
venderci tutti! Lei e i suoi compagni!- Siria, in piedi al centro di
quella baraonda, inarcò un sopracciglio: il suo sguardo
corse
istintivamente a Talia, seduta fra Aaron e Caleb a pochi metri da
lei.
Sono
molto bendisposti, vedo
mormorò la raminga, caustica, concentrandosi su quel
contatto
mentale e tentando di escludere il vociare minaccioso dei narniani.
Bella
riconoscenza, dopo che gli hai salvato il culo!
Talia,
si ritrovò ad
affermare Siria fra sé, era tutto fuorché
diplomatica.
Non
erano passate che
poche ore, dal loro arrivo alla cripta di Aslan: la pozione di Lucy
aveva fatto rimarginare appena le ferite di Caleb e Siria, ma
entrambi avevano ancora bisogno di cure e riposo, almeno per qualche
giorno. Ma se Cal era al fianco di Talia, le dita intrecciate a
quelle della mezz'elfa con una naturalezza incredibile, Sir non aveva
avuto la stessa fortuna: Peter stesso si era premurato di condurla
lì, strappandola bruscamente da quella bolla di quiete e
serenità
in cui lei e Caspian erano sprofondati, nella caverna.
A
nulla erano valse le
proteste di Caspian, quando l'Alto Re le aveva intimato di muoversi.
Ma lo sguardo gelido di Siria, quell'espressione ferina e gelidamente
assassina che tanto inquietava il biondo, era bastato per cancellare
ogni atto di prepotenza dall'atteggiamento di Peter.
Se
n'era accorta, già
durante il loro primo “scontro”: il Re la temeva,
la considerava
un pericolo, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e ad
annientarli tutti.
Dopotutto,
aveva un
buon istinto.
-Al
rogo!-
-Alla
corda!- sospirò, la raminga, già stufa di quella
sequela di cruenti
– e fantasiosi, ad un certo punto – modi per farla
fuori.
-Posso
interrompere questa interessantissima
discussione
che ha come oggetto la mia morte?- intervenne; la voce, intrisa di
sarcasmo, che sì propagò ad una
velocità impressionante fra i
narniani inferociti, zittendoli quasi all'istante.
Una
dopo l'altra, le voci tacquero: cadde il silenzio, sulla radura, un
silenzio greve e pesante che ammorbava l'aria, che appestava il
respiro della rossa.
Sentiva
addosso gli occhi di tutti, e lo odiava.
Il
suo istinto le gridava di allontanarsi, di fuggire al più
presto da
quel luogo: troppa gente la stava accusando, quegli sguardi carichi
di disprezzo la tormentavano, le riempivano la pelle di brividi e
pugnalate ad ogni istante che passava sotto quelle silenti accuse.
Odiava,
essere al centro dell'attenzione.
Lo
odiava, con tutta sé stessa. Era qualcosa che non riusciva a
tollerare, avrebbe solamente desiderato essere comune, essere come
tutto il resto del mondo...e
invece, suo malgrado, la protagonista di quelle scomode situazioni
era sempre lei.
Che
fregatura.
Soltanto
dopo un tempo
che le parve intollerabilmente infinito, uno dei centauri si fece
avanti. Portava due fasce di cuoio intorno alle spalle forti, nodose,
ed una casacca da combattimento fasciava il torso imponente:
scalpitavano, i suoi zoccoli, i lunghi capelli corvini attorcigliati
in treccine intorno al volto, gli occhi scuri che si posavano severi
su Siria.
-Parla,
mercenaria.- le ordinò, e la ragazza rimase sorpresa dalla
calma, e
dalla pacatezza, con cui il centauro aveva appena parlato. Era un
capo, comprese: era un leader nato, lo vedeva da come gli altri
pendevano improvvisamente dalle sue labbra, dall'atteggiamento cauto
ma rispettoso con cui si stava rivolgendo a lei.
-Grazie.-
disse, il sarcasmo evaporato in un istante, la testa che si chinava
appena in un muto cenno di ringraziamento.
-Allora.
Avete tutti i motivi di volermi far fuori: ho rapito il vostro
principe, l'ho quasi fatto ammazzare, ho combinato un casino assurdo,
eccetera, eccetera.- cominciò, contando sulle dita i fatti
che
elencava: e poté quasi vedere Cornell – era quasi
certa si
chiamasse così, il suo interlocutore – lasciarsi
sfuggire un mezzo
sorrisetto, a quella lista tanto frettolosa quanto efficace.
Prese
fiato, avvertendo a poco più di un metro dietro di
sé la
rassicurante presenza di Caspian. La calmava, il pensiero che fosse
lì con lei, pronto ad intervenire: sentiva il cuore
riscaldarsi,
vicino a lui, e sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di
difendersi, se il principe non fosse stato al suo fianco.
-Sono
pronta ad affrontare qualsiasi conseguenza vogliate impormi. So di
aver sbagliato…io, ed io soltanto.- aggiunse le ultime
parole con
una voce molto più bassa, frettolosa, quasi non volesse
farsi
sentire dagli astanti più lontani.
Ma
Aaron aveva un udito fin troppo fino, lo sapeva bene: ed infatti, non
si sorprese più di tanto quando lo vide balzare in piedi,
pronto a
protestare e a cacciarsi nei guai insieme a lei.
-Siria!-
sbottò, ma quando provò a dire altro la sorella
alzò semplicemente
una mano, scoccandogli una penetrante occhiata in grado di farlo
trasalire.
-Zitto,
Aaron.- disse, semplicemente, con una ferma dolcezza che
lasciò
morire ogni protesta sulle labbra del fratello.
Lei
era l'unica, fra loro, con una qualche possibilità di
cavarsela.
Talia
era una mezzosangue, non le avrebbero mai dato credito; Caleb ed
Aaron erano telmarini, ed in più mercenari; e Tara era soltanto
una
bambina, anche se pur sempre in grado di piantare un pugnale in mezzo
alle scapole di un uomo.
Erano
un branco di
reietti, tutti e cinque.
Ma
Siria poteva
rischiare. Poteva affrontarli, ed assumersi anche le colpe del
fratello, perché sentiva di essere al sicuro.
Caspian
non avrebbe mai
permesso che le venisse fatto del male.
E
saperlo, la riempì
di una forza del tutto nuova, una forza che la spinse a sostenere gli
occhi scuri di Cornell, e a continuare a parlare.
-Io
ho scelto questo compito, ed io sono a capo del mio gruppo di
mercenari. Non ero a conoscenza del patto fra i Narniani e il
principe Caspian, e mi dolgo di avervi costretti a combattere per
salvarlo. Affronterò ogni conseguenza delle mie azioni.-
E
la sua voce suonava terribilmente seria, terribilmente sincera.
Persino Peter, che la scrutava con una sufficienza capace di
irritarla anche da lontano, non riuscì – e
ci stava provando, con tutte le sue forze
– a ritenerla una bugiarda.
-A
morte!- un urlo improvviso, dalle file più indietro dei
narniani,
spezzò in un istante quell'attimo cristallino. Ma Cornell
continuava
a fissarla, i trapassanti occhi scuri che spezzavano quelle difese
invisibili che Siria ergeva in continuazione fra sé ed il
mondo.
Si
sentì a disagio, quando lo avvertì scrutare in
ogni più profondo
meandro di sé.
-Aspettate!-
il cuore della rossa sussultò con violenza, quando la voce
concitata
di Caspian risuonò al suo fianco, quando voltandosi
riconobbe il suo
viso testardo e meraviglioso, ad una spanna scarsa dal suo. -Lei mi
ha salvato la vita, non dimenticatelo. E ha combattuto al nostro
fianco, salvando non pochi dei nostri soldati.-
.
-Ecco
il prode principe in aiuto della sua amata…- la voce di
Peter
grondava sarcasmo, in quell'istante: era patetico, vedere come il
ragazzo si fosse affezionato tanto a quella che era quasi sicuramente
un'infida profittatrice.
Si
vedeva lontano un miglio, ne era più che certo: il principe
era un
ragazzino ingenuo, che si era lasciato trarre nelle malie di quel
corpo prorompente, in quella cascata di capelli scarlatti e in quegli
occhi blu, tanto pieni di angosce e pensieri.
Ma
Shaylee, al suo fianco, pareva di tutt'altro avviso.
Si
sentì un bambino colto in fallo, quando i severi occhi
dorati della
naiade saettarono su di lui, scoccandogli un'occhiataccia capace di
far evaporare qualsiasi traccia di cinismo dalle sue intenzioni.
Diamine,
quanto era bella.
Diamine,
quanto era vicina.
Avrebbe
potuto allungare appena una mano, e avrebbe sfiorato ancora quella
pelle lattea e soffice, terribilmente soffice...
Scosse
repentinamente la testa, allontanando il vivido ricordo della
morbidezza di quel corpo snello dalla mente. Non un'impresa facile,
dovette ammettere con sé stesso, guardando colpevole lo
sguardo
severo della ninfa.
-Ascolta,
se non taci, ti ficco questo pugno di foglie in bocca.- lo
minacciò
lei, sorprendendo anche sé stessa per la confidenza
improvvisa che
pareva essere nata fra loro. Non si diede nemmeno la briga di
ripetersi che avrebbe dovuto ignorarlo, trattarlo con quella
freddezza che pareva sgretolarsi ad ogni istante di più:
sapeva,
ormai, che sarebbe stato del tutto inutile.
Ma
non riuscì a non sorridere, quando l'espressione di Peter,
nei
confronti del pugno di foglie secche che stringeva nella manina
minuta, si fece terrorizzata.
-Okay,
okay, sto zitto!-
.
-Il
tuo cuore batte per questa ammaliatrice, principe Caspian. Sei stato
catturato dal suo fascino come la mosca dalla tela del ragno.-
Cornell dedicò soltanto un sospiro, a Caspian, un'occhiata
compassionevole. Non era certo il primo, ad essere ammaliato da
una...
-Non
è…-
-Io
non ho usato nessuna malia!- tutti sobbalzarono, all'improvvisa
veemenza di Siria.
Non
era una persona incline alle urla, a strepitare: era quasi
sconvolgente vederla spingere bruscamente da parte Caspian, restando
aggrappata alla sua spalla quando una fitta di dolore
attraversò il
suo fianco, gli occhi duri e irati fissi su Cornell.
-È
vero, ho fatto delle cose sbagliate, ho ucciso, ho derubato, ho
guadagnato sulla vita di gente che non conoscevo nemmeno, ma questo
no!-
sbottò, irritata, ignorando gli sguardi allibiti di tutti:
di Peter,
di Aaron, di Caleb...di Caspian.
Il
centauro strinse gli occhi, sospettoso.
-Neghi
di aver usato il tuo fascino sul principe?- le chiese, scettico. Ma
Siria sostenne il suo sguardo senza alcun timore: sapeva di non aver
ammaliato Caspian…non volontariamente, almeno.
Certe
volte, aveva l'impressione di essere stata lei
ad esserne rimasta stregata…
-Esatto.-
annuì, ed il silenzio calò nuovamente,
improvviso, su tutti i
presenti.
Cornell
continuava a fissarla, con un'insistenza che aveva quasi del morboso.
Siria
sapeva, cosa stava facendo.
Sentiva
la coscienza pressante ed immensa di quella creatura premere contro
la propria, incrinando le sue difese, irretendo i suoi sensi
scattanti.
Stava
scavando dentro di lei.
Stava
cercando risposte, a domande che Siria si poneva quasi ogni giorno.
E
non gliele negò.
Gli
permise di lasciar fluire la sua coscienza nella propria mente,
sentendolo violare ogni pensiero, ogni ricordo, ogni più
intimo
dettaglio della sua vita: avvertì l'orrore pulsare,
assistendo da
umile spettatrice ad ogni ricordo sfogliato, ad ogni terrore mai del
tutto sopito. Ed arrossì appena, invece, quando i chiari
ricordi
delle notti che aveva passato con Caspian avvolsero nuovamente i suoi
pensieri, nello stesso istante in cui Cornell li studiava.
-Tu
non sei Telmarina, ragazza. Sbaglio?- la voce del Tasso, di
Tartufello, le giunse lontana, distante.
Un
brivido quasi impercettibile attraversò i suoi quattro
compagni,
Shaylee: e istintivamente, i mercenari accostarono appena le mani
alle armi, pronti a dare battaglia per la loro compagna, se la
situazione si fosse fatta critica.
-No…no,
non lo sono.- cercò di non balbettare, di riprendere
coscienza di
sé. Non le piaceva, quel metodo dei centauri: sua madre
gliene aveva
parlato con un timore quasi deferenziale, definendoli spesso gli
unici detentori delle vere chiavi della magia.
Siria
non aveva mai
compreso appieno cosa significassero quelle parole, fino a quel
momento.
-Io
non ho terra, né patria. Sono una raminga, un'errante. Non
ho casa
né dimora, se non la mia spada e le stelle sopra la testa.-
affermò,
alzando la testa e fronteggiando l'intera Narnia raccolta
lì,
ignorando la sorpresa ed il disprezzo sui volti di tanti.
La
raminga.
L'errante.
Era
un titolo che le
avevano dato nel corso degli anni, un titolo che la rispecchiava: ma
le stava scomodo, ormai, perché una volta assaggiato il
frutto della
pace, dell'amore, si era resa conto di non desiderare altro che
quello.
La
raminga, la
viandante, oramai desiderava soltanto di fermarsi.
Fu
Caspian, ad
intervenire, cogliendo al volto un'opportunità che lei non
aveva
scorto subito.
-Allora
qual'è il problema? Se Siria non è telmarina,
perché non
accoglierla fra noi, permetterle di combattere?-
.
Peter
sbuffò sonoramente, lanciando un'occhiataccia al ragazzo
accanto
alla rossa.
-Eddai!
Si vede lontano un miglio che fra quei due c’è
de…-
-Mmmnf…-
A
quel suono soffocato, Siria, Caspian e Cornell si voltarono di
scatto, allibiti.
Shaylee
aveva un'espressione decisa, soddisfatta, le braccia incrociate sul
petto e le gambe elegantemente accavallate. Peter, accanto a lei, non
poteva essere più diverso; aveva gli occhi sgranati,
allibiti, e un
grosso pugno di foglie che curiosamente spuntava dalle sue labbra.
I
tre rimasero un istante a fissarlo, completamente stupefatti da
quella scena quanto mai ridicola. Siria guardò Caspian, e
poi
Cornell, scorgendo sui loro visi la sua stessa espressione; poi,
senza nemmeno farlo apposta, tutti e tre si strinsero nelle spalle,
tornando alla propria discussione.
-Io
ho sbagliato. Lo riconosco, e provo rimorso, per ciò che ho
fatto.-
continuò la rossa, sincera, sforzandosi con tutte le sue
energie di
non sogghignare a quell'immagine che, poco ma sicuro, non si sarebbe
schiodata tanto facilmente dalla sua memoria.
Cornell
parve più abile di lei, a nascondere quell'attimo di
ilarità che,
ne era certa, aveva visto comparire sul suo volto severo.
-Il
tuo è un rimorso sincero, raminga.- mormorò,
scrutandola negli
occhi, vedendo la sua espressione sgranare e farsi completamente
stupefatta.
Cornell
aveva visto dentro di lei.
Aveva
guardato nella sua anima, nel suo cuore, nei suoi pensieri.
E
aveva visto qualcosa per cui valeva la pena rischiare...qualcosa
che lei non aveva ancora scorto, dopo vent'anni...
-Vorresti
espiare, in qualche modo, le tue colpe?- le chiese, la voce
più
gentile di quanto non fosse stata nei minuti precedenti, sorridendo
allo stupore della ragazza.
Quella
giovane ancora doveva capire, ciò che di buono serbava il
suo animo.
-Sì.-
la risposta di Siria risuonò rapida e ferma nella radura
improvvisamente silenziosa, gli occhi blu che in fretta si
riprendevano dalla sorpresa, dallo sbigottimento.
Sguainò
con lentezza la propria spada, il suo fido Kain, sotto lo sguardo
vigile e maestoso del centauro dinanzi a lei.
Lasciò
che la lama s'immergesse nel soffice terreno erboso, la pelle chiara
illuminata dai fuochi intorno a lei, le iridi immense brucianti,
tempestose, vive.
-Io
vi offro la mia spada e il mio onore...per quanto esso possa valere.-
affermò, la voce incrinata dal disgusto sulle ultime parole,
rammentando fra sé che di onore, lei, non ne possedeva
più da
tempo.
L'orgoglio
bruciò terribilmente la sua gola riarsa, quando si costrinse
a
rivolgersi verso i quattro Re...verso Peter,
che la guardava con un misto di saccenza, trionfo e sorpresa che la
irritarono terribilmente, pugnalando dritto al cuore il suo ego.
Ma
non avrebbe ceduto
all'orgoglio.
Non
stavolta.
Aveva
l'occasione per
redimersi...per combattere dalla parte giusta, per soddisfare quel
terribile bisogno di ideali che l'avevano spinta a battersi nel
castello di Miraz, quando tutto pareva perduto, quando la morte era
vicina a sfiorarla...
Quegli
istanti in
trappola, dentro di lei, avevano cambiato qualcosa.
Quegli
istanti, dentro di lei, avevano acceso il bruciante desiderio di
giustizia.
-A
voi, Re e Regine del passato…e a voi, principe Caspian.-
nulla,
fino a quel momento, era stato così difficile come fu
rivolgersi a
Caspian in quel modo, con quella educata freddezza che avrebbe usato
un soldato nei confronti del suo Re.
-Combatterò
al vostro fianco, per liberare Narnia dagli usurpatori.-
E
quelle parole, suggellarono un giuramento che Siria non avrebbe
infranto.
Un
giuramento che le aveva imposto il suo cuore, un sigillo che avrebbe,
forse, candeggiato un poco la sua anima lercia.
-E
i tuoi compagni?- Cornell rivolse un lieve cenno verso i quattro
mercenari, più stupiti di tutti gli altri di
quell'improvvisa presa
di posizione della rossa: soltanto Talia le sorrideva, fiera,
guardandola con lo stesso orgoglio che si riserverebbe ad una sorella
improvvisamente cresciuta.
-Loro
non hanno colpe. Io li ho comandati, e mi assumo ogni
responsabilità
per le loro azioni.- la voce di Siria risuonò pacata, calma,
in
quell'ammissione di colpe che non le appartenevano.
-Siria…!-
-E
sia.- fu la voce profonda di Cornell a zittire la protesta di Aaron.
Il centauro si voltò verso i suoi compagni, scambiando con
loro una
lunga, enigmatica occhiata che la rossa, stremata per lo sforzo di
restare così a lungo in piedi, non ebbe la forza di
decifrare.
Gli
altri centauri, le altre creature, annuirono.
-I
tuoi compagni non subiranno alcuna punizione, e nemmeno tu, per il
momento. Alla fine di questa guerra…- e lo sguardo scuro del
centauro si posò nuovamente sulla ragazza, più
pallida e
determinata che mai. -…sarà allora, che il tuo
destino sarà
deciso.-
E
quella, per Siria, fu la conferma silenziosa che il centauro sapesse
perfettamente cosa lei era.
-Ora
alza il viso, Siria, raminga solitaria.-
E
Siria lo fece, appena in tempo per vedere Cornell voltarsi.
Alzò il
volto, vedendo l'ostilità scemare dagli sguardi dei
narniani, udendo
nelle orecchie un rassicurante brusio che spezzò
definitivamente la
tensione di quell'estenuante processo.
Era
stanca.
Soddisfatta,
ma esausta. Aveva soltanto bisogno di riposare, adesso,
perché le
gambe le tremavano e le due ferite, al ginocchio ed al fianco,
pulsavano sgradevolmente nella sua carne.
-Sir,
vieni. Bisogna fare qualcosa per quella ferita, è ancora
aperta.- la
voce di Shaylee la raggiunse nello stesso istante in cui
avvertì una
calda mano posarsi sul fianco ancora sano, ed un corpo più
alto del
suo accostarsi alla sua schiena.
Si
voltò, sentendo l'ansia svanire nello stesso istante in cui
i suoi
occhi incontrarono il sorriso di Caspian. Quel sorriso sollevato che
riuscì a rincuorarla mille volte più
efficacemente delle parole di
Cornell, quel sorriso che riuscì a strapparne uno anche a
lei,
nonostante la stanchezza, la spossatezza, le ferite che pulsavano
terribilmente.
-Shay,
io sto benissimo.- borbottò, contrariata, quando la ninfa
apparve
senza molti preamboli accanto a lei. Le rivolse un'occhiata
esasperata, desiderosa soltanto di restare lì, con Caspian,
senza
più occhi celesti che la scrutavano con diffidenza.
-Muoviti!-
non l'avrebbe nemmeno ascoltata, se non fosse stato per l'espressione
severa apparsa sul viso del suo principe, al suo sbuffo.
Gli
rivolse un'occhiata implorante, come a scongiurarlo di non permettere
a Shay di trascinarla via, ma gli occhi del ragazzo rimasero
irremovibili: e Siria sospirò, sconfitta, sapendo che
entrambi
avevano ragione ma assolutamente decisa a non ammetterlo.
Si
voltò verso la ninfa, che la scrutava con un cipiglio severo
e le
braccia incrociate sul ventre.
-D'accordo,
d'accordo, non c'è bisogno di urlare!- sbottò,
lasciandosi
trascinare via un istante più tardi, rivolgendo una smorfia
ad un
fintamente soddisfatto principe Caspian.
.
Sospirando,
Siria si distese sull’erba, gli occhi blu che istintivamente
andavano a cercare il cielo stellato. La ferita le doleva, ma era
abituata al dolore fisico, alla sofferenza; non si curò
della fitta
atroce che l’attraversò con forza, quando si
accomodò sull’erba,
serrando semplicemente gli occhi.
Shay
l'aveva curata, ricucendo gli squarci appena rimarginati sulla sua
pelle, fasciando con decisione il suo fianco e il suo ginocchio.
Aveva sopportato i rimproveri della ninfa su quanto fosse stata
incosciente, su quanto dovesse sempre arrivare quasi a farsi
ammazzare, perché altrimenti non
era contenta.
Aveva ridacchiato, Siria, perché sapeva benissimo che quella
di Shay
era soltanto preoccupazione.
La
ninfa le aveva
permesso di andarsene soltanto dopo un bel pezzo, quando era stata
sicura che le ferite fossero ben ferme. In teoria, per loro erano
stati allestiti degli alloggi: erano molte, le stanze nella cripta di
Aslan, ma Siria aveva preferito uscire all'aperto, godendosi il
fresco della notte e le stelle che trapuntavano il cielo.
Aveva
intravisto Tallie
e Caleb, in un angolino. Si erano tenuti lontani, le creature magiche
occhieggiavano con disprezzo i capelli scuri e la carnagione
olivastra della mezz'elfa.
Ma
a Talia pareva non
importare, degli sguardi ostici che la fissavano. La sua testa era
vicina a quella di Caleb, la fronte premuta sulla sua. Il braccio
muscoloso del biondo era intorno alla sua schiena snella, le dita del
ragazzo sfioravano i suoi capelli sciolti.
Erano
così belli insieme,
si disse, sentendo un sorriso lieve disegnarsi sulle labbra stanche.
Era
così bello, vedere
gli occhi di entrambi cercarsi – e trovarsi, finalmente, dopo
troppo tempo che avevano passato sognandosi a vicenda.
Siria
non avrebbe
potuto desiderare di meglio, per Tallie.
Caleb
la amava, la
amava con tutto sé stesso: e lei lo sapeva bene, la raminga
era
l'unica con cui il biondo avesse il coraggio di parlarne, di sfogare
la frustrazione per non essere mai stato in grado di dichiararsi a
Talia. Solo lei, era ben conscia di quanto il biondo arrivasse ad
adorarla: Cal avrebbe volentieri dato la vita, per Talia. E senza
pensarci due volte.
Prese
fiato, Siria,
cercando di concentrarsi il più possibile sui due amici,
escludendo
tutto il resto.
Non
doveva pensare a
quanto avesse rischiato, quella notte.
Non
doveva pensare,
agli occhi cupi di Cornell che la scrutavano dentro, che scoprivano
quale orrenda verità si celasse dietro il suo viso candido.
Non
doveva pensare,
all'astio e all'insofferenza del boriosissimo Re che si ritrovava
improvvisamente a dover servire.
Non
doveva pensare
all'orgoglio pugnalato a morte, non doveva pensare a quanto avesse
fatto preoccupare Talia, Shay, Aaron...Caspian.
Caspian.
Non
doveva pensare,
soprattutto, che Caspian in quel momento era tenuto a debita distanza
da lei dal Re Supremo, con la poco convincente scusa di farsi
raccontare ogni particolare della sua azione di guerriglia.
All’improvviso,
senza un reale motivo, sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Lacrime
salate, lacrime di stanchezza, lacrime di una paura a cui non aveva
permesso di sfogarsi.
Lacrime
che scendevano silenziose lungo le sue guance, una dopo
l’altra;
lacrime, che rigavano il suo viso, arrossandole gli occhi, scuotendo
il suo petto di singhiozzi silenziosi.
Aveva
avuto paura. Aveva avuto troppa, paura.
Quel
terrore era stato in grado di riempirla, di riempirla di vuoto; un
vuoto che l’aveva spaventata come mai prima, un vuoto che era
riuscito a scuoterla fin nel profondo. Mai, prima d’allora,
qualcosa era riuscita a terrorizzarla così tanto.
E
invece…invece, adesso, si ritrovava a rannicchiarsi su
sé stessa,
le lacrime copiose e silenti, le braccia che salivano a stringerla in
quel bozzolo in cui amava, ormai, rinchiudersi.
Aveva
rischiato di perderlo. Di perdere lui, di perdere quel ragazzo che
era riuscito a farla sorridere. Quel giovane idealista che le aveva
portato via il cuore, quel giovane che soltanto guardandola riusciva
a farla avvampare, facendole dimenticare il muro di ghiaccio e
cinismo che aveva costruito intorno a sé.
Si
rannicchiò ancor di più, tremando.
Ora
poteva. Ora poteva piangere.
Ora
poteva sfogarsi, nessuno avrebbe visto quei singhiozzi, nessuno
avrebbe udito quel pianto. Non c’era nessun Re spocchioso
pronto a
colpirla, non c’era Aaron, non c’erano
né Talia né Shay – le
aveva chiuse fuori, fuori da quella mente in cui voleva restare da
sola.
Adesso,
poteva essere di nuovo debole. Debole come aveva rischiato di
mostrarsi, debole come non poteva permettersi di essere. Debole come
sapeva di essere nel profondo, dietro quella scorza indurita da anni
d’intemperie, da anni di dolore.
Ora,
poteva lasciarsi andare a quel pianto.
Quel
pianto silenzioso ma inesorabile, stretto fra due braccia candide, in
un corpo scosso da singhiozzi convulsi, strozzati.
Le
lacrime scendevano lente; lente, andavano a bagnare i fili
d’erba
di rugiada salata, inumidendole le labbra secche, arrossandole gli
occhi.
Caspian.
Avrebbe
soltanto voluto lui, in quell’istante.
Lui,
la sua presenza, il suo calore. Quel tono particolarmente dolce che
dava inflessione alla sua voce, quando le parlava. I suoi occhioni
neri, le sue labbra soffici, i suoi capelli riccioluti e
terribilmente morbidi…la sua risata, la voglia di vivere e
combattere che traspariva dalle sue parole, l’energia con cui
parlava, con cui viveva…
Aveva
bisogno di lui. Aveva bisogno di essere abbracciata, di lasciarsi
cullare fra quelle braccia. Aveva bisogno di sentirsi debole e
fragile, di lasciarsi andare contro il suo petto e non avere
più
paura.
E
invece, era là. Su quel prato solitario, poco distante dalla
cripta.
Sola.
Perché
nulla, sarebbe andato bene. Pevensie la detestava, avrebbe fatto
qualsiasi cosa pur di allontanarla da quel luogo e, soprattutto, dal
principe; e le creature di Narnia la occhieggiavano già con
sospetto, per la sua natura, per ciò che nascondeva dentro
di sé
ormai da vent’anni.
Prima
o poi lo avrebbero scoperto. Prima o poi, tutto sarebbe crollato,
distrutto, e di lei non sarebbe rimasto che uno sciocco involucro
vuoto.
Il
suo pianto si fece più violento, a quel pensiero.
Avrebbe
perduto tutto quanto. Avrebbe perduto Talia, e suo fratello, e Cal, e
Tara. Shay non avrebbe potuto fare nulla, esattamente come loro.
Avrebbe
perduto Caspian.
Si
ritrovò a tremare, tremare di un gelo che nulla aveva a che
fare con
ciò che la circondava; quel freddo veniva da dentro di lei,
dal suo
cuore, dal terrore che stringeva il suo corpo in una morsa
d’acciaio.
Sarebbe
dovuta andarsene.
Avrebbe
dovuto lasciare tutto, sarebbe dovuta fuggire. Avrebbe fatto male, ma
forse…forse sarebbe stato meglio, forse non avrebbe fatto
del male
a nessuno, forse non avrebbe mai avuto il terrore di vedere gli occhi
di Caspian pieni di orrore, di disgusto…per lei.
Ma
non ci sarebbe riuscita. Lo sapeva.
Non
avrebbe potuto vivere lontano dal suo principe. Soltanto quel
pensiero, riuscì a strapparle un gemito di dolore, un peso
terribile
che opprimeva repentinamente il suo petto.
Avrebbe
dovuto farlo.
Ma
rinunciare a lui…rinunciare a quell’amore che
sembrava poter
lenire ogni sua sofferenza, ogni suo dolore…rinunciare alla
gioia
che sentiva vibrare nel corpo, ogniqualvolta si ritrovava accanto a
lui, come avrebbe potuto?
No.
Lei
non poteva fare a meno di Caspian, non più, mai
più. Lo amava, lo
amava e ne era ben conscia, lo amava e non avrebbe mai negato quel
sentimento che pulsava vivo e forte nel suo cuore.
Perché
quell’amore l’aveva salvata da sé stessa.
L’aveva
salvata dal suo demone, dalla bestia che quasi l’aveva
divorata.
L’aveva riportata indietro, semplicemente chiamandola.
La
amava.
Era
questa la verità, la verità che non poteva e non
voleva negare.
La
amava.
E
in confronto a quelle due semplici parole, tutto perdeva di
significato. Tutto, tranne la vivida immagine del volto del suo
principe impressa nei suoi occhi pieni di lacrime.
Avrebbe
combattuto, per quello. Avrebbe lottato, e avrebbe sconfitto i suoi
demoni.
La
amava.
La
amava, e quell'amore era in grado di costringerla a vivere, ora
più
che mai.
Lasciò
che i singhiozzi continuassero a scuoterla, senza più darvi
peso.
Divennero soltanto lievi convulsioni inutili, lacrime che non sentiva
più, che non avvertiva più.
Non
aveva la forza di fermarsi, ma non aveva nemmeno più un
motivo per
piangere. Aveva deciso quale strada percorrere, e sarebbe stata la
più ardua, la più impervia, la più
scoscesa; ma era la strada che
il suo cuore le comandava, la strada che s’incrociava con
quella di
Caspian. La strada, che un giorno l’avrebbe portata ad una
tanto
agognata serenità.
La
sua scelta, lei l’aveva fatta quella notte.
.
.
Il
sole riempiva ogni spazio intorno a lui, illuminando il verde della
foresta, accendendo i colori nascosti di quel luogo al limite della
magia. Ma Caspian, per una volta, non si perse a rimirare il fascino
della lussureggiante e selvaggia vegetazione intorno a lui.
I
suoi occhi, osservavano ben altro.
Era
così bella…
Non
si sarebbe mai saziato di guardarla. Nemmeno ora, addormentata
placidamente nell’erba alta che l’abbracciava, i
fili bagnati di
rugiada intrecciati con i suoi capelli.
Aveva
gli occhi arrossati, era accoccolata su sé stessa, le guance
rosse.
Aveva
pianto,
si disse. Aveva
pianto,
e lui non era stato lì.
Lui
non le era stato accanto, non l’aveva stretta a sé
e non aveva
impedito che crollasse lì, da sola.
Le
accarezzò dolcemente i capelli, con delicatezza, per non
svegliarla.
L’aveva
cercata per tutta la notte, quando finalmente si era liberato di
Peter. L’aveva cercata quasi disperatamente, desiderando
soltanto
di poterla stringere, dopo tutto quello che era successo, desiderando
soltanto di passare qualche ora nel buio rassicurante della notte,
con la sua amata fra le braccia.
Ma
non l’aveva trovata.
Aveva
trovato Shaylee, però. Shaylee, che silenziosa, enigmatica,
misteriosa, gli aveva semplicemente detto di non cercarla.
.
-Shaylee...sapresti
dove...-
-Dov'è
Siria?- un lieve sorriso appena esasperato, ma affettuoso, in fondo.
-Non cercarla, Caspian. Ha bisogno di fare i conti con sé
stessa,
per l'ennesima volta.-
.
E
invece, eccola lì, la sua raminga.
Eccola
lì, appallottolata come un gattino abbandonato, immersa
nell’erba
alta, gli occhi rossi per il pianto e la pelle infreddolita.
Con
dolcezza, si distese accanto a lei, prendendola delicatamente fra le
braccia e lasciando che il proprio petto premesse sulla sua schiena.
Non si sorprese minimamente, quando avvertì il lieve
sussulto del
suo respiro, il suo corpo irrigidirsi appena: era ben conscio, di
quanto i riflessi di Siria fossero fulminei.
-Sssh.-
sussurrò soltanto, posando le labbra calde sulla sua gola,
rassicurandola. E lei, docile, non disse assolutamente nulla,
limitandosi ad abbandonarsi completamente contro al su petto,
sospirando grata e tornando a chiudere gli occhi.
Sorrise
appena, il principe, accarezzando la curva profonda del suo fianco,
lasciando che le dita intuissero il corpo candido che si celava al di
sotto della calzamaglia scura che la velava.
Le
labbra indugiarono sulla pelle soffice, inumidita appena dalla
rugiada. Avvertì la schiena della ragazza rabbrividire,
quando
lasciò piccoli, lievi baci sul suo collo, percorrendolo con
lentezza, assaporandone ogni millimetro.
Soltanto
quando avvertì le dita di lei immergersi tremanti nei propri
capelli, provocando un fremito del tutto piacevole lungo la sua
schiena, si decise a parlare.
-Come
mai hai pianto?- sussurrò, lasciando che il proprio respiro
le
sfiorasse la guancia, scorgendo i suoi occhi socchiusi, le labbra che
rubavano ogni particella del suo fiato.
Siria
sospirò appena, accarezzandogli una guancia, le dita candide
che
sfioravano delicate il volto del ragazzo. Lo avvertì seguire
il
movimento della sua mano, lasciando che il suo palmo premesse sul
proprio viso, sfiorando la sua pelle con le labbra.
-Troppe...troppe
cose tutte insieme.- mormorò, voltando appena il viso verso
di lui,
gli occhioni ancora arrossati che sostenevano colpevoli quelli dolci
di lui.
Si
voltò improvvisamente, affondando il viso nel petto del moro
e
serrando le mani bianche sulla schiena di lui.
Quanto
le era mancato, quella notte...
Si
strinse a lui,
sentendo le sue braccia avvolgerla, il suo petto accoglierla
immediatamente. E sorrise, per la prima volta da ore ed ore, sentendo
il battito calmo e sereno del suo cuore rimbombare fra i suoi
pensieri.
-Peter
ti ha tenuto lontano.- sussurrò, quasi impercettibilmente.
Caspian
le accarezzò i capelli, con dolcezza, accostando le labbra
all'orecchio della giovane e posando un lieve bacio sulla sua
guancia.
-Non
può riuscirci. Ha fallito già in partenza.- la
rassicurò, e ci
credeva, il principe. Ci credeva con tutto sé stesso.
E
sorrise, Siria, rincuorata dalla sua presenza e dalle sue parole,
accoccolandosi meglio fra le sue braccia e non pensando più
a
niente, finalmente pacificata.
.
.
Quel
ragazzo era un idiota.
Come
aveva fatto, lui quanto Cornell, a lasciarsi convincere sulla
sincerità di Siria? Era lui, l'unico a vedere quanto Siria
fosse
riuscita a gabbare tutti quanti?
Appena
la vide apparire dal folto della foresta, insieme a Caspian,
interruppe bruscamente la conversazione che stava avendo con Cornell,
dirigendosi a passo spedito verso i due piccioncini.
Era
arrivato il momento di mettere le cose in chiaro. Una volta per
tutte.
-Tu.
Seguimi.- ancora una volta, lui stesso si sorprese della veemenza che
Siria gli provocava.
La
rossa spostò con aria di sufficienza lo sguardo su di lui,
posando
allo stesso tempo una mano sul petto di Caspian, già pronto
a
difenderla.
-Mi
sembrava di aver già chiarito che non prendo ordini da te,
Pevensie.- Siria sentì una qualche parte di sé
stessa sospirare,
esasperata: a volte, il suo stesso carattere era insopportabile,
persino per lei.
Rivolse
una fugace occhiata al principe, che fissava con astio il Re Supremo
– astio pienamente ricambiato, oltretutto.
-Non
intervenire.- soffiò, così piano che soltanto lui
riuscì a
cogliere quelle parole, quella minuscola preghiera. E Caspian la
guardò a lungo, pensieroso, prima di annuire poco convinto e
allontanarsi di un passo da lei.
-Hai
qualche problema con me, rossa?- il sorriso tracotante, strafottente
della raminga si rivolse al Re Supremo, scorgendo alle sue spalle, in
arrivo, i suoi compagni e gli altri Pevensie.
-Nooo,
perché mai avreste questa impressione, Re
Supremo?-
inclinò appena la testa, Siria, il sarcasmo che venava ogni
singola
sillaba, il sorriso irridente rivolto con sufficienza verso il
biondo.
-Forse
dal fatto che la tua arroganza non conosce confini?- oh, il ragazzo
sapeva come giocare quella partita. Vide i suoi occhi celesti
assottigliarsi, la mascella contrarsi impercettibilmente: non doveva
essere troppo difficile, fargli perdere le staffe.
-Mi
sembra che qui l’unico con dei problemi sia lei,
Alto Re di Narnia. Avanti, può anche parlare…o
magari non è
abbastanza uomo,
per farlo?- era esilarante, a dirla tutta, vedere una vena pulsare
sempre più velocemente sulla tempia di Peter.
Era
da quando erano tornati dall'assalto, che moriva dalla voglia di
dirgliene quattro.
-Oooh,
questa è brutta.- sogghignò, Siria, nel sentire
il commento
divertito di Caleb. Intravide Talia scoccargli uno scappellotto,
abilmente intercettato dal biondo, che la trasse repentinamente a
sé
– ottimo modo di zittire e calmare Tallie, quello, non poteva
negarlo.
-Non
ho tempo per parlare con una ladra mercenaria.- Peter si controllava
a stento, ormai. Aveva un livello di sopportazione molto vicino allo
zero...
-E
io non spreco il mio fiato con un borioso, egocentrico ed arrogante.-
replicò lei, pronta; al contrario del Re, calmissima.
-Mi
sorprende che tu sappia usare dei termini così elevati,
rossa!- la
voce di Peter tradiva il nervosismo che gli stava provocando,
così
come i segni sempre più evidenti nel suo corpo.
-E
a me sorprende che tu sappia parlare, sottospecie di scimmia dai
capelli biondi!- Siria seppe immediatamente di aver toccato un tasto
dolente, ferendolo nel suo immenso, spropositato ego.
Distinse
alla perfezione lo scatto improvviso della mano destra di Peter,
serrata improvvisamente sull'elsa istoriata della propria spada. Ma
lo vide anche chiudere gli occhi e respirare profondamente, come a
tentare di calmarsi, come a cercare di non...
-Cos’è,
cerchi di trattenerti? Guarda che puoi anche provarci, Re
Supremo.-
rincarò, il corpo teso e vigile, i sensi all'erta, pronta ad
accogliere l'attacco che – se lo sentiva, nelle
ossa
– sarebbe presto arrivato.
-Io
non combatto con le donne.- ma Peter era tutto fuorché
convinto, in
quel momento. Stava tremando: per l'ira, per la rabbia, per la belva
che ruggiva rabbiosa nel suo petto, chiamando a gran voce vendetta.
La
voce di Siria si fece irrisoria, quando consapevolmente inferse un
ennesimo colpo al ruggente ego del Re Supremo di Narnia.
Le
sue labbra si storsero in una smorfia crudele, cinica, quando
affondò
quell'ultima pugnalata – non senza sentirsi in colpa, nel
petto di
Peter.
-Cos’è,
hai paura che io possa rovinare il bel faccino del Re Supremo di
Narnia?-
Silenzio.
La
netta sensazione di una tempesta imminente.
.
Non
vide Susan ed Edmund alzare gli occhi al cielo.
Non
vide Lucy coprirsi la bocca con le manine, sgranando gli occhi
celesti, spaventata.
Non
vide Shaylee sobbalzare, allarmata, repentinamente bloccata da Talia
dall'intervenire.
Semplicemente,
non vide.
.
T-CLANG!
Un
lampo.
Siria
balzò indietro,
Kain repentinamente estratto dal fodero, sentendo la lama scontrarsi
violentemente contro quella del Re Supremo.
-Cos’hai
contro di me, dannata rossa?- Peter si scostò rapidamente,
gli occhi
celesti fiammeggianti d'ira, la spada ersa in difesa.
Aveva
attaccato.
Aveva
perso il controllo, sentendo solamente un sordo ruggito risuonare in
fondo alla sua mente.
Aveva
attaccato.
-Ho
che non sopporto le persone come te!-
Siria, la voce terribilmente dura, imitò le sue identiche
mosse: il
corpo tonico era pronto a sopportare un altro attacco, ma non pareva
intenzionata ad aggredirlo: la sua era una mera difesa,
perché le
sue vere armi erano le parole che scandiva con una violenza quasi
crudele.
-Hai
quasi fatto ammazzare un sacco di gente, stupido idiota! Per cosa?
Per il tuo stupido orgoglio, per le tue manie di grandezza? Per
dimostrare di
essere il migliore?-
sputò con rabbia, con odio, gli occhi blu inchiodati nelle
iridi
rabbiose ed azzurre di un improvvisamente confuso Re Supremo.
E
le sue parole, con rabbia, flagellarono quell'anima già
sufficientemente tormentata.
Per
cosa, Peter?
Siria
vide la
consapevolezza farsi strada sul suo volto, ad una velocità
terribilmente rapida.
Per
cosa?
Bruciavano,
le sue parole. Bruciavano di una verità troppo pesante,
troppo
dolorosa, troppo vera.
Per
il tuo stupido orgoglio? Per le tue manie di grandezza?
Non
aveva ordinato la
ritirata, perché?
Perché
credeva di
poter vincere, perché dentro di sé voleva sentire
l'esercito
acclamare trionfante la vittoria, perché voleva sentire
l'adrenalina
scorrere ancora una volta come durante le grandi guerre che aveva
vinto?
Per
dimostrare di essere il migliore?
Come
poteva ribattere, prendersela con lei, quando diceva soltanto quella
verità che il suo ego non riusciva ad accettare?
Hai
fallito.
Sei
un fallito, Re Peter, il Magnifico.
-Siria!-
stavolta, Peter riuscì a distinguere Shaylee.
La
vide avvicinarsi rapidamente, mettersi fra lui e la rossa. Gli dava
la schiena, ma vedeva le sue spalle contratte, le mani strette a
pugno: poteva immaginare la sua espressione severa, piena di
rimprovero, rivolgersi verso una rossa affatto pentita sulle frasi
appena pronunciate, la spada in pugno e l'espressione irata.
Siria
schioccò le labbra, furibonda, sostenendo l'occhiataccia
della ninfa
senza cedimenti.
-No,
Shaylee, Siria un corno! Ha sbagliato, e qualcuno deve
dirglielo! Ha sbagliato, e come ho fatto io deve assumersene le
conseguenze!-
Suo
malgrado, Peter sentì qualcosa, dentro di lui, concordare
con Siria.
Assumersene
le conseguenze.
Lui
non lo stava facendo.
Lei
lo aveva fatto.
Ma
lei,
non era migliore di lui.
Non
poteva ammetterlo, non poteva, non ci riusciva: lui era il Re
Supremo, lui era Peter il Magnifico, non avrebbe mai
ammesso la possibilità che qualcuno – che Siria
– fosse stata più umile di quanto lui era in grado
di essere.
-E
io dovrei stare qui ad ascoltarti, anche.- si lasciò
sfuggire,
abbassando la spada, posando una mano sulla spalla di Shaylee e
scostandola con tutta la gentilezza di cui era in grado in quel
momento.
La
ninfa lo guardò storto, ma non ribatté al suo
gesto: probabilmente,
Shaylee avrebbe volentieri sgridato anche lui, da quanto pareva
arrabbiata. Avrebbe anche sorriso, se non avesse sentito quell'odio
terribile animargli il cuore, riempirlo e svuotarlo al tempo stesso.
-Ho
di meglio da fare che ascoltare una sgualdrina.- sibilò, a
denti
stretti: ma sapeva, sapeva bene, che Siria lo aveva sentito
benissimo.
Così,
siamo pari.
.
Una
pugnalata.
Le
parole s’immersero con violenza nella carne di Siria,
bruciando di
una lama infuocata piantata con crudeltà in mezzo al suo
petto.
Sgualdrina.
Vide
Caspian irrigidirsi, lo sguardo di Aaron farsi tagliente. Poco
distante, Tallie aveva sgranato gli occhi, scoccando un'occhiata di
fuoco a Peter, le mani che fremevano sulla faretra.
Quante
volte, si era sentita chiamare così? Oramai aveva perso il
conto.
Quante
volte, aveva lasciato che la insultassero, celando la propria
purezza, terrorizzata all’idea di poter perdere
quell’ultima
parte di sé ancora candida?
Sgualdrina.
Bruciava.
Sapeva
bene quanto potesse bruciare, quella parola, dentro di lei.
Avvertì
i pugni serrarsi, il sangue defluire con prepotenza dal suo viso.
I
suoi pensieri vorticavano confusi, rabbiosi, prepotenti: ma da quel
marasma, da quelle emozioni dirompenti che acceleravano il battito
del suo cuore, emergeva solamente una sentimento.
Un
sentimento, in grado di spazzare via tutto il resto.
Ira.
E
Peter la guardava con odio, affatto pentito di quello che aveva
appena detto, trionfante nel vedere il dolore propagarsi troppo
rapidamente nei suoi occhi.
-Oh.
Addio Re Supremo!- il commento soltanto in apparenza divertito di
Caleb le giunse ovattato, lontano, insignificante.
-...come
mi hai chiamata?-
Caspian,
a pochi metri dietro di lei, avvertì un brivido.
Un
brivido freddo, gelido, sgradevole, un brivido che lo
attraversò da
capo a piedi, quando la voce sibilata di Siria fece calare un gelo
innaturale su tutti i presenti.
Peter
avvertì lo stomaco contrarsi, quando quei freddi specchi di
ghiaccio
lo inchiodarono lì dov’era.
Pericolo.
Quella
sensazione riprese prepotentemente vita nel suo stomaco, nel
guardarla in volto.
Pericolo.
Non
lo avrebbe mai ammesso, mai: ma Siria, in quell’istante, lo
spaventava.
Non
pareva nemmeno un essere umano.
Ogni
muscolo era teso, i capelli rossi contornavano un volto contratto,
rabbioso, i denti serrati in una inequivocabile espressione di puro
disgusto. Le labbra erano violacee, convulsamente serrate, la pelle
candida aveva perso anche qualsiasi barlume di colore. Le dita erano
serrate sull’elsa della sua spada, serrate tanto da far
sbiancare
le nocche.
Siria,
in quel momento, sembrava più che mai una belva feroce.
E
metteva paura.
-Ripetilo,
Pevensie. Come
mi hai chiamata?-
Peter
esitò solamente un istante, prima di maledire sé
stesso e la
risposta che gli sfuggì prima di poterla trattenere.
-Come
quello che sei.- sputò con odio, con rabbia, con il solo
desiderio
di ferirla che pulsava nelle vene.
.
Perché
lei aveva ferito lui.
Perché
lei, era stata in grado di rinfacciargli quegli errori che il suo
orgoglio non avrebbe mai ammesso.
.
Peter
non la vide nemmeno arrivare, stavolta.
Balzò
indietro automaticamente, scorgendo solamente una furia scarlatta
avventarsi su di lui, la spada bastarda che sfrecciava rapida,
mortale, verso la sua gola.
Rhindon
vibrò fra le sue dita, quando le lame s'incrociarono di
nuovo, a
poco più di qualche centimetro dal suo viso.
Riuscì
soltanto a distinguere l'odio sul volto della raminga, prima che la
rossa attaccasse di nuovo.
Stavolta
non si stava trattenendo: la rabbia che animava la sua spada puntava
dritto al cuore, al collo, al fegato, e Peter dovette indietreggiare,
per riuscire a proteggersi.
Stavolta,
Siria mirava ad uccidere.
Non
pareva nemmeno lei, in quel momento.
Vedeva
soltanto rosso.
Kain
affondò repentina e letale ad un soffio dal fianco del
biondo, ma
non si diede nemmeno il tempo di rendersene conto: la lama
sfrecciò
verso la testa del Re Supremo, il corpo un unico fascio di nervi, la
spada null'altro che un naturale prolungamento del suo braccio.
Soltanto
rosso.
L'ira
pulsava nei suoi occhi ferini, taglienti come coltelli. Un sordo
ronzio le riempiva le orecchie, attutendo ogni singolo suono,
lasciando nel suo petto solamente il ruggito furibondo del suo
orgoglio ferito.
Rosso.
-Siria!-
ignorò palesemente la voce di Aaron, quella improvvisamente
atterrita di Shaylee. Li ignorò volutamente, le iridi
inchiodate su
ogni singolo millimetro lasciato scoperto dalla guardia del Re
Supremo, cercando il punto perfetto per colpire.
Sentiva
solamente il ringhio feroce della bestia che dimorava nel suo
spirito, che ruggiva per quella ferita inferta fin troppo in
profondità.
Rosso.
Il
rosso della rabbia, il rosso del sangue che ribolliva dentro di lei.
Rosso.
Il
rosso che l’accecava, il rosso dei capelli che danzavano
intorno a
lei, mare di fuoco pronto a bruciare.
Rosso.
Rosso,
come il vivido segno che, ad uno scatto inaspettato del suo polso,
apparve a deturpare la guancia del Re Supremo.
Rosso.
Rosso, come il sangue.
Si
fermò nello stesso
momento in cui sentì la bestia ruggire di vittoria, nel
vedere la
macchia scarlatta che improvvisamente sporcava l'acciaio della sua
spada.
Si
fermò, a poco più di una spanna dal volto
allibito di Peter.
Si
fermò, il respiro di entrambi accelerato, quello di lei
rabbioso,
quello di lui stupefatto.
E
fu quando parlò, la voce sibilante e densa di rabbia, che
Peter
avvertì un brivido ghiacciato scendergli lungo la schiena,
il taglio
sulla guancia che bruciava terribilmente.
-Non
dimenticarlo, Re Supremo. Io non sono uno dei tuoi sudditi.-
sibilò,
scrutandolo in quegli occhi azzurri che la guardavano con paura
– e
ne godette,
di quel timore, la bestia che beveva assetata il sapore amaro del
trionfo.
-Siria.-
soltanto in quel momento, la furia chetata dall'odore metallico del
sangue, la voce di Aaron la raggiunse. Si accorse improvvisamente
della mano ferma che serrava la sua spalla, della figura alta e
muscolosa accanto a lei.
Spezzò
bruscamente la sottile catena che legava i suoi occhi a quelli di
Peter, rinfoderando bruscamente la sua spada ed allontanandosi dal
biondo, con uno scatto che tradiva tutta la rabbia che aveva dentro.
Si
voltò, senza riuscire a guardare nessuno, scattando verso
gli alberi
a poca distanza. Arrivò soltanto al primo ramo, prima di
saltare
agilmente e arrampicarsi, sparendo fra le fronde in una confusa
macchia rossastra.
.
Si
odiò, Siria, quanto avvertì una voce evanescente,
lontana,
risuonare nel petto dove la bestia ancora ruggiva, chiedendo a gran
voce il sangue del Re Supremo.
Sei
stata brava.
Ricordalo,
mia piccola Siria. Sarà lui, presto, a bere il tuo sangue.
.
.
.
.
My
Space:
Hooooooooooooooola!!!!
Oggi è uscito il video di Nightmare *O*
Okay, non c'entra nulla con il capitolo, ma per me
è una cosa assolutamente meravigliosa xD
Allora: ultimo aggiornamento, prima della partenza
della sottoscritta (con la Kiki!!!! *___*) verso i lidi londinesi:
ebbene sì, la vostra B si prende 6 giorni di vacanza, e se
ne va a Londra xDDDDDDDD
Perciò, ecco a voi un aggiornamento
bello lungo, 22 pagine di capitolone ^___^
Vediamo un pò: allora, ce ne sono di
cose da dire, su questo capitolo. Il processo a Siria mi è
piaciuto molto, così come il confronto con Cornell, il
centauro. Gli indizi sulla vera natura di Siria ci sono tutti, neh?
Vediamo se qualcuno riesce ad arrivare alla soluzione (silenzio voi,
persone che già lo sanno xD)
Lo sfogo di Siria è un pezzo molto
personale: è la mia classica "reazione a scoppio ritardato":
dopo i guai, finalmente c'è anche il momento in cui potersi
lasciare andare. Con Caspian ormai è grande ammmore, mentre
con Peter...muhahahahahahah, quanto mi son divertita a scrivere la lite
fra Peter e Siria *annuisce convinta*
Sono due testacce, quei due lì: Peter
è fin troppo orgoglioso, mentre Siria è
insofferente. Sono due testoni fuori misura *zizi*
Peter è un arrogante, e come ha
già fatto con Caspian, quando viene ferito attacca: attacca
per fare del male, per difendersi, e per non mostrarsi debole. Siria,
invece, ha perso un pò il controllo su una parte di
sè che è molto oscura, e alquanto pericolosa.
Avanti, chi non ha riconosciuto la guest star
dell'ultimo pezzetto del capitolo? xD
So già che il
capitolo ti piace, sebbene tu non lo abbia letto tutto intero: ora
esigo e pretendo le tue opinioni zizi *annuisce convinta, strapazzando
ancora un pochetto Peter, che non fa mai male*
<3
Nooooooo preoccupe!!!
Immaginavo avessi da fare con l'esame, com'è andata? Spero
bene :)
Tranzolla, tanto di tempo ne hai, non ti corre dietro nessuno e la
storia è sempre qua ^_______^
Ehilà!
Allora, ecco qua quel che avevo inteso, quando avevo parlato di Peter e
Siria come due tizi che si scornano a vicenda: che te n'è
parso? Il capitolo è più lungo del solito, spero
non sia un problema ^^"
Ora esigo di vedere Peter e Caspian in perizomino nella marmellata
°ç° è una visione alquanto
piacevole xD
le canzoni degli Avenged sono tutte meravigliose, Nightmare
(che ho citato prima) è il singolo del nuovo CD, che
comprerò nientemeno che...a Londra *-* anche la canzone di
questo capitolo è loro, sempre del nuovo CD :) che ne pensi?
Un bacione a tutta la famiglia, poi ci sentiamo su feisbuc ^^
Tallie scosse la testa, sfiorando con la punta delle dita i riccioli
biondi sparsi sul proprio ventre. La stanza, intorno a lei, era illuminata da
un fuocherello allegro che rischiarava la penombra della notte, nella camera
piuttosto spartana che i narniani avevano concesso a lei e a Caleb.
Un letto, un tavolo, una cassettiera intagliata nel legno: lì finiva
l’arredamento, ma era meglio, sicuramente molto meglio rispetto alla nuda terra
della foresta.
-No. Se ne sta sugli alberi, non vuole parlare, né scendere.- mormorò,
arricciando appena le labbra, i capelli scuri lasciati per una volta sciolti
intorno al viso.
Incorniciavano quel visetto abbronzato in un modo particolare, secondo
Caleb. Scendevano in morbide ciocche corvine lungo gli zigomi, sfiorando le
guance levigate e dividendosi sulla destra, la frangia che continuava a
sfuggirle da dietro le orecchie.
Caleb sorrise, alzando con delicatezza una mano e lasciando che le
dita s'immergessero in quei sottili fili del colore dell'inchiostro,
raccogliendoli lentamente dietro l'orecchio piccino, minuto. Lo sfiorò con
appena i polpastrelli, sentendo la linea morbida e delicata dell'orecchio
scivolare morbida sotto il suo tocco, gli occhioni scuri di Talia che si
socchiudevano piano.
-Prima o poi scenderà, si stuferà di fare l'eremita.- mormorò, il
palmo che si riempiva della guancia di lei, la voce serena ed allegra che
scendeva come un balsamo a riscaldare il cuore dell'elfa, scorrendo lenta e
delicata fino al suo cuore.
-Riesci sempre a sdrammatizzare tutto, vero?- gli chiese lei, le iridi
corvine che si posavano con dolce ironia in quelle celesti del ragazzo, la
testa bionda e riccioluta posata sul suo grembo.
-E' quello che mi riesce meglio.- annuì convinto lui, arruffandole
giocosamente i capelli. Non avrebbe dovuto farlo: Talia brontolò un versaccio
indefinito, scacciandolo via e tentando di tirargli senza molta convinzione un
pugno, schioccando la lingua per la stizza.
-Mi spieghi perché io sto ancora qua ad accudirti? Sei guarito, stai
solo scroccando coccole!- mugugnò, nervosa, rivolgendogli un'occhiata di fuoco:
i capelli non doveva toccarli, non doveva assolutamente toccarli. Gli
avrebbe tagliato le mani, se lo avesse rifatto. Poco ma sicuro.
Ma Caleb rise, incosciente del pericolo che correva, le limpide iridi
chiarissime che la guardavano con tenerezza, dolcissime e carogne.
Perché non poteva guardarla così, non era leale. Non poteva scatenare quel
gorgoglio nel suo stomaco, con quello sguardo da cucciolo alto due metri e
bisognoso di affetto. No.
-Perché mi ami.- le disse, semplicemente, con un sorriso allegro
disteso sulle labbra rosee.
-Non cominciare mica a usarla come scusa, eh.- replicò lei, pronta,
sventolandogli minacciosamente un dito davanti al volto, le guance che
avvampavano e le mani che salivano nervosamente a sistemarle i capelli.
E la risata del biondo risuonò ancora, scatenando una reazione
terribilmente dolce nel suo corpo, il sorriso che, nonostante tutto, saliva ad
illuminarle il visetto abbronzato.
-Ti amo.- le sussurrò, teneramente, alzandosi appena sui gomiti per
accostare il viso a quello di lei, il sorriso appena bastardo una lieve ombra
sulle labbra. E prima che la giovane potesse ribattere, le sue labbra avevano
già catturato quella bocca calda e vivace, intrappolandola in un bacio giocoso
in cui si ritrovarono a rincorrersi, a cercarsi, le manine piccine e delicate
dell'elfa che andavano ad intrecciarsi con quei riccioli dorati.
-Non vale.- Talia si separò giusto un istante, la voce morbida e roca,
il respiro che si mischiava suadente a quello del biondo, la pelle tonica e
calda che scivolava sotto i polpastrelli.
-Sì che vale.- e Caleb la baciò di nuovo, lasciando che le loro labbra
si perdessero nuovamente, le lingue che intrecciavano un ballo tutto loro; una
danza dolce e frenetica che lasciò naufragare i loro pensieri in un mare di
respiri spezzati, di carezze che scendevano lungo gole morbide, di capelli che
s'intrecciavano alle dita.
Era difficile, crederci.
Era difficile accettare l'idea di essersi desiderati tanto, per così
tanto tempo; e non essersi mai rivelati l'uno all'altro, sprecando anni che
avrebbero potuto passare insieme – insieme, e non come compagni d'armi.
Era difficile, capire che quell'amore che tanto gli sembrava lontano
ed irraggiungibile, adesso era lì, fra le loro dita.
Era così facile, essere sé stessi.
Non erano cambiati, il loro atteggiamento non era mutato: ma era
cambiato il modo di guardarsi, la dolcezza con cui le braccia cingevano
l'altro, il sapore di quei baci tanto a lungo sognati – ed erano meglio, mille
volte meglio di quei desideri confusi, celati, soffocati dalla paura.
Era così facile, perdersi nell'altro, come se non avessero mai fatto
altro che appartenersi.
Era talmente bello, sapere di amarsi e non avere paura di rivelarlo,
di gridarlo anche al mondo intero. Lì, in quella stanzetta un poco angusta e
frugale nella cripta di Aslan, c'erano soltanto loro: solamente quei due
ragazzi che tanto a lungo si erano tacitamente amati, frenati dal terrore di
perdersi per sempre.
Ed i loro sapori si mischiavano l’uno all’altro, mentre il bacio si
faceva languido, intenso. Tanto intenso che Talia avvertì le orecchie appuntite
fremere, un brivido scendere lungo la nuca: tanto intenso, che quando Caleb si
alzò da dov’era disteso lei quasi non se ne accorse, finché le mani calde del
biondo non si strinsero sulle sue spalle, dolcemente.
Si sentì avvolta, protetta. Le mani di Caleb erano grandi, forti,
sicure: erano mani di un guerriero, ma allo stesso tempo erano morbide e
soffici come del più esperto amante. Lei, così piccina al suo confronto,
sembrava sparire in quei palmi, racchiusa delicatamente, come se fosse una
bambola.
Assaporava le sue labbra senza riuscire a stancarsene, a fermarsi. I
baci di Caleb erano intensi, di una lentezza che scendeva come miele bollente
fra le sue labbra, e via giù; nella gola, nel ventre, fino ad irradiarsi in
ogni millimetro del suo corpo.
Lui, soltanto con i suoi baci, riusciva a riempirla.
Lui, e lui soltanto, poteva farla sentire completa.
E lo avvertì sorridere, quando riemerse dal dolce stordimento che
quelle labbra soffici le causavano: lo avvertì sorridere, quando le sue dita
esili, piccine, s’immersero fra i suoi riccioli biondi, ed il suo corpo snello
si posò contro al suo.
Trattenne il respiro, Caleb.
Per un istante, il fiato nei polmoni aveva deciso di bloccarsi:
irrigidirsi, immobilizzarsi, quando la consapevolezza del corpo di Talia fra le
braccia raggiunse ogni sinapsi della sua mente, stordendolo con la violenza di
una mazzata.
Non era la prima volta, certo, che la stringeva contro di sé. Non era
la prima volta che sentiva quel corpicino magro e minuto adagiarsi contro il
suo petto, minuscola al suo confronto, calda e snella come una fata.
Ma stavolta aveva un significato diverso, quella vicinanza.
Stavolta non era un abbraccio, una stretta giocosa, amichevole.
Stavolta, sentiva quei seni piccoli e sodi adagiarsi contro il proprio
torace, premervi, trovare l’incavo perfetto dei suoi muscoli in cui andare a
modellarsi. Sentiva le gambe nude ed abbronzate sfiorare le proprie,
accostandosi a lui con una scioltezza inconscia, dettata dal trasporto dei loro
baci.
Sedeva, Caleb, la schiena addossata alla parete di pietra, le gambe
distese sul letto: ed improvvisamente si rendeva conto della vicinanza
pericolosa che lo stringeva a Talia, le sue mani traditrici che scendevano a
tirarla morbidamente contro di sé, il sapore di lei che lo stordiva, che
annebbiava i suoi sensi.
Si ritrovò fra le sue braccia, contro al suo petto, le gambe snelle
che sfioravano le sue. Si ritrovò a respirare irregolarmente, Talia, fra un
bacio e l’altro, le labbra morbide di Caleb una droga di cui non riusciva a
fare a meno. Non si separavano se non per pochi attimi, appena il tempo di
immettere aria, prima che le loro bocche tornassero a pretendere quel contatto.
Quel contatto che troppo a lungo avevano negato, e che adesso si era
fatto dannatamente indispensabile.
E c’era un’urgenza, nei loro gesti, che tradiva la paura.
La guerra incombeva, ormai: in pochi giorni si erano ritrovati nel bel
mezzo di uno scontro che avrebbe portato solamente a sangue, a morti, ad altro
dolore.
Avevano comprato la loro salvezza di comune accordo, ma al prezzo più
alto: avrebbero rischiato di morire, per una stupida crociata di un tiranno
contro della povera gente indifesa.
E loro potevano non avere più tempo, per provare quella gioia.
Poteva essere la prima e l’ultima volta che si stringevano l’uno
all’altra, mentre le mani esitanti ma bramose di Caleb sfioravano quelle cosce
scoperte, bronzee e soffici: irresistibili.
Poteva essere l’ultima volta: un traguardo ingiusto, per due anime che
troppo a lungo si erano amate in silenzio.
Eppure, aveva paura di toccarla.
Aveva paura di lasciarsi andare, di dare sfogo al desiderio
insopprimibile che per anni aveva costretto in un angolo della mente,
reprimendo le reazioni sempre più pressanti del proprio corpo.
Ma era così difficile…il suo autocontrollo stava svanendo, e quelle
manine eleganti sulle spalle, sulle braccia, sul petto, certo non aiutavano.
E Talia non voleva riprendere ragione di sé, non voleva fermarsi; non
era un pensiero accettabile, non era qualcosa che riusciva a comprendere, in
quella foschia densa d’amore che aveva stordito i suoi pensieri.
L’unica cosa che le interessava, ora, era non tornare alla realtà.
L’unica cosa che desiderava era annegare in quelle sensazioni che
palpitavano sottopelle, dove le dita di Caleb premevano tasti del tutto nuovi,
accendendo brividi e carezze mai provate.
L’unica cosa che le sembrava di aver sempre desiderato, era lui.
In quel momento, in quella stanza, in quella notte.
Tutto ciò che il suo cuore palpitante bramava era Caleb, il sapore di
quella bocca che non le bastava più. Voleva sentire quello della sua pelle,
voleva appartenere a lui, voleva che la sottile linea di confine fra i loro
corpi si confondesse fino a svanire, nelle fiamme di quel fuoco che
scoppiettava a qualche metro da loro.
Lo sentiva palpitare nelle vene, nelle arterie che vibravano appena
sotto la pelle così anomala, così scura, per una mezz’elfa.
Fare l’amore con lui.
Ecco, l’unico pensiero concreto dentro di lei.
Fare l’amore con lui.
Perdersi, e ritrovarsi, in quel perfetto miscuglio di labbra e sapori,
di lingue e mani che accarezzavano, esitando sull’orlo del desiderio.
La ragione non c’era più; la razionalità che le stava tanto cara, la
freddezza con cui per troppo tempo aveva cinicamente guardato il mondo,
scomparsa.
C’era solo lui.
C’erano soltanto quei soffici riccioli fra le dita, quel corpo
muscoloso che l’accoglieva contro di sé.
Le loro bocche affamate si separarono per qualche istante, le proteste
che risuonavano feroci nei loro cuori. Gli occhi si schiusero appena, adombrati
dal desiderio, i respiri caldi ed affannati si mischiarono in un fiato
soltanto.
Erano ad un soffio, i loro volti.
Poco più di qualche millimetro, le iridi annegate negli occhi
dell’altro.
Sentiva di potersi perdere, in quel mare azzurro.
Talia lo seppe in quello stesso istante: niente, mai, avrebbe potuto
eguagliare la dolcezza e l’amore che vibravano adesso in quei due oceani
celesti, in quelle iridi chiarissime che la guardavano così.
Così, come se finalmente non fosse stata un qualcosa a metà.
Così, come se alla fine avesse scoperto ciò che poteva renderla
completa.
Così, amata.
Restarono così, per una volta nessuna parola che spezzava il silenzio
carico degli scoppiettii delle fiamme. Restarono così, bevendo il respiro
dell’altro, assaporandolo, drogandosene fino a non riuscire più a distinguerne
la differenza dal proprio.
Rimasero a guardarsi per un tempo che parve dilatarsi, sembrare
immenso fra i loro sguardi.
Posso amarti?
Perché il terrore più grande era fare qualcosa che avrebbe potuto
ferirla, spezzare quel corpo tanto minuto, eppure tanto bruciante.
Amami.
Perché ciò che desiderava adesso, era solamente lui. Soltanto,
solamente, il suo amore.
Erano così calde, quelle iridi scure. Di una tonalità appena più scura
del nocciola, ma più chiara del bruno: non avrebbe saputo dare un nome a quel
colore, Caleb.
Ma avrebbe saputo dire quello che aveva riempito quei pozzi color
cioccolato. Lo sapeva con estrema chiarezza, come se quelle emozioni fossero
state sempre scritte lì, in attesa dell’unico che avrebbe mai potuto leggerle. Lui.
E non riuscì a resistere, a quel barlume di sorriso che apparve in
quegli occhi colmi d’amore.
Non riuscì a resistere, quando Talia, Talia, gli sorrise con spigliata dolcezza, un pizzico di dolce
irridenza in quelle scintille danzanti che le fiamme illuminavano dentro di
lei.
E prima di rendersene conto, le sue labbra avevano di nuovo catturato
le sue. Le avevano intrappolate in un bacio forte, tremendamente forte: un
bacio che le diede la scossa, che repentinamente la spinse a ricambiare con
pari impeto, sorpresa lei stessa di ciò che aveva potuto causare in lui.
E le dita forti di Caleb non si trattennero più, scendendo su di lei.
Le sentì tremare del suo stesso brivido, Talia, quando accarezzò per
la prima volta la clavicola esposta, evidente, che la pelle delineava alla
perfezione.
Indugiarono per un istante, quelle dita.
Indugiarono per sfiorare con timida dolcezza quella linea marcata,
seguendola con curiosità fino al punto in cui s’immergeva nella tunica bruna,
sparendo al loro tocco.
E un fremito più forte attraversò la ragazza, quando curiose
inseguirono quella linea, scostando con delicatezza la stoffa dalla sua pelle.
La sentì scivolare via, via da lei: un velo inutile che la separava da
Caleb, gli occhi chiusi che tremavano sotto le palpebre, il viso bruciante,
infiammato. E quelle labbra soffici, troppo soffici e troppo sensuali portavano
dolce oblio fra i suoi pensieri, abbandonando la sua bocca per esplorare la sua
gola, esposta – vulnerabile – da un lieve ciondolio del suo capino.
Avvertì il fiato caldo di Caleb sfiorarle la spalla, quando la veste
fu scostata di lato, la pelle completamente esposta. Non si sentì in imbarazzo,
quando avvertì anche ad occhi chiusi le sue iridi scendere ad accarezzarla, a
imprimersi ogni dettaglio di lei.
Lei, che da sempre si era considerata uno scherzo della natura, ora
sapeva di non poter essere altro che perfetta. Per lui.
Nemmeno si accorse, del movimento delle proprie mani.
Nemmeno si accorse di aver stretto fra le dita i lacci della veste di
Caleb, con una forza tale da riuscire a spezzarli.
Nemmeno li vide, i pezzetti di pelle scura cadere inutili sulle
lenzuola pulite. Non vi diede la minima importanza, perché sotto i polpastrelli
fini, delicati, sentiva formicolare una sensazione del tutto nuova.
Sentiva scivolare calda e tonica la pelle di Caleb, morbida ed
invitante come non avrebbe mai potuto immaginarla.
La sua mente riuscì a registrare soltanto quella sensazione, nei
propri gesti. Nient’altro, solo quel contatto: le sue mani, che sembravano
sparire sul suo petto come petali di giglio su d’uno specchio d’acqua, che
lentamente accarezzavano e scoprivano quel torace muscoloso.
Lo avvertì rabbrividire, nello stesso istante in cui qualcosa s’incendiò
sulla sua spalla.
Nel medesimo attimo, il tocco di Talia s’insinuò fra la casacca e la
pelle bollente del biondo, mentre le labbra di Caleb si posavano per la prima
volta su quella spalla bronzea, delicata, dalla linea morbida come un dolce pendio.
Era troppo.
Era un sogno, non c’era altra spiegazione.
Presto si sarebbero svegliati, presto si sarebbero guardati intorno e
tutto sarebbe scomparso, svanito nell’evanescente nebbia di quei desideri mai
svelati, di quell’amore da sempre nascosto.
Eppure, era così vero…
Era così dannatamente reale sentire l’umida morbidezza di quella bocca
sulla spalla, quella scia di baci sempre più bollenti discendere nuovamente la
clavicola, la tunica semplice che indossava che scivolava via, inutile.
Era così maledettamente vero, il petto che sentiva scorrere sotto le
sue mani, i solchi profondi dei muscoli, i brividi che nascevano dalle sue dita
per riempire quel torace statuario di pelle d’oca, di desiderio.
Non era, non era un sogno.
Era Caleb.
Caleb, che sfilava con delicatezza la tunica dal suo corpo.
Caleb, il viso immerso nella sua gola, le labbra che sommergevano di
baci la sua pelle fremente, sensibile, le mani forti che la stringevano sotto
di sé.
Caleb, che si separò da lei soltanto per lasciare che la propria maglia
fosse sfilata via, lampi sanguigni che coloravano di scarlatto quella pelle
chiara, affondando nei solchi profondi del suo torace.
Fremette, Talia, brividi bollenti che scendevano lungo la sua spina
dorsale.
Mai…mai si era resa conto realmente
del corpo di Caleb, della perfezione di ogni singolo muscolo, di ogni
scanalatura degli addominali scolpiti. Ignara, curiosa, impaziente, lasciò
scivolare le dita lungo il suo petto: dalle labbra, alla gola, sentendolo
fremere e vedendolo chiudere gli occhi.
Dalla gola, al petto, avvertendo un mugolio fra le sue labbra. Piccoli
disegni, arabeschi accennati, timidi, innamorati.
Dal petto, agli addominali. Quegli addominali che si contrassero al
passaggio delle sue dita sottili, come se scottassero, come se fossero
carbonelle ardenti che disegnavano un marchio su di lui.
Era così bello…
Si sorprese lei stessa di quel pensiero, gli occhi che tornavano ad
alzarsi su quel viso, trasalendo nel ritrovarsi in due morbide ed infuocate
iridi celesti.
Caleb.
La guardava, e soltanto adesso si rendeva conto di essere quasi nuda,
in braccio a lui, le gambe allacciate al suo ventre, il cuore che batteva
nell’incavo del suo petto.
Caleb.
Il suo volto era a poco più di un soffio dal proprio: poteva contare
le minuscole lentiggini ambrate sul suo naso, vedere la lieve barba ruvida
sulle guance chiare, sentire il respiro scivolare da quelle labbra rosee e
perfette.
Poteva distinguere sé stessa, in quei due frammenti celesti inchiodati
nei suoi occhi.
Caleb.
Caleb, che lasciò scivolare una mano sul suo visetto, dolcemente.
Stentava ancora a crederci, a convincersi di non sognare; ma Talia era
lì, lì.
Bella, calda, perfetta sotto le sue mani come la creatura eterea che
era, che lui aveva sempre potuto scorgere solo da lontano.
Era lì, con lui.
Era lì.
E sorrise appena, rabbrividendo quando il suo sguardo scorse il corpo
nudo della ragazza; il ventre piatto, l’ombelico rotondo e perfetto in quel pancino
morbido in cui affondare.
I fianchi, snelli, lisci sotto le sue mani, sotto le sue dita,
perfetti come un’opera d’arte.
E i seni – cielo… –, quei
seni sodi e snelli, quei seni che parevano soltanto aspettarlo, chiamarlo in
quella sconosciuta lingua che lo attirava a lei.
La guardò. La guardò per un tempo infinito, imprimendosi ogni più
piccolo dettaglio di quel corpo tanto meraviglioso, tanto perfetto – per lui,
quel corpo che era già suo, che Talia desiderava di donare a lui.
E seppe di essere l’uomo più fortunato del mondo, per meritare di
essere lì con lei, di essere la sua scelta – la scelta, del suo cuore.
E poi, con dolcezza, la baciò.
Posò con delicatezza le labbra sulle sue: un bacio tenero, dolce, un
bacio che accarezzò l’anima della mezz’elfa senza nemmeno sforzarsi. Era lì, il
suo spirito, il suo amore: moriva su quelle labbra, nella bocca morbida e calda
di Caleb.
E vincendo il timore, l’esitazione – ascoltando, ancora una volta, il
desiderio, Caleb posò le mani sulla sua vita esile, continuando a baciarla
mentre con tutta la dolcezza di cui era capace la posava fra le lenzuola appena
stropicciate, il torace muscoloso che delicatamente si premeva su quello di
lei.
Trattenne il respiro, Talia, beatamente confusa nella dolcezza di quel
bacio.
Lo sentiva sopra di sé, sentiva il suo corpo tonico e statuario
premere sul proprio.
Sentiva gli addominali scolpiti premersi sul suo ventre, il torace
andare a stringersi al suo seno; trovando quel gioco, quell’incastro perfetto
che lasciò combaciare i loro corpi, le gambe toniche dell’elfa che s’intrecciavano
alle sue.
Lasciò scorrere dolcemente le braccia muscolose sulla schiena nuda di
Talia, Caleb, stringendola contro al proprio petto, sorprendendosi ancora una
volta di quanto sembrasse minuta al suo confronto.
Era così piccola…
Come avrebbe fatto a non romperla, se solo l'avesse toccata appena un
poco di più? Se solo le sue carezze si fossero fatte più audaci, se solo il suo
desiderio avesse distrutto le briglie in cui lo tratteneva?
Accostò con delicatezza il volto ai profumati capelli della mezz'elfa,
premendo le labbra fra quei crini scuri e soffici. Socchiuse appena gli occhi,
godendosi la sensazione di quel corpo flessuoso premuto sul suo: i seni
abbronzati si adattavano al suo petto, sembravano fatti apposta per combaciare
con i solchi del suo torace, con le mani ampie che vi si racchiudevano con
morbidezza.
Era così bella…
Talia era stata il suo sogno per anni...per anni, l'aveva guardata da
lontano, terrorizzato alla sola idea di rivelarsi e perderla, e sentire
il cuore andare in frantumi al suo rifiuto.
Per anni, si era limitato a sognare quella pelle che ora scorreva
morbida sotto i suoi polpastrelli.
Per anni, aveva immaginato il sapore di quelle labbra, l'aspetto
delicato e tonico di quel corpo piccolo e scattante.
-Caleb...- per anni, aveva sognato quella morbida voce chiamarlo in
quel modo, quel visetto affilato eppure terribilmente dolce abbandonato nel
piacere, quelle labbra ora gonfie di baci – dei suoi, baci.
Gli occhi castani si schiusero, rivelando una luce del tutto nuova,
una luce diversa: la luce che le sue carezze accendevano in lei, che ardeva nel
suo cuore oramai lasciato a briglia sciolta, nel sorriso che non voleva saperne
di abbandonare le sue labbra.
Era lì.
Era lì, con lui.
Tutto ciò che aveva sognato, sperato, desiderato di più negli ultimi
cinque anni, adesso era dinanzi a lei. Era quell'abbraccio in cui era stretta,
quel petto che copriva il suo corpo mezzo nudo, quelle labbra che vagavano con
delicata morbidezza sulla sua pelle.
Era lì.
E tutto il resto, davvero adesso non importava.
-...non mi rompo, sai?- sussurrò, un sorrisetto ironico disegnato su
quelle labbra che lui amava, quel sorriso irresistibilmente Talia, quel
sorriso talmente suo che Caleb non poté far altro che sentire il cuore
accelerare bruscamente, innamorato.
E quelle iridi calde gli davano quel tacito permesso che aveva il
terrore d'infrangere; il permesso di amarla, il permesso di accarezzarla, di
essere suo e di renderla sua allo stesso tempo.
Quelle iridi nere, gli sussurravano la sicurezza che non si sarebbero
mai più cercati; ma, solamente, trovati.
E Caleb semplicemente la guardò per qualche istante, gli occhi celesti
pieni di un amore e di una felicità terribilmente limpide, chiare, cristalline
come il cielo. La guardò, prima che il desiderio si facesse troppo forte, la
guardò come soltanto lei poteva guardare, l'unica donna che avrebbe mai potuto
amare nella sua vita.
Il bacio che seguì, fu qualcosa di completamente diverso.
Fu irruente, fu bramoso, fu un sussulto di gioia e di sorpresa nel
corpo esile di lei. Ma sorrise, Talia, riconoscendolo anche in quel gesto, le
braccia che si allacciavano alle spalle di Caleb mentre il suo intimo scivolava
via, lasciandola per la prima volta nuda dinanzi ad un uomo.
Al suo, uomo.
All’unico che avrebbe mai desiderato, in tutta la sua lunghissima
vita.
A Caleb.
E imbarazzo, lei non lo provò.
Non provò l’istinto di coprirsi, non provò disagio, quando lo sguardo
dolce e caldo di Caleb ammirò delicatamente la sua nudità, il suo essere donna,
trepidante donna in attesa di amare.
Avvertì solamente un sorriso germogliare sulle sue labbra, raro fiore
mai colto che sbocciava – rosso, rosso come il sangue, quando i loro corpi
diventarono uno soltanto.
La prima sensazione, fu dolore.
Un dolore lontano ed estraneo che pareva non appartenerle, sordo a
quell’unica lacrima che scese lungo la sua guancia.
Fu la sofferenza di un giglio appena colto, macchiato dal sanguigno di
un sole morente.
Non avrebbe voluto, avrebbe dovuto controllarsi: ma non riuscì ad
impedire al proprio corpo d’irrigidirsi, alle unghie di serrarsi sulle spalle
del biondo, le labbra strette e gli occhi strenuamente chiusi.
Si detestò, in quell’istante.
Perché lei aveva amato un uomo soltanto, e quell’uomo era sempre stato
lui: e mai aveva permesso a qualcun altro di avvicinarla, il cuore che si
dibatteva furioso dentro di lei ricordandole incessantemente a chi avesse
deciso di appartenere.
Si detestò, perché la sua inesperienza rischiava di rovinare tutto
quanto, di spezzare quegli istanti meravigliosi che l’avevano portata ad essere
sua.
Sua.
Soltanto quando quella parola echeggiò nella sua mente, si accorse che
Caleb non si era più mosso.
Schiuse gli occhi, sentendoli lucidi, appannati, cercandolo – un terrore,
in fondo al cuore. La paura di averlo deluso, di aver distrutto quelle ore,
giorni, anni, che avevano passato fino a quel momento là, in quella stanzetta
oscura della Cripta di Aslan.
Ma non trovò delusione, nelle iridi di zaffiro che amava.
Nemmeno la più minuscola traccia.
Sorpresa.
Caleb si puntellò appena sui palmi delle mani, terrorizzato all’idea
di pesarle troppo addosso, di farle del male.
…e gioia.
In quelle iridi calde, del colore del cioccolato, Caleb vide
confusione. Vide paura, vide imbarazzo – per la prima volta, quella notte –,
vide vergogna…ma avvertì il cuore palpitare, quando si rese conto che Talia…che
Tallie non…
Sorrise, un sorriso immenso pieno di tutta la gioia che provava in
quell’istante, quando comprese che Talia, nei suoi tantissimi anni di vita,
aveva sempre aspettato lui.
E sapeva come rassicurarla, come farle capire che quell’inesperienza
era per lui il dono più bello, più prezioso, che lei avrebbe mai potuto fargli:
era la sua purezza, il suo candore, che adesso gli donava senza remore né riserve,
nuda e libera nel suo abbraccio. Nel suo
posto.
-Ti amo.-
E quelle due parole scesero come un balsamo sulle labbra di Talia,
quando un nuovo bacio le coinvolse in una danza del tutto nuova, del tutto
diversa.
Scesero come caldo miele lungo il suo corpo, mentre le lingue
ballavano intorno a quelle fiamme morenti che illuminavano i loro corpi nudi,
la schiena marmorea di Caleb che la nascondeva, avvolgendola.
Scesero, a sciogliere quel nodo di paura e vergogna che attanagliava i
suoi muscoli, lasciando dietro di sé soltanto il più puro dei piaceri.
E finalmente trovò il coraggio di rispondere davvero a quel bacio,
immergendo le dita sottili di una mano fra i riccioli arruffati di Caleb.
Finalmente, trovò in quel cuore nudo, nudo quanto loro, l’amore che la
spinse a stringersi di più a lui, il ventre che si muoveva per cercarlo –
sorridendo, beata, quando il calore di quell’unione si irradiò in tutto il suo
corpo, riempiendola.
E poi fu un rincorrersi di baci, e di carezze.
E di dolci spinte.
Furono occhi che si specchiavano, furono iridi brucianti di desiderio
ad amarsi in uno sguardo.
E di passione che
bruciava, lenta e languida.
Furono sorrisi e morsi, furono unghie che graffiavano, mani che si
chiudevano sui seni, il piacere che bruciava – forte, sempre più forte.
E amore, annegato nell’oceano
del piacere più immenso.
Due corpi che si confondevano, che si mischiavano.
E le anime scambiate, e i
cuori confusi l’un l’altro.
E poi fu un nuovo bacio a sciogliersi, ad irrompere nel sangue con la
prepotenza di un terremoto.
Fu quel nuovo bacio, a suggellare per sempre la loro unione.
E, finalmente, fu amore.
.
.
.
.
.
-Sono una frana.-
Una risata. La sua, risata.
-Non è vero. Sei perfetta.-
Talia arrossì furiosamente, appallottolandosi contro il petto di
Caleb, imbarazzata. Non era abituata ai complimenti, non era abituata ad essere
bella agli occhi di qualcuno.
Allora era così, l’amore.
Si sentiva una sciocca.
Per anni, aveva sognato quel momento. Per anni aveva immaginato quelle
mani scivolare sulla sua schiena, accarezzandola soltanto con la punta delle
dita, mandandola in estasi. Anni, passati a sognare qualcosa che era sempre
stato lì, in punta di piedi, nel suo cuore.
Era…era la sensazione di
esistere.
Lei, in quel momento, esisteva.
Si sentiva concreta, avvolta da quelle braccia forti, il viso
abbandonato sul petto di Caleb: era vivo, vero, palpitante, il battito che
avvertì sotto le labbra, quando baciò la pelle tonica che lo nascondeva ai suoi
occhi.
Era con lui, con Caleb.
E questo, le dava la sensazione di essere completa.
-Sono una nana.- borbottò, accarezzando il ventre del ragazzo,
avvertendo i muscoli del proprio corpo rilassarsi sotto i grattini di lui.
-Talia.- fu il tono serio della sua voce, a farle alzare lo sguardo,
curiosa.
Dio, quant’era splendida.
C’era morbidezza, nei suoi tratti. C’era la dolce consapevolezza dell’amore,
scritto in ognuno dei suoi lineamenti distesi e abbandonati nel calore che li
avvolgeva completamente, distaccandoli dal mondo.
Era bella, era più bella che mai.
Era sua.
-Sei meravigliosa. Così come sei.- le sussurrò, accarezzando quegli
spettinati crini corvini che le ricadevano intorno al volto, sentendoli segosi
sotto le dita.
Ridacchiò, l’elfa, alzando il volto per posare un morbido bacio sulle
sue labbra.
-Tu non sei imparziale.- mormorò, ridendo quando Caleb le impedì di
allontanarsi, intrappolandola in una sfida di lingue, denti e labbra da cui lei
non volle sottrarsi.
-Continuerò a non esserlo.-
Un sorriso, caldo e
innamorato nel buio della notte.
-Potrei abituarmici.-
E vibrava amore, nelle
corde di quelle parole senza senso, ma piene di quel sentimento che aveva
concesso l’uno, all’altra.
Si accoccolò come un gatto contro al suo petto, Talia, tremando di
gioia quando il battito forte e profondo del suo cuore rimbombò nei suoi
polmoni, nella sua carne. Il torace di Cal premeva sulla sua schiena, avvertiva
il suo volto sulla nuca, il respiro che le solleticava la pelle nuda.
Sorrise, quando le braccia di Caleb si strinsero intorno a lei,
racchiudendola in un saldo abbraccio che l’accolse in tutto il suo calore, in
tutta la sua sicurezza.
Per la prima volta, adorò sentirsi così piccola, al suo confronto.
Perché Caleb era la sua sicurezza, la sua roccia: lei, che da sempre
si era ostinata a credere di bastare a se stessa, adesso avvertiva la netta
sensazione che, senza di lui, tutto sarebbe andato distrutto.
In primis, il suo cuore.
Un lieve bacio si posò nell’incavo del suo collo, mentre due lievi
parole scivolavano come miele lungo la sua gola, fin su, su fino all’orecchio.
-Ti amo.-
E sorrise ancora, Talia, intrecciando le braccia alle sue e posando
appena le labbra sulla spalla su cui riposava, avvertendo il suo volto
immergersi nei propri capelli.
Il fuoco oramai languiva, nel buio. La melodia dei loro respiri
spezzati aveva lasciato spazio ad un morbido silenzio, saturo d’amore e di un
petto muscoloso premuto sulla schiena, la sensazione di essere a casa che riempiva vivida la sua mente.
Avvertì il sorriso imprimersi sulle labbra, quando nell’ultimo barlume
di fuoco abbandonò i sensi al sonno, al calore, alla dolcezza di
quell’abbraccio…e all’amore, che ancora forte saturava ogni sua parte,
riempiendola di lui.
Ti amo anch’io.
.
.
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.
.
.
.
.
My
Space:
Ce l'ho fatta!!!!!
Ormai non ci speravo più di finirlo, questo capitolo ^^""""""""""""
Okay, cosa vi devo dire? Direi che si spiega ampiamente da solo, sono la bellezza di quindici pagine ^^"
A
dirla tutta, mi è piaciuto scrivere questa scena. Ho paura di
come possa essere uscita, non ne ho idea, ma mi è piaciuto
davvero tanto tanto. Forse perché, come si sarà capito,
è dedicato alla mia gem, la Donna della mia vita, la Luce delle mie giornate. La mia Kiks, in sostanza. Dire che la amo, penso sia proprio dire poco pochino. <3
Da
bon, passando alle cose serie: il prossimo capitolo è già
scritto, grazie alla Dea - anche se non l'ho scritto del tutto io,
anzi: il mio è solo un piccolo pezzo, e noterete il cambio di
tastiera dal cambio di scrittura. Siore e Siori, il prossimo capitolo
è stato scritto nientepopodimenoché dalla Fla, circa un
annetto fa (giorno più, giorno meno ^^").
Vi assicuro che ne vale la pena, eccome xD
Bon, ho finito: risponderò domani alle recensioni, ora vo a nanna, che sto crollando - ma quando mi prendono i raptus grafomani, c'è poco da fare ^^"
Caspian
sospirò, alzando pazientemente gli occhi nerissimi sulle
folte
fronde della quercia che lo sovrastava, intravedendo una macchia rossa
nel
verde carico delle foglie.
-Siria,
sono due giorni che stai lì sopra, puoi scendere?- le
chiese,
non senza una punta di disperazione.
La
vide scuotere vigorosamente la testa, le braccia che si stringevano
maggiormente intorno alle ginocchia, i lunghi capelli rossi che
l’avvolgevano
in un bozzolo scarlatto.
Non
poteva scendere.
Non
poteva, non poteva mettere a rischio tutti quanti.
Si
strinse maggiormente su se stessa, accoccolandosi contro
quell’albero che le aveva fatto da casa, negli ultimi due
giorni.
Non
poteva rischiare di perdere di nuovo il controllo…
Aveva
sentito la sua voce,
dopo quello scontro con il biondo.
L’aveva
sentita, viva e
terribile dentro di lei, come un mostro in attesa di dilaniare le sue
carni per
uscire, per distruggere tutto quello che stava faticosamente costruendo.
Era
lì.
Il
suo incubo più grande, il suo terrore, si era affacciato
pericolosamente
alla soglia della realtà.
Per
questo, non poteva
scendere.
Doveva
reprimere quella bestia dentro di sé, prima che le sfuggisse
di
nuovo, prima che potesse ferire qualcuno.
Prima
che potesse fare del
male a Caspian…
-Aspetta,
ci penso io.- avvertì la voce allegra di Talia intromettersi
inaspettatamente in quel dialogo univoco.
Aveva
una voce strana, Talia…
Suo
malgrado, Siria si sporse per osservarla, curiosa.
Sorrideva,
Tallie; sorrideva di un sorriso che non le aveva mai visto,
sorrideva di un sorriso che le sembrava di conoscere…
Perché
era lo stesso
sorriso che lei stessa faceva, fra le braccia di Caspian.
-Sir,
Caleb ed io abbiamo fatto sesso!-
…
-CHEEE!?-
Caspian
udì chiaramente un violento tramestio di foglie, seguito da
un’imprecazione piuttosto colorita che riuscì a
strappargli un sorriso. E poi
la vide sussultare violentemente, perdere la presa sul ramo e scivolare
dal suo
trespolo solitario.
Sorrise,
quando senza nemmeno volerlo Siria gli piombò fra le
braccia,
aggrappandosi istintivamente alle sue spalle, i capelli tutti arruffati
davanti
al viso.
-Presa
al volo.- ridacchiò, sentendo il respiro tornare a fluire
intensamente nei polmoni, il cuore accelerare quando il visetto timido
e
imbarazzato di Siria fece capolino da quei crini scarlatti.
Sparita.
Arrossì
ancor più furiosamente, Siria, quando si ritrovò
fra le
braccia del suo principe.
Sparita.
Era
completamente sparita, quella sensazione.
Tutto
quell’odio, quella rabbia, quel rancore…era tutto
scomparso,
nello stesso istante in cui Caspian l’aveva presa fra le
braccia.
Scomparsa.
Sorrise,
imbarazzata, scostando con le lunghe dita chiare i capelli
arruffati dal viso. Caspian la guardava, ridacchiando – senza
prenderla in
giro, semplicemente sollevato dal poterla stringere di nuovo, dal
riaverla fra
le braccia. La guardava, e lei diventava rossa. Anche troppo.
Possibile
che quegli occhioni le facessero sempre quell’effetto!?
-Visto?
Bastava solo un giusto incentivo.- fu l’esilarato e pungente
commento di Talia, a riportarle alla mente un dettaglio importante;
decisamente, importante. Fondamentale.
Caspian
si lasciò sfuggire una risata, quando vide le iridi blu
della
sua compagna assottigliarsi come quelle di un rapace, in direzione di
una Talia
improvvisamente molto meno euforica.
La
posò con delicatezza a terra, incrociando un attimo dopo le
braccia
sul petto, ben conscio di quello che stava per succedere.
Ed
infatti, dopo un attimo di immobilità, Siria si
fiondò addosso
all’amica ad una velocità assurda, bloccandola
prima che potesse sparire –
senza averle raccontato ogni minimo particolare di quel che era
successo,
soprattutto.
-Tu.
Adesso. PARLA!-
.
.
Quella
giornata pareva tranquilla, dopotutto.
Peter
si era ritirato, con alcuni soldati, in una radura poco distante
dalla cripta; la scusa ufficiale era che voleva organizzare un gruppo
scelto di
combattenti esperti, in caso di guerriglia.
In
realtà, non riusciva più a sostenere il peso
delle occhiate severe
di Shaylee.
La
ninfa non gli aveva rivolto molto la parola, negli ultimi due
giorni; si era limitata, ogniqualvolta il Re Supremo tentava un timido
avvicinamento, a scoccargli sguardi infuocati capaci di farlo
vergognare. A
Shaylee non era per nulla piaciuto il litigio con Siria, sebbene fosse
convinta
che la colpa non fosse tutta del Re Supremo: erano stati due testoni, e
come
tali si erano scontrati, e scornati.
Lui,
Peter il Magnifico, distrutto dagli occhi di una donna.
Quella
sera li avrebbero raggiunti anche loro, Siria compresa.
Controvoglia, Peter aveva chiesto anche della presenza sua e dei suoi
compagni
mercenari: nonostante nessuno dei due ne fosse particolarmente
entusiasta,
dovevano imparare a collaborare…o quantomeno, a sopportarsi
quel tanto da non
darsi addosso in continuazione.
Tentava
di placare il nervosismo, Siria, mentre lucidava con
accuratezza la propria spada: era un rituale che la calmava, quello di
occuparsi delle sue armi. Aveva già preparato dei nuovi
dardi per la faretra,
intrecciando le piume scarlatte e annodandole, avendo cura di levigare
il legno
e pareggiare la lunghezza delle penne.
Seduta
a gambe incrociate sull’erba, era totalmente assorbita dalla
sua occupazione, per la prima volta da giorni davvero calma, pacificata.
Era
bello, vederla finalmente più tranquilla.
Caspian
sorrise lievemente, osservandola. Era così tenera, in quel
momento, la lingua fra i denti e l’espressione decisa, le
dita che, armate di
cencio, strofinavano una macchia più ostinata delle altre
sull’acciaio lucente
di Kain.
Era
uno dei rari momenti di vera quiete, quello: i soldati stavano
mangiando,
sparsi un po’ in tutto l’accampamento, Talia e
Caleb erano scomparsi (non aveva
intenzione di chiedere dove, Siria; perlomeno, non in quel momento), e
lei e
Caspian si erano appartati all’ombra di alcuni aceri,
approfittando della pace
per stare un po’ insieme.
Le
bastava la presenza, del suo principe, per essere immensamente
più
tranquilla.
Caspian
non pareva essersela presa. Non sembrava arrabbiato, con lei
si comportava nello stesso modo che aveva sempre usato: dolce,
protettivo,
galante, il suo principe non sembrava covasse rancore per quei due
giorni di
solitudine.
-Non
sei arrabbiato, vero?- la voce di Siria fremette appena, quando
gli occhioni blu si alzarono indecisi sul volto sereno del ragazzo.
Caspian era
disteso al suo fianco, le palpebre socchiuse e le iridi nere immobili
su di
lei; pareva non stancarsi mai, di
guardarla…arrossì, la raminga, quando le dita
sottili del principe le sfiorarono delicatamente una guancia.
-Dovrei?-
le chiese, serenamente, la voce un balsamo per il cuore
pauroso della sua compagna.
La
sua compagna.
Era
così tremendamente meraviglioso, sentire proprie quelle
parole…
Aveva
rischiato di mandare in pezzi tutto quanto, dopo la terribile
lite fra la sua ragazza e Peter.
Aveva seriamente rischiato di finire il lavoro che Siria aveva
iniziato, e
certo non si sarebbe limitato ad un graffietto sulla guancia.
Era
stato solo grazie a Talia ed Aaron, se il principe Caspian aveva
evitato di lasciarci prematuramente le penne. Di nuovo.
-Non
lo so.- fu la risposta timida e angosciata della rossa, le mani
affusolate che posavano la spada. Si accoccolò accanto a
lui, posando la testa
sulla sua spalla, chiudendo gli occhi quando le dita del suo principe
s’immersero in quel mare scarlatto, mandandola in estasi.
-Ehi.
Non sei l'unica a voler stare da sola, quando ti fanno del
male.- le dita della raminga si strinsero appena sul petto di Caspian;
ma
immediatamente, la mano del ragazzo le racchiuse in una stretta salda,
sicura,
una stretta che riuscì a riempirla, a farla sentire di nuovo
se stessa.
-Mi
dispiace.- mormorò, schiudendo timidamente gli occhi ed
alzandoli
verso il volto del principe.
Ma
Caspian sorrise, accarezzandole il volto e riempiendosi il palmo di
quella guancia soffice, candida, alzando appena il volto e posandovi un
lieve
bacio a fior di labbra.
-Non
c'è problema. La prossima volta, però, stiamo da
soli insieme.-
Lì,
in quella
radura poco inoltrata nel bosco, non molto lontano dalla cripta che
faceva da
rifugio ai Narniani, una parte dell’esercito era appostata,
mentre il resto
sorvegliava la base. Tutti discutevano, litigavano, si sfogavano senza
preoccuparsi di alzare la voce o meno, di produrre versacci udibili
anche a
miglia di distanza. Dopotutto, era notte inoltrata; nessuno sembrava
riuscire a
dormire, troppo frastuono, troppa confusione, troppo turbamento.
In
primis, quelli
che polemizzavano sopra a tutto e tutti erano il Re Supremo e il
Principe.
Peter
e Caspian,
dopo l’assedio, non si davano pace; continuavano a darsi
contro per ordini,
decisioni, o semplici futilità; in tal modo, rischiavano
seriamente di dividere
l’esercito in due fazioni, senza pensare che, in una
situazione simile, era la
prima cosa da evitare: erano in pochi e molti anche feriti, se avessero
spinto
anche le milizie a scontrarsi tra loro..beh, Narnia sarebbe stata per
sempre
sotto il potere dei Telmarini; poco ma sicuro.
Quella
che più ne
risentiva era probabilmente la Naiade: legata alla natura
più di chiunque
altro, sentiva e percepiva l’inquietudine di ciò
che li circondava.
Sbuffò,
spazientita
come poche volte, ai battibecchi dei due regnanti e in risposta alle
risate di Siria e Talia,
accompagnate da
quelle della loro banda.
Sarebbe
intervenuta
lei a separarli, se non ci avessero pensato già Edmund e
Susan, come lei
esasperati dal loro atteggiamento alquanto infantile. Almeno, li
avevano
bloccati in tempo prima che estraessero le spade...
Non
potevano
continuare così. Tutta quell’agitazione non faceva
bene a nessuno, soprattutto
perché avrebbero dovuto prestare attenzione a ben altro,
piuttosto che
discutere; Shaylee, all'ennesima rispostaccia di uno dei due,
sospirò ancora,
spazientita.
Era
ora di darci un
taglio.
Silenziosamente,
i
passi felpati ed eleganti, s’inoltrò ancora di
più in quel bosco che conosceva tanto
bene, i suoni dell'accampamento che abbandonava sempre più
attutiti, lontani.
Due
occhi color del
mare, però, la seguirono attenti, interrogativi.
.
Peter
guardò
Caspian, lanciandogli l’ennesima occhiata omicida, alla quale
il moro rispose
senza remore. A volte sembravano due bambini alle prese con un
giocattolo:
testardi all’inverosimile, senza mai un accenno di
arrendevolezza.
Susan
alzò gli
occhi al cielo, sedendosi sull’erba vicino ad Edmund, poco
distanti dai
mercenari, mentre Caspian vagava per
l’accampamento improvvisato
sicuramente
diretto verso Siria.
Peter, invece,
guardava un punto
indefinito tra gli alberi, gli occhi assenti, incantati; era immobile,
attento
e concentrato come un vero guerriero. La mano sinistra stringeva
l’elsa della
spada, il pollice poggiato sulla raffigurazione di Aslan...colui che in
quel
momento avrebbe dovuto essere al loro fianco, per salvare quella terra
meravigliosa. E che non c’era.
Mille
pensieri
riempivano la testa del Re Supremo, quelli più urgenti
rivolti alla figura
eterea scomparsa tra le piante.
.
Una
melodia
improvvisa riempì l’aria, facendolo sobbalzare.
Era
dolce, sinuosa,
morbida e avvolgente; arrivò istantaneamente alle orecchie
delle creature
presenti nella radura, chetandole all’istante.
Quei
suoni, quelle
note cullanti, calmarono gli animi dei combattenti, entrando nelle loro
menti,
riscaldando i loro cuori e tranquillizzandone gli spiriti.
Li
investì come un
fiume in piena, rendendo soavi e attutiti tutti i suoni circostanti,
come se
una soffice nube accerchiasse quel luogo e inebriasse i sensi.
Ad
accompagnare la
musica, un delicato profumo di ninfee, sfuggente, esaltante, si espanse
in
tutta la foresta, producendo un effetto ancora maggiore di quiete.
Siria
e Talia
alzarono entrambe lo sguardo, rapite.
Conoscevano
quella
musica, quelle sensazioni di pace così estranee ai loro
animi perennemente
all'erta; era l'effetto di una magia delicata, gentile. La magia della
Naiade.
D'istinto,
senza
averlo premeditato, Siria cominciò a cantare.
La sua
voce era qualcosa
di unico: dolce e aggressiva, carezzevole e graffiante, come il
miagolio
soffuso di una gatta; penetrava senza difficoltà in tutti
gli esseri, dando
piacere all’udito e riposo alla mente.
Caspian
alzò lo
sguardo, sorpreso. Non si sarebbe mai aspettato di sentirla cantare
così...dolcemente; sorrise, incontrando i suoi occhi sereni,
tranquilli, che lo
guardavano con quell'intensità che aveva imparato ad amare,
dandogli la strana
sensazione di essere il fortunato uomo a cui quel canto senza parole
era dedicato.
A
seguirla c’era la
mezz’elfa, che con i suoi movimenti sinuosi, eleganti e
travolgenti, si muoveva
in una danza assolutamente ammaliante, capace di rapire gli occhi e
scacciare i
pensieri oscuri. Tutto ciò, insieme, portò a poco
a poco tutti i soldati a
cadere in un mondo di sogni e piaceri.
I
mercenari
cedettero ad un sonno profondo, accompagnati da Susan, distesa di
fianco
sull’erba umida, ed Edmund, in posizione supina. Soltanto
Caleb rimase sveglio,
incantato ad osservare i movimenti lenti e sensuali della sua
mezz'elfa,
ammaliato dai capelli scuri che ballavano intorno al suo volto
affilato, perso
nel rimirare i fianchi che delicatamente danzavano nell'aria. Talia
aveva gli
occhi chiusi, l'espressione serena; non l'aveva mai, mai vista
così bella.
Socchiuse
gli occhi
con l'immagine splendida, impressa nella retina, della donna che amava,
della
donna a cui da poco, dopo anni di silenzio, aveva rivelato
i propri sentimenti; e in
pochi istanti,
il sonno colse anche lui.
Lo
stesso Caspian,
affascinato dalla voce della rossa, si sedette accanto a lei e si
addormentò
quasi subito, la testa posata sulla spalla di Siria, ancora presa dalla
musica
e dal canto.
Tutti,
finalmente,
parvero tra le braccia di Morfeo. Solo una figura, alta e slanciata, si
stagliava
tra i suoi sudditi: Peter continuava ad essere turbato, ma stavolta,
questa
inquietudine era dettata dalla mancanza della ninfa, che sembrava non
tornare.
-Non
stare lì
impalato! Valla a cercare, stupido di un Re!- la voce di Siria, che
aveva
smesso da pochi istanti di cantare, gli giunse prepotente alle
orecchie, ora
accompagnata solo dalla musica avvolgente. Si voltò di
scatto verso la rossa,
inarcando un sopracciglio, vedendo al contempo Talia acciambellarsi tra
i suoi
compari, in mezzo a Caleb e sua sorella.
Peter
volse di
nuovo lo sguardo verso il punto in cui Shaylee era svanita, inghiottita
dalle
tenebre della foresta. Un brivido di preoccupazione lo
attraversò; un brivido
freddo che fece sussultare il suo cuore.
Si
avviò
velocemente tra gli alberi, sperando di ritrovare la naiade prima che
le
succedesse qualcosa di spiacevole.
-E, se
tu non
l’avessi ancora capito, segui la musica!- sentì
urlare dalla voce potente e
sarcastica di Siria.
Scosse
la testa,
chiedendosi quanto ancora doveva sopportarla, ma decise comunque di
considerare
con serietà il suo consiglio.
Avanzò
tra le
piante, scavalcando radici, scostando rami, felci e rovi, domandandosi
come
Shay potesse essere passata per quei punti senza problemi, nel totale
buio.
Ovviamente,
pensò,
lei conosceva quei boschi come solo le creature della natura erano
capaci. Non
si limitavano a guardare, no; loro apprendevano, comprendevano
qualunque cosa
appartenesse a quella terra. Ogni albero, foglia, insetto o sasso,
veniva
percepito, riconosciuto...amato.
.
Continuava
a
camminare, scrutandosi attorno.
La
foresta pareva
addormentata: amava assaporare il silenzio degli alberi durante la
notte, era
una cosa che chiunque fosse stato a Narnia avrebbe adorato; era lo
stesso
silenzio dolce e morbido della nursery di un bambino, mentre la madre
lo
accarezza gentilmente sulla testolina dalla rada peluria bionda, mentre
si
addormenta accoccolato vicino ad un giocattolo.
Gli
alberi
immobili, come non era più abituato a vederli, parevano
sussurrare, seguire i
suoi passi attutiti nel sottobosco fatto di foglie, erba secca e
soffice
muschio. Si sentiva osservato, come se creature invisibili
accompagnassero il
suo percorso, conducendolo dalla Naiade.
Seguiva
ancora la
melodia e si avvicinava, percepiva il cuore di essa avvicinarsi sempre
di più.
Vide
una luce
filtrare e, spinto da un istinto insopprimibile, la raggiunse.
Lì,
a pochi passi
da lui, seduta su un masso accostato alla riva di un meraviglioso
laghetto,
c'era Shaylee.
Istintivamente,
il
re Supremo trattenne il fiato, davanti a quell'immagine così
semplicemente
bella.
La
Naiade era
accoccolata morbidamente sulla roccia levigata dall'acqua, le gambe
abbandonate
con grazia lungo il profilo della pietra. La pelle chiara, eburnea,
risplendeva
quasi traslucida, accarezzata con dolcezza dai morbidi raggi lunari che
si
specchiavano in ogni singolo, perfetto dettaglio sullo specchio d'acqua
limpida. Il corpo, fasciato di quell'abito di poco più
chiaro della sua pelle,
era nulla più del naturale prolungamento della natura, come
se appartenesse a
quel luogo,a
quello scenario così
bello - bello quasi da star male, mentre un soffice calore avvolgeva il
suo
cuore in una sensazione mai provata.
Le
spalle scoperte
erano illuminate dalla Luna, infima in confronto alla bellezza di
quella
creatura così pura, così candidamente
meravigliosa.
I
lunghi capelli,
di quel color oro brunito, seguivano alla perfezione ogni lineamento
della sua
schiena, del suo collo fasciato con eccellenza dal colletto dell'abito.
Gli
occhi erano
socchiusi, e le dita affusolate accarezzavano morbide le fessure di un
flauto
di legno, accostato con dolcezza alle sue labbra delicate.
Tutt'intorno
a lei,
danzava l'acqua.
Zampilli
sottili e
sinuosi s'innalzavano nell'aria, seguendo le note dolci e lente di
quella musica
gentile, ballando intorno alla figura eterea della Naiade ed
attorcigliandosi
in decine di complicati arabeschi iridescenti. I raggi della Luna li
attraversavano a momenti, illuminando l'acqua trasparente, appena
più densa
dell'aria, di riflessi perlacei.
Peter
s’incantò su
quella figura angelica, quasi irreale.
Non
riusciva a
distogliere lo sguardo, totalmente rapito; le labbra carnose erano
appena
dischiuse, curvate in un dolce sorriso che inconsciamente era nato
sopra di
esse.
Shaylee
continuava a
suonare, le dita affusolate che scivolavano leggere sullo strumento, la
testa
che si muoveva appena al ritmo di quella melodia suadente, incantante.
Sentiva
un forte
desiderio nascere dentro il
suo
animo: voleva, doveva avvicinarsi a lei.
La
mente sembrava
non riuscire, non voler, pensare ad altro; si lasciò guidare
dal suo corpo e
con passi lenti, misurati, la distanza tra loro si assottigliava.
L’erba
accarezzava le calzature del Re: umida, fresca, il terreno soffice
attutiva i
rumori delle sue movenze. Respirava sommessamente, con prudenza, come
se un
respiro appena più forte potesse distruggere quella visione.
Seguì
con gli occhi
blu tutto il fisico della fanciulla, soffermandosi sulla curva
accentuata dei
seni, sul ventre piatto e i fianchi sinuosi, sui quali non
c’era più traccia di
ferite, sulle gambe tornite, fasciate appena da quella veste semplicecoperta in vita da una
striscia di cuoio,
alla quale erano appesi il fodero per il flauto e quello del pugnale,
con arma
annessa. Scese poi con lo sguardo verso le sue caviglie, i piedi che sfioravano
l’acqua, creando
con lievi tocchi cerchi concentrici su di essa.
Shaylee
sembrava
non averlo sentito.
Era a
meno di un
metro da lei, quando si fermò di botto. Sentiva il profumo
delicato della
Naiade, che, accostato alla sua soffice figura, lo mandava totalmente
fuori
controllo.
Sospirò
appena,
avvicinandosi ancora di un passo.
In
quel momento gli
zampilli che prima danzavano attorno alla creatura di fronte a lui gli
si
avvicinarono, accostandosi e fuggendo un istante più tardi.
Lingue d’acqua
creavano una danza intorno al corpo del ragazzo; i riflessi perlacei
della luna
che li attraversavano andavano ad infrangersi sulla pelle appena
bronzea di
Peter, creando un contrasto sublime.
E
notò subito come lo scenario, intorno a lui – a
loro -, fosse mutato.
Le
foglie seguivano la brezza lieve, tiepida, leggera; una carezza che si
mischiò alla freschezza di quelle gocce, un
fruscìo che si univa alla
musica, accompagnando le note del flauto a risvegliare, intorno a loro,
Narnia.
Perché
la Natura rispondeva a quella musica antica, i rami degli alberi
parevano muoversi in armonia con quella melodia dolce, suadente,
surreale; l'acqua danzava, i fiori sembravano riprendere vita e
colorarsi, come da troppi secoli non succedeva, di quelle tinte che
donavano a quei luoghi mistici un'irrealtà che mai, da
nessuna altra
parte, sarebbe mai potuta esistere.
I
fili d'erba ondeggiavano come un mare smeraldo e le gocce di rugiada
catturavano i raggi lunari più vivi che mai, combinati alla
luminosità
di una moltitudine di lucciole, in quella notte fatata.
Ogni cosa
era avvolta in quell'incanto oramai dimenticato - un incanto, che
soltanto chi aveva conosciuto l'Antica Narnia poteva ricordare.
E
Peter, Peter ricordava.
Peter
sentiva.
Avvertiva
la magia formicolare nel suo respiro, sulla sua pelle; quella magia che
soltanto chi ha amato Narnia può rievocare, quella magia che
scorreva
in ogni singolo tronco, in ogni filo d'erba tanto bello da fare quasi
male agli occhi.
La
natura rispondeva alla melodia della Naiade, risvegliandosi nella danza
di quelle note troppo, troppo a lungo sepolte nella mente dei
Narniani.
Le
iridi del re Supremo tornarono ad alzarsi sulla ninfa, incapaci di
restarne separate troppo a lungo.
E
incontrarono i
suoi occhi dorati.
Lo
sguardo della
Naiade era indecifrabile per lui, ma…era dolce,
deliziosamente dolce. Poteva
notare senza difficoltà tutte le sfumature, tutti gli screzi
marroncini
presenti in quei pozzi dal colore dell’oro fuso. Era un mare
in cui perdersi,
in cui affogare con dolcezza.
Continuavano
a
fissarsi, lui ancora ammaliato da tutto ciò, lei
misteriosamente eterea, mentre
la melodia non terminava, continuando a vibrare intorno a loro insieme
a quella
strana sensazione, quell’alchimia che era venuta a crearsi.
La
luce lunare
s’infrangeva sulla pelle d’avorio del viso di lei,
accentuandone i lineamenti
delicati e morbidi.
Peter
avrebbe
voluto stringere e sé quel corpo flessuoso, soffice e
immergere le mani nei
suoi capelli, affondare il viso nel suo collo, aspirare il profumo
delicato che
lo inebriava, lo mandava in estasi.
S’impose
di non
farlo; non seppe come, ma si fermò.
Non
riuscì però ad
evitarsi di alzare una mano e prendere tra le dita una ciocca di quei
capelli
dal colore unico, morbidi, segosi come non aveva mai neanche immaginato.
La
Naiade, a quel
tocco, richiuse gli occhi, perdendosi nella miriade di sensazioni che
le
provocavano: il cuore che aumentava il battito
all’inverosimile, il sangue che
scorreva più velocemente nel corpo, e il
calore…quel dolce tepore assolutamente
sublime che la invadeva nel modo più completo, partendo dal
cuore e diramandosi
ovunque; come, d’altronde, stava succedendo al biondo.
Giocò
qualche secondo
con quei crini bruni, prima di poggiarli dietro la spalla di Shaylee,
che
dentro di sé tremò quando lui sfiorò
con le dita la spalla scoperta di lei,
risalendo appena verso il collo.
La
musica cambiò in
modo impercettibile, divenendo ancora più travolgente,
calda, con una nota di
vivacità in più; l’acqua
percepì questo cambiamento, poiché gli zampilli
si
mossero con una velocità di poco maggiore intorno alle due
figure.
E fu a
quel punto
che Peter cedette.
Era
riuscito a non
farsi prendere da quella melodia, ma adesso che essa era diventata
più
coinvolgente e sembrava rispecchiare appieno le sue sensazioni,
combaciandovi
perfettamente, non riuscì più a resistere e con
lentezza si abbassò,
stendendosi sul terreno appena più umido del resto, coperto
dall’erba ricolma
di rugiada.
Si
addormentò così, assuefatto dalle note incalzanti
e dalla visione di pochi
istanti prima, vicino a quel masso che ospitava la creatura
più bella che
avesse mai visto.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Our
(xD) Space:
Fla:
Ok, B vi avrà avvisato che questo capitolo l'ho scritto
quasi interamente io...... se siete arrivati fino a qui complimenti! O
avete uno stomaco molto forte, oppure, magari, non è
così raccapricciante.
Speravo non lo postasse, ma quella bionda non mi da mai ascolto
>________<
Come avrete sicuramente notato, il rapporto tra Shay e il mio amato Re
si sta leggermente evolvendo. Ma ci sono ancora un paio di punti che
bisognerà chiarire prima che quei due -forse- si trovino.
Si, siamo bastarde...consapevolmente. U_U
Spero che questo pezzo sia stato in grado di descrivere bene la
situazione che ho immaginato...e siate clementi, per favore.
Maaaaaaaaaaaaaaao ç___ç
Buongiorno
e bentornata!!!!
Allora, sono contentissima che il capitolo fra Talia e Cal ti sia
piaciuto tanto; a dir la verità, è stato uno di
quelli che più ho amato scrivere xD in più, posso
assicurarti che di miele ce ne sarà parecchio, con questi
due qua sopra U.U
Ti ringrazio per i complimenti *arrossisce*
Sono allergica alle melensaggini, cerco sempre di evitare lo zucchero
troppo melenso ^^" a quanto pare non sono l'unica!!! ^^
Ehi, se vuoi, c'è la mia pagina di FB ^^ siamo tutte e tre
lì xD
tesoro!!!
^^
Eccoli qua, mancavano giusto questi due a completare il quadretto
romantico Narniano xD
Cosa ne pensi? La Fla non voleva mica che lo pubblicassi, a me piace
però O.o
Bah, insicurezze d'autore xD
Un bacione!
Regalino
di BENTORNATA a casa xD
Va beh che tu questo capitolo lo conosci già....
La caduta di Siria è fenomenale zizi U.U
E Peter e Shay....BAAAAAAAAAAAH! Diamo una martellata in testa al
Supremo Idiota U.U
Looooooove you <3
Finito
xD
Allora,
altre notiziole:
Ho
pubblicato una mini longfic, dal titolo Phoenix,
nella sezione delle fanfiction sugli attori; inutile dire che ci sono
William e Ben, neh? xD Il prossimo capitolo arriverà a breve
*annuisce convinta*
La
mia pagina di Facebook la trovate invece QUI;
sono sempre lì, se avete bisogno lasciate un messaggio,
risponderò sicuramente ^^
Altra
notiziola: sono orgogliosa di mostrarvi alcuni disegni assolutamente
meravigliosi fatti da una carissima amica, Romina ^^, sulle tre balde
giovini di questa storia xD visto che sono carogna, gli ometti ve li
tengo per il prossimo =P
.
_
devo solo sottolineare una cosa: Shaylee ha gli occhi dorati, non azzurri ^^"
Le
giornate si
susseguivano rapide ed intense, all’accampamento dei
Narniani. I guerrieri si
allenavano duramente, molto più di quanto non avessero mai
fatto prima
d’allora; Lucy Pevensie li vedeva lottare, vedeva i loro
volti contratti dallo
sforzo, il sudore imperlare le fronti dei combattenti. Li osservava
crollare
esausti, la sera, dopo un parco pasto e un sorso di vino dinanzi al
fuoco.
Si
allenavano, si
preparavano per la guerra che incombeva come una malefica ombra su di
loro. La
respiravano nell’aria stessa, nel fumo dei piccoli fuochi
delle vedette, nel
sapore amaro del cibo. Sapevano, come la piccola Regina, che le
battaglie si
avvicinavano ogni giorno un poco di più.
Ma
Lucy non riusciva a non
sorridere, nemmeno in un clima tanto pesante. Sentiva intorno a
sé la presenza
della sua stessa casa, del luogo a cui apparteneva: talvolta le pareva
ancora
di scorgere la criniera dorata di Aslan, danzare fra le fronde scosse
soltanto
dal vento degli alberi.
Era
a casa.
Di
più: era a casa, e
aveva molte questioni a cui pensare.
I
guerrieri sorridevano,
vedendola sfrecciare allegra fra loro, quasi saltellando in mezzo alle
armi che
non la inquietavano, non quanto avrebbero dovuto. A Lucy non piaceva la
guerra,
ma sapeva che in quel caso era inevitabile: tante volte, durante il
regno suo e
dei suoi fratelli a Narnia, aveva affrontato battaglie e guerriglie che
li
avevano sempre visti vincitori.
Lucy
non combatteva, non
ne era ancora in grado: quindi, aveva necessariamente dovuto trovarsi
un hobby,
in quei giorni.
E
il passatempo più
interessante di tutta Narnia era proprio lì, in quella
manciata di metri
quadrati in cui poteva tranquillamente osservare la nascita di tanti di
quei
legami, da far girare la testa a chiunque.
Si
sedette serena sul
muretto dove aveva passato tante giornate, assorta nei suoi pensieri e
sulle
persone che la circondavano.
Nemmeno
a farlo apposta,
una delle sue vittime più interessanti attirò
quasi immediatamente la sua
attenzione, un sorrisone immenso che riempiva il visetto chiaro della
piccola
Pevensie.
Incrociò
le gambe sulla
pietra grezza, gli occhioni celesti che osservavano con palese
soddisfazione il
ragazzo che l’aveva appena superata, seguito da
un’altrettanto interessante
ragazzina bionda.
Edmund.
Edmund
nemmeno si era
accorto, di quanto la presenza della piccola Tara gli stesse diventando
sempre
più indispensabile.
Si
erano avvicinati
qualche tempo prima, mentre Tara passava a Siria –
ostinatamente appollaiata
sul suo albero, dopo l’accesa discussione con Peter
– un cestino con qualche
vivanda e un po’ d’acqua.
.
Scende
dall’albero, Tara, tradendo l’agilità
che i tanti anni passati in compagnia di
Talia le hanno concesso. Non fanno quasi rumore i suoi piedi, quando
atterra
morbidamente sul soffice sottobosco di foglie secche.
Quasi.
-Che
cosa succede?- la mano sottile di Tara corre
allo stiletto in vita, sfilandolo dal fodero ad una velocità
quasi innaturale.
È piccola Tara, è poco più di una
bambina: ma già conosce bene, quanto infidi e
cattivi possano essere gli uomini.
Ma
subito, si accorge che la persona che l’ha
scoperta non è un nemico. Lo riconosce immediatamente,
quegli occhi sono troppo
particolari: hanno una tonalità che le ricorda
l’autunno, la sua stagione
preferita. Un caldo, vivace marrone intenso, vicino al nocciola.
Re
Edmund.
Non
abbassa la guardia, Tara, quando rinfodera il
pugnale. Non lo conosce, non sa come comportarsi con lui: per quanto ne
sa,
potrebbe anche essere d’accordo con Peter, nel detestare a
priori la sua amica.
È
affezionata, lei, a Siria. Lei e Talia sono
state un po’ madri e un po’ sorelle maggiori per
lei, in quegli anni.
-Non
lascio morire di fame le mie amiche, non per
un idiota.- risponde, cauta, non senza evitare una caustica allusione a
quel
Supremo Imbecille.
Edmund
inarca un sopracciglio, dinanzi a quella
ragazzina tanto singolare: non ha mai visto una ragazza come lei,
nemmeno Lucy
ha quella lingua tanto tagliente. La sua sorellina è
più tenera, Tara invece ha
già perso il candore della fanciullezza.
-In
teoria sarebbe mio fratello.- un lampo
d’inquietudine, negli occhi celesti della ragazzina.
Ma
poi, un sorriso. Un sorriso nel volto magro e
già adulto di Edmund, illuminato dall’ironia di
quei caldi occhi nocciola.
-Concordo,
sull’idiota.-
.
Sorrise,
Lucy, nel vederli
così vicini, così impegnati; così uniti,
soprattutto.
Se
ci fosse stato il
tempo, se fossero rimasti a Narnia…chissà.
Magari, un giorno, Re Edmund avrebbe
cominciato a vedere Tara sotto occhi ben diversi.
-Posso
aiutarti?- il
sorriso malandrino della piccola Pevensie si allargò
istintivamente, quando una
voce ben diversa raggiunse le sue orecchie fini.
-Io…sì,
ti ringrazio.- si
voltò di scatto, appena in tempo per distinguere un lieve
rossore imporporare
le guance candide di sua sorella, gli occhi azzurri che brillavano di
una luce
tutta nuova.
Eccone
altri due, si disse
con un sorriso. A Narnia stava sbocciando la stagione degli amori, a
quanto
sembrava.
Aaron
raccolse con un
braccio soltanto il fascio di frecce appena caduto a Susan, gli occhi
celesti
che sorridevano in direzione della Regina più grande di
Narnia. Lucy si lasciò
sfuggire un ghigno, quando vide un timido sorriso apparire sulle labbra
della
sorella, il rossore che si accentuava e le dita che sfioravano appena
la gonna
dell’abito.
Andava
avanti così da
giorni, ormai.
Aaron
era un uomo
discreto, di questo Lucy se n’era accorta immediatamente: e
soprattutto, non
era affatto uno stupido. Si era accorto subito della reticenza che
Susan usava
con tutti gli uomini che si avvicinavano, della paura che la coraggiosa
Regina
provava nei confronti dei sentimenti e dell’amore.
Lucy
lo sapeva bene, Susan
in realtà era terribilmente fragile; non si sarebbe mai
lasciata avvicinare da
nessuno, il terrore di perdere se stessa e il controllo sulle proprie
emozioni
era qualcosa che superava persino il bisogno di amare.
Ma
Aaron lo aveva capito,
con una rapidità che aveva quasi dello strabiliante. Lucy
aveva visto diversi
ragazzi provare a corteggiare sua sorella, senza mai un risultato, un
accenno
d’interesse corrisposto: Susan si era guadagnata la fama di
algida, di
altezzosa – quando in realtà, la sua era soltanto
paura.
E
Aaron aveva imparato a
comprendere i suoi silenzi, le sue reticenze; era riuscito ad
insinuarsi nella
stretta cerchia di persone a cui Susan concedeva un sorriso, a cui
permetteva
di lasciarsi avvicinare, di lasciarsi coinvolgere in discorsi che
duravano
anche delle ore.
Era
stato talmente bravo,
accorto e discreto, che soltanto Lucy si era accorta di quanto Susan
s’illuminasse, alla presenza del rosso; eppure Aaron si era
semplicemente
comportato con lei come avrebbe fatto con chiunque altro,
guadagnandosi, senza
davvero far molto, la fiducia della reticente Regina.
Sarebbe
stato
interessante, vedere le reazioni di Peter nell’accorgersi di
quanto un altro
uomo – il fratello di Siria, per di più!
– fosse riuscito ad avvicinarsi alla
sua iperprotetta, inavvicinabile sorella.
-Mancato!-
-Coglione!-
Lucy si lasciò
sfuggire una risata, quando distinse un qualcosa
di non meglio identificato sfrecciare nell’aria calda e
fragrante del
pomeriggio, diretto verso una riccia testa di capelli biondi.
Si
voltò, appena in tempo
per vedere Caleb prendere al volo il qualcosa (rivelatosi un pezzo di
una
qualche armatura presa chissà dove) e ridere, esilarato,
all’espressione
palesemente di rimprovero di Talia.
-Io
mi chiedo chi me
l’abbia fatto fare di trovarne uno come te!-
borbottò l’elfa, le guance rosse e
l’espressione furiosamente imbarazzata. Chissà
cos’aveva combinato il biondo…di
sicuro, era riuscito a farla arrossire: qualcosa di più
unico che raro, per
l’imperturbabile e ironica Talia.
-Ammettilo,
queste mie
uscite ti fanno sol che piacere.- il biondo scoppiò a ridere
quando Talia, con
uno dei suoi movimenti fulminei, gli arrivò addosso e
cominciò a tempestarlo di
pugni – pugni senza forza, senza davvero la traccia di astio.
-Ma
questo lo dici tu! Sei
un…- quello che Caleb era Lucy poté soltanto
immaginarlo, perché Caleb – bravo
ragazzo, decisamente un bravo ragazzo – aveva zittito le sue
proteste in quel
modo che pareva tanto efficace.
Rise,
Lucy, quando vide la
mezzelfa irrigidirsi appena fra le braccia muscolose del biondo; e
abbandonarsi
un istante più tardi, rispondendo a quel bacio solo in
apparenza prepotente con
la stessa decisione, con la stessa passione.
Almeno
qualcuno era
felice, in quell’accampamento di cuori che agognavano
l’amore.
Talia
e Caleb erano una
ventata d’allegria, in quel clima di guerra e di amori non
corrisposti; era
impossibile non affezionarsi a quel gigante biondo, dagli occhi
così buoni, e a
quella ragazza tanto spigliata quanto irriverente.
Si
amavano così tanto, si
erano amati per così tanto tempo prima di
dichiararsi…
Il
loro era un amore puro
e sincero, limpido come l’aria ma irremovibile come la
roccia; era un amore di
risate, di serenità, di una complicità maliziosa
ma irresistibile.
Erano
belli, da guardare;
erano un pezzo di gioia in un collage di guai.
Era
un piacere, anche,
guardare Caspian e Siria insieme. Erano una soddisfazione vera e
propria, tanto
quanto Talia e Caleb; facevano sperare in bene anche per gli altri,
quelle due
coppie di innamorati.
Sorrise,
Lucy,
osservandoli da lontano mentre si allenavano;
era un allenamento decisamente inutile, a suo parere, visto che Caspian
pareva
del tutto incapace di impegnarsi seriamente in un duello contro di lei.
O
forse era solo istinto
di autoconservazione, il suo: probabile, vista
l’abilità di Siria come
guerriera. Lucy non aveva mai visto nessuno combattere come lei, o
quasi; c’era
una rabbia nei suoi fendenti, nelle sue stoccate, una furia a stento
repressa
che si rifrangeva nella violenza con cui maneggiava
quell’inquietante spada
nera.
Era
una creatura strana,
quella ragazza.
Passava
quasi tutto il suo
tempo in solitudine, ad allenarsi da sola o con la selezionata
compagnia dei
suoi compagni; eppure, la vicinanza del principe la trasformava in una
donna
completamente diversa, strappandole sorrisi anche imbarazzati che
parevano così
fuori posto, sul suo viso. Era fredda con chiunque, specialmente con i
suoi
fratelli maggiori; ma con Caspian ed i suoi amici, pareva aprirsi come
un fiore
in sboccio. Era una contraddizione, quella mercenaria; già
solo il senso di
giustizia che trapelava dalle sue azioni tradiva il suo stesso lavoro,
che di
giustizia ne aveva ben poca…
Era
tante persone diverse,
quella giovane.
C’era
la guerriera, la
combattente valorosa che si era battuta al castello di Miraz,
guadagnandosi il
rispetto delle creature di Narnia.
C’era
l’orgogliosa, che
non permetteva a nessuno di sottometterla con arroganza, sfidando anche
insensatamente una persona come Peter, riuscendo persino a far breccia
nello
stesso orgoglio di suo fratello.
C’era
il mistero; Siria
nascondeva qualcosa, le parole di Cornell erano state cristalline.
C’era
qualcosa, nel suo passato, che aveva segnato per sempre il buio in
quegli occhi
talvolta talmente cupi da spaventarla. Come si poteva soffrire
così tanto? Lucy
non lo sapeva.
La
guardò incespicare,
inciampata in un colpo piuttosto infido ma innocuo del principe; ma il
sorriso
sulle loro labbra lasciava intendere che il loro non fosse altro che un
gioco,
una scusa abbastanza plausibile per finire a rotolarsi
nell’erba – cosa che
stavano facendo, ridendo come due bambini.
C’erano
tante cose, in
Siria; ma l’unica che contasse davvero era la luce che la
riempiva quando si
trovava insieme a Caspian, lasciando emergere la ragazza dolce e
persino timida
che alla sua età avrebbe dovuto essere.
Ci
si poteva fidare, di
lei. Qualunque cosa celasse nel suo passato, Lucy ne era certa: non
c’era
cattiveria, in quella giovane che adesso rideva, una risata rapita
dalla bocca
dell’uomo che amava.
Assomigliava
così tanto a
Peter, Siria.
Lo
stesso carattere, lo
stesso orgoglio, la stessa testardaggine; il tormento, negli occhi a
parimenti
chiari e tempestosi, la stessa innata scioltezza nei movimenti e
nell’eleganza.
Se fossero riusciti ad andare d’accordo, sarebbero stati
un’accoppiata
formidabile: due personalità come le loro avrebbero potuto
determinare persino
la vittoria contro Miraz.
Ma
Peter, al momento, non
sembrava molto incline a deporre l’ascia di guerra nei
confronti di Siria
(tantomeno la rossa, che ancora scoccava sguardi a dir poco acidi nei
suoi
confronti); il biondo Re era troppo impegnato a struggersi, a
struggersi per un
amore che non aveva nemmeno riconosciuto in se stesso.
Lucy
sospirò, affranta,
lanciando un’occhiata al torrente che affluiva al lago, poco
lontano dalla
cripta; là, seduta sulla riva, i piedi immersi nelle acque
limpide, c’era
Shaylee.
Quei
due erano due
dannatissimi rompicapi, bisognava dirlo.
Lucy
non sapeva più che
cosa fare; ad ogni passo avanti che riusciva a convincerli a compiere,
ce n’erano
subito due indietro che buttavano all’aria tutto il suo
faticosissimo impegno
per farli finire insieme.
Perché
sì, quei due dovevano finire
insieme; se lo sentiva
dentro, la piccola Pevensie. Quei due erano perfetti l’uno
per l’altra.
Eppure
parevano così
maledettamente stupidi…
Peter
era totalmente
incapace in campo amoroso; in battaglia era invincibile, fiero e
maestoso come
il condottiero più abile…ma quando si trattava di
faccende di cuore, ecco
tornare a galla il ragazzo dolce e un po’ impacciato che Lucy
amava tanto.
Il
suo fratellone era
innamorato, non c’era più alcun dubbio.
Chiunque,
in quell’accampamento,
aveva ormai capito che gli occhi celesti del Re Supremo, solitamente
imperturbabili, si ammorbidivano e si riempivano di tormenti di ben
altro
calibro in presenza della naiade.
Eppure
non si faceva
avanti, eppure non si costringeva ad ammettere quello che provava
– né a se
stesso, né a lei.
Stupido,
adorabile fratellone…
E
Shaylee…Shaylee aveva
paura, una paura matta. Se n’era resa conto immediatamente;
in quegli occhi
limpidi c’era terrore, c’era un rifiuto di tutto
ciò che era amore che non
aveva mai distinto in nessun altro.
La
ninfa era rimasta
bruciata, nel suo passato aveva amato e aveva perduto; Lucy se
n’era resa conto
ormai già da molto tempo, di quanto la sofferenza e la
malinconia velassero
ogni azione di quella ragazza.
Shay
non ne parlava
volentieri con nessuno, mai; ma la piccola era una buona ascoltatrice,
oltre
che un’irrimediabile ficcanaso, e aveva colto alcuni stralci
delle brevi,
lapidarie conversazioni che la naiade aveva avuto con Siria.
Il
compagno di Shaylee era
morto durante le battaglie coi Telmarini, così come i suoi
genitori erano
periti durante l’invasione di Narnia.
Ora
Lucy capiva benissimo
cosa avesse generato l’odio tremendo che
all’inizio, Shay aveva covato nei
confronti degli antichi Re e Regine; il loro abbandono, seppur
involontario, le
aveva causato così tanto dolore…
Eppure
adesso sembrava
andare un po’ meglio, se non altro; con lei, con Edmund, con
Peter anche…solamente
Susan era ancora decisamente ostile alla ninfa.
Ma
con Peter, con Peter
qualcosa stava succedendo.
Siria
si era rivelata una
fonte inestimabile d’informazioni, oltre che decisamente
convinta, come lei,
che quei due dovessero finire insieme al più presto. Le
aveva raccontato di
quella notte nella foresta, quando Peter aveva seguito la musica della
Naiade;
e infatti, da quella notte, Shay si era mostrata più
amichevole con suo
fratello, rivolgendogli anche qualche raro sorriso.
Qualcosa
era cambiato,
quella notte; sicuramente, era servita perché Peter si
rendesse realmente conto
di quello che provava per Shaylee.
Ma
era un così
stupidissimo testone, quando ci si metteva…
Ma
Lucy sorrise, quando la
soluzione perfetta ad ogni dilemma si presentò, chiara e
cristallina, ai suoi
limpidi occhi celesti.
Quella
notte, Shaylee
sarebbe stata di guardia al lago, come ogni sera.
Bene.
Casualmente,
per opera di qualcuno, un qualche
problema avrebbe
spinto il Re Supremo di Narnia ad avvicinarsi a quelle sponde, dopo il
tramonto…
Sì,
si disse, mentre un sorriso appena malefico si
disegnava sul suo visetto.
Sarebbe
finito tutto nel migliore dei modi: con un inizio.
.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
buooondì ^^
sì, si sentono i cori dell'alleluia, ho
aggiornato ^^"
ma domani comincio una sessione di 4 giorni di
esami, tutta una storia lunga e astrusa...quindi aggiorno oggi,
sperando sia di buon auspicio ^^"
Cosa dire di questo capitolo? Beh, innanzitutto che
è il ventesimo xD E soprattutto, è tutto
incentrato su Lucy; piccola, perfida, geniale Lucy Pevensie
*muhahaahahhahahah*
Lucy analizza un pò tutti quanti,
facendo anche un "punto della situazione"...qualcuno
esulterà per Aaron e Susan, ne sono certa xD
Che bello vederti qui *W*
E soprattutto, che bello vedere che ti piace la mia storia *.* del
fandom di Narnia siamo poche, però è bello
conoscersi ^^
Per la trama, il mio intento era proprio questo: dare a
Narnia uno stampo più...più da adolescenti quali
i Pevensie e Caspian sono xD a proposito! Ho iniziato ieri sera
"L'ultima battaglia", gli altri li ho letti tutti quanti *W*
Per Peter...eh, mi hai beccata xD il rapporto fra lui e Siria
è un pò quello di due grossi tori che si
scornano: il loro rapporto si evolverà parecchio,
diventeranno qualcosa di tremendamente coccolo ed esilarante xD
Penso che questo capitolo ti piacerà; ti ho pensata mentre
lo scrivevo, sai? E' tutto su Lucy, piccolo demonio adorabile *W* Spero che ti piaccia, questo chappy ^^ e sono
taaaanto contenta che ti piaccia la mia Rebirth *.* un bacione!
(e sì, appena finisco gli esami passo dalla tua shot,
promesso!!!! ^____^)
eccomi qua, ormai non ci si
sperava più ^^"
Siria e Caspian come Bunny e Milord *-* oddio checcarini *-*
(il mio amore per Milord aumenta ogni giorno xD)
Sai che sto rompendo le scatole alla Fla con la storia del cocker? E'
troppo divertente maltrattare Will *risata molto malefica*
hai visto? Ci avevi preso su Aaron e Susan xD Aaron è
lì apposta, ma ti lascio immaginare Siria e Peter, quando lo
scopriranno....xD
Spero che ti sia piaciuto questo capitoolo...sto adorando Lucy, non so
se l'ho mai detto xD
Un bacione e un abbraccio forte forte <3
Eccola, ce l'ho fatta,
nonostante morsi vari e non morti che distraggono U.U
Questo non l'hai letto, non del tutto almeno; Lucy è un
genio U.U
e anche Tara, con l'uscita del Supremo Imbecille xDDDD io l'avevo detto
che l'avrei messa *risata malefica*
Ci sentiamo su msn noi due xD <3
Ti ringrazio per i
complimenti, magari un pò di autostima entra in quella testa
della Fla -.- xD a me personalmente quel pezzo è piaciuto
tantissimo, ma sai, l'autostima manca sempre agli autori esordienti ^^"
Il passaggio nella cassapanca ancora non l'abbiamo trovato, ma ora sto
andando in giro a divellere quadri con ambientazioni marittime nella
speranza di finire a Narnia e farmi salvare dal prode Re Caspian xD non
farci caso, è un completo sclero pre esami ^^"
Spero che anche questo chappy ti piaccia; è un momento di
calma, non hai idea di quanto sia stato difficile scriverlo ^^"
Un bacione, e grazie!!!!
Qui potete trovare una mise direi adatta alla mia signora in rosso xD Siria
Il
lago era l'unico luogo che la tranquillizzasse,
che riuscisse a lenire almeno in parte quella sofferenza che prepotente
risiedeva nel suo cuore da troppi giorni, ormai.
Si
era lasciata gli alberi dietro di sé, mentre
lentamente si accostava alla riva. I piedi ora nudi si adagiavano
accuratamente
tra la ghiaia umida, le mani a tormentare la veste chiara, gli occhi
incantati
a fissare l'acqua cristallina dai riflessi perlacei, lunari.
Sorrise
amaramente, sospirando.
Arrivò
a farsi sfiorare dal liquido trasparente,
che l'accoglieva e accarezzava come una mamma; Shaylee tante volte
aveva
ringraziato l'elemento che le era così tanto caro, per
averla sostenuta, senza
abbandonarla mai; tantomeno nel momento del bisogno.
L'acqua
s'innalzò in dolci spirali, arabeschi
sinuosi che con i riflessi argentei la sfiorarono, rincuorandola.
-Buonasera
anche a te,
amica mia.- sussurrò la ninfa sorridendo, dolce suo
malgrado, sapendo che
poteva gettare tranquillamente la maschera senza rischiare di essere
pugnalata,
senza la paura di mostrarsi debole.
La
Luna piena, quella notte, illuminava il lago di un’insolita
bellezza.
Shaylee
avvertiva chiaramente la sensazione gioiosa che pervadeva lo
specchio d’acqua, gli zampilli che danzavano
nell’argentea luce di quell’astro
immenso, più grande di quanto non lo ricordasse; lei poteva
capire, lei poteva sentire l’impaziente
gioia del suo
elemento, riunito con la Madre di ogni cosa.
Si
lasciò sfuggire un sorriso; un piccolo sorriso terribilmente
tirato, stanco, provato da troppi pensieri e da troppa sofferenza. Una
sofferenza che martoriava lenta e sadica il suo cuore spaventato,
tremante, un
cuore che più d’ogni cosa temeva di essere ferito
ancora, di essere abbandonato
ancora.
L’acqua
danzava, danzava felice nella luce perlacea della Luna.
-A
volte vorrei essere come te…non avere più il peso
di questo corpo,
di questo cuore.- mormorò la ninfa, la dolcezza degli
arabeschi che le
accarezzava appena le spalle, rincuorandola come la stretta di
un’amica.
Mosse
un altro passo sulla sabbia morbida, sentendo la dolce frescura
dell’acqua accarezzarla, accoglierla in un abbraccio che per
lei era caldo
quanto quello di un compagno.
Un
compagno che sentiva sempre più lontano…una
persona che aveva amato
tanto, che aveva significato tutto, per lei. E che ora, non
c’era più.
I
suoi occhi dorati si socchiusero appena, sofferenti, quando
ricordò…quando i pensieri tornarono
inevitabilmente su quell’argomento.
Lui
le era stato
portato via, tanti anni prima. Erano stati i telmarini ad ucciderlo,
durante le
battaglie che le naiadi avevano combattuto per strappare agli uomini il
controllo sulle foreste, su Narnia. Battaglie che erano state inutili,
battaglie che avevano portato solamente troppo dolore…
I
Pevensie se n’erano andati, e Narnia era piombata nel caos.
Dalle
altre terre erano giunti signori e mercenari, decisi a
conquistare e depredare tutto ciò che i quattro Re avevano
faticosamente
ricostruito; dopo la tirannia di Jadis, i Narniani avevano davvero
sperato che
la pace regnasse felice in quei luoghi…
I
Pevensie avevano abbandonato Narnia a quei mostri, finché i
più
spietati fra loro non avevano primeggiato sugli altri.
I
Telmarini avevano ucciso, avevano saccheggiato, avevano persino
distrutto Cair Paravel: e avevano ucciso lui,
l’unico lui che Shaylee avesse mai amato, l’unico
lui che l’avesse amata davvero.
Eppure…eppure
il ricordo del suo viso scivolava via, adesso, negli
angoli più reconditi e immortali della sua mente.
Scivolava
via, via come
l’odio che non riusciva più a provare. Lucy,
Edmund…non era in grado di odiare
persone simili, cuori puri e buoni come i loro.
Susan non era malvagia; non andavano d’accordo, ma la Regina
mostrava soltanto
irritazione, non cattiveria.
Perché,
perché non riusciva
ad odiare Peter Pevensie?
Lui
era stato la causa principale della sua sofferenza; lui era stato,
ed era ancora, il Re Supremo di Narnia; lui, lui
aveva abbandonato il suo popolo ai saccheggi e alla sofferenza,
alla morte, al dolore…
Eppure,
non riusciva ad odiarlo.
Era
più forte di lei: ogni volta che riusciva a convincersi di
detestarlo, di provare soltanto astio verso di lui…ogni
volta che incrociava
quegli occhi azzurri, Peter le sorrideva.
Le
sorrideva, e lei non capiva più niente. Il cuore cominciava
a
martellarle nel petto, le guance si accendevano di un rossore che non
era mai
comparso così frequentemente sul suo volto solitamente
imperscrutabile.
Le
sorrideva, e le pareva che Narnia potesse davvero tornare allo
splendore di una volta, perché in quel sorriso e in quegli
occhi del colore del
cielo c’era tutto ciò che lei credeva di aver
perduto.
Sospirò,
lasciando che le palpebre si abbassassero con delicatezza,
una sorda morsa al petto che le costringeva il cuore in una vita di
dolore e di
paura.
Che
cosa le stava succedendo?
Non
poteva…non poteva essere giusto, quello che
il suo cuore provava.
Si
costrinse a non lasciare che le lacrime, che dispettose le
pungevano gli occhi, le rigassero le guance; non poteva piangere
ancora, era
stanca di piangere…era stanca, di avere paura dei suoi
stessi sentimenti.
-Che
cosa sto facendo…- mormorò, la voce bassa e
spezzata da un
singhiozzo appena trattenuto, il suo tenue riflesso sulla superficie
dell’acqua
che le restituiva uno sguardo spaventato, confuso…solo.
Prese
un profondo respiro, cercando di non piangere; quella Shaylee
riflessa non poteva essere lei…lei non era mai stata
così, non aveva mai scorto
tanta sofferenza nel proprio viso…
Le
sue dita sottili si avvicinarono caute a quell’immagine
pallida,
fioca. Era lì, sotto una patina sottile che la ottenebrava,
la rendeva lontana
e indefinita come la foschia prima dell’alba. Poteva ancora
sperare che la sua
confusione svanisse allo stesso modo, dandole la gioia di poter
sorridere di
nuovo?
-Io
non so più chi sei…e cosa desideri…-
sussurrò, pianissimo, un
sussurro che si perse nello zampillio del lago. Ed una sola lacrima
sfuggì al
suo controllo, rigandole il volto chiaro e cadendo nell’acqua.
Il
suo pallido riflesso scomparve, nei morbidi cerchi che
quell’unica
goccia aveva provocato.
Shaylee
la guardò affranta sparire nei flutti, assieme agli
arabeschi
guizzanti che la circondavano; ecco cosa le stava succedendo, era
esattamente
quello che la spaventava di più: stava
scivolando via.
Chiuse
di nuovo gli occhi, il cuore incrinato da una nuova sofferenza;
il suono delle crepe che si aprivano nel suo petto non provocava il
minimo
rumore, nei sottili schizzi che riempivano il silenzio di quella Luna.
Ma
quegli zampilli in un istante si fecero più numerosi,
più vivi; le
palpebre abbassate, Shay trattenne il respiro, quando
avvertì la coscienza
immensa e cheta dell’acqua sfiorarla appena, esprimersi in
tutta la sua limpida
sincerità.
Che
cosa stava succedendo?
Era
successo qualcosa…quell’unica lacrima versata
aveva mosso a
compassione la sua compagna più fedele, la sua amica
più sincera.
Apri
gli occhi, Shaylee.
Io
so che cosa desideri, mia diletta; me lo
sussurra il tuo cuore.
E
come poteva disobbedirle, quando le parlava con il calore e la
dolcezza di una madre?
Lasciò
lentamente che i propri occhi si schiudessero, per un istante
accecati dal riverbero perlaceo della Luna, sull’acqua.
Acqua,
che non era più calma e immobile.
Acqua,
che non era più lo specchio di lei, di Shaylee.
Acqua,
che ora rifletteva il suo cuore più vero.
Sussultò
con violenza, il cuore che mancava diversi battiti del suo
regolare cammino; lo sentì spegnersi per un istante,
atterrito, ma solo per un
istante. L’attimo più tardi, le pulsazioni
accelerarono come non mai,
riempiendole il petto di quel pulsare frenetico, denso di emozioni.
Là,
al centro del perlaceo riflesso della Luna, l’acqua aveva
preso
una forma ben precisa.
Là,
perfetto in ogni più piccolo dettaglio, c’era Peter.
Shay
rimase completamente immobile, le guance accese del rossore e le
orecchie piene del martellare frenetico del suo cuore. Quello
era un colpo basso…
…era
così bello, però.
L’acqua
del lago aveva riflesso ciò che lei ricordava, ogni
più
piccolo dettaglio impresso nella sua mente ora era dinanzi ai suoi
occhi, più
concreto di qualsiasi ricordo.
Era
così…era così Peter.
Si
concesse di osservarlo, il cuore che doleva terribilmente nel petto
snello. I capelli avevano la stessa piega, il volto la stessa
espressione
gentile che le rivolgeva in ogni occasione…
Avvertì
una carezza più insistente sulle gambe appena immerse, sui
piedi, una lieve spinta che la invitava ad avanzare. La invitava a
raggiungerlo, ad accettare ciò che il suo cuore desiderava
davvero, senza paure
né timori. La invitava a vivere.
E
lei…dopo solo un istante, un battito
frenetico…accettò.
Quasi
non avvertì la consistenza soffice della sabbia, quella
più
brulla della ghiaia del fondale; la sua mente, i suoi sensi, ogni
particella
del suo corpo e del suo cuore erano concentrati su quella figura
eterea, dello
stesso colore perlaceo della Luna, quella figura che la aspettava.
Quella
figura, che senza un suono alzò appena una mano,
allungandola
verso di lei.
Trasalì,
la ninfa, i piccoli passi che non accennavano però a
fermarsi, a trattenerla.
Quel
volto era così terribilmente
uguale…così terribilmente identico a
quello di Peter…non era lui, Shaylee ne era ben conscia. Era soltanto il riflesso di lei.
Si
avvicinò appena un poco di più, delicata come
solo una ninfa può
essere in un lago, la sua attenzione e i suoi pensieri che si
focalizzavano su
quella mano – tanto uguale, tanto identica – che
pazientemente attendeva di
essere sfiorata, che aspettava solamente lei.
Era
ciò che il suo cuore desiderava?
Era
quello, era lui, che lei
desiderava?
Era
quella, la sua verità?
Le
dita minute della ninfa tremarono appena, quando, alzandosi,
andarono finalmente a sfiorare quelle della meravigliosa illusione che
aveva
dinanzi.
E
si lasciò trascinare, quando il suo cuore
accelerò ancora e quel
muto riflesso la trasse a sé, avvolgendola in un abbraccio
che per troppo tempo
lei aveva sognato, senza nemmeno rendersene conto.
Perché
fra quelle braccia finalmente lei si sentiva bene,
si sentiva al suo posto, come se
per più di mille anni avesse atteso soltanto quel momento.
Perché chiudendo gli
occhi, poteva avvertire ancora il profumo di Peter, quel profumo che la
stordiva ogni volta che le si avvicinava, quel profumo che tratteneva
per sé e
ricordava in silenzio, nelle sue lunghe ore di solitudine.
Sapeva
che non era il vero Peter,
che non era il Re in carne e ossa…ma non poteva rovinare
quell’illusione, quel
momento in cui il suo cuore si schiudeva come un fiore in boccio.
Per
la prima volta da tanto tempo lei non aveva più
paura…era al
sicuro, in quell’abbraccio da cui non avrebbe mai desiderato
sciogliersi…
Sospirò
appena, alzando gli occhi sul viso di quel riflesso.
Era
perfetto, identico in ogni minimo dettaglio. Era stato il suo
stesso desiderio, la sua memoria, le lunghe ore passate ad osservarlo
senza che
Peter se ne accorgesse, a creare quell’immagine. Ma gli
occhi…
Un
sorriso amaro si disegnò sulle sue labbra, le dita sottili
che
salivano a sfiorare quel volto fatto d’acqua turbinante.
-Sei
stata brava…- sussurrò, rivolta
all’amica che le aveva permesso
quell’istante d’illusione, di conforto.
-…ma i suoi occhi sono unici…-
aggiunse, lo sguardo di Peter che improvvisamente si ripresentava alla
sua
mente.
Perché
lui era così; senza nemmeno saperlo irrompeva nella sua
mente
con una prepotenza assoluta, occupando ogni suo più piccolo
pensiero, ogni
millimetro del suo cuore.
Sì,
gli occhi del Re erano unici.
Erano
azzurri, dello stesso azzurro del cielo estivo di Narnia. Tutto
in lui le ricordava la Narnia in cui aveva vissuto da bambina, la
stessa Narnia
che lui aveva governato…ma gli occhi, gli occhi erano lo
specchio stesso di
tutto ciò che lei ricordava – che lei amava.
In
quell’azzurro sentiva di potersi perdere, ogni volta che
incrociava
il suo sguardo.
C’era
tutto in quei due sprazzi limpidi…orgoglio, paura,
insicurezza,
decisione. Peter era una contraddizione di se stesso; lottava
continuamente
perché il suo essere Re Peter prevalesse sul ragazzo
Pevensie, sul giovane che
avrebbe avuto il diritto di essere – che non poteva esistere
più, che non era
più da troppo tempo.
Erano
belli, quegli occhi contornati da ciglia folte e chiare.
La
trapassavano ogni volta, la colpivano ogni
sacrosantissima volta che li guardava. C’era sempre
qualcosa
di nuovo in quelle iridi, ad ogni nuova occhiata; qualcosa che non
faceva altro
che accrescere il suo amore, e la sua paura.
Il
sorriso addolorato si accentuò appena, quando le sue dita
sfiorarono il riflesso perfetto delle labbra carnose di Peter.
Ah,
quelle labbra.
-Non
lo avessi mai fatto…- sussurrò, talmente piano
che le sue parole
si persero nella confusione stessa del suo cuore.
.
Dormiva,
dormiva bello come un angelo.
Era
stata la mia musica, a concedergli finalmente
riposo? Stentavo a crederci, stentavo davvero a pensare di essere stata
fonte
di pace, per lui.
Era
così vicino a me…il cuore mi batteva forte,
così forte che temevo potesse svegliarlo. Batteva
così da quando mi aveva
sfiorata, da quando mi aveva accarezzato i capelli…
Avevo
bisogno di toccarlo, di sentire almeno per
una volta la consistenza della sua pelle. Avevo bisogno di sapere se
era
davvero reale, se non era soltanto l’ennesimo parto dei miei
sogni…ma la verità
è che desideravo restargli accanto in
quell’istante, quando il suo sonno
avrebbe protetto il mio cuore dal mostrarsi a lui.
Mi
arresi a quel desiderio, scostando i crini
biondi dalla sua fronte.
Erano
soffici, erano morbidi e sottili come fili
di seta. Rabbrividii a quel contatto, tremai; una paura che veniva dal
profondo, mentre il mio istinto mi sussurrava di allontanarmi, di
andarmene
prima di fare qualcosa di stupido.
E
invece rimasi lì.
Rimasi
lì, sfiorando il suo volto con la punta
appena delle dita; gli occhi chiusi, le guance…le labbra.
Quelle
labbra carnose che non avrei mai potuto
avere. Che, dentro di me, desideravo di sentire per una volta sfiorare
le mie.
Non
avrei dovuto farlo…
Eppure
furono così dolci, quando le sfiorai
appena con le mie.
Furono
così fresche che riuscirono a stordirmi, a
cancellare ogni mia paura…furono così soffici dal
trattenermi lì, sulla sua
bocca, respirando il profumo della sua pelle e del suo respiro.
Era
un errore. Era una cosa così stupida…ma non
riuscivo ad allontanarmi, volevo bearmi di quell’incoscienza,
di quella pace.
Stavo lasciando che i miei sentimenti mi
governassero…è sempre stato un errore.
Io, Shaylee, che mi lasciavo guidare dal cuore…
Mi
separai soltanto quando avvertii le sue labbra
muoversi appena, sulle mie.
Mi
separai di scatto, violentemente, il cuore che
mi martellava nel petto.
Mi
separai con qualcosa che s’incrinava ancora di
più, dentro di me.
.
Shaylee
socchiuse gli occhi, ricordando suo malgrado ogni istante di
quel bacio rubato.
Era
stata una sciocca…ma quel sapore ancora le riempiva la
mente,
ancora riusciva a cancellare ogni paura dai suoi pensieri. Nonostante
fossero
passati ormai giorni…nonostante non avrebbe dovuto farlo,
quel pensiero ancora
la faceva fremere, strappandole dal cuore un battito sempre
più innamorato.
Erano
così vicine, quelle labbra…
Ma
quando la sua soffice bocca sfiorò appena il riflesso di
lui, un
pensiero improvviso la colpì con una forza tremenda,
facendola sobbalzare.
Le
acque si mossero appena intorno a lei, agitate, improvvisamente
all’erta.
C’è
qualcuno.
Il
rumore delle frasche…sussultò, Shaylee, quando la
sua più fidata
compagna le diede quella risposta che il suo cuore temeva e sperava.
È
Peter.
E
quando quelle parole rimbombarono nel suo cuore…quando i
suoi occhi
sgranarono, illuminandosi di una paura che si era illusa di non provare
più…il
riflesso del Re scomparve in un istante, in uno scroscio che la
lasciò lì,
impaurita e confusa, a sfiorare il nulla.
.
.
.
-Peter,
ci sono dei problemi al lago!-
Lucy
di certo sapeva come provocargli uno spavento non indifferente,
quello era certo.
Peter
sospirò appena, rinfoderando con un gesto stanco la propria
spada.
Aveva
perlustrato ogni millimetro della selva intorno al lago, i calzari
che non producevano il minimo rumore sul terriccio incolto;
l’avvertimento di
Lucy era stato più che sufficiente per spingerlo ad essere
anche più minuzioso
del solito, nel controllare la foresta alla ricerca di possibili
intrusi o
nemici…
Non
si era però avvicinato alle sponde, alla riva sabbiosa e
protetta
di quel luogo. Non ne aveva avuto il coraggio, non era riuscito a
costringersi
ad accostarsi al posto in cui riposava la creatura che occupava sempre
più
spesso i suoi pensieri.
Sei
un idiota.
Non
poteva che concordare con quel pensiero, dopotutto.
Lui,
il Re Supremo di Narnia, l’Alto Re che aveva sconfitto la
Strega
Bianca…che si lasciava spaventare dal sentimento, dalla
passione, dal dolce
desiderio di assaporare l’essenza di una donna.
Di
lei.
Era
un idiota, questo era poco ma sicuro.
Forse…forse
avrebbe potuto avvicinarsi di un poco, no?
Nonostante
la sua minuziosa perlustrazione…sarebbe stato meglio
controllare anche il lago. Potevano essersi annidati lì, i
nemici, le spie…i suoi pensieri, le
sue paure, e i suoi
desideri più grandi.
Sospirò,
passandosi le dita fra i capelli del colore del grano,
esasperato lui stesso dalle proprie insicurezze.
Lui
non era mai stato così…non si era mai lasciato
sconfiggere da
nulla, tantomeno dalla paura. Era fiero di se stesso e del coraggio che
paventava – coraggio che era in realtà orgoglio,
puro orgoglio che lo spingeva
a non arrendersi mai, a non cedere dinanzi a nulla.
Eppure…eppure
Shaylee distruggeva tutto ciò che aveva così
faticosamente eretto intorno al suo cuore, ai suoi sentimenti. Shaylee
aveva
fatto breccia in quel corpo orgoglioso, colpendo, sotto la patina
dorata del Re
Supremo, il ragazzo insicuro e romantico che non si era mai permesso di
essere.
Le
fronde non produssero altro che un lieve fruscio, quando le
scostò
con delicatezza per superare l’ultima barriera che lo
divideva dal lago.
Era
un luogo meraviglioso, a sé stante: non era troppo lontano
dall’accampamento, ma allo stesso tempo ne era completamente
distaccato, diviso
da un’impalpabile barriera che per lui, Peter, era
più solida di qualsiasi muro
fosse mai stato costruito.
E
quella barriera era la reticenza che Shaylee ancora dimostrava nei
suoi confronti, quel rancore che ogni tanto appariva ad oscurare le sue
iridi
dorate, quel gelo che la allontanava da lui ogni volta che muoveva un
passo
verso di lei.
L’ennesimo
sospiro si unì agli altri, quando i suoi occhi sfiorarono
appena la superficie trasparente e cristallina dell’acqua,
completamente
immobile.
Capiva
perché la ninfa si rifugiasse sempre lì, in quel
luogo; il
profumo che permeava l’aria, era lo stesso che Peter
ricordava fin troppo bene.
Era il profumo di Narnia.
Il
silenzio era ovattato, calmo; non un fruscio rovinava la bellezza
di quella bolla di serenità che riempiva la foresta, di
quelle acque limpide ed
immobili. Ne riusciva a scorgere solamente un pezzo, ancora
intrappolato fra le
fronde che non gli permettevano di avvicinarsi alla riva.
Ma
improvvisamente, un violento scroscio d’acqua
spezzò quella calma
innaturale, facendolo sobbalzare di scatto, gli istinti di nuovo
all’erta.
Stava
succedendo qualcosa.
E
quel suono proveniva dal lago, ne era certo; significava soltanto
che Shaylee era nel bel mezzo di…di qualunque cosa stesse
capitando.
Fu
quello a convincerlo, fu quello a spingerlo a valicare
quell’ultima
barriera che lo divideva da quelle acque limpide.
Ma
dovette fermarsi bruscamente, a poco più di qualche metro
dalla
riva, quando i suoi occhi furono violentemente catturati da una figura
al
centro del lago.
.
Shaylee.
..
Il
suo nome rimbombò chiaro e forte nel suo
cuore, nella sua anima, nel suo stesso respiro, quando riconobbe
all'istante le
curve leggiadre e sensuali del corpo della naiade.
Di
quella naiade a cui non riusciva a smettere di
pensare, di quella dolcissima ragazza che era sempre, costantemente
presente
nella sua mente.
Era...era
bellissima.
Non
trovava termini abbastanza calzanti per
descriverla, in quell'istante: era sensuale ed eccitante, ma allo
stesso tempo
pareva delicata, fragile e sinuosa come cristallo.
Era
immersa in quello specchio d'acqua
cristallino, completamente trasparente, soltanto fino ai fianchi dalla
linea
morbida e gentile. Poteva scorgere chiaramente le sue gambe sottili e
delicate,
gambe di danzatrice, gambe di ballerina, sinuose, eleganti, muoversi in
piccoli
passi sul letto acciottolato del fiume, scivolando con naturalezza
sulle grandi
pietre levigate come se lei stessa fosse l'acqua che le accarezzava,
modellandole con pazienza e tenacia.
Gli
occhi blu di Peter risalirono lentamente lungo
il suo corpo. Deglutì, incapace di trattenere i propri
impudici pensieri su
quella creatura tanto pura quanto meravigliosa, percorrendo con lo
sguardo la
linea dei fianchi, accarezzando con esso la schiena liscia, dalle curve
armoniose ed affusolate.
Indossava
soltanto una veste...bianca, bianca
come la sua pelle, come la sua purezza.
Una
veste, notò un istinto prepotente dentro di
lui, bagnata.
Ed
ormai completamente trasparente.
Peter
sentì il respiro mozzarsi, quando la
naiade, ignara del suo sguardo, alzò le braccia esili e le
sue dita affondarono
fra quei capelli d'oro brunito, sciogliendo il fermaglio che li aveva
trattenuti in un concio delicato sulla sua nuca, lasciando che quella
soffice
cascata accarezzasse il suo corpo fino alle natiche... perfette.
Assolutamente
perfette.
Era
immersa nel riflesso di quella luna piena
meravigliosa, infima se confrontata con la sua figura unica. Ogni
dettaglio
dell'astro, del satellite simbolo per eccellenza della magia, della
femminilità, si rifletteva sul pelo dell'acqua, in quel ramo
di fiume
circondato da alberi e canneti, in uno scenario così bello
da far salire le
lacrime agli occhi.
E
Shaylee, la ninfa dell'acqua, era là, al centro
del cerchio perfetto disegnato dai raggi riflessi della luna.
Nonostante
fosse di spalle, Peter poteva
perfettamente immaginare i suoi lineamenti...il ventre piatto, le ossa
del
bacino delineate dalla veste fradicia, i seni sodi privi di qualsiasi
velo che
non fosse quell'abito trasparente, la linea dolce del collo e della
gola, i
tratti del volto che era sempre nei suoi
pensieri...rabbrividì, chiudendo per
un istante gli occhi, sentendo l'istinto prevedibile, prepotente, farsi
strada
nella sua mente e, soprattutto, nel suo corpo.
Avrebbe
voluto sfiorarla, almeno per una volta.
Avvertire le sue labbra dalla curva dolce e carnosa premere sulle sue,
assaporarne per un istante l'aroma, sentire quel corpo snello adattarsi
al suo.
Avrebbe
voluto toccarla, affondare le mani fra
quei morbidi capelli ora fradici sulle punte dorate, accarezzare quella
pelle
diafana, eburnea, sentirla scorrere sotto le dita come seta vellutata.
Ma
non osava.
Non
osava, per paura che Shaylee lo allontanasse,
che lo rifiutasse. La naiade aveva sempre dimostrato una
così palese
diffidenza, per lui...
Eppure,
il desiderio di scendere in acqua, di
avvicinarsi a lei, era quasi irresistibile.
E
vai, stupido!
Peter
quasi sobbalzò, quando la voce del suo
istinto – tremendamente simile a quella di Siria –
rimbombò nel suo petto,
dandogli una brusca sensazione d'impazienza e di desiderio che,
lì per lì, non
seppe riconoscere.
Vai
da lei! Buttati! Dimostrale cosa provi,
dannazione!
...era
veramente preoccupante, sentire la voce di
quell'irritantissima rossa nella testa.
Ma...
Suo
malgrado, si ritrovò a pensare che, forse, non
aveva tutti i torti. Avrebbe dovuto almeno tentare di avvicinarsi alla
ninfa
sempre così sfuggente, provare a dimostrarle, se non a
parole almeno a gesti,
ciò che si stava lentamente scoprendo a provare...
E
poi, repentinamente, qualcosa nel suo petto scattò.
Prim'ancora
di rendersene conto, si ritrovò sul
bagnasciuga ghiaioso del fiume, le mani che velocemente slacciavano le
fibbie
della tunica che indossava. Se la sfilò velocemente, animato
da una frenesia ed
una determinazione insopprimibili, spinto da quell'istinto che ormai
urlava il
desiderio di sfiorarla, di toccarla, almeno per una volta.
Rimasto
a torso nudo, la luce candida della luna
che illuminava le scanalature perfette del suo torace statuario,
scolpito, e
della sua schiena muscolosa, si sfilò i calzari, prima di
muovere qualche passo
nell'acqua fredda.
I
raggi lunari si specchiavano sui suoi capelli biondi, rendendoli quasi
adamantini, cangianti e mutevoli per ogni passo che muoveva,
ogniqualvolta la
luce che li colpiva mutava. Gli occhi blu, fissi su di lei, su Shaylee,
brillavano di riflessi celesti, gli stessi che si riflettevano sul pelo
dell'acqua opalescente.
La
naiade non dava segno di averlo sentito.
Eppure,
proprio lei, così in sintonia con il suo elemento, avrebbe
già dovuto sapere della
sua presenza, avrebbe dovuto avvertire il corpo alto e snello che
avanzava
lentamente, il più silenziosamente possibile, verso la sua
persona...
Quando
si ritrovò a pochi centimetri da lei, si fermò.
Poteva
scorgere ogni dettaglio del suo corpo, in quel momento.
I
capelli umidi che sfioravano il pelo dell'acqua, le ciocche dorate che
danzavano ipnotiche fra quei crini bruni.
La
linea innocentemente provocante della schiena, delineata alla
perfezione dalla
veste candida e trasparente, la curva profonda del fondoschiena, le
natiche
sode...Peter risalì repentinamente con gli occhi,
imbarazzato dal pensiero
decisamente poco casto che era appena balenato nella sua mente.
-A
cosa stai pensando?- la voce della naiade,
bassa, sottile, riuscì quasi a costringerlo a sobbalzare.
Non si era voltata,
non si era minimamente mossa; ma come aveva intuito sapeva che lui era
lì,
avvertiva la sua presenza, l'elettricità che correva fra
loro in
quell'istante...
Non
sarebbe stata affatto un'idea galante, risponderle sinceramente.
Perché
Peter, nonostante fosse un sovrano, nonostante avesse sulle
spalle pesi che un ragazzo della sua età non avrebbe mai
dovuto portare, era
pur sempre un uomo. Ed in quel momento, l'uomo che c'era in lui stava
pensando
a quanto avrebbe desiderato sfiorare quelle natiche piccole e sode,
accarezzarle, stringerle con dolcezza a sé ed avvertire il
corpo minuto della
ninfa premere sul suo...
-Ma
soprattutto...cosa sei venuto a fare qui?- la voce di Shay si
spezzò, su quell'ultima domanda. Si confuse con il frinire
sommesso dei grilli
intorno a loro, nascosti nella foresta, che tessevano e cantavano odi
alle loro
amate, pregandole di esserne amati a loro volta, anche soltanto per una
notte.
Peter
non rispose.
Spiegarle...rispondere
alla sua domanda, tentare di dar voce a
quell'istinto insopprimibile che lo aveva spinto fra le acque limpide
di quel
fiume, gli sembrava impossibile.
E
quindi si limitò a non dire nulla, ad attendere che fosse
ancora lei
a parlare, per il desiderio recondito di sentirla pronunciare il
proprio nome,
almeno una volta. Per assaporare il suono dolce e carezzevole della sua
voce,
mentre lo chiamava...
Avvertì
una dolce carezza appena accennata, sulle gambe, sulle cosce
tornite, quando l'abito di lei, fluttuante in mezzo alla corrente,
ondeggiò
fino a sfiorarlo, ed il volto di Shaylee riempì –
finalmente – il suo campo
visivo.
Il
Re Supremo rabbrividì, in quell'attimo, quando gli occhi
ambrati
della ninfa si spostarono nei suoi. Li vedeva tremare, li vedeva densi
di
terrore ed esitazione, li vedeva dolci e limpidi come lo specchio
d'acqua in
cui si trovavano immersi. Aveva paura, Shaylee, lo guardava come se non
avesse
avuto altro desiderio che fuggire ancora...ancora, per l'ennesima volta.
-Shaylee,
io...- mormorò, ma le parole morirono sulle sue labbra
soffici, quando lo sguardo della fanciulla si allontanò dal
suo. Tutto quel che
avrebbe desiderato dirle, tutte le parole, che nel suo cuore
rimbombavano con
prepotenza, che avrebbe voluto rivelarle...sembravano bloccate
lì, nel suo petto,
attanagliate da un terrore mai provato prima d'allora. Diverso dalla
paura che
si prova in battaglia, diverso dal timore umano della morte, diverso da
qualsiasi cosa avesse mai sperimentato.
Era
quel sentimento che si prova quando si ha il terrore di essere
rifiutati.
Prese
fiato, un lungo respiro appena spezzato dall'ansia, inclinando
appena il viso per cercare quello di lei. Quel volto eburneo e delicato
che
aveva preso possesso di ogni suo singolo pensiero...
-Ti
scongiuro...guardami.- sussurrò, talmente piano che le sue
parole
sembrarono essere inghiottite dai fruscii del bosco, dallo zampillare
delle
acque. La vide socchiudere le palpebre, comprese che la ninfa aveva
sentito la
sua voce. Lui, l'Alto Re, che pregava.
Rimasero
entrambi immobili per qualche istante, ed il biondo, non per
la prima volta, si ritrovò a temere di aver esagerato
ancora. Avrebbe dovuto
raccogliere tutto il suo coraggio, quel coraggio che sembrava
magicamente
scomparso, e dirle tutto quanto...
Con
esitazione, la sua mano si alzò verso il volto di lei.
Shaylee se
ne accorse, restò ferma, esitante quanto lui, insicura,
spaventata...
Fu
quando le dita sorprendentemente soffici del re sfiorarono la sua
pelle che la ragazza chiuse gli occhi, trattenendo una lacrima che
lottava per scendere.
Era
così meraviglioso, quel contatto...non avrebbe voluto
rinunciarvi,
avrebbe soltanto desiderato di sentirlo per sempre, di perdersi in
quella
carezza e sulla bocca soffice del Re di Narnia...ma non riusciva.
Non
riusciva a fidarsi di lui, non riusciva a permettersi di rischiare
ancora. Il suo cuore era ancora spezzato, ancora racchiuso dietro
corazze di
terrore che impedivano a quel sentimento oramai onnipresente di
rivelarsi, di
vivere...l'amore già una volta l'aveva ferita, l'amore
già aveva trafitto il
suo petto, e lei non poteva, non avrebbe sopportato un'altra volta.
Un
battito ostinato, una pulsazione troppo forte, e la ninfa
scomparve.
-Shaylee!-
il biondo sobbalzò, quando si ritrovò a fissare
soltanto
l'acqua limpida in cui era immerso fino alla vita, gli alberi silenti
della
foresta che crescevano robusti poco lontano dalla riva.
Sentì
qualcosa sprofondare, nel suo petto, quando si rese conto di
averla fatta scappare per l'ennesima volta. Per un attimo,
desiderò
ardentemente di piangere, di sfogare in qualsiasi modo quel dolore
improvviso
che attanagliava ogni suo singolo organo, la sua mente, la sua anima.
Serrò
gli occhi, impedendosi qualsiasi reazione, la delusione e
l'angoscia che prepotenti tornavano a vigere nel suo cuore.
Ma
no.
No,
stavolta no. Non avrebbe avuto un'altra occasione, non sarebbe
più
riuscito a trovare quella forza che lo spinse ad alzare lo sguardo, di
nuovo
determinato, una mano che saliva ad arruffarsi i capelli e la decisione
di
trovarla più viva che mai.
Uscì
dall'acqua cercando di fare il meno rumore possibile,
ritrovandosi gocciolante sul greto del lago. Le sue iridi celesti
sfrecciavano
rapide ed attente intorno a lui, per quanto una vocina continuasse a
suggerirgli che era sciocco, Shay era una ninfa dell'acqua, avrebbe
potuto
tramutarsi in zampilli e sparire completamente...
No.
Eccola.
Gli
si strinse il cuore, nel vederla così. Non era molto lontana
da
dov'era scomparsa, era semplicemente emersa a pochi metri da dove ora
si
trovava Peter, i piedini delicati immersi ancora nel suo stesso
elemento.
Le
braccia cingevano quasi convulsamente il suo petto sottile, i seni,
l'espressione era tormentata e oscurata dai pensieri. Pensieri che non
riusciva
più a trattenere, pensieri che la stavano torturando da
tanto tempo...
Il
Re Supremo esitò solo un istante, prima che la sincera,
genuina
preoccupazione per lei prendesse il sopravvento.
Sentendo
il suolo sabbioso abbassarsi sotto i suoi passi cauti, coprì
in una manciata di istanti eterni lo spazio che li separava, arrivando
a non
più di mezzo metro da lei. Rimase in silenzio, beandosi di
guardarla, sperando
di riuscire, stavolta, in quello che tentava ormai da giorni.
La
vide fremere, quando si accorse della sua presenza, gli occhi
socchiusi su quelle iridi ambrate, screziate, venate ancora del
più puro
terrore: il terrore di amare e di lasciarsi amare, quel timore vero e
spontaneo
di perdere ancora una volta il proprio cuore.
-No,
Shaylee...- proruppe, tendendo di nuovo una mano, una nuova
sicurezza nei gesti e negli occhi. La ninfa schiuse le palpebre,
alzando timida
lo sguardo sul Re, implorandolo quasi di andarsene, di non costringerla
sull'orlo di quella terribile incertezza. -...ti prego. Non scappare.-
un lieve
sorriso incerto comparve sul volto del biondo, la sua voce era calda,
per un
istante riuscì a far breccia nella cappa di paura che
avvolgeva il suo cuore.
Quel cuore che sussultò, quando per la seconda volta, quella
notte, la mano
calda ed incredibilmente soffice del Re si posò sul suo
volto.
Ed
il suo istinto, stavolta, non le suggerì di scappare.
Chiuse
gli occhi, lasciando che quella carezza sfiorasse con esitante
dolcezza il suo viso, le dita che accarezzavano le palpebre
morbidamente
socchiuse, in un modo molto diverso da come aveva sempre fatto nei suoi
confronti.
Chiudere gli occhi, negarsi la vista, era sempre stato un modo per
estraniarsi,
per non pensare...invece, ora, riuscì soltanto a
moltiplicare la splendida
sensazione di benessere che quel tocco le stava trasmettendo, il
battito del
cuore sempre più forte, sempre più deciso a
spezzare ogni sua singola paura.
Schiuse
ancora lo sguardo, a malincuore, quando la mano di lui scese
con delicatezza sul suo collo, assaporando appieno il calore di quelle
dita
sulla pelle ancora umida. Quasi sussultò, quando
ritrovò il volto di lui così
vicino; il respiro le si mozzò, sì. Ma non per
paura.
Rimase
quasi incantata, a guardarlo. La luna rendeva giustizia al
color miele dei suoi capelli, lisci e delicati, che incorniciavano il
suo volto
di adulto e bambino, angelico, sereno come mai lo aveva visto prima
d'allora.
Si rese conto che anche Peter era rimasto imbambolato da quella
carezza, che le
stesse emozioni che avevano attraversato lei avevano trafitto con
dolcezza
anche il cuore del Re. Lo vedeva dal lieve sorriso su quelle labbra
perfette,
lo vedeva dall'immensa tenerezza con cui la stava guardando, le iridi
celesti
rese quasi cerulee dai raggi dell'astro che li osservava, educato e
silenzioso.
Ora,
o mai più.
Non
avrebbe più potuto avere quella possibilità.
Avrebbe dovuto
parlare, adesso, ma non sarebbe mai riuscito ad esprimere tutto
ciò che provava
con delle semplici parole. Era un uomo d'azione, lui, in fin dei conti.
Il
volto del ragazzo si accostò appena a quello di lei, il
respiro che
curioso andava ad assaporare quello di lei. Le sue palpebre si
abbassarono
appena, quando quel profumo dolce, fresco, frizzante,
inebriò la sua mente ed i
suoi sensi, cancellando per la prima volta qualsiasi altro pensiero
dalla sua
anima.
Fu
proprio quando le loro labbra s'incontrarono per la prima volta,
che Shaylee sentì quelle ultime barriere crollare.
Poté
avvertirle quasi letteralmente; sussultò, quando il suo
cuore
finalmente libero poté davvero battere emozionato, a quel
contatto appena
accennato, che accese le sue guance di rosso e i suoi occhi di una luce
che da
tanto tempo languiva silente nella sua anima.
Peter
si accorse del suo fremito, vide i suoi occhioni colmarsi di
sorpresa, un sorriso dolce ed imbarazzato comparire sulle sue labbra.
Anche lui
sorrise, il cuore che ruggiva di gioia nel petto, accostandosi di
più a lei con
la sicurezza che, questa volta, non lo avrebbe respinto.
Leggere
come il tocco di una farfalla, le sue labbra si posarono di
nuovo su quelle della giovane. Non si scostarono subito stavolta,
restarono lì,
assaporando la morbidezza di quei due boccioli chiari che aveva
desiderato, e
desiderava, più di qualsiasi altra cosa.
Piano,
senza la minima fretta, le loro bocche si adattarono l'una
all'altra.
Per
la prima volta denudata da tutto, dal timore, dalla diffidenza,
guidata soltanto dal battito frenetico ed appassionato nel suo petto,
fu lei ad
avvicinarglisi, le mani delicate che andavano ad accarezzare delicate
ed
esitanti le sue spalle, alzandosi sulle punte dei piedi affusolati per
cercare
ancora quella beatitudine.
L'incredulità,
per Peter, fu quasi più forte della felicità.
Riusciva
a malapena a rendersi conto di ciò che stava succedendo, di
essere lì con lei,
di poterla sfiorare...posò le mani sui suoi fianchi soffici,
volendo trarla a
sé, per essere sicuro di non sognare, per realizzare davvero
che sì, stavolta
era reale davvero.
Si
baciarono là, sul greto di quello specchio d'acqua limpida,
la Luna
che, educata, si velava di opalescenti nubi per non intromettersi in
quell'attimo che apparteneva soltanto a loro.
Le
loro lingue si trovarono prim'ancora che potessero rendersene
conto. Un intreccio leggero, un trovarsi pieno di palpiti emozionati,
un
esplorare lentamente l'anima dell'altro. Senza fretta, senza irruenza,
Peter
trasse fra le proprie labbra quella lingua soffice ed ancora cauta,
volendo
cancellare anche le ultime tracce d'incertezza che avvertiva in lei.
Strinse il
suo corpo fra le braccia, sfiorando la sua schiena, sentendo quei seni
delicati
premere sul proprio torace e le gambe snelle aderire alle proprie.
Era
il paradiso...non esisteva una definizione più calzante di
quella.
E
Shaylee, Shaylee sorrideva fra sé, abbandonata fra quelle
dolci onde
che la trascinavano via, onde d'amore, onde di desiderio, onde che
cancellavano
tutto quello che era stato fino a quel momento dentro di lei. C'erano
soltanto
loro, nel cuore che sempre più forte palpitava premuto sul
torace di Peter.
Soltanto lei e lui.
Quasi
non riconobbe sé stessa, quando le sue mani lo trassero a
sé, le
ginocchia che si piegavano con dolcezza per raggiungere il suolo
sabbioso. Ma
non le importava, adesso l'unica cosa importante
era non perdere nemmeno
un istante di quella notte, era sentirsi sua,
sentirsi come non era mai
appartenuta a nessun altro.
Perché
lei lo amava...e cercare di fuggire a quel sentimento le aveva
fatto soltanto del male, ne aveva fatto a Peter. Fuggire dall'amore,
tentare,
era stato sciocco, era stato stupido...
Ma
ora, davvero non aveva più importanza.
Si
ritrovarono in ginocchio, l'uno di fronte all'altra, le labbra che
senza indugio continuavano a cercarsi, ad assaporare con desiderio la
bocca
dell'altro. Lei era piccina, esile al suo confronto, sul suo petto
scoperto si
perdeva in un abbraccio saldo e protettivo al tempo stesso.
Ma
fu Peter, questa volta, a separarsi da lei.
Shaylee
riaprì gli occhi, sorpresa, quando sentì le
labbra di lui
abbandonare le proprie. Alzò lo sguardo su quello
indecifrabilmente penetrante
del biondo, di Peter, che la guardava con forza,
affondando in quei due
pozzi d'ambra in cui più d'ogni altra cosa avrebbe
desiderato perdersi.
La
osservava, cercava qualcosa dentro di lei ma Shaylee non sapeva
cosa, sentiva soltanto una paura diversa farsi strada nel suo cuore.
Quel
timore che, ora lo sapeva, aveva attanagliato lui per tanto tempo, il
terrore
di essere rifiutata, di essere lasciata sola...
Ma
poi, un sorriso, una nuova carezza data con maggior ardore.
Il
nuovo bacio di Peter la sorprese, le fece sgranare gli occhi; il
biondo sorrideva, sulle sue labbra, un sorriso sincero e palpitante
capace di
farla perdere in quei due specchi azzurri che erano le sue iridi.
Arrossì,
la serenità in quello sguardo che si trasmetteva
istantaneamente anche a lei. Era curioso come provassero gli stessi
sentimenti,
gli stessi tormenti, le stesse paure...era strano, era inaspettato. Era
bello.
Con
dolcezza, Peter la posò sulla sabbia soffice, ruvida e
scabrosa al
confronto della pelle di panna della ragazza, che sentiva accaldata ed
umida
sotto la vesta ormai trasparente. Il suo corpo si adagiò con
morbidezza su
quello della ragazza, una mano a terra, puntellandovisi per non pesarle
eccessivamente addosso, l’altra che lentamente affondava nei
suoi morbidi
capelli bronzei.
Shaylee
sussultò, quando sfiorò la pelle incredibilmente
calda,
tonica, liscia, del suo torace; era soffice, aveva un profumo
particolare,
fresco, dolce…quasi fosse…vaniglia.
Si aggrappò alle sue spalle,
sentendo il proprio corpo andare a fuoco, riscaldarsi di un desiderio e
di una
passione mai provati prima d’allora.
Gli
occhi di Peter, quei meravigliosi specchi azzurri, cercarono di
nuovo i suoi, quando il loro bacio si spezzò ancora.
C’era una muta domanda, in
quelle iridi pulite, pure come specchi d’acqua, come sprazzi
di cielo estivo.
Posso
amarti, Shaylee?
Lei
lo sapeva, lei capiva cosa le stesse chiedendo. Ma nemmeno per un
istante, neanche per un attimo soltanto, dubitò di lui, di
sé stessa, di ciò
che pulsava vivo e vero nel suo corpo e nel suo sangue.
Le
sue guance s’imporporarono di nuovo, un lieve sorriso apparve
sulle
sue labbra delicate, quando dolcemente, gli occhioni lucidi di vita,
annuì.
Amami,
Peter. Amami, come mai hai amato prima d’ora.
Gli
occhi dorati della ninfa si socchiusero, quando le labbra soffici
e bollenti del biondo si posarono sulla sua guancia,
all’angolo della bocca. Si
perse nel seguirne il percorso, abbandonandosi alla loro morbidezza,
alla loro
dolcezza, al loro sapore che tornava a mischiarsi col suo in un bacio
di
passione, di desiderio, le lingue che si catturavano e si sfuggivano ad
ogni istante.
Un
morbido sospiro sfuggì dalle labbra della giovane, quando
quella
stessa bocca scese ad accarezzarle la gola, lasciando dietro di
sé il desiderio
d’essere sfiorata ancora.
Le
mani calde di Peter erano sempre sui suoi fianchi, avvertiva la
loro forma, la loro morbidezza sulla pelle. Sembrava combattuto, poteva
avvertire la sua mente fremere, il suo desiderio imbrigliato dalle
ferree
redini dell’autocontrollo. Si sarebbe fermato in qualsiasi
momento, se soltanto
lei lo avesse chiesto…
Ma
Peter ancora non capiva, quanto lei non volesse più fermarsi.
Si
abbandonò a quei baci delicati, eppure tanto ardenti, che
lentamente scendevano sulla sua spalla, delineando la gola, la
clavicola
delicata e esposta sotto la sua pelle chiara. Sentiva il cuore battere
furioso
nel suo petto, forte, vivo, sapeva che quelle pulsazioni sempre
più rapide,
quasi possedute, erano soltanto per lui, per Peter, per
l’uomo che amava. Si
ritrovò a vagare con le mani sulla sua schiena, sussultando
ancora quando le
sue dita affusolate scesero a disegnare i solchi del suo torace, ancora
nudo,
statuario, perfetto.
E
Peter, a quel tocco, sentì che quelle carezze non gli
bastavano più.
Con
un tocco dolce, eppure sicuro, accarezzò le sue gambe
partendo dal
ginocchio, risalendo sul lato esterno delle cosce sode e delicate fino
a
scoprirle, raccogliendo la veste sull'anca di lei. Sospirò,
quando con un gesto
tanto inaspettato quanto naturale, Shaylee lasciò che le
proprie gambe si
allacciassero al suo ventre, il corpo soffice della ninfa che
sussultava nel
ritrovare il proprio desiderio specchio evidente nel corpo di lui.
Dal
collo, le sue labbra scesero ancora sulle spalle della fanciulla,
senza fretta, soffermandosi per assaporare ogni millimetro della sua
pelle.
Sotto le sue mani, il corpo della ninfa pareva creta da modellare, la
sentiva
rispondere ad ogni suo tocco in un’armonia mai provata, mai
avvertita, da
sempre, inconsapevolmente, agognata.
Shaylee
sapeva. Sapeva che non le avrebbe fatto del male, adesso, che
quella notte apparteneva soltanto a loro, che il battito dei loro cuori
premuti
l’uno sull’altro pulsava lo stesso ritmo.
Piano,
senza fretta, le carezze di lui portarono via con sé i suoi
pensieri e le sue vesti.
Istintivamente,
un gesto dettato più dal pudore che dalla paura, le braccia
della ragazza salirono a coprirsi, a velare un poco il suo corpo nudo
dallo
sguardo di lui.
Quello
sguardo che non possedeva traccia di malizia, quello sguardo
pieno soltanto di dolce desiderio, quei due specchi azzurri che la
guardavano
quasi adoranti, innamorati.
Lo
vide sorridere appena, quando avvertì le sue guance
accendersi di
rossore, dell’imbarazzo che quello sguardo tanto intenso
riusciva a provocarle.
Gentilmente,
le dita soffici del biondo si chiusero intorno ai suoi
polsi esili, spostando le sue mani affusolate sulle proprie spalle, fra
i
propri capelli. Socchiuse appena gli occhi, beandosi di quel contatto,
del
tocco fragile e splendido che avvertiva sulla pelle.
-Sei
bellissima.- sussurrò, piano, senza spezzare la magia di
quel
silenzio saturo di sospiri che li avvolgeva in un soffice calore, in
una bolla
di calda aria che apparteneva soltanto a loro.
Shay
si sentì avvampare ancora di più, un lieve
sorriso imbarazzato
che compariva sulle sue labbra delicate. Il suo corpo si mosse appena,
si
avvicinò inconsciamente di più a lui, possente in
confronto a lei, affondando
il viso nell’incavo fra la sua gola e la spalla, sentendolo
sorridere.
Avvertì
il calore delle sue mani scendere sulla sua schiena. Un tocco
piacevole, meraviglioso, che accendeva sensi fino a quel momento mai
scoperti;
si ritrovò a sospirare, inspirando il profumo della pelle di
Peter, quel misto
di acqua fresca e aroma di vaniglia, di sole e di terra, la terra di
Narnia, la
loro terra.
Vinta,
dal desiderio, lasciò scivolare le dita lungo le linee del
petto di lui, fino alle curve marcate e contratte degli addominali, del
ventre.
Le avvertì contrarsi sotto al suo tocco, per un attimo si
stupì di quella
reazione. Era così sensibile a lei…
Una
morbida onda di piacere la investì di nuovo, quando
avvertì le
labbra di lui sulla pelle calda, tonica, vergine del seno.
Affondò nuovamente
le dita fra i suoi capelli, lasciandosi trasportare, sballottare via da
quella
marea che cresceva sotto le carezze di una Luna velata, silente
spettatrice
dell’incontro di due amanti.
Peter
vi si dedicò a lungo, beandosi dei suoi sospiri, del suo
corpo
che avvampava, godendo dei suoi gemiti e del sapore della sua pelle.
Delicate
le sue mani solcavano quel corpo che amava, ne sfioravano le curve, le
veneravano
come mai aveva toccato una donna prima di quell’istante.
Shaylee non era una;
lei era tutto.
Quando
avvertì il suo corpo fremere ancora di più, in
trepidante
attesa di lui, si fermò.
Era
più di quanto avesse mai osato sognare.
Era
più di quanto avesse mai potuto sperare.
La
guardò in volto, beandosi dei suoi tratti rilassati dal
piacere,
delle sue palpebre socchiuse, delle sue labbra arrossate dal sapore dei
baci.
Quasi ad avvertire i suoi pensieri, la ragazza schiuse gli occhi,
ritrovando
con un sospiro innamorato il proprio desiderio, il proprio amore,
in
quei due sprazzi di cielo estivo.
Fu
guardandola, senza mai abbandonare i suoi occhi, che lentamente
Peter lasciò unire i loro corpi, le loro labbra, le loro
anime.
La
avvertì sussultare, quando con delicatezza si
fermò, lasciandola
abituarsi alla sua presenza. La guardava fremere, sentiva le sue unghie
graffiarlo debolmente sulle spalle; con un moto di sorpresa, di gioia, comprese.
Non
si mosse più, baciandola con una dolcezza infinita, le
labbra che
si muovevano gentili su quelle di lei, rassicurandola, riscaldandola. E
presto
quel dolore inaspettato svanì, lasciando spazio a ben altro.
Non
pensava più a nulla, Shaylee. Non osava credere al sogno che
stava
vivendo, era completamente persa, morta e rinata sotto le carezze ed i
caldi
baci di Peter.
Fu
lei a schiudere gli occhi, dopo un’eternità durata
un battito più
forte del cuore, cercando le sue labbra, il suo sapore, il suo profumo.
Fra le
dita la seta dei suoi capelli, nella mente il suo profumo, la sua
presenza, lui.
Non
c’era più Peter, non c’era
più Shaylee. Non erano più due i cuori
che battevano, non erano più divisi i loro pensieri.
C’erano soltanto loro.
Le
spinte iniziarono piano, lente, dolci, misurate.
Labbra
che si perdevano, che si ritrovavano, che si cercavano in un
dolce rincorrersi sempre più bramoso.
La
voce calda, soffice, innamorata di Peter che sussurrava dolci
parole sulla sua pelle, sulle sue labbra, le dita che
s’intrecciavano sulla
morbida sabbia che accoglieva il loro amore, il lieve dondolio di due
corpi che
si amavano.
-Peter…-
un sussurro morbido, un calore ancor più intenso nel
ventre e nel cuore. Una spinta più profonda, un bacio
più passionale, un gemito
sfuggito da quei boccioli rossi che erano le labbra dell’Alto
Re di Narnia.
Del
suo Re.
E
fra morbidi gemiti, fra i loro nomi sussurrati sulla pelle
dell’altro, entrambi sentirono di abbandonare anche
l’ultima remora, l’ultima
paura, il piacere che finalmente non si lasciava più
attendere.
Il
calore, il respiro mozzato.
Labbra
che improvvisamente mordevano, unghie che graffiavano, muscoli
repentinamente contratti.
L’estasi
li colse all’improvviso, nel silenzio di quella foresta
satura di una nuova magia. Travolse i loro corpi, beandoli insieme,
nello
stesso istante, cancellando dai loro pensieri qualsiasi cosa che non
fosse
l’altro.
I
sospiri si fecero più accelerati, gli occhi di lui si
persero, in
quelle pozze dorate piene di desiderio.
-Shaylee…-
.
.
.
.
.
Peter
sentì un morbido suono gorgogliare poco lontano da lui. Era
un
suono familiare, amico, conosciuto, ma lì per lì
non seppe come mai risuonava
così vicino, come se si trovasse a poca distanza dalla sua
origine. Era il
suono dell’acqua corrente del fiume, del lago poco lontano
dalla cripta, ma era
ben distante da dove lui solitamente si coricava…
Gli
occhi chiusi, l’espressione serena, Peter cercò di
riordinare i
propri pensieri, ancora confusi, lontani, persi in un’oasi di
beatitudine che
non avrebbe mai pensato di poter provare.
Un
volto, un sapore, un profumo…un istante, il cuore che
accelerava, e
un’ondata di ricordi e sensazioni si riversarono
improvvisamente nella mente
del Re Supremo di Narnia, facendolo sobbalzare.
Shaylee.
Sul
greto di quello stesso specchio d’acqua…si erano
addormentati lì,
abbracciati, stretti l’uno all’altra, il visetto
della naiade nascosto nel suo
collo, le sue braccia a cingerle il corpo esile, il respiro abbandonato
fra i
suoi capelli bronzei…
Abbiamo
fatto l’amore.
Questo,
l’unico pensiero che si fece strada nella marea di immagini
che affollavano la sua mente.
Eppure…eppure
c’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa di
sbagliato, lo avvertivano i suoi sensi, il suo istinto, il suo corpo, i
suoi
pensieri…qualcosa che avrebbe dovuto esserci, ed invece non
c’era.
Provava
freddo…non avrebbe dovuto sentire freddo, non ne aveva
provato
nemmeno per un istante durante quella notte, stretto al corpo sempre
caldo di
Shaylee…
Con
uno sforzo dettato più dalla paura, che da tutto il resto,
l’Alto
Re di Narnia aprì gli occhi, il gorgoglio ed il profumo del
lago che invadevano
i suoi sensi.
D’istinto,
cercò accanto a sé, cercò quella
ragazza dalla pelle di
latte, dagli occhi dorati, quegli occhi in cui amava affondare,
perdercisi.
Ma
Shaylee…Shaylee non c’era più.
Si
guardò intorno, aspettandosi, sperando
di vederla lì,
accanto a lui, pregando per poter rivedere quel viso sereno, come aveva
potuto
scorgerlo soltanto quella notte…
B:....E
PETER CE LA
FAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
*rotola via*
K
*in diretta da non si sa dove*: ma volete prendermi in giro? No, volete
davvero dirmi che quel robo lì ha davvero consumato? Ma
state
scherzando? *ci pensa su* A-AH! Il Re Supremo ha perso la
verginitàààà il Re Supremo
ha perso la
verginitàààà!!!
No,
okay, facciamo le persone serie. Più o meno. Insomma, con un
capitolo del genere non si può essere troppo seri, via xD
Peter
sarà preso per il culo a vita....ma già lo
è,
quindi tanti saluti e complimenti alla mamma xD
E'
quasi un mese che non aggiorno, e mi dispiace tantissimo. A mia
discolpa, posso dire che ho passato questi giorni cercando di rimettere
ordine nella mia vita, nella mia casa, e soprattutto dentro di me. Sto
meglio, ora. Mi sono rialzata, e ho ricominciato a combattere. Contro
il dolore, contro le paure, contro la mia malattia. Vado avanti.
E un grazie speciale,
lei sa per cosa, va alla mia Romy.
Ti voglio tanto, tanto bene. Grazie, di tutto quanto, anche solo di
esserci. :)
Ho
il piacere di annunciarvi che la sottoscritta ha passato egregiamente i
suoi esami di ammissione alla quinta superiore, che sta frequentando
alle scuole serali; media del 7 abbondante in tutte le materie :) (8 in
inglese, italiano, storia e tedesco; sono soddisfazioni, se non fosse
che faccio ragioneria e in matematica ho il sei tirato ^^") anche se i
problemi fisici che mi hanno costretta a lasciare la scuola due volte non
sono spariti, ora non sono due anni che ho perso a causa delle
malattie, ma soltanto uno. E' una bella soddisfazione :)
Questa immagine è
quella che originariamente mi ha ispirata per l'abito di Shaylee in
questa occasione:
Questa immagine rappresenta
molto, molto bene il luogo che abbiamo immaginato per questo galante
incontro xD:
Lucy
è una bambina
alquanto mefistofelica xD non si può non amarla! Sono
contenta
che tu avessi intuito gli abbinamenti che avevo scelto già
da un
pò...gli indizi c'erano già da tempo ^^
Anche riguardo a Siria, ho sparso diversi indizi; la sua natura
è tutta lì, io l'ho già praticamente
detta xD
Peter e Shay...ah, santa pace, ventun capitoli!!!!
E' mio diletto farli dannare i miei personaggi...nella mia prima storia
ne impiegai 12, nel seguito della stessa - per due coppie diverse -
prima 23 e poi 49...insomma, ormai è assodato, mi diverto a
maltrattarli xD
Spero che ti sia piaciuto questo capitolo, questi due sono zuccherosi
fino alla carie ^^" Peter è un cocker morbidoso, ne sono
sempre
più convinta!!! Un bacione!
Tesoro
:) Sto meglio, sai?
Più di tutto il resto, sei stata tu a darmi la spinta per
rialzarmi; se ce l'ho fatta, se ho ritrovato di nuovo la voglia e la
forza di vivere e combattere, è stato anche (e soprattutto)
grazie a quella chiacchierata su Facebook. :)
Parlando del capitolo, che altrimenti gli admin incombono...xD
Finalmente il cockerino arriva in casa base! xD Questo capitolo
è pronto più o meno da quando ho cominciato a
postare la
fanfiction, sai? E all'inizio ero lì a borbottare, nei
confronti
di Shaylee: "ma tanto io so che fine ci fai con quello...." xDDDD
E' stato lungo da riordinare e da completare, la parte iniziale di
Shaylee è stata scritta tutta nell'arco delle ultime due
settimane ^^" ma pian piano sto ricominciando a trovare il piacere di
scrivere, e non per buttare giù parole piene di dolore. Per
puro
e semplice piacere mio, perché amo farlo, e
perché voglio
dare qualcosa.
Edmund e Tara ti hanno sorpresa? xD mi hanno l'aria esplosiva quei due
xD
Un bacione, e un abbraccio forte <3
TU,
SEI STATA, IN FINLANDIA!?!?!?!?!?!
Potevi portare anche me ç.ç voglio vedere Torre
Valo ç.ç
Okay, scusa lo sclero, non c'entra niente ^^"
Direi che "il respiro profondo prima del balzo" sia la descrizione
azzeccata per il capitolo precedente, visto tutto l'ambaradan che
capita in questo xD Peter ce la faaaaaaaaaaaaaaa *riparte a gongolare
come una cretina*
Oh, anche io adoro Edmund! Penso che sia quasi meglio di Peter, per
alcuni versi, anche se nel Re Supremo continuo a distinguermi di
più :) Aaron e Susan hanno tanto ancora da dare, sono una
coppia
che, a mio parere, si completa ^^
Ho una domanda per te, più un sadismo mio a voler mettere la
pulce nell'orecchio alle persone xD ho sparso un pò di
indizi in
giro per i capitoli, sulla natura di Siria; come ho chiesto a Rina, lo
chiedo anche a te...hai intuito qualcosa? xD
Un bacione!!!
Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiica!
xD
Ho aggiornato, per la tua spassionatissima giuoia xD Non è
che
ti metterai a fare i Sims anche di questa povera gente qui, eh? Sai che
sarebbe un massacro?
Però un Sim Raperonzolo...no, certe idee è meglio
non dartele xD
Supremo Imbecille *-* Amo quella ragazzina, e le mie uscite geniali xD
Chica...Raperonzolo ha consumato! Muaaaaaaaaaaaah! xDDDDDDDDDDDDDDDDDD
Sì, sto sclerando causa quasi-due-di-notte e ormoni in
circolo xD
Ti voglio bene <3
Questo è lo spoiler,
invece, per il prossimo capitolo:
.
L’espressione del telmarino divenne di
ghiaccio, quando una macchia
rossiccia apparve a livello della sua gola. Un punto mortale, un punto
che
soltanto un assassino avrebbe potuto colpire con tale precisione.
Peter rimase a guardarlo, mentre lo stesso stupore
del nemico si
dipingeva sul suo volto. Quella non era una freccia, non apparteneva a
Sue; era
un dardo di faretra, ma quelli di Edmund erano neri come
l’inchiostro…
-Non pensare che sia così semplice
morire, Supremo Idiota!-
…doveva
essere un
incubo, non c’era altra spiegazione possibile.
Aveva tanti difetti,
sicuramente non era una persona mite e dai ferrei principi morali: ma
non era una sciocca, e sicuramente, non era cieca.
Quella mattina si era
svegliata alle prime luci dell’alba; era il suo turno di montare la
guardia, di dare il cambio ai fauni che avevano vegliato durante la
notte.
Aveva lasciato la
cripta di Aslan mentre Caspian ancora dormiva profondamente, il
braccio abbandonato là dove lei era rimasta accoccolata fino a quel
momento.
Era uscita nella tenue
foschia dell'alba di Narnia, avvolta nel suo immancabile mantello
nero come la notte appena terminata. I lunghi capelli rossi
spiccavano nella penombra annebbiata, raccolti in un'acconciatura
scomposta sulla nuca; li aveva coperti con il cappuccio,
accuratamente.
Un istante più tardi,
in una delle sue flessioni impossibili, era già scomparsa fra le
ombre sempre più pallide del mattino.
Era uno spettacolo
inusuale, vederla muoversi con l'eleganza di una pantera fra i rami
degli alberi che tanto bene conosceva. Il mantello frusciava con
l'eleganza delle ali di un corvo, velando la sua pelle candida dal
gelo del mattino; e gli occhi blu sfrecciavano, rapidi e calcolatori,
su tutto ciò che la circondava, attenti.
I calzari quasi non
sfioravano il legno dei rami, tanto veloci erano i suoi balzi.
Saettava fulminea fra le fronde, silenzioso rapace che non una foglia
scuoteva al suo passaggio; doveva raggiungere il suo punto preferito,
una quercia più alta delle altre da dove aveva una visuale perfetta
di tutto l'accampamento.
Ma qualcosa l'aveva
distratta, distogliendo la sua attenzione dalla consueta attenzione
che dedicava alla foresta; per lei era diventato un rituale, quella
pace mattutina che la pervadeva quando raggiungeva i suoi amati
alberi.
C'era una persona, poco
lontano dal lago.
In un primo momento,
aveva pensato che si trattasse di Shaylee; ma era troppo presto, la
ninfa probabilmente ancora riposava fra i suoi flutti...
Aveva rallentato,
all'erta, la mano che correva d'istinto alla fedele balestra che
portava sempre con sé. Senza un suono si era calata sui rami più
bassi, portando l'arma contro la spalla, ascoltando il suono dei
passi che si avvicinavano sempre più a lei...
Ma si era ritratta di
scatto, allibita, quando aveva riconosciuto un'inconfondibile macchia
di capelli biondi spiccare nel verde della foresta.
Era rimasta immobile,
protetta dal mantello e dalle folte fronde, gli occhi blu che
seguivano la figura del Re Supremo di Narnia.
Era cupo in volto,
scuro come non lo aveva mai visto; era la prima volta che si
ritrovava così vicina a Peter Pevensie, dopo quella sfuriata di
ormai diversi giorni prima...l'astio era oramai sfumato da lei,
lasciando soltanto quel vago senso di antipatia a cui ormai aveva
fatto l'abitudine.
Ma la cupezza in quegli
occhi azzurri...
Che cosa ci faceva
Peter al lago dove Shaylee si ritrovava ogni notte?
Dov'era la sua
amica, che sicuramente era a conoscenza della sua vicinanza?
E perché era solo,
lo sguardo lontano e tanto scuro come quello che distingueva dal suo
nascondiglio?
Aveva sospirato,
decidendo all'istante di seguirlo. La ricognizione mattutina avrebbe
potuto aspettare un po', dopotutto...Peter era decisamente più
interessante, da osservare.
Lo aveva seguito come
un'ombra fino all'accampamento, faticando quasi per restare al passo
con la sua marcia decisa. Pareva intenzionato a volersi allontanare
il più possibile dal lago...da
Shaylee,
forse?
Al campo, in molti
avevano cominciato a svegliarsi; Peter non aveva faticato per
confondersi fra i guerrieri ancora assonnati, e lei stessa aveva
sfruttato la situazione.
Non l'aveva perso
d'occhio un secondo; né quando aveva recuperato un arco, cominciando
ad allenarsi in quell'arte in cui non avrebbe comunque mai eguagliato
la sorella, né quando si era fermato per parlare con Edmund di un
qualche argomento che realmente non gli interessava.
Lo vedeva dai suoi
occhi, Siria. Qualcosa continuava a tormentarlo, a devastarlo; era
qualcosa che lo colpiva da dentro, qualcosa che lo feriva nel punto
più fragile di tutti. Nel
cuore.
E, poteva scommetterci
l'anima, quel qualcosa era Shaylee.
La ninfa era apparsa
circa un'ora dopo, cupa quanto e forse più del Supremo Coglione.
Siria non era stata sorpresa di trovare intorno alla sua mente una
solida barriera che le impediva di contattarla, di sfiorare i suoi
pensieri.
Aveva visto Peter
guardarla con lo sguardo di un cucciolo abbandonato, implorarla con
quegli occhi del colore del cielo di ricambiare le sue occhiate; ma
Shaylee era stata sorprendentemente fredda, molto più di quanto non
fosse stata nelle ultime settimane.
Sembrava quasi che
tutti i passi avanti fatti dal Re non fossero serviti a nulla...
Fra quei due era
successo qualcosa, era chiaro come il Sole che sempre più forte era
sorto su Narnia.
E ne era stata ancora
più certa, quando Peter – Peter,
quel Peter
– l'aveva presa da parte, senza rivolgerle più di un qualche
sguardo.
-Hai finito il tuo
turno di guardia?- le aveva chiesto, senza la durezza con cui di
solito si rivolgeva a lei. Sembrava dannatamente tormentato...per un
istante, Siria aveva sentito l'antipatia che provava incrinarsi,
soppiantata da un repentino sentimento di pietà.
-Non...-
-Resta
all'accampamento, vado io.- era stata quell'ultima frase, a
convincerla del tutto che qualcosa in Peter non andava. Da quando
dimostrava anche un solo barlume di gentilezza nei suoi confronti?
Stava male, e più di
quanto avesse pensato.
Lo aveva guardato
allontanarsi in sella ad un cavallo biondo quanto lui, seguito dagli
occhi cupi e tormentati della sua amica ninfa.
Quanto avrebbe
desiderato far fronte a quel dramma in compagnia di Talia...ma
l'amica elfa era più che impegnata in amabili attività da fare in
coppia con Caleb, e per la prima volta da tanto tempo Siria si
ritrovava sola, nella propria mente. Sola, lei ed i suoi pensieri, le
sue paure.
Era quello, il motivo
principale per cui si era decisa ad andare a fondo in quella vicenda
fra i due piccioni; se si fosse concentrata su di loro, magari
avrebbe tenuto lontani quei mostri che ogni giorno minacciavano di
sopraffarla...
Aveva recuperato la
propria balestra, assicurandosi che la faretra fosse ben fornita di
dardi, e sellato il cavallo di Caspian. Il principe non se la sarebbe
presa, se avesse preso in prestito il suo Destriero...nel caso, aveva
pensato con un mezzo sorriso, si sarebbe fatta perdonare.
-Tieni d'occhio
Shaylee.- aveva soffiato all'orecchio di Aaron, passandogli accanto
mentre raggiungeva il limitare della foresta, esattamente dove si
trovava in quel momento. Ferma, senza muoversi, perché qualcuno
aveva distolto repentinamente la sua attenzione dai suoi propositi di
ficcanaso.
Sorrise, Siria; un
sorriso vero che illuminò per un attimo anche i suoi occhi, nel
riconoscere la figura che correva per raggiungerla, ancora assonnata.
-Buongiorno.- mormorò
divertita, non appena Caspian la raggiunse, i lunghi capelli
riccioluti tutti arruffati. Si era appena svegliato...con una fitta
di dolcezza al cuore, si rese conto che probabilmente era stata
proprio la sua assenza a destarlo.
Caspian scosse la
testa, passandosi le lunghe dita chiare in quel groviglio disordinato
di crini scuri.
Non l'aveva trovata,
una volta sveglio. Non avrebbe dovuto sorprendersi, Siria passava
anche intere giornate nella foresta, insofferente alla vita frenetica
dell'accampamento...ma quella mattina, quella mattina era stata una
brutta sensazione a destarlo; come se stesse per succedere qualcosa,
come se le
stesse per succedere qualcosa di brutto.
-Dove vai?- le chiese,
con una punta di preoccupazione nella voce ancora impastata dal
sonno. Magari non era sveglissimo, e il suo era soltanto il residuo
degli incubi che lo tormentavano ogni notte...ma vederla partire,
dopo quella sgradevole sensazione che lo aveva svegliato così di
soprassalto, non era di buon auspicio.
Ma Siria sorrise, un
sorriso caldo e sincero che rivolgeva solo e soltanto a lui,
alzandosi sulle punte dei piedi per baciarlo appena a fior di labbra.
-Devo sparire per
qualche ora.- sussurrò, a poco più di un millimetro dalla sua
bocca, il respiro delizioso che lo stordiva e lo risvegliava al tempo
stesso. Certo, quello era un modo ben migliore di svegliarsi...
-Dove...- cominciò, ma
Siria premette con delicatezza l'indice sulle sue labbra, zittendolo.
-Segreto.- sorrise, il
principe, alla tenerezza con cui Siria pronunciò quell’unica
parola. Soltanto con lui sembrava in grado di essere così, serena e
tranquilla come col resto del mondo non si permetteva di mostrarsi;
soltanto con lui, il suo volto pareva rischiararsi come il cielo dopo
un temporale.
E c’era un
meraviglioso arcobaleno, ad attenderlo. Ogni volta.
-Tornerò presto.- lo
rassicurò, la voce dolce come una carezza, le dita fredde ed
affusolate che gli accarezzavano una guancia.
Era così bella, Siria.
Sentiva di non poter più fare a meno neanche di un istante di lei,
tanto era diventata essenziale per la sua stessa esistenza. Non
riusciva minimamente a ricordare com’era stata la sua vita, prima
di conoscerla…gli sembrava impossibile, adesso, vivere senza quella
creatura enigmatica e meravigliosa al suo fianco.
-Ci conto.- e prima che
Siria potesse fare qualsiasi cosa, le labbra esigenti del principe
intrappolarono nuovamente le sue.
Sussultò, la raminga,
sentendo il respiro mozzarsi ed il sangue pulsare sempre più
violentemente nel suo corpo.
Non era un bacio
delicato, morbido; era un bacio che sapeva di possessione, di
desiderio, la bocca calda e buona
di Caspian che senza indugio si mischiava con la sua, la lingua
prepotente che affogava nelle sue labbra con brama, senza esitare.
Prima di rendersene
conto, prima di capire anche solo che cosa stesse succedendo, Siria
si ritrovò a stringersi al suo petto, il tocco candido delle sue
dita che accarezzava quella gola, quel torace; il suo stesso corpo
che chiedeva a gran voce un contatto più intimo, la pelle che ardeva
di un desiderio bruscamente risvegliato, bruciante come un incendio.
E Caspian pareva
pensarla esattamente come lei...fremette, quando le mani del giovane
principe corsero sul corpetto che indossava, sfiorando la linea
profonda e sensibile della vita, dei fianchi, della schiena.
Sentiva il suo cuore
battere, battere con forza contro le sue dita, appena sotto la cotta
di maglia.
Oh, ma davvero non
c'era bisogno di andarsene così presto...
Si lasciò sfuggire un
mugolio di disappunto, Siria, quando Caspian sciolse repentinamente
quel bacio che aveva in fretta cancellato ogni suo proposito,
lasciando soltanto lui fra i suo pensieri.
C'era soddisfazione, in
quelle due braci del colore del carbone. Mischiata al desiderio, alla
brama, c'era la soddisfazione di aver causato quel tumulto anche
dentro di lei, di averle dato una chiara idea di cosa l'aspettava al
ritorno...
In effetti, la sua
espressione doveva essere alquanto palese.
Sentiva le guance
tremendamente rosse, Siria, gli occhi lucidi di sorpresa e desiderio.
Sentiva le proteste del suo corpo, quel corpo che gridava a gran voce
il bisogno di tornare esattamente dov’era stato fino a qualche
istante prima, fra le braccia di Caspian.
Un Caspian che posò
per un lievissimo istante le labbra nuovamente sulle sue, il respiro
caldo che la stordiva ancora, il profumo che l’avvolgeva. Fremette,
la raminga, un brivido che scendeva caldo lungo la schiena, rivoli di
desiderio che riempivano la sua pelle del sapore di quella bocca
rosea, perfetta.
-Ci vediamo dopo.- le
sussurrò, separandosi troppo bruscamente per i gusti di lei dalla
sua bocca, un lieve sorriso appena arrogante sulle labbra sottili. E
a Siria non rimase che guardarlo allontanarsi, ancora stravolta, il
mantello scuro che non risparmiava le spalle nodose del principe.
-...sì, decisamente
presto. Non mi piace lasciare a metà certi discorsi...- mugugnò fra
sé, montando in sella con una scioltezza quasi innaturale, quei
caldi brividi che riempivano ancora la sua pelle, bruciando là dove
Caspian l'aveva toccata.
Peter e Shaylee
gliel'avrebbero pagata, prima o poi.
.
.
Peter sospirò,
smontando da cavallo con un gesto stanco, privo di passione.
Sentiva che nulla più
avrebbe avuto davvero importanza, per lui...l'assenza di Shaylee,
quella mattina, quegli
sguardi che gli aveva scoccato come tante pugnalate...niente,
assolutamente nulla avrebbe potuto restituirgli il desiderio di
vivere.
Non
avrebbe mai pensato di stare così male per una donna, no. Non era
nei suoi piani innamorarsi,
perdere la testa e il controllo dei propri sentimenti, smarrire il
sentiero del prode Peter il Magnifico per intraprendere una mai
battuta strada appartenente al ragazzo, al giovane che non era mai
stato.
Non avrebbe mai pensato
di soffrire così.
Lui l'aveva amata,
quella notte.
Aveva
pensato...sperato...che
ogni ritrosia sarebbe sparita, fra lui e la bella ninfa che tanto
faceva battere il suo cuore. Aveva sognato di svegliarsi al suo
fianco, di guardarla dormire fra le sue braccia, di accarezzarle i
capelli per svegliarla; non gli sembrava, non riusciva a sembrargli
un desiderio così impossibile da realizzare.
Avrebbe soltanto voluto
che Shaylee gli permettesse di amarla, come aveva fatto quella notte.
E invece lei era
lontana, ora...più lontana che mai, più distante di quanto non
fosse mai stata prima d'allora.
Sospirò, Peter,
passandosi una mano fra i folti capelli biondo miele e tirandoli
indietro, scoprendo la fronte.
Le dita sottili di
Shaylee, immerse sulla sua nuca...
Doveva
smettere di ripensare alla notte precedente, era soltanto un gesto di
autolesionismo. Eppure era così difficile...sul corpo ancora
avvertiva la presenza dolce e calda della Naiade, il tocco della sua
pelle chiara sui muscoli, l'estasi di appartenerle e di sapere che
lei era soltanto sua...
Piantala, Peter.
Si costrinse ad
allontanare quei pensieri, sentendo una fitta insolitamente dolorosa
trafiggergli il petto.
Era questo, soffrire
per amore? Questa lenta agonia che l'avrebbe fatto impazzire, al solo
ricordo del sapore di quelle labbra?
Di certo, era molto più
doloroso della morte stessa.
Si guardò intorno, per
la prima volta cieco dinanzi allo splendore di quella foresta
silente; gli alberi muti erano sbiaditi ai suoi occhi, le fronde di
quel meraviglioso verde acceso parevano solo pallide imitazioni di
una vegetazione.
Nulla aveva colore,
quel giorno...lui stesso si sentiva abbandonato, scuro, la passione e
la serenità che lentamente erano scivolati via dalla sua pelle.
Si accostò al cavallo,
uno splendido esemplare dalla criniera del colore del grano,
accarezzando con distratta tenerezza il lungo collo arcuato
dell'animale.
Aveva fatto bene ad
esonerare Siria dal pattugliamento, dopotutto. Aveva bisogno di
restare solo con i propri pensieri, con i propri tormenti...magari
però avrebbe potuto chiederle di accompagnarlo, di restare con lui.
Siria pareva sempre in grado di risvegliare la sua parte combattiva,
e ora più che mai sentiva di aver bisogno di una scossa.
Assurdo...
Doveva aver toccato il
fondo più cupo, se pensava seriamente di chiedere aiuto alla
raminga.
-Io non so più che
cosa fare, sai?- mormorò, alzando gli occhi celesti sul cavallo. La
bestia lo guardava, masticando lentamente un ciuffo d'erba strappato
dal terreno incolto; magari voleva pensarci un po' su, prima di
rispondergli...
Uno scricchiolio.
Peter
portò rapidamente la mano destra all'elsa della spada, quando le sue
orecchie fini colsero un rumore che non avrebbe dovuto esserci, in
mezzo alla foresta.
Calzari.
Sguainò
in un istante la lama argentea di Rhindon, posando una mano sul
fianco del cavallo; l'animale era all'erta, le orecchie tirate
indietro e i denti scoperti. Come lui, la bestia aveva capito che
qualcosa non andava...
Lo stridio di ua
lama che abbandona il suo fodero.
Era
alle sue spalle...
Uno.
Lo
sentiva avvicinarsi, i muscoli che si tendevano, i sensi che si
acuivano.
Due.
Ormai
era vicino...
Tre.
.
E
Peter scattò rapido, fulmineo, sferrando un micidiale colpo diretto
alla gola del suo silenzioso aggressore.
Ebbe
appena il tempo di distinguere un'armatura telmarina, una barba
incolta e disordinata, prima che si scatenasse l'inferno.
Dagli
alberi apparvero altri soldati, altri sicari di Miraz; li vide
apparire fra i tronchi, fra le fronde, le spade e le asce sguainate e
sporche di sangue.
Erano arrivati fin
lì...
-Muori,
maledetto!- il biondo balzò indietro, quando la spada rozza del
telmarino saettò rapida verso di lui.
Ma
la sua schiena andò a sbattere contro il fianco del cavallo,
impedendogli di evitare del tutto il colpo.
E
la punta della spada nemica riuscì a scalfire il suo torace,
lacerando la tunica e arrivando direttamente alla carne viva.
Sangue.
Peter
non aveva mai perso la concentrazione, in un combattimento; nemmeno
dopo le ferite, nemmeno dopo la sofferenza...ma adesso, i pensieri
concentrati su altre idee...
Barcollò,
sentendo la spada sfuggirgli di mano.
Incespicò
indietro, evitando per un pelo un secondo fendente; ma una radice
traditrice si trovò fra i suoi piedi, costringendolo a cadere.
Il Re Supremo cadde,
cadde rovinosamente ai piedi del suo avversario.
Il paradosso di dover
morire lì, adesso, senza essere riuscito a far capire cosa provava a
Shaylee…era ironico, davvero.
C’era ironia nella
morte, e non per la prima volta Peter si sentì soltanto vittima di
un gioco più grande, di una partita crudele che aveva in palio vite
umane.
Non aveva mai avuto
paura della morte; più di una volta la nera signora lo aveva
sfiorato, aveva rischiato di portarlo via da Narnia e dalla sua
famiglia, ma lui non si era mai tirato indietro. Era fermamente
convinto che per tutti esisteva il momento giusto di andarsene, e se
il suo fosse arrivato lo avrebbe accettato, affrontandolo con tutto
il coraggio che possedeva.
Ma in quel momento…in
quel momento riusciva soltanto a pensare a quello che non era
riuscito a fare, alla donna che aveva amato la notte precedente e che
non era riuscito a trattenere, che aveva lasciato fuggire.
Shaylee…
Si lasciò sfuggire un
rantolo, un respiro mozzato dal dolore della ferita al torace. Non
era una ferita grave, ma il telmarino che gli si stava avvicinando
avrebbe presto terminato il lavoro…e lui non aveva la forza di
alzarsi, non aveva più la voglia di rimettersi in piedi e tornare a
combattere.
Per cosa avrebbe
dovuto?
Per la sua Narnia, per
la sua famiglia? Non gli sembravano più così importanti, forse era
meschino dirlo…per il suo cuore?
Quel cuore che si era
irreversibilmente incrinato, quella mattina, quando aveva incrociato
gli occhi gelidi e lontani di Shay?
Non aveva più un
motivo vero per combattere, adesso. Non aveva più voglia di
rialzarsi.
Ma improvvisamente,
il dardo.
L’espressione del
telmarino divenne di ghiaccio, quando una macchia rossiccia apparve a
livello della sua gola. Un punto mortale, un punto che soltanto un
assassino avrebbe potuto colpire con tale precisione.
Peter rimase a
guardarlo, mentre lo stesso stupore del nemico si dipingeva sul suo
volto. Quella non era una freccia, non apparteneva a Sue; era un
dardo di faretra, ma quelli di Edmund erano neri come l’inchiostro…
-Non pensare che sia
così semplice morire, Supremo Idiota!-
…doveva essere un
incubo, non c’era altra spiegazione possibile.
Peter avvertì il nodo
allo stomaco sciogliersi improvvisamente, quando la consapevolezza di
essere ancora vivo lo colpì con la stessa forza della lama d’acciaio
appena abbattuta sul cranio di un telmarino.
Era ancora vivo.
Poteva ancora
combattere, poteva ancora fare qualcosa per il suo cuore,
poteva…poteva
ancora vivere.
E se non era
un’illusione…la persona a cui per la seconda volta doveva la vita
era quella macchia avvolta in un mantello nero come la pece, una
cascata di capelli rossi che bruciava su quello sfondo corvino.
Siria.
Balzò in piedi, ancora
incredulo, quando vide la figura inconfondibile della rossa fiondarsi
dai rami degli alberi dritto in mezzo alla cerchia di soldati, la
spada in pugno e la balestra nell’altro. La guardò accostare la
punta dello stivale alla sua Rhindon, abbandonata fra le foglie
secche del sottobosco, e spingerla bruscamente ai suoi piedi.
-E tu che cosa ci fai
qui!?- furono le prime parole che riuscì a pronunciare, allibito,
raccogliendo in fretta la spada e dandole le spalle. Fu quasi
naturale, per entrambi, ritrovarsi schiena contro schiena a
fronteggiare la cerchia di telmarini che li circondava; poteva
avvertire i muscoli contratti della rossa, Peter, le braccia forti
che sostenevano la pesante spada bastarda.
-Ti salvo la pelle,
deficiente.- sibilò lei, caustica, osservando preoccupata i soldati
che precludevano lentamente loro ogni possibile via di fuga. Li
avevano circondati, e lentamente li stavano stringendo in una morsa;
una morsa da cui sarebbero usciti soltanto uccidendoli, o essendone
uccisi.
-Continui a salvarmi la
vita nonostante non mi sopporti, hai notato?- suo malgrado, Siria si
ritrovò d’accordo con il Re Supremo; era già la seconda volta che
evitava che quella testaccia bionda finisse staccata dal nobile
corpicino, e tutt’e due le volte aveva finito col cacciarsi anche
lei nei guai.
-In effetti dovrei
smetterla, finisco sempre per rimetterci.- borbottò a mezza voce,
più rivolta verso se stessa che verso Peter. Ma lo sapeva bene, non
erano veritiere le sue parole; non lo avrebbe lasciato morire,
probabilmente in nessuna situazione.
Quel mostro dentro
di lei lo odiava, lo odiava con tutta la forza della morte.
Aveva sentito, Siria,
che qualcosa non andava.
Non sapeva esattamente
come, non sapeva perché;
i suoi sensi si erano allertati di scatto, mentre riposava tranquilla
a qualche centinaio di metri da dove Peter si era fermato,
avvertendola con una forza terribile che stava per succedere
qualcosa.
Che stava per succedere
qualcosa a Peter.
Non era mai successo,
in quel modo; quelle sensazioni Siria le conosceva soltanto nei
riguardi di Talia, di Aaron, di Caspian, per le persone che amava e
che ricambiavano il suo affetto. Invece Peter era ben lungi da essere
una persona che sopportava, figurarsi suo amico…
Eppure, eccola lì.
Aveva seguito i suoi
pensieri e il suo istinto, balzando fra gli alberi con la sua fidata
agilità, cercando di raggiungere il più in fretta possibile il
luogo dello scontro.
Si era precipitata per
aiutarlo, per salvargli la vita.
Per quanto si
detestasse anche solo ad ammetterlo, l’idea che Peter venisse
ucciso le pareva intollerabile; era un borioso arrogante, era un
saccente egocentrico che l’aveva ferita con una facilità
tremenda…eppure, non aveva esitato un secondo nell’accorrere, nel
venire in suo aiuto.
Perché?
Perché era una
cretina, in fondo; e perché, nonostante tutto, Peter cominciava
seriamente a piacerle.
-Io non mi lamento.-
commentò Peter, strappandola ai suoi pensieri e riportandola lì, in
mezzo ai soldati che ghignanti si stavano avvicinando sempre di più.
Si lasciò sfuggire un
sorriso, la raminga; un ghigno divertito e pronto alla battaglia, a
combattere, la spada che riluceva nella luce opalescente dell’alba.
-Pronta?- le chiese
lui, dopo un altro attimo, la mano che si serrava saldamente
sull’elsa di Rhindon. E lei comprese immediatamente a cosa si
riferiva, che cosa stava passando per la mente dell’Alto Re.
-Sono nata pronta.-
rispose, piano, senza farsi udire.
-Ma sentila!- borbottò
lui, pianissimo, in un soffio che precedette di un istante l’attacco.
-Vai!-
E poi, fu il caos.
Siria alzò il suo Kain
appena in tempo, quando avvertì Peter lanciarsi all'attacco; ebbe
appena il tempo di distinguere il ghigno crudele dei soldati, prima
che un clangore assordante risuonasse a pochi centimetri dal suo
viso.
-Una donna che
combatte? Siete patetici, voi Narniani.- ringhiò il soldato che
l'aveva appena attaccata, ad un soffio dal suo viso, dandole la
nausea quando il suo respiro pesante e viziato le invase
sgradevolmente i sensi.
E la rabbia montò
repentina, violenta, fomentata dall'orgoglio.
-Ah, davvero?- la
raminga balzò indietro, il mantello che fluido danzava insieme a lei
come le ali d'un falco corvino. Si accovacciò appena, piegando le
ginocchia, alzando con scioltezza la spada fino a portarla a livello
del proprio volto, obliqua; gli occhi blu si riflettevano sulla lama
d'acciaio, illuminandola di sinistri bagliori simili ad un incendio.
Il soldato la osservò
con scherno, sottovalutando la posizione predatoria che il corpo
della raminga aveva appena assunto; non aveva riconosciuto il felino
che si celava sotto quella pelle candida, gli artigli sguainati che
parevano soltanto pronti a ghermirlo nella più feroce delle
strette...
Sorrise, Siria. Un
sorriso sardonico e privo di gioia, il sorriso di un guerriero.
Il sorriso, di
un'assassina.
-Stai a vedere cosa ti
combina la
donna,
telmarino.-
Il soldato non ebbe
nemmeno il tempo di sentire il disgusto calcato sull'ultima parola,
prima che la furia rossa si scatenasse in tutta la sua ira.
I duelli di Siria erano
terribili, combattuti con una spietatezza che avrebbe terrorizzato
chiunque si trovasse dinanzi a lei. In battaglia la raminga si
trasformava, dimenticando ogni incertezza e lasciando che
l'adrenalina, la foga del combattimento prendessero il sopravvento su
ogni pensiero razionale.
La sua spada danzava e
colpiva, colpiva e uccideva; non c'era scampo, per gli sventurati che
capitavano di fronte a lei.
Soltanto la morte.
Era questo di cui Peter
era convinto, ammirato suo malgrado per la maestria con cui la
raminga combatteva. Guardarla battersi era uno spettacolo
affascinante e spaventoso allo stesso tempo; i capelli rossi
danzavano intorno a quel corpo tonico, il mantello nero scopriva a
tratti la pelle candida della neve.
Era un gioco di
fuoco e di ombre, di luce e di sangue.
Un gioco a cui il
telmarino di fronte a lei, e i due che seguirono, non riuscirono
minimamente a far fronte.
La spada dall'elsa di
drago della raminga saettava con una precisione quasi millimetrica,
guidata da un istinto freddo e spietato che non lasciava spazio al
rimorso; Siria colpiva per uccidere, e dove la lama d'acciaio di Kain
si abbatteva, sferrata con una potenza che in una donna era quantomai
sorprendente, lasciava soltanto morte e sangue al suo passaggio.
Questa era la
convinzione di Peter, maturata dopo diversi giorni passati a
studiarla da lontano.
Lei era diventata il
suo cruccio personale, la sua nemesi. Il pensiero di quanto
facilmente fosse riuscito a ferirlo – la sua guancia ancora
bruciava d'orgoglio – lo aveva tormentato a lungo, spingendolo a
studiare ogni singolo allenamento della ragazza, imparando su di lei
molto più di quanto avesse pensato.
In cuor suo aveva
pensato che sarebbe stato meglio conoscere
il nemico...non
si era fidato di lei, non gli era mai piaciuta.
Eppure, ora era al suo
fianco che combatteva.
Eppure, ora, non
avrebbe desiderato nessun altro al suo fianco.
Siria era un pericolo,
probabilmente; ma nonostante questo, era una guerriera
formidabile...e una persona leale, pronta a battersi per qualcuno che
detestava.
Sorrise appena, il Re
Supremo, ripiombando in mezzo alla battaglia dopo quei pochi attimi
che si era preso per osservarla, incantato dalla grazia e dalla
potenza di quel combattimento.
Siria, dopotutto,
cominciava seriamente a piacergli.
-Stai attento, biondo
coglione!- il Re si abbassò di scatto, appena in tempo perché un
dardo rosso come il sangue sfrecciasse a pochi centimetri dai suoi
capelli, uccidendo all'istante il nemico che stava per attaccarlo di
spalle.
Si voltò di scatto,
Peter; appena in tempo per vedere un soldato attaccarla alle spalle,
serrandole le braccia in una morsa troppo forte perché la raminga
potesse liberarsi. Altri due la fronteggiavano, e già vedeva il
sangue rigare le braccia candide della ragazza...
Non si diede nemmeno il
tempo di pensare; la sua spada si abbatté con violenza su uno dei
due aguzzini, il cranio che si frantumava sotto la violenza
dell'acciaio, mentre con un calcio ben assestato colpì l'uomo che
teneva bloccata Siria, liberandola.
-Io
dovrei
stare attento, eh?- la rimbeccò, ma non riuscì a non sorridere
quando si ritrovarono fianco a fianco, ansimanti ma ebbri
dell'adrenalina che soltanto una battaglia poteva donare ad entrambi.
-Avevo tutto sotto
controllo!-
Un'altra stoccata,
due spade che ballavano la stessa danza mortale.
-Sì, certo! Non sai
fare di meglio, Siria?-
Combattevano
insieme, l'uno per l'altra; un'armonia, fra loro, mai provata con
nessun altro.
Siria sorrise,
completamente travolta dalle sensazioni della battaglia, del
combattimento; mai, mai in tutta la sua vita battersi al fianco di
qualcun altro era stato così...perfetto.
E Peter,
incredibilmente, ricambiò il suo sorriso; e c'era la stessa
esaltazione, la stessa passione che Siria sentiva ardere appena sotto
la pelle, negli occhi celesti di un Re che sentiva di detestare
sempre un po' meno ad ogni istante.
In quell'istante, ogni
diverbio pareva dissolto nel nulla; ogni discussione, ogni scontro,
ogni rancore...tutto era sparito, frantumato nella marmorea
consapevolezza di aver scoperto un'affinità del tutto nuova,
un'improvvisa complicità che entrambi non avevano mai provato.
La raminga gli scoccò
appena un'occhiata, prima di brandire un'ultima volta la sua spada;
un lampo, un affondo, un guizzo di capelli rossi come il fuoco, e
l'ultimo soldato cadde dopo pochi istanti, sconfitto.
Improvvisamente, nella
foresta piombò il silenzio.
Peter odiava quel
momento, l'istante in cui la battaglia finisce e i rumori svaniscono
in un niente, trascinando con sé le vite dei caduti. Sentiva che in
quel baratro avrebbe potuto esserci lui, che in quel silenzio di
morte poteva essere lui a cadere...non era piacevole, quel silenzio.
Ma stavolta, questa
volta non era solo ad affrontare quell'orrore.
Siria pareva più
disgustata di lui, gli occhi che parevano rifiutarsi di guardare i
cadaveri scompostamente abbandonati sul terriccio. La osservò
respirare a fondo, riprendendo fiato, pulire la spada sull'erba e
rinfoderarla un istante prima della balestra; gesti calmi, misurati,
quasi freddi. Gesti che tradivano un tumulto che Peter sentiva
agitarsi ogni volta nel suo torace, alla fine di ogni massacro.
Senso di colpa.
Ma ebbe soltanto il
tempo di rendersi conto di quel particolare, di quel rimorso che
caratterizzava entrambi, prima che una fitta lancinante al petto non
lo colpisse con una forza inaudita.
-Ah…- si lasciò
sfuggire un gemito, la spada che scivolava via dalla sua presa e
cadeva fra le foglie, le mani che salivano a tentare di frenare il
dolore che si propagava ad una velocità terribile in tutto il suo
petto.
Avvertì le ginocchia
fremere, le gambe minacciare di abbandonarlo.
Aveva perso troppo
sangue…non era una ferita grave, sarebbe sopravvissuto, ma era
troppo il rosso che scendeva lungo la sua tunica lacera…
-Ehi!- fu soltanto
grazie a Siria che non crollò in ginocchio, le braccia della raminga
che lo sostenevano immediatamente, senza esitare nemmeno per un
istante.
Si aggrappò a lei,
alle sue spalle sottili ma incredibilmente forti, serrando gli occhi
per tentare di trattenere la sofferenza.
E in quel momento
ringraziò, ringraziò con tutto il cuore che ci fosse Siria, al suo
fianco; non avrebbe permesso a nessun altro di vederlo in quello
stato, ma lei…lei già due volte lo aveva umiliato, salvandogli la
vita, distruggendo la sua fierezza di uomo e di guerriero.
Non c’era più nessun
orgoglio, a contrapporlo a quella ragazza.
-Non osare crollarmi,
biondo.- con un’insospettata delicatezza, Siria lo costrinse a
sedersi a terra, la schiena che incontrava il rassicurante sostegno
del tronco di un albero.
Ma cosa mi tocca
fare…dannazione, Shay!
Peter era pallido,
pallido come non lo aveva mai visto. Ne sapeva abbastanza di ferite
per capire che la ninfa doveva arrivare il più in fretta possibile,
perché l’emorragia minacciava di accoppare quell’idiota anche
prima del tempo…
.
Datti una mossa,
altrimenti qua ce lo lasciamo, il biondo!
.
.
.
.
My
Space:
Ma buongioooorno ^^ che bello vedermi prima di un mese, eh? xD
Allora,
ho poco da dire su questo capitolo: Peter in versione emo è
sempre un piacere, e Siria è qualcosa di fenomenale xD in questo
capitolo non appare Shay, ma per motivi precisi; quel poveraccio di
Peter mi muore, fra un pò xD
Uh, ciao *-*
Sono contentissima che il capitolo ti sia piaciuto tanto, ero un
pò insicura ^^' solitamente io e lo zucchero non andiamo
d'accordo, il mio tipo di coppia preferita è tipo Siria e
Caspian; sono dolci, ma c'è sempre una tensione (sessuale e non)
che non permette alle carie di formarsi xD
Per quanto riguarda Siria...beh, c'è una frase
precisa, nel capitolo in cui Peter conosce Shaylee, che è
fondamentale xD
(mi piace il mistero, molto *risata malefica*)
Un bacione!
Bentornata!!!!!!!!!!!! *inneggia una ola per il momento topico*
E'
un piacere rileggerti, e rivederti fra i recensori *.* Tranquilla, le
recensioni lunghe non mi danno mai fastidio, anzi xD penso ti
risponderò nello stesso modo che tu hai usato per recensire,
te lo meriti!!!
Recensione per “Moonlight”
Allora,
eccomi ^^ la canzone è stata scelta dalla Fla, siamo di comune
accordo che Yiruma sia il più adatto a Peter e Shay, come
compositore :) E' stato lungo da scrivere, e per nulla semplice: questi
due non sono proprio nelle mie corde, e più di una volta mi sono
ritrovata a detestarli di cuore ^^' Davvero, i complimenti per questo
capitolo vanno tutti alla Fla, io ho fatto solo da amanuense :) a
parte Peter impacciato: quello è un gusto tutto mio, di mostrare
il Re Supremo in tutte le salse e in tutti i modi possibili, da
indomito Re a ragazzino impaurito dai sentimenti xD
Lo
spoiler? Eccoti accontentata xD Siria è geniale, quando si mette
in testa di fare qualcosa non c'è santo che tenga, lei deve
portarla fino in fondo ^^ ed eccola che finalmente si avvicina di
più a Peter; non aspettavo altro, a dirla tutta xD
Recensione per “Blue Eyes”
Blue
Eyes è stato uno dei miei capitoli preferiti, già
dall'inizio. Siria ha perso la maschera, ha perso tutti i suoi gusci
più diversi; è finalmente se stessa, con Caspian,
è la ragazza che non ha mai potuto essere. C'è un passato
di morte e di sangue in lei, un passato che non può sparire del
tutto; e con cui arriverà a fare i conti, molto presto.Caspian
*-* Caspian è qualcosa di meraviglioso, lo amo ogni volta che
scrivo di lui xD Aaron è un fratello decisamente
protettivo, ma alla fine, si da una mossa (anche grazie a Talia,
santifichiamola xD)
Nobel per la scrittura? Ma dai, no :S Tolkien è un mostro sacro, io sono una ficwriter xD
Recensione per “Caged”
Lo
scontro fra Siria e Peter è qualcosa che ho adorato scrivere;
sono due personaggi che amo tantissimo, quelli in cui mi calo al
meglio. E sono due testoni fuori misura, simili e diversi allo stesso
tempo. Sono due personaggi che hanno molto da dare, e che molto daranno
^^ Siria e Aslan...eh, è un pò il cardine di tutto il
mistero che circonda Siria, questa reazione ^^
Siria e i tatuaggi mi affascinano molto; non è escluso che ne appariranno altri, prima della fine della storia xD
Recensione per “Our Solemn Hour”
Caspian
e Siria vinceranno il Nobel, per il romanticismo però xD Sono
una delle coppie più belle che abbia mai trattato, secondi
soltanto a Diana e Blaise *-* Torturare Peter? Nooo, quando mai!!! Io
gli voglio taaanto bene xP
Siria
è un personaggio che amo molto, in cui sto mettendo tantissimo
di me; è poliedrica, complicata come le lancette di un orologio,
ed è affascinante da descrivere e da caratterizzare ^^
Shaylee
è un'altra bella gatta da pelare, sì u.u non ti nascondo
che mi è difficile calarmi in una mentalità così
diversa dalla mia; hai presente quanto diverse sono Siria e Shay? Io e
la Fla siamo diverse allo stesso modo, e non è semplice entrare
nel suo personaggio ^^'
Recensione per “Stand My Ground”
La battaglia *-* io amo le battaglie, anche in questo capitolo ho amato la scena del combattimento xD
L'affiatamento
fra i mercenari è qualcosa su cui ho calcato volutamente; sono
cinque anni che combattono insieme, e volevo premere su quanto siano
affini, completandosi l'un l'altro.
Shaylee finalmente tira fuori le unghie xD
Per
Caspian e Peter ho cercato di calarmi nei personaggi dei libri, che ho
letto recentemente, ma soprattutto del film; Caspian è un
idealista, Peter è un Re, e la differenza (e le similitudini)
fra loro sono lampanti.
Siria,
eh! Questo è parte del suo mistero, ma non è come
Shay, una creatura legata ad un elemento. Siria è qualcosa di
più, è una creatura unica di cui ho dato molti dettagli e
molti indizi xD c'è una frase in particolare, nel quarto
capitolo mi sembra (quando Peter incontra Mairead); è quella, la verità xD
Siria e Miraz...eh, è un problema che tornerà molto presto xD
Recensione per “To End The Rapture”
Peter è un tonto! (e io mi diverto troppo a maltrattarlo, non si nota? xD)
La
natura di Siria non è malvagia; è fuori controllo,
anzi...non è sotto il controllo di Siria, ma di qualcun altro di
ben preciso. Ci arriverò xD
I
personaggi in questi capitoli hanno dato il loro meglio; Caleb, Talia,
Siria, Caspian. Questi ultimi due li ho nel cuore, ma gli altri due li
adoro, senza mezzi termini xD
Una
cosa su cui ho puntato è stato il grifone; io ho urlato come una
disperata alla prima visione del film, gridando a Edmund "ma vai a fare
qualcosa, hai un grifone, è forte, tira su quella grata!!!"
insomma, non mi danno retta -.-
Peter
e Shaylee, definizione di una mia amica, sono due cuccioli di foca che
si rotolano addosso xD sono teneri, impacciati, e carinissimi xD
Ecco,
ho finito anch'io xD Non ti preoccupare per i ritardi, lo capisco
benissimo, stai tranquilla!!! Amo le tue recensioni ,te l'ho mai detto?
Mi
dispiace che tu abbia passato un periodo brutto, davvero. Non è
stata una bella estate nemmeno per me, penso di riuscire a capirti
almeno un poco; a mia mamma hanno diagnosticato l'epatite, a me una
malattia autoimmune. Ci sono state discussioni, liti, tanta rabbia e
tanto dolore che si sono accumulati e sono esplosi, lasciando solo
macerie. Mi sto cominciando a riprendere davvero soltanto ora, e non
è facile; ho rischiato di morire, di morire dentro. Ho visto la
mia famiglia sull'orlo del baratro, in procinto di sfaldarsi e
autodistruggersi, e ho sopportato tante di quelle pugnalate che pensavo
di non avere più spazio per riceverne altre.
Insomma, se Siria è tormentata, è colpa mia ^^'
Un bacione grande, ci risentiamo su questi lidi ^_____^ <3
Cavoli, questo capitolo è stupendo. Mi sono
emozionata tantissimo a leggerlo, sei stata davvero brava. E poi... era
ora che Peter e Shaylee si dessero una svegliata! Quanto sono carini *-*
Io appena leggo qualcosa che riguarda Peter mi sciolgo, non so se ci
hai fatto caso :)
Brava brava brava *applaude*
Un bacione, ci sentiamo al prossimo capitolo ;)
Aaaaah! Nightwish!!!
A canto mi hanno insegnato a cantare Sleeping Sun, io li amo quei
ragazzi! E anche gli HIM, sempre finlandesi xD E no, tranquilla che non
ti avrei detto nulla a vederti in T Shirt al freddo...l'avrei
fatto anch'io xD
Peter e Shay....*trombe suonate a festa!!!!*
Diana e Blaise...oddio, no, non confrontiamoli ^^' sono due coppie
troppo diverse, troppo lontane, troppo...Diana e Blaise sono
nell'Olimpo, Peter e Shay ne hanno ancora di crostini da mangiare per
raggiungerli xD
(non posso farci nulla, per me Diana e Blaise restano sempre, comunque
e dovunque il massimo possibile xD in Peter e Shay mi ci rivedo molto
poco...sono troppo diversi da me, adoro molto di più
Cispia/Siria e Caleb/Talia xD)
Per Siria...no, non è come la nostra cara vecchia Di xD hanno
una cosa in comune, però...complicarsi la vita è troppo
divertente xD
Peter e Shay mi hanno fatta dannare non poco, sai?
Sono stati ben problematici da descrivere xD
Peter è andato a seeeegno xD Peter ce la faaaaaaaaaaa!
Non ci credevo nemmeno io quando l'ho scritto, a dirla tutta xD è proprio un cocker, un cocker emo u.u
Ma non penso chiederà consiglio a Caspian...non ce li vedo, rotolo dal ridere solo al pensiero xD
Un bacione tesoro, e un abbraccio forte forte <3
Datti una mossa,
altrimenti qua ce lo lasciamo, il biondo!
Shaylee si morse la
lingua, l’acqua che si scostava per permetterle di riprendere
le sue sembianze,
dandole la possibilità di correre a riva dopo essersi
materializzata nel
piccolo ruscello che scorreva poco lontano dal luogo dello scontro.
Quel piccolo torrente
l'aveva avvertita, l'aveva costretta a riaprire il contatto mentale che
la
legava a Siria; e il terrore, l'adrenalina, tutto quanto aveva
investito con
una violenza terribile la sua mente, stordendola fino a non farle
capire più
niente.
La mente di Siria
solitamente diventava fredda durante una lotta, gelida come un lago
d’inverno;
si era aspettata di trovare quella spietata macchina di morte che la
rossa
sapeva diventare, una volta schiuse quelle barriere che dividevano le
loro
menti…
E invece aveva trovato
soltanto un caos di emozioni, tenute appena a freno da un qualcosa che
non era
riuscita a definire con chiarezza.
Adrenalina, esaltazione,
paura, preoccupazione; c’era di tutto in quella testa, tanto
da riuscire a
stordire anche lei.
Ma era stato un solo
pensiero, quello che era stato in grado di emergere in quel tumulto di
emozioni.
Peter.
La paura, l’astio, la
freddezza…tutto scomparso.
Peter.
Peter era ferito. Peter
stava soffrendo, Peter stava rischiando la vita…
Peter.
Non poteva nemmeno
pensarci. Il suo cuore urlava disperato al solo pensiero che potesse
succedergli qualcosa, che potesse soffrire, che potesse andarsene via
anche
lui…non sarebbe sopravvissuta a quel dolore, non avrebbe
più avuto la forza
nemmeno di rialzarsi, se Peter…
La foresta era solo una
macchia indistinta, intorno a lei, mentre correva. Correva alla
velocità massima
che le sue gambe le consentivano, ignorando i rami più bassi
che la
graffiavano, le radici che minacciavano di farla cadere.
Peter.
E finalmente, una macchia
rossa nel verde.
-Peter!- Siria si scostò
nello stesso istante in cui la sentì arrivare, un peso che
si sollevava dal
cuore. Conosceva la magia delle ninfe, sapeva che Shay avrebbe potuto
curarlo
in un batter d’occhio…e, dopotutto, allontanarsi
da quei due non era una così
cattiva idea.
Si fece in disparte,
stringendosi il mantello addosso per coprire le braccia ferite.
L’ultima cosa
che voleva era distogliere l’attenzione di Shaylee da Peter,
per qualche
graffio, per di più.
Shaylee si lasciò
crollare
in ginocchio accanto al biondo, una morsa terribile che le attanagliava
il
cuore. Peter era pieno di sangue, era pallido…si
sentì sprofondare nel buio,
nel distinguere i suoi occhi socchiusi, incoscienti, e i capelli biondi
sporchi
di rosso, abbandonati sulla fronte.
Aveva un orribile squarcio
in mezzo al petto, la tunica non aveva protetto la sua carne dal colpo
infertogli con rabbia. Senza pensare, la sua mano piccina e minuta
corse al
pugnale che lui stesso le aveva donato, sfilandolo dal fodero e
lasciando
immediatamente scivolare la lama sul petto del ragazzo, tagliando quel
che
rimaneva dell’abito per poter meglio intervenire su quel
taglio.
Tremava, ma le sue mani
erano ferme.
Non poteva sbagliare, non
poteva nemmeno pensare di non fare tutto il possibile per salvarlo.
Erano le
due le vite in gioco in quell’istante, due vite che si erano
intrecciate e che
non aveva la minima intenzione di sciogliere: quella di Peter, e la sua.
Perché lei lo amava, lo
amava da tanto tempo. Lo amava più di quanto non avesse mai
fatto, lo amava
tanto da temere quello sconvolgimento, tanto da avvertire la chiara
sensazione
che il suo cuore non le apparteneva più.
Perché era lui a
possederlo, adesso. Ed era stata lei, lei
stessa, a donarglielo.
Avvertiva l’energia
pulsare, appena qualche metro sotto i suoi piedi; quella era
l’energia a cui
attingeva, quella era la forza che le permetteva di guarire: le falde
acquifere
permeavano l’intera Narnia, e quei bacini sotterranei le
trasmettevano la forza
stessa della madre di ogni ninfa. Erano incantesimi arcaici, muti,
incanti che
risalivano persino a prima della nascita dei quattro Re.
Erano il mezzo più
rapido
per fermare quell’emorragia.
Chiuse gli occhi, cercando
di ignorare il battito furioso del proprio cuore incrinato dal terrore,
la
paura che si mischiava al suo respiro.
Doveva raggiungere quelle
polle, doveva implorare il loro aiuto. Le avrebbe pregate persino, di
concederle l’energia e la forza che le servivano per aiutare
Peter…
Cercò di respirare,
cercò
di chiudere fuori tutto quanto.
Ma non riusciva a non
avvertire la pelle calda e febbricitante del Re sotto le dita appena
tremanti,
non riusciva a non sentire l’odore metallico del sangue
nausearla,
terrorizzarla.
Non riusciva a ignorare il
pensiero che Peter stesse rischiando la vita a poco più di
un respiro da lei,
non riusciva ad allontanare quella paura. La stava distruggendo da
dentro, la
stava corrodendo a partire dal cuore, quello stesso cuore che batteva
terrorizzato.
.
Hai paura, ninfa.
.
Sussultò, Shaylee.
Quella voce…quella non
era
il delicato sussurro delle acque di superficie.
Quella voce non era il
sussurro della madre, non era la carezza dei suoi specchi
d’acqua.
Quella era la voce della
sua stessa natura.
Era dal profondo della
terra che le parlava, incorporea ed evanescente come un sussurro, ma
più
terribile di un fulmine a ciel sereno. La riempiva di paura e di
rispetto al
contempo, costringendola a rabbrividire per l’enorme, gelida
presenza che
aleggiava improvvisamente intorno a lei.
Quella era la voce della
sua stessa origine. Era la fonte, la fonte di tutto. La fonte di lei.
.
Hai paura per lui, ninfa?
.
Shaylee seppe subito di
non poter mentire. Lo sentiva, lo sapeva, lo avvertiva nelle ossa:
quell’essenza stessa che la permeava, che vibrava con una
forza terribile nel
suo corpo ad ogni sillaba, che la componeva, non
avrebbe mai accettato
una bugia.
Sì.
E in quelle uniche due
lettere, in quell’unico pensiero, Shaylee avvertì
fremere una forza del tutto
nuova. Un’energia che non pensava potesse appartenerle, ma
che veniva da lei,
dal battito martellante che le riempiva il petto di amore e di paura.
Una forza
che non aveva mai posseduto, una decisione che non aveva mai riempito a
quel
modo la sua mente.
Ma era la convinzione dei
suoi stessi sentimenti, ormai troppo grandi per essere ancora
imbrigliati.
Era troppo grande quello
che sentiva, quello che provava. Non aveva definizioni, né
limiti.
Sì.
E nello stesso istante in
cui quel pensiero echeggiò di nuovo nel suo corpo, nella sua
mente, Shay
avvertì qualcosa cambiare.
Schiuse gli occhi, il
mondo che girava vorticosamente intorno a lei; per un istante
provò vertigine,
confusione, mentre i colori della foresta vorticavano rapidi intorno ai
suoi
occhi. Ma un attimo dopo, un attimo dopo la sua attenzione venne
focalizzata
dalle proprie mani.
Brillavano appena,
brillavano di un’opalescente luce innaturale che rendeva la
sua pelle chiara
candida, perlacea.
Brillavano, e quella tenue
luce riflessa accarezzava dolcemente i lembi della ferita che
squarciava il
petto di Peter. Come incantata, Shay osservò quel dolce
chiarore cancellare le
tracce di sangue dalla pelle del Re, ricucire appena lo strappo che
deturpava
la pelle bronzea dei muscoli del ragazzo.
Lo stava guarendo...per la
prima volta, quell'antico potere delle ninfe scorreva impetuoso appena
sotto la
sua pelle, donandole la forza e la capacità di salvare
ciò che le era più caro.
Il chiarore svanì in
fretta dalle sue mani, in fretta com'era apparso.
Il calore che le aveva
infuso, però, persistette; rimase dentro di lei a languire
come un tenue ma
resistente fuoco in piena notte, rischiarando i suoi pensieri confusi
dalla
paura, rendendo limpida e cristallina la sua mente.
Sapeva cosa fare.
Quando quel tepore che
irradiava la sua pelle scomparve del tutto, non rimase immobile. Le sue
dita
corsero rapide alla bisaccia che portava sempre con sé, a
tracolla, slacciando
i lacci con una rapidità data soltanto dall'esperienza.
Le ninfe erano ottime
cerusiche, l'abilità nelle arti mediche era qualcosa che
coltivavano fin dagli
albori dei tempi; e Shay portava sempre con sé una serie di
erbe officinali,
erbe che aveva imparato a conoscere fin da bambina, che potevano essere
molto
utili in situazioni come quella.
Le ci vollero pochi
minuti, per ottenere un impacco che avrebbe cicatrizzato in fretta la
ferita
ancora slabbrata; il suo intervento aveva fermato l'emorragia, saldando
i punti
critici colpiti dal nemico, ma non era abbastanza.
Fu con delicatezza che le
sue dita sfiorarono il torace sofferente del biondo, ancora
incosciente. Per
fortuna era svenuto...Shay aveva visto più di un guerriero
cedere di fronte a
quel sordo dolore, le ferite aperte toccate da una mano estranea.
Alzò gli occhi su di lui
solamente quando la ferita fu completamente medicata e fasciata; era
ancora
pallido, ma già sulle guance intravedeva un colorito roseo e
molto più sano
farsi strada sulla sua pelle, i lineamenti del volto molto
più distesi.
Sospirò, sentendo la
tensione allentarsi nel petto, il sollievo sciogliere i muscoli
rimastri
convulsamente contratti fino a quel momento.
Era sano e salvo.
Lasciò che le proprie
palpebre si abbassassero, una stanchezza terribile che prendeva
lentamente il
posto dell'angoscia dentro di lei. Peter era al sicuro, non era
più in
pericolo, tempo un paio di giorni e di quella ferita sarebbe rimasta
solo una
sottile cicatrice...eppure, adesso, Shaylee sentiva soltanto il bisogno
di
piangere.
Aveva avuto così tanta
paura…solo il pensiero di essere arrivata vicina a perderlo
era insostenibile,
troppo doloroso per essere anche solo formulato.
Peter non poteva morire,
no…non poteva. Non gli sarebbe sopravvissuta.
Si abbandonò esausta
contro il tronco di quell'albero, quella corteccia calda e viva che la
accolse
con una dolcezza quasi paterna, confortante.
Peter era sano e
salvo…si
voltò a guardarlo, al suo fianco, le palpebre che
racchiudevano dolcemente
quegli occhi azzurri che lei tanto amava.
Riposava sereno,
finalmente, i lineamenti del viso distesi e meravigliosamente
rilassati. Era
così bello quando dormiva, lei lo sapeva
bene…quella stessa mattina lo aveva
osservato a lungo, incredula lei stessa di quanto un essere umano
potesse
essere tanto perfetto.
E perfetto Peter lo era
davvero; non soltanto fisicamente, ma il suo cuore, la sua
anima…tutto, in lui,
era splendido. Il Magnifico, lo capiva solamente
ora, non era un
appellativo così sbagliato nei suoi confronti.
Sorrise amaramente, negli
occhi una scintilla di dolcezza e sofferenza; quella notte era riuscita
a
dimenticare tutto, a lasciarsi trasportare da nient'altro che i
sentimenti. Le
onde di piacere, di amore,
che
l'avevano attraversata erano rimaste impresse a fuoco sul suo corpo,
come una
dolce lava immersa nelle sue vene insieme al sangue e alla magia.
Gli sfiorò con le dita
sottili la ferita che velocemente stava guarendo, percorrendo con
cautela il
corpo del biondo, sempre più su, arrivando a lambire appena
quel punto del
collo che aveva scoperto essere perfetto per rifugiarsi, dimenticando
tutto il
resto.
Il profumo di lui era
forte in quel lembo di pelle, la inebriava a tal punto da far svanire
ogni
insicurezza, ogni timore, con la sola coscienza di essere nel posto
giusto al
momento giusto.
Peter era la sua casa, il
cuore lo urlava battendo furiosamente ogni volta che solo lo
intravedeva.
Ma il timore di perderlo
era troppo grande e doloroso, per ignorarlo; se solo poche ore prima
non avesse
ascoltato quelle
parole...
Improvvisamente, la fronte
di Peter si corrugò, le palpebre si strinsero appena.
Shaylee non ebbe nemmeno
il tempo di rendersene conto, di accorgersi che il suo respiro si era
fatto
sempre più pesante; bastò un istante, al Re
Supremo, per schiudere gli occhi
azzurri e cercare, istintivamente, i suoi.
Sussultò, la ninfa,
quando
quelle limpide iridi celesti occuparono nel tempo di un battito ogni
suo
pensiero, ogni sua attenzione. Erano vigili, attente, cristalline come
l’acqua;
e un qualcosa che si contorceva nel suo ventre le fece intuire che lo
fossero troppo,
che non esattamente era lo sguardo di una persona appena
rinvenuta…
Rimase immobile,
ascoltando il suono assordante del cuore che si dibatteva furibondo nel
suo
petto. Era più coraggioso di lei, mille volte più
temerario di quanto lei
stessa non sarebbe mai stata…
Erano vicini, erano
tremendamente vicini. Riusciva ad avvertire il suo respiro sfiorarle
una
guancia in una tenue carezza, riusciva a contare ogni singola ciglia
bionda,
riusciva a vedere ogni domanda inespressa in quei due pezzi di cielo
azzurro.
Non disse nulla, Peter,
preferendo per una volta restare in silenzio.
Aveva il terrore che se
soltanto avesse provato a parlarle, a chiarire, Shaylee sarebbe
scomparsa di nuovo…
per questo motivo aveva finto, dopo essere rinvenuto in qualche
istante. Aveva
sbirciato in silenzio le azioni della ninfa, si era beato di quegli
istanti in
cui si era preoccupata per lui…
Ma voleva parlarle, voleva
capire.
Voleva sapere perché,
dopo
quella notte, era fuggita ancora una volta da lui.
Non sapeva più come
farle
capire che cosa provava, che non le avrebbe fatto del male, che non
l’avrebbe
lasciata; non aveva più idea di come trattenerla con
sé…
Si mosse appena, sentendo
quell’attimo di cristallino silenzio spezzarsi al suo brusco
sospiro; la ferita
appena curata tirava terribilmente la carne, dandogli un lieve dolore
che era
più fastidioso che altro.
-Shaylee…-
mormorò, ma
seppe già nello stesso istante in cui aveva parlato che non
sarebbe servito a
nulla.
La ninfa si era
bruscamente allontanata da lui, gli occhi dorati che si scostavano
rapidamente
dai suoi; quella paura che Peter stava cominciando ad odiare segnava di
nuovo
il suo viso, i suoi lineamenti, le labbra strenuamente contratte.
Eppure, Peter lo ricordava
anche troppo bene, quelle labbra erano meravigliosamente
soffici…
La ninfa si alzò in
piedi,
rassettando con un gesto nervoso la veste candida. E Peter si
sentì
sprofondare, il cuore che dolorante perdeva qualche battito, nel
vederla così
fredda e lontana - terribilmente, maledettamente lontana da lui.
-Shay…-
La Naiade avvertì
qualcosa
di terribilmente gelido serrare il suo cuore in una morsa, al suono
dolce e
quasi supplichevole della sua voce. Una parte di lei era allibita,
sorpresa da
quella mitezza che nell’Alto Re nessuno aveva mai
scorto…ma era troppo
concentrata su quel dolore soffocante che le riempiva il petto, i
pensieri, per
accorgersene.
Quanto avrebbe desiderato
voltarsi verso di lui, confessargli tutte le sue paure…ma
non ci riusciva, non
riusciva ad ammettere nemmeno con se stessa che il terrore avesse
ripreso con
una facilità terrificante il controllo del suo cuore,
costringendola a fuggire
– per l’ennesima volta – da lui.
Quella mattina…quella
mattina si era sentita morire.
Era tornata al campo,
più
confusa che mai.
Quello che era successo
quella notte…quello che era successo era stato troppo
grande, troppo intenso,
perché riuscisse a raccapezzarsi almeno un poco.
Era
stato tutto così meravigliosamente perfetto…
Per la prima volta non
aveva avuto dubbi, insicurezze, paure; per la prima volta si era donata
completamente a lui, donandogli quel cuore che lui si era
già preso, mischiando
l’anima alla sua.
Eppure…eppure si era
allontanata, ancora una volta.
Aveva
avuto paura…
Paura che tutto quanto si
spezzasse, paura che fosse stato soltanto un bellissimo sogno.
Si era allontanata da lui,
era scappata; il solo pensiero che fosse stata soltanto
una notte era bastato per incrinarle il cuore, per darle
l’impulso di quella fuga che tanto male gli aveva fatto.
Quei soldati non si erano
accorti della sua presenza silenziosa, quella mattina.
Si era accoccolata in un
angolino del campo, osservandoli distrattamente mentre si davano il
cambio del
turno di guardia; in cuor suo sperava di incontrare Siria, che ogni
mattina si
occupava della ronda, di poterle parlare, di trovare
conforto…
E invece, aveva soltanto
trovato un coltello in pieno petto.
.
-Pensi che i Re resteranno, questa
volta?-
-Se ne sono già andati
una volta, a guerre
finite. Questo non è il loro mondo, dopotutto…-
.
Questo
non è il loro mondo.
Quelle parole risuonavano
crudeli nel suo cuore agonizzante, tanto che dovette racchiuderlo fra
le dita, terrorizzata
all’idea di sentirlo andare in pezzi ancora una volta.
Se ne
sarebbero andati…
Peter
sarebbe andato via…
Non avrebbe potuto
sopportarlo.
Preferiva essere lei ad
andarsene, preferiva allontanarsi e lasciarsi alle spalle quella notte
e quei
sentimenti, costringendosi a morire ogni giorno un po’ di
più lontana da lui…
Avrebbe voluto credere che
fosse la scelta più giusta.
Avrebbe voluto credere davvero che separarsi da Peter fosse la
cosa migliore per entrambi, perché lei non era la persona
adatta a lui, perché
Peter sarebbe dovuto tornare a casa prima o poi, alla sua
vita…una vita senza
di lei, una vita che avrebbe vissuto senza ricordo di quella misera
notte.
Eppure l’unico desiderio
che davvero la animava era quello di voltarsi verso di lui, di
stringersi
ancora una volta a quel petto ampio e sicuro, e di abbandonarsi a
quelle
lacrime che lottavano per scendere…
Lui era il suo unico desiderio, lui era ciò che il suo cuore
chiedeva in un disperato grido
d’aiuto.
Ma
aveva già sofferto troppo…troppo,
per permettersi di rischiare ancora.
Aveva amato, aveva
perduto; la sua era stata una sofferenza di migliaia di giorni, di
centinaia di
settimane, di mesi, di anni.
Non avrebbe retto ad un
altro dolore…non sarebbe sopravvissuta.
Nemmeno…
Shay,
arriva qualcuno.
La naiade sobbalzò di
scatto, quando la voce nuovamente fredda e calcolatrice di Siria
trapassò con
la prepotenza di una spada il tumulto dei suoi confusi pensieri.
-Devo andare.- sussurrò,
piano, dando le spalle a Peter.
-Shaylee, aspetta un
secondo!-
No.
Non stavolta, non…no.
.
E quando Peter riuscì ad
alzarsi, ancora dolorante, la ninfa già era scomparsa.
.
.
Susan spronò appena il
cavallo, costringendolo ad avanzare più prontamente fra le
folte fronde del
sottobosco. Lucy era dietro di lei, in sella ad una giumenta dolce e
mansueta
catturata pochi giorni prima, fra le colline di Archen.
Le due sorelle si erano
accorte ben presto dell’insolita tranquillità al
campo; nessun feroce
battibecco fra Peter e Siria, nessuno sguardo angosciato rivolto a
Shaylee,
nessun Alto Re che allenava duramente i suoi uomini per una guerra che
aveva
poche speranze di vincere.
L’assenza di tutti e tre
aveva destato ben presto la loro preoccupazione; non sapevano
esattamente che
cosa aspettarsi, quando presi i due cavalli si erano avventurate sullo
stesso
sentiero che i soldati avevano visto imboccare da Peter, qualche ora
prima.
Era inquieta, Susan;
l’assenza di Siria le pareva soltanto l’ultimo di
una serie di inspiegabili
avvenimenti che, in qualche modo, sembravano essere tutti collegati a
lei…
Come quel dardo, che
improvvisamente sibilò a non più di qualche
centimetro dal muso del suo
destriero.
-Ehi!- la Regina afferrò
bruscamente le redini, riuscendo miracolosamente a reggersi in sella
senza
cadere quando il cavallo s’impennò con rabbia,
spaventato. -Stai indietro,
Lucy!- ordinò, mettendo istintivamente mano
all’arco, reggendosi alla sella
serrando le ginocchia sui fianchi dell’animale.
-Non ce n’è
bisogno.-
Quella voce gelida colpì
la Regina con la forza di una mazzata.
Soltanto una persona le
parlava con quel disprezzo, senza un minimo di cortesia, di rispetto.
Soltanto una persona si
sarebbe permessa di aizzare così il suo destriero, e quella
stessa persona era
l’unica che possedeva dardi scarlatti come i suoi capelli.
Susan alzò
repentinamente
lo sguardo, assottigliando i limpidi occhi celesti quando riconobbe
l’eterea
figura ammantata nelle ombre della notte.
Siria.
-Mi hai quasi colpita!-
sbottò, rinfoderando bruscamente l’arco nella
faretra, un moto di disprezzo che
riempiva le sue iridi d’ira nell’osservare la
felide figura della mercenaria
muoversi agile fra le fronde degli alberi.
-Ops. Scusa, non era mia
intenzione.- il sarcasmo di Siria riempì in pochi istanti
l’aria altrimenti
fragrante della foresta, appesantendola di una gelida ironia che
colpì, più di
tutto il resto, la piccola Lucy.
Siria non si rivolgeva mai
così, a nessuno. Nemmeno con Peter arrivava a tanta ira, a
tanto disgusto nella
voce solitamente, se non rispettosa, il più educata
possibile.
Invece con Susan…con
Susan, anche quella parvenza di gentilezza spariva del tutto.
-Di solito non colpisco
persone a caso nella foresta.- e non aveva poi neanche tutti i torti,
la
raminga, nel ricordare a Sue la ferita infertale mesi addietro.
Lucy si trattenne a stento
dall’alzare gli occhi al cielo, quando Susan esibì
orgogliosa il suo miglior
cipiglio altezzoso, quell’espressione che a lei proprio non
era mai andata giù.
-Non mi pento di quella
freccia, raminga.- rispose, fredda, trasalendo però quando
con un gesto
fulmineo Siria si ritrovò a poche manciate di centimetri da
lei, il volto
ferino distorto dall’ira, appollaiata con la pericolosa
eleganza di un rapace
su uno dei rami più bassi.
-Spiegalo alla mia
spalla.- sibilò, con rabbia, la voce che tagliava come la
lama della sua spada
sporca di sangue. -Spiegalo all’ennesima cicatrice che sono
costretta a
portare.-
Era stanca, Siria.
Era stanca delle cicatrici
che la deturpavano, di quelle sottili linee bianche che tracciavano una
storia
di sangue e di morte sulla sua pelle diafana.
Ed era stanca,
soprattutto, di Susan Pevensie e del suo irritante atteggiamento di
superiorità.
-Non mi fai paura.- Lucy
le osservava fronteggiarsi, in silenzio; Siria e Susan erano quanto di
più
diverso potesse esistere, sebbene fossero probabilmente coetanee.
Susan era l’emblema
dell’eleganza femminile, del portamento fiero e gentile che
ogni Regina avrebbe
dovuto mostrare. In molti erano stati gli uomini affascinati dalla sua
algida
bellezza, e altrettanti si erano ritrovati un educato, cortese, e
terribilmente
fermo due di picche ad ogni tentativo di avvicinamento.
Siria, invece…Siria era
il
simbolo di un altro tipo di femminilità, una donna selvatica
e forte come poche
altre. C’era la tempesta nei suoi occhi, il sangue sulle sue
labbra e il
tumulto nel suo spirito; era una guerriera, quella ragazza, cresciuta e
allevata dalla foresta che a Lucy non pareva più il sicuro
rifugio di tanto
tempo prima.
Erano diverse, diverse
come il giorno e la notte; come la luce che illuminava il sorriso di
Sue, ed il
buio che talvolta riempiva gli occhi di Sir.
-Io non mi fido di te. Tu
continui a nascondere qualcosa, qualcosa che potrebbe essere pericoloso
per
tutti quanti noi.- nonostante tutto, Siria apprezzava una cosa soltanto
nel
carattere della Regina; era coraggiosa, tanto coraggiosa da dirle in
faccia
quello che pensava di lei.
Ed
aveva ragione…
-Sono un pericolo, Susan
Pevensie?- le chiese, un sorriso irridente che si disegnava ferino
sulle sue
labbra.
Me ne sono andata, Sir.
Si trattenne dal rivolgere
un’occhiataccia al cielo, Siria, quando il pensiero pacato di
Shaylee rimbombò
nella sua mente.
Coppia
di piccioni insopportabili! Ma quanto ci vuole a capire che
state bene insieme, per tutti gli dei di questo mondo e pure degli
altri!?!?
Probabilmente, Shaylee
nemmeno udì il suo pensiero. C’era già
silenzio, fra i suoi pensieri, lo stesso
silenzio che tanto l’aveva angosciata quella mattina.
Tornò a guardare Susan,
leggendo in quegli occhi tanto simili a quelli di Peter la chiara
risposta alla
sua domanda retorica.
Sì.
Il sorriso sarcastico
della raminga si accentuò, quando con un gesto fluido si
ritrovò a terra, i
calzari che nemmeno un suono producevano fra le secche foglie del
sottobosco.
-Tanto pericolosa da aver
salvato per la seconda volta la vita di tuo fratello.-
commentò, caustica,
vedendo trasalire entrambe le sorelle Pevensie.
-Che cosa…- la rossa si
limitò ad un freddo gesto del capo, indicando a Susan la
direzione per
raggiungere un sicuramente irritato e dolorante Peter.
-Laggiù.-
mormorò, e già
un istante più tardi la Regina aveva spronato il cavallo al
galoppo,
allontanandosi da Siria.
Ma Lucy no, Lucy non la
seguì.
La piccola rimase
dov’era,
osservando pensierosa Siria che si avvicinava ad una piccola nicchia
fra gli
alberi, traendone un cappio che aveva assicurato ad un ramo. Non la
sorprese
vedere Destriero trottare placidamente da quel nascondiglio sicuro,
diretto
verso la rossa; e nemmeno notare la dolcezza con cui la bestia si
lasciava
accarezzare il muso.
-Buono, piccolo.-
avvertì
il sussurro della raminga, le dita che sfioravano con tenerezza il
folto manto
corvino del cavallo.
Sospirò, Lucy, spronando
la giumenta per avvicinarsi un poco alla ragazza.
-Sue non è malvagia,
non…-
provò a cominciare, incerta, tentando di giustificare almeno
un poco il
comportamento che la sorella aveva tenuto con Siria.
Non capiva tutto
quell’astio, Lu; Siria aveva dimostrato più e
più volte la sua lealtà, e per
quanto non andasse d’accordo né con Susan
né con Peter non si era mai
ribellata, finendo per obbedire agli ordini, come un bravo soldato.
Eppure, Sue non si fidava
di lei; forse era Lucy a sbagliare, ad essere troppo
ottimista…
-Lo so, piccola.-
sussultò, la piccola Pevensie, quando la voce
improvvisamente raddolcita di
Siria la raggiunse.
La raminga stava fissando
la balestra alla custodia della sella, assorta
nell’intrecciare le cinghie e i
passanti, gli occhi blu dispersi fra pensieri che Lucy non conosceva.
Ma era dolce, la sua voce.
-Ha più ragione di
quanto
lei stessa pensi…- forse Siria non si accorse di quella
frase, sfuggita alla
maglia fitta della sua mente sulle sue labbra.
Ma Lucy, al contrario,
sì.
-Io non ci credo.-
affermò, sicura, smontando dalla giumenta e avvicinandosi
alla rossa,
costringendola a voltarsi verso di lui. -Tu hai gli occhi buoni,
Siria.-
affermò, certa, vedendola sussultare appena.
Ma ne era certa, più di
qualsiasi altra cosa: gli occhi di Siria potevano essere cupi, lontani,
potevano celare misteri che forse avrebbero spaventato molti di loro.
Ma non erano occhi
malvagi, né gelidi.
Erano occhi limpidi che
improvvisamente si velarono, alle parole sincere e affettuose della
più giovane
dei Pevensie.
-Piccola…-
cominciò,
sentendo un qualcosa di terribilmente doloroso annodarsi a livello del
torace, le
iridi che pungevano.
-Se tu sapessi di essere
dannata per qualcosa di cui non hai colpa, cosa faresti?-
sussurrò, senza
riuscire a sostenere la dolcezza un poco ingenua, terribilmente bella,
nello
sguardo di Lucy.
-Se fosse il tuo stesso
sangue il tuo errore, se già essere nata
facesse di te un pericolo per
tutta Narnia…come ti sentiresti?-
Era una domanda crudele,
quella.
Nessuno, fra loro, avrebbe
mai potuto capire davvero cosa significava essere dannata.
Siria ne era conscia,
Siria sapeva che la sua dannazione era la stessa solitudine che la
riempiva di
un vuoto da cui non riusciva a liberarsi da vent’anni, ormai.
E sapeva, ne era
consapevole con tutto il dolore che riempiva il suo cuore, di non poter
condividere quel peso con nessuno.
Lei, era l’unica segnata
da quel destino scritto nel sangue.
-Io…io non lo so.-
mormorò
Lu, dispiaciuta, abbassando appena lo sguardo da quel volto ferino ed
angosciato.
Era l’incontro fra due
realtà completamente diverse, fra il passato ed il futuro di
due anime che, un
tempo, dovevano essere state molto simili; ma ciò che
rimaneva di Siria era
soltanto un brandello che svolazzava stremato nell’impervio
vento gelido che
l’aveva trafitta troppo spesso, mentre Lucy…
Siria la guardò con
tenerezza, una triste dolcezza che velava le iridi di cobalto.
Lucy aveva ancora un
futuro, un futuro radioso, ad attenderla. E
lo meritava, più di chiunque altro in quel mondo,
più di Susan…più di lei.
-Deve fare molto male.- la
raminga si strinse nelle spalle, minimizzando appena quel peso che
gravava su
quella schiena ormai esausta da troppi anni, da troppo tempo.
Non era giusto parlarne
con Lucy, non era giusto farle conoscere così
presto quanto la vita potesse essere crudele. Non avrebbe
nemmeno dovuto
accennarle nulla, limitandosi a riportarla al campo…
Non avrebbe permesso alla
sua stessa oscurità, al suo stesso cancro, di toccare anche
lei. Aveva già
coinvolto troppe persone, già in troppi avrebbero presto
sofferto a causa sua.
-Ci si abitua.- mormorò,
e
un istante più tardi montò sul Destriero di
Caspian, tendendo una mano alla
bimba.
Una mano che Lucy non
esitò nemmeno per un attimo ad afferrare, lasciandosi issare
dietro di lei,
fidandosi senza remore di quella ragazza che ogni giorno di
più sentiva di
apprezzare.
-Forza piccola, ti riporto
al campo. Abbiamo due piccioni da tenere d'occhio.-
.
.
.
.
.
My
Space:
Buooondì ^^ anzi, dovrei dire buonasera,
credo xD
Vi parrà assurdo, ma sono riuscita ad aggiornare in mezzo ad
un sacco di casini che riguardano il negozio, l'apertura, i fornitori,
ex affittuari disastrosi e via così...il mondo del lavoro
è duro ^^' e lo è ancor di più quando
si va ad intuito, senza avere la più pallida idea (o quasi;
5 anni di ragioneria a qualcosa serviranno!!) di quel che si sta
facendo ^^'
Vabbeh, a parte i miei scleri da donna in carriera; allora, ho un
pò di cosette da dire su questo chap, che (originariamente)
era di 24 pagine e ho dovuto spezzare in due; sta diventando un'odissea
quella di Peter&Shay, fra un pò Siria mi
presenterà il conto per esaurimento a causa piccioncini che
si rincorrono e non si decidono xD
Un appunto che tengo a farvi, riguarda la canzone scelta; è
stata una folgorazione, scegliere i Bon Jovi per questo capitolo. Il
testo della canzone lo trovate QUI
(testo, traduzione e video), e penso
che si addica tanto alla parte su Shaylee e Peter, quanto a quella su
Siria.
A proposito...
Prima o poi Susan e Siria finiscono a botte, me lo sento U.U
*il che sarebbe molto gradito dai maschietti...del
tipo:
Peter:
sììì! Picchiala!!!
Shay:
scusa, chi deve picchiare chi!? O.o
Peter *ci pensa*: .....non lo so, l'importante
è che si picchino U.U
Shay *facepalm*: ma chi me
l'ha fatto fare........*
Okay, scusate
il mio sclero, non posso farci niente ^^' mi escono random queste
idiozie ^^'
Voglio dire una cosa ancora, poi vi rispondo e mi eclisso; mi sono
concentrata molto sui poteri di Shaylee, poteri che alle ninfe non sono
preclusi, ma sono quasi stati dimenticati. E' il potere della
guarigione, che Shay scopre di saper usare per la prima volta soltanto
in questa occasione, mossa dalla paura e dall'amore nei confronti di
Peter. Spero vi sia piaciuto ^^'
Ecco un'immagine del capitolo della battaglia al castello, riguardante
Shaylee:
E questa che
segue invece è per un paio di capitoli fa xD
Hooola
^^
Allora, che cosa dire?
Il comportamento di Shaylee in questo capitolo si capisce; piccola, ha
paura, una paura matta...si è donata, ha lasciato agire il
cuore, ma la paura (fomentata dai due soldati che parlavano fra loro)
di vedere Peter allontanarsi è stata più forte ^^'
E sì, vedere Peter che non si ripiglia è un
tormento anche per me >.<
Nel prossimo capitolo, ci sarà un pezzo particolare, su di
lui (e su Siria); penso che ti piacerà ^^
Siria tanto dice, di non sopportarlo; ma in verità quei due
sono talmente simili, che non possono non volersi bene, in
fondo...mooooooolto in fondo xD
Mi raccomando, acqua in bocca su Siria, eh xD dovrebbero essere
più comprensibili i pezzi su di lei, ora che sai ^^'
Un bacione!!
Lo
so, l'Odissea Narniana finirà U.U non so quando, ma
finirà xD
Lo sai che i combattimenti mi vengono dal cuore, e aspettavo con ansia
il momento in cui Peter e Siria avrebbero combattuto (e non fra loro
xD)...comunque sì, meglio che continuino a beccrsi, se
diventano troppo amici Cispia fa la fine della lontra xD
*ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è
puramente casuale*
E poi sssssono pucciosi Sir e Peteronzolo, zizi U.U
Tesoro!!!
Mi hai fatta ridere di cuore, parlandomi del film "I Gemelli" xD Quando
ero più piccola, l'avrò visto decine e decine di
volte, mi ha sempre fatta ridere come una pazza...e sì,
è la stessa identica espressione che ho immaginato anche su
Peter xDDDDDDDDDDDDD
Anche perché tecnicamente, la prima volta a Narnia Peter
può aver avuto esperienze, ma tornando indietro nel tempo,
penso che a 15 anni non ne avesse avute...quindi, praticamente, era di
nuovo vergine U.U
*frutto delle riflessioni mie e della Kiki in un pomeriggio di dolce
far niente xD*
No, Peter non si confiderà con Caspian...con qualcun altro
però sì, ti lascio il piacere della scoperta del
"con chi" al prossimo capitolo xD
Le battaglie sì, sono sempre il mio punto forte...alla fin
fine, sono una guerrafondaia ^^'
E il principino...sì, esatto: è una primadonna
con le orecchie a sventola e i capelli cotonati *W* ed è
tanto teneroso xD
Un abbraccio forte forte a tutti <3<3
Hola!
Che bello vedere una nuova persona a recensire!!!!!
Allora, comincio a risponderti; il mio modo di scrivere è
abbastanza ricercato, mi sono impegnata molto per maturare nei quasi
tre anni passati dalla prima volta che misi piede su EFP...prima era
molto più semplice, ma sono cresciuta e la mia scrittura con
me ^^
Oh, che bello, ti piacciono Edmund e Tara *W* li adoro, sono troppo
splendidi insieme! Ci sarà un qualche pezzo su di loro,
oltre che nel seguito ^^
Siria e Caspian sono fenomenali, e anche Talia e Caleb e Aaron e Susan
xD
Peter e Shay...eh, loro due sono complicati ^^' Shay è un
personaggio pauroso, è un pò la parte paurosa che
c'è dentro ogni ragazza...e Peter è uno scemo,
è un cocker scemo U.U
Siria è un mito sì xD è folle,
perché è fuori come un balcone...ma visto che
è il mio personaggio, quello a cui somiglio di
più, non mi sorprende xD
Quello che lega le tre bambole? Eh, è una cosa ben ardua,
che terrò sospesa fino agli ultimi capitoli xD
E Peter e Siria sì, mi piacciono molto; sono talmente simili
e diversi allo stesso tempo, che attendevo con ansia il momento in cui
avrebbero iniziato ad andare d'accordo sul serio ^^ fra loro...beh, fai
conto che ho appena iniziato a parlare di loro due, e sono una coppia
di "amici" decisamente esplosiva xD Ti ringrazio tantissimissimo per la
recensione, appena potrò avere una venticinquesima ora di
respiro passerò dalle tue fic in questo fandom, promesso! Un
abbraccio <3
Stavolta
sono riuscita ad aggiornare in tempi non chilometrici, per fortuna ^^'
due settimane non sono tante, almeno credo ^^'
Sono contentissima che ti piaccia tanto Siria *W* la mia donnah *W*
E Peter sì, è coccoloso, anche se per me continua
a rimanere un adorabile idiota xD
Un bacione!
Ultima cosa:
voglio darvi un indizio sul mistero di Siria xD
Spoiler:
-Ho
sbagliato a
giudicarti, sai?- lo avvertì sussurrare, il corpo che si
rilassava appena a
contatto con quello della ragazza, il viso che cercava
l’incavo buio della sua
spalla.
-Per
favore, non dire
nulla a Caspian.- Lucy si trattenne dal sorridere, quando Siria
coprì con
noncuranza le ferite non troppo profonde che le segnavano le braccia.
Le aveva
raccontato in sintesi cos’era successo a Peter, accennando
che qualcosa, quella notte, poteva
essere
accaduto fra il biondo e Shaylee.
Lucy
era una compagnia
sorprendente, per Siria; quella ragazzina era intelligente, spigliata
ed
ironica come sicuramente Peter e Susan non avrebbero mai saputo essere.
Con
una fitta al cuore, si
era resa conto che le ricordava un po’ se
stessa…una sé che era stata troppi
anni prima, una sé che aveva abbandonato nel rogo che aveva
distrutto la sua
innocenza.
La
vicinanza di Lucy le
trasmetteva un inaspettato sentimento di calma, di pacatezza; la
piccola
riusciva a farla sorridere, a rasserenarla, mentre entrambe si
perdevano in
congetture via via più fantasiose ed improbabili per
costringere Peter e
Shaylee a smetterla, una buona volta, di rincorrersi.
Parlare
con Lucy era uno
sprazzo di serenità, di luce; le ricordava che non tutto era
perduto, che il mondo
meritava di essere salvato.
-Va
bene.- acconsentì
Lucy, annuendo vigorosamente e distinguendo il principe avvicinarsi a
loro,
appena emerse dal folto della foresta.
Ma
non riuscì a trattenere
un sogghigno divertito, quando distinse un lieve sorriso disegnarsi
sulle
labbra solitamente contratte della raminga, le guance nivee che si
coloravano
di un tenue scarlatto.
Caspian
riusciva a compiere un miracolo, semplicemente esistendo.
Ma
aveva imparato a
riconoscere all'istante i segni di una bugia, di qualcosa che Siria
tentava di
celargli.
Non
lo guardava negli
occhi, torceva appena l'orlo del mantello...e sulle sue dita, sul
fodero della
spada, c'era un'inconfondibile segno rosso che altro non poteva essere
che sangue.
-Che
cos'è successo?- fu
la prima domanda che le pose una volta raggiunte, aiutando Lucy a
smontare da
cavallo, dietro Siria.
-Niente
di...- cominciò la
raminga, nascondendo con un gesto quasi impercettibile la spada ancora
sporca
di sangue, le braccia lacere. Erano delle sciocchezze, non le sembrava
giusto
farlo preoccupare per qualche graffio...
Ma
la piccola,
mefistofelica Pevensie la precedette, interrompendola con quella voce
squillante impossibile da ignorare.
-Si
è ferita aiutando mio
fratello, l’ha salvato da un agguato.- le scoccò
un'occhiataccia, Siria,
ricevendo in cambio uno smagliante sorriso di denti candidi; quella
bambina era
peggio di entrambi i suoi fratelli maggiori messi insieme, oramai era
certo.
Caspian
alzò gli occhi su
di lei, una luce terribilmente seria nelle iridi scure.
Sospirò, Siria, sentendo
qualcosa di sgradevole agitarsi nel suo addome; non le piaceva quello
sguardo,
non le piaceva sentirsi una bambina che ha combinato un qualche
disastro,
dopotutto era solo qualche taglio superficiale, non...
Si
lasciò scivolare dalla
sella, i calzari che non produssero nemmeno un suono nel toccare l'erba
giallastra e calpestata. Una piccola parte di lei ancora si sorprendeva
di
quanto un semplice sguardo di Caspian riuscisse a farle dimenticare
l'orgoglio,
quella testardaggine con cui si ostinava a tenere per sé
quasi ogni cosa la
riguardasse.
Ma
il resto di lei non
riusciva a non sentirsi al sicuro, a non sentirsi amata,
nel sapere che
Caspian era più cocciuto di lei...era stanca di soffrire, ed
era stanca
dell'orgoglio che racchiudeva ogni dolore dietro quella solida maschera
che
indossava.
-Fa'
vedere.- Siria si
sentì arrossire, a disagio, le mani che andavano
istintivamente a coprire le
braccia candide nell'inchiostro nero del mantello.
-Ma
non è niente, non...-
le parole le morirono sulle labbra, allo sguardo deciso del suo
principe.
-Siria.-
e l'inflessione
particolare con cui pronunciò il suo nome, quella ferma
dolcezza, quel tono,
furono più che sufficienti per strapparle un sospiro, le
dita che scostavano di
malavoglia la stoffa scura dalle proprie braccia.
Si
sentì arrossire, quando
Caspian alzò lo sguardo su di lei, un sopracciglio inarcato
e l’espressione
palesemente ironica.
-Sono
solo graffi.-
borbottò, a disagio, cercando di non abbassare lo sguardo
sulle cicatrici più
vecchie che solcavano i suoi polsi.
Erano
segni che le
ricordavano una storia che non aveva voglia di rivivere…
-Non
mi sembra proprio.-
fu il commento di Caspian, che trattenne a forza un sospiro esasperato.
Siria
aveva quella brutta mania di minimizzare ogni cosa che la
riguardasse…era una
cosa che lo faceva impazzire, non sapeva mai quanto esattamente la sua
rossa
stesse soffrendo.
-Vieni.-
affermò, in un
tono che non ammetteva repliche, ed intrecciando le dita alle sue la
trascinò
con sé fino ad un luogo che entrambi avevano eletto a
proprio.
Poco
lontano dalla cripta
di Aslan, sorgeva una collina perennemente sferzata da un vento caldo,
un vento
che dicevano provenire direttamente dai mari limpidi del Sud.
Era
un bel luogo, l’erba
alta pareva non fermarsi mai; la carezza del libeccio scuoteva appena
il folto
verde che la ricopriva, come un inusuale mare verdeggiante che si
lasciava
accarezzare dal respiro dell’oceano, facendo le fusa come un
gatto.
Caspian
e Siria spesso si
rifugiavano lassù, lontani dal caos
dell’accampamento e dagli sguardi ancora
sospettosi che li seguivano ogni volta che si sfioravano. Era diventato
il loro posto, l’unico
dove nessuno avrebbe
potuto disturbarli, dove potevano rubare alla guerra qualche ora
soltanto per
loro.
-Caspian,
davvero, non…-
bastò uno sguardo, per zittirla.
Uno
sguardo, ed il gesto
morbido ma deciso del principe, che con fermezza la trasse a
sé accogliendola
contro il suo torace caldo, sicuro.
Non
era valido, Siria lo
avrebbe ripetuto fino allo sfinimento. Caspian sapeva benissimo che le
bastava
trovarsi lì, fra le sue braccia, per dimenticare qualsiasi
cosa e sciogliersi,
schiudendosi come la rosa canina in fioritura.
Sospirò,
socchiudendo gli
occhi, lasciando che il profumo intenso della pelle del principe la
stordisse,
la irretisse.
Era
una fragranza così
buona…accostò appena il volto alla gola di lui,
sfiorando la sua pelle con il
nasino congelato, sentendolo rabbrividire. Sorrise fra sé,
quando Caspian la
strinse appena più forte, cingendole i fianchi con quelle
mani che lei tanto
amava, serrandola in quella trappola di braccia e di corpi da cui non
l’avrebbe
lasciata facilmente fuggire.
Il
principe si lasciò
sfuggire un respiro appena spezzato da un fremito, quando Siria si
accoccolò contro
al suo petto, posando le dita affusolate sulla pelle scoperta della sua
gola.
La
sua bellissima raminga
nemmeno se ne accorgeva, di quanto poco bastasse per farlo
impazzire…era una
delle tante cose che amava di lei, quell’ingenuità
sorprendente che nessuno
avrebbe mai potuto immaginare.
Premette
la guancia sui
soffici capelli rossi, socchiudendo gli occhi e beandosi del calore che
quel
corpo trasmetteva al suo.
Siria
era così bella…non
riusciva a tollerare di essere stato ancora una volta incapace di
impedire che
le venisse fatto del male, non riusciva a perdonarsi di non averla
saputa
proteggere per l’ennesima occasione.
-Lascia
che dia
un’occhiata.- sussurrò al suo orecchio, salendo a
sfiorarle una spalla,
scostando con i polpastrelli l’orlo del mantello e
scostandolo, toccando appena
la pelle candida di Siria.
La
avvertì sospirare; un
sospiro che non sapeva se essere esasperato od eccitato.
-Non
demordi, vero?- gli
chiese, il respiro caldo e profumato che accarezzava la sua gola,
dandogli i
brividi.
Si
avvicinò di più
all’orecchio di lei, scostando i capelli con il naso,
sfiorandola appena in
quel punto dove Siria era estremamente sensibile; c’era un
piccolo incavo,
appena dietro il lobo, che bastava sfiorare per sentirla tremare
–
letteralmente – fra le sue braccia.
Ed
infatti, avvertì le
ginocchia della ragazza fremere terribilmente, il respiro mozzarsi a
metà.
-Nemmeno
se provi a
sedurmi.- le sussurrò, piano, sentendola rabbrividire contro
di sé.
-Approfittatore.-
mugugnò
Siria in risposta, ma non poté fare a meno di sorridere
quando Caspian la
trascinò con sé nella folta erba alta, lasciando
che si accoccolasse fra le sue
gambe, contro al suo petto.
-Assolutamente.-
annuì
lui, soddisfatto, posando un bacio sulla gola di lei, la schiena della
ragazza
che morbidamente aderiva al suo torace.
Recuperò
con un sol gesto
la piccola bisaccia che portava sempre in cintura, sfilandone una benda
ed una
borraccia ricolma di liquore. Quel poco di rudimenti in medicina che
Cornelius
gli aveva fatto studiare ora tornavano utili, dopotutto…
Fu
con delicatezza che
imbevette il panno nell’alcool, e con ancor più
accortezza che lo accostò alle
ferite della sua compagna.
Siria
era un bravo
soldato, ne era perfettamente conscio; non si era mai lamentata,
nemmeno quando
la ferita al fianco si era riaperta, rischiando di dissanguarla. Eppure avvertì
comunque
il suo corpo rabbrividire, al contatto della benda con le ferite ancora
aperte.
-Perdonami.-
sussurrò,
posando nuovamente le labbra sulla pelle chiara di Siria,
distogliendola da
quel bruciore. E la rossa si rilassò quasi immediatamente
contro di lui, reclinando il volto e permettendogli di sfiorarla,
concentrandosi sul
tocco
caldo dei suoi baci e non sul dolore delle ferite.
-Devo
farmi male più
spesso, se questa è la cura.- sussurrò,
sorridendo appena, voltandosi per
posare un lieve bacio sulla guancia del ragazzo.
-Non
abituartici. La
prossima volta ti lascio alle prese con Shaylee.- replicò
lui, ridacchiando
dell’espressione atterrita dipintasi sul volto della ragazza.
Shay era l’unica
persona che le facesse abbassare la cresta, e che la rimproverasse
anche
frequentemente per la sua solita spericolatezza.
-Cattivo.-
rise, Caspian,
quando la vide assumere un broncio tanto simile a quello di una bambina
capricciosa. Era raro scorgere quella dolcezza, quella
spontaneità sul suo
viso; ma era bellissima, più bella che mai.
-Oh,
sì. Cattivissimo.-
ridacchiò nella sua gola, sentendola mugugnare.
Fu
in pochi minuti che
disinfettò le sue ferite, pulendole dal sangue che
già si stava rapprendendo
sulla sua pelle chiarissima. Adorava la carnagione di Siria, era stata
una
delle prime cose a colpirlo di lei; amava percorrere quel candore in
punta di
dita, seguendo le linee delle vene e delle cicatrici, che formavano
reticoli di
tatuaggi misteriosi e seducenti.
Ma
due, due di quei
sottili disegni candidi attirarono la sua attenzione.
Perplesso,
accarezzò con
dolcezza gli avambracci abbandonati sulle ginocchia di Siria; le sue
dita erano
delicate, non le facevano male, evitavano con accuratezza ognuno dei
tagli
ancora arrossati che solcavano la sua pelle.
Ma
le ci volle soltanto un
istante, per capire che gli occhi di Caspian si erano posati
esattamente dove
lei non voleva finissero.
Il
principe la sentì irrigidirsi
contro di sé, quando si accorse che le cicatrici sui suoi
polsi avevano
attirato la sua attenzione; erano due segni quasi invisibili, che
sparivano nel
punto in cui la mano si lega al braccio.
Forse
non avrebbe dovuto
interessarsene, forse non avrebbe dovuto fissare quelle due cicatrici,
sentendo
l’inquietudine montare veloce dentro di lui.
Ma
non poteva fare a meno
di chiedersi che cosa le fosse successo, che cosa aveva provocato quei
segni…
Non
fermò le sue carezze,
sentendola però di nuovo in tensione, rigida fra le sue
braccia come un ciocco
di legno.
E,
quando sfiorò quella
candida cicatrice sul polso sinistro, non si sorprese minimamente di
vedere la
mano di Siria scattare via, lontano dal suo tocco.
Si
voltò appena verso di
lei, accoccolata nel suo abbraccio, avvertendo una fitta di
preoccupazione nel
petto quando scorse nei suoi occhi un tormento che ben conosceva, che
oscurava
troppo spesso quelle altrimenti limpide iridi di cobalto.
Quelle
cicatrici la
spaventavano; dovevano essere figlie di un ricordo più
doloroso degli altri,
più penoso degli altri, un ricordo che la spinse a stringere
le braccia contro
al seno, appallottolandosi contro di lui, gli occhi che sfuggivano
quelli di
Caspian.
Era
da sola…anche lì,
stretta nel suo abbraccio, serrava le braccia intorno alle ginocchia e
si
nascondeva nel proprio guscio, spaventata.
Il
principe non disse
nulla, limitandosi a stringerla più saldamente contro di
sé, immergendo il viso
fra i suoi lunghi capelli rossi e non parlando più per
quella che, ad entrambi,
parve un’eternità.
Sentiva
che non sarebbe
stato giusto chiederle che cosa significassero, che cosa fossero. Siria
era
terrorizzata da quelle linee candide, e non sarebbe stato certo lui a
farle
patire la sofferenza del ricordo…
-Non
sei sola.- le
sussurrò ad un certo punto, dopo troppo silenzio, accostando
il viso alla
guancia soffice di lei. Aveva gli occhi chiusi, Sir, chiusi e
sofferenti.
-Sono
sempre stata
sola...- mormorò, la voce rotta di un pianto a stento
trattenuto.
Non
voleva ricordare, non
voleva tornare a quel giorno…non voleva, la paura era
più forte di lei.
Voleva
soltanto smarrirsi
nell’abbraccio di Caspian, e non ricordare più
niente.
Il
principe le racchiuse
il viso fra le mani, quelle mani affusolate e sicure che Siria amava,
le dita
sottili ed eleganti che le accarezzavano le guance. La costrinse con
dolcezza a
guardarlo, a lasciare che quegli occhi pieni di paura incontrassero
quelle
calde iridi nere che tanto riuscivano a rassicurarla.
-Adesso
ci sono io con te.
Ci sarò sempre, Sir.- le sussurrò ad un soffio
dalle labbra, premendo le
proprie sulla sua fronte, sentendola rabbrividire ancora nel suo
abbraccio.
Non
si sarebbe stancato di
ricordarglielo, di rassicurarla.
Avevano
intrapreso una
strada, loro due. Una strada impervia di cui ancora non potevano
scorgere la
fine, un percorso difficile e doloroso che li avrebbe fatti incespicare
spesso,
che talvolta li avrebbe fatti cadere.
Ma
ce l’avrebbero fatta,
Caspian ci credeva fermamente. Insieme.
-Lo
so.- e la vittoria di
Caspian fu sancita dall’incerto sorriso che apparve sulle
labbra di Siria, gli
occhi che si rischiaravano come il cielo dopo un impetuoso temporale.
Le
sorrise a sua volta,
sentendo il cuore accendersi di palpiti che parevano scatenati da quel
semplice
tocco, dalle guance nivee che avvertiva sotto le dita.
E
non riuscì a resistere,
non a quelle morbide labbra che parevano soltanto aspettare lui.
Posò
le labbra sulle sue
con decisione, una dolce fermezza che le racchiuse il volto fra le sue
mani
forti. La sentì sussultare, Caspian, colta di sorpresa da
quel tocco che non si
aspettava, le labbra che assaggiavano le sue come se fossero un morbido
frutto
succoso, prelibato.
Replicò
a quel bacio senza
quasi accorgersene, stordita dal profumo del suo principe, dal brivido
che l’aveva
attraversata al tocco di quella bocca morbida sulla propria.
Si
abbandonò completamente
a quelle mani bollenti che scesero ad accarezzarle languidamente i
fianchi,
alzando come in sogno le proprie ed intrecciando le dita sulla nuca di
lui,
sentendo i lunghi capelli scuri solleticarle il dorso delle mani.
Caspian
era come una
magia, un incantesimo che riusciva a cancellare ogni agonia dalla sua
anima;
sentiva il cuore palpitare ferocemente nel petto, e perdendosi nel suo
abbraccio riuscì ad avvertire anche il suo principe fremere,
docile schiavo
consenziente di quello stesso battito innamorato.
Con
delicatezza, il ragazzo
la trascinò con sé nell’erba alta, il
corpo muscoloso, tonico, che si posava su
di lei.
Il
tocco del suo petto,
delle sue labbra era rovente su di sé, e Siria si
sentì piacevolmente indifesa
fra le sue braccia; era il luogo dove amava essere, dove poteva
lasciarsi alle
spalle ogni paura, ogni difesa…dove poteva essere Siria, senza il terrore di essere
pugnalata.
Accarezzò
la schiena di
Caspian con dolcezza, percorrendo in punta di dita le linee marcate
delle
scapole, delle vertebre, avvertendo la sua pelle calda riempirsi di
brividi
anche attraverso la tunica che indossava.
Era
così bello il suo
principe…
E
le loro labbra si
cercavano, catturandosi e sfuggendosi dopo un istante. Si davano la
caccia a
vicenda, intrappolandosi in tranelli di lingue e di denti, dita candide
che
salivano ad immergersi nei soffici crini scuri che nascondevano quei
baci dalla
luce tenue d’un Sole annebbiato.
Sorrise,
Caspian, fremendo
al tocco fresco e dolce di Siria sul viso, sulla nuca. Le braccia che
lo
sostenevano dal pesarle addosso cedettero appena, intrappolandola ancor
di più
nel suo abbraccio, fra il suo corpo e l’erba che tante volte
aveva accolto i
loro baci nascosti.
Forse
avrebbe dovuto…
Siria
mugolò qualcosa
d’indefinito, quando abbandonò le sue labbra e
scese a lambirle la gola, le
mani forti che si posavano sui suoi fianchi, accarezzando quelle curve
per
nulla risparmiate dal corpetto che la sua raminga indossava.
Forse
avrebbe dovuto dirle, quello che provava per lei.
Rabbrividì,
quando le
lunghe gambe di Siria sfiorarono le sue, insinuandovisi e stuzzicando
quel
desiderio che – se non si fosse fermata – non
avrebbe saputo trattenere ancora
per molto.
Non
era facile resistere a
quel corpo, al sapore di quella pelle…
-Io
so che vorrete
strangolarmi, ma c’è un certo rosso che vi sta
cercando e non sarebbe felice di
vedervi così!- tanto Caspian quanto Siria sussultarono
bruscamente, quando una
voce divertita ed ironica spezzò il silenzio delicato di
quel momento.
Il
principe si scostò di
malavoglia dalla sua compagna, ridacchiando suo malgrado; si
alzò in piedi e le
porse una mano con galanteria, trascinandola di nuovo verso di
sé quando Siria
vi si aggrappò fiduciosa, sicura.
Si
voltarono entrambi, non
del tutto sorpresi di vedere la zazzera scompigliata di Talia comparire
ai
piedi della collina, gli occhi nocciola che li fissavano divertiti.
-Ma
tu, non avevi da
fare?- le rispose Siria, piccata, stringendosi nell’abbraccio
del principe e
rivolgendole una smorfia lievemente esasperata.
Divertita,
Talia ci mise
esattamente un secondo per raggiungerli, il volto rilassato e luminoso
come
Siria si stava lentamente abituando a vederla.
Aveva
un altro motivo per ringraziare Caleb,
ne era perfettamente consapevole; non aveva mai visto la sua amica
così serena, così semplicemente
radiosa…
Tallie
non riusciva a
nasconderlo, sebbene ci provasse; non a lei, non dopo sette anni di
amicizia,
non dopo cinque anni che Siria la vedeva struggersi di nascosto per
quell’amore
che, finalmente, ora era sbocciato.
-E
chi t’ha detto che adesso
non torno a farlo?- la risposta maliziosa di Talia le
strappò una risata,
scorgendo con la coda dell’occhio Caspian ridacchiare,
alzando gli occhi al
cielo.
Sorrise,
furba, scoccando
ad entrambi una palese occhiata ironica.
-Non
posso sparire dalla
scena troppo spesso, altrimenti vi cacciate nei guai come al vostro
solito…a
proposito, ho notato un certo gelo provenire dalle parti del lago.- si
rivolse
a Siria, chiedendole non molto fra le righe il motivo per cui la mente
di
Shaylee fosse ermeticamente sigillata ai loro pensieri.
La
rossa si strinse nelle
spalle, ricordando fin troppo bene l’espressione sconfitta di
Peter quella
mattina…
Non
lo so ancora.
-Anch’io.
Prevedo guai
all’orizzonte.- mormorò la rossa, vedendo Tallie
annuire appena, segno che
aveva recepito il reale significato della sua risposta.
E
poi l’elfa batté le mani
con aria pratica, facendo di nuovo sussultare tutti e due.
-Benissimo,
intanto che si
consumano tragedie d’amore…principino, Aaron ti
sta cercando.- ridacchiò,
quando Caspian le rivolse un’occhiataccia esasperata; prima o
poi, con quegli
scatti improvvisi, Talia gli avrebbe provocato un infarto.
-Che
cosa ho fatto
stavolta?- le chiese, sentendo una lieve fitta di preoccupazione nel
pensare a
cosa poteva spingere Aaron a cercarlo.
Ridacchiò,
l’elfa,
dandogli una divertita pacca sulla spalla.
-Per
una volta nulla, ti
cercava a proposito di un qualche allenamento. Certo, se ti fai trovare
in
atteggiamenti equivoci con sua sorella, magari l’istinto
omicida si rifà vivo…-
gli fece notare, ricordandogli che sì, Aaron aveva accettato
quella relazione,
ma era meglio non provocarlo troppo.
Sospirò,
Caspian,
abbassando lo sguardo su Siria che sembrava faticare seriamente per non
scoppiare a ridere.
-Andrò
a cercarlo prima
che mi sfidi a duello per il tuo onore.- affermò, lievemente
esasperato,
premendo le labbra sulla sua tempia in un bacio lieve. -E in qualche
modo
riuscirò a terminare quel discorso, con te.- aggiunse, dopo
un attimo,
sfiorandole non certo casualmente il fondoschiena prima di allontanarsi
da lei,
un sorriso malizioso sul volto.
-Maniaco!-
gli urlò dietro
Talia, guardandolo allontanarsi da loro, e vedendolo dopo un istante
agitare
una mano, segno che aveva sentito e recepito il gentil
epiteto.
La
mezzelfa scosse la
testa, esasperata, dedicando un’occhiata
all’espressione confusa, divertita ed
esilarata della sua migliore amica.
-Potrei
sempre sfidarlo
io, per l’onore di mia sorella.- commentò,
pensierosa.
Siria
le scoccò uno
sguardo allibito, senza però riuscire più a
trattenere le risate.
-Tallie...devo
parlare con
Caleb. Il sesso ti fa male.- commentò, molto più
serena, vedendola inarcare le
sopracciglia con fare malizioso.
-Direi
proprio di no.- fu
la risposta dell’amica, prima che con l’ombra di un
bacio sulla guancia di
Siria sparisse, sicuramente diretta a terminare
un qualche discorso anche lei.
Narnia
stava diventando un posto decisamente poco raccomandabile,
bisognava proprio dirlo.
Ancora
ridacchiando, Siria
si sedette nuovamente sull’erba soffice, estraendo con
amorevole delicatezza la
propria spada.
Era
ancora macchiata di
sangue, non aveva avuto tempo di pulirla del tutto.
Recuperò
una pezza che
portava sempre nel fodero del suo Kain, sedendosi a gambe incrociate e
posando
la lama sulle ginocchia.
Il
suo Guerriero era
solcato da miriadi di cicatrici, esattamente come lei. Segni bianchi
che
narravano una storia, che parlavano di loro e di quante battaglie
avessero
affrontato insieme.
Quella
spada era stata un
dono di Talia, quando ancora si trovavano nel regno delle ninfe; era
uno degli
oggetti che aveva più a cuore, e di cui si occupava quasi
tutti i giorni.
La
lama era stanca,
provata, ma non per questo aveva perso il suo filo; se c’era
qualcosa di cui
andava fiera Siria, era proprio la fama che aveva quella spada di poter
tagliare a metà un capello. Per il lungo.
Sarebbe
giunto il giorno
in cui avrebbe appeso il suo fido Kain al chiodo…nonostante
fosse stanca della
guerra, del sangue, delle battaglie, pensare che avrebbe vissuto senza
il peso
rassicurante della sua spada al fianco le provocava uno strano senso di
abbandono.
-Ehm...-
Siria alzò lo
sguardo, stupita, distogliendo l'attenzione dalla lama e dai suoi
pensieri.
Davanti
a lei, una mano
sulla nuca e l'espressione alquanto penosa, il torace fasciato e il
colorito
molto più rassicurante di qualche ora prima, c'era
nientemeno che Re Peter
l'Imbecille.
Lo
fissò per qualche
istante, sorpresa, chiedendosi come diavolo aveva fatto a sfuggire alle
grinfie
di una sorella iperprotettiva e rompiscatole come Susan – e,
soprattutto, se
fosse riuscita a passare almeno un paio di veglie senza vederlo.
Lo
fissò senza dar retta
al sollievo che comparve repentino dentro di lei, nel vederlo in piedi
e
decisamente fuori da ogni pericolo.
-Siria,
io avrei un
problema.- borbottò, gli occhi bassi, l'espressione
angosciata.
Siria
lo studiò per
qualche istante, allibita dal fatto che fosse proprio lei,
la persona a
cui si stava rivolgendo il biondo.
Dopotutto,
gli aveva
soltanto salvato la vita; non era certo diventata tutta d’un
botto la sua
confidente personale…
A
meno che…a meno che il
motivo fosse quello che Siria sospettava, da quando aveva visto Shaylee
occuparsi con un’amorevolezza sospetta della ferita del
biondo.
-Shaylee.-
mormorò,
socchiudendo appena gli occhi, tutti i pezzi del puzzle che andavano
improvvisamente al loro posto. L'espressione angosciata di Shay, quella
mattina...gli sguardi feriti ed increduli che il biondo le lanciava, la
dolcezza con cui si era occupata di lui e la freddezza con cui
l’aveva
allontanato appena sveglio...
Peter
si passò una mano
fra i morbidi capelli del colore del grano, a disagio, limitandosi ad
annuire
senza incontrare lo sguardo della mercenaria.
Siria
sospirò, scrutandolo
da capo a piedi.
Sembrava
davvero
angosciato...erano tanti, piccoli particolari, a darle quell'idea. La
lieve
ombra sotto ai suoi occhi, le labbra strette fra i denti, i capelli
continuamente arruffati dalle dita, la sua apparente
incapacità di restare
fermo...
La
sua espressione
sostenuta si ammorbidì di colpo, quando gli rivolse un lieve
cenno di assenso
con la testa. Peter prese fiato, sollevato; si sarebbe aspettato, in
fondo al
cuore, di essere allontanato, come minimo deriso.
-Allora?-
gli chiese, dopo
qualche istante di silenzio pesante ed imbarazzato.
Il
biondo re si voltò a
guardarla, un lieve rossore sulle guance.
-Posso?-
sospirò,
indicando con un cenno l'erba di fianco a lei. Siria annuì,
l'espressione
serena, pacata come non l'aveva mai vista. Cautamente si sedette
accanto a lei,
sentendo lo sguardo indagatore della rossa seguire ogni suo
più piccolo
movimento, senza separarsi nemmeno per un istante dal suo volto.
-Allora?-
ripeté, senza
impazienza, quando Peter finalmente alzò gli occhi su di lei.
-E'...è
successa una
cosa.- borbottò, sentendosi sgradevolmente andare a fuoco.
Se solo Siria avesse
battuto le palpebre, spezzando per qualche frazione di secondo quello
sguardo
capace di trafiggerlo... -...con...Shaylee.- aggiunse, continuando
inconsciamente ad arruffarsi i capelli.
-A-ah.-
-Così
non mi aiuti.-
osservò sarcastico il biondo, scoccandole un'occhiataccia.
Siria si limitò ad
esibire un lieve ghigno soddisfatto, chiudendo finalmente gli occhi e
permettendogli di riprendere fiato.
-Se
avessi voluto aiuto,
saresti andato da qualcun altro.- commentò soltanto,
schietta, alzando lo
sguardo al cielo. -Tu sei qui perché vuoi la
verità.-
-Vero.-
Peter dovette
ammetterlo con sé stesso; quel particolare atteggiamento di
Siria, quella
capacità di cogliere sempre ciò che nascondevano
le parole più false, gli
piaceva.
-Sir...-
cominciò, senza
nemmeno accorgersi di averla chiamata con il diminutivo. Si
lasciò andare ad un
lungo sospiro, seguendo l'esempio di lei ed alzando gli occhi verso il
cielo
plumbeo. -...io non capisco più niente.-
-Non
è una novità...- lo
sguardo improvvisamente infastidito dell'alto Re di Narnia si
spostò di scatto
sul viso assolutamente sereno della mercenaria, che si
limitò a rivolgergli
un'occhiata di sottecchi, priva di veri intenti maligni.
-Limita
le battutacce, per
favore. È una cosa seria.- la redarguì, la mano
sinistra che d'istinto, come
sempre quando il nervosismo prendeva il sopravvento sulla sua mente,
andava a
sfiorare l'elsa della propria spada, al sicuro nel proprio fodero.
-Lo
so. Se tu ti decidessi
a parlare, invece di balbettare come un dodicenne...-
replicò lei, pungente, in
cuor suo gongolante di fronte all'evidente imbarazzo del Re.
-Non
è mica semplice
parlare di queste cose, sai?- sbottò il biondo in risposta,
sentendo la solita
irritazione che il suo atteggiamento insolente gli provocava tornare a
farsi
viva nel suo petto.
-Tu
provaci, no?- la
risposta di Siria, semplice, priva di sarcasmo, lo sorprese.Fu proprio quel modo di
porsi, quello sguardo
penetrante e deciso che gli rivolse, a indurlo a parlare.
-Stanotte
ho fatto l'amore
con Shaylee.-
Lo
disse tutto d'un fiato,
sentendo il viso andare a fuoco; non era facile che lui arrossisse, ma
in
quell'istante...i ricordi che tornavano prepotenti dinanzi ai suoi
occhi, il
sapore di quei baci, di quella pelle, la sensazione sublime di
appartenere a
qualcuno e di sentire lei appartenergli...
Non
guardò Siria, ma la
sentì sospirare, senza la minima traccia di sorpresa.
-Lo
so.- mormorò soltanto
la rossa, in replica. Peter inarcò un sopracciglio, preso in
contropiede da
quelle due semplici, infide parole.
-E
allora perché mi hai
costretto a dirlo?- protestò, ormai paonazzo, voltandosi
bruscamente per
guardarla in faccia. La sua espressione tranquilla cominciava a dargli
seriamente sui nervi. Decisamente parecchio.
-Perché
sì.- fu la
flemmatica risposta di Siria.
-Esauriente,
rossa.-
-Ma
veritiera.- un lieve
sorriso accondiscendente si disegnò sul viso di Peter, a
quella frase. -Allora,
qual'è il problema?- gli chiese finalmente lei, abbandonato
repentinamente
l'espressione da antico saggio che tanto stava dando sui nervi al
biondo.
-Si
allontana, Sir. Dopo
ieri notte...pensavo che tutto sarebbe cambiato, migliorato, e
invece...è
accaduto l'esatto opposto.- in quel momento, non poté
mancare di osservare lei,
Peter non sembrava un indomito condottiero, un Re saggio a cui affidare
le
proprie vite, i propri destini. No.
Era
soltanto un ragazzo.
Un ragazzo confuso, un ragazzo ferito...un ragazzo innamorato.
Siria
lo soppesò soltanto
per un istante, prima di prendere un lungo respiro, alzando lo sguardo
al
cielo.
-Perdonami,
se ti dico che
sei un po’ troppo ottimista.- gli occhi azzurri di Peter, in
quell’istante
tanto simili a quelli della rossa seduta al suo fianco, si spostarono
di
scatto, sorpresi, sul volto di lei. Siria lo stava osservando, senza
tracce di
malizia od insolenza nello sguardo; era tranquilla, cosa strana per
lei…sembrava
molto più adulta, in quel momento.
Quasi
come…beh, come lui.
-Shaylee
ne ha passate
tante, Peter. Non puoi pensare che se per una notte si sia…lasciata
andare
a quello che prova, dopo tutto vada a posto.- continuò,
sorridendo appena alla
sua espressione palesemente confusa. -Shay è una creatura
pura, Peter. Pura e
fragile, come cristallo.-
-Me
ne sono accorto.-
mormorò lui, sorpreso. Siria pensava, parlava, rispondeva
esattamente come
avrebbe fatto lui nella sua stessa situazione. Era inquietante, in un
certo
senso…ma confortante, in un altro. Non aveva mai incontrato
nessuno, prima
d’allora, che ragionasse esattamente – o quasi
– come lui.
-E
allora devi essere
abbastanza intelligente da proteggerla dagli urti, per continuare sulla
strada
delle metafore.- sospirò la rossa, spostando di nuovo gli
occhi chiari sul
cielo tempestoso. Certo che il sole era cosa rara, ultimamente, a
Narnia…
Peter
si lasciò sfuggire
un sospiro, passandosi una mano fra i già arruffati capelli
color grano.
Detta
così sembrava avere
un senso…non aveva pensato a quei particolari dettagli, al
fatto che Shay
potesse avere ancora tanta paura…di soffrire, di amare, di
lasciarsi amare da
una persona che già una volta aveva abbandonato lei, e tutta
Narnia…
-Stai
facendo tutto da
solo, lo sai?- la voce divertita di Siria lo riscosse dai suoi
pensieri,
riportandolo alla realtà. La raminga lo stava osservando di
nuovo, questa volta
divertita, quasi ridacchiante.
-Cioè?-
le chiese, senza
capire.
-Stai
rimuginando. Te lo
si legge negli occhi, Peter, sei un libro aperto.- rispose lei,
serenamente,
con un sorriso sincero appena accennato sul volto esotico.
Peter
rimase un attimo
allibito, da quell’affermazione…prima di
sorridere, anche lui, chiudendo gli
occhi e scuotendo appena la testa.
-Non
avevo capito una
cosa.- ammise, sorprendendosi di quanto semplice fosse affermare di
aver
sbagliato, di aver dimenticato qualcosa di importante. Ma forse, forse
era così
facile proprio perché sapeva che Siria – per
quanto assurdo potesse sembrare –
non gliene avrebbe fatto una colpa.
-Capita.-
rispose lei,
stringendosi appena nelle spalle. -Ah, come faresti senza di me, Re
Supremo…-
commentò un attimo dopo, ridacchiando senza più
trattenersi quando lo sguardo
di Peter, scettico, ma in fondo divertito quanto lei, si rivolse di
nuovo al
suo volto.
-Sicuramente
starei molto
più tranquillo.- replicò, con un mezzo ghigno
appena arrogante, sarcastico.
-Ma
non avresti nessuno
che ti tenga testa.- fu la risposta pronta, decisa, incredibilmente
veritiera,
della mercenaria. Il biondo sorrise, annuendo, abbassando lo sguardo
sulle
proprie mani, intrecciate sulle ginocchia.
-Questo
te lo concedo.-
mormorò, di nuovo perso nei suoi pensieri, nelle sue
congetture, nelle sue
speranze...e per una volta, si permise di pensare come un ragazzo, come
un
uomo, non soltanto come Re. Al momento, l’unica cosa che gli
interessava
davvero era Shaylee.
Nemmeno
si rese conto di
essersi mosso. Il suo corpo aveva agito da solo, in una muta richiesta
di un
minimo di conforto, quel conforto che lui per primo si era sempre
negato,
posando in un gesto semplice, familiare, come se si fosse ripetuto
tante volte,
la testa sulla spalla della ragazza.
Chiuse
gli occhi, per la
prima volta dalla sera precedente sicuro di qualcosa, di qualcuno. Per
quanto
gli risultasse difficile, pensarlo…poteva fidarsi, di lei.
Poteva
permetterselo.
Ed
infatti, la avvertì
sospirare, senza che lo scacciasse, lo mandasse via. Anzi,
tutt’altro; come se
gli avesse letto nel pensiero, la sentì sfiorargli la fronte
con le dita
stranamente fredde, affusolate, scostando i ciuffi ribelli di capelli
biondi in
un tocco appena accennato eppure gentile, confortante.
-Ho
sbagliato a
giudicarti, sai?- lo avvertì sussurrare, il corpo che si
rilassava appena a
contatto con quello della ragazza, il viso che cercava
l’incavo buio della sua
spalla.
-Capita
spesso anche
questo.-
.
.
.
Shaylee
alzò lo sguardo
verso la collina, distinguendo immediatamente la chioma rosso fuoco di
Siria
che emergeva dal mare verdeggiante come uno scoglio
nell’oceano. Sospirò,
sollevata; non c’era altra persona che desiderasse vedere, in
quel momento.
Decisa,
affrontò la lieve
salita che l’avrebbe portata dall’amica, sperando
che Siria, come tante volte
prima d’allora, vedesse l’ombra dipinta sul suo
volto e la costringesse a
parlare, a sfogarsi.
Aveva
urgente bisogno di
parlare, di piangere, di dire tutto ciò che sembrava
passarle per la testa…ma
nessuno, a parte quella rossa schizzata, l’avrebbe ascoltata
davvero.
Il
rapporto fra lei e
Siria era sempre stato anomalo, tanto da non apparire come subito
evidente agli
occhi di chiunque le osservasse.
La
raminga era l’esatto
opposto della ninfa; se una era irascibile, l’altra era
pacata e poco incline
alle discussioni, se una era una guerriera nata l’altra
detestava ogni forma di
violenza. Eppure, in comune avevano trovato un punto che entrambe
avrebbero
preferito non aver vissuto; la sofferenza.
Shay
sospirò, i ricordi
fin troppo nitidi che comparivano nuovamente fra i suoi pensieri.
Siria
era stata un enigma,
fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata.
.
-Shaylee!-
La
voce dell’elfa era risuonata nel silenzio
meditativo della foresta, facendo fremere le fronde altrimenti immobili.
Shaylee,
immersa fra i suoi pensieri e fra i
morbidi flutti del fiume che scorreva nel regno delle ninfe, aveva
alzato gli
occhi stupita.
-Talia…?-
L’amica
elfa non faceva visita alle ninfe da
molti anni, ormai. Certo, per loro equivalevano a pochi mesi, ma
rivederla era
sempre un piacere inaspettato.
Shay
era uscita in fretta dall’acqua, distinguendo
soltanto un movimento confuso nel buio della foresta.
E
poi, Talia era comparsa nell’incavo fra due
alberi, un corpicino esile e pallido fra le braccia.
-Ma
che cosa…- Shaylee aveva sgranato gli occhi,
senza riuscire a capire che cosa fosse la figuretta dai lunghi capelli
rossi
abbandonata esanime fra le braccia innaturalmente forti della mezzelfa.
Aveva
alzato gli occhi su Talia, trasalendo
quando aveva scorto un terrore del tutto nuovo sul volto solitamente
imperturbabile e scanzonato della ragazza.
-Salvala.-
.
Rabbrivìdì,
Shaylee,
ricordando il volto esangue di Siria.
Era
soltanto una bambina…
Talia
l’aveva trovata in
mezzo alla foresta, priva di forze, abbandonata ai piedi di una grande
quercia
che aveva tentato di proteggerla con tutta se stessa.
La
mezzelfa era stata
attirata lì dal richiamo dei suoi compagni alberi, mai del
tutto silenti per
lei, che le avevano sussurrato della presenza di una creatura dal
sangue magico
in pericolo di vita.
Talia
aveva raggiunto la
bambina, e l’aveva portata nell’unico luogo dove
sapeva avrebbe potuto trovare
aiuto.
L’aveva
portata dalle
ninfe.
Shaylee
aveva curato la
ragazzina senza esitare; Siria era denutrita, assetata, e troppe ferite
solcavano la sua pelle chiarissima. La ninfa non aveva pronunciato
parola,
quando scostando delle bende incrostate di sangue aveva trovato sui
polsi della
ragazzina due profondi tagli appena rimarginati…
Era
stato proprio quel
gesto, a risvegliare Siria.
.
Shay
aveva sfilato con delicatezza le bende
lacere, scoprendo quelle ferite.
I
tagli erano profondi, stoccati con decisione;
rabbrividì, la ninfa, distinguendo le vene bluastre vivide
attraverso la pelle
diafana della ragazzina.
Erano
ancora sporchi di sangue, i suoi polsi.
Una
fitta d’inquietudine l’aveva attraversata,
quando il terribile pensiero che si fosse ferita da sola aveva
attraversato la
sua mente.
Che
cosa aveva potuto spingere una bambina tanto
giovane ad un gesto così orrendo, a cercare la morte con
tanto accanimento?
Aveva
preparato un impasto d’erbe taumaturgiche, che
avrebbe pulito e disinfettato quelle ferite; il volto della ragazza era
graffiato, e lividi vecchi – ormai giallastri –
segnavano i suoi zigomi e la
gola, le spalle, le braccia.
Non
sapeva chi era, quella bambina; ma il suo
aspetto la spaventava, e la inquietava allo stesso tempo.
Chi
poteva aver ridotto una giovane ragazza in
quello stato?
E
soprattutto…quale magia celava il suo sangue,
perché la foresta stessa implorasse la sua più
fedele amica di salvarla?
Aveva
sospirato, mille dubbi che le attraversavano
la mente, armandosi di un delicato pennellino che non avrebbe quasi
sfiorato la
pelle della bimba.
Ma
soltanto quando aveva sfiorato quel polso, per
porlo meglio sotto la luce fioca del camino, uno spasmo aveva
attraversato quel
corpo rachitico.
Shay
non aveva fatto quasi in tempo a vederla;
aveva appena avuto il tempo di distinguere due terrorizzati occhioni
blu
spalancarsi, prima che la giovane si alzasse di scatto, fiondandosi
nell’angolo
più buio della stanza e rannicchiandosi su se stessa, come
una belva ferita.
Era
stata una delle immagini più dolorose a cui
Shay avesse mai assistito.
Le
iridi blu spuntavano da sopra le ginocchia,
immense come due grandi laghi vulcanici; c’era terrore in
quegli occhi, c’era
una paura ancestrale e profonda che riempiva quello sguardo che avrebbe
dovuto
essere limpido, solare…felice.
E
invece, Shay aveva visto soltanto morte, in
quegli occhi.
E
la voce; la voce della bambina aveva tremato di
lacrime, quando soltanto due parole erano sfuggite da quelle sottili
labbra
screpolate.
-C-Chi
sei?-
.
Siria
aveva rifiutato le
cure di chiunque, non aveva più parlato.
A
poco era servita la
dolcezza di Shaylee, la preoccupazione di Talia; quella che sarebbe
diventata
la tormentata donna di adesso era soltanto una bambina spaventata,
lontana da
suo fratello e che aveva perso tutto. In primis, l’innocenza.
Mairead
era ben presto
venuta a sapere della sua presenza al campo; soltanto dopo molte ore di
incessanti richieste, le due creature avevano convinto Siria a
lasciarsi almeno
disinfettare le ferite, e a mangiare qualcosa di più
sostanzioso di un tozzo di
pane. Entrambe lo avevano notato, Siria faticava a mangiare nonostante
fosse
chiaramente denutrita; sembrava che ogni boccone che mandava
giù fosse stato
addentato con odio, quasi detestasse l’idea di nutrirsi e di
rimettersi in
forze.
La
regina delle ninfe
aveva chiesto un’udienza con lei, una settimana dopo il suo
arrivo nel regno.
Shay
aveva sconsigliato
alla sua Regina di conoscerla, Siria quasi non parlava; si limitava a
poche
domande generiche, a chiedere dove potesse lavarsi, o se disturbasse la
sua
presenza nelle stanze della ninfa.
Talia
si era dimostrata
preoccupata anche più della naiade; la mezzelfa aveva
intuito cosa Siria
realmente fosse, e voleva proteggerla…ad ogni costo.
.
-Non
è pericolosa.-
Shaylee
e Talia concordavano pienamente su quel
dettaglio.
Mairead
non aveva fatto che confermare i loro
dubbi, definendo Siria come l’ultima di una stirpe che
credeva ormai scomparsa.
-Adhara
l’ha riconosciuta.- aveva mormorato la
Regina, sfiorando con dolce tristezza i capelli rossi di Siria, mentre
la
bambina dormiva un sonno preda degli incubi. -È lei.-
.
La
presenza di quella
ragazza nel regno delle ninfe aveva fatto scalpore; ma Mairead stessa
aveva
evitato che sorgessero tumulti e proteste, che sicuramente sarebbero
sfociati
con la condanna a morte di quella bambina.
Talia
non lasciava mai
sola la piccola Siria, che faticosamente, giorno dopo giorno, si
rimetteva in
forze. Quelle due si erano affezionate; con lei, Siria riusciva persino
a
sorridere, a parlare un poco di più di sé e di
quello che le era successo.
A
Shaylee, invece, si era
attaccata come una bambina sperduta può cercare una madre.
Non
le aveva raccontato
nulla, ma con lei aveva tenuto lo stesso comportamento che le avevano
insegnato, che ogni brava bambina doveva
tenere; Shay non aveva faticato ad affezionarsi alla svelta a
lei,
esattamente come la mezzelfa.
La
presenza di Siria,
nelle sue stanze, era diventata un conforto non indifferente al dolore
che si
portava dentro ormai da troppi anni.
Siria
aveva capito che
qualcosa la tormentava, le faceva male; non aveva chiesto, ma sempre
più spesso
la abbracciava, con la tenerezza ingenua e disarmante di ogni bambino.
Era
questo a preoccupare
tanto Shay quanto Tallie; Siria era spaccata a metà fra due
mondi, fra la
sofferenza che gli adulti le avevano imposto ed un lieve residuo del
suo essere
bambina, del suo cuore tanto grande quanto pieno di dolore.
Non
sapevano quanto
avrebbe potuto resistere senza scoppiare, senza soffrire, senza tentare
ancora
una volta di togliersi la vita; avevano paura per lei, che
già aveva
conquistato un posto nei loro cuori.
Era
stato durante una
notte di tempesta, che Siria era crollata.
.
Le
urla di Siria avevano echeggiato in tutta la
reggia, strappando Shaylee dai suoi incubi, dalla sua sofferenza.
-Siria!-
Irrompendo
nella piccola cameretta che aveva
preparato per lei, Shay aveva trovato la piccola di nuovo rannicchiata
in
quell’angolo, il viso pieno di lacrime e gli occhi bui,
più cupi e tempestosi
che mai.
Ma
non aveva rifiutato la sua vicinanza, non
aveva rifiutato l’abbraccio in cui Shay l’aveva
stretta.
-Io
non voglio essere cattiva…io non ho fatto
niente di male, sono sempre stata una brava bambina, ho sempre voluto
bene a
tutti quanti…-
Il
terrore in quelle parole Shay non era riuscita
a comprenderlo; Siria sapeva di essere ciò che era, non era
un segreto per
nessuno in quel castello. Ma arrivare ad odiarsi tanto, ad avere tanta
paura di
essere un qualcosa che avrebbe potuto diventare meraviglioso…
-Sssh.
Non piangere, Sir.-
-Perché
devo essere cattiva, Shay? Perché
vogliono che io lo sia?- le domande imploranti della bambina
l’avevano turbata,
spaventandola più di quanto avesse dato a vedere.
-Chi
è che lo vuole?-
-Qualcuno…qualcuno
che mi dice di fare del male,
ma io non lo ascolto, sono scappata, non voglio vivere se devo fare del
male!-
Shay
aveva nascosto un sussulto, davanti a Siria.
Conosceva
la sensazione di Siria soltanto per
sentito dire, in teoria; qualcuno aveva lanciato su
quell’innocente bambina una
maledizione, una maledizione che la stava convincendo di essere
malvagia.
-Tu
non sei malvagia, piccola.-
-Io
credo di sì. Le persone buone non le bruciano
sul rogo.-
A
questo, Shay non era stata in grado di
replicare.
-Eppure…eppure
lo hanno fatto…- nuovi singhiozzi
avevano scosso il corpicino ancora esile di Siria, e a nulla era
servito
stringerla più forte a sé; quel dolore, pareva
troppo grande per essere lenito.
-Che
cos’è successo, Siria? Che cos’hanno
fatto?-
le chiese, senza riuscire a trattenersi.
E
Siria aveva alzato gli occhioni imploranti su
di lei, scongiurandola con quello sguardo tanto vivido di non lasciarla
sola.
-Mi
hanno portato via la mia mamma.-
Il
cristallino dolore nelle iridi di Siria, nel
rivelare quel segreto che tanto doveva farla soffrire, era stato tale
da far
riempire anche gli occhi di Shaylee di lacrime.
.
Mairead
non si era
mostrata sorpresa, quando Shay le aveva riferito precipitosamente la
vicenda.
.
-Quella
bambina è maledetta.-
Shaylee
e Talia si erano scambiate uno sguardo
spaventato; non per ciò che avrebbe potuto fare quella
maledizione, ma per
Siria, per quella bambina che era diventata alla svelta parte di loro.
-Chi…mia
Regina, chi? Perché?- avevano chiesto,
pensando entrambe alla ragazzina che ora dormiva, sotto
l’effetto di una
pozione.
Mairead
aveva sospirato greve, guardandole con la
stessa angoscia che riempiva loro.
-Perché
Siria cova dentro di sé la salvezza e la
condanna di tutta Narnia.-
.
Shaylee
e Talia avevano
discusso a lungo di quella scoperta, incerte se parlarne a Siria oppure
no; ma
era stata Talia a trovare la soluzione, ed entrambe erano state
d’accordo con
quella scelta.
Siria
aveva dato a tutt’e
due un motivo di serenità; a Shaylee aveva donato compagnia,
tenerezza, il calore
di un affetto puro come solo i bambini possono dare. A Talia aveva
regalato
un’amicizia, la prima vera amica che la sua vita di reietta
le aveva permesso
di trovare.
Siria
aveva accusato il
colpo stoicamente, quando le avevano parlato della maledizione; ma era
stata
Mairead a volerle parlare, a volerle annunciare cosa le due amiche
avessero
deciso di fare per lei.
.
-Che
cosa vuoi fare della tua vita, Siria?-
Mairead l’aveva sempre un po’ intimorita, ne aveva
parlato con Shaylee molto
spesso. Era nel regno delle ninfe da due mesi abbondanti, ma aveva
sempre
tentato di evitare il confronto diretto con la Regina delle Naiadi.
Ma
aveva raccolto tutto il suo coraggio, per
affrontare quell’udienza a cui non poteva mancare.
-Non
voglio fare del male a nessuno.- aveva
risposto. A soli tredici anni, Siria si ritrovava a combattere una
battaglia di
quelle che non vengono raccontate dai libri, dai menestrelli; era
contro se
stessa, contro qualcosa che si portava dentro, che Siria lottava.
Mairead
aveva annuito, solenne e seria,
bellissima nella sua raffinata eleganza.
-Io
non posso cancellare la maledizione che ti
porti dentro. Solo tu potrai farlo, Siryn; a tempo debito, quando sarai
pronta.-
Siria
aveva sussultato, gli occhi che si
spalancavano nel sentirsi chiamare in quel modo.
Aveva
rapidamente rivolto un’occhiata spaventata
alle due amiche, che le avevano restituito uno sguardo confuso;
soltanto dopo
molto tempo, Shaylee e Talia avrebbero scoperto che Siryn non era altro
che il
diminutivo di Siria.
-Come…-
aveva cominciato la ragazzina, le mani
che salivano a premersi sul cuore sofferente.
-So
che tua madre ti ha chiamata così. So che
cosa sei, Siryn.- Siria aveva chiuso gli occhi, ritirandosi
inconsciamente un
poco dalla figura alta e terribilmente meravigliosa di Mairead.
-Io
non sono cattiva, Regina Mairead…io non
voglio esserlo…- aveva mormorato, fremendo appena di una
paura molto più
grande.
Ma
Mairead le aveva sorriso; un sorriso triste e
dolce che aveva sorpreso la ragazzina, e che aveva diminuito un poco la
paura
che quella donna le provocava.
-Io
non posso cancellarla, non posso liberarti da
quel giogo e lasciarti essere lo splendore che diverrai.- la voce di
Mairead
era carezzevole, nonostante le sue non fossero parole confortanti. -Ma
posso
aiutarti nel combatterla.-
Era
stato allora, che gli occhi di Siria si erano
illuminati.
-Davvero?-
le aveva chiesto, incredula, senza
osare sperare in quella fioca luce che brillava nella sua
oscurità.
-Shaylee
e Talia hanno proposto di stringere un
patto di sangue con te; un patto di Sigillo.- Mairead aveva
assottigliato
appena gli occhi, quando Siria non aveva mostrato sorpresa alla nomina
di quel
gesto. -Sai cos’è?-
-S-sì…è
un patto che se viene infranto porta alla
morte chi ha sbagliato.- aveva sussurrato la piccola, torcendosi le
mani e le
lunghe trecce rosse. -Me l’ha detto la mia mamma…-
quel sussurro si era perso
fra quei capelli, su quelle labbra che fremevano di lacrime appena
trattenute.
-Brava,
piccola.- Mairead le aveva sorriso di
nuovo, rassicurante. -Se le tue amiche possono donarti la sicurezza
della
morte, se mai la maledizione avrà il sopravvento, io posso
darti una compagna.-
Ed
allora la Regina aveva posato una mano sulla
spalla di Siria, sfiorandola con una delicatezza che pareva il tocco
d’ali di farfalla;
la ragazzina aveva avvertito un calore terribilmente piacevole scendere
lungo
la sua schiena, accoccolandosi come un gatto sulla sua pelle candida.
Chiudendo
gli occhi, Siria aveva potuto avvertire una lieve sinfonia riempirle la
mente,
riscaldandole il cuore troppo freddo.
-Apri
gli occhi.-
Diligente,
Siria aveva obbedito; e seguendo il
gesto aggraziato della Regina, si era voltata verso uno specchio
apparso dal
nulla, che rifletteva la schiena vestita soltanto di una tunica chiara,
semitrasparente.
Là,
bellissima e dormiente, riposava una fenice
che ricopriva in uno splendido tatuaggio che adagiava il capino sulla
sua
spalla.
-Che
bella…- aveva mormorato, estasiata.
E
Mairead aveva sorriso, scorgendo una lieve
speranza negli occhi appena meno bui della bambina.
-Il
suo nome è Feldir. È una fenice, come te; e
quando sarà il momento, schiuderete entrambe le vostre ali.-
.
E
Siria aveva lentamente
iniziato la sua risalita, tenuta per mano da due ragazze che erano
diventate la
sua nuova famiglia.
.
-Perché
lo fai, Sir? Perché vuoi combattere?-
Shay
non approvava l’operato di Talia, la sua
decisione di insegnare a Siria le arti della guerra e del
combattimento; ma
Siria aveva capito prima di entrambe che l’unica strada che
poteva percorrere
era quella del sangue, delle battaglie, della guerra.
Con
Talia, aveva deciso di diventare mercenaria;
avrebbe recuperato suo fratello, avrebbe messo insieme un gruppo di
guerrieri,
e avrebbe vissuto così.
A
Shay quel progetto non piaceva, ma non poteva
impedirle di metterlo in atto; se Siria sentiva che catturare ladri ed
assassini le sarebbe servito, allora le sarebbe rimasta amica. Per
sempre.
E
la risposta della ragazza, che presto sarebbe
diventata una raminga errabonda, suo malgrado l’aveva fatta
sorridere amaramente,
fiera della consapevolezza che la piccola aveva raggiunto.
-Perché
è la cosa giusta da fare.-
Siria
non parlava mai del mostro che covava
dentro di sé; la maledizione che Mairead aveva scovato
dentro di lei la
spaventava, la terrorizzava più di quanto non
mostrasse…man mano che cresceva,
che diventava una donna, Siria si chiudeva sempre di più in
quel guscio da cui
nessuno, fino all’arrivo di Caspian, avrebbe saputo tirarla
fuori.
.
Shaylee
sospirò,
abbandonando quei ricordi dolci ed amari fra cui si era facilmente
smarrita.
Siria
era diventata una
donna, chiusa nel suo guscio di ghiaccio fino a che Caspian non aveva
saputo
donarle di nuovo la speranza; Shaylee l’aveva guardata
crescere, il loro
contatto non si era mai spezzato nonostante Siria avesse deciso di
allontanarsi, di vivere come una mercenaria.
Sebbene
entrambe fossero
troppo schive per dimostrarlo, nessuna delle due avrebbe mai
dimenticato quelle
notti in cui Siria si raggomitolava al suo fianco.
Siria
era troppo
orgogliosa per ammetterlo ad alta voce, ma avrebbe volentieri dato la
vita per
Shaylee. E senza pensarci due volte.
E
Shaylee le voleva bene,
sebbene nell’ultimo periodo l’avesse un
po’ trascurata…si detestò, sentendosi
in colpa per aver lasciato che i suoi sentimenti – Peter – occupassero ogni spazio
fra i suoi pensieri.
Forse
non avrebbe dovuto
chiederle un consiglio…ma Siria era l’unica
persona di cui si fidasse davvero,
in quel luogo; l’unica, che non le avrebbe mai rifiutato un
conforto.
-Sir?-
la chiamò, quando
ancora si trovava a diversi metri dall’amica, cercando di
attirare la sua
attenzione.
Un
movimento, uno sprazzo
di luce del sole che si rifrangeva su una chioma che sicuramente non
era rossa.
Un balzo in piedi al suono della sua voce, e due dolorosamente
familiari occhi
azzurri che si voltavano verso di lei.
Sussultò,
Shaylee, una
morsa terribile che repentinamente serrava il suo cuore.
Peter.
Non
era possibile. Il destino
doveva avercela con lei, non poteva spiegarselo altrimenti.
Peter
era là, accanto ad
una Siria che pareva poco lontana dal gongolare soddisfatta. La stava
guardando
con quegli occhi celesti che erano in grado di farla fremere, di
toglierle il
respiro, con l’espressione di un bambino colto in flagrante.
Un
lieve sorriso si
disegnò sulle labbra di Siria, nel vedere le espressioni dei
due farsi
imbarazzate, confuse…distanti.
-Penso
di essere di
troppo, no?- commentò, alzando gli occhi verso il cielo
plumbeo, coperto.
Lanciò
un’occhiata
rovesciata a Peter, notando il rossore chiazzare le guance altrimenti
bronzee
del Supremo Imbecille; la stava giusto un poco esplicitamente invitando
ad
andarsene, muovendo a scatti la testa bionda.
-D’accordo,
ho capito, me
ne vado.- balzò in piedi con un gesto fluido, rapido, i
capelli rossi che
ondeggiavano morbidamente sul corpo tonico; quei due erano alquanto
esilaranti,
da osservare…erano talmente impacciati da risultare
addirittura teneri. Due
cuccioli spauriti che non avevano il coraggio di dichiararsi, ecco
cos’erano.
Si
affiancò alla ninfa,
indugiando volontariamente al suo fianco per guardarla un istante negli
occhi;
la ninfa alzò lo sguardo angosciato su di lei, in una muta
richiesta d’aiuto
che Siria non volle cogliere.
-Io…-
ma gli occhi blu
della raminga la inchiodarono lì dov’era,
fissandola con quelle iridi di un
cupo ghiaccio nato nelle profondità dell’oceano,
gelandola in un solo istante.
Basta
avere paura, Shaylee.
E
l’attimo più tardi,
l’eco del suo pensiero che ancora rimbombava nella mente
della ninfa, se n’era
andata.
Il
silenzio cadde fra loro
nello stesso istante in cui il mantello svolazzante di Siria scomparve
oltre il
confine della collina.
Shaylee
si strinse nelle
braccia, sentendo improvvisamente il vento caldo avvolgerla, quasi
spingerla
verso di lui.
Avrebbe dovuto…avrebbe
dovuto lottare contro la paura, avere il coraggio di alzare gli occhi
verso di
lui, e…
Non ce
la faccio.
Tremò, il dolore che
l’attraversava
ancora una volta, voltando appena il viso. Eccolo là il
sentiero che l’aveva
portata su quella collina, quello stesso sentiero che ogni fibra di lei
voleva
percorrere ancora una volta, a ritroso…
Ma fu quando mosse il
primo passo, l’ennesimo passo di fuga, che una stretta calda
e decisa si serrò
a livello del suo gomito.
-Basta, Shaylee.- la
naiade si voltò di scatto, sentendo lo stomaco contrarsi
quando riconobbe il
calore della stretta di Peter sulla pelle chiara, il profumo della sua
pelle
così vicino, gli occhi azzurri che la scrutavano finalmente
decisi.
Non l’avrebbe lasciata
fuggire.
Là, finalmente, aveva
preso quella decisione che era da troppo tempo rimandava, spaventato
suo
malgrado da qualcosa di più grande di lui; era arrivato il
momento di affrontare
i propri sentimenti, i propri desideri, e ciò che lui voleva
era esattamente
lì, ad un soffio da lui.
-Non ho intenzione di
lasciarti andare ancora una volta. Basta scappare.-
.
.
.
.
.
My
Space:
Buoooooooooooongiorno
^.^
Allora, poche
ciance, non ho voglia di discorrere troppo oggi xD
1,
la canzone del capitolo: è dei bravissimi Dream Theater, il
testo vi consiglio di leggerlo perché ha un significato che
si
adatta perfettamente alla situazione: lo trovate QUI.
Allora;
finalmente, Peter e Shay sono arrivati al punto di non ritorno. Ora, o
ri-finiscono a letto, oppure Siria li fa fuori tutti e due xD
Approposito
di Siria; in questo capitolo il punto focale si sposta su di lei, con
Caspian e poi nei confronti di Shaylee. Il rapporto fra lei e Shay mi
ha appassionata, finendo per farmi scrivere 8 pagine solo di quello ^^'
e Cispia è sempre iper coccoloso, aaaah *-* sembriamo io e
il
mio ragazzo in questa scena, ora che ci penso O_O ^^'
Vediamo, altre
annotazioni...mmm, direi di no ^^
Ho pubblicato,
finalmente, il prologo del mio originale: Seven
Gods
è ciò che ho maturato dopo sette anni, da quando
ho
cominciato a scrivere. Spero che mi possiate seguire anche in questa
nuova avventura, che per me conta moltissimo. (Chi mi conosce, e ha
letto altre mie storie, troverà molte vecchie conoscenze xD)
Invece,
c'è un regalo per tutti coloro che mi seguono, chi da
più chi da meno tempo: Seize
The Day è dedicata a voi, a tutti voi, che mi
avete dato tantissimo da quando sono approdata su questo sito.
"Nooo
però, dai!!!" è stata più o meno la
mia reazione alla fine dello scorso chap xD
Ma l'epopea dovrebbe ormai essere giunta alla fine....perlomeno, si
spera xD
"Supremo Idiota" va molto in voga come aggettivo, vedo xD *risata
malefica*
Per Siria e Susan...ma penso proprio che ti accontenterò, e
finiranno a scazzottarsi per benino xD
E non preoccuparti se non riesci a recensire ogni capitolo, ti capisco
(fra la scuola e il lavoro ho sì e no il tempo di respirare
^^')
Un bacione, spero di risentirti presto :)
tesoro!
^.^
voglio anch'io uno scendiletto cockerino!!! A proposito, vicino a casa
mia ci sono due cocker che vivono insieme, uno è nero e
l'altro è biondo...non ti dico le risate che ho fatto quando
li ho visti xD segni del destino!!!
Lucy non è tanto angelica, la vedo molto più come
mefistofelicamente innocente xD
Il segreto di Siria per ora è sempre lì,
l'indizio che ho dato è l'unico che lascerò ^^
Ti voglio bene tesoro, un bacione e un abbraccio forte <3
Dici
che non farebbero a botte? Io Sue e Siria ce le vedo però xD
con tanto di ometti di contorno e Shay che li annaffia U.U
(e ovviamente, Tallie a bordo campo che fa: BOTTE BOTTE BOTTE BOTTE! xD)
Alloora, pezzi di questo chap ne hai già letti, so che ti
piacciono xD invece, l'intervento di Talia non lo sapevi, spero ti sia
piaciuto xD
E adesso, Raperonzolo si sveglia! Dici che l'epopea è finita?
Mah, vedremo xD
<3
Buondì!!!
Shaylee stavolta non scapperà, Peter non la
lascerà scappare...ed era anche ora, non pensi? xD
Peter qua raggiunge apici di coccolosità che spaventano
anche me...io di solito lo maltratto ,ma se fa così non ci
riesco xD
Oh, non sono così brava a scrivere >.< divento
rossa coi complimenti, mao! Ti ringrazio però, è
bello sapere di riuscire a trasmettere tanto attraverso quello che
scrivo. ^.^
Al prossimo capitolo! Un bacione!
Buongiorno
^^ tranquilla per le confidenze, non mi danno fastidio!!!
Come non mi da fastidio sopportarti, anzi: è un piacere
trovare le tue recensioni ^^
Oddio, definire il mio modo di scrivere "divino" no ^////^
così
mi sciolgo io!!! ^///^ scrivo quel che sento, e spessissimo non ne sono
per nulla convinta ^^'
Susan...ci arriverà, a spiegare quel che succede fra lei e
Siria, e con Shay xD e penso proprio ci divertiremo *risata malefica*
Peter e Siria...aaaaah, quei due!!! In questo capitolo mi fanno
letteralmente morire, sembrano due fratelli che passano il tempo a
punzecchiarsi, ma in realtà si adorano xD amo il loro
rapporto,
e come si evolverà in futuro ^^
Shaylee, finalmente, è messa alle strette da Peter; ora come
reagirà? Lo scopriremo nella prossima puntata xD
Comunque, concordo con te: noi donne siamo parecchio complicate, poveri
maschietti xD spero di risentirti presto! Un bacione!
Spoiler:
-Torneremo
presto. Non farai nemmeno in tempo a sentire la mia mancanza.-
Non avrebbe mai potuto
credere a ciò che stava accadendo.
Shaylee schiuse gli occhi,
serenamente, abbandonata senza pudore contro il petto muscoloso di
Peter. Le
braccia forti le cingevano la vita snella, il respiro caldo le
accarezzava la
gola dove il volto del Re era affondato, alla ricerca del suo profumo.
Rabbrividì appena, un brivido piacevole, caldo, quando le
sue labbra la
sfiorarono delicatamente, accennando un bacio.
-Buongiorno.- la voce
calda e suadente del biondo penetrò direttamente la sua
pelle, disegnando d’istinto
un sorriso sulle sue labbra soffici. Si accoccolò meglio
nella sua stretta
inclinando appena indietro il capo, perdendosi in quegli occhi celesti
che
soltanto durante quella notte, quella notte passata
soltanto da poco più
di ventiquattr'ore, aveva visto totalmente sereni.
Non era il Re Supremo di
Narnia, in quell'istante. Non era il Magnifico, l'Alto Re, il ragazzo
appoggiato
al rassicurante tronco di un albero, fra le cui braccia era accoccolata
come un
gattino desideroso di attenzioni.
No. Era semplicemente
Peter.
Il…suo…Peter.
-Buongiorno.- mormorò
con
dolcezza, i muscoli indolenziti ma allo stesso tempo distesi, rilassati.
-
-Io non scappo mai.-
La voce di Shaylee era stata gelida
nei suoi
confronti, gelida e spaventata come non mai. Gli occhi dorati avevano
sfuggito
i suoi, ma Peter non aveva allentato la presa; si era ritrovato stanco
di
vederla scappare, stanco di lasciarsela sfuggire fra le dita.
-E allora smettila di fuggire da
me.-
Lo sguardo terrorizzato della ninfa
si era
spostato nel suo, e Peter aveva visto tutto il terrore che la sua
presenza
causava in lei.
Forse avrebbe dovuto lasciarla
andare, perché
quella paura era intollerabile. Non poteva sopportare di esserne lui la
causa ed
il motivo, non poteva pensarci, non…
-
Peter le sorrise, con
dolcezza, il volto che si alzava appena dal caldo e profumato rifugio
del suo
collo, gli occhi che andavano a ricercare quelli di lei.
Ancora non riusciva a
crederci.
Ancora non riusciva a
rendersi conto della fortuna che possedeva, del sogno che stava vivendo
proprio
in quell'istante.
Lì, accanto a lei.
-
Non l’avrebbe fatta
allontanare ancora.
Shaylee se n’era resa
conto immediatamente, non
appena scorta la determinazione che infuocava quelle iridi celesti e
bellissime; iridi in cui aveva amato perdersi, ma in cui aveva il
terrore di
affogare ancora.
-Io non fuggo da te.-
Bugia.
Shay lo sapeva benissimo.
-Non mi sembra proprio.- la stretta
sul suo
braccio si era fatta più intensa, e Shay aveva sentito gli
occhi pizzicare;
voleva andarsene, voleva allontanarsi da lui, voleva che il cuore
smettesse di
battere tanto furiosamente nel suo petto.
-Shaylee, non scappare
più. Basta.-
-
Gli occhi di Shaylee erano
calmi, sereni, appena più lucidi. Sorrideva, sorrideva
esattamente come
lui...che la stringeva a sé, intrecciando le mani sul ventre
della ragazza,
appena più saldamente di quanto non desiderasse in
realtà fare. Non gli sarebbe
sfuggita di nuovo, non avrebbe lasciato che gli fosse portata
via…più, mai più.
Si erano rifugiati lì,
quando il tramonto aveva sostituito il giorno e la notte aveva
incalzato;
nessuno dei due si era preoccupato di avvertire qualcuno, per una notte
se li
avessero cercati non ci sarebbero stati.
Si erano rifugiati sulle
rive di quel lago che era stato spettatore del loro amore, dei loro
baci,
accoccolati nell’abbraccio l’uno
dell’altro, protetti da un’immensa quercia
secolare che li aveva accolti con la dolcezza di una madre.
Ed erano rimasti lì, a
parlare, finché Morfeo non li aveva colti in un abbraccio da
cui ancora non si
erano sciolti.
-
-Io…- aveva
vigliaccamente approfittato di
quell’esitazione, Peter, per trarla appena più
vicino a sé, impedendole del
tutto di fuggire.
-Io non me ne vado, Shay.-
Erano bastate quelle parole, per
vedere le iridi
del colore del miele della ragazza sgranare improvvisamente, allibite.
Sorprese, spaventate, felici,
atterrite…c’era
tutto, tutto quello che lui cercava da una vita intera.
-Tu non…tu dovrai
andartene.- aveva balbettato la
ninfa, quasi senza rendersene conto, le lacrime che bruciavano
– trattenute,
per orgoglio.
Peter aveva sgranato gli occhi,
vedendo le guance
della naiade imporporarsi appena, lo sguardo farsi lucido.
-Io non ho intenzione di
andarmene.- aveva
commentato, allibito, guardandola con soltanto lo stupore nel volto.
-
Non disse nulla,
limitandosi a guardarla, completamente imbambolato sui lineamenti fini
della
naiade, quei lineamenti che vedeva perfettamente di profilo. Le labbra,
le
guance, le ciglia lunghe...e quei due pozzi dorati in cui adorava
perdersi.
La vide arrossire, sotto
il suo sguardo, imbarazzata.
-
-Shay. Shaylee, guardami.-
La ninfa aveva sentito il cuore
impazzire, quando
Peter aveva mormorato il suo nome in quel modo, con quel sussurro lieve
e dolce
che le era entrato dentro, che aveva scaldato il suo cuore e dipanato
la paura
che lo ammorbava.
Aveva obbedito; non poteva
più fare altro, non
poteva più scappare. Sentiva il cuore martellarle nel petto,
la paura più forte
di qualsiasi altra cosa…ma non poteva.
Era stanca, di fuggire: era stanca
quanto lui.
“Basta scappare,
Shay.”
Lo aveva guardato, tremante; e nei
suoi occhi
aveva scorto limpida e chiara la decisione, la
sincerità…l’amore,
quell’amore
che era sbocciato fra loro quella notte, quell’amore che
nessuno dei due poteva
più celare.
Era diventato troppo grande, per
essere nascosto.
-Non ho intenzione di andarmene.
Non ho
intenzione di lasciarti.-
Il cuore le era scoppiato in petto,
a quelle
parole.
Lasciarti.
Aveva parlato di lei.
Non si era riferito al suo popolo,
non si era
riferito a Narnia, non si era riferito a nulla che non fosse lei.
Era lei
che non avrebbe lasciato.
Era lei,
che aveva sentito improvvisamente le lacrime infrangere gli argini
sottili in
cui le aveva trattenute, e rigarle le guance con la forza impetuosa di
un fiume
in piena.
Era lei,
che si era ritrovata fra le braccia calde e sicure del Re,
singhiozzando mentre
un sorriso finalmente privo di paura si schiudeva sul suo volto, le
mani che
salivano a serrare fra le dita minute la casacca di Peter.
Era lei,
che finalmente si era trovata a casa.
-
-Perché arrossisci?- le
chiese, con dolcezza, posando delicatamente le labbra sulla sua
guancia. Lei si
torse appena le mani, palesemente imbarazzata, prima di posarle su
quelle di
Peter, intrecciate sul proprio ventre – e sospirare, serena.
-E'...il tuo sguardo.-
confessò, dopo un istante di esitazione, abbassando gli
occhi sulle loro dita
vicine. Quasi le leggesse nel pensiero, Peter sciolse la stretta delle
proprie,
racchiudendo dopo un attimo le manine affusolate della ninfa fra le
proprie,
molto più grandi.
-Il mio sguardo?- Peter
non poté impedirsi di sorridere, appena sorpreso, accostando
ancor di più il
volto al suo e catturando i suoi occhi coi propri.
Quant'erano belle quelle
iridi celesti, soltanto Shaylee poteva apprezzarne davvero la dolcezza,
la
pace, il caldo senso di protezione che le trasmettevano…
Annuì, sentendosi
avvampare sempre di più.
-E'...strano. Non sono mai
stata guardata così, non...in questo modo.-
borbottò, ma non allontanò di nuovo
le iridi da quelle di lui. Poteva perdersi, in quei due specchi mai
visti così
tranquilli, da nessuno.
-Allora non sei mai stata
guardata davvero.- fu la semplice risposta del Re Supremo, un sorriso
sulle
labbra carnose, la testa piena soltanto del profumo, delicato e
frizzante
insieme, della naiade. Della sua Naiade.
Shaylee socchiuse gli
occhi, sorridendo tenera, sincera.
No.
Nessuno l'aveva mai
guardata come faceva Peter. Aveva amato, sì…aveva
amato il suo compagno con
tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, e sapeva di esserne stata
ugualmente ricambiata. Ma…
Ma quello sguardo, quegli
occhi azzurri ed intensi che la osservavano quasi con adorazione, non
aveva
eguali.
-E' tutto
così…strano.-
mormorò, dopo un altro lungo istante di fragrante silenzio.
-Tu sei il Re, io
non dovrei…- le parole morirono sulle sue labbra carnose,
quando quelle iridi,
ora taglienti e penetranti come spade, si spostarono nuovamente nelle
sue.
-Non sono nessun Re al tuo
fianco, Shay.- le sussurrò, lo sguardo che si addolciva dopo
un istante, una
mano che saliva ad accarezzarle con infinita tenerezza il volto dalla
carnagione eburnea. Le sorrise; uno di quei rari sorrisi a rilascio
lento,
splendidi, così strani da vedere su quel volto perennemente
contratto. -Sono
soltanto Peter.-
Una timida espressione, a
metà fra imbarazzo e dolcezza, si dipinse sul visetto della
ninfa, quando voltò
la testa e si ritrovò esattamente di fronte al volto del Re.
Di Peter.
-Allora, "soltanto
Peter", permettimi di darti un bacio.- ridacchiò, senza
poterselo evitare,
accarezzando con dolcezza la guancia glabra ed abbronzata del ragazzo.
Lo
avvertì sussultare, in uno sbuffo divertito, prima che
fossero le sue labbra a
cercare quelle di lei, in un tocco sorridente, sereno…
semplicemente,
assolutamente innamorato.
Era l'unico pensiero
incessante di Siria, appollaiata come un grosso rapace su uno dei rami
più
bassi e nodosi degli alberi intorno al lago. Come diavolo aveva fatto
quell'idiota
biondo a convincerla!?
Controllare che nessuno si
avvicinasse…Peter l'aveva scambiata per una dei suoi
sudditi, nientemeno. Di
nuovo.
Idiota. Idiota! Ma
perché
gli do anche retta!?
La mercenaria scosse la
testa, esasperata, dondolandosi appena sul ramo e finendo a testa in
giù, i
lunghi capelli ramati che sfioravano quasi terra.
Non avrebbe mai pensato,
nemmeno negli incubi più perversi, che sarebbe finita a fare
da guardia a due
piccioni innamorati.
E, soprattutto, che uno
dei due pennuti fosse la sua amica Shaylee.
La concreta Shaylee,
quella realista, quella seria, quella…
Quella che si è lasciata
imbambolare da due occhioni azzurri da cucciolo!
…era piuttosto caustica,
Siria, dopo una notte passata a controllare che nessuno si avvicinasse
a quel
luogo.
Avrebbe preferito passarla
da qualche altra parte, quella notte. Magari con Caspian, che
sicuramente si
era chiesto dove fosse finita – per l’ennesima
volta! –, magari avrebbero
potuto terminare quel discorso…
Era talmente assorta nei
suoi pensieri, che non si accorse minimamente del fruscio del tutto
udibile che
infranse il morbido silenzio dell'alba narniana.
-Ma dove diavolo è
finito
quell'idiota!?- la rossa sobbalzò, rischiando di cadere dal
suo comodo
appiglio, quando la voce di Edmund la raggiunse con
l'intensità di un grido di
battaglia.
Dannazione! sbottò mentalmente,
aggrappandosi di scatto al ramo ed issandosi in
piedi con un gesto agile, conosciuto. Tutto merito di Talia, se era in
grado di
compiere tali acrobazie.
Con un salto il più
silenzioso possibile, s'inerpicò fra i rami più
alti della quercia che l'aveva
ospitata quella notte, recuperando la propria fida balestra riposta con
cura in
una nicchia del legno. Da quel punto poteva benissimo vedere Peter e
Shaylee,
del tutto concentrati l'uno sull'altra...ah, ma le doveva un favore il
Re, e
pure bello grosso.
Con accuratezza, portò
l’arma
contro la spalla, prendendo accuratamente la mira. Buffo come quello
fosse lo
stesso gesto che aveva dato inizio a tutto quel casino, tanto tempo
prima...
-
-
Un sibilo sinistro, il
rumore del metallo conficcato nel terreno.
Peter sobbalzò, la mano
destra che correva all'elsa della spada, la sinistra che repentinamente
andava
a cingere con più forza Shaylee, serrandola contro di
sé in una stretta
istintivamente protettiva.
Ma si rilassò quasi
immediatamente, quando accanto alla sua gamba destra, dove prima non vi
era che
erba umida di rugiada, svettava un dardo dalle piume del colore del
sangue.
I dardi di Siria.
-
-
…ma certo Siria non
aveva
messo in conto di perdere l’equilibrio – una
vertigine improvvisa data dai
movimenti troppo repentini – e scivolare dal ramo, per finire
poco carinamente a
ruzzolare a terra, il fondoschiena che non attutì
minimamente l’urto della
caduta.
-Ahi.- borbottò,
maledicendo fra sé l’assenza di Caspian in quel
momento; il principe l’avrebbe
presa al volo, ne era certa.
-Piovono rosse dal cielo,
a quanto vedo.- Siria s’irrigidì di botto, quando
la voce perplessa e divertita
di Edmund risuonò decisamente
troppo
vicina a lei.
Alzò lo sguardo, senza
sorprendersi troppo di trovare gli occhi nocciola del giovane Re a
fissarla,
attenti e vigili almeno quanto i suoi.
-Edmund.- lo salutò,
dolorante, alzandosi in piedi e massaggiandosi appena la schiena.
-Siria. Sei…caduta da un
albero?- le chiese, e la raminga colse chiaramente una nota divertita
nella sua
voce.
Gli rivolse una smorfia
ironica, senza riuscire però ad arrabbiarsi sul serio; era
impossibile
prendersela davvero con Edmund, al contrario di quanto sembrasse
semplice
arrabbiarsi con Peter.
-No, è solo
un’impressione.- commentò, ravviandosi indietro i
capelli arruffati,
rinfoderando la balestra con una scioltezza ed una
tranquillità invidiabili. Ed
scosse la testa, appena esilarato dalla situazione, porgendole la
faretra che
le era sfuggita nella caduta.
-Tutto bene?- le chiese,
vedendola massaggiarsi un fianco.
-Benissimo.- replicò
lei,
pronta, rivolgendogli un breve cenno; Edmund era certamente molto
più galante
di suo fratello, se non altro, questo doveva ammetterlo. -Non stai
cercando
Peter, vero?- gli chiese a bruciapelo, inarcando appena un sopracciglio
quando
vide le iridi scure del ragazzo spostarsi sulla foresta intorno a loro,
pensierose.
-In verità
sì, è sparito
da ieri pomeriggio…- la voce del ragazzo si perse
sull’espressione scettica
della rossa, il volto contratto in una smorfia palesemente sarcastica.
-Eh, lo so.-
-Qualcosa che è meglio
che
io non sappia?- le chiese, intuendo soltanto dal suo sguardo che Siria
non
potesse proprio parlare liberamente di ciò che sapeva.
-Qualcosa che è meglio
che
nessuno sappia.- rincarò
lei,
eloquente.
Non vi era stato bisogno
di discuterne con Peter, o con Shaylee; lei stessa aveva capito in un
istante
che meno avessero saputo di loro, più al sicuro sarebbe
rimasto l’intero
accampamento.
Siria conosceva se stessa,
e sapeva che Peter avrebbe agito nel suo stesso modo; se avessero fatto
del
male a Shay, il Re non avrebbe esitato a rinunciare al suo stesso ruolo
per
correre a salvarla.
Suo malgrado, Siria
dovette ammettere che in quell’ambito erano sgradevolmente simili.
Lei stessa stava provando
sulla sua pelle cosa significava vivere allo scoperto una relazione
come quella
che legava lei e Caspian; c’era sempre una morsa ad
attanagliarle il cuore, a
ricordarle che non poteva rischiare
troppo, che non poteva mettersi nei
guai.
Avrebbe significato una
reazione inevitabile, avrebbe messo in pericolo Caspian – che
non l’avrebbe mai
abbandonata, che già una volta l’aveva messa
davanti al suo popolo e alla sua
guerra.
Era un senso di colpa
bizzarro, quello che Siria portava con sé da
quell’occasione; non riusciva a
non essere intimamente felice di essere tanto importante per il suo
principe,
tanto da spingerlo a rischiare tutto per lei – ma allo stesso
tempo, la
spaventava.
La spaventava, perché
quella era una guerra che nessuno di loro poteva permettersi di perdere.
E se Caspian avesse
rischiato ancora la vita per lei… lei stessa, forse, avrebbe
perso il controllo
e scatenato un inferno che Narnia paventava da più di
milletrecento anni.
Per questo, si diceva,
Peter e Shaylee dovevano evitare effusioni in pubblico.
Anche perché le
avrebbero
dato sui nervi, e non poco.
-C’entra la bella ninfa a
cui fa gli occhioni dolci da mesi?- la raminga sorrise, a
quell’insinuazione;
un sorriso esasperato ma sincero, gli occhi che si rivolgevano al cielo
e
ringraziavano per non essere l’unica spettatrice di quel
dramma che si
trascinava ormai da troppo tempo.
-Oh, almeno non sono
l’unica che l’ha notato!- sbottò,
ravviando di nuovo i lunghi e arruffati
capelli rossi; avrebbe dovuto pettinarli, una volta tornata al campo.
Edmund si lasciò
sfuggire
una breve risata, guardandola scuotere la testa e borbottare qualcosa
di
sicuramente poco carino nei confronti di suo fratello.
-Penso che chiunque
l’abbia notato…tranne quei due, ovviamente.-
commentò, scrutando lo sguardo
corrucciato di Siria con una sorta di divertito ammonimento: quella
ragazza gli
piaceva, lo incuriosiva, ma non aveva mai avuto occasione di parlarle
per più
di pochi istanti.
-Perché tuo fratello
è un
imbecille e Shaylee anche.- commentò venefica la raminga,
scoccando
un’occhiataccia al folto degli alberi; là, dove
sapeva che c’erano due piccioni
che le dovevano un favore abnorme.
-Ti noto caustica.- il suo
sguardo, rapido e tagliente quanto quello d’un rapace,
tornò rapido agli occhi
scuri e scaltri di Edmund.
-Noo, ma quando mai? Sono
il ritratto della gentilezza, io!- commentò, sarcastica, un
fondo divertito
nell’ironia della voce.
-Si vede.- ridacchiò il
giovane, voltandosi lentamente verso il sentiero che aveva percorso per
raggiungere quel punto; se Peter non voleva essere disturbato
– tanto da
convincere la solitamente recalcitrante Siria a fargli un favore
– tanto valeva
tornare al campo…sorrise appena, pensando al sorrisetto
furbo che Tara avrebbe
esibito nell’apprendere quella notizia. -Almeno hai smesso di
litigare con
Peter.- commentò, rivolgendo un’occhiata obliqua
alla rossa; ma Siria scosse la
testa, precedendolo lungo quello stesso percorso appena visibile fra
gli
alberi, velando dietro un cipiglio indifferente un velo
d’imbarazzo che
quell’affermazione le aveva provocato.
-Guarda, secondo me stavo
meglio prima. Mi ha scambiata per…non so neanche io per
cosa!- borbottò,
sentendo il giovane Re seguirla, il passo leggero e quasi inudibile
– persino
per lei.
Edmund ridacchiò,
scuotendo lieve il capo; parlare con Siria era terribilmente simile a
farlo con
Peter, tanto erano simili. Entrambi orgogliosi, entrambi fin troppo
schivi alle
domande che riguardavano i loro pensieri e i loro sentimenti, entrambi
incapaci
di esprimere a parole un affetto che il giovane Re aveva presagito
già dal loro
primo scontro.
-No, ti ha scambiata per
un’amica.- commentò; e fu una soddisfazione
vederla sobbalzare, e in seguito
irrigidirsi, al suono di quell’ultima parola che proprio non
si sarebbe
aspettata.
La raminga si voltò a
guardarlo, perplessa.
Amica?
Era una definizione quanto
mai assurda, per descrivere ciò che Peter riferiva proprio a
lei. Non le pareva
calzante, dopotutto gli aveva soltanto salvato la vita, non aveva
proprio
bisogno di un’altra persona di cui preoccuparsi...
Eppure…
Eppure sentì le guance
accendersi di un rossore palesemente imbarazzato, quando Edmund per
primo la
definì con quel termine che lei stessa stava cominciando ad
associare a quel
biondo che non riusciva più a detestare così
tanto.
Il bruno sospirò,
affiancandosi alla rossa mentre lei continuava ad osservarlo, allibita.
-Peter non ha mai avuto
molti amici…anzi, proprio nessuno. Non è una
persona che si fida molto degli
altri, e per questo è sempre stato solo…persino
con la sua famiglia non ha mai
mostrato troppo di sé.- le spiegò,
tranquillamente, mentre alla mente tornavano
le nitide immagini delle troppe occasioni in cui Peter si era chiuso in
se
stesso, allontanando chiunque cercasse di comprenderlo.
Eppure, a Siria aveva
permesso di avvicinarsi più che con chiunque altro; li aveva
visti, da lontano,
mentre parlavano su quella collina – mentre parevano davvero
due amici di
vecchia data, e gli occhi di Peter parevano più espressivi
che mai.
Suo fratello era
assolutamente incapace di esprimersi a parole; si difendeva sempre
sostenendo
di essere un uomo d’azione, non di
discorsi, ma più d’una volta Edmund si
era reso conto che era tutto lì, in
quelle iridi chiare, in una muta speranza che qualcuno potesse
comprenderlo.
Peter era un dilemma, ma
la chiave per comprenderlo stava in quegli occhi azzurri, tanto diversi
dai
suoi e da quelli del padre.
E Siria, Siria aveva
trovato la chiave di lettura; nemmeno era conscia di quanto preziosa
fosse la
fiducia che Peter aveva riposto in lei, rara forse ancor di
più delle
apparizioni di Aslan.
-L’ho notato.-
mormorò
Siria, sorpresa suo malgrado; non pensava che Edmund si fosse accorto
della
repentina sopportazione che aveva sostituito l’astio, fra lei
e Peter.
Il ragazzo sorrise,
divertito; e Siria riuscì a cogliere in quel bel sorriso la
stessa rarità che
intravedeva in quello del fratello più grande.
-Di te però
sì.- le
ricordò il bruno, inarcando appena le sopracciglia; ma la
rossa agitò una mano,
di nuovo nascosta dietro i suoi misteri e i suoi segreti, superandolo
quando
finalmente trovarono il confine ultimo della foresta.
-Mi fai pensare a lui come
ad una persona merita di rispetto, invece che come a un cretino. Non va
bene,
Edmund, non va proprio bene.- la sentì borbottare, da
lontano; e ridacchiò fra
sé, esasperato, riconoscendo in quella misteriosa guerriera
un altro dettaglio
di suo fratello.
Siria non ebbe nemmeno il
tempo di rendersi conto della situazione; non appena abbandonato il
rassicurante folto della foresta, ebbe giusto il tempo di distinguere
una
figura conosciuta avvicinarsi rapidamente a lei, prima di sentirsi
sollevare
con decisione ed essere travolta dal profumo conosciuto di Caspian.
-Ma che…- lo
sentì
ridacchiare, divertito, quando senza troppi complimenti se la
caricò in spalla,
sotto gli occhi divertiti di un Edmund per nulla sorpreso.
Niente di più semplice
che
fossero d’accordo, quei due.
-Scusa, ma sei
impazzito!?- sbottò, sgambettando come una bambina, tentando
di alzarsi per
guardarlo in viso.
Ma Caspian la trattenne
saldamente dov’era, un ghigno malcelato sul viso affilato,
bloccandole con un
braccio le gambe contro al proprio petto.
-Assolutamente no.-
commentò, divertito, mentre gli strilli di Siria attiravano
gli sguardi più o
meno divertiti di metà dei presenti
nell’accampamento.
-Allora mettimi giù!
È
imbarazzante!- non poteva arrossire ancora. Stava raggiungendo soglie
d’imbarazzo mai viste prima, tanto che la differenza fra la
sua pelle e i suoi
capelli era ormai indefinibile.
-Non ci penso neanche,
può
sempre capitare qualcos’altro.- replicò lui,
pronto, diretto senza troppi
preamboli verso la cripta in quel momento praticamente deserta.
-Ma cosa…- Siria smise
per
un istante di sgambettare, senza capire in un primo momento a cosa si
stesse
riferendo il suo principe.
Qua
stanno andando tutti via di testa!
Lo sentì ridere, mentre
varcavano la soglia della cripta, la voce che si abbassava per farsi
sentire
soltanto da lei.
-Voglio finire quel
discorso, prima che capiti qualche
altro cataclisma.- mormorò a mezza voce, sentendola
irrigidirsi nello stesso
istante in cui la verità la raggiungeva, cristallina e
perfetta come la pioggia
di primavera.
-…ah.-
mormorò soltanto,
mentre l’idea si faceva lentamente strada dentro di lei.
-…potevi dirlo prima.-
Caspian scoppiò a
ridere,
al commento, lasciando che scivolasse dalle sue braccia soltanto quando
si
ritrovarono nella spartana stanzetta che dividevano – la
piccola finestra unica
fonte di una luce chiara, sbiadita e nebulosa, che dava vita ad una
timida
penombra che rendeva ogni cosa sfocata e labile.
Tutto,
tranne lui.
Tutto,
tranne quei carboni ardenti.
Sorrise, Siria, un’ombra
malandrina negli occhi di cobalto, quando il sorriso dolce e trionfante
del
principe la raggiunse a poco più d’un soffio da
lei.
-Mi sono concesso il
piacere di coglierti di sorpresa.- commentò lui,
intrecciando le dita con le
sue e traendola contro di sé, l’ilarità
che svaniva in quella debole luce che
riusciva appena ad illuminare le iridi limpide della sua compagna.
Avvertiva
qualcosa d’imminente, Caspian.
-Concedimi allora di
prendermi una piccola rivincita, mio principe.- sorrise, il ragazzo,
quando le
dita sensuali e meravigliosamente calde della sua bella raminga
accarezzarono
la sua gola, scendendo a sciogliere i nodi della casacca e
sfilandogliela con
delicatezza, smarrendosi dopo un istante sul suo torace.
Qualcosa
di brutto, che presto li avrebbe travolti.
Si lasciò trascinare su
quel giaciglio parco, quel letto spartano che per entrambi era
diventato un
rifugio ed un riparo, il morbido nido d’amore in cui potevano
rifugiarsi senza
il timore d’esser strappati l’uno
dall’altro.
Qualcosa,
che avrebbe tentato di portargliela via.
La strinse a sé,
intrappolandola fra quelle braccia che non avrebbero mai voluto
lasciarla
andare via.
Siria era bella, era profumata,
aveva lo stesso profumo selvatico e inebriante della foresta; ma erano
dolci
quelle labbra che in tante piccole carezze percorrevano il suo viso per
giungere alle sue, naufragando in un bacio che cancellò in
un attimo ogni
pensiero dalla sua mente – ogni pensiero che non fosse il suo
profumo, il suo
sapore… lei.
Presto.
-
-
I giorni si susseguirono
veloci, accavallandosi l’uno sull’altro come le
foglie secche trascinate dal
vento. La primavera di Narnia era sbocciata in tutto il suo fulgore,
portando
con sé un clima più caldo e mite, una lieve
brezza che scuoteva le fronde
cariche di teneri virgulti e un’insolita
tranquillità nell’accampamento.
Peter e Siria non
discutevano più, ormai; nei primi giorni di
quell’inusuale cordialità con cui
si rivolgevano l’uno all’altra i soldati li avevano
squadrati allibiti, di
certo chiedendosi se non fossero vittima di una qualche stregoneria.
Siria
aveva messo da parte i suoi propositi omicidi, mentre Peter si era
lentamente
accorto che la raminga era una compagnia più interessante di
molte altre;
Siria, ed aveva dovuto darle pienamente ragione, era arrivata a
definirsi come l’unica in grado di
tenergli testa.
In un modo completamente
diverso da Shaylee, ovviamente.
Sorrise, il biondo Re
Supremo, socchiudendo appena gli occhi e rivolgendo lo sguardo al cielo
terso e
limpido di Narnia. Il profumo della primavera lo raggiungeva anche
lì, lontano
da tutti, in quel luogo dove aveva imparato a trovare in sé
la calma, la
pazienza, la pacatezza – tutto ciò di cui non era
particolarmente fornito,
insomma.
Erano passati dieci
giorni, da quel mattino.
Dieci giorni che erano
stati, per lui, i giorni più belli che la vita gli avesse
mai donato.
Dieci giorni di baci
rubati all’ombra degli alberi, baci timidi, veloci, baci di
chi vorrebbe avere
una vita intera per amarsi.
Dieci giorni di occhi che
si cercavano, di mezzi sorrisi e di carezze rapite alla luce del Sole
– carezze
che si addolcivano e si rincorrevano sulle loro pelli, quando il giorno
cedeva
il passo alla notte.
Dieci giorni, e nonostante
la guerra lui non si era mai sentito più in pace.
Sentiva che finalmente
aveva trovato il suo posto, il luogo che troppo a lungo aveva cercato
– e che
aveva scovato, infine, accanto alla sua dolce ninfa dagli occhi dorati.
Shaylee.
Lei era tutto ciò che
non
aveva mai osato desiderare, tutto ciò che aveva sperato
d’incontrare, un
giorno, sulla sua strada.
E
quell’ombra, sul viso della sua dolce naiade, era finalmente
scomparsa.
Sorrise, sereno, quando
intravide poco lontano da lui il vento gonfiare appena una candida
veste che
conosceva; Shay era là, assieme alle due amiche, le guance
rosse per l’aria
fresca del mattino ed un sorriso un poco esasperato sulle labbra
delicate.
Era
bella.
Era
magnifica.
Era conscio di perdersi un
po’ troppo spesso a guardarla, senza riuscire a mascherare
l’espressione
sognante e un po’ ebete che sapeva di assumere mentre si
perdeva ad ammirare la
ninfa; ma di riscuoterlo dai quei momenti si occupava con molto piacere
– forse anche troppo
– la sua nemesi
personale, conosciuta anche come Siria.
Le lanciò
un’occhiata
divertita, vedendola in piedi accanto alla naiade, più
tranquilla di quanto non
fosse stata negli ultimi giorni.
Caspian era tornato da una
ricognizione il giorno prima, e Siria – che era stata davvero
intrattabile
durante l’assenza del principe – pareva tornata a
quella sorta di inquieta
serenità che Peter aveva imparato ad apprezzare.
Aveva cominciato a capire
molte cose, di lei; ma l’unica che contasse davvero era
quanto s’illuminassero
i suoi occhi, accanto al principe di Telmar.
Aveva
sbagliato, a giudicarli.
Entrambi.
Accanto alle due ragazze,
Talia pareva più iperattiva che mai; si lasciò
sfuggire uno sbuffo divertito,
Peter, quando vide Shaylee arrossire ancor più furiosamente,
lanciandogli una
brevissima occhiata imbarazzata prima di tornare a posare lo sguardo
sul
proprio grembo.
Aggrottò appena le
sopracciglia, perplesso.
Forse era davvero malato
di egocentrismo, ma aveva la netta impressione che le tre ragazze
stessero
parlando di lui.
Incuriosito, recuperò il
fodero della spada che aveva posato accanto a sé, alzandosi
e allacciandolo in
vita mentre discendeva agilmente la parete scoscesa della cripta.
Non dovette avvicinarsi
troppo, per sentire la voce squillante e divertita di Talia rivolgersi
a Siria,
che la soppesava con uno sguardo a metà fra
l’ilare e il sarcastico.
-Cioè, tu mi stai
dicendo
che lui c’è
riuscito davvero?- non lo
sorprese vedere Talia indicarlo con un rapido gesto della mano,
nonostante
fosse a diversi metri di distanza alle sue spalle; Peter aveva imparato
in
fretta che era molto difficile – se non impossibile
– cogliere di sorpresa
quell’elfa.
-Così pare.- Siria si
strinse nelle spalle, mordendosi un labbro per non scoppiare a ridere,
mentre
al suo fianco Shaylee arrossiva ancora di più.
Ma che…
Peter non ebbe nemmeno il
tempo di formulare quel pensiero, perché Talia apparve quasi
dal nulla al suo
fianco, le mani strette sui fianchi ed un cipiglio allibito sul viso
affilato.
-Scusa eh, ma tu
davvero hai fatto sesso? Cioè, stiamo
scherzando, vero? Mi state prendendo in giro!- sbottò,
scrutandolo diffidente
in viso, incredula.
-Eh?- lo colse di
sorpresa, quella domanda fatta a bruciapelo e senza un minimo di tatto;
e si
sentì dannatamente arrossire, quando spostando gli occhi
sulla figura di
Shaylee ebbe in risposta soltanto uno sguardo appena un poco esasperato.
Talia emise un versaccio
che riuscì a farlo sobbalzare, rivolgendo teatralmente il
viso verso il cielo,
scoccando poi un’occhiata ad una Siria che stava davvero
faticando a rimanere
seria.
-Oh cielo, l’avete fatto
sul serio! Oddio, qua mi crollano tutte le certezze!-
sbottò, scuotendo la
testa con aria di rimprovero, spostandosi nuovamente, in una delle sue
flessioni impossibili, accanto a Shaylee. -Hai uno stomaco forte,
ragazza.- le
disse, solenne, dandole una lieve pacca sulla spalla mentre la risata
della
raminga ormai risuonava in tutto l’accampamento.
-Smettila. Siria, smettila
di ridere.- sibilò Shaylee all’indirizzo della
rossa, che non parve avere la
minima intenzione di darle retta.
Peter le scoccò
un’occhiataccia, ma non servì a molto; accanto
alla mercenaria, Talia annuiva
soddisfatta, un cipiglio trionfante sul visetto in
apparenza tanto angelico.
-Tutto questo è
profondamente ingiusto.- commentò il biondo, sospirando,
scuotendo lievemente la
testa ed avvicinandosi appena un poco di più alla naiade,
posando una mano
sull’esile spalla coperta della ninfa.
-Non poteva non saperlo.-
mormorò lei, imbarazzata, alzando gli occhioni lucidi per la
vergogna su di
lui. Ma Peter le sorrise, ignorando non senza difficoltà
quanto Siria stesse
ancora ridacchiando alle sue spalle, sfiorandole delicatamente il
visetto
delicato con
la punta dell’indice.
-Sopporterò.- la
rassicurò, sentendo il cuore accelerare quando le labbra
delicate della naiade
si distesero in un dolce, morbido sorriso.
-Tallie, perché stai
maltrattando il Re Supremo?- mai, mai Peter
era stato tanto contento di sentire la voce di Caleb interrompere
Talia, che si
stava seriamente impegnando a continuare la sua sequela di commenti e
battute
sarcastiche.
-Perché se lo merita!-
fu
la flemmatica risposta dell’elfa, mentre Siria tentava un
minimo di ricomporsi,
le lacrime agli occhi per le troppe risate.
-Questo potrebbe anche
essere vero, ma non sta bene!- Caleb sorrise, malandrino, accostandosi
a loro e
posando una mano sul fianco esile della mezzelfa, traendola a
sé senza alcuno
sforzo.
-E da quando sei così
educato, scusa?- ridacchiò lei, concedendosi a quello
scherzo, incrociando le
braccia sul seno e rivolgendogli un’occhiata ironica,
minuscola fra le braccia
possenti del ragazzo.
Era davvero piccola, in
confronto a Caleb; arrivava sì e no alle sue spalle, ma
nonostante fosse tanto
più minuta di lui, nessuno guardandola negli occhi avrebbe
dubitato della forza
che l’animava, che la presenza e l’amore del biondo
avevano acceso dentro di
lei.
-Sono un uomo dalle mille
sorprese, io.- fu la risposta flemmatica del giovane, il viso che
s’accostava
lievemente alla guancia della bella mezzelfa, le labbra che lasciavano
una
delicata impronta sulla sua pelle olivastra.
La sentì ardere a quel
contatto, il sangue che affluiva al volto con prepotenza. Farla
arrossire non
era mai stato facile, ma aveva scoperto con gioia che Talia era molto
più
sensibile alla dolcezza di quanto non volesse mostrare al mondo; era
una sua
esclusiva, un’esclusiva che adorava, riuscire a metterla in
imbarazzo con un
gesto semplice come poteva essere una carezza, un bacio.
-A ah. Certo.- Tallie si
rigirò nel suo abbraccio con una mezza piroetta aggraziata,
quasi un passo di
danza; il suo volto solitamente imperturbabile era arrossito, ma gli
occhi
scuri brillavano di testardaggine, per nulla pronta a rinunciare a quel
battibecco.
Ma Caleb sapeva giocare le
sue carte, sapeva come muoversi su quella scacchiera.
Accostò d'un soffio il
viso
al
suo, lasciando che appena un respiro restasse a dividerli; gli occhi
celesti
vibravano di malizia, di desiderio, di sfida, un miscuglio di
sensazioni ed
emozioni diverse che Talia conosceva bene – che sapeva essere
fin troppo capace
di far ribollire il sangue sotto la pelle, le ginocchia che
tremavano.
-Devo dimostrartelo?- fu
il suo commento appena sussurrato, le labbra che sfioravano quasi
inavvertitamente quelle di lei.
Si ritrovò costretta a
respirare profondamente, Talia, tentando di reprimere tutto
ciò che il suo
corpo stava chiedendo a gran voce; sentiva ogni singolo muscolo
fremere,
impaziente di sfiorare il corpo statuario del biondo, le dita che
prudevano per
il desiderio impellente di sfiorare quella pelle calda e tonica, per la
voglia
insopprimibile d’immergersi in quei riccioli
biondi…le labbra, invece, le
labbra che lottavano per naufragare su quella bocca rossa, morbida, che
sapeva
di sogni.
Caleb accendeva in lei
desideri che non si era mai permessa di provare, che aveva sempre
imbrigliato
in un ferreo e rigido autocontrollo; era stata cresciuta secondo le
regole
degli elfi, nonostante fosse una mezzosangue, e sapeva bene che le
passioni
erano proibite e dissacrate come la più riprovevole
debolezza degli esseri
umani.
Eppure…eppure non
riusciva
a sentirsi in colpa, quando la voce di Caleb suonava note meravigliose
fra le
corde del suo cuore.
Non riusciva a trovare nulla, di sbagliato, nel desiderio e
nell’amore che sentiva crescere ogni giorno di più.
Non riusciva a convincersi
di essere nel torto, che quell’amore
potesse essere sbagliato; si sentiva rinata, felice come non era mai
stata in
settecento anni di vita, e sapeva che l’unica ragione della
sua gioia era lui.
-Non farmi certe proposte,
potrei anche accettarle.- mormorò, pensierosa, posando le
mani affusolate,
eleganti, sulle guance chiare ed appena ruvide di Caleb.
Gli occhioni celesti le
sorrisero, prim’ancora della sua bocca.
Le sorrisero, e Tallie
sentì il cuore accelerare più del normale,
smarrendosi in quei due pozzi
chiarissimi, limpidi, che parevano rubati al cielo.
Dobbiamo
lasciarvi soli, deduco…?
Quasi non avvertì il
pensiero divertito, flebile di Siria.
Quanto
sei perspicace, amica mia.
Non si accorse nemmeno
dell’assenza degli altri tre; si era scordata di qualsiasi
cosa che non fosse
Caleb nello stesso istante in cui il giovane mercenario
l’aveva tratta a sé, e
i loro sguardi si erano incrociati.
Sorrise, una punta di
malizia sulle labbra, accarezzando lievemente il profilo del volto di
Cal.
-La considero accettata,
allora.- fu il commento divertito del biondo, le mani calde, grandi e
forti,
che si posavano sui suoi fianchi snelli e la stringevano ancor
più contro di
sé.
Il calore del suo corpo la
investì in pieno, il suo profumo la stordì in un
istante; e non c’era più nulla
davvero, in quel momento, se non il tocco e lo sguardo penetrante del
suo
compagno.
-Assolutamente.-
mormorò,
ed in un solo sospiro annegò in quell’oceano di
sensazioni che aveva scoperto
di amare, immergendosi nel sapore delle labbra di lui, trascinandolo
con sé in
mare aperto.
Frustrata, la
Regina Susan scoccò l’ennesima freccia in
direzione del bersaglio consunto,
immediatamente seguita da una seconda, una terza, una quarta.
Quel piccolo campo
di addestramento, arrangiato in una radura poco lontana dalla cripta,
era
divenuto il suo personale rifugio; era il luogo dove poteva permettersi
di
sfogare quel suo animo all'apparenza così rigido e
calcolatore, ma che in
realtà era tremendamente fragile, dolce.
Fissava irata il
bersaglio, immaginando in alternanza il volto di Miraz e il proprio
cuore, così
poco incline ai sentimentalismi; non ci riusciva, era più
forte di lei. Doveva
valutare tutti i pro ed i contro, organizzare e controllare fino al
più piccolo
dettaglio ogni situazione, anche quelle emotive – senza
però grandi risultati,
notò, una smorfia frustrata che compariva sulle sue labbra
carnose.
Conclusione?
Si richiudeva a
riccio per la paura.
Mai nessuno era
riuscito a scalfirla così tanto da portare le sue guance ad
arrossarsi con un
solo sguardo, capace di confondere quei pensieri che vorticavano nella
sua
mente e mandando alle ortiche ogni logico proposito.
Fino a pochi giorni
prima.
Scoccò una freccia,
che in un sibilo rapidissimo andò a conficcarsi
perfettamente al centro del
bersaglio.
Ecco.
Aaron era riuscito
a fare lo stesso col suo cuore.
Centro
perfetto.
Le bastava pensarlo
o scorgerlo a camminare pacatamente chissà dove, per sentire
un insolito calore
sotto pelle; quando parlavano o si sfioravano accidentalmente, poi,
rischiava
seriamente l'autocombustione.
In quei momenti,
avrebbe volentieri torturato Lucy che, in disparte, era solita
lanciarle
sguardi e sorrisi di chi la sapeva lunga.
Piccola,
sadica peste.
-Dannazione.-
sibilò, preparando due frecce e scagliandole una dopo
l'altra: si conficcarono
accanto a quella precedente, con pochi millimetri di distanza.
Dovevano
prepararsi, programmare tutto prima della battaglia, ma Peter e
Shaylee, quanto
Caspian e Siria o Caleb e Talia, sembravano spariti nel nulla.
Così, però,
non
aiuto la mia concentrazione…
Il flusso di
pensieri fu interrotto da un rumore: un ramo spezzato che la fece
voltare di
scatto, la freccia regale incoccata, pronta per colpire.
Ma Sue sussultò,
quando i suoi occhi incontrarono quelli profondi di un Aaron
elegantemente
appoggiato al tronco di un abete.
Avvertì lo stomaco
contrarsi, le guance imporporarsi in un istante; Aaron la stava
guardando, i
chiarissimi occhi celesti appena socchiusi in sua direzione. I capelli
scarlatti era arruffati, contornavano il volto abbronzato con
un’eleganza
accuratamente studiata.
Le braccia erano
incrociate sul petto ampio, fasciato da una tunica di pelle scura, la
pesante
spada a due mani fissata nel fodero sulla schiena. Vedeva la pesante
elsa
lavorata fare capolino oltre le spalle nodose, un pugnale appeso alla
cintura.
Era bello, Aaron.
-Regine Susan.-
salutò lui, la voce pacata e un sorriso accennato sulle
labbra rosee,
accennando un inchino per poi avvicinarsi alla ragazza.
-Aaron…-
s’irrigidì, Sue, nascondendo il tumulto del
proprio cuore alla vista del
mercenario.
-Tutto bene? Sembri
stanca, provata.- abbozzò lui, fermandosi a circa un metro
dalla mora,
scrutando i suoi occhi tanto glaciali per il colore quanto –
lui lo sapeva –
caldi per l'anima delicata che racchiudevano.
-Ti sbagli; va
tutto bene.- mentì, senza fare una piega, ma Aaron non si
lasciò convincere,
accostandosi di altri due passi alla figura della giovane;
alzò una mano,
delicatamente, per scostarle una ciocca di capelli morbidi e lisci dal
viso
candido.
Susan, dal canto
suo, non poté evitarsi di arrossire e socchiudere gli
occhi, sospirando.
Aaron socchiuse
appena gli occhi, scrutando quel volto raffinato che fin troppo spesso
appariva
nei suoi pensieri; sulla pelle solitamente candida di Susan,
sotto
quegli stupefacenti occhi celesti, spiccavano due occhiaie che non lo
convincevano proprio del tutto.
-Lo so che non è
così. Ora riposa, farò in modo che niente turbi
il tuo sonno.- mormorò, piano,
sfiorando con la punta delle dita la guancia eburnea della
giovane
Regina.
La sua voce parve
ovattata e dolce, alle orecchie della ragazza; il respiro fresco e il
profumo
inebriante dell’affascinante mercenario la stordivano,
il volto
contratto ed angosciato che si distendeva a poco a poco.
-Non c'è tempo per
rilassarsi e pensare al proprio piacere.- mormorò la Regina,
affranta, la voce
che diveniva incerta.
Lo sbuffo del
mercenario si mischiò al vento lieve che soffiava tra le
foglie, tra i capelli
corti e infuocati di Aaron tanto quanto tra quelli lunghi e scuri di
Susan;
quella brezza pareva volerli spingere l’uno verso
l’altro, avvicinare quei due
cuori che palpitavano da troppo tempo in solitudine.
-Eppure gli altri
fanno l'esatto opposto. Perchè TU non puoi prendertelo, il
tempo che ti
spetta?- chiese lui, il tono convinto a sottolineare l'ingiustizia di
quella
decisione.
Lo aveva capito già
da tempo; Susan, la dolce Susan che riusciva a scorgere oltre
l’altezzosa
scorza della gelida Regina, non si sarebbe mai permessa una debolezza
tale da
renderla dipendente da un’altra persona.
Non avrebbe mai
permesso che il cuore offuscasse la sua vista, che le impedisse di
portare a
compimento il suo dovere.
Gli occhi celesti
penetrarono quelli altrettanto chiari della ragazza, scorgendo il
tumulto ben
celato dietro quella maschera compita.
Sue era
una Regina; e come tale, agiva.
-E' logico; loro se
lo prendono e io vi rinuncio. Una cosa in cambio di un'altra. Sono
disposta a
cedere tutto quello che possiedo affinchè possano avere
quell'amore che li ha
trovati e legati.- ma gli occhi della ragazza non concordavano con le
sue
parole; un velo di tristezza aveva racchiuso le sue meravigliose iridi,
un
tiepido rossore che le colorava le guance.
-Pensaci, Aaron…se
questa guerra non dovesse avere i risultati sperati... almeno saprei
che è
stato concesso loro tutto il tempo possibile. Io, invece, non saprei
che
farmene.- Sue dischiuse le palpebre, concentrando gli occhi chiari in
un punto
oltre la figura del ragazzo.
Si pentì dopo pochi
istanti delle parole che si era lasciata sfuggire, del sentimento che
per pochi
istanti aveva lasciato trapelare.
La
verità, Susan, è che hai paura.
Quel tempo non
sarebbe stato sprecato, se si fosse permessa di avvicinarsi ad Aaron.
Quel tempo non
sarebbe stato vano, se avesse ammesso con se stessa ciò che
quel giovane
mercenario aveva scatenato dentro di lei.
Eppure aveva così
tanta paura…
Lei non doveva, non
doveva permettersi debolezze.
Lei era una Regina,
lei aveva una guerra da vincere,
aveva una famiglia da proteggere.
Lei era Susan
la Dolce, ma ora più che mai
avrebbe desiderato essere soltanto…Sue.
-Ti basterebbe
qualcuno con cui poter vivere quel tempo, giusto?-
La domanda fu come
una secchiata di acqua gelida; Susan inchiodò lo sguardo
azzurissimo in quello
sorridente di lui e arrossì vistosamente, riuscendo comunque
a non fare una
piega.
-Susan…-
Doveva tentare.
Doveva cogliere quell’istante
di cedimento.
Tutto ciò che
desiderava era lì, ad un soffio dal suo viso, gli occhi
celesti che si spostavano
appena per non incrociare il suo sguardo.
-Aaron… non
può
funzionare.- scosse la testa, Sue, con voce sempre più
insicura.
-E perchè?- chiese
il rosso sorpreso e curioso al contempo, un sopracciglio inarcato.
Susan si lasciò
sfuggire un sorriso mesto, triste, un sorriso privo di gioia che non
raggiunse
gli occhi.
-Ho 1300 anni in
più di te.- gli ricordò, piano, arrossendo come
una bambina.
Ma Aaron si lasciò
sfuggire uno sbuffo divertito, la mano che non si spostava dalla sua
guancia,
dal suo volto.
-E allora? Li porti
bene.- commentò, ironico, strappandole un sorriso che spinse
il suo cuore ad
accelerare bruscamente.
In quel momento,
Aaron prese una decisione.
Doveva
agire.
Le mani sicure dell'uomo
andarono a racchiuderle il viso, portandolo più vicino al
proprio.
Il profumo di Sue
era meraviglioso, fresco, suadente, irresistibile; avvertì i
pensieri
vacillare, quando avvertì la pelle lattea e soffice scorrere
delicata sotto le
sue dita, gli occhi celesti che sostenevano i suoi, figli dello stesso
cielo.
…
-SUSAN!- la Regina
sobbalzò, allontanandosi dal corpo del suo… interlocutore
come se si fosse scottata, lasciandolo a metà del tentativo.
-
Oh, sì, pensò
Aaron, qualcuno avrebbe dovuto pagare
quell'interruzione. Un Supremo Imbecille dai capelli biondi e dalle
manie di
protagonismo.
-
-Devo andare…-
borbottò dispiaciuta la mora, lo sguardo colpevole che
sbirciava la reazione
del compagno d'armi; il cuore batteva forsennato nel suo petto, uno
strano
groviglio di emozioni che le si attorcigliava nel ventre.
Stava
per baciarla.
Aveva il respiro
corto, affannato, sebbene lui non l’avesse nemmeno sfiorata;
ma quello
scalpitio nel petto, i pensieri confusi e per una volta tutto
fuorché
razionali, le guance che arrossivano…
Aaron si limitò ad
annuire, affatto contento, guardandola voltarsi e fare il primo passo.
Il primo dei passi
che l’avrebbero allontanata ancora.
Il primo, dei passi
che avrebbero segnato una nuova distanza fra loro.
-
Ma la veste di
Susan ondeggiò appena, quando le sue gambe si mossero per
tornare da Aaron. E
baciarlo.
-
Fu un tocco casto,
senza pretese, eppure meravigliosamente intenso: le labbra si
modellarono le
une sulle altre, le dita affusolare della giovane che affondavano in
quei crini
rossi e sbarazzini, le braccia di lui a cingerle possessivamente la
vita
sinuosa, premendo i corpi l'uno contro l'altro.
Fu un bacio lieve,
ma che cancellò dalla mente di Susan ogni pensiero che non
fosse Aaron; perché
il mondo convergeva lì, fra le braccia forti e sicure del
rosso, fra quei
capelli scarlatti inaspettatamente segosi, in quegli occhi azzurri che
parevano
rubati al cielo.
Si separarono dopo
pochi, ma eterni istanti.
Susan sorrise,
rivolgendogli uno sguardo caldo, morbido, finalmente svelato; uno
sguardo che
fece battere furiosamente il cuore del mercenario.
E
poi
semplicemente, la Regina si voltò, scomparendo poi nella
fitta vegetazione con
il cuore che le batteva forte, e qualcosa che sbocciava su quelle
labbra che
soltanto lui aveva potuto sfiorare. -
Adesso
che so con
chi viverlo, Aaron… beh, magari un po' di tempo posso
concedermelo.
E
i giorni passavano, a
Narnia; il ponte dei telmarini, a quanto riferivano le sentinelle,
aveva quasi
raggiunto l’altra sponda. Presto avrebbero dovuto combattere,
presto la guerra
avrebbe distrutto quel ritaglio di felicità che ognuno di
loro aveva strappato
alla realtà; ma Peter non voleva pensarci, non voleva altro
che perdersi
un’altra volta nel profumo della sua naiade.
-Shay!-
la ninfa sobbalzò,
allontanandosi immediatamente dall’abbraccio di Peter.
Entrambi
alzarono lo
sguardo, sorpresi, vedendo un’indefinita macchia scura
muoversi troppo
rapidamente fra i rami degli alberi della foresta; qualche attimo
più tardi, la
figura di Talia prese forma e concretezza davanti ai loro occhi
stupiti, le
iridi scure animate dal tormento. -Staccati dal biondastro e dammi
retta!-
esclamò, tanto rapidamente che le sue parole furono chiare
soltanto qualche
attimo più tardi.
-Io
non mi devo staccare
da nessuno, ti sto dando retta!- replicò la ninfa, divenendo
paonazza; ancora non
riusciva ad abituarsi all’assenza di tatto di Talia, nei
confronti del suo
rapporto con Peter.
-Sì,
certo.- fu la
risposta sbrigativa della mezzelfa, che pareva troppo agitata per
riuscire a
restare immobile per più di qualche secondo. Fu quel
dettaglio, a risvegliare
ogni istinto nel biondo; ma cercare di carpire qualcosa dal volto di
Talia era
impossibile, perché soltanto pochissimi riuscivano ad
arrivare oltre quegli
impenetrabili occhi scuri.
-C’è
un problema,
seguimi.- la voce della giovane elfa risuonò fra gli alberi
appena dopo la sua
sparizione; echeggiò per qualche attimo fra loro, che si
scambiarono
un’occhiata perplessa e lievemente preoccupata.
Ad
indicargli la via,
soltanto il movimento delle fronde scostate al suo passaggio.
-Anche
tu, biondo!- la
sentirono gridare; ed istintivamente si mossero insieme, attraversando
rapidi
il tratto di foresta che Talia aveva segnato, seguendo il percorso fino
a
ritrovarsi in una piccola radura un poco discosta dal resto
dell’accampamento.
C’erano
tutti, là; c’era
Siria, Caspian, c’era Caleb, c’era
l’irrequieta figura di Talia ora apparsa
alle spalle del biondo mercenario, c’era Aaron.
-Che
cosa succede?- Peter
si rivolse istintivamente a Siria; cupa, avvolta dal suo mantello del
colore
dell’inchiostro, era rigidamente appollaiata su un ramo basso
a poca distanza
da Caspian, scuro in volto quanto lei.
La
raminga aveva in fretta
guadagnato la sua fiducia, oltre che la sua stima; lo sapeva bene, di
Siria poteva
fidarsi ciecamente… la raminga, gliel’aveva
dimostrato più di una volta, non
l’avrebbe mai tradito.
La
rossa spostò
repentinamente i gelidi occhi chiari su di lui, scatenandogli soltanto
un lieve
brivido che si tramutò presto in pelle d’oca.
Una
volta imparato a
conoscerla, lo sguardo freddo e tagliente della ragazza aveva smesso di
preoccuparlo; o se non altro, lo aveva indotto a pensare che il
pericolo non
provenisse certo da lei.
-Dobbiamo
andare oltre il
fiume.- fu la sua rapida, serafica risposta.
-Non
è una buona idea.- fu
il commento palesemente frustrato di Caspian, che le rivolse
un’occhiata
inesplicabile che a Peter parve soltanto lo sguardo di un uomo
innamorato e
disperato al tempo stesso.
Non
poteva che essere
d’accordo con lui, si disse, scrutando i due con un cipiglio
sempre più
aggrottato in viso; oltre il fiume vi erano orde di telmarini, e
inoltrarsi in
quelle zone era poco meno che una pazzia.
Vide
la rossa cedere
appena, un’ombra scura adombrarle il volto altrimenti
imperturbabile.
Aveva
imparato presto,
Peter, che l’unico in grado di far ragionare Siria
– volente o nolente – era
proprio il principe. Ciò che li legava era troppo forte, per
mettere
l’insolitamente irriducibile raminga davvero in condizione di
non ascoltare il
suo compagno.
-Caspian,
non–
-Non
dovete andare.
Sarebbe un suicidio, e sono stanco di saperti in pericolo.- la
interruppe
bruscamente, scoccandole un’occhiata di fuoco che
riuscì a zittirla
definitivamente, gli occhi di cobalto che si abbassavano, colpevoli.
Perplesso,
Peter lanciò
un’occhiata a Talia; la mezzelfa pareva priva del suo solito
autocontrollo, fremente
in piedi accanto ad un insolitamente serio Caleb.
Le
iridi scure saettavano
rapidissime da un volto all’altro, le labbra erano serrate,
livide; le dita
minute torcevano una ciocca dei corti capelli arruffati lasciati liberi
sulle
spalle, mentre il suo stesso corpo flessuoso pareva fremere di
un’attesa che la
stava logorando.
-Non
posso ignorare una
richiesta d’aiuto.- furono le sue –
incomprensibili, per Peter – parole,
rivolte ad un Caspian che non si trattenne dal rivolgerle
un’occhiata molto
simile a quella che aveva zittito Siria.
-Non
puoi neanche andare a
morire. Né tu, né Siria, né Shaylee.-
nel sentirlo pronunciare il nome della
naiade, Peter non riuscì a non sobbalzare; i suoi occhi
celesti corsero istintivamente
al volto della sua compagna, che al suo fianco si era fatta sempre
più pallida
da quando avevano raggiunto gli altri, il volto più
contratto ad ogni pensiero
con cui Talia la stava sicuramente aggiornando.
Non
puoi andare a morire.
A
cosa si riferiva
Caspian?
Perché
improvvisamente
Shaylee sembrava preoccupata, angosciata quanto e forse più
delle due compagne?
E
perché lui non capiva
assolutamente nulla di ciò che stava succedendo?
-Qualcuno
si degna di
spiegarmi qualcosa?- sbottò, dopo un’altra
manciata d’incomprensibili secondi,
spezzando quella stasi insopportabile che pareva aver cristallizzato
tutti i
presenti.
Fu
Shay, dopo un breve
sospiro, a posare una manina soffice sul suo braccio e a rivolgersi
finalmente
a lui, dopo un breve cenno di una Talia sempre più
impaziente.
-Talia
avverte la foresta
come io sento i fiumi.- gli spiegò, in breve, senza dargli
il tempo di
assorbire quella novità; ma Peter non riuscì a
trattenersi dal lanciare
un’occhiata sorpresa a Talia, che teneva i solitamente
imperturbabili occhi
scuri fissi sul volto distante e cupo di Caleb.
Talia
avverte la foresta come io sento i fiumi.
Non
si era mai accorto di
una particolarità del genere, in Talia. Aveva pensato che la
comunione con le
foreste, tanto spiccata negli elfi purosangue, fosse in lei meno
radicata…ma
evidentemente aveva commesso un errore di giudizio, su di lei.
Non
il primo.
-C’è
una creatura…-
continuò Shay, concitata, gli occhi dorati che si spostavano
rapidamente da un
volto all’altro.
-Una
driade.- la corresse
bruscamente la mezzelfa, senza guardarla.
-…una
driade, in pericolo.
Ha chiesto aiuto alla foresta, e la foresta si è rivolta a
Talia.- spiegò Shay,
rapidamente, i pensieri confusi che si rincorrevano nelle iridi dorate;
ascoltava la voce di Siria, quella rapidissima di Talia, e faticava a
mantenere
il controllo della propria mente.
-Veniamo
con voi.- fu l’affermazione
sicura di Caspian, gli occhi neri che si fissavano con un misto di
sfida e
preoccupazione sul volto turbato di Siria; pareva volerle lanciare una
scommessa, pareva voler vedere se la rossa avrebbe ribattuto a
quell’affermazione.
Ma
fu Talia,
inaspettatamente, a replicare.
-Sarebbe
la mossa più
stupida che potreste fare.- affermò, sicura, apparendo con
un gesto quasi
invisibile di fronte al principe.
-Perché
non sappiamo
difenderci, vero?- il sarcasmo velò lo sguardo di Caspian,
che non risparmiò un’occhiataccia
di rimprovero nemmeno all’agitata mezzelfa.
Ma
Talia era troppo
ansiosa per dargli retta, e rapidamente gli elencò tutti i
motivi per cui la
loro presenza sarebbe stata superflua.
-Io
sono per metà un’elfa.
Schivo anche le frecce, e sono più abile di qualsiasi
arciere telmarino.- in
una flessione impossibile apparve accanto all’amica dai
capelli rossi, che non
pareva mostrare nemmeno un’ombra di sorpresa nel vederla
muovere a quel modo.
-Siria è una guerriera eccellente, e questo lo sapete tutti
quanti.-
La
raminga alzò
repentinamente gli occhi, incrociando lo sguardo pieno di paura della
compagna
d’armi.
Sir,
ti prego. Ho bisogno di te.
Non
l’avrebbe lasciata
andare da sola.
Non
le avrebbe permesso di
correre in aiuto di quella driade, non senza di lei; non ricordava
nemmeno più
l’ultima volta in cui una si era mossa senza
l’altra, l’ultima avventura
vissuta separatamente dalla compagna.
Non
ti lascio sola.
-E
tu non ti muovi, senza
di me.- affermò, la voce sicura soltanto su quella frase, su
quella solida
certezza; non avrebbe lasciato sola Talia, non le avrebbe permesso di
avventurarsi in terra nemica senza di lei.
Vide
la gratitudine
apparire nei suoi occhi, prima che entrambe si voltassero a guardare
Shaylee.
Non
posso chiedertelo, Shay.
Shaylee
era piccina, era
minuta, pareva una fata; chiederle di unirsi a loro sarebbe stato un
gesto
egoista, un gesto avventato e pericoloso. Talia non le avrebbe permesso
di
seguirle, se fosse dipeso soltanto da lei… non riusciva a
non avvertire l’ansia
premere sul suo sterno, mozzandole il respiro, al pensiero di mettere
in
pericolo la tanto apparentemente indifesa ninfa.
Siria
non era entusiasta
dell’idea; lei e Talia erano abituate al pericolo e alle
battaglie, ma non poteva
pensare di vedere l’amica naiade alle prese con uno scontro,
in un pericolo
mortale…soltanto l’idea le stringeva il cuore in
una morsa, una tenaglia
dolorosa che pareva voler frantumarle il respiro.
Istintivamente,
entrambe
volsero lo sguardo verso Peter; Peter, che nonostante stesse accadendo
tutto troppo
in fretta tentava di non perdersi nei discorsi, che per una volta si
trovò,
senza esitazione, concorde con entrambe le mercenarie.
L’amicizia,
l’amore che li
legavano tutti e tre a Shaylee…
-E
io posso curarla.- la
ninfa ignorò gli sguardi delle due amiche, voltandosi verso
Peter. -Lo sai che
posso farlo.- affermò, sicura.
Non
avrebbe permesso a
quelle due scriteriate di allontanarsi senza di lei.
Era
l’unica, fra le tre,
ad avere un minimo di buonsenso; Talia era troppo coinvolta, Siria
aveva la
brutta abitudine di combattere fino allo stremo, e la paura di non
vederle
tornare era troppo grande.
Non
le avrebbe lasciate
andare.
Lei
poteva curarle, poteva
guarirle; si stava esercitando, pian piano, per controllare quel dono
che le
era stato fatto dal Guardiano dei Fiumi, quel potere dimenticato che in
lei si
stava sviluppando sempre di più.
Ma
Peter scosse la testa,
incredulo, guardandola come se non la riconoscesse più.
-Non
vorrai andare
davvero?- le chiese, allibito, voltandosi verso Siria in cerca di
sostegno.
-Shaylee…-
mormorò la
rossa, più incline che mai a concordare con il biondo.
Ma
Shaylee la interruppe bruscamente,
serrando i piccoli pugni e scrutandoli entrambi con un cipiglio
più determinato
che mai.
-So
che è pericoloso, non
ho bisogno che nessuno dei due me lo ricordi.- affermò,
gelida; e Peter,
dinanzi a quell’esclamazione, non poté che tacere.
Ma
qualcun altro, al
contrario, pareva sull’orlo di esplodere.
-È
una follia!- sbottò
Caspian, furibondo, voltandosi verso Siria con la paura e la rabbia
negli occhi
scuri, il cuore in tumulto, l’animo che si ribellava a quella
decisione che gli
pareva assolutamente stupida.
La
raminga balzò giù dal
ramo, respirando profondamente e socchiudendo gli
occhi, sofferente.
Aveva
preso la sua
decisione.
Si
era messa contro
Caspian.
Non
avrebbe ritrattato,
non si sarebbe arresa; Talia e Shaylee erano state a lungo tutto il suo
mondo,
ed erano, tuttora, due fra le poche persone per cui Siria avrebbe dato
la vita
senza esitazione.
Ma
la rabbia sul volto di
Caspian riuscì a farla tremare, le iridi blu che si
riempivano di un terrore del
tutto nuovo.
Non
voleva scontrarsi con
lui.
Non
poteva.
Tutto
il suo essere si
ribellava a quella scelta, il suo cuore ed il suo animo lottavano per
farla
cedere, dinanzi al volto stravolto dalla paura e
dall’esasperazione del suo
principe.
Caspian
lo vide; vide quell’appiglio,
quella debolezza, vide l’angoscia dipingersi sul volto della
donna che amava.
Non
poteva permetterle di
andarsene.
Era
stanco di vederla
rischiare la vita.
Era
stanco di non poterla
proteggere, era stanco di vederla ferita e di sapere che lui non era al suo fianco, che non
era riuscito a salvarla, che…
La
prese per le spalle,
bruscamente, ignorando l’occhiata gelida che Aaron gli
rivolse.
Tutta
la sua attenzione,
tutto il suo mondo, convergevano lì; lì, in
quegli occhi spaventati del colore
dell’oceano in tempesta.
-Tu
non sei un’elfa! Shay
e Talia possono sparire con un niente, ma tu? Se ti prendono? Che cosa
faccio
io se ti prendono? Hai una minima idea
di quello che possono farti?- sbottò, per la prima volta
ammettendo ad alta
voce il sentimento che provava, la paura di perderla ancora che lo
dilaniava da
dentro, che marciva nel suo petto come un cancro.
Ma
la vide sussultare, gli
occhi che sgranavano, le braccia che salivano a proteggerle il ventre.
Fu
Aaron, ad intervenire.
Fu
Aaron, a scostare
appena Caspian da lei.
-Ce
l’ha. Anche troppo
chiara.- gli disse soltanto, ammonendolo con un’occhiata
tagliente di non
tirare troppo la corda; il terrore quasi animalesco apparso nelle iridi
della
sorella era stato più che sufficiente, per spingerlo a
proteggerla dai troppi
incubi che ancora la tormentavano.
-Io
non le lascio andare
da sole.- furono le parole tremanti di Siria, gli occhi che nuovamente
si
alzavano sul volto di Caspian; angosciati, colpevoli, pieni di tutto
ciò che
avrebbe desiderato dirgli, ma decisi.
-E
io non lascio andare
te.- fu la replica determinata del principe, che per una volta
ignorò Aaron e i
suoi avvertimenti, avvicinandosi di nuovo a lei.
-So
difendermi da sola.-
ma Siria non pareva convinta nemmeno delle sue stesse parole, nemmeno
della sua
stessa spada.
Caspian
rovesciò gli occhi
al cielo, ormai disperato.
-E
se ti succedesse
qualcosa? Mi vuoi dire che cosa farei, io, se ti succedesse qualcosa?-
le prese
il volto fra le mani, avvicinandolo al proprio e mormorando quelle
parole in un
sussurro, gli occhi neri che si riempivano di paura.
Nonostante
tutto, Siria sentì
le guance accendersi, il cuore palpitarle nel petto.
Era
la prima volta che
Caspian le rivolgeva parole come quelle, parole che vibravano di un
amore
sempre più forte, di un amore che pareva contrario a restare
nascosto lì, fra
le sue labbra sottili.
-Non
succederà nulla.
Torneremo sane e salve.- tentò di rassicurarlo, le mani che
tremarono quando le
posò sulla gola del suo principe.
C’erano
soltanto loro, in
quel momento.
C’erano
soltanto i loro
occhi, persi in quelli dell’altro.
C’era
soltanto la loro
paura, ed un amore non detto che aleggiava nei loro respiri.
-Promettimelo.-
le chiese
soltanto, arrendendosi a se stesso e stringendola improvvisamente a
sé, le dita
che s’immergevano in quel mare scarlatto quasi con rabbia,
tentando di trattenerla
fra le sue braccia – tentando di trattenerla con
sé, al sicuro.
-Torna
da me.- e fu su
quelle ultime parole che la voce del principe si ruppe, il viso
nascosto fra i
crini rossi della sua compagna; tremava, Siria, stringendosi a lui come
se
fosse l’ultima volta.
-Promesso.-
-
-
-Lo
sai che devo andare.-
Talia tentò di respirare, di calmare il battito forsennato
del suo cuore; il
richiamo della foresta gridava, in lei, implorava disperatamente
l’aiuto dell’unica
che sapesse ascoltare, la scongiurava di muoversi e di salvare quella
figlia in
pericolo.
Sentiva
gli alberi
sussurrarle le loro preghiere, sentiva la terra pulsare sotto i suoi
piedi
direttamente nel suo corpo, scuotendola di terrore.
Quell’ansia
si rifletteva
in lei, quella paura si rifletteva nei suoi occhi più cupi e
lontani che mai.
Ma
c’era ancora qualcosa,
a trattenerla.
C’era
ancora qualcuno.
Gli
occhi azzurri di Caleb
si socchiusero appena, sofferenti; per la prima volta, non distinse
quella
scintilla allegra e maliziosa in quegli sprazzi di cielo, scuri come
non mai.
-So
che senti di doverlo
fare.- la corresse, piano, i muscoli del collo tesi fino
all’inverosimile.
Conosceva
Talia, conosceva
l’affinità che provava nei confronti della foresta
e delle sue creature; sapeva
che niente l’avrebbe fermata, ma non riusciva a non sentire
il cuore che
scalpitava disperato, terrorizzato.
A
poco serviva ricordarsi
che Talia era forte, che Talia era veloce.
A
poco serviva ripetersi
che non l’aveva mai vista ferita, che nessun essere umano era
riuscito a
sconfiggerla.
A
poco serviva, perché la
nube di terrore e paura che aveva riempito i suoi polmoni lo
intossicava, lo
rendeva incerto persino delle sicurezze che aveva sempre avuto.
-Cal…-
la voce di Talia si
addolcì, pronunciando il suo nome, implorante. Ma il biondo
dovette distogliere
lo sguardo, perché a quegli occhi non poteva resistere, a
quegli occhi non
poteva negare niente.
-Se
devo fingere di non
essere preoccupato, dimmelo prima. Almeno mi preparo.-
mormorò, la voce
arrochita dalla paura, distante.
E
Talia abbassò il capo,
sconfitta, chiudendo gli occhi per non mostrare quanto il doversi
allontanare
da lui la terrorizzasse.
Non
era pronta.
Non
era pronta per
allontanarsi da lui.
Non
era pronta per
affrontare quel viaggio, da sola.
…non
era pronta,
soprattutto, a dirgli addio.
-No,
non devi.- mormorò
soltanto, guardandolo ancora quando il biondo tornò a
voltarsi verso di lei,
avvicinandosi un poco.
-Mi
dimentico sempre che
tu sei anche più forte di me, sai?- le disse, un mezzo
sorriso senza gioia che
gli stirava le labbra. -Non riesco a non vederti così
piccola, così fragile…-
-Caleb…-
il giovane scosse
la testa, zittendola.
-Vai.
Io mi fido di te, mi
fido di come la pensi tu.- quanto gli fosse costato, ammetterlo,
soltanto Caleb
lo sapeva; significava lasciarla andare, significava rischiare che le
succedesse qualcosa, significava…significava fidarsi
di lei.
La
trasse a sé,
abbracciandola con forza, chiudendo gli occhi nei suoi capelli
nerissimi. -Ma
ho paura lo stesso.- rivelò, a bassa voce; e la
sentì sussultare, sorpresa da
quelle parole che da lui, proprio non si sarebbe aspettata.
-Tu
non hai mai paura di
niente, Cal.- la voce di Tallie fremette, su
quell’osservazione; non lo aveva
mai visto spaventato, in nessuna occasione la paura aveva preso il
sopravvento
su Caleb…era sempre stato quello forte, Cal, era sempre
stato quello più
coraggioso fra loro.
-Adesso
ho paura. Ho paura
che ti succeda qualcosa, mentre sei lontana da me.- la sua
sincerità era
disarmante, e Talia dovette aggrapparsi alle sue spalle per non
crollare,
stringendosi forte al suo petto ampio e chiudendo gli occhi per un
istante,
sofferente.
-Andrà
tutto bene.-
-Mi
fido di te.-
-
-
-Non
sei costretta ad
andare.- Shaylee assottigliò lo sguardo, distogliendolo
dalle amiche che una
dopo l’altra si separavano dai loro compagni; era
terribilmente doloroso vederle
soffrire, vedere Caspian e Caleb in quello stato – dilaniati
dalla paura e dal
senso d’impotenza, dal terrore, dalla pessima impressione che
quella potesse
essere l’ultima volta che le stringevano a sé.
Aveva
una pessima
sensazione, Shaylee, nei confronti di quella spedizione.
Sapeva
che sarebbe
successo qualcosa, sapeva che qualcosa sarebbe andato storto; per quel
motivo
lei doveva esserci,
perché non poteva
lasciarle sole, perché non poteva nemmeno pensare di essere
lontana dalle
uniche vere amiche che avesse mai
avuto.
-Sono
una Naiade
guerriera, è il mio compito aiutare e…-
cominciò, ma le sue parole si persero
quando Peter semplicemente la trasse a sé; la strinse al
petto senza lasciarle
possibilità di replica, cingendole la schiena esile con le
braccia forti,
abbassando le palpebre su quelle iridi azzurre e piene di un tumulto
che
lottava per sopraffarlo.
-Lo
so.- le sussurrò
soltanto, sentendola fremere, rilassarsi un poco nel suo abbraccio.
Avrebbe
voluto tenerla fra
le braccia per sempre, avrebbe voluto proteggerla per sempre.
Lasciarla
andare, separarsi
da lei, era quanto di più doloroso gli fosse mai capitato
d’affrontare; ma
doveva fidarsi di Siria, doveva fidarsi di Talia, perché
l’affetto che aveva
visto nei loro occhi avrebbe protetto la sua amata fino allo stremo.
Rimase
in silenzio a
lungo, semplicemente stringendola a sé, sentendola
appoggiarsi a lui e posare
le affusolate manine sulla sua schiena.
Non
le sarebbe successo niente.
Non
le sarebbe successo niente.
Sarebbe
tornata sana e salva.
-Ti
ricordi il pugnale che
ti ho dato?- le chiese, dopo una manciata d’istanti, e la
sentì annuire; il
pugnale intarsiato brillò appena, assicurato alla vita della
naiade da una
cinta di pelle intrecciata.
Peter
alzò il
volto, aprendo gli occhi dopo quella che gli parve
un’eternità; Shaylee
sembrava così tranquilla, così
sicura…per un istante, per un solo istante,
quella calma parve infondersi anche a lui.
Prese
fiato, senza
scostare lo sguardo da quei pozzi dorati che lo guardavano decisi,
splendenti,
più belli e vividi che mai.
-Non
avere paura di
usarlo, se serve. E non usare la magia se non è
indispensabile, non…ti
metterebbe in pericolo.- mormorò, e riuscì
persino a sorridere dell’espressione
apparsa sul volto di Shay; un misto di dolcezza ed esasperazione, le
dita
sottili che salivano ad accarezzargli una guancia.
-Non
sarò sola, Peter.-
gli ricordò, la voce cristallina, il respiro fresco e dolce.
Ma
Peter scosse la
testa, alzando il viso e lasciando un bacio delicato sulla sua fronte.
-Non
ci sarò io a
proteggerti.-
-
-
I
saluti erano fatti, i
convenevoli erano terminati; un rapido controllo delle armi delle due
mercenarie, e furono pronte per partire.
Aaron
non disse niente,
limitandosi a guardare la sorella avvolgersi in quel mantello nero,
nero come
la notte; la vide calcare il cappuccio sui capelli scarlatti, troppo
vividi,
troppo accesi per permetterle di sparire nell’ombra.
Non
le disse nulla, Siria
non si rivolse a lui; ma quando i loro sguardi
s’incrociarono, tutto quanto
passò fra i due fratelli, tutto ciò che ad alta
voce non avevano mai ammesso.
Stai
attenta.
Non
ho paura.
Stai
attenta lo stesso.
Non
era mai riuscito a
fermarla, mai.
Non
era mai riuscito a
proteggerla.
Siria
portava il nome
degli Erranti per un motivo ben preciso, un motivo che era diventato
sinonimo
stesso della sua essenza; non era capace di restare nello stesso luogo
troppo a
lungo, non era capace di fermare il suo pellegrinaggio alla ricerca di
se
stessa.
La
conosceva, si fidava di
lei, sapeva che Talia gliel’avrebbe riportata a casa sana e
salva; e le
sorrise, dandole sicurezza, un sorriso caldo e pieno
d’affetto che riuscì a
scaldarla dentro.
Aaron
si fidava di lei.
Si
fidava di lei; e per Siria, era tutto ciò che
c’era d’importante al
mondo.
-Siria.-
la sorprese, la
voce di Peter; si voltò a guardare il biondo, fermandosi un
istante prima di
arrampicarsi su di un albero, perplessa.
Peter
sembrava combattuto,
sembrava preda di un penoso conflitto interiore; ma per una volta, Sir
non
riuscì a scorgere altro che preoccupazione nelle iridi
azzurre del Re Supremo
di Narnia.
-Te
la riporterò indietro
sana e salva.- disse soltanto, rivolgendogli un buffo sorriso incerto
prima di
balzare fra i rami, agile quanto Tallie.
-
-
Peter
guardò Shaylee
svanire nel torrente, Siria e Talia confondersi in un istante nel folto
cupo e
minaccioso delle fronde della foresta.
Sapeva
che le due
mercenarie erano guerriere formidabili, che insieme erano
un’accoppiata quasi
invincibile; e sapeva che entrambe avrebbero fatto di tutto, per
proteggere
l’amica a cui tanto erano legate.
Ma
scorgendo con la coda
dell’occhio l’espressione angosciata di Caspian e
di Caleb, probabilmente
riflessi di ciò che vigeva sul suo volto, non
riuscì ad evitare la morsa che
attanagliò con troppa facilità il suo stomaco,
dandogli la nausea.
Qualcosa
sarebbe andato storto.
Sospirò, senza
capire appieno a cosa fosse dovuta tanta preoccupazione.
Shay
era al sicuro, se si
fosse trovata in pericolo sarebbe semplicemente scomparsa, diventando
acqua di
fiume – lui stesso l’aveva vista colpita da una
pesante ascia d’acciaio, una
volta mutata nella sua forma originaria, e non le aveva provocato un
graffio.
Tallie
era rapidissima;
non era un eufemismo la sua sicurezza di poter schivare le frecce
nemiche,
Peter l’aveva vista evitare una ad una persino le armi di
Susan, più frustrata
che mai per tutti quei colpi a vuoto. Era una mezzelfa, era
più forte delle
altre due, era un’arciera abilissima: era al sicuro, quanto e
forse più di
Shaylee.
Sospirò
di nuovo, quando incrociando
lo sguardo disperato di Caspian lo stesso pensiero passò
tanto nella sua mente
quanto in quella del principe.
Alzò
gli occhi verso il
nero della foresta, il rosso dei capelli di Siria ancora impresso sulla
retina.
Non
poteva più sentirlo,
ne era certo. Quel sussurro lo avrebbe udito soltanto lui ed infine,
forse,
sarebbe stata la scelta più giusta.
-Vedi
di tornare anche tu,
sana e salva.-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
-
My
Space:
....sì,
non ditemelo.
Sono
in ritardo, in un ritardo mostruoso: più di un mese.
Però
mi faccio un pò perdonare, con questo capitolo?
Sono
29 pagine, preludio del ritorno ad un genere che negli ultimi
cinque/sei capitoli m'è mancato terribilmente. Aspettatevi
bagni di sangue, insomma xD
Ho
messo in pratica il sistema di risposta alle recensioni; spero di aver
risposto a tutti quanti, così come spero che non vogliate
linciarmi per questo ritardo immenso ^^''
Ho
avuto un periodo un pò incasinato. Un pò tanto
incasinato.
Ma
ora, eccomi qua xD
Giustissimi
CREDITS vanno alla Fla, che ha scritto la parte di Aaron e Susan; io ho
aggiunto solo qualche descrizione qui e là :)
Consolatevi,
da qui in poi è tutta discesa; è quasi tutto
scritto xD
Il
rombo cupo del fiume le
accolse nel buio della notte, facendo rabbrividire la pelle chiara di
Siria.
I
suoi occhi, fendettero
facilmente l’oscurità, distinguendo la spuma
bianca dell’acqua riverberare
appena, le rocce luccicare di onde che violentemente vi
s’abbattevano in
continuazione, inarrestabili.
Non
era una bella situazione.
Il
ponte dei telmarini era
più a valle, dove il fiume si allargava e si chetava; ma
lì, più vicine alla
fonte e ai monti che discendevano lentamente verso la pianura,
modellandosi in
colline ondulate prima di gettarsi nelle praterie, il grande fiume era
stretto
e impetuoso, impossibile da valicare.
O
almeno, impossibile per chi non
potesse contare
sull’aiuto di una Naiade.
Siria
si guardò intorno a
lungo, mentre Talia sfrecciava intorno a lei in un confuso contorno
quasi
impossibile da definire, il volto sfocato ed ansioso. Era agitata, la
sua
amica; per la prima volta da tanto tempo, Siria si sentiva la
più pacata, la
più attenta e prudente, fra le due.
Non
aveva una bella sensazione.
Era
rimasta zitta, diverse
ore prima, quando Caspian si era infuriato con lei e con Talia; ma il
suo cuore
aveva ruggito l’approvazione alle parole del principe, e il
suo istinto non
poteva che concordare con lui.
Talia
forse non poteva vederlo,
ma erano in un pericolo più grande di quanto potesse
immaginare.
Dalla
sponda lontana del
fiume, fino ai confini del mare e delle montagne, si stendeva
incontrastato il
dominio che Telmar aveva imposto su Narnia; a Siria parve ironico,
dopotutto, ritrovarsi
a voler penetrare la terra telmarina soltanto in tre.
Talia
balzò a terra prima
di lei, impaziente, agitata, stravolta; il dolore che pulsava fra i
suoi
pensieri era quello di una creatura sofferente, torturata,
atterrita… non
riusciva a restare calma, a pensare razionalmente a quello che stava
facendo,
all’impresa in cui aveva trascinato le due compagne.
Sapeva
che Siria non era
entusiasta della sua decisione, che l’aveva appoggiata
soltanto perché non le
avrebbe mai permesso di andare da sola; sapeva che Shaylee si era unita
a loro
per proteggerle, per impedire che ancora una volta rischiassero la
vita, perché fra le tre era sicuramente la più
coscienziosa.
Sapeva
che stavano per
mettersi nei guai, in guai enormi e pericolosi; ma non poteva ignorare
quel
grido straziante, quella disperata richiesta d’aiuto che
echeggiava ancora nel
suo petto.
Shaylee?,
chiamò, il pensiero basso e concitato che
echeggiava nelle acque impetuose del fiume.
Parlare
era inutile; la
comunione dei loro pensieri doveva essere totale, in quel momento, per
permettere a tutt’e tre di difendersi a vicenda e di
proteggere le altre.
Sfiorate
l’acqua. Basterà questo.
La
voce di Shaylee le
raggiunse da lontano, eterea e vellutata come una carezza.
Talia
e Siria si
scambiarono uno sguardo perplesso, poco convinto; il fiume pareva
più torbido
ed impetuoso che mai, una tempesta di flutti e correnti capaci di
trascinare
chiunque nella sua furia…
La
rossa raggiunse l’amica
sul greto dell’acqua, il mantello calcato sui capelli
scarlatti a velare quel
colore capace d’illuminare la notte.
Sei
sicura di poterlo fare?
Siria
poté quasi
distinguere il sorriso di Shaylee schiudersi fra i suoi pensieri, a
quella
domanda esitante e decisamente poco convinta.
Fidati.
E
Siria si lasciò
semplicemente sfuggire un sospiro, serrando gli occhi quando
avvertì il freddo
delle spire d’acqua che sfioravano la sua pelle e la
trascinavano a sé.
.
.
Talia
scosse la testa,
cercando di riordinare i pensieri che le correnti del fiume parevano
aver
gettato nel caos più assurdo.
Shaylee
le aveva portate
con sé, sfiorandole e facendo sì che il fiume le
accettasse così come accettava
la sua presenza.
Siria
non pareva molto
contenta di quella scelta, osservò; la sua amica stava
nervosamente sfregando
le dita ghiacciate sulla pelle chiara, dove ancora avvertiva la
consistenza dell’acqua
al posto della carne.
Shaylee
la osservava
divertita, non riuscendo a trattenere un sorriso nel vedere la raminga
così
palesemente a disagio; Siria non amava la magia, né
tantomeno la sensazione di
ritrovarsi ad essere acqua.
L’unica
cosa di cui Talia era
certa era il luogo in cui si trovavano, la terra che vibrava di rabbia
sotto i
loro piedi; erano appena entrate nel territorio di Telmar.
Non
è stato per nulla piacevole, no.
il
brontolio di Siria riuscì a strapparle un sorriso, in quel
momento
terribilmente fuori posto sul suo volto contratto; vide Shaylee alzare
lo
sguardo al cielo, esasperata, precedendo le due amiche verso il fitto
della
foresta che subito si ergeva appena abbandonato il greto del fiume.
Lo
so, Sir, ma era il modo più sicuro per farvi attraversare.
le ricordò, paziente, mentre entrambe la raggiungevano e si
fermavano nel punto in cui gli alberi chiudevano la vista del cielo.
Fu
con una fitta di
preoccupazione che alzarono un’ultima volta lo sguardo alla
volta stellata,
alle costellazioni tanto familiari che tutt’e tre conoscevano
alla perfezione;
non sapevano quando le fronde si sarebbero schiuse ancora, permettendo
loro, di
nuovo, la vista delle stelle.
Da
che parte dobbiamo andare?,
fu la
domanda di Siria, la prima a riportare lo sguardo sulla foresta cupa e
minacciosa che le attendeva; concreta, fredda, la fida spada ben
stretta nel
pugno sinistro.
Istintivamente
s’avvicinò
un poco a Shaylee, quando Talia con un semplice balzo sparì
fra i robusti rami
carichi di foglie; la ninfa le sembrava pericolosamente fuori posto in
quel
luogo… e assolutamente, dannatamente
in pericolo.
La
risposta di Talia le
raggiunse dopo un istante, proveniente da un qualche anfratto buio,
dove i suoi
occhi castani brillavano di una luce non del tutto naturale.
Sudovest.
È poco lontano.
.
.
Le
aveva distanziate in
fretta.
Gli
alberi si muovevano
sfocati ed indefiniti nella fitta oscurità che la
circondava, i rami che
vibravano appena sotto il tocco dei suoi calzari delicati. Non una
foglia s’agitava
al suo rapido passaggio, non uno degli abitanti del bosco si ribellava
al tocco
esperto e lieve delle piccole mani della mezzelfa.
La
foresta la guidava
attraverso i suoi invisibili sentieri, mostrandole la via che
l’avrebbe
condotta dalla driade in pericolo.
Era
a casa.
Là,
rapida come una
freccia, la mezzosangue finalmente si sentiva a casa.
In
quelle foreste c’era il
suo mondo, la sua vera natura; il suo sangue di elfa cantava le lodi
dei tempi
perduti, di quando la sua razza – la razza a cui sentiva di
appartenere,
nonostante l’avessero rinnegata secoli orsono –
danzava libera fra le fronde
cariche di frutti, e i loro sorrisi illuminavano la foresta quasi a
giorno.
La
foresta che la stava
chiamando a sé, risvegliando in lei un sentimento atavico e
quasi del tutto
perduto.
La
foresta che le stava
chiedendo aiuto, madre di ogni creatura che implorava la salvezza di
una delle
sue figlie; e Talia mai avrebbe rinunciato a quell’eco
straziante e
meraviglioso che ridondava nel suo petto, voce lontana della terra che
supplicava il suo aiuto.
Improvvisamente,
seppe di
essere arrivata.
La
scia che gli alberi
avevano schiuso per lei s’interruppe bruscamente, tanto da
costringerla a
piantare entrambi i piedi su un ramo per balzare immediatamente su
quello
opposto, spinta dallo slancio della frenata.
I
suoi caldi occhi color
nocciola si posarono in basso, verso le radici di una grande quercia
che pareva
chiudersi su se stessa, sofferente; le sue iridi erano più
allenate di quelle
di un essere umano e, rapidamente, l’oscurità si
dipanò dalla direzione del suo
sguardo.
Balzò
a terra quasi
immediatamente, Talia, quando riuscì a distinguere una
creatura completamente
diversa dagli umani abbandonata contro la corteccia ruvida e antica di
quell’albero.
La
driade.
Le
driadi erano creature
molto diverse fra loro; Talia ricordava di essere cresciuta fra quelle
creature, di aver giocato e riso con i petali di fiori che davano la
forma ad
alcune di loro… mentre altre driadi l’avevano
sempre affascinata, incantata,
per la loro bellezza eterea ed immortale che faceva impallidire persino
il
fiore più bello.
Ed
era esattamente una di
loro la creatura agonizzante ai piedi della quercia.
Era…
era esattamente come
le ricordava.
Era
bellissima.
Là,
riversa sul legno vivo
e palpitante di quelle radici materne, la driade respirava piano, il
seno
minuto che si alzava irregolarmente velato appena da una tunica di
foglie
dorate.
La
pelle verdastra era più
pallida del bel colore che vivido Tallie conservava nella sua memoria;
il collo
esile fremeva, le orecchie a punta erano afflosciate, i capelli scuri e
segosi
si stendevano come una cupa macchia di sangue intorno al suo volto
levigato.
Aiutami…
ti prego…
il mugolio di dolore della driade la raggiunse con la violenza di una
pugnalata, facendola sussultare.
La
sua voce risuonava
limpida e forte nel suo cuore, come mai un pensiero aveva echeggiato
dentro di
lei…
Siamo
qui per aiutarti, non agitarti, andrà tutto bene.
Talia
si lasciò cadere in
ginocchio accanto alla driade morente, le orecchie piene soltanto del
battito
disperato del proprio cuore e di quello della creatura fra le sue
braccia
esili.
La
driade scosse
debolmente la testa, il petto pallido e verdastro che suppurava un
sangue terribilmente
simile alla linfa vitale degli alberi.
Era
stata ferita a morte…
Nel
buio della foresta,
gli occhi allenati di Talia riuscirono a distinguere sulla pelle della
creatura
una lunga ferita verticale, profonda, che squarciava il torace esile
della
driade da parte a parte.
Shaylee!
chiamò, angosciata, voltandosi verso
l’oscurità
tremenda che la circondava; non sentiva i passi delle due amiche, non
sentiva
nulla che non fosse la vita che lentamente scorreva via dal corpo della
driade
morente…
Le
dita sussultanti della
creatura si serrarono sul suo braccio, attirando nuovamente il suo
sguardo
atterrito su di sé.
Era
bellissima anche in
quel momento, sull’orlo della morte; gli occhi verdissimi
immensi
come prati allagati dall’orrore, i capelli scomposti che si
mischiavano ad una
macchia di sottobosco.
Dovete…
dovete andarvene… ci sono uomini… in grado di
sconfiggere la
magia…
il sussurro
della driade fu incomprensibile, per Talia; tutto ciò che
vide fu la vita
scivolare via da quelle iridi lontane, quelle iridi stupefacenti e
bellissime
che appartenevano ad un mondo che le era stato precluso per
l’eternità.
Il
mondo delle creature della Foresta.
Il
mondo delle figlie della Madre Terra.
Rimase
immobile, senza
comprendere, senza capire, senza voler accettare che il corpo della
driade fra
le sue braccia si fosse improvvisamente abbandonato contro di lei;
guardò le
palpebre velare per sempre gli occhi verdi di quella creatura, sentendo
il suo
cuore fremere e spegnersi, abbandonando il suo percorso tanto faticoso.
Rimase
immobile,
scioccata, senza riuscire a reagire dinanzi a quella visione terribile
che proprio
non si aspettava; dentro di lei qualcosa si era spento insieme alla
driade,
qualcosa si era staccato e pareva non volersi più
accendere…
Furono
il sibilo
conosciuto di una lama, la corda tesa di una balestra, a risvegliarla.
Una
mano calda e minuta si
posò sulla sua spalla, allontanandola con delicatezza dal
corpo senza vita
della creatura; era successo così in fretta…
E
poi, la voce di Siria.
Ha
ragione. C’è qualcuno.
Nello
stesso istante in
cui il pensiero cauto e all’erta della raminga
risuonò nella sua mente, un
fuoco immenso arse ad anello intorno alla quercia ai cui piedi giaceva
la
driade spirata.
Per
un istante, Talia non
riuscì a vedere altro che quella luce accecante; un lampo
rosso si parò davanti
a lei, a Shaylee che le cingeva le spalle; una spada lunga ed affilata
stretta nel pugno, un corpo scattante pronto alla battaglia.
E
poi… un secondo, un
respiro, e i suoi occhi tornarono a funzionare.
Il
cuore mancò un battito,
quando riuscì a mettere a fuoco ciò che le aveva
improvvisamente circondate –
senza nemmeno un suono, senza che nessuna delle tre riuscisse ad
accorgersene
in tempo.
Erano
in trappola.
Una
decina di uomini
emergeva dal buio fitto della foresta, i sadici sorrisi illuminati
grottescamente dal fuoco di altrettante fiaccole che stringevano fra le
mani
rozze; ma erano fiaccole innaturali, torce di metallo che davano vita a
fiamme
smeraldine, guizzanti… stregate.
Riconobbe
sulle loro
armature i fregi di Telmar, le lame corte e spesse delle spade dei
soldati.
Erano
finite in un
agguato.
Shaylee!
Il
primo pensiero di Talia
andò all’amica naiade; Shaylee era al suo fianco,
gli occhi dorati pieni di
quella luce verdastra, malata, i denti serrati e l’angoscia
dipinta in ognuno
dei suoi tratti eleganti.
-Scappa.-
Siria
era in piedi di
fronte a loro, la balestra nella mano destra e Kain nella sinistra;
Tallie
riuscì solo a vedere il cappuccio cadere, rivelando la
cascata di capelli rossi
che strappò un ghigno ad uno dei soldati – che,
lenti ma inesorabili, si stavano avvicinando
a loro.
Non
riesco a usare la magia!
Il
grido angosciato di
Shaylee distrasse tanto Siria quanto Talia; ed il loro errore
più grande fu
quello di voltarsi a guardarla, allibite, distogliendo fatalmente
l’attenzione
dai loro aggressori.
-Attenta!-
fu la naiade a
vedere il primo colpo abbassarsi violentemente verso Siria; la raminga
balzò di
lato, schivando per un pelo il fendente e frapponendo la propria lama
appena in
tempo per evitare che colpisse Shay.
Talia
balzò in piedi, l’arco
già stretto in pugno; ma il corpo senza vita della driade
era ancora alle sue
spalle, non riusciva a fermare le mani che tremavano con violenza al
ricordo…
-Shaylee,
il pugnale!- la
voce sferzante di Siria fu una secchiata d’acqua gelida;
Tallie incoccò l'arco nello stesso attimo in cui vide la
raminga parare un attacco multiplo,
messa all’angolo da tre soldati contemporaneamente.
Ma
non vide, non riuscì a
vedere, la freccia che dal nulla appariva immersa nel suo braccio
sinistro.
-Talia!-
Il
dolore raggiunse la sua
mente con una facilità estrema, ancor più rapido
dei suoi impossibili volteggi fra i rami;
era assurdo, tutta quella situazione era assurda, poteva essere
soltanto un
incubo…
Mi
ha colpita! Uno stupido umano mi ha colpita!
sbottò, incredula, gli occhi che faticavano a focalizzare la
freccia
piantata in profondità nel suo avambraccio.
Il
fraseggiare delle lame
era lontano, quasi inudibile; tutto, nella sua mente, si condensava nel
dolore
pungente che le lacerava le carni, nel sangue scuro – umano – che colava lento e
denso sulla sua pelle olivastra…
E
sulla driade, la driade uccisa senza che lei potesse salvarla.
Siria
fu un lampo rosso
nei suoi occhi, quando si frappose fra Shay e una lama che minacciava
di
ucciderla; doveva reagire, doveva aiutare la sua amica, Siria non ce
l’avrebbe
mai fatta da sola…
-Fallo
fuori, dannazione!-
ruggì la rossa, tentando di scuoterla dallo shock che pareva
averla completamente
sconvolta; gli occhi della sua amica erano laghi di terrore e di
confusione che
non aveva mai visto prima, che la spaventavano, che minavano alle
radici una
delle sue sicurezze più grandi…
-SIR
ATTENTA!- Siria poté
soltanto udire la voce di Shaylee urlare quell’avvertimento,
prima che qualcosa
di enorme e pesante le piombasse addosso, colpendola alla schiena.
E,
inaspettatamente… urlò.
Tanto
Talia quanto Shay si
bloccarono di scatto, quando videro i capelli rossi macchiarsi del
marrone del
terreno, il viso bianco sporcarsi di fango.
Siria
provò a rialzarsi,
gli occhi serrati, le guance rigate dalla frustrazione… ma
un secondo calcio in
piena schiena la colpì nuovamente, strappandole un secondo
grido straziante, il
grido di un animale ferito a morte.
-Sir!-
Talia fece per
fiondarsi verso l’amica, ma una spada sibilante, non vista,
calò come una
mannaia direttamente verso la sua gola.
NO!
Un
ruggito nella mente
della mezz’elfa, una massa d’aria più
concreta e bollente intorno a lei e il
tragitto della lama venne deviato, crollando con una forza devastante,
di
piatto, sulla sua tempia.
Shaylee
nascose un gemito,
quando vide Talia accasciarsi a terra, senza un suono. I suoi occhi
sfrecciarono verso Siria, semincosciente, che brutalmente veniva
sollevata da
terra e strattonata; la guardò quando venne scaraventata
contro il tronco
d’albero più vicino, e nascose un urlo, quando
vide più di un pugno affondare
nel suo ventre.
Stanne
fuori.
La
voce ansimante della
rossa risuonò nella sua mente, più affaticata di
quanto sembrasse. Era
sull’orlo di perdere i sensi, di crollare, ma aveva
racimolato le ultime
energie per ingiungerle di tenersi fuori dai guai.
Non
chiedermelo!
Vai…
via. Vai da Caspian,
vai da Peter… loro…
I
pensieri di Siria si
offuscarono di botto, quando gli occhi della rossa si chiusero ed il
suo corpo
scivolò lentamente lungo il tronco di quell’albero
anonimo.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Un
conato di vomito, il
sapore metallico del sangue che le sporcava le labbra.
Siria
si svegliò nello
stesso momento in cui l’uomo affondò
l’ennesimo calcio nel suo stomaco già
livido, costringendola a svegliarsi con un violento ascesso di tosse
che la
piegò in due dal dolore, la nausea che le riempiva gli
occhi, repentinamente
spalancati, di lacrime.
-Sveglia,
mercenaria.- la
prima sensazione coerente che il suo corpo le restituì fu il
dolore.
Avvertiva
ogni centimetro
della propria pelle chiazzato di lividi, di ferite più o
meno profonde; le ossa
parevano incrinate, le costole lanciavano stridule grida di sofferenza,
le
gambe erano intorpidite e parevano non risponderle del tutto.
I
polsi.
I
polsi erano serrati in
una morsa metallica che li martoriava, che ad ogni pulsazione nelle
vene si
stringevano ancora di più.
I
polsi.
-Ho
detto svegliati!-
Un
altro calcio.
La
rossa si ritrovò
rivolta verso il cielo plumbeo e scuro della notte, senza riuscire a
vedere
altro che rosse stelle di sangue esplodere nei suoi occhi.
Non
riusciva a
raccapezzarsi, a rimettere insieme i pensieri…
Dolore.
Quella
sofferenza si stava
insinuando in ogni meandro della sua mente, permeandola,
intossicandola,
rendendola incapace di far altro che agonizzare e tossire, tossire e
sentire il
sangue macchiarle la bocca.
No,
no! Resta lucida! Resta lucida, Siria!
Era
la sua stessa voce che
la incitava a non mollare, oppure era Talia, o Shaylee? Non riusciva
più a
distinguere nulla, in quell’oceano d’agonia in cui
stava annegando…
Siria!
Doveva
riprendere il
controllo su di sé, doveva vincere quel dolore. Non poteva
lasciarsi massacrare
così, non poteva permettere a quell’uomo
sconosciuto di prenderla a calci senza
nemmeno vedere l’odio riflesso nei suoi occhi…
Odio.
Per
un istante, fu più
forte di tutto il resto.
Lo
sentì infrangersi sugli
argini sempre più deboli del suo autocontrollo, minati alla
base da quella
tortura che non accennava a lasciarle un attimo di respiro.
Era
sul punto
d’abbandonarvisi… sarebbe stato più
facile, sarebbe stato semplice come
riempire d’aria i polmoni.
SIRIA!
Fu
uno sforzo immenso,
riaprire gli occhi.
Fu
un decidere la via più
impervia, più dolorosa, spalancare finalmente le palpebre e
respirare a fondo
l’aria fresca della notte di Narnia, sentendola sfiorare la
carne viva esposta
alla luce da troppi colpi inferti con cattiveria.
E
la prima immagine che
Siria mise a fuoco, fu il volto stesso del suo aguzzino.
-Angus…-
tentò di
soffocare un gemito, le ginocchia che involontariamente si piegavano
verso il
petto, tentando di arginare le ondate di dolore che la stravolgevano di
conati,
di fremiti.
Il
sangue era ovunque… le
riempiva i polmoni, la bocca, le rendeva difficile persino
respirare…
-Vedo
che ti ricordi di
me.- distinse il ghigno dell’assassino di Miraz, stagliato
sul buio cielo senza
stelle, distorcersi in una smorfia sadica e soddisfatta che prometteva
soltanto
altra sofferenza.
Angus.
Era
quell’uomo che lei
odiava con tutta se stessa, l’uomo che aveva dato ad Aaron il
compito di
riportare Caspian al castello… pareva passata
un’eternità dall’ultima volta in
cui l’aveva scorto.
In
quei pochi mesi erano
successe così tante cose, era così cambiata, che
il volto di quell’uomo era
scivolato in quella fitta foschia in cui aveva riposto ogni ricordo
malsano…
Una
mano rozza e violenta
si serrò fra i suoi capelli, strattonandole bruscamente la
testa. Un alito
fetido le inondò il volto, intensificando la nausea che la
sconvolgeva, i
freddi occhi neri dell’assassino a pochi centimetri dai suoi.
-Miraz
sarà molto felice
di vederti, raminga. Sai, gli è rimasta una cicatrice sulla
guancia, grazie a
te.- il sussurro soddisfatto e malsano dell’uomo fu solo in
grado di farla
sentire peggio, lo stomaco che si contraeva terribilmente e minacciava
di
collassare.
Siria
chinò appena il
capo, fingendo un’arrendevolezza che – lo sapeva
– avrebbe scatenato la
soddisfazione perversa di Angus Flynch. Quell’uomo era un
pazzo, Miraz se ne
serviva per tutto ciò che un Re non avrebbe mai neanche
dovuto pensare… i
compiti più sporchi, più brutali, portavano tutti
la firma di quell’uomo.
Era
un maestro della
tortura … ma lei non avrebbe ceduto, non gli avrebbe
permesso di distruggerla.
E
fu un gesto fulmineo,
denso di tutta la violenza a cui il dolore aveva rapidamente dato vita,
a far
scattare la testa rossa di Siria e a sferrare una testata contro il
volto
ghignante del soldato, sentendo chiaramente il crack
del naso spezzato di netto.
-Maledetta!-
Siria ebbe
solo il tempo di sentirlo abbaiare quell’imprecazione, prima
che uno schiaffone
in pieno viso non la costringesse a rovinare nuovamente a terra, il
mondo che
girava vorticosamente intorno a lei prima di spegnersi, trascinandola
di nuovo
nel buio.
.
.
-Non
dire niente. Non ti
muovere, tieni un profilo non basso, di più.- le istruzioni
lapidarie di Talia
sibilarono quasi inudibili all’orecchio di una Shaylee
sconvolta, inorridita, i
polsi serrati in catene che non le permettevano nemmeno di muovere le
dita.
Talia
stava armeggiando
con le manette metalliche che la intrappolavano, senza successo; erano
stati
furbi, avevano riconosciuto la sua razza e la forza proverbiale che
possedeva… e
quelle maledette manette non parevano volersi spezzare, nonostante la
mezzelfa
tentasse di usare tutta la forza che le era rimasta. Non poteva
muoversi, non
poteva camminare; tanto i polsi quanto le caviglie erano serrate in
quel
metallo scuro, indistruttibile.
Aveva
un occhio gonfio,
tanto nero e livido da non riuscire più ad aprirlo; il
labbro inferiore era
tumefatto, spaccato, e sanguinava da una ferita non troppo profonda che
aveva
lacerato il suo corpetto a livello del ventre. Niente di grave, per
fortuna; un
paio d’ore e si sarebbe rimessa in piedi, guarita dal suo
stesso sangue impuro.
Ma
Siria… Siria non era
un’elfa, Siria non avrebbe sopportato ancora a lungo.
Flynch
pareva averci preso
gusto a massacrarla; Siria aveva di nuovo perso i sensi, ma a lui
pareva non
importare, continuava a riempirla di calci…
Devo
fare qualcosa.
La
sua amica era là, più
indifesa e fragile di quanto non fosse mai stata…
Qualsiasi
cosa.
Era
colpa sua.
Era
solo colpa sua se si
trovavano in trappola.
Era
colpa sua se Siria si
trovava fra le mani di quel pazzo sadico…
Se
solo quelle maledette
manette si fossero spezzate, avrebbe potuto intervenire, Shaylee poteva
sparire
in uno schiocco e, se lei fosse riuscita a trarre in salvo Siria,
forse…
Talia,
sei ferita. Stai calma.
L’elfa
sgranò gli occhi,
quando una voce remota e sottile echeggiò flebilmente fra i
suoi pensieri.
Sir!
Quel
che ne rimane. Ascoltatemi bene: non fate niente. Shay, hai
addosso dei legacci che ho già visto una volta; bloccano la
magia.
La
voce di Siria era
lontana, poco più di un refolo di vento. Evidentemente il
suo corpo era
incosciente, ma la sua mente era abbastanza temprata da poter
sopportare, da
poter comunicare con loro.
Tallie,
quelle manette non puoi spezzarle. Fermano anche te.
Talia
si morse le labbra,
per evitare di lasciarsi sfuggire una sonora imprecazione.
Dovete
stare tranquille. È me che odia, non vi farà
nulla.
E
quella frase, quella
frase era composta dalle parole di un morto che ancora vive per
dispetto.
Siria
sapeva bene che
Angus se la sarebbe presa solo con lei; la odiava da una vita intera,
dalla
prima volta che aveva consegnato un prigioniero vivo ed illeso ai
soldati di
Miraz.
L’aveva
guardata con
occhio porcino, lascivo, predatorio; ma fra le mire di quel discutibile
soldato
e l’algida mercenaria c’era sempre stata la
protezione ben più che sufficiente
di Aaron e di Caleb, senza contare l’indubbia
abilità con cui Siria era in
grado di difendersi. Aveva desiderato di averla per sé, di
possederla, di
vincere lo sguardo freddo e insolente di quella ragazzina…
ma Aaron l’aveva
sempre tenuta lontana da lui, trattando di persona per i loro incarichi.
Ma
ora, ora Aaron non
c’era.
Per
un istante, un dolore
molto diverso trapassò il cuore di Siria, una lacrima
silenziosa che le rigava
le guance livide.
Aaron.
Avrebbe
tanto desiderato
vederlo apparire, sentirlo vicino… la sua sicurezza, la sua
famiglia, suo
fratello non l’avrebbe mai abbandonata, sarebbe stato in
grado di salvarla…
Aaron
non sapeva niente.
Peter
non sapeva niente.
Caspian
non sapeva niente.
Erano
sole.
Quella
gelida
consapevolezza la investì con la violenza di una secchiata
d’acqua fredda,
facendola sussultare appena, sentendo il corpo contrarsi violentemente
sotto i
colpi brutali di Flynch.
Ma
improvvisamente, senza
un motivo logico, la tortura cessò.
-Angus,
piantala. Ci
servono vive, così l’ammazzi.-
Mai
come in quel momento
Siria si ritrovò ad essere grata a Miraz,
all’ordine di portarle a palazzo vive
che aveva provvidenzialmente interrotto quel massacro di cui era la
sola
vittima.
Si
ritrovò a tossire, la
rossa, a tossire sangue che macchiava di rosso le sue labbra livide e
tumefatte.
Era
finita.
Il
sollievo riuscì persino
a far breccia nella densa cappa di dolore che l’aveva avvolta
nelle sue spire,
come un crudele serpente che lentamente stritolava ogni suo singolo
osso.
Per
ora.
Tentò
di respirare, i
polmoni che in un primo momento non rispondevano alla sua disperata
ricerca
d’aria, di ossigeno.
-Alzati.-
con quale
crudele divertimento le intimavano di alzarsi in piedi, quando Angus le
aveva
probabilmente rotto tutte le ossa?
-È
distrutta, dalle un
attimo di respiro.- la voce di Shaylee la raggiunse come un boccata
d’aria
fredda in mezzo ad un inferno di fumo e di fiamme. Si costrinse a
schiudere
appena gli occhi, più incosciente che sveglia, il bruciore
delle ferite sul
viso che la tormentava terribilmente.
-Rimettila
in piedi
bellezza, perché se muore adesso sarà la sua
testa ad arrivare da Miraz insieme
a voi due.-
Vide
una figura sfocata
vestita di bianco accostarsi a lei, due mani delicate posarsi sulle sue
spalle.
Non aveva fiato per dirglielo, ma persino in quel punto provava un
dolore tale
che, se avesse potuto, l’avrebbe costretta a urlare.
I
polsi di Shaylee erano
stati intrappolati sul ventre, non dietro la schiena…
probabilmente non la
consideravano un pericolo. Conoscevano lei e Talia di fama, ma della
Naiade non
sapevano niente; sarebbe stata una mossa incauta, ma le manette
incantate che
intrappolavano tutt’e tre erano in grado di assorbire la
magia…
-Siria…
Sir, non posso
curarti con la magia, lo sai vero?- le sussurrò, pianissimo.
La
rossa annuì appena,
lottando per riuscire a pronunciare qualcosa di più di un
violento accesso di
tosse.
-Lo
so.- riuscì a
mormorare, esausta, sentendo la terra sporcare le lacerazioni sul
ventre e
sulle braccia.
Se
anche Shay avesse potuto
usare la magia, Siria non gliel’avrebbe permesso; le
avrebbero sicuramente
fatto del male, se si fosse mostrata per la creatura di Narnia che era.
E
Siria non poteva
permetterlo, non poteva nemmeno pensare di lasciare che toccassero la
sua
amica.
Shay
era… Shay era troppo
fragile, troppo dolce, troppo Shaylee,
perché la sua mente potesse anche solo accettare
l’idea che le venisse torto
anche un solo capello.
Era
una delle poche persone per cui Siria avrebbe dato la vita.
-Talia
è ferita, ma si sta
già rimettendo in sesto.- le sussurrò la ninfa,
concitata, alzando gli occhi
verso gli assassini che stavano recuperando i propri cavalli da bui
anfratti
degli alberi.
Gli
occhi lucidi di Siria
si posarono sul suo viso, quando Shaylee scostò furtivamente
la stoffa lacera
del corpetto e premette le piccole mani sulle sue ferite. Non
sussultò; forse
non ne aveva più la forza.
-Mi
sono macchiata le mani
col suo sangue… non è molto, ma…-
Siria la zittì con un debole cenno del capo,
quando avvertì immediatamente il sangue di Talia entrare in
circolo nel suo
corpo.
Sentì
le ferite minori
sfrigolare e chiudersi, il dolore terribile al ventre e allo stomaco
diminuire
un poco. Lentamente, riprese coscienza di sé e del proprio
corpo, le gambe che
riacquistavano un poco di sensibilità, la carne viva esposta
al freddo della
notte.
La
vista si fece via via
meno sfocata, la sua stessa mente tornò ad assumere una
parvenza di lucidità;
il sangue di Tallie ancora una volta la stava salvando, sebbene fosse
troppo
poco per sanare la maggior parte dei colpi che aveva
ricevuto…
Fu
in grado di trascinare
se stessa in ginocchio, quando Shay ritrasse le mani e la sostenne
appena,
preoccupata.
Ora
vedeva molto più
chiaramente qualsiasi cosa; il sollievo sul volto della ninfa, Talia
poco più
in là, i lividi sul volto già giallastri e un
sorriso un po’ spaventato ma
familiare solo per lei. Vide le armi sue e della mezzelfa assicurate
alla sella
di un cavallo e, rapidamente, annotò il numero dei soldati;
otto, escluso
Angus.
-Ce
la faccio.- mormorò,
la voce roca ed impastata di sangue ma un poco più sicura.
Era ancora
terribilmente debole e le ferite non erano svanite per nulla; ma
almeno, aveva
la forza necessaria per alzarsi in piedi.
Fu
una soddisfazione,
dopotutto, vedere l’espressione distorta dall’odio
che Flynch le rivolse,
quando traballante si alzò sulle proprie gambe.
Vide
i suoi occhi colmi
d’ira spostarsi su Shaylee, sicuramente chiedendosi cosa la
ninfa avesse fatto
per aiutarla ad alzarsi.
-Cos’hai
fatto,
sgualdrina?- abbaiò, avvicinandosi con passo pesante e
minaccioso alla naiade
immobile, gli occhi dorati che non si abbassavano dinanzi a
quell’uomo rude,
malvagio.
Ma
fu una massa di capelli
rossi sporchi di terra a frapporsi fra lei e quell’animale,
una voce gelida che
sussurrava tre parole dense di una minaccia non troppo velata.
-Non
osare toccarle.-
Tanto
Talia quanto Shaylee
rabbrividirono, nel sentire Siria rivolgersi a Flynch in quel modo;
faceva
accapponare la pelle il suo tono, la sua inflessione bassa ed arrochita
dal
sangue, la rabbia che ribolliva appena sotto la superficie di ghiaccio.
Fu
talmente percepibile
che persino Angus non avanzò d’un altro passo, le
iridi blu della raminga che
coraggiosamente si scontravano con le sue, inquietandolo per la gelida
determinazione che vi vedeva divampare.
Non
le avrebbe toccate.
Non
gli avrebbe permesso
di fare del male a Shaylee o a Talia.
Erano
troppo importanti,
erano troppo importanti per lei,
perché potesse permettere che venissero… che le
facessero…
Lo
sguardo di Siria si
fece se possibile ancora più glaciale, quando il pensiero di
ciò che avrebbero
potuto fare alle sue più care amiche si affacciò
alla sua mente, riempiendola
di orrore.
Le
avrebbe protette, a
qualsiasi costo.
Anche
al prezzo di una
vita; la sua.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
Mh. Bah. Boh. Mah.
...si nota che non sono convinta da questo capitolo?
Cioè, non è che non mi
piaccia; ma ha preso una piega che proprio non mi aspettavo, che non
era nei piani... io l'ho detto, i miei personaggi fanno esattamente
quello che gli pare!
Allora, considerazioni a random sul chap;
- Tallie si ritrova in stato di shock, quando la
driade muore; questo perché sente chiaramente il richiamo
della Foresta, del suo Elemento a cui vorrebbe essere più
vicina. Talia è cresciuta lontana dalla comunione che gli
elfi praticano con la madre Terra, è cresciuta preclusa da
ciò che sente palpitare vivo e forte nella sua parte elfica;
e la morte della driade la sconvolge come non credeva possibile,
perché sente che il suo rapporto con la Terra è
molto più profondo di quanto le sia stato permesso di
vivere. Mi piace tanto Tallie in questo capitolo, mi piace
perché si mostra sia nel suo lato umano - la paura,
l'irrazionalità, la preoccupazione - sia nel suo lato elfico
- la miriade di pensieri tutti in una volta, il senso di appartenenza
alla foresta, la comunione con le creature della Terra. E' un
personaggio poliedrico anche lei, e m'è piaciuto
caratterizzarla in questo modo, ossì U.U
- Siria; ahi ahi ahi, io l'ho detto che iniziavano
gli spargimenti di sangue... ovviamente, chi vado a pescare come
vittima sacrificale della situazione? Ma il mio personaggio,
ovviamente! Avanti, alzi la mano chi non se l'aspettava :D
Seriamente, dai; tempi duri attendono le nostre tre
eroine...
...perché la vita non gli era
già abbastanza complicata xD
*tatatatà, pubblicità!*
La Fla ha (FINALMENTE) deciso di pubblicare la sua
prima long fic!!! Si tratta di "I'm
your Angel", parla di come nacque la storia fra Angel e Will,
sempre nella serie delle Wicked
& Humorous Tales ^^
Seize
The Day è stata aggiornata qualche tempo fa, non
troppo direi, per chi non abbia ancora letto; presto arriva il nuovo
capitolo, e arriverà anche l'aggiornamento di Seven
Gods!!
Galleggiava
in un silenzio innaturale, la foresta luminosa e vivida
intorno al suo corpo senza consistenza.
Gli
alberi parevano immersi in una luce soffusa e dorata, le fronde
che delicatamente si lasciavano accarezzare da una brezza che lui non
riusciva
ad avvertire sulla pelle.
C’era
qualcosa di diverso, in quella Narnia.
Le
foglie erano di un verde troppo acceso, carico, i frutti erano
troppo belli per essere reali; erano succosi, i rami carichi pendevano
verso il
basso sotto il loro peso, i fiori che si aprivano radiosi in sua
direzione.
Si
guardò intorno, allibito, scorgendo l’erba alta
muoversi al ritmo
di una musica suadente che pareva risuonare dolcemente nella sua anima.
Vai
avanti.
Qualcosa
pareva volerlo spingere a muoversi in quel paesaggio troppo
bello per essere reale, a calpestare quell’erba rigogliosa
che danzava intorno
alle sue gambe.
Si
mosse, Caspian, lasciandosi guidare dalla forza invisibile che lo
guidava sino al lago.
Una
cascata argentea si gettava in mille zampilli cristallini in uno
specchio d’acqua che lui ben conosceva, che non poteva non
ricordare
perfettamente; era un luogo in cui sperava di tornare, un giorno o
l’altro, una
cascatella figlia della roccia viva che aveva visto sbocciare
l’amore nascosto
di due corpi perfetti, fatti l’uno per l’altro.
Siria.
Era
il luogo in cui, per la prima volta, aveva amato Siria.
L’acqua
zampillava placida in un dolce tintinnìo, aprendo effimere
polle che si diramavano nel piccolo lago altrimenti deserto.
Deserto,
salvo che per la figura lontana che strappò un battito al
suo
cuore.
Siria.
Siria
era là, sul greto del lago limpido e illuminato dalla calda
luce
dorata del Sole.
Siria
era là, assorta, la pelle candida accarezzata dalla stessa
brezza che lo aveva condotto da lei.
I
capelli rossi ricadevano soffici sulla sua schiena esile, il seno
raccolto in un abito d’un candore che superava persino quello
della sua
carnagione. Era là, accoccolata come una splendida dama
pensosa fra le foglie
dorate che si posavano gentili sul pelo dell’acqua.
La
guardò, meravigliato dalla bellezza del tutto nuova della
sua
figura, la pelle finalmente libera delle cicatrici che la percorrevano
e la
deturpavano.
Era
meravigliosa, più bella di quanto non l’avesse mai
vista.
Era
là, assorta, le dita affusolate che accarezzavano il lago e
raccoglievano con dolcezza alcune delle foglie arrossate
dall’autunno.
Era
così bella…
Tanto
bella da spingerlo a voler restare per sempre in adorazione
della sua figura, eterea e finalmente serena, lontana dal mondo che
troppo
aveva distrutto nella sua vita.
Rimase
immobile, sentendosi in pace con la Narnia sconosciuta che lo
circondava, gli occhi che si beavano della figura perfetta della donna
che
amava.
Oh,
sì.
La
amava più di quanto lui stesso riuscisse a rendersi conto.
Aveva
tanto temuto di perderla, di scoprire che qualcosa nel loro
viaggio era andato storto… tutte paure infondate, tutti
timori senza
fondamenta.
Eccola
lì, più splendida che mai, vestita del bianco
delle nuvole che
si rincorrevano nel cielo.
Non
c’era tempo, in quel luogo.
Non
c’erano guerre, non c’erano battaglie.
Poteva
perdersi nell’ammirarla senza il terrore che qualcosa
spezzasse
quell’idilliaco silenzio che avvolgeva i suoi
pensieri…
Sarebbe
rimasto a bearsi di lei per l’eternità, senza mai
stancarsene.
Non
si sarebbe mai stancato di guardarla, di imprimersi nella mente
ogni tratto di quel viso che non si alzava mai verso di lui; quello
sguardo
tanto lontano pareva intensamente concentrato sulle gocce che
coloravano le sue
dita candide, sulle foglie dorate che accarezzavano lo specchio limpido
dell’acqua.
Ma…
Ma
c’era qualcosa di sbagliato.
C’era
qualcosa che non andava.
.
La
vide alzare lo sguardo verso la foresta che la circondava, le dita
che sfioravano il pelo dell’acqua; cerchi concentrici
partirono da quel punto,
diramandosi in tutto il lago sino alla cascata.
La
cascata…
“Siria!”
avrebbe voluto gridare, quando la limpidezza dell’acqua si
fece improvvisamente torbida, scura d’un rosso che riconobbe
con sgomento.
Sangue.
Repentinamente,
la guardò balzare in piedi, l’abito candido
perfettamente asciutto, i piedi nudi che tentavano di sfuggire le
lingue
rossastre che si diramavano appena sotto il pelo dell’acqua.
“Scappa!”
voleva gridare, ma lui non aveva corpo né consistenza;
soltanto occhi, occhi per vedere quel qualcosa avvicinarsi a lei.
Non
poteva fare niente.
Per
l’ennesima volta, lui non
poteva
fare niente.
Poteva
soltanto restare a guardare il sangue intorbidire il lago,
avvicinandosi
ratti a Siria, allungando tentacoli rossastri verso i suoi piedi.
La
guardò incespicare, tentando di sfuggire a quella presa, la
paura
scritta sul volto; ma il sangue saliva in viscide spire intorno alle
sue
caviglie candide, trascinandola verso il centro del lago, verso il
punto più
profondo che ribolliva di rosso e di stridule urla che…
.
.
.
-SIRIA!-
Caspian balzò in
piedi, allarmato, la mano destra che correva all’elsa della
sua fidata spada.
Il
buio accolse il nero
atterrito dei suoi occhi, il respiro affannoso che riempiva il silenzio
della
stanza che divideva con Aaron e Caleb.
Si
guardò intorno,
affannato, cercando di distinguere qualcosa
nell’oscurità più completa che lo
circondava. L’immagine vivida della paura sul viso di Siria
era ancora impressa
sulla sua retina, il colore rosso del sangue macchiava ancora
quell’abito
candido…
Mise
lentamente a fuoco la
figura di Aaron, rigidamente addormentato sul fianco sinistro, la mano
sul
pugnale da cui non si separava mai; l’unico suono che
riempiva il silenzio
altrimenti pressante era il suo respiro lieve, in cui però
non udiva l’eco di…
Si
voltò di scatto,
cercando la figura massiccia di Caleb nella fitta penombra; ma il
giaciglio del
biondo era vuoto, e gli bastò una rapida occhiata per
confermare l’assenza
anche delle sue armi.
Cercò
di riordinare le
idee, ancora scosso; quell’incubo era stato terribilmente
realistico…
Era
solo una sua paura.
Siria
era al sicuro… o
quantomeno sapeva difendersi, non era in pericolo immediato.
Sospirò,
passandosi
nervosamente una mano fra i capelli arruffati.
Forse
Caleb non riusciva a
dormire, esattamente come lui…
Decise
istantaneamente di
alzarsi, incapace di restare fermo nel suo giaciglio; le ragazze erano
partite
da un giorno, ormai, l’alba non era lontana…
Irrequieto,
infilò alla
svelta gli stivali e la tunica scura che si era procurato qualche tempo
dopo
essere tornato alla cripta di Aslan; l’armatura era troppo
ingombrante per
essere indossata tutti i giorni, mentre quella semplice giubba di pelle
era
molto più pratica.
Allacciò
in vita il
cinturone della spada, rinfoderandola e recuperando lo stiletto da
sotto il
cuscino; aveva imparato alla svelta a dormire armato e con un occhio
solo,
sempre pronto a combattere.
Abbandonò
la spartana
stanzetta in silenzio, attento a non svegliare il rosso, accendendo una
fiammella per illuminare il suo cammino
nell’oscurità.
La
notte fragrante di
Narnia lo accolse con dolcezza, il profumo dell’erba alta e
dei fiori che lo
raggiungeva immediatamente; conosceva quei profumi, quelle dolci
essenze che
permeavano quel cielo trapunto di milioni di stelle e costellazioni.
Un
lieve venticello
scuoteva gli alti fili d’erba, spettinando quella viva
criniera e trascinandone
le punte verso la foresta; quella notte più che mai la
natura sembrava viva,
pulsante di una forza troppo a lungo rimasta nascosta.
Intravide
la figura di
Caleb a pochi metri di distanza da lui, immobile, rivolto verso il
bosco come
se stesse ascoltando la voce di quella brezza leggera che scompigliava
i
riccioli biondi.
-Caleb?-
chiamò, sorpreso,
ma il ragazzo alzò repentinamente una mano e zittendolo sul
nascere.
-Sssh.-
sussurrò, gli
occhi azzurri socchiusi, l’espressione più seria
di quanto Caspian avesse mai
visto. -Chiama Peter e Aaron.- gli ordinò soltanto,
perentorio, senza
distogliere l’attenzione da un sussurro che pareva ascoltare
soltanto lui.
E
Caspian non poté far altro
che annuire, correndo senza ben saperne il motivo verso le stanze
interne della
cripta; gli servirono pochi minuti per svegliare Aaron e Peter,
entrambi troppo
irrequieti per dormire profondamente.
Aaron
era taciturno, lo
spadone ben fissato in cintura; Peter, al contrario, non aveva
rinfoderato la
sua fidata Rhindon, ora ben stretta nelle mani forti del Re Supremo.
-Che
cosa…- esordì il
biondo, una volta raggiunto Caleb sulla lieve altura su cui si era
fermato.
Soltanto
allora Cal si
riscosse da quello stato di concentrazione in cui era calato,
voltandosi verso
i tre giovani che lo avevano raggiunto in pochi minuti.
Un
dolce sussurro lo aveva
destato improvvisamente, strappandolo al sonno lieve ed agitato in cui
era
sprofondato una volta coricatosi; una voce tenue e delicata che lo
aveva convinto
ad uscire dalla cripta, sospinto da quel lieve vento portato dagli
alberi che,
per lui, non era semplice brezza.
-Tallie.-
affermò
soltanto, sicuro; e l’erba danzò con
più forza, dirigendo le proprie punte
verso il piccolo sentiero che portava…
-Sta
andando verso il
lago.- commentò Peter, attonito, riconoscendo il linguaggio
oramai perduto delle
foreste incantate, della magia intrisa in ogni filo d’erba di
Narnia.
Caleb,
scuro in volto,
annuì.
-E’
là che vuole
condurci.- sussurrò, precedendoli sicuro verso il sentiero
che conduceva al
lago della naiade, il rifugio sicuro e solitario di Shaylee.
-Che
cosa sta succedendo,
Caleb?-
La
voce attenta e all’erta
di Aaron non riuscì minimamente a far breccia
nell’espressione assorta del
biondo; il giovane mercenario si stava già addentrando nel
folto del bosco,
seguendo quei sussurri che soltanto lui riusciva a cogliere, la morbida
voce
della foresta che lo chiamava a sé.
Avvertì
la presenza degli
altri alle sue spalle, quando il lago si rivelò fra gli
alberi dopo qualche
minuto di marcia; lo specchio d’acqua solitamente limpido
pareva meno luminoso
del solito, la superficie sempre immobile era increspata dallo stesso
turbamento che scuoteva le fronde degli alberi.
La
piccola fiammella
accesa da Caspian tremò, morendo in un inesistente refolo di
vento gelato.
Caleb
s’inginocchiò sulla
riva della polla d’acqua, il mormorio lieve degli spiriti che
non si chetava,
che sussurrava alle sue orecchie parole dense di paura e di pericolo.
Non
sobbalzò nemmeno,
pronto, quando quella brezza invisibile sfiorò lo specchio
d’acqua e arricciò
la spuma bianca venuta a crearsi dal movimento inquieto del lago.
Osservò
il liquido
tremolare ed innalzarsi piano, delicatamente, accarezzando figure
lontane e
prendendone lentamente la forma.
Una
figura di donna si
delineò sulle curve turbolente delle spire
d’acqua, prendendo l’aspetto di una
giovane donna dalle orecchie troppo evidenti, le spalle esili ed il
corpo
fasciato in una calzamaglia del colore di una foresta…
Talia.
-Guarda.-
sussurrò, più
rivolto a se stesso che ai suoi compagni, gli occhi celesti che
fissavano
duramente il profilo della sua donna riflesso in quel bizzarro ritratto
semovente.
-Shaylee…-
il sussurro di
Peter si riverberò sulla superficie tremula
dell’acqua, le figure in rilievo
che si muovevano limpide e trasparenti come il lago che le accoglieva.
Soltanto
una persona
avrebbe potuto dare vita a quella magia, soltanto ad una creatura il
lago
avrebbe permesso di accedere alle fonti più cristalline di
quell’antico incantesimo…
-…questo
è ciò che vede
Shaylee.- affermò, sicuro senza ben sapere perché
delle proprie parole, gli
occhi celesti che seguivano attenti la scena che le acque incantate
stavano
dipingendo.
Distinse
il volto di
Talia, un’espressione contratta e cupa nel viso affilato; era
accanto alla
naiade, gli occhi di Shay la vedevano chiaramente, distinguendo la
rabbia e la
paura nei tratti felidi del suo viso.
Sentì
Caleb sospirare
appena, al suo fianco; riuscì a comprendere perfettamente il
sollievo del biondo
mercenario nel riconoscere la donna che amava, nel vederla sana e salva
–
sebbene quella smorfia d’odio fosse terribilmente
inquietante…
Lo
sguardo della ninfa si
spostò altrove, distogliendo l’attenzione da Talia.
Tutti
e quattro si
ritrovarono a sussultare, qualcosa di sgradevole che si animava dentro
di loro
nel distinguere troppi volti emergere dal chiarore indistinto del lago;
Shaylee
stava guardando un manipolo di uomini che non avrebbero dovuto trovarsi
tanto
vicini alle ragazze, le armature e i fregi di Telmar erano fin troppo
distinguibili…
Era
successo qualcosa.
Shaylee
e Talia non
intervenivano, Siria pareva sparita; ma i telmarini le guardavano di
sbieco,
gli occhi cattivi si soffermavano fin troppo spesso sulle due ragazze
prima di
tornare a spostarsi su un punto che Shaylee non stava guardando,
lontano dalla
loro visuale…
Peter
sentì lo stomaco
contorcersi violentemente, quando l’amara verità
si presentò crudele fra i suoi
pensieri.
Erano
in trappola.
-Dannazione!-
l’esclamazione di Aaron fece sobbalzare tutti e tre,
allibiti; non era dal
rosso perdere il controllo in quel modo, non era da lui
quell’espressione
atterrita e orripilata appena apparsa nei suoi occhi…
-Quello è Flynch! Dove
diavolo è Siria?- sbottò, avvicinandosi un poco
alla pozza d’acqua, la
frustrazione e la paura disegnati sul viso.
Peter
lo osservò attonito,
senza capire.
-Che…-
-Angus
Flynch è
l’assassino diletto di Miraz.- la voce di Caspian era cupa,
scura almeno quanto
lo sguardo allarmato che rivolse al rosso mercenario.
Angus
era uno degli
animali più disgustosi che avesse mai avuto la sventura di
incontrare sulla sua
strada, un uomo
dall’indole violenta
che compieva sottobanco tutti gli assassinii e le brutalità
che non potevano
assolutamente portare il nome del vero mandante.
Miraz.
Ma
ciò che aveva detto
Aaron aveva risvegliato una paura mai del tutto sopita dentro di lui.
Siria.
Gli
occhi di ghiaccio del
mercenario era venato di paura, di paura vera; non prometteva niente di
buono…
-Aaron,
cosa c’entra Siria
con lui?- chiese, senza esitare, affrontando l’espressione
tormentata del rosso
senza alcuna paura; erano ormai lontani i tempi del loro astio
reciproco, da
quando Aaron aveva capito che Caspian voleva esattamente ciò
per cui lottava
anche lui: proteggere sua sorella.
Ma
lo sguardo del
mercenario fu cupo, angosciato, quando si alzò negli occhi
neri di Caspian e vi
vide riflessa la sua stessa paura.
-La
vuole per sé. L’ha
sempre voluta per sé.- mormorò, sentendo qualcosa
agitarsi violentemente dentro
di lui nel riconoscere la smorfia di terrore che le sue parole avevano
appena
provocato nel volto del Principe.
Caspian
provò a ribattere,
incredulo, l’orrore che lottava per prendere il sopravvento
sulla speranza;
Siria non poteva essere finita nelle mani di quella lurida carogna, non
poteva
essere nelle mani di quel bastardo dall’insaziabile sete di
sangue…
Fu
Caleb a bloccarlo, ad
interromperlo prima che potesse anche solo iniziare a parlare; il
biondo
mercenario era inginocchiato accanto al lago, le dita immerse
nell’erba soffice
e carnosa che si allungava verso la superficie limpida
dell’acqua, gli occhi
celesti cupi e inchiodati sul riflesso del volto di Talia.
-Ragazzi…
adesso c’è.-
mormorò, riconoscendo…
Si
voltò verso Peter ed
Aaron, allibito, riconoscendo il suo stesso orrore scritto nei loro
occhi;
forse Caspian non avrebbe dovuto vedere quella scena, forse non avrebbe
dovuto
avvicinarsi così tanto alle acque innaturalmente in rilievo,
alla figura
riconoscibilissima di…
Siria.
Il
giovane mercenario si
scostò con riluttanza, quando il ragazzo si
avvicinò rapidamente alla fonte
d’acqua per capire, per vedere, per sapere…
Ma
ciò che vide fu il
realizzarsi dei troppi incubi che lo tormentavano, delle troppe paure
che vide
con orrore realizzarsi in quello specchio tremendamente vivido di
ciò che stava
succedendo.
-Siria…-
La sua voce era strana, quasi irriconoscibile; pareva un sussurro
disperato,
una preghiera, uno scongiuro… sembrava il terrore
– il terrore di vedersela strappare
– che lo aveva attanagliato sin
dalla prima volta che aveva sfiorato quelle labbra, che aveva toccato
quel
corpo, che aveva distinto la dolcezza oltre la barriera di
quell’impenetrabile
sguardo blu.
Si
lasciò crollare in
ginocchio, la paura che si dipanava dai suoi occhi in ogni tratto del
suo bel
volto; qualcosa dentro di lui si era spezzato, qualcosa urlava di una
sofferenza tale da non permettergli nemmeno di pensare, le iridi
allibite e
spaventate fisse sulla scena che il lago rifletteva con angosciante
perfezione.
Siria.
Siria
era riversa al suolo,
i polsi serrati in una morsa dietro la schiena, le braccia livide ed i
capelli
rossi sporchi di terra.
Stava
provando ad alzarsi,
ma in piedi dinanzi a lei stava Flynch, un ghigno orrendo dipinto sul
viso
nerboruto e le mani guantate sporche di sangue.
Siria
tremava, il suo
volto era in ombra… Angus rideva, rideva di lei, lo stivale
che s’infilava
sotto la sua spalla e la rivoltava violentemente verso il cielo, i
capelli che
si scostavano dal viso e…
E
poi una mano forte lo
costrinse a distogliere lo sguardo, lo tirò di peso in
piedi, allontanandolo da
quella vista che lo avrebbe fatto sicuramente impazzire di dolore.
Caspian
si riscosse solo
in quell’istante, il battito rapido e doloroso del cuore che
pulsava nelle
orecchie, mettendo a fuoco un volto che non si sarebbe mai aspettato di
vedere.
Peter.
Era
stato Peter a
trascinarlo via, a impedirgli di vedere.
Era
stato Peter ad
assumersi il peso di quella vista, di quell’immagine chiara e
nitida che
Caspian aveva scorto appena di sfuggita.
Era
Peter adesso a non
riuscire a distogliere lo sguardo dallo specchio d’acqua,
l’orrore scritto
negli occhi celesti e la mascella contratta, l’odio che
brillava vivido nel suo
sguardo.
-Dobbiamo
andare.- il
Principe ed il Re parlarono nello stesso istante, pronunciarono le
medesime
parole; si voltarono entrambi verso Caleb ed Aaron… Aaron,
che serrava i pugni
in una morsa tremenda, un sottile rivolo rosso che gli macchiava le
dita.
-Non
sappiamo dove sono.-
la voce di Caleb era remota, lontana, priva della solita nota
scanzonata che
riusciva sempre a strappare un sorriso; gli occhi azzurri parevano
scavati, il
volto che dimostrava improvvisamente molti più anni di
quanti ne avesse in
realtà.
Caspian
e Peter si
scambiarono un’occhiata angosciata; Caleb aveva ragione, non
avevano la minima
idea di dove andare, di dove cercarle…
Una
tenue luminescenza si
alzò lentamente dalla superficie limpida del lago, attirando
immediatamente gli
sguardi angosciati dei quattro giovani immobili sulle sue sponde
acciottolate.
Nulla
più di un sottile
nastro di vivida acqua cristallina, lo zampillante riflesso della magia
s’innalzò nell’aria in trepidante attesa
dell’alba; nessuno dei ragazzi fiatò,
otto occhi che seguivano attenti ogni intreccio di
quegl’arabescanti fili di
cristallo che s’attorcigliavano in morbidi ed evanescenti
carezze.
E
poi la videro allungarsi
verso gli alberi, intrecciandosi ai tronchi che lentamente le aprivano
la strada.
E
mostrava loro una via.
.
.
.
Un
dolore lancinante allo stomaco.
Siria
serrò i denti, il
corpo che si contraeva di botto all’ennesimo colpo,
all’ennesimo calcio in
pieno ventre. Sentì calde lacrime bagnarle il volto, rigarle
le guance, ma non
si permise nemmeno un gemito: non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
-Basta!-
Zitta…
stai zitta…
Un
ennesimo calcio, i
denti che affondavano convulsamente nel suo labbro inferiore,
spaccandolo. Il
sapore metallico del sangue inondò la sua mente, i suoi
pensieri, annebbiandole
la vista e strappandole un conato che per poco non la costrinse a
cedere di
fronte al soldato che la stava accuratamente pestando.
Le
corde segavano i suoi
polsi, serravano le sue mani in una stretta terribile, le dita
formicolanti e
oramai insensibili livide.
La
marcia verso la città
di Miraz era durata un’intera giornata; dalla loro cattura a
quel momento
avevano percorso probabilmente qualche miglio nel folto della foresta,
percorrendo la stessa strada che Siria e Talia avevano calpestato
qualche mese
prima, in compagnia di un recalcitrante Caspian e dei loro compagni.
Siria
aveva paventato il
ritorno della notte, accogliendo il tramonto senza il solito affetto;
le ore di
buio erano il suo riparo, il momento in cui i suoi sensi e la sua mente
si
risvegliavano. Amava la notte, ma in quella situazione poteva
significare
solamente una cosa: la tortura sarebbe ricominciata.
Ed
infatti, non appena
calato il buio, i soldati di Miraz avevano allestito un frugale
accampamento
dove passare quel lasso di tempo in cui non avrebbero potuto proseguire.
Flynch
si era trattenuto
dal toccarla per troppo tempo… Siria lo conosceva,
quell’animale, lo conosceva
anche troppo bene. La sua sete di sangue non si sarebbe estinta
così in fretta…
-Vediamo
se hai ancora la
forza di reagire, raminga.- un ennesimo calcio in pieno stomaco la fece
contrarre su se stessa, riversa a terra, i capelli sporchi di terriccio
aggrovigliati
sulla schiena.
Sir!
Le
voci angosciate delle
sue amiche risuonarono debolmente nella sua mente confusa;
tentò di riordinare
le idee, di riprendere coscienza di sé e di ciò
che aveva intorno, ma il dolore
pulsante che tutto il corpo mandava al cervello era troppo grande,
troppo
potente.
Non
posso fare niente…
riuscì
soltanto a sussurrare, persino i pensieri ridotti ad un mormorio
esausto.
Non
avrebbe resistito
ancora a lungo, non sarebbe sopravvissuta ad un’altra notte
sotto le mani
pesanti di Flynch.
Tentò
di respirare, di
riempire d’aria i polmoni che sentiva contrarsi
faticosamente, allo stremo;
persino l’ossigeno doleva, scendendole in petto e acutizzando
la sofferenza
delle ferite che oramai riempivano ogni lembo scoperto della sua pelle.
-Miraz
ti vuole viva… ma
non ha specificato in quali condizioni.-
Angus
ghignò malignamente,
infilando un piede sotto la spalla di Siria e rivoltandola
violentemente sulla
schiena.
Non
gli avrebbe dato la soddisfazione
di vederla implorare.
Non
gli avrebbe concesso
il piacere di vederla piegarsi.
-Muori,
bastardo. Tu… e il
tuo Re.- la voce di Siria pareva non appartenerle nemmeno. Era roca,
impastata
di sangue, le labbra spaccate rendevano le sue parole confuse e
masticate in
mezzo ai lividi.
Non
un gemito, quando un
ennesimo calcio la colpì in pieno viso.
Shaylee
dovette
costringersi a serrare le labbra fra i denti, per non gemere nel
sentire il
violento crack del naso che si spezzava.
Sapeva
di non poter chiudere
gli occhi… i ragazzi dovevano vedere attraverso di lei,
dovevano riconoscere il
luogo, dovevano sapere che cosa stava succedendo…
Il
sogghigno cattivo di
Flynch si accentuò, quando vide il corpo della rossa
contrarsi violentemente,
in preda al dolore. S'inginocchiò accanto a lei,
afferrandole il viso sporco di
sangue con una mano lercia, incrostata di fango e di qualcosa di rosso
e non
del tutto rappreso.
-Non
morire adesso, rossa.
Pensavi davvero che avrei risparmiato le tue amichette?- le
sussurrò, l'alito
fetido che le inondava il volto, provocandole violenti conati di vomito.
No.
L’unico
pensiero che
risuonò nella mente annebbiata di Siria fu quello.
No.
Non
poteva permetterlo.
Non
poteva lasciare che
colpisse anche le sue amiche.
Le
avrebbe picchiate per
il puro gusto di vederla soffrire, di far del male a qualcuno a lei
tanto caro:
non poteva permetterlo, non poteva lasciare che le toccasse.
Non
avrebbe mai, mai
potuto.
Lei
era sacrificabile.
Lei
poteva, doveva
morire.
Lei
era un pericolo.
Lei
era la causa di quel
maledetto rapimento, lei non poteva guardare le sue amiche soffrire,
non poteva
guardare quell’uomo picchiarle a causa sua…
Doveva
resistere.
Doveva
proteggerle.
Si
costrinse ad alzarsi in
ginocchio, un violento fremito che la percuoteva sin nel profondo; il
suo corpo
non le rispondeva più… la sua arma migliore,
ciò su cui aveva sempre fatto
affidamento, ora non era altro che un ammasso confuso di carne e di
sangue.
Nei
suoi confusi pensieri,
riuscì solamente a trovare il coraggio disperato di
pronunciare quelle poche parole
roche, impastate, dal sapore metallico.
-Perché...
sei così poco
uomo... per continuare con me?- ansimò, la voce rantolante,
i polmoni che
urlavano per il dolore.
-SIRIA!-
il suono violento
di uno schiaffo risuonò nel folto del bosco, quando uno dei
compagni dell'uomo
colpì Talia con uno schiaffo, zittendola.
Tallie.
Siria
riuscì soltanto a
formulare quel pensiero, una fitta di terrore che l'attraversava al
pensiero di
Talia, alla terribile consapevolezza di non essere riuscita a impedire
che
fosse colpita.
E
poi, fu soltanto altro
dolore.
.
.
-Vedi
di stare buona, mezzosangue.-
Lo
avrebbe ucciso.
Mai,
mai come in quel
momento Talia aveva provato un odio simile; sentiva pulsare nel sangue
il
terribile desiderio di colpire, di avere in mano il suo arco e colpire
con
tutto l'odio che stava provando l'uomo dinanzi a lei, che serrava il
suo viso
in una morsa terribile, il fiato fetido che la soffocava.
Strattonò
il volto,
liberandosi di quella stretta, mordendosi la lingua per non
rispondergli.
Siria
si stava lasciando
massacrare, per proteggerle... non poteva scatenare l'ira di un altro
di loro,
non poteva lasciare che il sacrificio della sua amica fosse vano.
Si
costrinse a frenare
quelle parole dense d'odio che premevano le sue labbra per uscire,
quando vide
una macchia scarlatta riempire l'erba secca ai suoi piedi.
-Sir!-
sbottò, dimentica
degli uomini che le avevano catturate, dimentica di qualsiasi cosa. Si
lasciò
rapidamente scivolare in ginocchio, accanto alla raminga, una voragine
di
terrore spalancata nel cuore quando la vide in volto.
Una
maschera di sangue.
Non
riusciva a distinguere
i lineamenti della sua amica, sotto quel rosso terribile che sporcava
la sua
pelle candida. Il naso sanguinava copiosamente, gli occhi erano pesti,
un
labbro e uno zigomo spaccati; pareva incosciente, ma poteva ancora
sentire i
suoi pensieri, la sua coscienza, la testardaggine con cui si ostinava a
tenerla
fuori dal suo dolore.
-Sto
bene...- pigolò la
rossa, la voce ridotta ad un sussurro impastato di sangue.
-Questo
succede a voler
aiutare i propri amici, raminga.- la voce piena di scherno di Flynch la
raggiunse anche attraverso il velo d’incoscienza calato sui
suoi occhi, intorno
al decimo pugno.
-Siria…
Siria ti prego, dì
qualcosa, dimmi che sei viva.- Siria udì soltanto le voci
concitate e
spaventate di Shaylee e Talia sovrapporsi, mescolarsi nella sua mente
confusa e
non troppo lucida.
-Non…
non preoccupatevi,
sopravvivrò anche stavolta.- riuscì soltanto a
mormorare, il dolore che
trafiggeva ogni millimetro del suo corpo, immergendosi come migliaia di
lame
affilate nella sua carne.
Non
aveva mai sofferto
così tanto in vita sua…
Mai,
mai nessuno l’aveva
portata a quei livelli di sofferenza.
In
vent’anni di vita Siria
ne aveva passate tante, molte ferite avevano solcato la sua pelle
bianca; ma
nessuna era riuscita a provocarle tanto dolore come la sensazione che
provava
in quel momento, come la tortura a cui il suo corpo presto si sarebbe
piegato,
esausto.
La
stava uccidendo.
Colpo
dopo colpo, sarebbe
riuscito ad ammazzarla; e, se anche fosse sopravvissuta a quel
calvario, Miraz
avrebbe finito il lavoro del suo assassino.
Shaylee
sentì una morsa
tremenda stringerle il cuore, quando distinse in quella maschera di
sangue e di
lividi una trista rassegnazione che la spaventava più di
tutto il resto.
Siria
si sarebbe arresa…
La
sua amica non poteva
combattere, non poteva reagire a quella violenza gratuita e feroce;
nessuna di
loro poteva fare qualcosa, Talia non poteva muoversi, la sua forza era
intrappolata da quelle manette che le segavano i polsi esili, mentre
lei…
Tentò
disperatamente,
ancora una volta, di chiamare a sé l’acqua che
avvertiva scorrere poco lontano;
un affluente del Grande Fiume la chiamava a sé, ma
lei… lei non riusciva a rispondere.
Frustrata,
ricacciò
indietro le lacrime che minacciavano di solcarle il viso; non poteva
piangere,
non adesso.
Doveva
essere forte,
doveva essere forte anche per Siria.
-Siria,
ti ucciderà! Non
devi costringerti a tutto questo, non è giusto,
non…- cominciò, ma vide un
inquietante sorriso piegare per un istante le labbra tumefatte
dell’amica; un
sorriso senza gioia, gli occhi gonfi socchiusi, i capelli rossi che le
rigavano
le guance.
-Meglio
io che voi.-
E
quelle parole sapevano
di morte, di una resa terribile a cui non poteva sfuggire.
Talia
si lasciò sfuggire
un versaccio, la rabbia e l’angoscia che ribollivano dentro
di lei, il dolore
nel vedere l’amica ridotta in quel modo più
insopportabile di qualsiasi altra
cosa.
-Magari
ogni tanto
potresti pensare a non distruggerti per gli altri, vero?-
sbottò, ma quel
sorriso rassegnato non scomparve dal viso irriconoscibile della ragazza.
-Non
posso lasciare che vi
facciano del male.-
-E
devi farti ammazzare,
allora!?- replicò la mezzelfa, disperata, sperando che un
minimo di buonsenso
tornasse a farsi vivo nella testa della sua amica.
Ma
Siria alzò lo sguardo
su di lei, socchiudendo a forza le palpebre violacee di lividi, due
zaffiri
conosciuti che facevano capolino dall’orlo di pelle degli
occhi.
E
in quelle iridi blu Talia
e Shaylee riconobbero la maledizione che Siria portava con
sé dalla nascita, quel
tormento che l’avrebbe portata alla morte, al sacrificio di
sangue che la sua
stessa discendenza le imponeva di fare.
Perché
era giusto, perché Siria
non avrebbe
lasciato che l’inferno si scatenasse di nuovo su Narnia;
nonostante tutto, in
quelle iridi brillava una determinazione che non sarebbe crollata,
nemmeno
sotto altre cento notti di tortura.
Siria
era ben conscia del
suo destino: aveva sperato fino all’ultimo di potervi
sfuggire, di poter fare
qualcosa per cambiare le cose… ma la triste
verità era che la morte avrebbe richiesto
il suo pegno, presto o tardi che fosse, quella notte o entro pochissimo
tempo.
Combattere
non aveva più
senso, ormai; e la disperazione che le riempì il petto fu
tale che non le
permise di sopportarla, la testa rossa che si chinava sotto il peso di
quel
dolore molto più forte delle ferite che riempivano il suo
corpo.
-…tanto,
devo morire
comunque.-
.
.
.
.
.
.
.
..
.
My
Space:
Ditelo che anche stavolta non ci speravate più xD
Invece eccomi qui, con il capitolo nuovo di Narnia's Rebirth (e a breve
quello di Seize The Day, quasi ultimato)!!!!
La vita mi sta un pò sballottando da tutte le parti ma non
pensate che mi dimentichi delle mie storie, è più
semplice che mi scordi il mio nome o il mio codice fiscale piuttosto xD
Allora, cosa dire di questo capitolo:
1) ho scelto una canzone che non poteva starci meglio: Nightmare, degli
Avenged Sevenfold. Vi consiglio di leggervi il testo, perché
sembra fatta apposta (e poi è meravigliosa U_U)
2) Arrivano i bamboli! Per inciso, la magia di Talia e di Shaylee va
oltre le manette che indossano. Non possono attivamente fare qualcosa,
ma loro sentono
comunque la Terra e l'Acqua, e così riescono ad avvertire i
prodi giovincelli. Questa è stata un'idea della Fla, io non sapevo
come farli arrivare ^^'''' c'è un piccolo dettaglio che non
so se qualcuno coglierà, nella scena dei ragazzi, che
riguarda Cispia. Vediamo se è abbastanza in vista :P
3) Siria... eh, Siria si sta arrendendo. Sfido io, penso che chiunque
arriverebbe alla resa, in una situazione del genere... eppure,
nonostante non speri più di salvarsi da questa tortura e dal
suo destino, non molla; la stanno torturando, ma lei rimane salda sulla
sua posizione di difendere le sue amiche. Che brava (????) ragazza xD
Il prossimo capitolo... non ho idea di quando arriverà. E'
già scritto, quasi, mi mancano qualche correzione e un
pò di parti tagliate, ma... non ho idea davvero. Spero
presto, ma non garantisco nulla, non con la situazione che sto vivendo
ora ^^'''
Al prossimo capitolo!
La voce di Siria era più
roca del solito… forse a causa di tutte le percosse che
aveva subito, forse a
causa della determinazione suicida che la ninfa vedeva nei suoi occhi
blu.
La naiade scosse la testa,
continuando ad armeggiare con le manette che imprigionavano i suoi
polsi.
Se fosse riuscita a
schiudere anche solo un dentello, uno soltanto… il rivolo di
magia che quel
metallo incantato non riusciva a bloccare si sarebbe intensificato,
permettendole di richiamare a sé la potenza
dell’acqua e di liberare tutt’e
tre.
Sarebbe riuscita a salvare
tutte loro… ma Siria voleva che andasse via, che tornasse
indietro per guidare
Caspian e gli altri fino a quel luogo.
Forse era anche un’idea
sensata, ma…
-Non posso lasciarvi qui.-
affermò, convinta, sentendo una fitta di puro senso di colpa
quando i suoi
occhi dorati corsero sui volti tumefatti di entrambe le ragazze.
Siria era irriconoscibile:
il sangue rappreso macchiava la sua pelle, il volto
solitamente candido era
livido e pieno di bozzi e tagli più o meno profondi;
tremava, tremava di freddo
e di dolore, una spalla piegata in una posizione innaturale e la
schiena che
sussultava, lacera.
La mezzelfa era messa
meglio. Siria si era impegnata a fondo per evitare che venissero
toccate le
altre due ragazze, ma qualche schiaffo era arrivato comunque a segnare
il volto
già in via di guarigione della mezzosangue.
Talia sospirò, alzando
gli
occhi scuri verso il cielo nero della notte di Narnia.
-Shay, so che li stai
guidando qui, ma stai rischiando sempre di più. E non
riusciremo a proteggerti
ancora a lungo.- la schiettezza era sempre stata una delle
qualità migliori
della mezz’elfa.
La ninfa sospirò,
sorpresa
in cuor suo che la mora si fosse accorta tanto in fretta del suo
stratagemma.
Shaylee, ormai da più di
due giorni, stava concentrando tutte le sue energie su quel minuscolo
rivolo di
magia che le permetteva di sentire la presenza dei fiumi e dei
torrenti, quel
contatto intimo ed atavico che la maledizione di quelle catene non era
riuscita
a spezzare.
Quelle gocce di magia
stavano guidando chiunque avesse visto attraverso i suoi occhi, sulla
superficie del lago, verso di loro: mantenere quel contatto continuo
era
sfibrante, mentre l’incantesimo del metallo che le segava i
polsi tentava in
tutti i modi di contrastarla.
Shaylee aveva vissuto per
la maggior parte della sua vita in un palazzo, in mezzo alle altre
naiadi;
anche quando si era ritrovata a combattere non era mai stata in mezzo
ai rudi
guerrieri umani, ma ai leggiadri abitanti di Narnia.
A differenza delle due
amiche non avrebbe saputo sopportare quelle percosse; e il suo potere
avrebbe
preso il sopravvento, avvertendo il pericolo e proteggendola nonostante
le
catene che la imprigionavano, senza che lei potesse minimamente
controllarlo.
Non potevano permettersi
che la magia si mostrasse.
Le avrebbero uccise
tutt’e
tre, se avessero scoperto che fra loro c’era una strega – così
avrebbero definito quella magia, Siria lo sapeva fin
troppo bene: e se Shaylee non fosse riuscita a mantenere salde le
redini sul
suo potere, avrebbero rischiato di fare più danno che
altro…
-Non posso andare via.-
ripeté, nella voce una supplica che Siria e Talia
avvertirono sin troppo bene;
ma se l’elfa rivolse all’amica uno sguardo dolce,
comprensivo e scoraggiato
allo stesso tempo, Siria si limitò a stringersi ancor
più su se stessa,
nascondendo il volto tumefatto fra le ginocchia.
Shaylee doveva andare via.
Era troppo bella, troppo
indifesa… presto, fin troppo presto, quegli uomini se ne
sarebbero accorti.
Se solo fosse riuscita a
liberarsi di quelle manette, avrebbe potuto fare in modo che Talia e
Shay
potessero fuggire… loro avrebbero potuto, riuscivano a
camminare a muoversi,
loro dovevano salvarsi…
Chiuse gli occhi, cercando
di ignorare le fitte lancinanti che intorpidivano il suo corpo
martoriato.
-Ehi, voi tre.- la voce
rude di Flynch fece sobbalzare tutt’e tre le ragazze, prima
che una mano
pelosa, nerboruta, afferrasse bruscamente Siria per una spalla e la
scaraventasse lontano dalle altre due, mandandola a sbattere contro il
tronco
di un albero.
Sentì la schiena
schioccare, la raminga, il dolore che si riaccendeva vivo e prepotente.
Serrò i denti per
l’ennesima volta, mordendosi le labbra per non lasciarsi
sfuggire neanche un
gemito, rialzandosi con lentezza sulle ginocchia e rivolgendogli uno
sguardo
carico di puro odio.
Sentiva un’energia non
del
tutto sconosciuta pulsare rabbiosamente nelle sue vene… sapeva che, se avesse dato ascolto a
quella voce che tanto la
spaventava, sarebbe riuscita a spezzare quelle catene, a salvare le sue
amiche
e ad uccidere quegli animali uno dopo l’altro.
Senza pietà.
E senza rimorso.
.
Permettimelo, piccola Siryn.
Permettimi di mostrarti quanto
potente tu possa
essere.
.
-Siria.- fu soltanto
grazie a quell’ammonimento calmo, pacato, che Siria non
commise qualcosa di
davvero irreparabile.
Sospirò profondamente,
cercando di calmarsi… quando un campanello
d’allarme nella sua mente risuonò di
scatto, prepotente.
Uno dei soldati di Flynch
si era voltato improvvisamente verso la ninfa, un’espressione
porcina e
disgustosa sul volto – una smorfia che tanto Siria quanto
Talia conoscevano fin
troppo bene.
Si guardarono un istante,
improvvisamente spaventate, preoccupate; Shay doveva andarsene subito,
doveva
mettersi in salvo prima che accadesse
l’irreparabile…
Ma, per una volta, la
decisione più sensata non sembrava nemmeno sfiorare la
ragazza dai capelli
dorati.
Gli occhi di Shaylee erano
fissi con astio e rabbia in quelli dell’uomo in piedi di
fronte a lei; e
nonostante i polsi serrati in una morsa, nonostante fosse chiaramente
molto più
fragile ed indifesa rispetto a lui, non c’era la minima
traccia di paura, sul
suo volto.
Shay, stai lontana da lui!
Siria tentò di alzarsi,
annaspando, ma due mani forti e ruvide si serrarono sulle sue spalle
martoriate
e la bloccarono lì dov'era.
-Stai buona, ragazzina.-
riconobbe la voce di uno dei soldati, quello che più di una
volta aveva fermato
Angus e le sue torture; a nulla valsero i suoi tentativi di
divincolarsi,
quell'uomo era troppo forte, lei era troppo debole per liberarsi.
-Shay..!-
Un bavaglio si serrò
sulle
sue labbra spaccate, uccidendo quel grido e lasciando soltanto i suoi
occhi, i
suoi pensieri disperati, a implorare l'amica di andarsene prima che le
facessero del male.
Shaylee era immobile, gli
occhi che bruciavano come oro liquido, incandescente.
La paura pulsava appena
sotto la sua pelle, forte e prepotente come aveva imparato a
riconoscerla in
quei giorni di terrore e di sgomento.
Quel terrore, il terrore
che ogni donna serba dentro di sé, stava riempiendo il suo
corpo ad una
velocità estrema; sentì le ginocchia tremare
lievemente, i piccoli pugni
serrarsi e le unghie immergersi nel palmo, scosse da un brivido gelato.
Quell’uomo era forte,
rude, era abituato a prendersi con la violenza tutto ciò che
desiderava: non avrebbe
potuto contrastarlo, non ne sarebbe stata in grado, era dannatamente
indifesa in quell’istante…
Il soldato le strinse
improvvisamente il braccio esile in una mano, strattonandola e
costringendola
ad alzarsi in piedi.
La morsa di quella mano
tozza era dolorosa, quelle dita ruvide e annerite dal metallo delle
armi
sporcavano la sua pelle chiara; il suo volto era butterato, il sorriso
cattivo
che storceva la sua bocca illuminava di una luce folle quello sguardo
porcino.
Avvertì Talia lottare
strenuamente contro un altro di quei mercenari, sentì i suoi
pensieri furibondi
quando la imbavagliarono e la allontanarono da lei –
lasciandola sola,
lasciandola completamente sola dinanzi a quel porco che tentava di
tirarla
verso di sé.
-Ma lo sai che sei proprio
bella, ragazza?- fu il commento denso di lascivia che le rivolse,
facendola
rabbrividire di disgusto e di orrore; lo sguardo famelico e osceno che
percorreva il suo corpo la faceva sentire sporca, immensamente sporca,
il
sangue che accelerava impazzito nelle sue vene…
Shaylee!
Shay ebbe appena il tempo
di avvertire l’urlo mentale delle due amiche, prima che la
mano forte e
affamata del soldato strattonasse con violenza l’orlo della
tunica candida che
la Naiade indossava.
NO!
Shaylee si divincolò
furiosamente, il terrore che rapidamente montava oltre l’oro
liquido e denso
d’allarme dei suoi occhi.
-Non mi toccare!-
sbottò,
la voce più alta di due ottave, cercando di allontanarsi con
furia dall’uomo –
che strappò con violenza l’orlo
dell’abito di Shay, aprendo uno strappo
profondo che rivelò la coscia bianca e sottile della Naiade.
Il vociare animalesco ed
eccitato degli uomini intorno a lei fu un suono confuso, un suono che
non fece
altro che aumentare il panico.
Shay tentò di spingerlo
via, gli occhi dorati ridotti a immensi laghi pieni di terrore, le
braccia
dolorosamente intrappolate dietro la schiena… ma la mano
pesante dell’uomo si
abbatté sulla sua guancia, facendola rovinare sulla dura
terra che sfregiò la
sua pelle chiara ed intatta.
Quelle maledette dita si
serrarono sulla stoffa fragile della sua tunica, lo spallino che cedeva
sotto
la brutalità di quell’uomo che aveva solo
intenzione di…
-SIRIA!-
L’urlo di Shaylee
risuonò
in quella radura, ghiacciando all’istante il sangue di Tallie
e di Siria.
La raminga sgranò gli
occhi, allibita, quando si rese conto che Shaylee – Shaylee, la sua amica Shaylee, la Shaylee
che le aveva fatto da
madre e da sorella, la Shaylee per cui provava un affetto
immenso… aveva chiesto aiuto.
Aveva chiesto il suo
aiuto.
Shay serrò gli occhi,
lacrime di dolore e di paura che rigavano le sue guance, tentando per
l’ennesima volta di liberarsi di quella rude presa che
continuava a strappare
il suo abito…
Aveva gridato, aveva ceduto
alla paura – aveva chiesto aiuto all’unica persona
che avrebbe potuto aiutarla,
ma Siria era in trappola quanto lei, costretta a guardare
ciò che le stavano
facendo, e…
E poi, dopo nemmeno un
battito di ciglia, fu libera.
Si ritrovò a terra,
tremante, atterrita, all’ombra di una figura salda e
terribile che aveva
violentemente spinto via il soldato da lei.
Si ritrovò libera da
quelle mani maledettamente sporche, il viso che pulsava là
dove l’aveva
colpita, le escoriazioni sulle gambe e sulle braccia che pizzicavano.
Si ritrovò
singhiozzante,
sotto shock, rannicchiata su se stessa in un debole tentativo di
difendersi.
Capelli
rossi.
Fu la macchia vivida di
quel fuoco scarlatto a riscuoterla.
Stivali
alti, una calzamaglia lacera.
Tentò di calmarsi, di
riprendere
coscienza di sé, di capire che cosa stava succedendo.
Una
manetta che penzolava da un polso soltanto.
-Sir…-
sussurrò,
stravolta, alzando lo sguardo e riconoscendo la figura
dell’amica dinanzi a sé.
Siria.
Siria si era slogata un
polso.
Siria era riuscita a
sfilarsi le manette.
Siria
era in piedi, libera e terribile come un demone vomitato
dall’inferno.
Shaylee riuscì soltanto
a
fissarla, sconvolta, allibita, stupefatta, inorridita, il corpo che non
reagiva
dinanzi a quella vista spaventosa e terribile che era la sua amica dai
capelli
rossi.
L’uomo che aveva
aggredito
la Naiade si rialzò in piedi, lo sguardo furioso ed
animalesco che distorceva
il suo volto; ma un sorriso trionfante crebbe repentinamente sul viso
della
raminga e, nelle sue mani, Shaylee distinse chiaramente qualcosa di
grigio e…
-Prendi!- l’esclamazione
della ragazza precedette di un solo istante un quel qualcosa di
pesante,
metallico, che cadde a terra accanto alle sue dita.
Lechiavi.
Siria era riuscita a
rubare le chiavi delle manette.
Shay agì senza pensare,
obbedendo all’istinto che urlava prepotentemente dentro di
lei: armeggiò
freneticamente con le manette, le dita che tremavano e riuscendo,
finalmente, a
liberarsi.
Libera.
Era finalmente… libera.
Le sue orecchie erano
piene soltanto del suono prepotente del suo cuore spaventato, i tagli
sul viso
bruciavano come fuoco… la paura era troppa per capire, per
pensare, il terrore
urlava disperatamente dentro di lei, annebbiando la sua mente e i suoi
pensieri.
Voleva
scappare.
C’era soltanto il
desiderio di scappare, di correre via, di fuggire da quel luogo di
dolore e di
paura, dentro di lei.
Peter.
Peter non poteva essere
troppo lontano, qualcosa dentro di lei riusciva a sentirlo
vicino…
Peter.
Peter avrebbe saputo
proteggerla… avrebbe sistemato tutto, l’avrebbe
salvata da quell’orrore, non…
-VATTENE! VA VIA, ADESSO!-
Shay vide Talia scalciare violentemente contro l’uomo che la
tratteneva,
facendolo crollare a terra: annaspò, riuscendo a sottrarsi
dalla vista degli
altri soldati, la terra che sporcava i suoi abiti chiari.
Riuscì a sfuggire dalla
luce dei fuochi che illuminavano l’accampamento improvvisato,
sparendo nel buio
fitto della foresta… in salvo.
Siria distinse con la coda
dell’occhio la fuga dell’amica, sentendo qualcosa,
dentro di lei, esultare:
Shaylee era in salvo, lei era libera e in piedi, un pugnale stretto nel
pugno –
il fiato corto, affannato, troppo rapido per essere normale.
Usò violenza su se
stessa
per raccogliere tutte le energie che le restavano, fiondandosi con
rabbia
addosso al soldato che stava aggredendo Tallie: forse potevano farcela,
forse
poteva salvare l’amica, forse potevano
sopravvivere…
Il coltello rubato
all’aggressore di Shaylee fu tremendamente pesante, quando
con un gesto il più
fulmineo possibile lo lanciò; ma gioì, in cuor
suo, quando lo vide piantarsi
con precisione nella spalla di quell’uomo.
-Maledetta!- lo sentì
ruggire, ma qualcun altro approfittò immediatamente di
quell’attimo di
distrazione: Talia sferrò un calcio con tutta la forza che
possedeva,
colpendolo su un fianco e riuscendo ad allontanarlo da sé
– ritrovandosi un
istante più tardi a terra, esausta.
Erano
in troppi…
Erano troppi per loro due,
ammanettate e ferite, esauste e provate da giorni di tortura.
Ma
dovevano, dovevano
provare.
Fu Siria a scagliarsi con
tutto il suo peso contro Flynch, impedendogli di estrarre la pesante
ascia che
portava nel fodero e facendolo rovinare a terra, ritrovandosi faccia a
faccia
con lui quando l’assassino balzò nuovamente in
piedi.
La rossa prese fiato,
attenta, ogni ferita e ogni livido che pulsava dolorosamente nella sua
carne: i
soldati, intorno a lei, si radunarono e le strinsero in un cerchio da
cui
sarebbe stato impossibile fuggire, mentre Angus sorrideva di un ghigno
sadico e
folle che non prometteva nulla di buono.
Era di fronte a lei,
sorpreso da quella reazione che non si sarebbe aspettato, gli occhi
che,
carichi d’odio, si fissavano sul suo volto contratto.
Non
aveva scampo.
Aveva reagito, aveva
rialzato la testa, lo aveva sfidato apertamente: Siria sapeva bene che
cosa la
aspettava, che cosa le sarebbe successo di lì a
poco… Angus Flynch non avrebbe
lasciato un affronto del genere impunito. Mai.
Ma vide la paura… vide
la
paura nel volto del suo aguzzino, vide l’allarme che lo
animava nel rivederla
in piedi, pronta a combattere.
.
Aveva
paura di lei.
La
temeva.
Temeva
ciò che Siria sarebbe stata capace di
fare.
.
Ma Flynch non sapeva
nemmeno quale incendio stava divampando appena sotto alla pelle
martoriata
della raminga…
-Non hai più tanto
coraggio,
vero, Flynch?- ansimò la rossa, serrando i pugni, le gambe
che tremavano per
sorreggerla in piedi: non avrebbe resistito ad uno scontro corpo a
corpo con
quell’uomo, faticava persino a restare in piedi…
Ma doveva.
Doveva dare il tempo a
Talia di liberarsi.
Doveva darle la
possibilità di riprendersi, di recuperare la sua immensa
forza…
Sentì la mezzelfa
armeggiare freneticamente con qualcosa di metallico: ma i suoi occhi
erano
fissi sul volto crudele e rabbioso di Angus, il suo corpo il
più immobile e pronto
possibile.
Toglitele.
Tallie, veloce! Esortò
l’amica, l’ansia e la paura che vibravano
violentemente dentro di lei, nelle
iridi che sostenevano a fatica lo sguardo animalesco del suo aguzzino.
Ma sentì qualcosa
sprofondare dentro di lei, quando il pensiero concitato di Talia
risuonò fra i
suoi pensieri.
Non
sono le stesse chiavi!
Angus riuscì a cogliere
il
lieve fremito dei suoi occhi, l’occhiata rapidissima che
Siria lanciò alle sue
spalle.
E sorrise, crudele,
vedendo le possibilità di scampo delle due ragazze
assottigliarsi rapidamente.
-Vuoi affrontarmi,
mercenaria?- la derise, il ghigno folle che si accentuava, lo sguardo
malato ed
eccitato che aspettava soltanto che l’ennesima violenza
avesse inizio.
Ma Siria non avrebbe
ceduto.
Siria avrebbe combattuto: fino all’ultimo.
-Se non hai paura di
farlo.- fu la sua coraggiosa e sprezzante risposta, il corpo che
urlò di dolore
quando si costrinse a restare all’erta, in tensione:
serrò i pugni per fermarne
il fremito, tentò di calmare le ginocchia che vibravano dal
dolore, ignorando
le fitte che la schiena ed il ventre le lanciavano.
Angus la scrutò
irridente,
ben conscio di avere già la vittoria – la
vita di Siria – completamente in pugno.
-Allora avanti, ragazza.
Vediamo se hai quanto fegato quanto dici.- la esortò,
deridendola, sfidandola
apertamente a muoversi e a colpirlo.
Talia
vai via, segui Shaylee, vattene in qualche modo! Il pensiero rapido e allarmato di
Siria risuonò nella mente
dell’amica: la raminga avrebbe combattuto fino alla fine, ma
prima doveva
assolutamente mettere in salvo Talia.
Ma la risposta sussurrata
ed esausta della mezzelfa, i pensieri annebbiati quanto il suo respiro,
furono
una pugnalata in piena schiena.
Mi
hanno rotto una gamba, Sir…
Siria si voltò di scatto
verso l’amica, riuscendo soltanto a distinguere un legaccio
serrarsi intorno
alla gola della mezzosangue. Fece per fiondarsi verso di lei, gli occhi
che
inorridivano nel distinguere Talia scalciare e divincolarsi
inutilmente, la
paura che urlava furiosa dentro di lei…
Ma una mano ispida e forte
la colpì alle spalle, facendola rovinare a terra.
Il sapore del terriccio si
mischiò ancora una volta a quello del sangue, quando quella
stretta forte e
terribile si serrò sulla sua gola e la sollevò da
terra, fragile ed inerme come
un fuscello.
Gli occhi annebbiati dalle
lacrime, le mani che graffiavano il braccio di Flynch, Siria
riuscì soltanto a
distinguere il sorriso crudele del soldato allargarsi sempre
più – trionfanti,
accesi di una luce folle e omicida che, per quattro giorni, non aveva
aspettato
altro che quel momento.
-Sei morta.-
.
.
.
Doveva
correre.
Doveva muoversi, doveva
essere più veloce di quanto non fosse mai stata, doveva fare
in modo che non
fosse troppo tardi…
Seguì le sue stesse
tracce, sentendone l’alone magico che aveva lasciato dietro
di sé mentre vi
passava accanto, correndo.
Stava percorrendo quello
stesso sentiero erboso che gli uomini di Flynch le avevano costrette a
intraprendere, lo stesso che – mesi prima – avevano
calpestato lei ed i Quattro
Re di Narnia.
Trasformata avrebbe impiegato
soltanto molto più tempo – e lei di tempo non ne
aveva, aveva lasciato le sue
amiche laggiù, in balia di quegli esseri che nemmeno
meritavano di essere
chiamati umani.
Doveva
trovare Peter…
I rami secchi graffiavano
le sue gambe scoperte, le braccia esili, ma non le interessava.
L’unica cosa che
desiderava il suo corpo stanco era sprofondare nell’abbraccio
del biondo,
affondare il viso nel suo petto e lasciarsi stringere con forza,
finalmente al
sicuro, finalmente dove sapeva di essere protetta, amata…
Peter…
Sapeva che non poteva
essere lontano.
Lo sapeva in un modo che
non sarebbe stata in grado di spiegare nemmeno a se stessa: Peter era
nei
paraggi, Peter sarebbe comparso di lì a poco, Peter aveva
seguito la strada che
lei stessa aveva tracciato per lui…
Quasi a rispondere al suo
disperato richiamo, Shaylee avvertì una voce bassa, pacata
ma vibrante di
preoccupazione – la voce di un cacciatore, pensò
–, risuonare nella foresta
altrimenti troppo silenziosa.
-Sono passate di qua.- una
scossa elettrica attraversò il corpo della naiade, quando
riconobbe all’istante
l’inflessione e l’accento di quelle parole.
Peter!
Fu il suo cuore,
improvvisamente martellante nel petto, a spingerla a coprire gli ultimi
metri
di distanza con la forza della disperazione, gli occhi annebbiati dalla
stanchezza che distinguevano soltanto il colore acceso delle torce che
illuminavano la foresta.
Quelle, e due occhi
azzurri venati d’angoscia che si spalancarono di botto,
allibiti, quando lei
emerse dal fitto fogliame insidioso.
-Shaylee!- prim’ancora
che
la ragazza potesse davvero rendersi conto di avercela fatta, di averlo
trovato…
furono le sue braccia calde a stringerla improvvisamente a
sé, a sorreggerla, a
serrarla in un abbraccio spaventato che la intrappolò con
dolcezza sul suo
petto, il volto del giovane repentinamente accostato al suo.
Casa…
Dopo giorni di paura, di
terrore, di tortura… era finalmente a casa.
Il profumo di Peter era lo
stesso che ricordava, che le sembrava di aver assaporato per
l’ultima volta
secoli addietro.
La consistenza solida del
suo torace le era meravigliosamente familiare, la forza che la
accoglieva in
quella stretta era la stessa che aveva imparato ad amare…
Peter.
Peter era lì, era
lì con
lei, per lei, era lì e
finalmente era
al sicuro, era protetta dall’uomo che amava, finalmente non
aveva più motivo di
avere paura…
Peter era lì.
Aveva seguito il suo
richiamo, aveva seguito la sua magia.
Lui e gli altri avevano
lasciato l’accampamento e le avevano cercate, erano partiti
soltanto in quattro
per salvare loro la vita, per riportarle indietro sane e
salve…
Peter
era lì, caldo e forte a stringerla fra le braccia, e
finalmente
la paura non aveva più motivo di esistere.
-Peter…-
mormorò soltanto,
ancora incredula, alzando le esili braccia per cingergli la vita in un
tocco
fragile, stanco, esausto.
Lui non disse nulla, lo
avvertì soltanto scuotere la testa; il suo volto era vicino
a quello della ninfa,
affondato in quei crini dorati, gli occhi chiusi e
l’espressione più sofferente
che la naiade avesse mai visto su volto d’uomo.
-Shaylee… stai
bene…- riusciva
soltanto a sussurrare al suo orecchio, le dita che accarezzavano con
una dolcezza
densa di terrore i suoi capelli, il suo viso, il suo collo, le labbra
che si
posavano per un solo istante sulla guancia della ragazza.
Lei annuì, riuscendo non
comprese come a sorridergli lieve, accarezzando i crini biondi del suo
Re per
tentare di tranquillizzarlo.
-Sto bene… sta
tranquillo.- mormorò, improvvisamente molto più
calma, la sua presenza più che
sufficiente a dissipare qualsiasi terrore l’avesse
attanagliata fino a un
istante prima.
Era stanca, provata,
ancora scossa da ciò che avevano tentato di farle: ma era
con Peter, adesso, e
tutto sarebbe andato a posto.
Ne era
sicura.
Soltanto allora, quando
Peter sembrava ormai dimentico degli altri, Caspian si
schiarì sonoramente la
voce, spezzando l’attimo.
-Stai bene?- le chiese,
ignorando l’occhiataccia fulminante del Re Supremo e
avvicinandosi alla naiade,
che intanto aveva sciolto, un poco, la stretta fin troppo salda del
biondo.
Ma Peter pareva non
volesse lasciarla andare, il suo braccio restava protettivo sulla sua
vita,
trattenendola il più vicino possibile a lui.
La ninfa annuì, notando
solo in quell’istante il volto contratto e preoccupato di
Caspian e dei due ragazzi
più adulti dietro di lui.
Caleb pareva sull’orlo di
un collasso, mentre Aaron ricordava – in un modo
impressionante – sua sorella;
gelido, freddo, completamente estraniato dal mondo, aveva adottato
quella
tecnica tanto difficile che caratterizzava Siria nei momenti di panico.
Siria.
Siria che si era slogata
un polso per aiutarla, per proteggerla, che non era in grado di
combattere.
Talia.
Talia che aveva fatto di
tutto per aiutarla, che non era riuscita a liberarsi, che rischiava
forse anche
più di Siria…
Le sue
amiche.
Le sue
amiche erano ancora in pericolo.
La sua espressione tornò
quasi all’istante contratta, ansiosa, quando
rialzò gli occhi spaventati su
Peter.
-Shay, calmati, va tutto
bene.- le sussurrò lui, notando il terrore in quelle iridi
dorate,
accarezzandole dolcemente una guancia e costringendola a guardare
soltanto lui,
in volto.
Ma lei scosse la testa, le
guance macchiate di terra rigate da argentei fili di frustrazione.
La veste di Shaylee era
lacera; Peter se ne rese conto con sgomento, sfiorando con ansia e
preoccupazione
i lividi sulla guancia e sull’occhio destro della ragazza,
distinguendo nella
fitta penombra vividi segni rossi sulle sue spalle e sulle cosce
scoperte…
Che
cosa le avevano fatto?
-Peter, bisogna fare
presto, Siria e Talia…-
-Come stanno?- fu la voce
quasi ringhiante di Aaron, borbottata fra i denti, ad interromperla.
Aaron adorava sua sorella,
e di riflesso non poteva non voler bene a Talia; se fosse successo
qualcosa a
due delle donne più importanti della sua vita, sarebbe
impazzito.
-Sono vive.- al mercenario,
quelle due parole sussurrate bastarono.
.
.
Un ennesimo pugno,
affondato con forza inaudita in uno stomaco ormai livido.
Siria sentì i muscoli
contrarsi per il dolore, ma serrò i denti e gli occhi,
impedendosi il grido che
saliva con prepotenza dal suo petto.
La stavano massacrando
nuovamente, ne era ben conscia; in due la tenevano in piedi, mentre
Angus, quel
maledetto, era di fronte a lei, le labbra storte in un ghigno malvagio
e le
mani gonfie di pugni.
A Flynch era parso troppo
facile soffocarla, strangolarla: aveva deciso di ucciderla nello stesso
modo in
cui l’aveva rovinata in quei giorni di tortura, in quelle
notti di lunghe
agonie che adesso stavano finalmente per giungere al termine.
Avrebbe
avuto la vita di quella donna, in un modo o nell’altro.
Sentiva Talia divincolarsi
e lottare strenuamente alle sue spalle, costretta dalla
crudeltà di quegli
uomini a guardarla morire senza poter fare niente: presto sarebbe
toccato anche
a lei…
-E’
divertente… picchiare
una donna… o quel che ne resta?- ansimò Siria,
rialzando gli occhi e sfidando
apertamente l’animale che aveva davanti, scrutandolo con
tutta l’insolenza di
cui era capace. Per ogni insolenza, per ogni lampo di rabbia che vedeva
nel
volto di Angus, strappava un minuto in più di vita per
Talia…
-Di te non rimarrà
più
niente, vedrai!- fu il ruggito dell’uomo come risposta, e il
suono di uno
schiaffo risuonò in tutta l’angusta radura. Siria
avvertì il sapore del sangue
sulle labbra, in bocca, lo schiocco preoccupante del proprio collo, il
bruciore
della pelle.
Bruciore.
Avrebbe potuto bruciare,
ardere come una stella e liberarsi di tutti loro. E probabilmente
morire, nel
tentativo.
Ormai non sentiva più
nemmeno il dolore. Un colpo, un altro colpo, un ennesimo colpo, per lei
ormai
erano solo suoni indistinti che percuotevano il suo corpo e le sue
orecchie,
lontani dalla sua coscienza.
Stava morendo, lo sapeva.
Sapeva che i suoi organi
interni erano stati progressivamente distrutti da quel pestaggio,
sapeva che le
sue costole rotte avevano forato qualcosa di sicuramente importante: a
ogni
respiro avvertiva una fitta violenta dalle parti della schiena e un
brivido di
dolore l’attraversava.
Non ci vedeva nemmeno
più.
Il sangue le sporcava il volto, il naso spaccato e le labbra le
impedivano
quasi di respirare, lo zigomo le doleva in un modo insopportabile.
Stava morendo, ne era ben
conscia.
Proprio adesso… proprio
ora che avevo trovato un motivo per vivere…
-Basta. Uccidiamole e
andiamo via, prima che arrivi qualcuno. A Miraz porteremo le loro
teste.-
Una voce, una condanna.
Tallie…
Fallo, Sir. Non abbiamo
più nulla da perdere, ormai… almeno possiamo
portarceli dietro.
Talia…
Non era riuscita a salvare
la sua migliore amica.
Non era riuscita a portare
in salvo sua sorella.
La sconfitta riempì
repentinamente i suoi pensieri, il suo sapore amaro e cattivo che si
mischiava
a quello metallico del sangue.
Non
c’era più speranza, ormai.
Non era riuscita a salvare
Talia.
Aveva fallito.
Avrebbe voluto fare in
modo che tornasse da Caleb, che fosse felice… avrebbe voluto
salvarla.
Il dolore più grande in
quell’istante era sapere che, con lei, sarebbe morta una
delle persone che più
amava in quella terra dannata.
Talia
non lo meritava.
Talia era buona, Talia era
fantastica, Talia meritava soltanto di vivere la vita felice che le era
sempre
stata negata…
Non
doveva morire lì…
Lei era una creatura dannata, non la
sua amica.
Talia non poteva, non
poteva morire…
-Mi dispiace…- il
rantolo
di Siria raggiunse le fini orecchie della mezzelfa; ma il dolore era
oramai
troppo, per riuscire a rispondere, per capire cosa stava succedendo.
Non fa
niente… sempre insieme, no? Fino alla fine.
Siria si ritrovò a
guardare il terreno, la terra che si mischiava al sangue sul suo viso;
ma non
avrebbe tenuto lo sguardo lontano, avrebbe guardato il suo assassino
negli
occhi mentre la uccideva; non sarebbe stata codarda.
Dentro di lei sentiva
ribollire la sua dannazione, quel fuoco sempiterno che minacciava da
vent’anni
di consumarla; se solo l’avessero toccata… appena
l’avessero colpita a morte,
come si fa con le bestie…
Lei li avrebbe uccisi.
Stava aspettando soltanto
quel colpo, quell’ultimo colpo. Sarebbe stato tutto finito,
non avrebbe
sofferto più… non avrebbe
più rivisto Caspian…
Il cuore si gonfiò di
dolore, la lava incandescente che pulsava appena sotto la pelle.
Caspian.
Non aveva nemmeno potuto
dirgli addio…
Angus alzò la sua arma
prediletta, la pesante ascia di fattura nanica, pronto a calarla come
una scure
sulla sua gola esposta e fragile.
Quando quella lama
l’avesse toccata… sarebbero
morti.
Tutti
quanti.
L’inferno si sarebbe
scatenato su Narnia, ma la minaccia di ciò che Siria
rappresentava sarebbe
finalmente scomparsa.
E
sarebbe tutto finito.
.
.
Siria alzò lo sguardo,
gli
occhi appannati dal sangue che sgorgava dalle ferite sul suo capo: il
colpo tardava
ad arrivare, l’agonia pareva prolungarsi sin
troppo…
Ma Angus non la stava
più
guardando, non era più su di lei quello sguardo folle e
cattivo.
Sentiva soltanto una serie
di urla attutite nelle orecchie, i suoni erano confusi, distanti, non
c’era più
niente che valesse la pena ascoltare…
Ma improvvisamente una
lama d’acciaio lucido si frappose fra lei e
l’ascia, una disordinata zazzera di
capelli biondo miele si mosse veloce nell’aria; la voce di
Flynch lanciò
un’imprecazione, il tonfo dell’arma nemica caduta a
terra.
Siria dovette sfregarsi
gli occhi più volte, incredula, quando attraverso la vista
appannata riconobbe
il volto di Peter nella persona
che…
Che le aveva appena
salvato la vita.
-Peter?- decisamente
doveva aver preso una brutta botta in testa. Non c’erano
altre spiegazioni.
Peter Pevensie era lì,
la
fidata Rhindon stretta in pugno, gli occhi celesti duri e taglienti
quanto la
sua spada; il fuoco riverberava appena sui suoi capelli dorati,
illuminando la
sua figura per intero – figura che mai, mai
le era stata tanto cara, che mai era stata così felice di
riconoscere.
Peter.
Doveva essere già morta,
perché quella non poteva essere una visione reale.
Peter
era lì.
Era talmente incredula da
non riuscire a muoversi, da non riuscire a parlare…
Peter era lì.
Era arrivato appena in
tempo.
Le
aveva salvato la vita…
-No, mago Merlino.- il
biondo s’inginocchiò accanto alla ragazza,
ignorando la furibonda battaglia
ingaggiata dai suoi compagni intorno a loro, preoccupato.
Era
ridotta male.
Tremava, un fremito
violento che la scuoteva completamente; sul volto, troppe ferite gli
impedivano
di riconoscere la sua amica, il corpetto e i pantaloni laceri, sporchi
di terra
e di sangue, i polsi lividi ma liberi.
-Sei viva…-
mormorò, il
sollievo più grande di quanto avesse potuto immaginare,
nonostante quella
visione fosse quanto di più tremendo avesse mai dovuto
sopportare nella sua
vita.
Siria era viva… ma che
cosa le avevano fatto?
Era viva, ma quanto dolore
aveva dovuto subire? Quante percosse, quanta violenza, quanto odio?
Non era
giusto…
non era giusto vedere quel
volto solitamente esotico e affascinante ridotto in quello stato.
-Più o meno…-
il sussurro
esausto della raminga lo sfiorò appena, il viso della
ragazza che si nascondeva
fra le braccia, pieno di vergogna.
Peter era lì…
quasi non
riusciva a crederci.
Era viva.
Talia
era viva.
Sua sorella… sua sorella
sarebbe sopravvissuta. Sentiva il ruggito furibondo di Caleb sovrastare
persino
il clangore delle lame, Caleb l’avrebbe protetta,
l’avrebbe curata, le sarebbe
stato accanto…
Caspian.
Shaylee era al sicuro,
Peter doveva averla trovata, era stata sicuramente lei condurli
lì…
Caspian.
-Resta qui.- esclamò
improvvisamente l’Alto Re, in tono brusco, distinguendo nei
suoi occhi –
l’unica parte del suo volto che riusciva a riconoscere
– una luce che per la
prima volta non riuscì a comprendere.
Siria era confusa, lo
vedeva chiaramente dal suo volto solitamente attento: era
più morta che viva,
ma… sembrava preda di un terrore che teneva i suoi occhi
accesi, spaventati,
immensi come l’oceano in tempesta.
Faticava a parlare, a
farsi capire… che cosa le avevano
fatto
per ridurla così?
Se fosse riuscito a
portarla indietro, a portarla dove aveva costretto Shaylee a
restare…
-Caspian…-
Peter sgranò gli occhi,
allibito, quando il sussurro remoto e atterrito della raminga lo
raggiunse e lo
gelò sin dentro le ossa.
Caspian.
In quel momento, la mente
annebbiata dalla sofferenza e dalla paura, Siria aveva chiamato Caspian.
Aveva chiamato l’uomo che
amava, a cui forse non aveva mai smesso di pensare in quei giorni di
prigionia:
lo aveva chiamato col terrore nella voce, con la paura di chi non ha
più
niente, di chi ha perso tutto sotto le mani cattive di un aguzzino.
Caspian.
Peter rimase a guardarla
soltanto per un istante, incredulo, prima di alzarsi in piedi e
voltarsi verso
la battaglia che incalzava intorno a lui.
Aaron combatteva poco
distante da lui, fianco a fianco con il principe: le loro spade
saettavano con
una rapidità che Peter non vi aveva mai riconosciuto, i
gesti dei due giovani
erano esattamente gli stessi, l’uno speculare
dell’altro.
Aaron e Caspian colpivano
e uccidevano, uccidevano e infierivano, negli occhi
l’identica luce di odio che
Peter non avrebbe mai voluto distinguervi.
Il Principe pareva
trasformato, non sembrava più nemmeno lui: si muoveva con
un’agilità pari a
quella del rosso, gli abiti scuri che facevano di lui un lampo nero ed
inquietante che attaccava e ammazzava senza tregua, senza rimorso.
Il Principe di Telmar,
idolo e speranza dei Narniani, in quel momento non sembrava altro che
un rapido
e inesorabile assassino.
I soldati combattevano
bene, nonostante fossero nettamente svantaggiati di fronte a quei due:
Aaron
combatteva con la rabbia di un fratello, Caspian uccideva con
l’odio di un
innamorato.
Nessuno, nessuno
di quei soldati avrebbe potuto
sconfiggere uno di quei due.
Ma ciò che
più riuscì a
spaventarlo fu Caleb, quando distinse il suono secco e orripilante
dell’acciaio
che frantumava le ossa e la carne.
Caleb combatteva con un
braccio soltanto, l’altro che sorreggeva – stretta
contro al suo fianco,
minuscola al suo confronto – una Talia tremante e incapace di
reggersi in piedi
da sola; ma il mercenario non pareva minimamente rallentato da quella
presenza,
anzi…
Nel suo volto, non c’era
più traccia né di giocosità
né di allegria: nei tratti improvvisamente duri di
Caleb c’era soltanto ira, quell’ira animalesca e
violenta che animava le
stoccate e gli affondi sferrati con furia del suo pesante spadone.
Metteva
paura.
Gli occhi di ghiaccio che
uccidevano soltanto con lo sguardo, Caleb metteva
paura.
Il ragazzo bonario e
amichevole che Peter aveva imparato ad apprezzare non esisteva
più. Quell’uomo
che combatteva, adesso, era accecato dalla rabbia e dal dolore, era una
catastrofe che si abbatteva inesorabile contro coloro che avevano fatto
del
male alla donna che amava.
-È stato
lui…- Peter si
voltò di scatto verso Siria, vedendo una mano lacera e
sanguinante alzarsi per
indicare uno dei soldati che combattevano contro Aaron.
-Shay… è stato lui…-
Shaylee.
Il significato delle
parole di Siria lo raggiunse immediatamente, cancellando tutto il resto.
Shaylee.
Gli abiti laceri, il volto
tumefatto, la pelle lacera e sporca di terra.
Quell’uomo.
Era stato lui.
Shaylee.
Era stato lui
a osare.
Era stato lui
a toccare la donna che amava.
Era stato lui
a provocare quelle ferite.
.
E
Siria, Siria sapeva che Peter avrebbe voluto vendetta.
.
Lo guardò volgersi verso
quell’uomo attraverso la vista sfocata, appannata dal dolore
e dalle lacrime;
lo sguardo di Peter si era fatto duro, tagliente, pressoché
identico alla lama
vivida di Rhindon.
Per la prima volta, Siria
vide il Re Supremo agire in preda alla collera, il suo solito modo di
duellare
completamente stravolto: la spada si abbatteva su quella
dell’avversario con
una violenza spropositata, quasi eccessiva, un ringhio animalesco che
saliva in
gola al biondo Re.
Agiva con l’odio nel
cuore, Peter.
Combatteva con l’astio
distruttivo e sconvolgente di un uomo innamorato e pugnalato a morte,
di un
uomo che aveva visto la violenza subita dalla donna che amava, di un
uomo
accecato dalla rabbia e dal dolore.
Quell’animale
che aveva aggredito Shaylee non poteva avere scampo.
Non ebbe la forza, Siria,
di continuare a guardare: era stanca del sangue, era stanca della
morte, era
stanca dell’odio che guidava le azioni degli
uomini… avrebbe voluto piangere,
provata e distrutta da tutto quello che stava succedendo dinanzi a lei,
dallo
scontro sanguinoso che stava vedendo i soldati di Miraz soccombere
sotto i
colpi tremendi dei suoi amici, di suo fratello, di…
Due occhi neri e
angosciati si voltarono a guardarla in quello stesso istante,
cercandola per
assicurarsi che fosse ancora viva, che non l’avessero toccata
ancora.
Caspian.
Caspian stava combattendo
per lei… ma non doveva distrarsi, non doveva voltarsi a
guardarla, perché
Flynch…
Un
guizzo argenteo.
-NO!-
Un
fiotto di sangue.
.
Siria riuscì a
distinguere
soltanto lui.
Lui, che crollò a terra
di
botto, senza grazia.
Lui, dal viso chiaro
macchiato di sangue, la tunica squarciata sul petto.
Caspian.
Non dovette nemmeno
pensarci, ragionare, capire che ciò che le stava succedendo
era fuori dal suo
controllo.
Avvertì soltanto un
bruciore stillare dalla sua mente, scendere lungo la schiena e ridare
vita e
vigore al suo corpo devastato; gli occhi vitrei, vacui, focalizzati sul
ragazzo
a terra.
Caspian.
.
-CASPIAN!- Peter udì
soltanto l’urlo di Siria, una macchia rossa improvvisamente
libera che
sfrecciava a una rapidità impressionante verso il cuore di
quello scontro all’ultimo
sangue.
Non pensò nemmeno, non
comprese nemmeno cosa stava succedendo: Aaron abbandonò
repentinamente il
duello che stava sostenendo, fiondandosi verso la sorella ed il
principe a
terra, Angus Flynch si scagliò con tutta la sua forza
addosso alla ragazza…
-Siria!- esclamò,
vedendo
le mani livide e tumefatte della ragazza chiudersi sulla spada sfuggita
a
Caspian; chiunque l’avesse vista, ridotta com’era,
non avrebbe mai creduto di
poterla veder sollevare senza sforzo quell’arma tanto
pesante…
E invece Siria la strinse
nel pugno senza alcun fremito, il respiro profondo e rapido, gli occhi
lucidi,
stanchi, brillanti di una luce omicida che Peter le aveva
già visto una volta
in volto.
La distinse dissentire
appena con la testa, il volto immobile e improvvisamente animalesco.
Faceva
paura.
Per la prima volta da
tanto tempo Peter sentì lo stomaco contrarsi dal terrore,
una terribile fitta
d’inquietudine che lo trafiggeva senza possibilità
di scampo; Siria metteva
paura, in quel momento, più simile ad un demone che ad una
donna, l’odio scolpito
in ognuno dei tratti martoriati del viso.
Rimase lì, paralizzato
dall’orrore, quando quella furia rossa di capelli e di sangue
si abbatté sui
soldati che ancora combattevano.
Doveva
fare una scelta.
Peter si sentì in
trappola, quando si rese conto della situazione che lo circondava;
Caleb
combatteva con una mano soltanto, l’altra che sorreggeva
Talia, Aaron che
invece tentava di aiutare Caspian ad allontanarsi da lì;
Shay era al sicuro fra
gli alberi, alle sue spalle, gli occhi terrorizzati e immensi, le
labbra
schiuse in un muto grido di orrore.
Doveva
fare una scelta.
Doveva salvare tutti…
doveva salvare chi voleva essere salvato.
Ma
Siria, in quell’istante, desiderava soltanto la morte.
-Via!- fu il suo unico
ordine, voltandosi, distogliendo lo sguardo dal volto terribile
dell’amica,
cercando e trovando l’espressione inorridita di Shaylee.
Fu accanto a lei in un
istante, notando a malapena intorno a lui i loro compagni allontanarsi
con la
stessa velocità con cui se n’era andato lui, Aaron
sostenere un Caspian
sanguinante e quasi privo di sensi.
Passò un braccio intorno
alla vita della naiade, sollevandola fra le braccia quando si accorse
che
Shaylee non riusciva a muoversi, costringendola a forza a non guardare,
a
distogliere lo sguardo.
Balzò in sella al primo
cavallo che riuscì a trovare; Aaron e Caleb lo avevano
imitato, il rosso
portava con sé il principe quasi incosciente, il biondo
stringeva al petto una
Talia tremante ma dai polsi finalmente liberi… e lui teneva
Shaylee contro di sé,
una Shaylee dagli occhi spaventati e immensi, che si aggrappava con
forza alla
sua tunica di pelle brunita.
Voltò le spalle a quella
radura, ignorando che ancora quattro dei soldati fossero ancora vivi.
Non lo
sarebbero rimasti per molto.
.
.
Quegli uomini non ebbero
nemmeno il tempo di vederla.
Udirono soltanto un
ringhio, videro soltanto una macchia rossa sporcare il loro sguardo,
prima che
di Siria non restasse soltanto quell’essere.
Il primo cadde
prim’ancora
di rendersene conto; la ragazza gli fu alle spalle in un attimo,
spezzandogli
il collo con un gesto secco e terribile del braccio. Gli
dedicò soltanto una
rapida occhiata di crudele compatimento quando lo schiocco
risuonò
nell’improvviso silenzio della radura, la spada di Caspian
ben stretta in
pugno.
Gli occhi blu, vacui,
pieni soltanto di quella brama improvvisa di sangue, la precedettero di
un
istante sul corpo della sua seconda vittima.
La lama penetrò
facilmente
nel suo petto; era così semplice uccidere, era
così facile sentire la debole resistenza
della carne contro la lama, vedere la vita spegnersi negli occhi delle
loro
vittime…
Caspian.
Riusciva soltanto a vedere
lui.
Riusciva soltanto a
distinguere la lama di Angus Flynch affondare nel suo corpo, in quel
corpo che
amava, riusciva solo a rendersi conto del sangue che era sgorgato
copioso sulla
pelle chiara del principe, gli occhi neri sbarrati dal
dolore…
Una lacrima scivolò
lungo
la sua guancia tumefatta, quando la rabbia e il vuoto si fecero ancor
più
prepotentemente strada nel suo petto.
Caspian.
Era rimasto soltanto lui.
Lui, l’uomo che l’aveva torturata. Lui,
l’uomo che aveva colpito Caspian.
Era rimasto soltanto
Flynch, adesso, disarmato e atterrito dinanzi al mostro che Siria non
aveva più
motivo di trattenere.
Si godette la sua paura,
il suo terrore, il fremito che lo attraversava. Ora, era lui ad avere
paura di
lei.
-Angus.- sussurrò,
piano,
la voce ridotta ad un’inquietante carezza.
Flynch arretrò, dinanzi
all’espressione ferina ed omicida della ragazza; ma in un
lampo fulmineo Siria
lo colpì alle gambe, spezzando di netto il femore e
facendolo crollare a terra
in un urlo di dolore.
Non era
più lei la vittima, adesso.
-Avanti, mercenaria,
uccidimi. Il tuo principe è già morto, e tu
presto lo seguirai.- la beffeggiò,
la voce intrisa di odio puro, il ghigno malvagio che non spariva da
quel viso
distorto dalla crudeltà.
Non meritava altro che la
morte, quella bestia, non meritava altro che provare un millesimo del
dolore
che aveva inferto a lei…
Ma per un istante, per un
solo istante, Siria esitò.
A cosa
sarebbe servito?
Sarebbe soltanto diventata
uguale a lui… sarebbe diventata un’animale
esattamente come Flynch, una
creatura assetata di sangue e di sofferenza, che brama la morte degli
altri e
ne trae il godimento che le permette di vivere.
Ma
lei… lei era già un mostro.
Lo era
da sempre.
-Precedimi.- sussurrò,
la
vita che spariva definitivamente da quegli occhi blu.
.
E la lama affilata
penetrò senza difficoltà nel cuore di Angus
Flynch,
uccidendolo senza la minima pietà.
.
.
.
.
.
.
.
..
.
My
Space:
Prima di tutto: ho
alzato il rating della storia a ROSSO, per la presenza di queste scene
non propriamente leggere che non sono del tutto adatte ai lettori
minorenni. Se qualcuno avesse desiderio di seguire comunque la storia,
mi contatti privatamente per vedere se si può fare qualcosa:
la
responsabilità di eventuali problemi non voglio averla, per
questo mi sembra più accorto e responsabile evitare la
lettura
ai minori di diciotto anni.
Allora!!!
Visto
che ho aggiornato presto? xD oddio, non so quanto contenta io possa
essere, visto che qua sto seriamente rischiando di essere linciata per
tutto quel che sto combinando... questa lunga notte di dolore non
è ancora finita, non del tutto. Il prossimo capitolo
sarà
quello conclusivo di questa lunga spannung, e finalmente i nostri prodi
cavalieri prenderanno un po' di respiro ^^''''
Vorrei solo sottolineare una cosa: le canzoni che
scelgo per i capitoli non sono messe a caso, ma sono scelte con cura e
pazienza per rispecchiare l'atmosfera e il significato di ogni
capitolo. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :)
Bueno,
ho finito: vado a rimettermi in pari con mail/messaggi/recensioni a cui
rispondere (e poi magari inizio a studiare storia
ç__________ç qualcuno abolisca la quinta
superiore!)
UN'ULTIMA COSA!
Per chi volesse
seguire la saga di Rebirth&Co, ossia di questa fanfiction e di
quelle che seguiranno, mi potrete trovare qui: http://www.facebook.com/pages/Narnias-R/179945688714928,
la pagina ufficiale su Facebook! Enjoy it ;D
La
spada cadde senza un
suono nel terriccio incolto, fra le foglie secche e arrossate dal
sangue.
La
lama d’argento,
solitamente lucida e splendente anche alla fioca luce di una lanterna
notturna,
non brillava più: era sporca di macchie scarlatte, macchie
che rapidamente si
stavano rapprendendo, incrostando quella nobile arma di cicatrici che
non
sarebbero più andate via.
Una
mano candida tremò
terribilmente, quando unghie spezzate abbandonarono
quell’elsa umida e viscida
che non riusciva più a tenere in pugno.
Gambe
slogate fremettero,
improvvisamente incapaci di sostenere il peso di quel corpo
repentinamente
svuotato di tutto.
Siria
si lasciò scivolare
a terra, sconvolta, gli occhi blu due immensi laghi azzurri ricolmi di
orrore e
di tempesta.
Non
ce la faceva più…
Si
abbandonò in quel
sottobosco selvaggio e disordinato, incapace persino di capire che
cos’era
successo: la sua mente era vuota e vacua, soltanto una confusa nebbia
opalescente velava i suoi occhi e i suoi pensieri.
Che
cos’era successo?
Intorno
a lei vedeva
soltanto dei morti… vedeva soltanto degli uomini uccisi, una
spada abbandonata
ad un metro o poco più da lei, il sangue che zampillava
caldo e denso da una
ferita orrenda nel petto di uno di loro.
La
sua vista sfocata mise
a fuoco lentamente il volto del cadavere, la smorfia cattiva e crudele
che non
aveva abbandonato quel ghigno distorto dall’odio.
Angus
Flynch…
Angus
Flynch.
Quell’uomo
era Angus Flynch.
Lì
per lì Siria non
comprese, non riuscì a capire perché stava
assistendo ad una carneficina che
poteva soltanto essere opera di un mostro…
E
poi la verità la colpì
con la violenza di una mazzata, spezzandole il respiro e facendo
sgranare di
terrore i suoi occhi.
Era
stata lei.
Si
guardò intorno, la
testa che si muoveva convulsamente, improvvisamente terrorizzata da
ciò che
aveva intorno: ma non riusciva a comprendere, non riusciva a capire il
perché
di tutta quella violenza…
I
carnefici.
Erano
stati loro… i
ricordi tornarono a galla con prepotenza, scuotendola fin nel profondo
e
riempiendola di un orrore che non aveva eguali in nessun altro meandro
della
sua mente.
Li
aveva uccisi lei…
Era
stata lei a
raccogliere quella spada, era stata lei a dare libero spazio alla furia
distruttrice che covava da sempre dentro di sé: aveva
permesso alla sua
personale dannazione di riemergere, di prendere possesso di lei per
vendicare
ciò che era stato fatto a lei e alle sue amiche…
ma chi aveva scatenato quel
mostro? Chi?
Guardò
confusamente la
spada abbandonata accanto alle sue ginocchia martoriate… lei
la conosceva
quella spada, non era la sua Kain ma…
Caspian.
Quella…
quellaera
la spada di Caspian…
Siria
sgranò violentemente
gli occhi, quando la realtà le si rovesciò
addosso con la violenza della morte.
.
Caspian
era stato ferito. Da Flynch.
Angus
lo aveva ferito. Caspian.
Lei
aveva visto tutto… il Principe stava guardando lei, si era
distratto, e…
E
lei aveva reagito: lei aveva permesso al demonio che portava sempre
con sé di salire a galla, di darle la forza di reagire e di
uccidere uno ad uno
quei soldati che avevano soltanto cercato la morte.
Aveva
scatenato l’inferno, in quella radura: e Peter…
Peter, Peter
Pevensie, le aveva permesso di farlo.
.
Si
ritrovò a tremare con
violenza, il corpo che non riusciva più a trovare in se
stesso un sostegno
valido: scossa dalle convulsioni, cercò soltanto
l’appoggio della natura, della
madre Terra che aveva il profumo della sua amica Talia.
Si
accucciò fra le immense
radici di una misericordiosa quercia, serrando contro di sé
le ginocchia sudice
e martoriate, le lacrime che rigavano silenziose ed argentee le sue
guance
livide.
E
fu di nuovo perduta, perduta forse per sempre.
Di
nuovo travolta dai suoi
incubi, di nuovo in trappola nel buio che per tanto tempo
l’aveva divorata da
dentro; dentro, nel profondo della sua anima.
Il
mostro avanzava,
l’orrore si faceva largo dentro di lei, distruggendo tutto
quello che faticosamente
era riuscita a rimettere insieme di se stessa. La mangiava
dall’interno, il
sangue imbrattava la sua pelle candida, azzannandola con la stessa
crudezza
della morte.
Aveva
ucciso.
Quel
rosso, quel rosso era
ovunque, non le dava scampo…
Ne
aveva goduto.
Non
lo aveva ucciso in
battaglia, non era stato un duello leale. Lo
aveva giustiziato.
E
le era piaciuto. Quella
bestia incancrenita dall’odio aveva ruggito di trionfo nel
sentire la vita di
quegli uomini spegnersi fra le sue dita, nel sentire il sangue
sporcarle le
mani, insinuandosi sotto le unghie e mischiandosi con la sua pelle non
più così
pura.
Era
lei quella bestia.
.
.
Il
sapore del terriccio sulle labbra.
La
ghiaia le sfregia le guance, il rosso carminio dei capelli è
macchiato di un rosso molto diverso: il suo.
-Ha
ucciso!-
-È
un’assassina!-
Ha
ucciso. Ha tredici anni, e ha le mani macchiate di un sangue che
non se ne andrà mai.
S’è
difesa, lei. Stavano per ammazzarla come un cane idrofobo, per
violare quel corpo di ragazzina impura, per la sola colpa di essere
figlia di
sua madre; e lei non gliel’ha lasciato fare. Ha voluto vivere.
È
una bambina; una bambina a cui hanno portato via l’innocenza.
-Io
non…non è vero…- singhiozza, cercando
di alzarsi: ma un piede la
spinge violentemente di nuovo a terra, il volto nel fango.
Ha
paura, Siryn.
Hanno
ucciso sua madre. Vogliono uccidere anche lei. Ma lei non ha
fatto niente, non ha fatto nulla per scatenare
quell’ira… prima di quegli
uomini che volevano deturparla, ammazzarla. Prima di dover difendere la
propria
vita e il proprio corpo, lei era innocente.
L’hanno
costretta a uccidere.
Cos’altro
avrebbe dovuto fare?
-Lasciate
stare mia figlia!- sussulta, Siryn, e se potesse alzerebbe
lo sguardo; correrebbe da lui.
-Papà…-
suo padre è stato ferito, mentre cercava di proteggere sua
madre. È zoppo. Non può difenderla.
Ma
ci sta provando. Sta tentando di proteggerla, lei, la sua bambina,
la sua piccola Siryn… tutto ciò che gli resta di
sua moglie, arsa sul rogo.
L’odore della sua carne bruciata intossica ancora
l’aria.
Odore
di morte.
-È
figlia di tua moglie! È un mostro come lei, e lo ha
dimostrato
uccidendo!-
-Io
non…- singhiozza, la ragazzina, le lacrime che le rigano le
guance. -Io non sono un mostro…-
-A
morte!-
-Al
rogo!-
-NO!-
Un
sibilo, e poi un altro. Due frecce.
-Papà
SALI!-
L’uomo
che la bloccava a terra cade: e la ragazzina balza in piedi…
incredula,
sporca, in lacrime, salva.
Aaron.
Aaron
è lì. Aaron ha ucciso. Aaron l’ha
salvata.
Il
cavallo che suo fratello monta s’impenna, dietro di lui suo
padre
si aggrappa alle spalle ancora esili del ragazzo.
C’è un secondo destriero, è
per lei.
E
Siryn corre. Corre fra mani crudeli che lottano per farle pagare gli
omicidi che ha commesso, la sua colpa.
La
sua bestia.
.
-Stai
bene?- le chiede suo fratello, quando sono finalmente al sicuro.
Ma lei non risponde, rannicchiata in lacrime contro il tronco di un
albero; non
starà mai bene, mai più.
Quel
giorno, Siryn è morta.
È
morta la bambina allegra dalle lunghe trecce rosse: l’hanno
uccisa
quegli uomini, costringendola a lasciare che la violenza prendesse il
sopravvento su di lei.
Le
braccia, che strette intorno a lei cercano di trattenere i pezzi di
un’innocenza andata in frantumi.
.
Come
adesso. Come quella
volta.
Siria
si strinse ancora di
più contro quell’albero, gli occhi spiritati
inchiodati sui corpi delle sue
ultime vittime.
Le
ultime di tante…
.
È
lei il mostro.
È
lei la bestia.
.
Dov’era
Aaron, adesso?
Dov’era
suo fratello?
-A-Aaron…-
singhiozzò, il
corpo scosso da fremiti convulsi ed incontrollabili.
Dov’era
Aaron?
Suo
fratello le aveva
giurato di proteggerla… le aveva giurato che non
l’avrebbe abbandonata, di
difenderla da se stessa e dal mostro che si portava dentro…
e lei si era
fidata, chi altri aveva al mondo? Aaron era la sua famiglia, lo amava
con tutta
se stessa…
E
invece, anche Aaron
l’aveva abbandonata.
Era
quello che si meritava.
Era
lì, sola, le mani di
nuovo macchiate di un sangue che non era mai riuscita a lavare via.
Sola.
.
.
.
-Cornell.-
la voce di
Peter risuonò straordinariamente pacata, fredda, nel caos
notturno nel pieno
della foresta. Era la voce di un comandante, di un Re; era la voce di
chi si
aspettava di essere obbedito.
I
soldati avevano seguito
i quattro ragazzi lungo il sentiero che la magia di Shaylee aveva loro
indicato; e adesso erano poco oltre il fiume, al sicuro in terra
narniana, a
poco più di un’ora di galoppo dal punto in cui
avevano lasciato Siria.
Il
centauro si voltò
immediatamente verso di lui, il biondo che ancora stringeva fra le
braccia una
Shaylee in evidente stato di shock: la Naiade si stringeva a lui
incurante di
ciò che chiunque avesse potuto pensare, il viso immerso nel
petto ampio e
sicuro di Peter.
-Sì,
mio signore.- Cornell
annuì, rispettoso, chinando la testa al cospetto
dell’Alto Re di Narnia.
-Occupati
di tutto, riporta
tutti alla Casa di Aslan. Ti lascio il comando.- la ninfa
alzò gli occhi su di
lui, impaurita, confusa. Non voleva separarsi da Peter, non riusciva
nemmeno a
pensare di…
-Dove…-
cominciò, ma
l’espressione dura e determinata di Peter non
lasciò spazio a domande.
-Devo
tornare indietro.
Devo andare a prendere Siria.-
.
.
Ripercorrere
quella
strada, a cavallo, era stato molto più veloce di quanto non
fosse stata
l’andata. Peter aveva ricordato ogni passo, ogni varco fra
gli alberi; e a
guidarlo c’era l’ansia, la
preoccupazione… c’era la sensazione di aver
sbagliato, e di aver lasciato l’amica in mezzo ad un massacro
da cui non sapeva
se sarebbe uscita indenne.
Ma
dovette ricredersi
quando raggiunse la radura, il tanfo di morte che ammorbava
l’aria.
I
soldati erano tutti
morti, trucidati senza pietà da una spada che riconobbe come
quella di Caspian.
Eccola lì, abbandonata sull’erba, macchiata di
sangue.
Siria
non aveva fallito,
ma la notizia non lo rincuorava minimamente. Sapeva che ce
l’avrebbe fatta, che
sarebbe sopravvissuta… ma a quale prezzo? A quale prezzo le
aveva lasciato
uccidere quegli uomini, ben conoscendo l’orrore che scatenava
in lei
l’assassinio?
E
la risposta la trovò da
solo, nello stesso istante in cui distinse la figura tremante della
rossa.
Un
prezzo troppo alto.
-Siria…-
vederla così era
una pugnalata, una pugnalata dritta al cuore.
-Siria!-
quel richiamo gli
uscì istintivo, angosciato, pieno di una paura del tutto
nuova che pulsava
dentro di lui; e i piedi si mossero da soli, rapidi, veloci, per
correre da
lei.
Il
cuore gli batteva
forte, spaventato; Siria era piena di sangue e tremava, tremava con
violenza,
accucciata come una bestia ferita fra due grosse radici
d’albero e col volto
nascosto fra le ginocchia lacere.
Corse
da lei, crollando in
ginocchio al suo fianco, racchiudendo subito quelle spalle sussultanti
e lacere
fra le mani.
-Siria,
guardami!-
esclamò, scuotendola appena, concitato…
spaventato, da quella reazione che non
si sarebbe mai aspettato da lei.
Ma,
quando Siria alzò gli
occhi lividi sul suo volto… quando rispose al suo richiamo
disperato,
guardandolo, Peter sentì contrarsi qualcosa, dentro il suo
corpo, qualcosa di
terribilmente grande e orribilmente doloroso.
Morti.
I
suoi occhi erano morti.
Non
c’era vita, in quelle
iridi vacue: c’erano soltanto lacrime, paura,
terrore… un terrore ancestrale
che sarebbe riuscito a trascinarlo in quel baratro dove la rossa era
sprofondata, dove tremava del freddo e della paura di una morte che le
sporcava
indelebilmente le mani di rosso.
C’era
paura… paura di se
stessa, del sangue che aveva addosso, paura della nera falce che
aleggiava
sinistra nei suoi occhi spaventati.
-Peter…-
rabbrividì, il
Re, a quel sussurro atterrito che sfuggì da quelle labbra
tumefatte, violacee.
-Sono
qui Sir… è finita,
sono qui.- le sfiorò appena il volto, passandole un braccio
intorno alla vita e
stringendola lievemente a sé, sentendola accucciarsi come un
cucciolo ferito
contro al suo petto.
-Li
ho uccisi…- sussurrò
la ragazza, piano: e quella confessione lo gelò fin nel
profondo, per l’orrore
che vibrava in quei fremiti convulsi e terribili che scuotevano la
ragazza fra
le sue braccia. -A sangue freddo… io… io l-lo
volevo…- Siria alzò gli occhi
supplichevoli e spaventati su di lui,
scongiurandolo di non lasciarla sola, di non lasciarla
sprofondare…
Peter
sospirò,
preoccupato, sfiorandole il volto con delicatezza: era così
fredda…
-Sir,
basta.- le racchiuse il viso fra le
mani, guardandola in quegli
immensi occhioni da cerbiatta – occhi che, lo notava
solamente ora, somigliavano
incredibilmente ai suoi. -È finita. È tutto
finito.-
Calde
lacrime si
mischiarono al sangue, macchiando anche le sue mani; ma lui nemmeno se
ne
accorse, preoccupato com’era, ansioso com’era per
quella creatura sconvolta che
tremava contro di lui e sembrava sull’orlo di morire per il
terrore.
-Sono
un’assassina… lo
sono sempre stata…- il rantolo di Siria fu una gelida
ammissione, un’orribile
consapevolezza che nessuno dei due poteva negare: ma, per quanto
inequivocabilmente vera, a Peter non sembrò…
giusta. Reale.
Siria
non era
un’assassina.
Quelle
iridi erano troppo
limpide per essere quelli di una spietata omicida… e quelle,
quelle non erano
lacrime di morte, ma di sofferenza.
-No,
non lo sei.-
sussurrò, scostando i capelli rossi dal volto martoriato e
accarezzandole con
tutta la dolcezza possibile una guancia, tentando di infonderle almeno
un poco
di pace.
E
quella tranquillità,
quella decisione con cui Peter pronunciò quelle pochissime
parole… riuscirono a
far breccia nel terrore che la riempiva, aprendo uno squarcio nella
nera cappa
di dolore che l’ammorbava.
Alzò
gli occhi per
guardarlo, lo sguardo appannato dalle lacrime.
C’era
una sicurezza tale
in quegli occhi azzurri…
Per
la prima volta da
giorni Siria si sentì protetta, finalmente lontana dalle
grinfie di quegli
aguzzini che tanto male avevano fatto a lei e alle sue compagne.
Era
al sicuro.
Per
la prima volta da
troppe ore si rese conto di non essere più in pericolo, di
poter respirare
davvero; la schiena doleva terribilmente ogni volta che inspirava, ma
almeno
adesso il sapore dell’aria era dolce, confortante, amico.
Era
con Peter.
Peter,
che era tornato indietro soltanto per aiutarla, per non
abbandonarla in quel calvario di morte e di sangue.
Cercò
di prendere fiato,
di calmarsi almeno un poco.
Socchiuse
gli occhi,
respirando a fondo e tentando di concentrarsi su qualcosa che non fosse
l’odore
del sangue che permeava quella radura; cercò di focalizzare
l’attenzione su
Peter, sulla sua presenza calda e sicura accanto a lei, sul pensiero
che le
rimbalzava in testa da quando lo aveva riconosciuto.
Era
tornato per lei.
-Va
tutto bene, Sir. Sono
qui io, con te. È finita.- il biondo le accarezzò
la fronte, i capelli
macchiati di sangue, senza curarsi delle macchioline scarlatte che
sfiorarono la
sua pelle bronzea. Ci credeva, ci credeva davvero; non
l’avrebbe lasciata sola,
non l’avrebbe mai abbandonata in un momento del genere.
Ormai
era troppo
importante, per lui… era la prima persona, a parte Shaylee,
che all’infuori
della sua famiglia trovava un posto nel suo cuore.
Fu
quasi naturale, in
quell’attimo, stringerla a sé con tenerezza, la
testa rossa che trovava
l’incavo del suo collo dove nascondersi e il respiro che si
acquietava
lentamente contro il suo petto.
Le
passò un braccio
intorno alla vita, sentendola fredda e ancora tremante al confronto con
la
temperatura del suo corpo; la serrò maggiormente contro di
sé, a quella
consapevolezza, avvertendola cercare il suo calore come una bambina nel
buio.
Siria
era così fragile… non
si era mai accorto di quella debolezza, di quella creatura limpida e
pura sotto
la cinica maschera che la raminga gli aveva sempre mostrato.
Cominciava
a capire il
motivo per cui era così semplice affezionarsi a
lei… era successo con Lucy, con
Edmund, per non parlare di Caspian.
E
stava capitando anche a
lui.
Era
difficile, una volta
scorta la ragazza sotto quella scorza, non volerle bene.
Ascoltò
per molti attimi
il suo respiro farsi via via più calmo, la tensione del suo
corpo sciogliersi
appena; sapeva che Siria aveva gli occhi chiusi, che stava tentando di
ignorare
il macello che vigeva intorno a loro.
-…Talia?-
fu il sussurro
tremante della ragazza, dopo un silenzio durato a lungo, accoccolata
nel calore
di quell’abbraccio che tanto conforto riusciva a trasmetterle.
Non
voleva muoversi, non
voleva aprire gli occhi e tornare al mondo; avrebbe soltanto rivisto
gli uomini
che aveva ucciso… era al sicuro lì, con Peter,
fra quelle braccia che la
stringevano con tanta sicurezza.
Ma
doveva sapere… voleva.
-Sta
bene, era già in
piedi quando sono andato via.- la rassicurò, sentendola
rilassarsi
impercettibilmente e sospirare, sollevata. Ma Peter sapeva che
c’era un’altra
domanda che la ragazza voleva porgli; una domanda che la spaventava,
che
l’angosciava, ma che aveva terribilmente bisogno di una
risposta.
Non
riusciva a pronunciare
quelle parole… era troppa la paura di scoprire che qualcosa
di brutto era
successo, che il suo cuore non aveva più motivo di battere.
-Caspian
è vivo. C’è
Shaylee, con lui.- affermò, sicuro, senza nemmeno dubitare
di quale fosse la
realtà di cui Siria aveva bisogno.
Sollievo.
La
rossa si abbandonò
completamente contro di lui, a quelle parole.
Caspian
era vivo.
Quel
massacro non era
stato inutile…
Caspian
era vivo, non
erano riusciti ad ucciderlo… tutta quella paura, quel
maledetto terrore non era
stato vano…
Socchiuse
gli occhi,
serena forse per la prima volta da quando aveva visto la spada lacerare
il
petto di Caspian.
-Grazie.-
sussurrò,
dolcemente, stringendosi a lui per la prima volta con sincero affetto:
fra le
braccia di Peter si sentiva al sicuro, si sentiva protetta…
si sentiva a casa.
Rimase
in quel rifugio
caldo per un’altra manciata d’istanti, prima di
sciogliere quella stretta gentile
e tentare di sollevarsi sulle gambe ancora frementi: tentare,
perché la presa immensamente forte di Peter la trattenne
contro di lui, nell’incavo del suo petto.
-Dove
credi di andare?- le
chiese, sentendola sussultare quando la serrò con
più decisione contro di sé.
Non
le avrebbe permesso di
allontanarsi da lui: non l’avrebbe lasciata andare, non dopo
lo spavento che
aveva preso a causa di quella maledetta rossa a cui tanto si era
ritrovato a voler
bene.
-Voglio
alzarmi.- rispose
lei, attonita, senza comprendere l’atteggiamento del biondo:
sembrava non
volesse lasciarla andare… e infatti Peter serrò
maggiormente le braccia intorno
alla sua vita esile, guardandola esattamente come se nessun taglio
deturpasse
il suo viso, come se nessun livido macchiasse la sue pelle: lo sguardo
di Peter
Pevensie era lo stesso che le aveva sempre rivolto, quel misto
d’ironia e di
rispetto che le era diventato, alla svelta, essenziale.
-Ah,
no…- Siria non ebbe
nemmeno il tempo di replicare: il gesto di Peter fu rapido e sciolto, e
in meno
di qualche istante si ritrovò sollevata fra quelle braccia
sorprendentemente
forti, mentre con una mano Peter recuperava agilmente la spada di
Caspian.
Si
sentì arrossire, gli
occhi lividi che si allontanavano dal volto irritantemente tranquillo
dell’Alto
Re, le dita deboli che si stringevano sulla casacca del biondo: mai,
mai come
in quel momento si era sentita tanto fragile… fragile come
un giunco nella
tempesta, come la fiammella di una candela nel turbine più
impetuoso.
-Peter,
so stare in piedi,
cammino da sola!- protestò, tentando di divincolarsi
– come una bambina, come
una creatura molto diversa da quella che Peter aveva imparato a
conoscere:
sorrise appena, contrastando la sua lotta senza troppo penare,
scoccandole
un’occhiata di fuoco che riuscì a zittirla
– una buona volta,
finalmente.
-Piantala.-
le ordinò,
pentendosene immediatamente quando la vide rabbuiarsi.
Siria
assomigliava così tanto a Lucy, in quel momento…
-Ma
mangi, ogni tanto? Sei
leggerissima.- le chiese, tentando di evitare che le proprie parole
tradissero
la tenerezza che quella ragazza gli provocava: il mondo in quel momento
non
esisteva, il massacro intorno a loro aveva perso
d’importanza…
C’erano
soltanto loro: due
ragazzi, due amici, due combattenti ormai stanchi della guerra e della
morte
che tentavano disperatamente di ignorare la crudeltà del
mondo che li
circondava.
Siria
distolse lo sguardo,
quando Peter salì a cavallo non senza difficoltà,
portandola con sé.
Non
lo avrebbe mai
ammesso, ma… doveva essergli grata, per
quell’accortezza. Non era sicura di
essere in grado di camminare, in quel momento…
-Non
ho mai vissuto in
palazzi eleganti, Peter. A volte non si trova da mangiare, in mezzo ad
una
foresta.- mormorò, nella voce una velata critica che
spezzava definitivamente
quel momento di serenità che era venuto a crearsi fra loro:
sentì qualcosa
agitarsi nervosamente dentro di lei, a quella
consapevolezza… non voleva
tornare al mondo, non voleva tornare al sangue e al dolore che la
stavano
aspettando al di là di quella foresta.
Voleva
soltanto restare
lì, a godersi il calore dell’abbraccio di quello
che stava cominciando a
considerare un fratello.
.
.
.
Il
caos, alla Casa di
Aslan, regnava totale.
Shaylee
si muoveva rapida,
sfrecciando da una parte all’altra degli angusti corridoi
scavati nella viva
pietra; Lucy tentava di assisterla come poteva, ansiosa, maledicendo
fra sé sua
sorella e l’osservazione maledettamente sensata che le aveva
fatto pochi minuti
prima.
La
Pozione del Fiore di
Fuoco avrebbe potuto curare tutti loro, le ferite lievi di Caleb e
Aaron e la
gamba rotta di Talia: ma Sue le aveva fatto notare che la pozione
sarebbe stata
molto utile durante le battaglie, che non erano in pericolo di
vita… e Shaylee
era una cerusica, iniziata all’arte della medicina e della
guarigione da
diversi secoli, ormai.
Caleb
e Aaron avevano
riportato ferite lievi, non gravissime: un paio di tagli, una spalla
lussata.
La gamba di Tallie si era saldata troppo velocemente, l’osso
aveva formato
un’angolatura innaturale con il ginocchio… la
ninfa, i denti stretti e l’orrore
negli occhi, si era vista costretta a spezzarla di nuovo,
l’urlo muto di Talia
che ridondava terribilmente nella sua mente.
Dopo
averla steccata a
dovere, aveva disinfettato e ricucito Aaron e Caleb; il biondo non
aveva
fiatato mentre Shay ripuliva la brutta ferita che solcava la sua
fronte, gli
occhi ancora distanti e preoccupati mentre guardava una Talia esausta e
semi
incosciente, dolorante per la gamba nuovamente rotta.
La
ninfa non si era
fermata un secondo, nemmeno quando un fauno aveva annunciato il ritorno
dell’Alto Re e di Siria; non si era fermata,
perché tutta la sua preoccupazione
si era concentrata sulla ferita profonda che squarciava il petto di
Caspian.
La
Pozione di Lucy, in
quel caso, non sembrava avere effetto: il principe aveva la febbre
alta, la
ferita non accennava a rimarginarsi… Shaylee deterse ancora
una volta quella
fronte madida con un panno umido, lanciando un’occhiata
ansiosa alle bende già
arrossate dal sangue.
Caspian
respirava
affannosamente, i capelli scuri bagnati di sudore e gli occhi serrati,
le
labbra strette in una smorfia di sofferenza. I pugni erano contratti,
il petto
si alzava e si abbassava troppo velocemente…
Avrebbe
potuto curarlo,
forse… avrebbe potuto attingere a quella magia che sentiva
sempre più potente,
dentro di lei, avrebbe potuto fare qualcosa per migliorare la
situazione… ma
sentiva che un’altra energia, un’energia che
pulsava immensa e terribile a poca
distanza da lei, sarebbe stata in grado d’intervenire.
Vibrava
con la stessa intensità delle fiamme, quelle fiamme che, in
quella notte di sangue, rischiaravano la foresta sino al cielo.
Caspian
era grave… molto.
Forse
non sarebbe riuscito
a passare la notte, senza un intervento magico… senza
quell’energia che pulsava
d’ostinazione e paura appena sotto il velo di una pelle
martoriata.
Pelle
che apparteneva alla
donna che in quel momento spalancò la porta della spartana
stanzetta di
Caspian, seguita da un Peter dall’espressione maledettamente
preoccupata.
.
.
-Lascialo
riposare.-
Caspian
si mosse appena,
mugolando qualcosa d’indefinito, muovendo appena la testa.
Si
rese appena conto del
freddo che attanagliava il suo petto scoperto, le bende strette
macchiate di
rosso vicine al cuore, un dolore lancinante che trafiggeva ogni singolo
millimetro di pelle lacerata.
Quella
era la voce di Shaylee,
la riconosceva… ma era lontana, lontana come se la stesse
ascoltando attraverso
la stoffa piena ed isolante di un cuscino…
-Shay,
per favore, ti prego, io
non…-
La
testa gli doleva
terribilmente, gli occhi neri erano chiusi e la fronte fasciata. Non
stava
bene, sentiva la pelle scottare, probabilmente aveva la
febbre… si sentiva
morire, anzi, forse la morte sarebbe stata un rimedio più
pietoso alla tortura
che provava in quel momento, il torace squarciato, la carne viva che
pulsava
sotto la stoffa macchiata delle bende.
Avvertì
altre parole,
altri discorsi che non riuscì a cogliere, la pelle che
bruciava e i pensieri
sempre più confusi, deliranti.
-Vai.-
Peter…
Peter,
che prendeva le
difese di Siria?
Stava
delirando, non vi
era altra spiegazione possibile. La febbre era più alta
anche di quanto si
sentiva addosso… era perso in un sogno, in un desiderio,
nell’immaginare un
tocco caldo e delicato che improvvisamente lo sfiorava sulla guancia.
-Caspian…-
Eppure
la sentiva così
vera, accanto a sé… piangeva, lo avvertiva nella
sua voce tremante, nel tocco
insicuro delle sue dita.
Siria,
perché piangi?
Non
poteva nemmeno
immaginarli quei due occhioni blu pieni di lacrime, spaventati,
terrorizzati… perché,
poi? Per lui? Ma lui stava bene, era vivo…
-Siria…-
soltanto
mormorare il suo nome, in quell’istante, gli costò
un prezzo altissimo. Una
terribile vertigine lo travolse, facendo serrare di scatto i suoi pugni
– ma
sentì qualcosa di soffice nella mano sinistra, mentre dita
affusolate
accarezzavano tremanti la sua fronte bruciante.
-Stai
buono… non agitarti,
sono qui.- gli sussurrò, e sì, era davvero Siria,
era davvero accanto a lui,
gli accarezzava il volto e gli teneva la mano, dolce come non mai, in
lacrime,
spaventata…
Siria.
Ricordava
soltanto di
averla vista… in trappola, dopo una lunga tortura che aveva
osato rovinare il
suo bellissimo viso, il suo corpo, gli occhi blu tumefatti e
spaventati… aveva
combattuto per salvarla, e poi… quell’uomo, quel
soldato…
Serrò
gli occhi, quando
quel ricordo, il dolore, si fece più forte.
Siria
lo guardò agitarsi
appena, muovere la testa, il volto imperlato di sudore, la stretta
nella sua
mano più salda che mai. Le palpebre erano strette, dalle
labbra sfuggivano
parole senza senso, il petto si alzava e s’abbassava veloce,
in scarti
diseguali, irregolari.
-Sir…-
la rossa si voltò
di scatto, ansiosa, verso la Naiade: Shaylee si stava torcendo le mani,
i suoi
occhi erano lontani, angosciati, le labbra tormentate dai piccoli denti
bianchi.
-Dimmi
che puoi fare
qualcosa.- esordì, una nota di panico nella voce: panico che
aumentò non appena
distinse l’espressione sconfitta di Shaylee, e i suoi
pensieri chiudersi
repentinamente a lei.
-Siria…-
cominciò la
ninfa, senza guardarla, sconfitta.
-Shaylee,
ti scongiuro,
dimmi che puoi fare qualcosa…- la voce di Siria si ridusse
ad un sussurro
disperato, ad una preghiera – uno scongiuro che Siria non
aveva mai
pronunciato, perché lei non avrebbe mai implorato nessuno,
non avrebbe mai
rinunciato tanto a se stessa per…
Per
Caspian?
Shay
alzò lo sguardo,
stupita da quelle parole e dalla determinazione nelle iridi
dell’amica: Siria
era pronta a qualsiasi cosa, per il principe… qualsiasi
cosa.
-Io
no, ma… tu sì.-
mormorò, piano, sostenendo finalmente gli occhi
improvvisamente terrorizzati
della raminga.
-Io?-
quasi non credette
alle parole della ninfa, Siria.
Lei?
Come
avrebbe potuto, lei?
Era
soltanto… lei era
solo…
Siria
avvertì i propri
pensieri incespicare, disperdersi, mentre la consapevolezza di
ciò che Shaylee
aveva appena detto le entrava dentro – con la violenza di una
pugnalata in
pieno petto.
-Ma
io non… non ne sono in
grado, non sono capace, non… non è buona la mia
magia…- sussurrò, piano,
stringendo i pugni tanto da arrivare a far sanguinare i palmi.
Era
la prima volta che
Siria ammetteva ad alta voce di non essere umana, di non appartenere
alla razza
di Caspian e degli altri; si ritrovò ad abbassare lo
sguardo, vergognandosi di
sé e di ciò che non poteva rinunciare ad essere
– vergognandosi di essere un mostro,
una creatura creata solo per fare
del male.
-Eppure
ti ha curata.- le
fece notare la Naiade, accennando alla sua figura: dopo tutto
ciò che aveva
passato, la rossa non avrebbe dovuto essere in piedi… e
invece, quando aveva
visto cadere Caspian, qualcosa dentro di lei era scattato.
Qualcosa
di oscuro si era
acceso nel suo cuore, ridando vigore alle sue gambe e al suo odio.
Non
era riuscita a
guarire, a cancellare ciò che deturpava il suo viso e il suo
corpo; ma quella
forza ancora la teneva in piedi, la sosteneva nel sopportare il dolore
immane
che avrebbe dovuto provare – e che invece, in quel momento, non sentiva.
-Con
la forza dell’odio,
sì. Come una maledetta.- mormorò, atona, tornando
a guardare il volto di
Caspian: il suo principe stava morendo, lo sapeva… e lei non poteva fare niente, per
salvarlo. -Shaylee…- iniziò,
incerta persino su come continuare, conscia soltanto di non essere in
grado di
poterlo aiutare.
-Siria,
tu puoi farlo. Io
lo so.- la voce di Shay le giunse incorporea, lontana, le iridi che non
si
separavano dal viso di Caspian. -Io mi fido di te.-
Si
voltò di scatto, Siria,
a quelle parole.
Si
fidava di lei?
Come
poteva fidarsi di
lei, Shaylee? La ninfa aveva visto chiaramente quanto grande e quanto
distruttiva potesse diventare, quanto terribile fosse il mostro che si
trascinava dietro da una vita intera…
-Io…-
non riuscì a
sostenere lo sguardo sicuro dell’amica, il coraggio che
tentava di infonderle
con quelle dannatamente espressive iridi dorate. -Io sono fatta per
fare del
male, Shaylee…-
Fu
un’ammissione difficile,
da fare.
Fu
difficile, e orribile,
ammettere che lei non era nata per qualcosa di buono, per una vita
normale e
serena, per un’esistenza tranquilla e felice.
Lei
era un mostro, e come tale era destinata a vivere.
E
a morire.
La
mano piccola della naiade
si chiuse su quelle livide e rovinate di Siria, fermandone il fremito
spaventato.
-Non
è vero.- le assicurò,
piano, sentendo qualcosa agitarsi dentro di lei quando le iridi piene
di
supplica dell’amica si voltarono di nuovo a guardarla.
-Io
non… non so come
fare…- Siria sentì le gambe minacciare di cedere
sotto il peso di quella
responsabilità, sotto lo sgravo che il terrore stava
scavando dentro di lei…
E
se avesse sbagliato?
E
se gli avesse fatto del male?
Non
avrebbe saputo
tollerare… non avrebbe potuto sopportare l’idea di
aver fatto del male a
Caspian.
Sentì
calde lacrime di
frustrazione rigarle le guance, mischiarsi al sangue che non era
nemmeno
riuscita a lavare via dal suo volto; ignorò il fastidioso
pizzicore di quelle
gocce salate sulle ferite ancora aperte, accarezzando con dolcezza la
fronte
madida di sudore del suo principe.
Caspian
gemeva piano,
incosciente, tormentato da quella febbre che sentiva ardere sotto le
dita
sussultanti.
Aveva
bisogno di lei…
Ma
come poteva agire, come
poteva sapere come comportarsi se ciò che aveva dentro non
aveva mai fatto
altro che distruggere, nella sua
vita?
Era
una creatura del male…
questo aveva imparato, questo la maledizione che gravava sulle sue
spalle
l’aveva convinta di essere.
Ma
Caspian… Caspian si sarebbe fidato di lei…
I
suoi occhi arrossati
sfiorarono i lineamenti contratti del ragazzo, seguendoli con ansia
sempre più
grande, la paura che permeava il suo stesso respiro. Scostò
i riccioli madidi
rimasti incollati alla pelle sudata, l’altra mano che
sfiorava tremante le
bende umide di sangue che fasciavano il petto di Caspian.
Era
caldo… era così
maledettamente caldo, il suo corpo, il punto in cui la ferita
s’immergeva nella
carne ancor più profondamente era bollente quasi quanto il
fuoco delle torce che
ardevano a pochi metri da Siria.
Le
sentiva scoppiettare,
la raminga, nel silenzio assoluto rotto soltanto dai singhiozzi che
percuotevano crudelmente il suo corpo stremato.
Poteva
avvertire l’odore
del legno che bruciava lentamente, dell’olio che fungeva da
combustibile…
poteva sentire la consistenza di quei ciocchi d’albero mentre
si sgretolavano e
mutavano in cenere, sotto i morsi saldi e voraci delle fiamme.
Poteva
sentire il bisogno del fuoco di ardere, di trovare qualcosa da
bruciare per non morire lui stesso.
Sussultò,
allibita, quando
quella sensazione del tutto nuova rimbombò dentro di lei.
Poteva
sentire la forza delle fiamme, il loro bisogno di vivere e
innalzarsi nell’aria, bruciando tutto ciò che
incontravano sulla loro strada.
Vacillò,
Siria, sotto
l’improvvisa consapevolezza di riuscire ad ascoltare quel
fuoco maledetto.
Parte
di lei avrebbe
voluto scappare, allontanarsi, fuggire… parte di lei aveva
il terrore di non
essere abbastanza forte, di fallire, di perdere il controllo e arrivare
a fare
del male a Caspian…
Ma
l’altra… l’altra rimase
affascinata, da quella voce.
La
voce di quelle fiamme
la chiamava a sé con tenerezza, attirandola verso
ciò che aveva sempre
rinnegato, ripudiato, allontanato da sé con terrore e
disprezzo.
Ma
lei… lei apparteneva a
quel fuoco, apparteneva a quell’elemento come mai si era
sentita parte di
qualcosa.
Corde
mai scoperte, dentro
di lei, vibravano della stessa armonia di ogni singolo scoppiettio: era
come
una musica, una melodia scandita dalle lingue di fiamme che bruciavano
il legno
imbevuto d’olio, danzando dentro di lei.
.
Non
avere paura, Siryn.
.
Siria
si ritrovò a
tremare, lacrime silenziose che rigavano il suo viso: quella voce le
era
terribilmente familiare, sebbene fossero passati tanti anni
dall’ultima volta
che aveva avuto la possibilità di udirla… quella
voce non era la stessa che la
spingeva sulla strada dell’odio, del rancore e della
vendetta, quella voce era
calda, morbida…
Quella…
quella era la voce
di sua madre.
.
Andrà
tutto bene, bambina. Devi soltanto avere
fiducia in te.
.
Sentì
il cuore scoppiare,
Siria, quando la dolcezza di quel fuoco fatuo la sfiorò con
una carezza
lontana, impercettibile.
Sentiva
la presenza di
un’anima, di una creatura figlia di quello stesso fuoco che
ballava suadente nel
suo petto, in quelle lingue infiammate; un’anima che aveva
avuto un nome ed un
corpo, un’anima che quei roghi avevano portato via con
sé… prendendola con
loro, dandole nuova vita e nuova esistenza.
.
Io
non… io… mamma…
.
Siria
sentì calde lacrime
bagnarle il viso tumefatto, le palpebre socchiuse da cui sfuggivano
scintille
scarlatte: la presenza calda e concreta di sua madre colmava quel vuoto
che non
era mai riuscita a cancellare, ad ignorare dentro di
sé… quel vuoto immenso che
solo la morte poteva causare, un vuoto che, per Siria, era sempre stato
tremendamente presente.
Sua
madre…
Sua
madre era lì, fra
quelle fiamme che sprigionavano sicurezza e calore.
Sua
madre era lì, e quella magia non
poteva essere sbagliata,
non poteva essere un errore…
.
Salvalo,
bambina mia. Salvalo, amalo come mai
sinora.
.
Non
c’era più paura… per
un istante, per un solo istante Siria avrebbe voluto ridere, sentendo
il cuore
esplodere di quelle fiamme che troppo a lungo aveva trattenuto dentro
di sé,
relegate in un anfratto buio e oscuro della sua anima.
Non
c’era nulla di sbagliato…
Non
poteva esserci nulla
di sbagliato nella sensazione che stava provando, nel crepitio che
avvertiva
appena al di sotto del velo candido della sua pelle: sapeva di essere
al posto
giusto, nel momento giusto, forse per la prima volta nella sua vita non
temeva
quel fuoco che aveva sempre temuto potesse dilaniarla…
Caspian.
Il
nome del principe
rimbombò prepotente fra i suoi pensieri.
Caspian.
Siria
spalancò gli occhi,
di botto, senza preavviso, rosse scintille che s’impigliavano
nelle folte
ciglia scure; le iridi solitamente di zaffiro ardevano di un fondo
cupo,
scarlatto – la fenice impaziente agitava le ali imbrigliate,
stanca di non
poter volare.
Fra
le dita sentiva
snodarsi un invisibile lingua di fuoco che brillava soltanto ai suoi
occhi,
sfuggendo il suo sguardo ma accarezzandole la pelle, trasmettendole il
suo
calore e sanando i piccoli taglietti sulle nocche e sulle falangine.
Il
fuoco distruggeva… il fuoco distruggeva e poi creava,
nascendo dalla
desolazione e dalla morte.
Il
fuoco… il fuoco era
ovunque, adesso.
Ardeva
ai limiti del suo
campo visivo, scacciando la stanchezza ed il dolore che minacciavano di
sopraffarla da un istante all’altro: ardeva e le dava la
forza di apporre le
dita tremanti accanto alla ferita di Caspian, sentendo per la prima
volta la
pelle del principe più fredda della sua.
Lo
stava facendo soltanto per lui…
Il
crepitio dentro e fuori
di lei era alimentato soltanto dalla paura, dal terrore di perderlo.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa, per salvarlo…
Persino
accettare se
stessa, persino dare libero sfogo a quella parte di sé che
aveva sempre celato,
nascosto, odiato…
avrebbe fatto tutto, per salvargli
la vita.
Tutto.
.
E
allora fallo, Siryn.
Salvalo,
riportalo indietro: riportalo da te.
.
E
Siria semplicemente
obbedì a quel sussurro dolce e rassicurante, lasciando che
la stessa fiamma che
languiva calda e densa dentro di lei scivolasse fra le sue dita,
sfiorando la
ferita bruciante sul petto del principe.
Lei
poteva…
Lei
poteva vedere.
Lei
poteva sentire.
Poteva
scorgere le
scintille dorate che scoppiettavano fra le ferite che martoriavano la
pelle
delle sue mani… poteva vederle scivolare sapienti fra le
bende inzuppate di
sangue che fasciavano il torace snello di Caspian, immergendosi nelle
ferite
del ragazzo e scendendo a sanare la carne lacerata dalla lama crudele
della
spada.
Rabbrividì,
la ragazza,
quando avvertì la sua stessa energia fluire prepotentemente
dal suo corpo a
quello del principe: le gambe cominciarono a tremare, le ferite
lentamente
ripresero a tormentarla, i danni interni che ricominciavano a farsi
sentire.
Serrò le palpebre, la fronte imperlata di sudore e le labbra
livide, il sangue
che minacciava di fermarsi dal suo naturale corso dentro di lei.
Non
poteva farcela…
Sarebbe
morta, nel farlo.
Sarebbe
morta, non sarebbe
riuscita a sopravvivere a quel salasso a cui la magia la stava
sottoponendo…
Ma
sentiva, sapeva
che
avrebbe funzionato.
Forse
lei non ce l’avrebbe
fatta… ma non avrebbe fallito.
Sentiva
le fiamme scendere a bruciare e distruggere, distruggere e
ricostruire quel cuore che Caspian aveva deciso di donare a lei.
Sarebbe
guarito… per un
istante, per un solo istante, avvertì nel corpo stanco lo
stesso battito che
riprese violentemente a pulsare nel petto dell’uomo che amava.
.
Lo
sentiva pulsare.
Forte,
caldo, vivo, lei lo sentiva battere.
Lo
sentiva vivo.
Ascoltava
il battito finalmente chiaro e limpido del cuore di Caspian,
il sangue che riprendeva a scorrere prepotente e fluido nel suo corpo
altrimenti stremato: la riempiva e la completava come mai, quel suono
che tante
volte aveva ascoltato, di notte, che tante volte aveva percepito sulle
sue
labbra.
Quel
ritmico pulsare arse dentro di lei, accordando il corso di due
cuori che vivevano l’uno dell’altro.
.
Fu
quel pensiero, quella
parola, quella consapevolezza, a darle la forza di prosciugare
completamente se
stessa.
Vide
e percepì scemare da sé
le fiamme nello stesso istante in cui seppe che le ferite di Caspian
erano
completamente guarite: sentì le gambe crollare, gli occhi
che si abbandonavano nell’oscurità
che aveva pizzicato agli angoli del suo campo visivo per tutto il
tempo, la
stanchezza ed il dolore che prendevano il sopravvento sul suo fisico
provato.
Ma,
mentre crollava nel
fitto buio che aveva minacciato sino a quel momento di ghermirla, Siria
avvertì
ancora una volta spalancarsi quella voragine – quel burrone
cupo e malvagio che
tentava, ogni volta, di trascinarla con sé.
.
Non
illuderti, Siria.
Tu
sei mia.
.
.
.
.
.
-Peter!-
nessuno, forse,
avrebbe mai visto quella precisa espressione sul volto del Re Supremo,
in
seguito. Nessuno avrebbe mai potuto raccontare del puro terrore apparso
sul
volto del biondo, al suono angosciato e terribilmente ansioso della
voce di
Shaylee, che lo chiamava.
Nessuno,
avrebbe mai
raccontato della fitta di terrore che attraversò il suo
petto in quell'istante,
cancellando il colore dalle sue guance bronzee.
Peter
si fiondò nella
stanza alla velocità massima che i suoi piedi gli
consentirono: aveva paura,
nemmeno lui sapeva perché… aveva paura di
scoprire che qualcosa d’irreparabile
era appena successo.
Ma,
quando irruppe poco
gentilmente nell’angusta stanzetta dove Shay aveva fatto
portare il principe,
rimase attonito davanti ad una scena che non si sarebbe mai aspettato.
Siria.
Siria
era abbandonata
contro al giaciglio di Caspian, priva di sensi e di qualsiasi colore
sulle
guance completamente candide. Ogni singolo taglio, livido, ferita,
risaltava
con orribile freddezza su quel foglio bianco che era la sua pelle, il
suo corpo
martoriato una cruenta maschera di violenza e dolore.
Pareva
non respirare.
Pareva
non essere viva.
La
testa ramata ciondolava
sulla spalla, immobile. L'espressione era esausta, stanca, era
l'espressione di
chi ha smesso di lottare, di chi si è lasciato andare
all'oblio...
-Siria!-
Peter non si
accorse del terrore che venava la sua voce; non si accorse del cuore
che
bruscamente pareva incrinarsi, della bolla nera che pareva risucchiare
il suo
respiro.
Si
fiondò semplicemente
accanto all'amica, senza il coraggio di sfiorarla, perché la
pelle candida
pareva così maledettamente fredda...
-Cos'è
successo?- ripeté,
quasi in un sussurro, rivolgendosi a Shaylee con qualcosa di
terribilmente
implorante nelle iridi azzurre.
Ma
la naiade, non per la
prima volta, parve sorda alle sue parole, alla sua richiesta: si
avvicinò con
dolcezza all’amica, senza guardarlo, sfiorandole il viso e
sospirando di
sollievo, quando avvertì il respiro flebile, ma presente,
della rossa.
-Aiutami,
per favore. La
portiamo di là.- sussurrò, pianissimo,
rivolgendosi al biondo; biondo che non
esitò nemmeno per un istante, sollevando il corpo esile e
provato della raminga
fra le braccia, sentendo nuovamente qualcosa incrinarsi quando si rese
conto di
quanto Siria fosse leggera.
Seguì
Shaylee sino ad una
camera attigua a quella del principe, dove non c’erano altro
che un giaciglio
ed un piccolo mobile intagliato nel legno grezzo. Fu su quel parco
letto che
posò il corpo dell’amica, facendosi immediatamente
da parte quando Shay
estrasse dalla sua bisaccia la boccetta di cristallo di Lucy.
Fu
soltanto una goccia
quella con cui bagnò le labbra dell’amica, una
soltanto: ma, con sgomento di
Peter, Siria non diede il minimo segno di miglioramento.
Fece
per chiedere
qualcosa, per intervenire, ma Shay alzò sbrigativamente una
mano e lo zittì di
scatto: la guardò apporre le mani ad un soffio dal corpetto
lacero di Siria, un
riflesso dorato che riverberava fra le sue dita sottili e
tremanti… sentendo
qualcosa agitarsi nello stomaco, Peter si rese conto che la magia della
Naiade
era cresciuta, che Shay stava imparando a gestirla e controllarla come
non
aveva mai fatto sino a quel momento.
Non
aveva mai assistito ad
una scena simile, mai: non aveva mai incontrato, nei suoi anni a
Narnia, un
guaritore in grado di controllare tanto bene un incantesimo di quella
portata…
Li
chiamavano pranoterapeuti,
maghi, cerusici: ma Peter aveva sempre saputo che la loro era una magia
legata
alla Natura, agli Elementi che la governavano e che ne facevano parte,
che si
animavano per ubbidire agli ordini dei pochi in grado di ascoltarli.
Improvvisamente,
la vide
barcollare.
Non
pensò nemmeno, non si
rese nemmeno conto di essersi mosso: seppe soltanto di aver reagito, di
aver
scorto la debolezza nel corpo di Shaylee e di essersi repentinamente
accostato
a lei, accogliendola sul petto e sostenendo quelle gambe sottili un
istante
prima che cedessero.
-Ehi.-
Shay socchiuse gli
occhi, grata, sentendosi sostenere dalle braccia calde e sicure di
Peter; lì
era a casa, lì era al sicuro, lì era finalmente
nel luogo dove nulla di brutto
poteva accadere.
Era
con lui, con Peter, e
niente era più importante di questo.
-Sto
bene… sto bene,
davvero.- mormorò, ma non protestò quando la
stretta del biondo si fece più
intensa, più protettiva: si permise finalmente di perdersi
nel buio delle sue
stesse iridi, aggrappandosi debolmente alla tunica dell’Alto
Re e lasciandosi
sfuggire un brivido, il fisico esile che tremava sotto il peso delle
ferite e
della magia.
Era
provata, Shaylee, più
pallida di quanto Peter non l’avesse mai vista: il livido
sullo zigomo pareva
ancora più evidente, i tagli arrossati sulla sua pelle
spiccavano in un
contrasto che a Peter non piaceva per nulla, .
Non
aveva nemmeno cambiato
la tunica lacera che indossava ancora, limitandosi a strappare il pezzo
di
stoffa a brandelli per potersi muovere più liberamente, le
gambe tornite che
recavano ancora i vividi segni di mani che non avrebbero mai
dovuto osare
toccarla.
-Non
mi sembra.- commentò,
una nota d’ansia nella voce, stringendola con più
forza contro di sé: il
pensiero che le avessero fatto del male, che mani indegne
l’avessero toccata e
sporcata… un lampo scuro attraversò repentino i
suoi occhi, oscurandoli di un
odio che non sarebbe facilmente sparito dalla sua mente e dai suoi
ricordi.
-Sono
solo molto stanca
ma… starà bene, staranno bene tutti.- Shay non si
era accorta di quell’istante,
di quell’attimo di cupezza e di rabbia che aveva preso, per
qualche attimo, il
sopravvento sul volto di Peter.
Si
voltò verso Siria, che
riposava immobile e pallida a poco più di un metro da loro,
preoccupata.
Forse
non avrebbe dovuto spingerla a farlo…
-Che
cos’è successo?- la
domanda del Supremo Re la fece sobbalzare, le iridi che sgranavano ed
il cuore
che perdeva qualche battito: alzò lo sguardo su di lui,
improvvisamente
ansiosa, l’angoscia che si animava prepotentemente dentro di
lei.
Doveva
proteggere quel
segreto.
Doveva
proteggere Siria e
ciò che aveva fatto, l'atto di amore che aveva appena
compiuto – che aveva
rischiato di ucciderla, per di più...
Doveva
mentire a Peter.
Per
quanto detestasse
l'idea doveva mentirgli, e proteggere quel segreto che il Re non
doveva,
non doveva sapere.
-Siria…-
cominciò, sciogliendosi
dall’abbraccio del biondo e volgendosi verso la propria
bisaccia posata sul grezzo
mobiletto, fingendo di cercare qualcosa.
Non
era brava a mentire, non
le piaceva, non faceva per lei… eppure era la cosa giusta da
fare, ne era conscia,
perché se Peter avesse saputo la verità Siria non
sarebbe uscita viva dalla Cripta
di Aslan.
Era
terribile, quel pensiero:
Peter si era affezionato a Siria, si erano avvicinati molto
nell’ultimo periodo,
si fidava di lei… ma se avesse saputo, se fosse venuto a
conoscenza della vera
natura di quella ragazza, Shaylee sapeva che il Supremo Re di Narnia
non avrebbe
avuto tentennamenti.
-Siria
ha salvato la vita
di Caspian.- affermò, sospirando, le parole che tremavano
lievemente fra le sue
labbra. -Io non… non sono riuscita a fare niente, ero
stanca…- si ritrovò a
balbettare, improvvisamente incapace di continuare a parlare: si
odiò, in quell’istante,
per la menzogna che stava pronunciando proprio davanti
all’unica persona a cui
non avrebbe mai voluto nascondere
nulla.
Prese
di nuovo fiato, gli
occhi concentrati intensamente sulla cucitura che univa i lembi di
pelle della
sua borsa.
-Io
e Siria siamo legate,
questo lo sai; è stata la sua forza a salvargli la vita.-
affermò, la voce più
sicura, il cuore che si tormentava per l’empietà
che stava compiendo – sì,
empietà.
Per
una ninfa, per una
Naiade, per lei, mentire equivaleva
a
compiere uno spergiuro dei più terribili e cruenti.
-Starà
bene? Siria… starà
bene?- la voce di Peter la raggiunse stranamente incolore, lontana.
Non
sapeva cosa fare.
Non
era riuscito a
prevedere nulla, a salvare nessuno.
Shaylee
recava ancora le
ferite che i soldati di Miraz le avevano inferto, ferite che bruciavano
i suoi
occhi come lava incandescente.
Siria
era priva di sensi,
a pezzi, devastata da quella lunga tortura e da quell’ultimo
sacrificio che
aveva compiuto per Caspian – ed era
riuscita a salvarlo, si disse, guardando il moro dormire
molto più
tranquillamente, gli occhi placidamente chiusi e il colorito molto
più sano di
pochi minuti prima.
Era
stata capace anche di quello.
Aveva
protetto Shaylee e
Talia, aveva impedito che facessero del male alla sua
naiade; aveva avuto la forza di non arrendersi, di rialzarsi e
combattere quando Caspian era stato ferito… ed era riuscita
anche a salvarlo,
pagando un prezzo terribile e consumando quel poco che le era rimasto
di sé.
Si
era comportata come un
eroe, come un eroe che lui non sarebbe mai stato.
-Ci
vorrà del tempo… la
pozione del Fiore di Fuoco le ha salvato la vita, ma per guarire
impiegherà
diverse settimane…- le parole di Shay
s’incrinarono su quelle ultime sillabe,
gli occhi che pizzicavano di lacrime che non riusciva più a
trattenere: era
stanca, Shaylee, era stanca di quel mondo crudele, era stanca di vedere
le
persone che amava soffrire a causa di un popolo crudele come la gente
di Telmar…
Non
si sarebbe mai
perdonata, mai.
Non
avrebbe mai perdonato
la sua debolezza, l’urlo che si era lasciata sfuggire in
preda al panico: aveva
costretto la sua amica a reagire, a farsi volutamente del male per
proteggerla…
aveva chiesto aiuto, un aiuto che aveva fatto precipitare la
situazione, che
aveva portato le sue compagne di vita sull’orlo della morte.
Non
si sarebbe mai
perdonata.
Mai.
-Shay.
Shaylee.- la voce
di Peter la riscosse da quei pensieri, dalle lacrime che silenziose
rigavano il
suo viso esausto e bellissimo: le cancellò in fretta,
tentando di nascondere l’angoscia
e la paura che ancora provava.
Ma
sussultò, colta di
sorpresa, quando voltandosi ritrovò il volto di Peter a poco
più di una
manciata dal suo.
-Sei
esausta. Hai dato
anche l’anima, adesso basta così.- le disse,
piano, accarezzandole i capelli
provvidenzialmente raccolti in una coda di fortuna; mille ciocche
sottili
ricadevano intorno al suo visetto dolce, stanco, ciocche che le sue
dita
raccolsero dolcemente dietro l’orecchio.
Socchiuse
gli occhi, Shay,
a quel tocco delicato e morbido che credeva di aver dimenticato: non
avrebbe
dovuto dargli retta, lei doveva occuparsi di Siria adesso, doveva
restarle
accanto, aveva bisogno delle sue cure…
-Ma
io non…- provò a
protestare, debolmente, quel pianto frustrato ed impotente che
minacciava
ancora di sopraffarla: non avrebbe resistito un istante di
più in quella
stanza, non avrebbe sopportato ancora di vedere quelle ferite a cui
Siria non
aveva reagito – per aiutarla, per
proteggere lei e Talia.
-Shaylee,
esci da qui.- l’ordine
perentorio di Peter, pronunciato in quel tono inflessibile che Shay gli
aveva
sentito utilizzare più di una volta, arrivò
quanto mai grato ai suoi pensieri e
alle sue orecchie: alla fine lei era una creatura di Narnia, doveva
ubbidire al
suo Re… un Re che le stava dando la possibilità
di allontanarsi da lì, che
voleva proteggerla, che l’amava al punto di…
Prese
fiato, sfiorando
quel viso amato in punta di dita, gli occhi dorati pieni di gratitudine
e di
lacrime.
-…d’accordo.-
.
.
.
.
.
.
.
..
.
My
Space:
Buongiorno!
Si, lo so, come sempre sono in un ritardo mostruoso
ad aggiornare. Vi chiedo perdono, sono un disastro e la vita mi
risucchia sempre più facilmente via, sempre più
lontano. Però dai, mi faccio perdonare, i capitoli sono
sempre decentemente lunghi :)
Allora, in questo capitolo ci sono un paio di parti
di cui vorrei parlare un attimino:
- il flashback di Siria. Ecco, questa parte mi
è molto cara, nemmeno io so bene il perché:
è una parte che ho sentito molto, mentre scrivevo, che mi ha
strappato una lacrima e sicuramente mi ha messo addosso tantissima
angoscia. E' il passato di Siria, quello, è ciò
che le hanno fatto, è ciò che l'ha fatta
diventare quello che era: Siryn, il nome che sua madre le aveva dato,
scompare in quello stesso giorno. In quel momento muore, e nasce Siria:
è un momento di passaggio molto importante, che vede la
nostra raminga protagonista di un cambiamento che l'ha portata a
diventare quello che è.
- la magia. Ecco, la magia di Siria. Siria NON ha
poteri di guarigione, come avete letto (complimenti per essere arrivati
sino in fondo, eh xD) la prosciuga completamente, la distrugge: ma
Shaylee la spinge a farlo, ad accettare se stessa per la prima volta
nella sua vita, per amore di Caspian. E' un altro punto di passaggio,
è un altro legame fra passato e futuro, un futuro che si
avvicina e che, per Siria e per tutti gli altri, non sarà
semplice da accettare.
- Shaylee. Perché Shay si sente in
colpa? Perché, secondo lei, è stata debole. Ha
chiesto aiuto, ha costretto Siria a intervenire quando l'hanno
aggredita, è fuggita: per tutto questo la naiade si sente in
colpa, si sente una vigliacca, si sente colpevole. Ho voluto basarmi su
questo lato di lei non so (ancora) bene perché, ma mi sembra
una reazione molto umana, una reazione spontanea e pura esattamente
come la ninfa: si vergogna di aver avuto paura, quando in
realtà non ne avrebbe assolutamente motivo. Piccina lei!
Bueno, ho finito di ponderare e sproloquiare. Nel
pomeriggio, visto che sono a casa con un febbrone da cavallo,
risponderò alle bellissime recensioni che mi avete lasciato
nello scorso capitolo! Siete meravigliosi, come sempre :D mi fate tanto
tanto tanto felice <3
Peter sospirò, scostando una ciocca dei
lunghi capelli rossi dal volto dell’amica.
Continuare
a ripetersi di non volerle bene, e
provare una sgradevole sensazione d’infarto miocardico ogni
volta che la vedeva nei guai, era decisamente controproducente: Siria
dormiva, adesso, dormiva di un sonno profondo e – sperava
– senza incubi.
Aveva
costretto Shaylee ad allontanarsi, a non
sopportare ancora il dolore che vedere l’amica ridotta in
quello stato le provocava; poteva soltanto immaginare la sofferenza
della Naiade, il senso di colpa che doveva provare nel sapere quanto
Siria si fosse esposta per lei e per Talia…
Le
avrebbe dato della sciocca, in un altro momento:
si sarebbe arrabbiato, con Siria, per quell’assurda dedizione
agli altri che ancora una volta aveva rischiato di
ucciderla… eppure, non riusciva a provare altro che gratitudine.
Siria
aveva protetto Shaylee.
Gliel’aveva
promesso, prima di partire,
durante quella notte che pareva lontana oramai secoli.
-Te la
riporterò sana e salva.-
Aveva
mantenuto quella promessa, la raminga: aveva
protetto la sua ninfa,
l’aveva riportata a casa… aveva rischiato se
stessa pur di salvare le sue amiche, era quasi…
Prese
di nuovo fiato, alzandosi finalmente da
quello scomodo sgabello su cui era crollato, accanto al giaciglio della
rossa. Dormiva, era esausta… povera piccola, sembrava tanto
fragile in quel momento.
Non
seppe esattamente il perché di quel
proprio gesto; non era da lui, non si era mai comportato
così con nessuno – eccetto che con Lucy,
ovviamente. Ma gli risultò istintivo, naturale, chinarsi
sulla fronte della ragazza e sfiorarla appena con le labbra, lasciando
un delicato bacio sulla pelle martoriata di Siria.
Un
tocco lieve, appena accennato, fraterno; un
gesto che non si sarebbe mai permesso se fosse stata sveglia, troppo
orgoglioso per dirle davvero quanto si fosse terribilmente affezionato
a lei.
Lasciò
la stanza alla chetichella,
finalmente tranquillo dopo troppe ore di ansia. Siria stava bene,
Caspian si sarebbe rimesso, Talia era già sulla via della
guarigione, Aaron e Caleb non erano in pericolo… e
l’angoscia per quel rapimento improvviso finalmente era
cessata.
E,
soprattutto, Shaylee era di nuovo accanto a lui.
Provò
l’improvviso desiderio
di trovarla, di stringerla a sé e non pensare più
a nulla. Voleva soltanto annegare nel profumo dei suoi capelli, sentire
la pelle soffice e liscia della sua ninfa sotto le dita ed il sapore
delle sue labbra soffici sulle proprie…
Erano
state lunghe notti, lunghe giornate, lunghe
ore d’angoscia e d’ansia; i pensieri che si erano
accavallati nella sua mente, in quei giorni, erano stati fra i
più terribili e terrificanti che il suo cervello avesse mai
partorito.
L’idea
che Shaylee fosse in balia dei
soldati di Telmar, di quegli uomini dal volto animalesco e butterato
capaci di qualsiasi nefandezza, lo aveva spinto a spronare il cavallo
che montava più di quanto non avesse mai fatto, la mascella
contratta e gli occhi più cupi che mai.
Ma
ora… ora, finalmente, era tutto
finito.
Percorse
in silenzio i corridoi fiocamente
illuminati dalla luce tremula delle torce, cogliendone
l’insolita smorzatura; sembrava quasi che anche il fuoco
fosse stanco di scoppiettare, in quel momento…
Lo
sorprese non poco vedere la ninfa accoccolata
sulla roccia spezzata, una volta raggiunto il salone della cripta: le
braccia erano serrate intorno al ventre, il viso lievemente ripiegato
sulla spalla, gli occhioni dorati stretti e fissi in un punto lontano,
sfocato.
Per
un istante, la confusione prese il sopravvento
sulla stanchezza.
Cos’era
successo, ora? Perché
vedeva in Shay quello stesso dolore di tempo prima, quel dolore che
sembrava essersi attenuato, essersi messo in disparte nel volto della sua
naiade?
-Shaylee…?-
mormorò, piano,
avvicinandosi cautamente a lei un passo per volta, fermandosi ai piedi
della Tavola di Pietra.
Lei
voltò ostinatamente la testa,
seccata.
-Ti
sei… affezionato a lei.-
mormorò, con voce incolore, senza riuscire ad alzare gli
occhi sul volto innocente di Peter: non avrebbe potuto reggere quegli
occhi azzurri, non in quel momento, non mentre quella sensazione
terribilmente imbarazzante imperversava dentro di lei. Sapeva quanto
fosse irrazionale quel sentimento, sapeva bene che Siria amava oltre
ogni limite il suo principino, e che Peter non…
Gelosia.
Ecco
di cosa si trattava.
Pura
e semplice... gelosia.
Peter
aggrottò le sopracciglia, stupito,
senza comprendere esattamente il motivo di
quell’atteggiamento tanto distaccato. Sì, era
affezionato a Siria, era palese, ma…?
-Beh…
abbastanza, sì. Anche
se non l’avrei mai creduto possibile.- mormorò,
passandosi una mano fra gli arruffati capelli biondi, a disagio. Se
possibile, l’espressione di Shaylee
s’indurì ancora di più, le labbra si
serrarono fino a sparire l’una contro l’altra, i
pugni si strinsero.
-Bene.-
affermò soltanto, la voce che
vibrava di rabbia.
-Shay…?-
okay, qualcosa non andava. Lo
avrebbe capito anche l’immagine inanimata di Aslan, che
torreggiava enigmatico su di loro, silenzioso come sempre.
La
ninfa non disse nulla, limitandosi a stringersi
di più su sé stessa, allontanando il
più possibile lo sguardo da quello dell’attonito,
un po’ tardo, Alto Re di Narnia.
-Shaylee,
si può sapere
cosa…?-
Uno,
due, tre.
La
realtà, pura e cristallina, si fece
largo fra i pensieri confusi del biondo.
Siria.
Lui si era affezionato a Siria. E Shaylee
era… niente avrebbe spiegato altrimenti la sua
reazione…
…oh.
-Shay,
sei gelosa?- le chiese, senza molti
preamboli, un sorriso sollevato che si disegnava sul suo volto
improvvisamente molto più giovane –
improvvisamente, un volto che dimostrava gli anni che avrebbe dovuto
avere.
Non
sapeva perché quell’idea
gli mettesse addosso tanta contentezza, non era conscio del motivo per
cui era in grado di renderlo così felice; ma il pensiero di
essere talmente importante, per la ninfa, da scatenare quella reazione,
lo riempiva di una serenità molto simile a gioia.
Ma
fu un attimo effimero, un sollievo di breve
durata; vide le spalle della Naiade sussultare appena, le palpebre
abbassarsi di qualche millimetro su quelle sofferenti iridi dorate.
-E’
stupido, vero? Essere gelosi in una
situazione simile…- la voce della ninfa sembrava
più remota che mai, le dita esili che salivano a velare lo
strappo evidente sulla veste; sulle cosce pallide, Peter
riuscì a distinguere ancora i segni rossi dei graffi e dei
lividi che quegli uomini le avevano inferto.
Si
sedette accanto a lei quando la vide tremare,
distinguendo le sue labbra ammorbidirsi in un’espressione
infelice ed angosciata; nelle sue iridi brillava qualcosa di molto
simile a colpa, a frustrazione… a rimorso.
-Tutti
si affezionano a Siria, ma io con la mia
debolezza l’ho quasi portata alla morte.-
sussurrò, piano, nello sguardo le immagini vivide di quella
lunga tortura che la sua amica aveva subito al posto suo;
perché Shaylee lo sapeva bene, Siria e Talia si erano
lasciate ferire soltanto per proteggerla… perché
lei era debole, debole
quanto non aveva mai creduto di poter essere.
Un
tremulo sospiro sfuggì da quella
bocca soffice, arrossata dai denti che ne torturavano la pelle
sensibile e delicata causandovi minuscoli graffi appena rimarginati; ma
a Shaylee, in quel momento, non importava.
Debole.
-Sarebbe
stato meglio se fosse successo a
me… lei è troppo importante.- le ultime parole
svanirono in un mesto e sussurrato borbottio, mentre la consapevolezza
di ciò che Siria era – sarebbe diventata, molto
presto – si ripresentava chiara e vivida nella sua mente.
Avrebbe
preferito mille volte essere
lei… avrebbe mille volte desiderato di essere al posto della
sua amica, per risparmiarle quella sofferenza che Siria si portava
dentro ormai da sette anni, per toglierle dalle spalle quel peso che
minacciava, in ogni istante, di spezzarla.
Ma
Siria era forte… non
gliel’avrebbe mai permesso, convinta com’era di
dover fare di tutto pur di proteggere lei e le persone che amava. Siria
era forte e incosciente, avrebbe preferito morire pur di non lasciare
che qualcun altro sopportasse ciò con cui lei era destinata
a combattere.
Era, e sarebbe sempre
stata, più forte di lei.
Perduta
com’era fra quei pensieri aguzzi,
dolorosi, non si accorse – non subito – del braccio
che immediato si strinse attorno ai suoi fianchi, tirandola contro il
corpo solido e concreto di Peter.
Per
un istante, ne rimase stordita… la
consapevolezza del torace ampio e tonico del Re Supremo, imponente in
confronto a lei, fu improvvisa ed immensa, tanto da scatenare un
brivido che percorse rapido il suo corpo, un calore dolce e conosciuto
che prendeva vita da qualche parte dentro di lei.
Ma
la stretta con cui Peter la serrava contro di
sé era forte, più forte del normale, quasi
spasmodica.
Paura.
C’era
paura in quelle mani,
c’era paura in quelle braccia che si aggrappavano alla sua
vita esile come se fosse l’unica certezza in quel mondo di
dolore e di follia; c’era terrore nel respiro improvvisamente
più veloce e rapido che si mischiava ai suoi capelli,
c’era agonia negli occhi chiusi del biondo Re che la
stringeva a sé come mai aveva fatto sino a quel momento.
Terrore.
Non
riusciva nemmeno a pensare… le
parole di Shaylee avevano scoperchiato quel vaso di Pandora che Peter
aveva tanto faticato a richiudere, permettendo a tutto
l’orrore che si era rincorso con l’ansia dentro di
lui, in quei giorni, di emergere con la prepotenza e la violenza di una
fucilata in pieno petto.
Agonia.
Solamente
immaginare Shaylee sotto le mani crudeli
di quegli uomini… soltanto una minima percezione del dolore
che avrebbero potuto causarle, delle stesse ferite che martoriavano
Siria sul corpo esile della naiade…
Non
poteva pensarlo, perché solo quel
pensiero era capace di portarlo sull’orlo della pazzia.
Ne
sarebbe morto, lo sapeva: se Shaylee avesse
subito lo stesso trattamento della raminga lui ne sarebbe morto,
perché la sofferenza nel vederla in quello stato sarebbe
stata più che sufficiente per ucciderlo mille volte, per
annientare ogni parvenza di umanità e di speranza dentro di
lui.
La
strinse più forte, tentando invano di
scacciare quei fotogrammi cruenti che non riusciva a cancellare dalla
sua mente; lui, Peter Pevensie, il Magnifico di Narnia, ora rischiava
di soccombere dinanzi al terrore, debole come mai aveva osato essere
prima d’allora, spaventato come non si era mai permesso di
mostrarsi a nessuno.
Le
accarezzò dolcemente i capelli, una
carezza tremante e data a denti stretti; le palpebre del biondo erano
serrate, l’espressione sofferente immersa nei crini bruni
della ninfa.
-Smettila.-
riuscì soltanto a mormorare,
ma ciò che gli uscì fu più simile ad
un ringhio disperato, al gemito di un animale in agonia.
E
Shaylee lo guardò in viso, sentendo il
rimorso e il senso di colpa agitarsi di nuovo dentro di lei; aveva
soltanto causato dolore… a Siria, a Peter. Era stata
soltanto in grado di provocargli sofferenza, prima all’una e
poi all’altro… a due persone che
l’amavano in due modi molto diversi, a colei che considerava
una sorella e all’uomo che amava, che tenevano a lei con la
medesima forza e la medesima decisione.
E
lei, invece, non era stata in grado di fare
niente…
Aveva
soltanto potuto guardare le mani crudeli di
Angus Flynch calare su Siria, inerme, sulla sua amica che non voleva
reagire, che gli aveva permesso di arrivare sin quasi ad ucciderla pur
di salvare lei…
La
morsa che le serrava il cuore si strinse ancora,
rammentando ogni singola ferita che deturpava il corpo della sua amica.
Era stata colpa sua.
Era
stata soltanto colpa sua… ed era
colpa sua se, ora, Peter soffriva di un terrore che non aveva mai
visto, prima d’allora, in lui.
Fu
quella consapevolezza, fu la colpa, fu il
rimorso, a spezzare le barriere che tenevano le lacrime lontane dai
suoi occhi.
Un’unica
lacrima solitaria
rotolò sulla sua pelle nivea, simile ad una pietra preziosa
su soffice seta candida; una lacrima che ben presto fu seguita da
un’altra e un’altra ancora, mentre il corpo esile
si lasciava scuotere da silenziosi singhiozzi capaci di stremarla.
Dentro.
Al
suo pianto silenzioso, ma incessante, Peter la
strinse più forte; la sentì sfregare il volto sul
suo petto, cercandovi rifugio e riparo, le mani tremanti che serravano
la sua tunica in una morsa disperata.
-Non
è colpa tua, Shay.-
sussurrò, accarezzando la schiena ed i capelli della naiade,
tentando di trovare un modo per trasmetterle una sicurezza che nemmeno
lui era sicuro di avere, in quel momento. -Siria ha preferito
sacrificarsi, pur di non vedervi soffrire. Non l’hai scelto
tu.- aggiunse, piano, intuendo parte dei mille pensieri che vorticavano
nella mente della sua compagna.
Ma
il pianto della ninfa si fece più
violento, violento nell’assordante silenzio in cui si
sfogava, quando il pensiero che più la ossessionava si
ripresentò agli occhi della sua mente.
Shaylee
sapeva qual’era stata la
sconfitta più grande, la pugnalata più profonda
che aveva squarciato il suo cuore e lo aveva ridotto in mille pezzi,
distruggendo anche quel minimo orgoglio che provava nei confronti di se
stessa.
Lei non aveva reagito.
In
quel momento, quando gli uomini di Flynch
l’avevano afferrata e avevano cercato di farle del
male… era stata debole,
aveva chiesto aiuto.
Aveva
chiesto l’aiuto di una persona
più forte di lei.
Aveva
chiesto l’aiuto di Siria,
di una Siria già provata dalla tortura… una Siria
che era riuscita a proteggerla nonostante tutto, facendosi del male lei
stessa pur di salvarla, pur di permetterle di fuggire.
Perché
lei questo
aveva fatto.
Era fuggita.
Lei,
che le Naiadi consideravano la guerriera
più abile di tutte, che Mairead stessa aveva nominato capo
delle combattenti… era scappata come una codarda, come una
vigliacca, dimentica della sua magia e del fiume che poteva finalmente
darle ascolto e intervenire.
Avrebbe
potuto salvare le sue amiche, in quel
momento… e invece era fuggita, il terrore aveva preso il
sopravvento su di lei e l’aveva spinta a fuggire nella
foresta, lasciando che fossero Peter e gli altri a salvare Siria e
Talia.
Era stata una vigliacca.
Strinse
più forte la casacca del Re fra
le dita, abbandonando il volto contro la sua spalla, i singhiozzi che
la percuotevano con violenza.
-Mi credevo una guerriera…- quel
sussurro le sfuggì senza davvero volerlo, senza
l’intenzione di rivelare a Peter quali fossero i tormenti che
angustiavano la sua naiade.
Ma
Peter, Peter udì comunque quelle
parole intrise di un senso di colpa più grande di quanto
avesse mai potuto immaginare.
Le
accarezzò una spalla, capendo
soltanto in parte l’angoscia di Shaylee: lui era un
guerriero, lo era ormai da tanti anni… conosceva bene la
paura, il terrore, sapeva bene quanto a volte potessero essere
semplicemente troppo grandi per essere controllati.
Shaylee
era fuggita, era vero; ma non gliene
avrebbe mai fatto una colpa, perché se non fosse fuggita in
quel momento, probabilmente, al posto di Siria vi sarebbe stata
lei… e Peter questo non avrebbe mai potuto né
permetterlo né, tantomeno, accettarlo.
La
baciò dolcemente in fronte, sentendo
i suoi singhiozzi scemare mano a mano, stringendola a sé con
l’angoscia di non voler più che gliela
strappassero via.
-Non
mi sarei mai dato pace, se tu avessi
combattuto e io ti avessi perduta.- sussurrò, ben sapendo
però che le sue parole non avrebbero lenito nulla, se non un
minimo del dolore e del senso di colpa che Shaylee provava.
Perché
Peter sapeva fin troppo bene che
col rimorso non si scendeva a patti. Mai.
-Interrompiamo
qualcosa?-
Peter e Shaylee sobbalzarono di scatto, quando una voce ironica e
divertita – inequivocabilmente maschile –
risuonò nel silenzio pressante della cripta, spezzando la
tensione che vibrava fra loro e nei loro cuori, facendoli separare di
scatto e voltare verso il corridoio che portava alle stanze private.
-Penso
proprio di sì.- una seconda voce
si unì alla prima, una voce più squillante e
sarcastica, prima che una torcia, sino a quel momento spenta, ardesse e
illuminasse due volti giovani e divertiti, appartenenti a due ragazzi
semi nascosti nella penombra di quei locali notturni.
I
capelli scuri del ragazzo, perennemente
arruffati, si lasciarono illuminare dai riflessi dorati delle fiamme;
mentre quelli biondi della ragazzina riverberarono di ciocche del
colore del platino, mentre i volti di Edmund e Tara prendevano forma
nell’altrimenti cupa oscurità della cripta.
-E-Edmund!-
Peter sobbalzò di scatto,
quando riconobbe il viso saccente e irritantemente soddisfatto del
fratello, arrossendo di botto e balzando in piedi di fronte a Shaylee;
Ed e Tara li stavano osservando da chissà quanto, dalle loro
espressioni trionfanti avevano capito anche troppo…
-No,
la fata turchina.- fu la risposta divertita
del più giovane dei Pevensie, gli occhi di quel caldo color
nocciola che ignoravano tranquillamente lo sguardo omicida del fratello
maggiore.
Incrociò
le braccia sul petto snello,
scambiando una rapida occhiata divertita con la ragazzina al suo
fianco; la ragazzina che, ormai, gli era praticamente indispensabile.
Tara
era una ragazza forte, spigliata,
più ironica di quanto i suoi boccoli biondi e i suoi
occhioni azzurri dessero a pensare; era cresciuta in mezzo alle
asperità, forte come la più bella delle rose
ancora in procinto di sbocciare, le curve ancora acerbe nel corpo ma
troppa conoscenza nelle iridi chiare.
Erano
due adulti racchiusi nei corpi di ragazzini,
lei ed Edmund; entrambi avevano visto e vissuto troppo, per le loro
giovani vite, e sulle spalle si portavano pesi che non sarebbero mai
svaniti.
Forse
era quello, il motivo per cui tanto si
trovavano bene insieme. Sì, decisamente.
-C’è
forse qualcosa che devi
dirmi, Peter?- Edmund si rivolse al
fratello, un sogghigno divertito che compariva sulle labbra sottili,
una scintilla negli occhi di quel caldo color nocciola; mettere in
imbarazzo Peter era da sempre uno dei suoi svaghi preferiti, anche
perché vedere il volto dell’insolitamente
imperturbabile Pevensie farsi paonazzo era uno spettacolo imperdibile.
-Vai
al diavolo…?- suggerì il
biondo, sarcastico, incenerendolo con uno sguardo che Edmund,
tranquillamente, ignorò.
-Non
ci tengo minimamente, grazie.- fu la risposta
pragmatica del più giovane, un sopracciglio che
s’inarcò nel guardare Shaylee, rossa in volto ma
decisamente più composta del suo esuberante accompagnatore
dalla chioma biondastra.
Un
tocco leggero ma pressante lo distolse dalla
coppia d’imbarazzati, riportando la sua attenzione sulla
giovane bionda che lo fissava, in attesa, gli occhi assottigliati in
una muta richiesta divertita.
-Ho
vinto la scommessa, Ed.- commentò,
tendendo una manina candida verso di lui; ma il bruno scosse la testa,
scrutandola con quel mezzo sorriso tanto capace d’irritarla.
-Questo
non mi obbliga a pagarti!-
replicò, pronto, scostandosi immediatamente quando Tara
reagì subito.
-Brutto
bugiardo!- sbottò la ragazzina,
facendo per tirargli un pugno; ma Ed si mise alla svelta fuori dalla
sua portata, ridacchiando, ignaro degli occhi che li guardavano
divertiti e molto più consapevoli
di quelli dei due ragazzi. -Aspetta che ti prenda, Pevensie!- Tara fece
per inseguirlo, ma Edmund era più rapido della ragazzina;
con un movimento veloce, fluido, le passò le braccia intorno
ai fianchi e la sollevò da terra, caricandosela in spalla e
ignorando tranquillamente le sue stridule proteste.
-Mettimi
giù! Edmund, mettimi subito
giù!-
Ed
ridacchiò, tenendola stretta senza
faticare, rivolgendosi di nuovo a Peter e a Shay – che ora lo
fissavano sorridendo, una bolla di calore e dolcezza che si schiudeva
nei loro petti nel guardare quei due ragazzi, capaci –
nonostante tutto – di ridere.
-Perdonatela,
ogni tanto ha di queste crisi di
pazzia, è un'antipatica scimmietta isterica.-
commentò, tranquillamente, mentre Tara sgambettava irata
sulla sua spalla.
-Io
NON sono una scimmietta isterica!! Mettimi
giù!- fu la risposta che Tara sbraitò,
tempestando la schiena del giovane Re di pugni, mentre Peter si
lasciava sfuggire un sorrisetto malizioso e trionfante.
-Forse
non sono l'unico che nasconde qualcosa,
vero, Edmund?- commentò, scrutando il fratello in volto; un
fratello che arrossì di botto, mentre il significato intriso
nelle parole di Peter lo colpiva con la forza di una mazzata,
sconvolgendolo più di quanto avesse potuto pensare.
Tara…
-Eh?-
riuscì soltanto a mormorare,
attonito, lasciando inconsciamente andare la presa sui fianchi di Tara,
costringendola ad un poco ortodosso ruzzolone sulla roccia viva del
pavimento.
-Ahia!
Mi hai fatta cadere!- sbottò la
ragazzina, balzando in piedi ed incenerendolo con uno sguardo, senza
capire quello sguardo enigmatico e confuso che Edmund le stava
rivolgendo.
Impiegò
soltanto un istante, il giovane,
per riprendersi da quell’ipotesi impossibile
che Peter aveva presentato alla sua mente; che sciocco, dar retta a
quell’idiota… era un’idea tanto irreale che poteva essere soltanto parto
della mente bacata di suo fratello, sì.
Ma
Peter avrebbe dovuto smetterla, sì,
avrebbe dovuto piantarla di sorridere in quel modo tanto irritante.
-Ma
ti ho messa giù, no?-
replicò, riscuotendosi, voltandosi verso la bionda appena in
tempo per avvertire una fitta pungente attraversare la sua spalla; la
ragazza gli aveva tirato un sonoro pugno a livello
dell’avambraccio e, ora, lo scrutava con le braccia conserte
e l’espressione di fuoco. -Tara, non mi picchiare!-
sbottò Edmund, sorpreso, ma la risposta della fanciulla lo
lasciò basito.
-Te
lo meriti!-
Peter
si lasciò sfuggire una risata, nel
vedere l’espressione mortificata e sorpresa del fratellino;
assistere a una scena del genere era una goduria, una goduria per gli
occhi e un balsamo per l’animo in pena.
Ma
il sollievo era destinato ad essere effimero,
effimero come le foglie trasportate dal vento; perché due
voci spezzarono quella bolla di calore e di familiarità,
giungendo dalla notte scura e finalmente serena
dell’accampamento dei Narniani.
Peter,
Shaylee, Edmund e Tara si voltarono di
scatto, quando due figure apparvero stagliate sul cielo nero come
l’inchiostro; ma i due Pevensie boccheggiarono,
improvvisamente a corto d’ossigeno, quando riconobbero un
uomo e una donna che mai avrebbero
immaginato di vedere insieme.
Sulla
soglia della segreta, le parole sparite dalle
labbra carnose, c’era Susan Pevensie.
E
non solo. Con lei, le dita intrecciate a quelle
della regina, l’espressione completamente allibita,
c’era Aaron.
-Aaron!?-
la prima a ritrovare il dono della parola
fu Tara, che scrutò il rosso come se non lo avesse mai visto
per davvero; le guance del solitamente imperturbabile mercenario si
arrossarono, mentre gli occhi di ghiaccio dardeggiavano ovunque non
fosse il volto di uno dei presenti.
-Sue?!-
l’esclamazione di Peter e diEdmund fu più
isterica, le mani che fremevano in direzione del fodero delle
rispettive spade; in quel momento, i due maschi Pevensie erano
assolutamente identici, accomunati da una fraterna gelosia che
repentinamente ruggì in entrambi i cuori.
Aaron,
notando l’inusuale affollamento della segreta a
quell’ora di notte, si separò in fretta dalla mano
della bruna, notando lo sguardo omicida che gli rivolsero i fratelli
della donna che lo accompagnava.
-Ah...
quanta gente, a quest'ora di notte.-
commentò, ironico, passandosi le dita fra i capelli e
scambiando un’occhiata con Susan; entrambi avrebbero tanto desiderato essere in qualunque
altro posto, in quel momento…
-Tu...-
Edmund non riuscì a trovare le
parole per esprimere tutto il suo severo disappunto, il viso che
lentamente si faceva sempre più acceso, gli occhi scuri che
mandavano lampi di rabbia.
-Posso…
spiegare.- mormorò il
rosso, diventando progressivamente sempre più paonazzo, gli
occhi chiari mortificati e ricolmi di senso di colpa che non riuscirono
a sostenere per più di qualche istante lo sguardo sorpreso
di Shaylee.
Perché
gli occhi della ninfa gli
ricordavano terribilmente lo sguardo ferito che un’altra
ragazza, che una ragazza che ora dormiva di un sonno esausto e provato,
gli avrebbe rivolto in quell’occasione…
-Tu…-
la rabbia a stento contenuta del
Re di Narnia sibilò attraverso la segreta, prepotente come
il suono di uno scoppio.
Aaron
distinse soltanto un lieve movimento di una
tunica chiara, prima che la Naiade si spostasse delicatamente di fronte
al biondo, che era sceso con un balzo dalla roccia e aveva
pericolosamente avvicinato la destra all’elsa della spada.
-Peter.-
-Mia
sorella…- la rabbia pareva
impedirgli persino di mettere insieme soggetto, predicato e complemento
oggetto, osservò Tara, trattenendo un ghigno. Tutta la
scena, a dirla tutta, era esilarante.
Shaylee
sospirò, posando le manine
chiare sul petto inamovibile e marmoreo del ragazzo, sentendo il cuore
battere furiosamente sotto le vesti.
Alzò
gli occhi, trovando quegli sprazzi
celesti che amava scuriti dalla rabbia, dall’ira. Non le
avrebbe dato retta; il suo istinto di fratello maggiore era fin troppo
radicato, in lui, non avrebbe permesso che…
-Amore,
calmati.-
Avvertì
il proprio volto andare a fuoco,
quando si rese conto di ciò che aveva appena detto.
La
rabbia svanì repentinamente dal petto
del biondo, quando quelle due semplici parole raggiunsero le sue
orecchie, la sua mente, il suo cuore.
Per
un istante, pensò di mandare al
diavolo qualsiasi cosa; stringerla con forza a sé e baciarla
con passione, con gioia, fare l’amore con lei fino a non
poterne più, fregandosene altamente di ciò che
chiunque avrebbe mai potuto osare obiettare.
E
invece si costrinse a restare immobile, allibito,
gli occhi celesti che cercavano e trovavano le iridi dorate,
imbarazzate e decise insieme, della sua naiade.
Aaron… Aaron, e Susan.
Insieme…
Beh, magari potevano
anche aspettare l’indomani.
-Ho
come l'impressione che per voi due sarebbe
meglio sparire, al momento.- fu invece il commento di Edmund, che non
aveva notato la repentina confusione del fratello ma, al contrario, si
era in fretta accorto dell’ira che stava velocemente montando
sul viso di Susan Pevensie.
Sue,
infatti, pareva ardente e battagliera come non
mai; i suoi fratelli non avrebbero mai interferito fra lei ed Aaron,
non gliel’avrebbe mai permesso. Non avrebbe lasciato che
distruggessero quell’angolo di serenità che si era
duramente costretta a concedersi, non si sarebbe lasciata strappare il
profumo di quei capelli rossi ed il calore di quella bocca sempre
ironica.
-Se
non volete essere infilzati da un Supremo
Idiota in crisi di gelosia...- rincarò Tara, notando la
confusione sul volto di Aaron, la mortificazione che provocava nel
pensare a quanto sua sorella si sarebbe arrabbiata, nel venire a sapere
di qualcosa che lui stesso aveva deciso di nasconderle.
-Peter,
non cominciare nemmeno!- fu
l’esclamazione di Susan, e fu soltanto grazie alla
rapidità di Aaron che non avanzò diretta verso il
fratello più grande, pronta a dar battaglia; il rosso la
trattenne vicino a sé, cingendole la morbida vita con le
braccia forti, il tocco caldo delle sue mani che la distraeva per un
istante dai suoi propositi.
-Parlarne
ora non è molto auspicabile,
siamo tutti molto stanchi.- la voce conciliante di Shaylee
spezzò la tensione venuta a crearsi nella segreta; la videro
voltarsi verso i due ragazzi più giovani, che parevano
più esilarati che mai. -Edmund, Tara.- li
avvertì, una nota severa nella voce.
-Ci
eclissiamo.- il bruno mimò il saluto
militare, sorridendo e ammiccando in direzione della Naiade; qualcosa,
in quel gesto, le fece intuire che Edmund già
sapesse…
-Siamo
già spariti.- aggiunse lei,
agguantando il giovane Re per un braccio e trascinandolo in fretta nel
buio fitto dei corridoi della segreta.
Shaylee
sospirò, divertita suo malgrado,
alzando nuovamente gli occhi verso il biondo.
-Peter.-
-D’accordo…
ho capito.-
borbottò il ragazzo, cercando di dare una calmata a quel
sentimento tumultuoso che si agitava nel suo petto, posando
delicatamente una mano sulla schiena della ninfa e seguendola quando lo
spinse verso quello stesso anfratto dov’erano sparite le due
pesti, lasciando Aaron e Susan alle prese rispettivamente
l’un con l’altra.
La
sentì rabbrividire, al suo tocco,
vide la sua pelle chiara ricoprirsi di pelle d’oca.
Sorrise
appena, ancora imbambolato, spostandosi
accanto a lei e passandole con dolcezza un braccio intorno alla vita,
stringendola a sé, accostando il viso ai capelli soffici
della ninfa senza però sfiorarla, limitandosi ad assaporare
il suo profumo.
Amore.
Magari
era una parola stupida. Magari era un
semplice luogo comune, un qualcosa di usato e strausato.
Ma
a lui non importava.
Amore.
Lo
aveva chiamato così. Lei. Shaylee, la
sua Shaylee, che non avrebbe potuto mai fargli dono
più bello, più prezioso, di quel cuore che
già gli apparteneva.
Shaylee
si scostò dal biondo, in
imbarazzo come poche volte era stata.
Amore.
Quella
parola le era uscita spontanea, semplice e
pura; era un termine che non le era mai appartenuto, un termine che non
era suo, un termine che paventava
di pronunciare e di provare – ma che, ormai, non poteva
più fare a meno di riconoscere.
Amore.
Ma
stavolta... stavolta qualcosa era diverso, non
le era difficile – anzi, al contrario – ritenere
Peter così.
Inoltre
il Re sembrava imbambolato da un po', e
dannatamente bello con quel sorrisino ebete e malizioso.
-Sarà
meglio che vada giù al
lago, almeno aiuto a tener d'occhio la situazione…-
mormorò, di spalle al biondo, mentre le mani salivano per
raccogliere i capelli da legare con un fermaglio floreale.
-Credo
che per una notte si possa fare a meno di
te, laggiù.- replicò lui dopo nemmeno un istante,
la voce strana ed indecifrabile. Shaylee avvertì soltanto la
mano calda e forte del biondo posarsi sul suo fianco, scivolare sul
ventre, trarla contro il petto caldo e tonico del giovane, il viso che
repentinamente si accostava al suo collo.
Shaylee
sospirò, abbandonandosi senza
remore contro il corpo caldo ed accogliente del biondo, chiudendo gli
occhi e lasciando che l’abbracciasse, che le sue braccia
forti l’accogliessero, avvolgendola in una stretta salda e
protettiva da cui non avrebbe mai voluto fuggire.
-Peter...-
esalò la ninfa, non riuscendo
a dire altro, investita dal profumo dolce e forte del ragazzo.
Fece
però violenza su se stessa,
scostandosi dal corpo maledettamente caldo e accogliente di lui.
-Devi
riposare, mio Re, i telmarini potrebbero
giungere da un momento all'altro, e tu devi essere in forze per
portarci alla vittoria. Tutta Narnia conta su di te, sui tuoi fratelli
e su Caspian.- spiegò la bruna, guardandolo dolcemente negli
occhi, accarezzandogli la tempia con le dita delicate.
-Prima
devo fare una cosa.- fu la risposta
sussurrata del biondo Re, le mani che si alzavano per posarsi con
delicatezza sulle guance delicate della sua ninfa, della sua compagna.
Mai avrebbe pensato di trovare una persona da amare, mai si sarebbe
davvero convinto che al mondo esistesse qualcuno per lui.
E
invece, eccola lì. Bella, dolce,
misteriosa nella sua purezza. La sua naiade, la sua donna, la sua
Shaylee.
Vide
la curiosità disegnarsi sul suo
viso, e sorrise. E dopo un istante, le sue labbra andarono a catturare
con dolcezza quelle rosee e sottili della ragazza. Senza fretta, senza
foga, la baciò con tutta la dolcezza di cui era capace, la
lingua che lievemente faceva capolino, sfiorando il bordo sottile e
delicato di quella bocca in cui adorava affogare, perdersi.
Ed
avevano tutto il tempo del mondo.
Nessuno
li avrebbe interrotti, stavolta, nessuno
avrebbe spezzato quel bacio dato con tutto l'amore che batteva forte
nel suo petto.
Nessuno.
La
ninfa avvertì i propri pensieri
vacillare, sull’orlo di un precipizio in cui aspettava
soltanto di cadere, precipitando in un baratro confuso che non avrebbe
lasciato spazio ai sentimenti. Ma le mani di lui l’avrebbero
trattenuta, salvata, quelle stesse mani che ora scivolavano sui
fianchi, sulla schiena, premendola contro di sé, contro il
petto scolpito su cui sentì delinearsi il proprio corpo
minuto.
Si
ritrovò ad allacciare le braccia
intorno alle spalle del ragazzo, un sospiro tremante che svuotava i
suoi polmoni, i suoi pensieri. Si lasciò trascinare via, si
abbandonò a quel bacio caldo e lento, umido, travolgente,
lasciandosi naufragare sullo scoglio sicuro della presenza di Peter.
-Resta
con me, stanotte.- il sussurro del Re
accarezzò la sua pelle, scivolò con delicatezza
dalle sue labbra al collo sottile, perlaceo, il respiro caldo ed
inebriante capace di stordirla che scendeva sulle linee sottili della
sua gola.
Annuì
soltanto, gli occhi chiusi ed il
volto reclinato indietro, l’emozione che le riempiva le
labbra, impedendole di parlare.
Ed
un istante più tardi si ritrovarono
nella stanza del Re, quella stanza un po’ discosta dal resto
della segreta, una stanza ben lontana dagli agi a cui entrambi, con un
po’ di vergogna, erano abituati.
Sembrava
che il mondo convergesse lì; in
quei due pozzi celesti ad un soffio dal viso, in quei due sprazzi di
cielo rubati al sole dell’estate. Tutto ciò che
per lei era importante, vitale, si condensava in quelle due iridi
azzurre, azzurre come l’essenza stessa della sua magia.
Arrossì,
quando lo vide sfilarsi la
tunica, il torace scoperto che attirava irreversibilmente il suo
sguardo imbarazzato. Lo aveva già visto nudo, lo aveva toccato,
sfiorato, era stato suo…eppure, vederlo
lì, la pelle bronzea e levigata a poco più di una
spanna da lei…
Si
lasciò stringere a lui, le dita che
s’intrecciavano a quelle forti, sicure di Peter.
Avvertì il profumo del biondo farsi più intenso,
meravigliosamente vicino, quando si ritrovò avvolta in
quell’abbraccio che sapeva di casa, di sicurezza, di amore.
Il
giaciglio modesto, minuto, non era sicuramente
adatto ad entrambi. Ma a Peter sembrò non importare, anzi;
sorrise, trovando in quel dettaglio una scusa per tenerla ancor
più stretta a sé, ancora più vicina,
ancora più sua.
La
trasse a sé, rapendo una nuova volta
quel respiro dolce dalle sue labbra, assaporando appieno la consistenza
di quei boccioli rosei e delicati.
Disteso
sul giaciglio, la strinse contro di
sé, il corpo snello e minuto che si abbandonava
completamente sopra il proprio. Quel bacio sapeva di vita, sapeva di
amore, sapeva di quella complicità unica e magica che li
legava indissolubilmente l’uno all’altra.
Sapeva
di un sentimento che nessuno dei due avrebbe
mai sperato di cogliere, un fiore ambito sbocciato troppo distante dal
sentiero.
Era
così bella… non riusciva
nemmeno ad accettare l’idea di lasciarla andare. Non quella
notte, non il giorno dopo, settimane, mesi, mai.
Amore.
Era
questo che era quella ragazza ansante
accoccolata significava per lui, che quelle labbra gonfie ad un
millimetro dalle proprie valevano per il suo cuore.
-Shay…-
sussurrò, pianissimo,
gli occhi azzurri completamente perduti in quelle due gemme, in
quell’oro liquido e limpido dinanzi a sé. Era
stanco, le palpebre erano pesanti e minacciavano di crollare, il suo
campo visivo si stava assottigliando sempre di più.
Lei
sorrise, innamorata, lasciandosi scivolare al
suo fianco, trascinandolo con sé in un abbraccio caldo,
innamorato, fragrante nell’aria fresca della notte di Narnia.
Fu
Peter ad affondare il volto nella gola profumata
della Naiade, sospirando beato, gli occhi che finalmente potevano
chiudersi; la mente, che finalmente poteva sentirsi a casa.
-Dormite,
mio Re.- avvertì soltanto quel
sussurro, le dita sottili della ragazza che s’intrecciavano
ai morbidi crini biondi intorno al suo volto.
Peter
annuì appena, allacciando un
braccio intorno alla vita della ninfa, perdendosi in quel profumo
meraviglioso senza pensare più a niente.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
..
.
.
.
.
.
My Space:
Mi dispiace.
Mi dispiace tantissimo.
Sono passati quasi due mesi, due mesi dall'ultimo
aggiornamento di Rebirth: a mia discolpa posso dire soltanto che ho
avuto tanto, tanto da fare, e che questo capitolo non sembrava aver
voglia di uscire e di farsi vivo. Boh.
Shaylee soffre, soffre di senso di colpa e di
debolezza: come ho detto a DreamWanderer,
Shaylee e Talia saranno coloro che patiranno le sofferenze
più a lungo termine; Siria invece dorme, dorme del sonno dei
giusti, dorme del sonno dei disperati.
La canzone è Need, di Hana
Pestle. E' una canzone molto dolce e struggente, e mi sembrava adatta a
Peter e Shaylee in questo momento, entrambi coi propri crucci, le
proprie paure, i propri mostri da affrontare da soli.
Si nota che non sono proprio soddisfatta di questo
capitolo? Sarà che non vado d'accordo con alcune cose che
contiene, no. Chi mi conosce bene sa a cosa mi riferisco.
Bon, ho finito. Non ho la forza neanche di
continuare a sproloquiare.
Alla prossima... e grazie, se arriverete a leggere
sin qui. E scusatemi, per il ritardo immenso che vi ho imposto.
EDIT:
Ecco il TRAILER
di Rebirth che ho fatto io, riguardante Peter e Shaylee; ed ecco il TRAILER
che invece riguarda Caspian e Siria. Arriverà anche il video
su Talia e Caleb, ci sto lavorando ^__^
Il
Fuoco danzava, danzava bello e leggiadro
nell’oscurità più densa.
Le
fiamme s’innalzavano nel buio più fitto, spiccando
vivide
sull’inchiostro corvino che vi fungeva da sfondo.
Ballava,
sì, ballava di una danza ritmica e pulsante a cui presto
s’accordò il battito frenetico del suo cuore.
Ballava
con le forme di una donna, una donna dai lunghi capelli che –
per un eterno istante – scambiò per Siria.
Ma
quella creatura era figlia del fuoco, di quel fuoco che riscaldava
la sua pelle fredda, che ridava vita e vigore al suo corpo stanco;
quella
fiamma ardente era diversa da Siria, era più grande, il
volto che emergeva
dallo scarlatto era più affilato.
Ma
gli occhi.
Quegli
occhi.
Gli
occhi di Siria.
Una
voce – una voce diversa, una voce melodica ma matura, una
voce che
ridondò nel suo petto e lo sconvolse più di
quanto avesse mai potuto pensare.
-…Prenditi
cura di lei.-
Ed
il fuoco esplose in quello stesso attimo, accecando i suoi occhi e
costringendolo a spalancare, rapidamente, le palpebre.
.
.
Caspian
si sfregò gli
occhi, assonnato, la luce fioca della stanza in cui si trovava che
feriva i suoi
occhi ancora provati dal sonno.
Si
trovava in uno dei
cubicoli della cripta, dove soltanto pochi mobili spartani erano stati
portati.
La luce che attraversava le vetrate impolverate era fioca, segno che
soltanto
da poco il sole aveva fatto capolino oltre l’orizzonte,
scacciando una notte
che Caspian aveva creduto infinita.
La
consistenza del
giaciglio era soffice, comoda; per qualche istante, meditò
se sprofondare o
meno in quel sonno da cui era stato bruscamente strappato, gli occhi
socchiusi
ed il respiro quiete, solo un fastidio quasi indefinibile a pizzicargli
il
petto.
Eppure…
eppure quel sogno
era stato troppo vivido, troppo prepotente, per essere semplicemente
abbandonato nell’oscuro oblio del nulla.
-Buongiorno.-
Fu
una voce chiara,
cristallina, ad attirare la sua attenzione ancora intorpidita dal sonno.
Caspian
si voltò di
scatto, sentendo ancora una volta, quel vago fastidio al petto in
risposta a
quel movimento repentino; i suoi occhi scuri misero a fuoco la figura
composta
e snella della Naiade, che indaffarata si muoveva da un lato
all’altro della
stanza, raccogliendo bende e unguenti che probabilmente aveva
utilizzato sulle
sue ferite.
-Buongiorno…-
mormorò,
ancora attonito, senza riuscire a ricordare nulla che non fosse un
indistinto
calore, una sensazione di benessere che provava solamente accanto a
Siria. Dopo
lo scontro nella foresta, dopo averle trovate… tutto spariva
in un confuso nulla che annebbiava
la sua mente
assonnata, poco reattiva. -…cos’è
successo? Per quanto ho dormito? Dov’è Siria?-
chiede, rendendosi improvvisamente conto dell’assenza della
rossa.
Ricordava
distintamente di
averla avvertita al suo fianco, di averla sentita… non
poteva averla sognata.
Siria non lo avrebbe lasciato solo, ridotto com’era.
Shaylee
sospirò, posando
la bisaccia dove stava raccogliendo le sue boccette e i suoi mortaretti.
-Sei
rimasto ferito. Eri
molto grave, le ferite avevano fatto infezione prima che potessi fare
qualcosa.- cominciò, cauta, senza guardarlo. Sedette accanto
a lui, incrociando
le mani sul grembo, tentando di controllare il respiro e
l’espressione del
volto.
-Non
te lo nascondo… non
saresti sopravvissuto, senza Siria.- sussurrò, senza
riuscire a sostenere gli
occhi confusi e ignari del principe di Telmar.
-Cos’ha
fatto?- la voce di
Caspian tradì la stessa paura che Shay avrebbe provato nella
medesima
situazione; il ragazzo aveva imparato in fretta a conoscere la sua
compagna…
sapeva, sapeva forse fin troppo bene, che Siria non si sarebbe fermata
dinanzi
a nulla – neppure di fronte alla morte, per lui.
-Mi
ha chiesto di aiutarti
con la magia.- la Naiade sospirò, spostando gli occhi dorati
su un punto
indefinito della camera. -Io… ero stanca, non sarei riuscita
a sostenere il
peso di quell’incantesimo, la pozione del Fiore del Fuoco di
Lucy non
funzionava… e Siria s’è offerta al mio
posto. Se non l’avesse fatto, tu non
saresti qui.- spiegò tutto d’un fiato, sorvolando
sulla scelta che lei stessa
aveva spinto Siria a fare, sull’importante passo avanti che
la sua amica aveva
fatto per accettare se stessa.
Caspian
non meritava altra
sofferenza… né lui, né la sua compagna.
Come
poteva dirgli ciò che
era successo alla donna che amava, ciò che Siria aveva
rischiato per salvargli
la vita? Come poteva dirgli com’era ridotta in quel momento,
e quanto avrebbe
dovuto ancora passare per riprendersi?
Forse
sarebbe stato meglio
lasciare che lo scoprisse più lentamente…
che…
-Shay,
dov’è Siria?- la
ninfa si sentì sprofondare, quando senza preamboli il
ragazzo si alzò a sedere,
constatando quanto le ferite fossero niente più che un
fastidio lontano, gli
occhi neri che scrutavano penetranti il volto sin troppo espressivo
della
ninfa.
-Dovresti
riposare. Sei
ancora debole.- la voce le uscì sottile, incerta; non
provò nemmeno a fermarlo,
quando Caspian si alzò in piedi e indossò una
casacca pulita sopra le bende che
fasciavano il torace snello, muscoloso.
-Shaylee,
dimmi dov’è
Siria e come sta.- suo malgrado, la Naiade alzò il viso per
guardarlo,
sorpresa; non si aspettava una tale presa di posizione dal principe
che, quando
voleva, sapeva usare un tono pacato e deciso molto simile a quello di
Peter… un
tono da Re.
-Quel
tono con me non
funziona, sai?- commentò, ironica, soppesandolo con un
sopracciglio inarcato,
gli occhioni dorati colmi di qualcosa molto simile ad un bonario
scherno.
Caspian
arrossì di botto,
quando si accorse di aver utilizzato con lei un tono fin troppo
autoritario;
abbassò lo sguardo, penitente, intravedendo i propri calzari
posati lì accanto
e le sue vesti scure, ormai lacere ed inutilizzabili, gettate in un
angolo. Indossò
alla svelta le calzature, sentendo però addosso lo sguardo
indagatore e
leggermente sarcastico della naiade.
-Perdonami…
non era mia
intenzione.- mormorò, sistemando la casacca sgualcita che
indossava come meglio
poteva.
Shaylee
sorrise,
lievemente esasperata dal comportamento testardo e deciso del giovane
principe;
non si era offesa per il tono utilizzato dal ragazzo, poteva benissimo
comprendere l’ansia e la preoccupazione che lo animavano al
pensiero della sua
amata.
Con
un dolce fitta
d’angoscia, si rese conto che Caspian non era
l’unico giovane uomo protettivo
sino a quel punto, da quelle parti…
-Siria
sta riposando,
Caspian, e dovresti farlo anche tu.- sussurrò, piano,
rivolgendogli un’occhiata
molto più dolce. Si accostò a lui, premendo le
manine delicate sulle sue
spalle, costringendolo a rimanere dov’era e armandosi
minacciosamente di una
garza pulita.
-Io
mi sento bene, voglio
andare da lei.- protestò il ragazzo, arrossendo ancor di
più quando la naiade
scostò senza troppe remore la sua casacca, scoprendo il
torace snello e
fasciato del giovane principe.
Caspian
non era abituato
ad essere curato da una donna; i cerusici di corte erano tutti uomini
per
volere di suo zio, ma Shaylee era ben lungi dall’essere un
barbuto e
solitamente scorbutico vecchietto… si sentì
arrossire, imbarazzato dalla
situazione, sorridendo suo malgrado al pensiero di quanto si sarebbe
infiammata
Siria se fosse stata presente.
La
ninfa sospirò,
guardandolo con uno sguardo che, per un istante, riportò
alla sua mente
l’espressione esasperata e divertita di sua madre a fronte
della sua ennesima
marachella; quasi sorrise, colpevole, rammentando la sensazione di
essere stato
colto sul fatto nel bel mezzo di qualche avventura…
-Ascolta,
Siria non scappa
e io devo controllare che tu stia davvero bene come sostieni, quindi
resta
seduto lì dove sei e non mi contraddire.- la voce perentoria
di Shaylee lo
riscosse, riportandolo al presente; le scoccò
un’occhiata ironica, quando si
rese conto del tono deciso ed autoritario che la naiade aveva usato per
rivolgersi a lui.
-E
poi sono io, vero?-
commentò, sarcastico. Lei si strinse nelle spalle, facendo
così ondeggiare i
lunghi capelli dorati, accennando un mezzo sorriso che non raggiunse,
però, i
tempestosi occhi dorati.
-Cosa
c’entra, io posso,
sono una donna.-
.
.
Quando
Shaylee lo aveva
finalmente lasciato andare, Caspian aveva percorso i corridoi della
cripta
accompagnato dal battito furioso del suo cuore; aveva bisogno di vedere
Siria,
di sapere che era viva, di sapere che era sana e salva…
Ma,
quando era entrato in
quella stanza lievemente in disparte rispetto alle altre, quel cuore
forsennato
si era, repentinamente, zittito.
Per
un istante terribile,
Caspian aveva sentito il battito vitale nel suo petto incrinarsi,
spezzarsi;
perché là, davanti ai suoi occhi, si era
materializzato uno dei suoi più
orribili e ricorrenti incubi, concreto e reale quanto la più
orribile realtà.
Siria
era là, bellissima
bambola spezzata, la porcellana del suo volto deturpata da ferite che
affondavano, crudeli, nella sua carne nivea.
Le
palpebre livide
velavano, caritatevoli, le iridi blu della raminga; Siria riposava,
esausta, i
capelli raccolti in una treccia morbida, lavati e pettinati da dolci
mani di
naiade. Le ferite erano state pulite, i vestiti laceri gettati;
indossava una
delicata veste da notte che le lasciava scoperta buona parte della
coscia
bianca – probabilmente, quell’abito candido
apparteneva a Shaylee, molto più
minuta di lei…
Respirava
delicatamente,
faticosamente, il seno che si alzava e si abbassava piano.
Non
trovava calma,
Caspian, nel volto addormentato della donna che amava; vedeva il
tormento
agitarla anche in quel profondo sonno da cui non pareva intenzionata a
svegliarsi, le iridi che guizzavano agitate sotto le palpebre.
Sognava,
Siria.
.
-Prenditi
cura di lei.-
.
Le
parole del suo sogno
rimbombarono improvvisamente fra i suoi pensieri, gli occhi che
pizzicavano
terribilmente, lacrime di dolore e di paura che lottavano per rigare il
suo
giovane volto; prendersi cura di Siria… come poteva, lui,
prendersi cura di una
creatura tanto bella e selvaggia, che non era riuscito – per
l’ennesima volta –
a proteggere?
Gliel’avevano
quasi
portata via…
L’avevano
quasi uccisa, i
profondi squarci appena rimarginati sulla sua pelle ne erano la
terribile
riprova.
E
lui, cos’aveva fatto?
Cos’aveva fatto per evitarlo, per salvarla, per proteggerla
come avrebbe
desiderato fare con tutto se stesso?
Niente.
Sentì
il suo respiro farsi
affannoso, rapido, irregolare; vedere Siria era qualcosa di
orrendamente
meraviglioso, un sollievo ed una tortura allo stesso tempo, una gioia
ed un
dolore che si rincorrevano fra quelle lacrime che nessuno avrebbe visto
sul suo
viso.
Niente.
Che
cos’era, lui, senza
Siria?
Niente.
Che
cosa poteva fare,
adesso, per svegliarla?
Niente.
Si
avvicinò lentamente a
lei, i piedi pesanti e le gambe più simili a ciocchi di
legno piuttosto che ad
arti funzionanti; si lasciò crollare al suo fianco, le dita
umide di lacrime
che sfioravano quel volto meraviglioso e deturpato, le labbra che
sussurravano
debolmente il nome di quella donna che tanto significava per lui.
-Siria…-
.
.
Le
dita affusolate di
Shaylee fecero dolcemente scattare la serratura della porta, il cuore
terribilmente pesante nel petto, racchiudendo in quella piccola stanza
la
disperazione ed il dolore di un giovane uomo dal cuore lacerato.
.
.
.
.
I
giorni passavano, lenti
ed inesorabili come l’estate che ormai avanzava su Narnia;
l’aria si era fatta
più afosa, mentre i frutti abbondavano sui rami degli alberi
silenti e la
pelliccia dei
centauri si colorava di nuove e più accese
tonalità.
Aaron
tese l’arco,
sentendo il legno piegarsi sotto la sua stretta spietatamente dura;
tirò la
corda al massimo, temendo per qualche attimo di spezzare
l’arma, prima di
scoccare la freccia e colpire esattamente il centro di un elmo
telmarino, posto
ad almeno un centinaio di metri da dove si era posizionato.
Per
un istante, si sentì
meglio; l’odio che animava furibondo le sue vene da quando
avevano trovato sua
sorella ridotta in quello stato si placava solamente durante gli
allenamenti,
mentre visualizzava dinanzi a sé i volti ruvidi e sgradevoli
dei soldati
telmarini, immaginando di colpirli con la stessa, feroce freddezza che
le loro
luride mani avevano usato su Siria.
-Aaron…-
l’unico balsamo
che riusciva a chetare la sua rabbia era la voce dolce della Regina
maggiore,
in quell’istante in piedi al suo fianco, silenziosa
– come sempre, quando Aaron
si allenava – ma dagli occhi intelligenti, colmi di qualcosa
molto simile a
preoccupazione.
-Come
sta Siria?- gli
chiese, dopo una manciata di secondi passati in un silenzio assoluto,
spezzato
soltanto dal vibrare della freccia piantata nel metallo scuro
dell’elmo
trafitto.
-Shay
dice che si
riprenderà.- fu la risposta atona del rosso, gli occhi che
saettavano lontano
dalla ragazza; il cielo di Narnia era terso, celeste e meraviglioso
come
sempre, tanto bello da sembrare quasi dipinto. Le folte fronde degli
alberi
silenti spezzavano quell’azzurro di plastica, muovendosi in
una brezza delicata
che la fronte corrugata di Aaron non coglieva.
-Aaron…-
il sussurro di
Susan lo cullava in una realtà in cui il senso di colpa non
esisteva, in cui
niente – dentro di lui – gli rinfacciava di non
esserci stato, di non aver
saputo proteggere una delle persone a cui teneva di più al
mondo…
Lui
non l’aveva salvata.
Era
quella, la verità. L’amara,
crudele, vivida verità.
Lui
non l’aveva protetta.
Aveva
giurato a sua
sorella di restarle accanto, di essere quel sostegno e quella
protezione che
Siria aveva sempre silenziosamente, disperatamente cercato…
e invece aveva
lasciato che le facessero del male, aveva lasciato che si abbandonasse
alla
magia, aveva permesso a Shaylee di spingerla su una strada che Siria
non voleva
e non doveva percorrere…
Sospirò,
lasciando cadere
l’arco sull’erba, voltandosi finalmente verso
l’unica donna in grado di farlo
sentire nudo, incapace di affrontare persino se stesso.
Gli
occhi celesti di Susan
erano lì, ad attenderlo, tersi quanto il cielo che li
sovrastava; le labbra
carnose della Regina Dolce erano curve in un delicato sorriso, un
sorriso
speciale che Susan dedicava soltanto a lui, le guance diafane colorate
di una
delicata tonalità di pesca.
Era
bella, Susan; tanto bella
da ferire quel cuore dolorante, sanguinolento, carico di un senso di
colpa che
non riusciva a cancellare.
Il
volto sfigurato di sua sorella.
-Ho
mancato ad una
promessa.- mormorò, la voce intrisa del senso di colpa
più tremendo che avesse
mai provato, gli occhi solitamente di ghiaccio tempestosi, cupi.
I
suoi occhi spaventati, atterriti.
Si
prese la testa fra le
mani, sedendosi prima che le gambe cedessero sotto il peso della colpa;
avvertì
Susan avvicinarsi a lui, accomodandosi al suo fianco,
sull’erba fresca e
carnosa. -Avevo giurato di proteggerla, di salvarla, e non
l’ho fatto.-
Quella
confessione aleggiò
nell’aria fresca, pesante come il groppo fermo nella sua gola
da giorni, ormai.
Susan
sospirò,
sfiorandogli delicatamente i capelli scarlatti, le labbra disegnate da
un amaro
sorriso affranto.
-Mi
ricordi tanto Peter,
adesso. Avete entrambi il complesso del fratello maggiore.-
mormorò, soppesandolo,
tentando di trasmettergli la calma che sentiva vibrare dentro di
sé.
Aveva
avuto molto tempo per
riflettere, Susan, e per rivalutare molte cose che non aveva mai
analizzato
sino a quel momento.
Siria
si era comportata
come non si sarebbe mai aspettata, sorprendendola più di
quanto avesse mai
potuto pensare; la rossa si era sacrificata, mettendo seriamente a
repentaglio
la sua vita, per salvare le sue amiche… era stata
coraggiosa, oltre persino il
buonsenso, mettendosi in prima linea per proteggere le persone che
amava.
Era
un comportamento che
Susan aveva apprezzato, e che le aveva permesso di guardare in modo
diverso la
ragazza che tanta antipatia le aveva causato.
E,
soprattutto…
-Siria è forte e
coraggiosa, e se ha fatto
quel che ha fatto ne aveva i giusti motivi. Colpevolizzarsi non serve a
nulla.-
disse, chiara e cristallina come sempre, lasciando che Aaron
abbandonasse la
testa sul suo grembo, schiacciato dal senso di colpa.
Susan
scosse appena la
testa, sentendo la verità lottare fra i suoi pensieri,
scivolando delicata fra
quelle labbra morbide quanto un bocciolo di rosa.
-D’altronde,
Siria è più
di quanto io possa immaginare, vero?-
Un
lungo silenzio di
ghiaccio scese fra loro, a quella domanda tranquilla che conteneva
mille e più
significati che Aaron colse immediatamente, sentendo il sangue gelarsi
nelle
vene.
-Sue…-
cominciò, piano, i
pensieri che si bloccavano improvvisamente, incapaci di ragionare, di
calcolare, di comprendere…
Sull’orlo
di un baratro, sulle cui sponde vertevano l’amore e la
famiglia.
Sorrise,
Susan, più serena
stavolta, quando la voce di Aaron tremò
nell’incertezza di un segreto che lei
aveva intuito ormai da tanto tempo. Lo interruppe, abbassando lo
sguardo e
trovando i suoi occhi a fissarla, ansiosi e preoccupati come mai prima
di quel
momento; Aaron presagiva qualcosa, sapeva che Sue aveva
capito…
-Io
so che non può essere
semplicemente un’umana. Lo so, l’ho visto,
l’ho capito nel primo momento in cui
ho incrociato il suo sguardo.-
Aaron
spalancò gli occhi,
scrutando immediatamente il volto sereno e tranquillo della sua
compagna; Susan
era calma, senza la minima traccia di sorpresa a segnarle il viso
elegante, gli
occhi che gli sorridevano, luminosi e bellissimi come sempre.
-Non…-
cominciò, sentendo
il cuore accelerare bruscamente, il segreto di sua sorella
improvvisamente in
pericolo; ma qualcosa, dentro di lui, si spaccava a metà al
solo pensiero di
doversi dividere fra Siria e Sue…
Lo
zittì dolcemente,
Susan, accarezzando dolcemente le sue labbra carnose e posandovi un
lieve bacio.
Aaron sospirò, socchiudendo gli occhi ed abbandonando la
testa sul suo grembo,
pacificato da una luce tranquilla e serena che gli occhi celesti della
ragazza
irradiavano.
Susan
non avrebbe tradito Siria.
Qualcosa,
in quello
sguardo profondo e limpido al tempo stesso, gli assicurava che il
segreto di
sua sorella sarebbe rimasto al sicuro.
-Qualunque
cosa sia, ha il
mio rispetto. Magari non la mia simpatia, ma sicuramente il mio
rispetto e la
mia lealtà.- le parole di Sue non furono che
un’ulteriore conferma della sua
intuizione; un sorriso sollevato si disegnò sul suo volto, i
pensieri che si
perdevano sotto le dolci carezze della Regina Dolce.
Ne
era certo.
Susan
accarezzò lievemente
gli scompigliati crini scarlatti del suo compagno, alzando gli occhi al
cielo fattosi
improvvisamente plumbeo e minaccioso: presto la pioggia avrebbe lavato
via
tutto, portando con sé il sangue sparso per
crudeltà ed il terrore stillato da
anime inaspettatamente pure.
Sorrise
appena,
malinconica, negli occhi impresso chiaramente il volto martoriato di
quella che
aveva considerato, sino a pochi giorni prima, un pericolo.
-Se
le è meritate.-
.
.
-DATTI
UNA MOSSA!-
Un
clangore d’acciaio e di rabbia.
-NON
TI STAI CONCENTRANDO!
MUOVITI!-
Una
voce che le trapanava la testa.
-NON
M’INTERESSA NIENTE!
REAGISCI, SE SEI UN UOMO!-
Un
ruggito esasperato, e di nuovo spade che fraseggiavano bestemmie, ira
e dolore che si mescolano nelle scintille furibonde che fremono fra le
lame.
.
Peter.
.
Siria
lo avrebbe
maledetto, se ne fosse stata in grado.
Perché
Peter urlava? Lei stava
dormendo, dannazione. Non poteva lasciarla riposare, una volta tanto?
Non
poteva contenere il suo indomabile spirito per concederle qualche ora
in più di
riposo?
Era
così stanca… tanto
stanca da non ricordare, nemmeno, da quanto stesse dormendo.
Giorni,
forse?
Lentamente,
si costrinse a
riprendere coscienza di sé, riemergendo dal nulla confuso in
cui la debolezza e
le pozioni sonnifere di Shaylee l’avevano costretta a
sprofondare. Il suo corpo
era pesante, fragile, i suoi pensieri una matassa intricata ed
inesbrogliabile.
Vi rinunciò immediatamente, cercando di capire cosa stesse
succedendo, l’ira
che avvertiva appesantire l’aria intorno a lei.
Peter…
la voce di Peter era carica di rabbia, di odio, di un dolore a
stento trattenuto.
Era
stato quel dettaglio,
quei sentimenti che tanto bene riusciva a cogliere, a scuotere il suo
sonno
drogato, costringendola ad abbandonare il rassicurante oblio dei
farmaci e dell’incoscienza.
Peter
soffriva.
Il
suo amico, il suo
rivale, il suo eterno, fraterno avversario… soffriva.
“Perché?”
Tentò
di muoversi, di
cercare disperatamente il contatto con il proprio corpo – un
corpo che
avvertiva lento e dolorante, come se… come se avesse
subito…
DOLORE!
Una
frustata, ed il suo
corpo debole crollò nuovamente sulle lenzuola, il dolore
fulminante che
riportava a galla truci ricordi che Siria non voleva rammentare.
Un
gemito sfuggì da quelle
soffici labbra ormai guarite, quando la paura ed il terrore tornarono a
sopraffare la sua mente impreparata, trasmettendo un tremito orribile a
quella
carcassa che rimaneva del suo corpo provato.
.
Angus.
La
tortura.
Shaylee
e Talia, pericolo.
Sangue,
dolore, sangue, carne strappata e lacera.
Spade,
terrore, fil di lama sulla pelle; una macchia bionda pronta a
combattere.
Caspian.
Sangue.
Caspian.
No.
.
Un
ruggito di dolore
sfuggì dalla gola arsa di Siria, quando lacrime calde e
spaventate scivolarono
lungo le sue guance livide; i ricordi ed il terrore si ravvivarono in
un fuoco
tremendo che minacciò di sopraffarla, costringendola a
rannicchiarsi su se stessa
ed a nascondersi fra le morbide coperte in cui era avvolta, i piedi
congelati
quanto il suo cuore.
Caspian.
Cos’era
successo a
Caspian? Non rammentava nulla… ricordava soltanto un immenso
calore, una
sensazione di benessere che l’aveva invasa qualche attimo
prima che il dolore
la distruggesse quasi completamente, e poi…
Nulla.
No,
lei non poteva vivere
del nulla.
Ma
aveva paura.
Se
si fosse alzata, gli
incubi sarebbero tornati, il dolore le avrebbe ricordato la tortura
subita.
Ma
doveva sapere.
Doveva
sapere che cosa
aveva fatto, doveva essere sicura di non aver…
Doveva
sconfiggersi, ancora una volta.
Il
volto di Angus Flynch,
stirato in quella folle smorfia di crudele e trionfante sadismo che
tanto l’aveva
tormentata, si fece più vivido dinanzi agli occhi della sua
mente, quando le
sue gambe incerte la portarono a terra, rischiando quasi di farla
rovinare sul
brullo pavimento della stanzetta.
Non
indossò i calzari, non
rammentava nemmeno di possederne ancora un paio; scalza, le mani
candide che si
aggrappavano convulsamente a qualsiasi appiglio, si trascinò
fuori da quella
stanza che distingueva sfocata, irriconoscibile ai suoi occhi appannati
di
dolore e d’angoscia.
Barcollò,
ma la
testardaggine fu più forte della debolezza che sentiva
fremere nelle gambe
incerte; doveva uscire da quella cripta, doveva rivedere il verde
acceso della
foresta e dei prati, doveva sentire di nuovo quel profumo troppo a
lungo
annebbiato dall’odore ferruginoso del sangue…
aveva bisogno di scorgere
finalmente il Sole, dopo troppi giorni di buio e di oblio.
Sentì
una vampata
terribilmente calda imperlarle la fronte di sudore, lievi scie
trasparenti che
immediatamente ghiacciarono e le trasmisero un orrido brivido: caldo e
poi
subito freddo, fuoco e ghiaccio… lo stesso contrasto che
aveva segnato una vita
intera: la sua.
Combatté
contro la vista
sfocata, Siria, sotto le dita livide la consistenza della parete del
corridoio
in penombra; mai quel percorso, solitamente breve, le era parso tanto
lungo e
insidioso… sentiva la febbre alta farsi strada nel suo
corpo, minare anche
quella fragile testardaggine che la teneva in piedi e la costringeva a
muovere
un piccolo passo dopo l’altro.
Non
c’era nessuno, in
giro: era tardo pomeriggio, tutti i guerrieri erano fuori per i
consueti
allenamenti, Talia e Caleb probabilmente erano assieme a loro, Shaylee
chissà
dov’era… e Caspian?
Caspian.
Il
nome del principe
risuonò con forza nel suo debole petto, rinvigorendo
quell’ostinazione sempre
più labile che ancora le permetteva di camminare.
Aveva
bisogno di vederlo,
aveva bisogno di essere sicura di saperlo vivo e in salute: aveva
rischiato se
stessa e la sua salute per salvargli la vita, aveva messo a repentaglio
la
segretezza di una magia che nessuno avrebbe mai dovuto scorgere a parte
le sue
compagne, aveva temuto persino di arrivare a fargli del male…
Doveva
sapere.
Doveva
sapere, per certo,
di non aver compiuto l’ennesimo omicidio –
l’unico che avrebbe ucciso anche
lei, perché la consapevolezza di avergli fatto del male
sarebbe bastata per
distruggerla, per spegnere definitivamente quell’incerto
fuocherello che ancora
brillava in un’oscurità troppo fitta.
Ma
era inutile perdersi in
divagazioni, in pensieri che non facevano altro che serrare la morsa
della
paura e dell’ansia che stringeva il suo cuore: la soglia
della cripta era lì, a
pochi passi da lei, ed il Sole caldo del pomeriggio sfiorava
– finalmente – la
sua pelle martoriata.
Ah…
Il
calore che si diramò
sulla sua pelle fu dolcissimo, quando un raggio dorato
sfiorò il suo braccio
ancora recante le troppo vivide tracce di quella lunga prigionia.
Era
viva.
Per
la prima volta da
quando erano state catturate, per il primo istante da quando le mani
malvagie
di Angus Flynch erano calate su di lei… Siria si
sentì viva.
Quei
lunghi giorni erano
stati, per lei, una lotta continua sul filo del rasoio: vivere o morire
avevano
perso importanza, durante il rapimento, riducendosi ad una mera
sopravvivenza
durante una tortura infinita.
Si
era rassegnata, in quei
momenti, a non provare più niente, limitandosi a subire le
violente percosse
del soldato senza la possibilità e la voglia di reagire: si
era arresa,
abbandonandosi nel buio di quella morte che sentiva sempre
più vicina, il fiato
gelido che le riempiva la gola di pelle d’oca.
E
invece… invece il Sole
caldo di Narnia la riportava alla vita, sfiorando quella pelle lacera
su cui
ancora s’intravedeva un barlume di candore: quel candore che
sembrava esserle
stato strappato, quel candore che, troppo a lungo, Siria aveva visto
sporcato
dal colore rugginoso del sangue.
Narnia
si stendeva dinanzi
a lei, e mai Siria aveva scorto uno spettacolo più bello.
Il
pallido ricordo del
verde oceano che ondeggiava sotto la carezza del vento era niente, in
confronto
alla pura dolcezza che vedeva danzare in ogni singolo filo
d’erba, nelle fronde
d’ogni albero; e la luce dorata del Sole era il tesoro
più splendente che i
suoi occhi stanchi avessero mai scorto, la sicurezza di una vita che
per poco
non l’aveva abbandonata, la bellezza di un panorama che aveva
pensato di non
poter più scorgere.
Là,
aggrappata ad una colonna
con tutte le poche forze che le erano rimaste, la verde e ribelle
Narnia ai
suoi piedi, Siria si sentì finalmente a
casa.
Quel
cuore dolorante,
però, cercava.
Quel
cuore spaventato,
però, sperava.
Dov’era?
Non
poteva… non poteva
essere…
E
se lei avesse fallito?
Se…
se la sua magia
dannata avesse compiuto l’ennesimo orrore, strappandole
l’unica vita a cui non
avrebbe mai potuto rinunciare? Se quel fuoco maledetto avesse arso solo
per
uccidere, per portarle via ciò che aveva di più
caro, ciò che le dava la forza di
sopravvivere?
Sentì
calde lacrime
pungere quegli occhi gonfi, stanchi, mentre il suo sguardo sfocato
scivolava
ansioso fra i mille volti anonimi dei soldati radunati
nell’ampia pianura.
Riconobbe
i volti dei suoi
compagni, di suo fratello, dei gendarmi al cui fianco aveva combattuto;
riconobbe amici e conoscenti, riconobbe tutti coloro che si battevano
per la
causa a cui Caspian…
Caspian…
Dov’era
Caspian… dov’era
Peter?
Lui
non le avrebbe
mentito, le avrebbe detto la verità…
dov’era Peter?
Nella
confusione, nel
dolore che pulsava terribile nelle sue carni e nella sua mente, Siria
riuscì
soltanto a distinguere una lama dai riflessi argentei, una zazzera
disordinata
di capelli biondi che improvvisamente si fermava, il viso rivolto verso
di lei.
Peter.
Cosa
c’era, adesso, in
quegli occhi azzurri?
Era
sempre stata in grado
di cogliervi qualsiasi cosa… eppure adesso, per la prima
volta, non vi distinse
altro che pura sorpresa.
Sorpresa,
sgomento, un respiro…
come se Peter non si fosse
aspettato di vederla in piedi, come se non si fosse aspettato di
incrociare
ancora il suo sguardo, come se si fosse rassegnato a vederla dormire
per
sempre… una parola, un borbottio a
mezza
voce.
Un
sorriso.
Un
sorriso incredulo che
scaldò il cuore della ragazza come il Sole aveva sfiorato la
sua pelle.
Un
cuore che esplose, che
eruppe in un istante quando i suoi occhi misero a fuoco il volto
dell’interlocutore di Peter, che rapidamente si era voltato
proprio verso di
lei.
Notte.
La
notte che Siria vide,
in quell’istante, fu la Notte che più le era
mancata in quelle terribili ore di
torture. La Notte che distinse in quel viso aveva la forma di due
espressivi
occhi del colore dell’inchiostro, caldi e vividi come il
sapore di quelle
stesse labbra sottili, accesi e tempestosi come la passione che vibrava
in quel
corpo.
Quella
Notte era la stessa
che lei aspettava, impaziente, al termine di ogni dura giornata; quella
che
vedeva soltanto lei e lui, protagonisti di un racconto che bruciava nei
fuocherelli dei cantori di strada.
Quella
Notte così diversa
dal buio che aveva minacciato di divorarla, quella Notte che amava, riflessa in due iridi corvine che
si riempirono di mille emozioni quando, finalmente, trovarono le sue.
Caspian.
E
il mondo, la bellezza di
ciò che Siria aveva appena ritrovato, improvvisamente
scomparvero: l’unica
figura concreta, solida, reale che la sua vista riuscisse a mettere a
fuoco era
lui, quel volto affilato di un
giovane che troppe ne aveva passate, quei capelli segosi e riccioluti
che lei
tanto adorava, quelle spalle nodose capaci di sorreggere anche lei.
Accennò
un sorriso, Siria.
Un
sorriso che non era
altro che il pallido, mero riflesso del palpito forsennato che
scalpitava
dentro di lei, nella sua cassa toracica, opera di un cuore che
– alla fine – aveva
davvero ripreso a battere.
-Caspian…-
Le
sue labbra tumefatte
articolarono quel nome, incerte, incespicando su ogni sillaba come se
davvero
non potessero credere di essere ancora in grado di pronunciarle; ma il
suono
che le ritornò all’udito fu dolce, fu
più dolce di quanto non fosse mai stato
prima d’allora.
A
Caspian bastò questo.
Bastò
vederla lì,
tremante, ferita, avvolta in una camiciola che la faceva assomigliare
ad una
bambina sperduta, i capelli rossi sciolti in una cascata sulla sua
schiena, il
volto timido e ferito che si alzava a cercarlo con tutto il terrore di
un
incubo… e il nodo terribile che gli opprimeva il petto si
dissolse, liberando
le sue gambe dalla morsa che lo teneva inchiodato lì
dov’era.
Corse
da lei, senza
esitare, senza aspettare, nelle orecchie soltanto il suono del suo
cuore che
batteva furioso.
Perché
Siria era là, era viva,
e a lui non interessava
nient’altro.
E
quando tese le braccia
verso di lui, abbandonando la sicurezza del suo appiglio per
cercarlo… quando
il suo corpo caldo entrò a contatto con le sue mani, con il
suo petto, quando
il profumo di quei capelli che tanto le erano stati pettinati con cura
lo
investì…
Tutto
tornò a posto.
La
ritrovò contro di sé,
nel suo abbraccio, quando per troppi giorni aveva vissuto
nell’agonia di non
poterla più toccare; la sentì singhiozzare sul
suo torace e la strinse, le mani
che spasmodicamente la racchiudevano in una stretta da cui non le
avrebbe più
permesso di allontanarsi, il volto che s’immergeva in quei
rossi crini che lui
tanto amava.
Tutto
era di nuovo perfetto.
C’era
lei, c’era lui,
c’era il terrore che li scuoteva in singhiozzi che nessuno
dei due sapeva se
appartenere all’uno o all’altro; c’erano
le braccia che si cercavano con paura,
c’erano le lacrime che sgorgavano sulle guance nivee della
rossa, c’era il
corpo solido di Caspian che l’accoglieva contro di
sé.
Erano
di nuovo insieme.
Era
di nuovo al sicuro:
lì, in quell’abbraccio forte e protettivo, quasi
eccessivo, quell’abbraccio che
la stringeva con amore e con paura ma con tutto il sollievo di averla
ritrovata, di saperla abbastanza forte da schiudere gli occhi, di
sentire il
suo respiro accelerato e i singhiozzi che la facevano tremare.
-Siria…-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
..
.
My
Space:
Mi dispiace.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Sono più di tre mesi che non aggiorno:
maturità, lavoro, fidanzato, problemi, malattie, genitori,
sorella, vita, sopravvivenza. Liti, ed un rifiuto per questa storia che
ha perdurato per tanto, troppo, nonostante fosse la mia creatura, il
mio tesoro, il mio orgoglio.
Sono tornata, sì. Sembra impossibile, ma
sono tornata.
Non abbandonerò Rebirth, né i
suoi seguiti: non lo farò, perché ho capito di
amare questa storia come forse ho amato soltanto la mia Diana, la mia
Regina, la Regina che fu e che non è più.
E sono tornata, con questo capitolo spero
abbastanza decente per chiedervi scusa.
Siria si è svegliata. Siria si
è ripresa, ancora una volta, Siria si è rialzata.
Non sarà facile il suo cammino, ma ce la farà:
è Siria, no?
E Susan... sì, Susan se n'è
accorta, Susan ha capito. Susan si redimerà e
acquisterà nuova luce, agli occhi vostri e anche miei. L'ho
rivalutata ^^'
Se vorrete recensire, anche solo per insultarmi per
il ritardo, fatelo. Sarà una cosa che mi sarà
immensamente utile per vedere di non fare altri danni del genere.
L’umida nebbia
del primo mattino velò la pelle ambrata di Talia, le mani
affusolate ed i calzari che si fondevano con gli arbusti ed i bassi
rami del sottobosco, le snelle gambe che scattavano per portarla a
velocità che gli esseri umani non avrebbero mai potuto
raggiungere.
Nella sua mente, rapidi
quanto i suoi abili salti, si rincorrevano pensieri e tormenti che il
riposo forzato dell’ultima settimana non era riuscito, nemmeno
lontanamente, a sopire.
Erano passati giorni,
ormai; lunghe notti che la sua mente le aveva impedito di vivere nel
sonno e nell’oblio, atterrita al sol pensiero di rivivere,
ancora una volta, l’incubo che per interminabili ore di buio
l’aveva costretta in una fragilità a cui Talia non era
mai stata abituata.
Mai.
Lei, fiera del suo
mezzo sangue d’elfa, invulnerabile nel suo guscio
d’indistruttibile sicurezza, si era ritrovata a combattere
contro il suo più grande demone, contro lo sprezzo che provava
nei confronti della sua parte più debole e meschina, quel
corpo a metà che l’aveva tradita, lasciandola…
Nuda.
Dinanzi a quelle belve
che condividevano metà della sua natura, quell’orrida
parte umana che avrebbe voluto strappare da sé, lacerarsi la
pelle sino a cancellare dalla sua anima ogni traccia di umanità…
Talia era rimasta nuda, nuda nella fragilità di un corpo
improvvisamente privo della sua impressionante, sicura, confortevole
forza, alla mercé di bestie che molto avevano di animalesco e
poco, invece, di umano.
Sui polsi, impossibili
da cancellare anche per il suo sangue di elfa, Talia recava ed
avrebbe per sempre recato i segni di quelle catene maledette, quel
metallo incantato che aveva risucchiato via ogni briciolo della sua
sicurezza. Sino all’ultimo.
Tentò di
scacciare i demoni dai suoi pensieri, relegandoli in quel buio
anfratto che soltanto la notte era in grado di svellere dai suoi
saldi cardini; il suo corpo si muoveva agile nella foresta, il
profumo scuro e denso delle cortecce la cullava in ricordi lontani,
nei ricordi di quando, bambina, giocava assieme agli altri fanciulli
elfi, ignara del crudo destino che la vita le avrebbe riservato.
Ignara della sua
mediocrità, dell’ineluttabile verità che la
spaccava a metà fra due mondi.
Due mondi a cui lei
non apparteneva.
Due mondi che
l’avevano scacciata, allontanata, spezzata in due metà
che non potevano in alcun modo ricongiungersi; da una parte e
dall’altra, Talia non aveva mai provato l’interezza di
appartenere ad un luogo, ad una famiglia, ad un…
Ma il suo mondo,
l’unico in cui Talia poteva sentire la spaccatura dentro di sé
colmarsi e svanire, era fra le braccia di un ragazzo alto, dai
soffici riccioli biondi e dalle spalle nodose e forti, in quel
momento accovacciato fra le radici di un immenso ontano
incredibilmente frondoso.
Caleb.
In poco meno di un
istante, tutti i pensieri e le paure che attanagliavano i suoi
pensieri svanirono, scacciati dalla luminosa e concreta
presenza di Caleb, dal celeste profondo dei suoi meravigliosi occhi
tanto anomali per un guerriero: occhi caldi, dolci, limpidi come
specchi d'acqua, tanto diversi da quelli di qualunque altro soldato
dell'esercito narniano.
-Caleb…- chiamò,
piano, avvicinandosi piano alla figura contratta e pensierosa del suo
compagno. Il volto di Cal era fisso su un punto lontano, un varco fra
le fronde degli alberi che lasciava scoperto uno sprazzo delle nubi
che ammantavano il cielo ormai da giorni.
Si accostò al
biondo, sedendosi al suo fianco e sfiorando delicatamente i riccioli
morbidi che ricadevano sulle iridi socchiuse, sofferenti, del
ragazzo. -Cos’hai?- gli chiese, piano, il fruscio del vento che
scuoteva lievemente le folte chiome degli alberi che li circondavano.
Caleb sorrise
lievemente, il corpo che si rilassava impercettibilmente come
reazione alla presenza di Talia; il profumo di selvatico e di foreste
della mezzelfa lo raggiunse in un attimo, riempiendo il suo ampio
petto della presenza della giovane, immortale creatura.
-Nulla, tranquilla.- la
rassicurò, alzando delicatamente una mano e racchiudendovi
quella minuscola di Tallie, portandola alle labbra e posandovi un
lieve, candido bacio.
-Non sono una sciocca.-
gli ricordò, un morbido sorriso che appariva, per qualche
attimo, sulle sue labbra.
-Lo so bene.- annuì
il biondo, tirando un lieve sospiro e costringendosi ad aprire gli
occhi, fissandoli in quelli scuri, caldi, dell'elfa. -Non mi
aspettavo… non avrei mai voluto vedere ciò che ho
visto, fare ciò che ho fatto.-
Quella confessione
aleggiò nell'aria per lunghi secondi, appesantendo il respiro
ed i pensieri del ragazzo che, da quella notte, non aveva smesso un
attimo soltanto di tormentare il suo animo e la sua mente.
Ira e furia, furia e
ira; rabbia e dolore, violenza e sangue, condensato in quell'arma mai
stata tanto leggera fra le sue mani.
-Mi sono sentito un
animale, ma non me ne pento.- aggiunse, la voce amara e distante,
rammentando bene quel sentimento cieco ed inarrestabile che lo aveva
travolto, cancellando ogni suo pensiero e riducendolo ad una belva
assetata di sangue – il sangue di coloro che avevano tentato di
portargli via la sua unica ragione di vita, la donna per cui avrebbe
dato il sangue e l’anima.
-Cal…- cominciò
Talia, incerta su cosa dire, su cosa tentare di pronunciare per
lenire il disgusto che il suo compagno provava verso se stesso.
Lo aveva visto
combattere come mai prima, la furia che soppiantava il solito
atteggiamento scanzonato ed ironico che lo aveva sempre
caratterizzato; aveva visto l’allegria sparire dai suoi occhi,
sostituita da una cieca sete omicida che l’aveva spaventata –
ma cullata, rassicurata nella sua presenza forte ed
invincibile, sicura che Caleb non avrebbe mai permesso che le
accadesse ancora qualcosa.
Ma il biondo la
interruppe, prendendole il viso fra le mani e portandolo
repentinamente ad un soffio dal proprio, gli occhi celesti tormentati
dall’unica, reale paura che ancora lo stava tormentando sin nel
profondo.
-Ti avrebbero uccisa,
lo capisci?- mormorò, nella voce un fremito che Talia non
aveva mai udito, una debolezza improvvisa che imperversava in quei
due pozzi celesti, colmi di terrore. -Ti avrei perduta…-
sussurrò, piano, Caleb, accarezzandole una guancia col timore
di spezzarla, di rovinare quella pelle risanata dal suo stesso sangue
magico.
Non poteva accettare il
pensiero di essere stato tanto vicino a perdere Talia.
Non poteva.
Senza di lei, la sua
vita non valeva nulla; la sua vita sarebbe stata inutile e grigia,
vuota d’ogni sorriso e d’ogni gioia, piena soltanto del
dolore della perdita e del rimorso per non averla salvata. -Non ti
posso perdere, scricciolo. Io… ho perso la testa, Tallie. Non
ho più compreso altro, ho soltanto…- balbettò,
calde lacrime che minacciavano di scendere da quelle due iridi
stupefacenti, dello stesso colore di un cielo che Talia non vedeva
ormai da molti giorni, oscurato dalle nubi.
Ma lei, lei aveva il
suo universo personale, in quel volto chiaro spaccato dall’ansia.
-Caleb. Ehi, ragazzone,
ascoltami.- esordì, piazzandosi di fronte a lui e racchiudendo
fra quelle minuscole manine il volto del guerriero, tentando di
trasmettergli tutta la sicurezza che lei provava sempre, al suo
fianco.
Accanto a Cal, Talia
sentiva che niente avrebbe potuto scalfirla, che nulla avrebbe potuto
far del male a nessuno dei due; perché Caleb era la sua forza,
la forza centenaria di una mezzosangue dal cuore più puro di
entrambe le razze che rappresentava, dal coraggio incredibile di una
donna innamorata.
-Dentro ognuno di noi
c’è qualcosa che può arrivare a spingere oltre i
limiti, oltre la ferocia. È normale, è l’equilibrio
stesso della vita.- spiegò, dolcemente, un lieve sorriso che
piegava le sue soffici e sottili labbra nel rammentare gli
insegnamenti del padre, secoli prima di quel momento.
-La natura è
in continua evoluzione, Talia.
La natura come tu la
vedi è qualcosa di inarrestabile e meraviglioso, sempre in
crescita da entrambe le parti che vive; c’è il marcio
che aumenta ad ogni foglia esausta che abbandona le fronde, ma allo
stesso tempo c’è un nuovo bocciolo pronto a
soppiantarlo, a mantenere l’equilibrio del tutto.
La vita stessa è
una ricerca dell’equilibrio, un punto perfetto che annulla sia
il Bene, che il Male.-
-Non puoi essere
soltanto bianco, o nero; esiste, per tutti noi, un giusto rapporto
fra le due cose.- continuò, il cuore che si stringeva di
nostalgia, i tempi passati con suo padre che tornavano
prepotentemente dinanzi ai suoi antichi occhi,riempiendoli di una
malinconica dolcezza.
Caleb le accarezzò
i capelli, sorridendo appena e cancellando, dopo qualche attimo, le
lacrime dispettose che avevano rigato le guance di entrambi,
mischiandole; non c’era differenza, fra loro, non c’era
distanza – nemmeno nelle lacrime, ugualmente disperse fra le
dita forti e ruvide del giovane mercenario.
-Ti amo, Talia.-
-Lo so.-
Shaylee tirò un
lungo sospiro, tentando di controllare la preoccupazione ed il
nervosismo mentre cercava di radunare le energie necessarie a
compiere l’incantesimo che per lunghi giorni, durante il lungo
sonno della rossa, aveva studiato.
Siria la guardava senza
dire niente, tormentando nervosamente i lunghi crini rossi che aveva
preso l’abitudine di spostare davanti al viso, per nascondere
le tumefazioni e le fratture che rovinavano il suo volto una volta
tanto esotico, affascinante.
Si trovavano sul greto
del fiume poco lontano dall’accampamento narniano, mentre in
cielo apparivano i primi squarci d’azzurro nella cappa
impenetrabile di nubi che avevano ammantato Narnia per giorni interi.
Shaylee era immersa
sino alle ginocchia nell’acqua limpida, i lunghi capelli che
sfioravano la superficie cristallina dell’acqua, la veste
candida che fluttuava intorno alle sue gambe sottili e tornite; a
pochi metri di distanza da lei, pensieroso come poche volte si era
mostrato, ritto in piedi sul greto del fiume, stava Peter, a sua
volta a poca distanza da un Caspian estremamente ansioso che
sosteneva Siria, tremante, quasi incapace di reggersi in piedi.
Aaron era a poca
distanza dalla sorella, cupo in volto, gli occhi fissi su Shaylee in
una smorfia che tutto poteva essere considerato fuorché
amichevole; sapeva benissimo cosa la ninfa aveva in mente di fare,
sapeva perfettamente quanto sarebbe stato utile a Siria… ma il
dolore che le avrebbe provocato, un dolore che Siria avrebbe
sicuramente accettato, era troppo per concedere alla ninfa
un’occhiata meno che astiosa.
Shaylee lo ignorò,
rivolgendosi invece alla rossa, a pochi metri da lei.
-Ti appoggi a me, per
piacere?- le chiese, sentendo qualcosa agitarsi nervosamente nel suo
stomaco; non le piaceva vedere Siria in quello stato, non le piaceva
vederla così diffidente e taciturna. Non sembrava nemmeno lei,
non sembrava nemmeno la Siria a cui tanto era affezionata…
La rossa posò
cautamente i piedi sul greto acciottolato del fiume, sentendo le
gambe tremare sotto il suo peso ed aggrappandosi istintivamente a
Caspian, spaventata più dall’idea di crollare davanti a
tutti che dal dolore stesso.
-Con calma, Sir.- le
sussurrò il principe, sfiorando con le labbra la tempia nivea
della giovane; era uno dei pochissimi punti in cui la sua pelle non
era stata rovinata, martoriata – e l’unico punto in cui,
sfiorandola, non sussultava dal dolore.
La ragazza annuì,
cullandosi nel profumo e nella consistenza del corpo solido di
Caspian; avrebbe preferito mille volte non dover sopportare
quell’onta, quella vergogna tremenda a cui il suo corpo la
stava crudelmente sottoponendo. Avrebbe voluto essere lontana dagli
occhi indagatori di Peter, dallo sguardo pieno di dolore di Aaron,
dalla preoccupazione di Caspian.
In quell’istante,
non per la prima volta, Siria desiderava soltanto rimanere sola.
Con se stessa non
poteva mentire, a se stessa non poteva nascondere il dolore e la
paura che ancora risuonavano forti e cristalline dentro di lei; tutta
la sua forza pareva svanita, ora, parcellizzata in miriadi di lievi
frammenti sperduti nel vento, e lei non aveva più il coraggio
di mantenere quella farsa di gentilezza e orgoglio per nascondere il
tumulto che la scuoteva dentro.
Tutto ciò che le
rimaneva era quell’amor proprio, quel lieve barlume di una
Siria che pareva essere morta insieme ai suoi aguzzini.
Abbandonò
lentamente la sicurezza delle braccia di Caspian, aggrappandosi a
quelle più esili e fresche di Shaylee; i suoi occhi blu erano
bassi, fissi sulla limpidezza dello specchio d’acqua che
lambiva le sue gambe incerte, l’orgoglio che tremava per le
continue ferite che quella situazione stava imponendole.
La naiade la strinse a
sé, sentendo lo stomaco contrarsi per il nervosismo ed il
senso di colpa che sentirla tanto fragile, insicura e timorosa
persino di lei, le provocò.
La raminga aveva gli
occhi bassi, lontani dai suoi; sapeva cosa l’aspettava, sapeva
che sarebbe stato un inferno… ma si era comunque rassegnata
all’idea, troppo provata persino per avere paura della
sofferenza che stava per giungere a coglierla, lo sguardo vinto da un
dolore psicologico di una portata ben più grande di quello
fisico.
-Mi dispiace.- sussurrò
la naiade, piano, stringendo appena più forte le spalle
sussultanti della rossa; fu solo allora che Siria alzò gli
occhi, guardandola con la sconfitta nelle iridi blu, il dolore
scritto in ogni venatura grigia di quello sguardo terribilmente
stanco.
Il pensiero colpì
la ninfa con forza, facendo rabbrividire persino il suo corpo, figlio
dei Grandi Fiumi, a contatto con l’acqua fredda che lambiva la
sua pelle di panna.
Era stanca.
Era stanca di
vivere.
Quello leggeva nei
suoi occhi, Shaylee, quello scorgeva in quell’anima distrutta e
provata.
Stanca.
Siria non ne poteva
più; Siria voleva soltanto che la sofferenza la sopraffacesse,
arrivando al limite, quel limite che le avrebbe concesso, finalmente…
pace.
Avrebbe voluto
abbracciarla, stringerla, dirle che sarebbe andato tutto bene; ma il
senso di colpa la dilaniò ancora una volta, ricordandole chi
era stata la causa di tutte le ferite, morali e fisiche, che
martoriavano quella creatura che, una volta, era stata la sua amica
Siria.
Era stata colpa sua.
Siria si era ridotta in
quello stato a causa sua.
Avvertì il cuore
stringersi in una tremenda morsa, Shay, quando la realtà nuda
e cruda di quanto la sua vigliaccheria avesse ferito una persona a
cui era affezionata la colpì ancora una volta, ferendola là
dov’era più fragile; nel suo orgoglio.
Ma scacciò quei
pensieri, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo; non
sarebbe stato facile, quello che si stava accingendo a fare.
Madre, che limpida e
pura scorri nelle vene di quest’umile figlia
Rendi sicura la mia
mano
Lascia che io possa
attingere alla tua immensa benevolenza
Lascia che le tue
acque curino questa sorella
Lascia che riportino
ciò che è a ciò che era
Donando vita alla
morte e morte alla vita.
La preghiera che
pronunciò mentalmente Shaylee risuonò nella mente di
Siria, chiara e cristallina come l’acqua fredda in cui si
ritrovava a tremare, terribile preludio di un inferno ghiacciato in
cui, senza preavviso, si ritrovò completamente immersa.
Panico.
In un istante, quando i
suoi occhi deboli non distinsero altro che il vorticare terribile dei
tempestosi flutti che repentinamente l’avvolsero, il panico
prese violentemente il sopravvento su di lei.
Aria!
Non c’era
aria, là sotto!
Siria si sentì
soffocare, senza la forza di trattenersi dal respirare; sentì
il suo ventre ed il suo addome riempirsi dell’acqua che i suoi
polmoni respirarono coercitivamente, le mani incredibilmente forti di
Shaylee che la costringevano appena sotto il pelo dell’acqua,
costringendola ad inghiottire quelle spire trasparenti che annegarono
nel suo corpo un centimetro alla volta, lacerando le ferite appena
rimarginate e spezzando ossa fragilmente ricomposte.
-Siria!-
Caspian fece per
fiondarsi verso l’acqua, verso la Naiade che tratteneva la
rossa sotto il pelo del fiume improvvisamente turbolento, agitato da
una forza ancestrale che rendeva l’acqua scura, cupa, mentre
una macchia scarlatta si allargava come una lugubre ninfea attorno al
corpo sussultante di Siria.
Ma non fece in tempo a
scaraventarsi verso le due ragazze, che un mulinello alto ed
invalicabile apparve per impedire a lui e a Peter qualsiasi
movimento, bloccandoli sul greto del fiume, lontano dalla magia
antica e potente che Shaylee stava evocando per curare le ferite di
Siria.
Una magia che avrebbe
riaperto ogni singolo taglio, ricreato ogni singola frattura, per
poterle curare più rapidamente con la magia che sarebbe
penetrata fin nei più piccoli meandri di quel corpo lacero,
ricreando pian piano ciò che le era stato portato via.
Una magia dal costo
altissimo, forse troppo alto per essere sopportato.
Per entrambe.
Siria riemerse tossendo
furiosamente l’acqua che le aveva invaso i polmoni, tremando
come una foglia, il corpo trafitto da un dolore mille volte più
grande di ciò che aveva dovuto sopportare sino a quel momento.
Sentiva i muscoli
contrarsi in preda alla pazzia, le sembrava che le ferite pulsanti
fossero sul punto di aprirsi di nuovo, di lacerarsi un’altra
volta… sentì calde lacrime scendere lungo il viso,
solcare quei lividi orrendi che era costretta a portare, quando si
rese conto che nemmeno le sue braccia riuscivano a sostenerla sotto
il peso di quella sofferenza assurdamente immensa.
Non vedeva più
niente…
Tutto era annebbiato,
tutto era sfocato, uno spesso velo d’agonia era calato sui suoi
occhi e le impediva di vedere.
Non capiva più
niente…
La sua stessa mente si
dibatteva furiosamente dentro di lei, il panico che saliva fino a
livelli quasi incontrollabili, il terrore che riempiva i suoi
pensieri ed i suoi occhi.
Riuscì a
comprendere qualcosa di più chiaro quando due mani forti si
strinsero intorno alla sua vita, sollevandola di peso dall’acqua
e stringendola ad un petto forte che Siria conosceva molto bene: in
mezzo a quell’agonia terribile, riuscì a cogliere il
profumo intenso della pelle e dei capelli di Caspian, il suo tocco
deciso e protettivo che la allontanava da quelle acque traditrici.
Si ritrovò a
singhiozzare sommessamente contro di lui, le dita che convulsamente
si stringevano sulla tunica del principe, le braccia che si serravano
convulsamente alle spalle forti del ragazzo.
Faceva male…
Sentiva nuovamente ogni
singolo colpo che Flynch le aveva inferto, ogni calcio, ogni
schiaffo, ogni pugno… tutto sembrava nuovamente vivido,
nuovamente reale – e lei non aveva più forze per
sopportare ancora quell’incubo, non poteva farcela, il dolore
era troppo grande…
Quasì urlò
quando il suo stesso polso schioccò chiaramente, rinsaldando
l’osso slogato.
Dolore.
Era troppo, era troppo,
non riusciva più nemmeno a ragionare, ogni pensiero le
sembrava impazzito e fuori controllo… riusciva soltanto a
comprendere la consistenza solida del corpo di Caspian, perché
lei non era altro che un ammasso di muscoli e ossa che gridavano per
la sofferenza immane a cui erano sottoposti.
Caspian la strinse a sé
con forza, ogni singhiozzo di Siria che apriva una nuova ferita nel
suo cuore; si volse verso Shaylee, furibondo, non riuscendo a
distinguere il viso contratto e colpevole della ninfa.
-CHE DIAVOLO TI E’
SALTATO IN MENTE?- ruggì, un braccio che, protettivo, si
stringeva attorno alla schiena sussultante di Siria, gli occhi neri
che lanciavano fiamme e rabbia in direzione della naiade esausta,
provata.
-Io…- Shaylee
trasalì, quando la voce furibonda ed irata del Principe la
colpì con la violenza di una mazzata, tagliente e cattiva come
poche volte aveva avuto occasione di sentir parlare un uomo; gli
occhi di Caspian, neri come la notte più buia, ardevano in
quell’istante di un’ira terribile mista a terrore –
un terrore vero, ancestrale, il terrore che a Siria potesse succedere
ancora qualcosa che lo mandava in bestia, scardinando il suo
autocontrollo… -La può curare… io non…-
le parole della ninfa morirono sulle sue sottili labbra, sotto lo
sguardo rabbioso del ragazzo.
-ALLORA POTEVI FARLO
PRIMA!- il ringhio di Caspian precedette solo di pochi istanti un
gesto fulmineo, rapido quanto un fulmine rossiccio, che si frappose
fra lui e la Naiade, due serissimi e gelidi occhi color ghiaccio che
trapassavano da parte a parte la mente del Principe.
-Datti una calmata e
lascia in pace Shaylee.- la voce di Aaron, gelata quanto i suoi
occhi, fu in grado di riportare sul greto del fiume il silenzio più
attonito; nessuno, soprattutto un Peter quanto mai allibito
dall’intervento, si sarebbe aspettato che Aaron prendesse le
difese della Naiade – e con quella veemenza, oltretutto.
Caspian sostenne lo
sguardo del rosso, infuriato; non capiva come Aaron potesse essere
così tranquillo, così insofferente nel vedere sua
sorella travolta da quell’agonia che la scuoteva nel profondo
fra le sue braccia, lacrime inconsapevoli che le rigavano le guance…
Anche Peter osservò
il mercenario, stupito; Aaron non si era mai esposto tanto per
qualcuno che non fosse sua sorella… ma forse, forse Shaylee
aveva fatto per lui più di quanto lui potesse immaginare.
Aveva salvato sua
sorella, restituendole un affetto che lui non era mai stato in grado
di darle.
Aveva curato suo
padre, evitando che perdesse definitivamente la gamba zoppa.
Aveva vegliato sulla
sua famiglia, proteggendo la sua sorellina da se stessa.
Aveva taciuto,
Shaylee, proteggendo lui, Susan e quell’amore che avrebbe
soltanto messo in pericolo la donna a cui teneva di più al
mondo.
-Va tutto bene…
ha fatto bene…- il mugolio di Siria, il guaito di una bestia
morente, catalizzò nuovamente ogni pensiero del principe su di
lei; Siria tremava, accucciata agonizzante contro di lui, ma tentava
di rivolgere uno sguardo verso la naiade – tentava di
rassicurarla, di dirle che andava tutto bene, che aveva fatto bene a
compiere quella magia…
Shaylee barcollò,
sotto il peso dei pensieri incoerenti e urlanti della raminga;
dolore, agonia, frustrazione, debolezza, paura, rabbia, vergogna,
orgoglio… una cacofonia di emozioni e sensazioni che la
debilitarono quanto e più della magia che aveva appena
compiuto, del pagamento che la Dea Madre aveva appena chiesto in
cambio dei suoi servigi.
La sua energia.
Vacillò, Shay,
sotto il peso della stanchezza che la travolse come un fiume in
piena, rischiando di affogarla in quei flutti che tanto le erano
amici, compagni, confidenti; ma un petto ampio e conosciuto l’accolse
immediatamente, due braccia forti la sostennero, conducendola lontano
da quello specchio d’acqua a cui aveva appena pagato un enorme
tributo.
Peter le accarezzò
i capelli fradici, inumiditi dai mulinelli che si erano alzati
intorno a lei e a Siria, scrutando preoccupato il volto esausto della
Naiade; Shaylee gli aveva spiegato nel dettaglio ciò che
quella magia ancestrale, una delle magie curative più potenti
ed antiche tramandate dalle ninfe, avrebbe fatto a lei e all’amica
dai capelli rossi. Era stato contrario, inizialmente, ma presto aveva
ceduto dinanzi al dilaniante e muto senso di colpa che aveva visto
negli occhi della sua compagna, quel rimorso che la spingeva a
cercare ogni soluzione possibile per rimediare alla sua debolezza,
quel bisogno disperato di rendersi utile e di aiutare, in qualche
modo, l’amica che l’aveva protetta.
-Ho… ho dovuto
farlo. Ho dovuto, davvero.- mormorò, piano, calde lacrime che
scesero a rigare le sue guance nivee e delicate; la sua terribile
stanchezza, la mancanza di ogni singola energia, la debolezza, si
mischiarono alle sensazioni terribili che scuotevano il corpo di
Siria – incapace di chiuderle fuori, incapace di ignorare le
disperate urla di dolore che quella magia aveva creato in lei.
Riuscì soltanto
ad udire la voce dura di Caspian, il suono dei suoi passi pesanti che
affondavano nella ghiaia del greto.
-La riporto alla
cripta.-
Singhiozzò,
Shaylee, pugnalata da quel tono venato d’ira a stento repressa,
stringendo le manine sussultanti sulla casacca di Peter; lo avvertì
parlare, chiederle qualcosa, ma le parole non avevano senso né
significato, le parole erano false ed inutili in quel momento, mentre
il dolore e la colpa la schiacciavano in una morsa da cui era
impossibile sfuggire, la mente che tentava in ogni modo di
rinchiudersi, ancora una volta, dentro di sé.
E pianse, là,
fra le braccia calde di Peter, cercando disperatamente il conforto
del suo calore, cercando di annullare se stessa in quel pianto
frustrato e terribile che non riusciva, in alcun modo, a calmare.
Pianse.
Siria si accasciò
sul suo parco giaciglio, incapace anche solo di mantenere in alto la
testa, sconfitta persino nel suo orgoglio da quel dolore – da
quell’agonia, perché di agonia si trattava:
un’inarrestabile, orribile, violenta agonia che affondava
pugnali su pugnali nella sua carne provata.
Caspian si era
allontanato, era corso a cercare una medicina in particolare che Shay
gli aveva consigliato di somministrarle, per aiutarla a sprofondare
in un sonno senza percezioni, senza incubi né sofferenza.
Fu un bene, perché
gli argini che trattenevano la cacofonia di sensazioni che provava
non reggevano, non bastavano più.
Si appallottolò
su se stessa, gemendo per il dolore che quel movimento le provocava,
affondando le unghie nelle tempie e pregando affinché il
dolore finisse, affinché tutto finisse, affinché la sua
dannazione emergesse e cancellasse ogni traccia di umanità –
liberandola dall’agonia, liberandola dal tormento.
E pianse.
Pianse a lungo, pianse
tutte le lacrime che aveva, pianse senza nascondere neanche uno dei
gemiti di dolore che mascherava in presenza di chiunque altro; pianse
perché c’era soltanto lei ad ascoltarsi, a vedere quelle
ferite mostrarsi in tutto il suo orrore, pianse perché l’unica
che poteva davvero comprendere la sofferenza in quel corpo era lei
stessa.
Si rannicchiò su
di sé, quasi urlando quando sentì la spina dorsale
schioccare e la pelle lacera tendersi insopportabilmente, ferendola
ancora una volta.
Faceva male.
L’unico pensiero
razionale nella sua mente era quello: faceva male.
Faceva tutto talmente
male che non sarebbe più riuscita a sopportarlo, avrebbe
preferito morire piuttosto che sopportare tutto quel dolore…
Si odiò, quando
quel pensiero prese vita dentro di lei.
I singhiozzi
aumentano, la percezione di quell’agonia si fa più
forte.
Non doveva desiderare
la morte. Non era giusto, non andava bene, era sbagliato… non
doveva desiderare che quella tortura finisse, che il suo corpo
smettesse di patire quella sofferenza immane, non doveva sperare di
poter finalmente riuscire a riposare…
Eppure non riusciva a
non augurarselo, non riusciva a non sperare che qualcosa andasse
storto e…
Non voleva
svegliarsi più, Siria.
Mai nella vita aveva
provato un tale desiderio di morire; aveva rischiato la vita più
volte, lei stessa – da bambina – aveva tentato… ma
stavolta era diverso, stavolta era il suo stesso corpo che implorava
pietà, che implorava riposo.
Ma lei non voleva
morire…
Che cosa sarebbe
successo, poi? Quanto avrebbero sofferto le sue amiche? E Lucy, e
Aaron? E Peter, quanto si sarebbe odiato per non essere riuscito a
salvarla?
E Caspian?
Come sarebbe stata
la sua vita, senza di lei?
Come sarebbe stato
dirgli addio?
Doveva resistere…
doveva resistere per loro, doveva resistere per le persone che amava,
doveva sopportare quel dolore perché loro avevano bisogno
di lei.
Eppure, avrebbe tanto
voluto desiderare di voler guarire per se stessa…
Ma ormai la speranza
Siria l’aveva perduta da tempo; non riusciva più a
sperare che qualcosa cambiasse, che il suo dolore sarebbe svanito col
passare del tempo…
Lei voleva vivere.
Voleva vivere perché
niente avrebbe avuto senso, senza Talia e Shaylee.
Voleva vivere perché
adorava Peter, sebbene non volesse nemmeno ammetterlo a se stessa.
Voleva vivere perché
amare Caspian le aveva donato una felicità e una gioia senza
eguali, voleva vivere di lui, con lui, per lui.
I singhiozzi si
acquietarono lentamente, lasciandola scivolare in un parsimonioso
sonno privo d’incubi.
Paura.
È vivida, è
reale, pulsa come impazzita nel suo sangue; sangue che le macchia la
pelle, sangue che le riempie le labbra, sangue negli occhi e in un
grido soffocato in gola.
Non riesce a
muoversi, no, non riesce nemmeno a respirare; c'è sangue
ovunque, c'è sangue nel suo respiro, c'è sangue nella
sua anima.
Sente quelle mani,
quelle mani pesanti e orrende, abbattersi sulla sua carne; non si
stancano mai, non si fermano mai, colpiscono e frantumano la pelle e
le ossa troppo fragili, per resistere.
Doveva svegliarsi.
Non poteva riviverlo
ancora, non per l'ennesima volta.
Non è più
nemmeno un corpo, il suo; è solo un ammasso di carni
sanguinolente e scomposte, adombrate da capelli vermigli sporchi di
terra.
Sa di ruggine, il
sangue.
Ruggine, come quella
macchia rossiccia che incrosta la punta di metallo dello stivale che
affonda nel suo ventre.
Una volta, due, tre.
Perde il conto.
Perde persino
coscienza di chi è.
Doveva svegliarsi,
doveva aprire subito gli occhi, doveva scacciare quell'incubo prima
d'impazzire.
Ha paura.
È
terrorizzata, non vuole ammetterlo nemmeno con se stessa.
Cerca di sopportare,
cerca di tacere, ma calde lacrime le riempiono il viso; ha paura, ma
non c'è nessuno che può proteggerla, che può
salvarla.
E lei non ha più
la forza di farlo da sola.
E lei non ha più
voglia di salvarsi, non ha più voglia di reggersi in piedi.
È sola.
Sola.
Il suo corpo non
risponde più, la sua mente s'è abbandonata ormai a quel
dolore che pare annebbiare persino la sua coscienza, il suo stesso
essere.
Forse morire non è
così male, rispetto a questo...
Ma i colpi cessano,
cessano esattamente quando uno strattone le fa alzare la testa,
strappandole i capelli.
Un fiato fetido le
inonda il viso, le da i conati.
Un volto è
vicino al suo, ma lei non vuole guardarlo, non vuole vederlo, vuole
soltanto che quella tortura cessi, che qualcuno arrivi a salvarla;
per la prima volta, c'è un muto grido d'aiuto nei suoi occhi
serrati.
Era sempre così,
sempre più vivido... sapeva che cosa sarebbe successo, Siria,
sentì che parte di lei lottava per svegliarsi, per non
arrivare alla fine dell'incubo.
Non vuole, no, non
vuole guardarlo.
Non vuole guardare
la morte in faccia, vuole vivere, vuole tornare a casa.
...ma dov'è,
la sua casa?
E poi i suoi occhi
si aprono.
Si aprono vacui e
vuoti, si aprono sconfitti.
Si aprono accettando
l'orrore che l'aspetta.
E il volto del suo
carnefice è lì, è lì che la guarda, è
lì che sorride crudele, è lì che...
-AAAAAAAAAAAAAAH!-
Un grido strozzato
echeggiò nell'aria fresca della cripta, facendo sobbalzare la
naiade che in quel momento stava raccogliendo le ultime misture
taumaturgiche che aveva miscelato, in procinto di andare da...
-Siria!- esclamò,
il viso che si dipingeva d'orrore nel riconoscere la voce dell'amica.
Balzò in piedi,
dimentica degli impasti e delle bende, il cuore che accelerava
spaventato quando quel grido echeggiò nella sua memoria,
gelandola dentro.
Lei conosceva
quell'urlo.
Lo conosceva molto
bene.
Erano passati anni
dall'ultima volta che l'aveva udito, ma non avrebbe mai dimenticato
gli incubi che avevano sconvolto quella bambina troppo adulta, quella
ragazzina che tremava come una foglia, terrorizzata dai suoi stessi
ricordi...
Siria.
Abbandonando tutto lì,
su quel tavolo, Shaylee si fiondò attraverso i corridoi delle
segrete; il cuore le batteva all'impazzata, preoccupato, l'angoscia
che pulsava sotto la sua pelle e le riempiva gli occhi di paura.
Quel grido l'aveva
spaventata, quel grido l'aveva sentito troppe volte, era stanca di
sentire intriso in quella voce strozzata tutto il dolore che Siria
era costretta a sopportare... lei non lo meritava, non aveva mai
meritato nulla di ciò che l’era successo, non riusciva a
tollerare che ci fosse sempre qualcosa pronto a distruggerla ancora.
Attraversò la
cripta in fretta, senza quasi incontrare nessuno; era ancora presto,
erano tutti o addormentati o di ronda, impegnati nelle consuete
attività che ognuno di loro aveva in programma di svolgere.
Tutti tranne Siria.
Tutti tranne l'unica
che avrebbe desiderato respirare l'aria fresca dell’estate che
sembrava non voler arrivare davvero, l'unica che non meritava di
essere costretta a letto, lontana da tutti coloro che amava...
Erano passati diversi
giorni da quando aveva effettuato quel particolare incantesimo su
Siria; giorni che l’avevano aiutata a riprendersi, a nascondere
nuovamente dietro i suoi mille pensieri le angosce, le paure, il
senso di colpa che la dilaniavano da…
Siria aveva passato
gran parte di quel periodo dormendo, tentando di recuperare un minimo
di forze mentre la magia faceva il suo corso; in effetti le ferite
erano lievemente migliorate e, soprattutto, erano stati sanati quei
danni interni che avrebbero potuto facilmente portarla ad una morte
lenta e dolorosa.
Shaylee scacciò
le sue elucubrazioni, fiondandosi alla massima velocità
consentitale dalla sua veste nella cameretta angusta della sua amica;
e dimenticò tutto, raggiungendola di scatto quando la vide
ridotta in quello stato tremendo, affiancandosi a lei ed
accogliendola in un abbraccio spaventato, sentendola aggrapparsi a
lei con tutta la forza che le era rimasta.
E Siria si sfogò,
in quella stretta, immergendo il volto nella spalla esile e chiara
della Naiade; il profumo conosciuto della sua pelle stordì gli
ultimi pensieri consci della sua mente, riportandola a quando era
soltanto una bambina, a quando Shaylee era l’unica creatura in
grado di poterla proteggere.
E Shay le accarezzò
i capelli, con dolcezza, quando Siria singhiozzò più
forte.
Non era cambiata…
Nonostante tutto ciò
che era successo, tutto quello che aveva vissuto, Siria era rimasta
quella ragazzina spaurita che Talia aveva portato nel regno delle
ninfe.
Nonostante tutto,
quella bambina dagli occhi pieni di paura era sempre lì,
appena sotto una scorza d’orgoglio e di diffidenza.
Le passò un
braccio intorno alle spalle sussultanti, cingendole con delicatezza,
stringendo a sé la rossa. La avvertì seppellire il viso
nell’incavo del suo collo, le lacrime che le bagnavano le
guance, le braccia tremanti strette sul seno.
-Sssh.- le sussurrò,
socchiudendo appena gli occhi, sentendo le dita insicure dell’amica
stringere più saldamente le sue. -Sono qui, Sir. Va tutto
bene.- mormorò, sentendosi dilaniare da ogni sussulto, da ogni
singhiozzo, da ogni lacrima che Siria non riusciva a trattenere.
-N-non andrà più
niente bene…- la voce della rossa non sembrava nemmeno la sua;
solitamente, quando parlava, nel suo tono c’era sempre un
qualcosa che riusciva istintivamente a rassicurare chiunque, a dare
l’impressione che qualunque cosa fosse successa lei sarebbe
rimasta in piedi.
In quel momento,
invece, no.
-Ho paura… ho
paura di tutto…- singhiozzò, cercando disperatamente di
esprimere tutto l’orrore che le era rimasto nel cuore, che le
riempiva ancora gli occhi di terrore.
Shaylee la strinse un
po’ più forte, sentendo in quelle poche parole tutto ciò
che Siria aveva represso, tutto ciò che quel maledetto le
aveva fatto, tutte le ferite che le aveva inferto.
-Sei al sicuro adesso.
Sono qui con te, non ti succederà più niente.- la
rassicurò, con voce dolce, tentando di trasmetterle con
quell’abbraccio che non doveva più avere paura, che non
avrebbe permesso le succedesse ancora qualcosa.
Siria annuì con
un gesto della testa, un doloroso groppo in gola che le impediva di
parlare.
Era la prima volta che
si permetteva di piangere per se stessa, per la paura ed il dolore
che quel rapimento avevano instillato nella sua anima, in presenza di
qualcuno.
Si era trattenuta con
Peter, persino con Caspian era riuscita a celare il terrore che
vibrava ancora sottopelle; quel rimasuglio d’orgoglio che era
rimasto non glielo aveva permesso, e l’amore che provava verso
il principe era stato sufficiente per evitarle di farlo preoccupare
ancora di più.
Eppure, adesso non
riusciva più a smettere di piangere…
Per la prima volta da
quando Peter l’aveva riportata alla cripta si sentiva al
sicuro, protetta; per la prima volta, da quel momento, lei si sentiva
a casa.
Le sembrava di essere
tornata indietro di anni, quando Shaylee l’aveva abbracciata
dopo un incubo molto simile a quello; il terrore era lo stesso, il
senso di debolezza era lo stesso, le braccia che la cullavano come si
culla una bimba erano le stesse.
Era a casa.
Non gliel’aveva
mai detto… non aveva mai detto a Shaylee quanto si fosse
affezionata a lei, quanto affetto provasse nei suoi confronti.
Non ne era capace, le
parole non parevano avere l’intenzione di uscire e spiegarle
l’intrico di emozioni che provava nei suoi confronti; era
sempre stato uno dei suoi difetti più grandi, quello di non
riuscire a spiegare a parole quello che provava.
Era sempre stata
incline a chiudersi in se stessa, fin da bambina, fin da
piccolissima; nemmeno Aaron era mai riuscito a convincerla ad aprirsi
del tutto, nemmeno con Caspian le era semplice dimostrargli ciò
che provava.
Eppure, con Shaylee,
sì.
Lei c’era stata,
quando da ragazzina si era smarrita.
Lei c’era adesso,
mentre il terrore e la paura le si riversavano addosso con la
prepotenza di una tempesta.
-Va tutto bene, Siria…
va tutto bene, adesso.- la voce di Shaylee era dolce, era delicata.
Era diversa dai suoni troppo forti della guerra, dal clangore delle
armi, dai ruggiti e dai gemiti dei guerrieri che lottavano e
morivano… la voce di Shaylee era una carezza, un balsamo per
il suo udito provato da troppe battaglie e per il suo cuore, un cuore
stanco che non ne poteva più di soffrire.
Si aggrappò alla
vita esile della naiade quasi senza accorgersene, i pensieri
annebbiati dalla febbre e dall’angoscia.
Sentiva soltanto il
bisogno di quell’abbraccio, di quei leggeri e dolci tocchi fra
i capelli, della presenza rassicurante e concreta della ninfa accanto
a lei; la bambina che non era mai potuta essere ora chiedeva
prepotentemente il suo spazio, e implorava di non essere lasciata
sola un’altra volta.
Era fragile adesso, più
fragile che mai… fragile come una bambola di porcellana,
fragile come cristallo.
Gli ultimi, labili
resti del suo orgoglio avevano ceduto, erano crollati dopo l’ennesimo
incubo. Adesso era soltanto una ragazza spaventata, in lacrime,
tremante dinanzi ad un terrore che le aveva inferto ferite molto più
profonde di quelle fisiche.
Ferite che non avrebbe
mostrato a nessuno, ferite che avrebbe tenuto per sé.
Ferite che soltanto una
persona era in grado di vedere; la stessa persona che era lì
adesso, l’unica persona che – a dispetto di quanto
potesse sembrare, nel vederle – l’avrebbe sempre
confortata, protetta… l’unica persona che non era
soltanto un’amica, ma una sorella, una confidente, e forse un
poco anche una madre.
Perché lì
era al sicuro… lì, fra le braccia di Shaylee, cullata
dalla sua voce melodiosa, si sentiva a casa.
Si assopì con
quella sensazione a rassicurarla, un ti voglio bene
intrappolato fra labbra e lacrime, cercando di trattenere per sé
il calore e l’affetto di quell’abbraccio che aveva
scacciato in pochi attimi i suoi incubi.
Sorrise appena,
Shaylee, quando avvertì finalmente Siria calmarsi, riuscire a
riprendere sonno dopo quel pianto convulso e terribile.
Ti voglio bene,
aveva mormorato, stringendosi a lei con tutta la paura che sentiva,
il terrore che le riempiva gli occhi.
Ti voglio bene.
Era forse la prima
volta in tutta una vita che Siria si apriva in quel modo con
qualcuno. Nemmeno con Talia era mai stata tanto esplicita sulle sue
emozioni, nemmeno con Caspian era tanto sincera.
Ti voglio bene.
Tre semplici parole che
le erano costate uno sforzo immenso, Shaylee lo sapeva benissimo.
Fin da piccola, Siria
aveva provato terrore all’idea di schiudere il suo
impenetrabile guscio e permettere che qualcuno scorgesse un minimo
del suo cuore, della sua anima; gliene aveva parlato, anni prima, e
le sue parole erano state di una semplicità sorprendentemente
dolorosa.
-Ho paura che alle
persone a cui voglio bene succeda qualcosa, com’è
successo alla mia mamma.
Io non voglio che
succeda ancora, non voglio perdere ancora qualcuno che amo per colpa
mia, le persone che mi vogliono bene mi vengono sempre portate via…-
Shaylee le accarezzò
una guancia, attenta a non sfiorare i segni ancora rossi che
spezzavano quella carnagione chiarissima. La sistemò con
delicatezza sul giaciglio, coprendola per bene, decidendo di
rimandare per qualche ora le sue cure; aveva bisogno di riposare,
adesso.
Ti voglio bene.
Era un sentimento
reciproco, quello intriso in quella breve proposizione.
Siria era più
alta di lei, era più grande, era una guerriera forte e
coraggiosa; ma per lei restava la stessa bambina che non si separava
mai dalle sue gonne, sbirciando il mondo timorosa di tutto,
spaventata da tutto, aggrappandosi a lei come l’unica ancora
che le fosse rimasta.
Per lei era rimasta la
sua piccola Siria, con due trecce rosse e tanta dolcezza nello
sguardo.
Lo sarebbe sempre
rimasta.
Aveva temuto, forse…
aveva avuto paura di perderla, di vederla allontanarsi da lei. Aveva
Caspian adesso, aveva accanto un giovane che l’amava e che
aveva acceso una luce del tutto nuova nel suo viso e nel suo sguardo;
Shaylee non si era mai permessa nemmeno di formulare quel pensiero,
ma… aveva temuto che si dimenticasse di lei.
Aveva temuto di vedere
quel legame sfilacciarsi, sfaldarsi.
Aveva temuto di
dimenticarsi di Siria.
Peter… Peter
aveva catalizzato la maggior parte dei suoi pensieri, delle sue
giornate, dei suoi respiri. Si rese conto soltanto in quel momento di
quanto si fosse alienata da tutto e di quanto, probabilmente, anche
Siria avesse formulato i suoi stessi pensieri.
E invece, eccola lì.
Aveva rischiato la vita
per proteggerla, per impedire che le venisse fatto del male. Era
stata una sciocca, una sciocca coraggiosa; non avrebbe dovuto ridursi
in quello stato, per lei.
E adesso stringeva
ancora la sua mano, aggrappandosi a lei come aveva sempre fatto,
come… come non aveva mai smesso di fare.
Non era cambiato
niente.
Era cresciuta, era
maturata, era cambiata.
Ma era sempre la sua
piccola Siria.
Rimase seduta al suo
fianco, guardandola dormire molto più serenamente di quanto
non avesse fatto negli ultimi giorni.
Sorrise lievemente,
intenerita, sentendola mugugnare qualcosa nel sonno.
Questo capitolo è basato soprattutto su Shaylee e Siria; è
un capitolo che ho scritto molto tempo fa e, nel momento in cui è
stato scritto, è diventato molto importante per me. Ci sono
alcune cose che vorrei si capissero, alcune cose che vorrei capire
anch'io, dentro.
Siria è in un momento molto fragile, un momento in cui tutto
le sembra enorme ed insormontabile; ha toccato il fondo, ma il fondo
non è che l'inizio per risalire, no?
La pena di Shaylee, invece, è appena cominciata; le ferite più
profonde non sono quelle nella carne, ma quelle nell'anima.
Caleb, infatti, continuerà a tormentarsi a lungo; non è
bello essere considerati degli animali, non è bello avere
certe reazioni, non è bello essere guardati con paura o
vedersi, allo specchio, sapendo di essere in grado di fare tante cose
del genere. Ve lo assicuro.
Bon, oggi sclero poco. Non ne ho molta voglia.
PS: scusate per l'assenza di immagini, ma non ho NVU sul computer del
mio Negozio e ho usato OpenOffice.
La vita, lentamente,
cominciò a riprendere il suo corso lento, cadenzato.
L’accampamento narniano
era un continuo fermento di vita, una vita che continuava a scorrere
nonostante
alcuni dei suoi abitanti cominciassero solo in quel momento a
raccapezzarsi
dopo il lungo tormento delle settimane precedenti.
Peter stava dando anima e
corpo per addestrare quei soldati che ancora non erano pronti alla
battaglia,
dimostrando ancora una volta quelle doti di generale, di comandante,
che in
molti avevano messo in dubbio dopo le sue personali avventure nel
territorio
telmarino; molti erano stati gli sguardi di rimbrotto che lo avevano
sfiorato,
in quei giorni, dopo che Peter e Caspian avevano abbandonato il campo
per
andare a cercare le loro donne – un
atteggiamento indegno di due Re, ma la grinta e la forza con
cui il Re
Supremo stava gestendo l’esercito gli stava rapidamente
restituendo i punti
perduti agli occhi dei soldati.
Caspian lo aiutava al
meglio delle sue capacità attuali, ma il biondo non se la
sentiva di
biasimarlo; da quando la sua compagna si era svegliata, il Principe
evitava la
maggior parte dei suoi compiti per passare più tempo
possibile assieme a lei –
cosa che gli faceva guadagnare sonori rimbrotti da parte di Siria, che
spesso e
volentieri lo cacciava via urlandogli di “andare a compiere
il suo dovere e di
vincere quella stramaledettissima guerra”.
La guerriera aveva
iniziato una lunga e tediosa riabilitazione non soltanto a livello
fisico
quanto più, soprattutto, per la sua anima; infatti, il
calore e l’affetto di
Caspian, di Talia ed Aaron, di Peter anche, stava riuscendo a guarire
quelle
ferite che sembravano più restie a cicatrizzarsi rispetto a quelle
sulla sua candida pelle.
Non riusciva ancora a camminare per
più di qualche passo, ma almeno poteva rimanere seduta e
leggere, leggere tutti
i libri che Aaron aveva recuperato per lei dal capanno in mezzo alla
foresta
che utilizzavano come deposito per la refurtiva; leggeva fiabe e
racconti e
trattati, romanzi e gesta di cavalieri che avrebbe desiderato emulare,
che
erano stati i grandi eroi della sua innocente fanciullezza.
In quella
ripresa però, la nota stonata -più di altre- era
l'atteggiamento di Shaylee.
Dopo la sera in cui era corsa dalla raminga per consolarla in seguito
all'incubo avuto, la ninfa sembrava sempre sulla difensiva in presenza
di
Siria: la mente chiusa e il corpo rigido. Le chiedeva cosa sentisse, la
curava,
e poi andava via senza aggiungere altro, lo sguardo basso, lasciando
l'amica
piena di domande.
La
rossa
aveva chiesto spiegazioni a chiunque capitasse in camera sua, intuendo
appena
cosa passasse per la testa della Naiade, ma cercandone conferma: Peter
sapeva,
Peter era a conoscenza di qualcosa che non voleva - non
poteva? - rivelare; ma Siria, per fortuna, non
forzò le cose
per evitare complicanze sia nel particolare rapporto che la legava a
quell'idiota
biondo, sia per non minare la relazione tra lui e la Naiade.
.
-<>*<>-
.
Leggere.
A Siria era sempre piaciuto.
Da bambina, sua madre le
aveva insegnato a decifrare i simboli spigolosi dei caratteri che i
telmarini
definivano “alfabeto” e che, una parola dopo
l’altra, componevano le fiabe che
Siria tanto amava ascoltare.
Durante gli anni, i tanti
furtarelli che aveva compiuto le avevano permesso di accumulare una
collezione
impressionante di volumi, ben celati nel rifugio che la sua banda di
mercenari
aveva nascosto nel fitto della foresta.
Sparendo per qualche
giorno, Aaron si era recato in quel luogo e, al ritorno, aveva visto
gli
occhioni di sua sorella illuminarsi davanti alla pila di libri che le
aveva
portato.
Perché Aaron sapeva,
sapeva molto bene, che Siria sarebbe impazzita, costretta in quel
letto, se non
avesse avuto almeno qualcosa da fare.
.
Una visita inaspettata
interruppe il suo studio di un volume che si basava sulle tecniche di
guerriglia utilizzate dagli eserciti Narniani contro i Calormeniani,
utilizzate
più di duemila anni prima di quel giorno; alzando gli occhi
dal consunto tomo,
Siria si ritrovò a fissare l’espressione seria e
compita – del tutto
innaturale, su di lui – di Edmund Pevensie.
Posò il libro in grembo,
lasciandovi un sottile giunco a segnare il punto in cui era arrivata
nella
lettura, ravviandosi davanti al viso le ciocche scarlatte –
nascondendo, con
quel gesto, i segni ancora troppo visibili delle torture subite.
Indossava una semplice
camicia da notte e una vestaglia, Siria, oggetti che Susan
le aveva regalato, asserendo come giustificazione il fatto
che Siria non possedesse nemmeno un abito femminile – che cosa indecorosa, aveva detto, per la compagna di un Principe…
Osservò il nuovo
arrivato,
curiosa, gli occhi, che da qualche giorno sembravano aver riacquistato
un
barlume dell’antica luce, che fissavano curiosi la figura
nervosa del ragazzo.
-Noi dobbiamo parlare.-
esordì il giovane Re, senza nemmeno darle il tempo di
assimilare la sua
presenza: si sedette sul giaciglio accanto a lei, la mano destra che
tormentava
nervosamente l’elsa della spada che portava al fianco, gli
occhi castani che
guardavano dritti verso il suo volto.
Una sgradevole sensazione
si agitò nello stomaco di Siria, che mantenne,
però, l’espressione serena ed
ingenua che aveva avuto al momento del suo arrivo – non
poteva evitarsi di
temere, di preoccuparsi per quell’esordio tanto
brusco…
-Di cosa, Ed?- gli chiese,
osservandolo cauta, come un micio che attende il momento giusto per
balzare
sull’ignara preda.
La mascella del giovane
era contratta, i denti serrati. Negli occhi lontani c’era una
luce angosciata
che Siria non vi aveva mai scorto, le labbra erano quasi livide tanta
era la
forza con cui le stringeva l’un con
l’altra…
-Io so che cosa sei.-
Siria sgranò gli occhi,
allibita, quando quelle poche parole fecero breccia nella sua instabile
maschera di tranquillità, rivelando il tumulto che
l’arrivo del più giovane dei
Re aveva scatenato dentro di lei.
Avvertì un brivido
attraversarla con violenza, quando lo sguardo impenetrabile di Edmund
si
scontrò con le sue incerte iridi chiare: vedeva una
terribile consapevolezza
brillare negli occhi del ragazzo, una luce dura e severa che
risvegliava un
mostro sopìto nel ventre della giovane raminga.
Edmund
sapeva…
In un istante, la mente di
Siria corse alla sua spada, a Kain: calcolò in un attimo
quanto tempo le
sarebbe servito per raggiungere l’elsa prima che Edmund
sguainasse la propria
arma, quanto le gambe avrebbero retto il suo peso, quanta energia le
sarebbe
costata…
Per un folle secondo
sentì
la magia ruggire dentro di lei, ardendo in un istante e formicolando
sulle sue
labbra e fra le dita serrate a pugno: la sua dannazione era pronta a
riemergere, a combattere, a proteggere sino all’ultimo il
ricettacolo di un
inferno che improvvisamente sembrava terribilmente vicino…
-Io non sono niente.-
Tutti i campanelli
d’allarme suonavano con violenza dentro di lei, assordando i
suoi pensieri,
sfocando la sua vista: Edmund sapeva…
lo leggeva nel suo volto, lo leggeva nelle iridi cupe e severe, lo
leggeva
nelle spalle contratte e nel pugno destro serrato sull’elsa
della spada.
-Sono stanco delle
menzogne, Siria.-
Finalmente, Edmund la
fronteggiò; e la fronteggiò con
l’orgoglio e la pacatezza di un Re, gli occhi
forti e decisi di un uomo molto più anziano e molto
più saggio, il mento alto e
fiero segno di un portamento che il ragazzo non aveva mai davvero
abbandonato.
-So che hai curato tu
Caspian. So riconoscere la magia.- disse, ma non c’era
disprezzo nel tono della
sua voce; c’era la severità di un padre che scopre
la menzogna di una figlia,
c’era la sicurezza di un guerriero che sa di avere il suo
avversario in pugno…
c’era la comprensione di un amico, che capisce gli errori
compiuti e li
perdona.
-E quindi?- la voce di
Siria perse in un solo attimo tutta la sicumera, tutta la forza che
l’aveva
animata sino a quel momento.
Abbassò lo sguardo sulle
proprie mani, distinguendo ancora sin troppo chiaramente le cicatrici
candide
che solcavano i suoi polsi: la storia di una vita convergeva su quei
pallidi
tatuaggi che mai sarebbero scomparsi, che avrebbero sempre delineato la
vergogna di ciò che era e di ciò che era
destinata ad essere…
-Fai ciò che devi fare,
allora.- sussurrò, posando con delicatezza le braccia ai
lati del corpo e
spostando le iridi sul volto teso di Edmund.
Vide gli occhi del Re
allargarsi di sorpresa, quando si rese conto della postura arrendevole
e mite
della giovane donna.
Era
pronta ad arrendersi.
Siria, quella Siria che
non si fermava mai, quella Siria che combatteva fino
all’ultimo respiro…
Quella Siria che aveva
ammirato ogni giorno di più, ammirando il suo coraggio e la
sua forza che la
distinguevano da qualsiasi guerriero avesse incontrato sino a quel
momento…
Ora era pronta a gettare
le armi, il capo chino e sconfitto dal peso di un segreto che si
portava dietro
da troppo tempo, gli occhi che si colmavano di lacrime frustrate,
addolorate,
angosciate, le mani che tremavano convulsamente sulla superficie grezza
delle
coperte.
Edmund le concesse solo
qualche istante di muto tormento, prima di schiarirsi la voce e
pronunciare
qualche studiata, sicura parola.
-Io non farò proprio
niente, non mi chiamo Peter.- la rossa alzò di scatto la
testa, allibita.
-Cosa?- sussurrò,
stranita, incapace di credere a quella frase, a
quell’appiglio, a quella speranza…
Edmund scosse la testa,
allungando una mano e racchiudendovi quelle sussultanti ed insicure
della
ragazza, nascondendo alla vista i segni che ancora, purtroppo, le
ricordavano
la lunga e tormentata tortura che aveva subito.
-Voglio la verità,
Siria.
Qualunque essa sia.- le spiegò, calmo, tranquillo,
accennando un breve sorriso
che ebbe il potere di accendere di stupore le guance soffici della
ragazza. -E
non voglio menzogne: qualunque cosa tu sia, io so che di te mi posso
fidare.-
.
Siria addentò dubbiosa
un
brandello di carne secca, piccolo dono che il giovane Re le aveva
offerto
quando aveva notato l’ansia che celavano le sue rapide parole.
-Ci credo che devi
nasconderti.- commentò Edmund, ancora strabiliato,
osservandola come non aveva
mai fatto sino a quel momento; chi avrebbe mai pensato che, dietro
quella
ragazza magra e ferita, si celasse una creatura tanto potente?
-Come minimo tuo fratello
mi ucciderebbe. Ma minimo.- fu il commento esausto della raminga,
posando la
carne secca in grembo e stringendo le gambe al petto, in un muto gesto
di
protezione.
-E’ probabile, in
effetti.- fu il commento lievemente ironico di Edmund, gli occhi scuri
che
dardeggiavano preoccupati verso la porta chiusa; se Peter avesse
saputo…
Se Peter avesse saputo,
l’affetto che provava verso la raminga sarebbe evaporato nel
fuoco bruciante
dell’odio, portando a gesti scellerati di cui si sarebbe,
certamente, pentito.
-E’
questo che ti tormenta?- le chiese,
sfiorandole un braccio e alzando un poco la coperta, proteggendola dal
lieve
freddo che disegnava pelle d’oca sulla sua carnagione diafana.
Siria gli scoccò
un’occhiataccia, inarcando un sopracciglio a
quell’affermazione tanto futile.
-Sono un mostro, te ne sei
accorto?- gli ricordò, caustica. Edmund non si scosse per
quella rispostaccia;
anzi, s’arruffò lievemente i capelli,
ricordando…
La
mente si perde, tornando a ricordi che spera, un giorno, di
dimenticare.
-Lo dici a me?-
commentò,
la voce distante, distaccata, sofferente. -Io ho tradito la mia
famiglia, Sir.
Ho rischiato di farli uccidere tutti.-
Edmund abbassò lo
sguardo,
le iridi scure che si riempivano di un tormento che non aveva mai
abbandonato
la sua anima. -Non è bello convivere con questa colpa, con
questa consapevolezza…
non è bello sapere di aver quasi ucciso le persone che amo
di più.-
-Eri un bambino, Edmund.-
cercò di consolarlo lei, posando una mano sul braccio del
giovane.
Erano
fredde, le mani di Siria.
Il ragazzo alzò gli
occhi,
spostando le iridi in quelle chiare di lei; ed in quegli occhi, in
quello
sguardo antico e tormentato, Edmund riuscì a scorgere lo
stesso, identico
dolore che lo aveva perseguitato da quando si era lasciato abbindolare
da
Jadis.
La stessa sofferenza.
Lo stesso tormento.
La
stessa colpa.
-E tu non sei nata per
fare del male.- affermò improvvisamente, sicuro, certo,
alzandosi in piedi e
guardandola con una forza del tutto nuova negli occhi, la
consapevolezza di
aver scorto se stesso in qualcun altro che lo rendeva più
sicuro, certo che ciò
che stava succedendo aveva, sicuramente, un motivo.
Perché
Siria non era malvagia; e, se lei non lo era, allora lui aveva
ancora una possibilità di redimersi dai suoi sbagli.
-Io
lo so, io lo vedo, ti ho osservata a lungo
da quando sei qui. Non saresti capace di fare ciò che
è stato fatto un tempo.-
-Sono nata per farlo.- e
le parole di Siria suonarono chiare e cristalline, il sapore della
condanna che
aleggiava pesante nell’aria intorno a lei, adombrandola di
paure che nulla – nulla
– avrebbe mai potuto cancellare.
-Io ho conosciuto tante
donne, come te. Nessuna di loro era malvagia.- replicò
Edmund, rammentando la
Gilda Bianca del nord, quella Gilda che tanto aveva aiutato i quattro
Regnanti…
-Nessuna di loro ero io.-
Siria si strinse nelle spalle, conscia del proprio destino e del
proprio essere,
conscia del terribile peso che la sua discendenza le aveva portato.
-Io ci credo in te.-
sorrise, mestamente, alle parole forti e sincere del giovane Re;
avrebbe tanto
desiderato credere anche lei, in se stessa…
-E non sei l’unico.-
Edmund e Siria sobbalzarono violentemente, quando la vocetta acuta e
trillante
di Tara rimbalzò fra le anguste pareti della stanzetta, la
figuretta snella
della ragazzina che appariva – quasi magicamente, a dire il
vero – dalla soglia
della porta un istante prima chiusa.
Siria sospirò, non del
tutto sorpresa, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso nel vedere
l’espressione
di Edmund farsi paonazza ed imbarazzata al tempo stesso.
-Voi due siete
inquietanti, lo sapete?- borbottò, suo malgrado rasserenata
dalla
consapevolezza di essere, finalmente, accettata da qualcuno che non si
sentisse
in dovere di farlo.
Aaron era suo fratello,
Shaylee la sua protettrice… la avrebbero accettata lo
stesso, se il Destino non
li avesse posti nei ruoli più intrinsecamente legati a lei?
Gli umani odiavano i
mostri come lei, li uccidevano… mentre le ninfe mal vedevano
quelli della sua
razza, che tanto dolore avevano portato nel popolo puro delle Naiadi.
L’avrebbero
accettata lo stesso, se non fossero stati suo fratello e
Shaylee?
-Nah, non è vero.-
ridacchiò Tara, senza riuscire a scorgere il tumulto
momentaneo che scurì le
iridi di Siria in quell’istante, i luminosi occhi celesti che
osservavano,
attenti, Edmund.
-Siamo due candide anime
innocenti.- rincarò lui, annuendo vigorosamente e
raggiungendola in un paio di
falcate, posandole una mano sulla spalla; Ed doveva avere qualche
problema di
temperatura – quando gli capitava di sfiorarla, era sempre
tremendamente caldo…
-Senza la minima traccia
di malizia.- Tara rivolse un occhiolino all’amica coricata
sul giaciglio,
vedendo il suo viso – solitamente contratto –
rilassarsi un poco dinanzi a
quell’esplosione di energia che lei ed Ed sembravano essere
in grado di
scatenare.
Voleva bene a Siria, Tara.
Le era stata vicina tante
volte, quando lei e Caleb erano scappati dal villaggio. Aveva giocato
con lei,
le aveva letto le fiabe, le aveva trovato dei giocattoli quando Tara
aveva
sentito la mancanza del suo bambolotto di pezza…
Tara aveva conosciuto un
lato di Siria che nessuno era mai stato in grado di scorgere; con lei,
la rossa
si era sempre comportata con la dolcezza di una madre e di una sorella,
con la
pazienza di una nutrice e la giocosità di una bambina. Era
stata lei ad
insegnarle a leggere e a cucinare e, quando era stato il momento, anche
ad
utilizzare egregiamente un pugnale.
Siria l’aveva salvata,
protetta e cresciuta; e Tara l’ammirava, ben sapendo cosa
celava dietro il
volto umano, proprio per quella sua umanissima capacità di
dare completamente
il cuore.
Non
avrebbe permesso a nessuno di farle del male.
Non per la colpa di essere
la persona splendida che Siria era.
La rossa si lasciò
sfuggire una risata, guardando le espressioni furbe e mascalzone dei
due
ragazzini di fronte a lei; erano un balsamo per le ferite, quei
due… per quelle
ferite che la solitudine aveva scavato profonde voragini dentro di lei.
-Sparite, anime
innocenti.-
.
-<>*<>-
.
Shaylee
riprovò per l'ennesima volta a smuovere l'acqua del fiume in
cui era immersa
fino alle ginocchia, ricevendo sempre lo stesso risultato. Il nulla.
Sbuffò,
contrariata, abbandonando il braccio lungo i fianchi morbidi, sfiorando
con le
dita il bordo lacero della veste, ancora macchiata in alcuni punti di
terra e
sangue.
Erano
passati giorni da quando aveva curato Siria, e la sua magia continuava
a
rimanere latente; decise di lasciare la sua postazione, andandosi a
sedere su
un masso accanto alla riva, lo sguardo che vagava in giro, senza una
meta,
mentre la sua mente si perdeva in pensieri ormai per lo più
malinconici e
colpevoli.
Ora che si
trovava in quella situazione, senza la parte essenziale di
sé... a cosa poteva
servire? Il massimo che l’era concesso era aspettare.
.
Uno
scricchiolio proveniente dalla foresta attirò la sua
attenzione, e
immediatamente provò a trasformarsi in acqua, nel suo
essere... Senza
riuscirci.
Imprecò,
scendendo dal masso e estraendo il pugnale che Peter le aveva donato,
sapendo
benissimo che se chiunque fosse nascosto avesse avuto un arco, lei
sarebbe
morta in un batter d'occhio; non era neanche esperta nel corpo a corpo,
con le
armi, e la cosa la penalizzava fatalmente.
Ma sospirò
di sollievo, imponendo al suo cuore impazzito per la paura di
acquietarsi,
mentre i muscoli si rilassavano: davanti a lei comparve Peter, la
fronte
corrugata e l’espressione stanca, gli occhi cupi…
occhi che s’illuminarono di
botto, quando incrociarono lo sguardo della ninfa.
-Ti
cercavo...- sussurrò lui, avvicinandosi piano, senza fretta,
la paura che lei
fuggisse ancora impressa in un angolo remoto della mente; ma Shay
sorrise
appena, tornando a sedersi sul masso, lasciando un po' di spazio
affinché il
biondo la raggiungesse.
-Mi
hai trovata. Posso… esserti utile?- domandò lei,
la voce che si incrinava
impercettibilmente, come se fosse ironica,
su quelle ultime due parole, come se non credesse a ciò che
aveva appena detto.
-Volevo solo
avvisarti che Talia sta molto meglio, e pare che a breve
riuscirà a correre
come prima. Ciò significa che l'avremo di nuovo tra i
piedi.- borbottò il Re
Supremo, scuotendo il capo mentre si sedeva accanto alla Naiade,
cingendole
dolcemente la vita con un braccio.
-Siria è con
Caspian, e la cosa dovrebbe aiutarla.- commentò, sottovoce,
fissando un paio di
pesci che passarono davanti a loro, sotto il pelo dell'acqua.
Si voltò
verso di lei, notando la sua attenzione lontana, gli occhi quasi vacui.
Un brivido
spiacevole percorse la sua schiena, la preoccupazione che prendeva
posto nel
suo cuore e scacciava alla svelta la traballante serenità in
cui tentava di
cullarsi.
-Shaylee?-
chiamò, con voce dolce, facendola sussultare appena.
La ninfa
alzò una mano, portandosi una ciocca di capelli dietro
all'orecchio, lanciando al
compagno un'occhiata fugace prima di rendersi conto che il suo sguardo
si era
fermato sul braccio che lei aveva mosso, una scintilla mista di rabbia
e
preoccupazione negli occhi azzurri.
-Perché hai
ancora i lividi?- Shaylee si maledisse per non aver coperto i segni che
erano
rimasti dalla prigionia, lasciandoli davanti agli occhi di tutti.
-Non ho
avuto tempo di guarirmi.- buttò lì, legandosi a
quella parziale verità,
sperando che lui non andasse oltre.
-Puoi farlo
adesso. L'acqua ti cura meglio di come ha fatto con Siria. E' la tua
essenza,
no? Puoi controllarla.-
-No, non
posso.- Peter inarcò un sopracciglio, senza capire,
decidendo di prendere la
ragazza tra le braccia e portarla, tra le sue proteste, verso il corso
di
fronte a loro; la adagiò tra i flutti, aspettando che
l'acqua facesse il suo
dovere.
Dopo un
minuto di silenzio, in cui Shay era arrossita dalla frustrazione e
niente era
cambiato, il biondo la fece alzare prendendole le mani, fissandola.
-Shaylee. Che
cosa sta succedendo?- domandò, in tono fermo e autoritario,
le mani che
tremavano appena a contatto con quelle di lei, l'ansia impressa negli
occhi.
La
Naiade tentennò, abbassando il volto, decisa a non dire
nulla.
-Shay.-
la bruna scosse il capo, mentre calde lacrime le rigavano le guance, le
mani
minute che stringevano quelle del ragazzo, la schiena che sussultava
appena.
-Non
posso
più controllare l'acqua. Non posso trasformarmi, non posso
attaccare. Ho perso
ogni facoltà magica.-
.
-<>*<>-
.
Tremava.
Serrò gli occhi, i
pugni, le braccia,
tentando di mantenere il controllo sul dolore che la travolgeva. Le
gambe non
rispondevano ai suoi comandi, parevano incapaci di rimanere dritte e
salde
com’erano sempre state, mentre la forza nelle mani veniva
meno.
Tremava.
I muscoli urlavano di dolore, fuori
dal suo controllo, l’agonia che li attraversava con la
prepotenza di un
fulmine. Non poteva esistere un dolore di
quell’entità… nessuno sarebbe stato
in grado di sopravvivere.
…piangeva.
-Ehi. Va tutto bene.- il calore
delle
braccia di Caspian
fu un balsamo lenitivo, per Siria; si aggrappò
alle sue spalle con tutta la forza che le restava, le nocche che
sbiancavano
per lo sforzo, gli occhi serrati per il dolore.
-Ce la faccio.- mormorò,
a
denti stretti, ma la sofferenza la vinse ancora una volta;
avvertì le ginocchia
cedere sotto il peso di quella schiena che pareva non volerla reggere,
ogni
sinapsi attraversata da quella fitta tagliente che l’aveva
piegata senza
nemmeno troppo sforzo.
-Sir, forse dovresti
riposare ancora. È troppo presto.- Caspian le
passò un braccio intorno alla
vita, sorreggendola con delicatezza, atterrito al pensiero di farle
più male di
quanto già non stesse provando.
-Ce la faccio.- replicò
lei, il respiro rapido, irregolare, costringendosi con tutta la
determinazione
che possedeva ad aprire gli occhi.
Già una volta aveva
sconfitto
il dolore.
Il trucco era solo nel
farci l’abitudine, nel prendere confidenza con quelle fitte
lancinanti… era
tutta lì la soluzione, doveva soltanto abituarsi a patire
una pena tremenda,
una tortura continua che poteva portare chiunque alla pazzia.
Ma lei,
lei non era chiunque.
-Sir, basta.- il tono di
Caspian non ammetteva repliche, e suo malgrado Siria si
ritrovò ad essergli
grata, quando le passò un braccio sotto le ginocchia e la
sollevò fra le
braccia, riportandola sul modesto giaciglio che oramai la ragazza
sentiva di
amare e detestare allo stesso tempo.
Sospirò, socchiudendo
gli
occhi, sentendoli bruciare di qualcosa che non aveva mai tollerato.
Sconfitta.
Il suo stesso corpo, quel
corpo su cui aveva sempre fatto un cieco affidamento, la stava tradendo.
Non si era mai sentita
più
fragile… tutta la sua forza pareva svanita, ridotta in pezzi
da un dolore che
l’aveva messa in ginocchio come mai nessuno era riuscito a
fare.
Le palpebre si serrarono
di botto, quando calde lacrime di frustrazione apparvero
sull’orizzonte di
pizzo delle sue folte e lunghe ciglia scure.
-Ehi…- suo malgrado,
Siria
s’irrigidì di botto, al tocco lieve sulla guancia
delle dita di Caspian.
Non voleva che la vedesse
piangere.
Non voleva che si sentisse
in colpa.
Ma non riuscì ad evitare
che calde linee argentee si disegnassero sulla sua pelle, scivolandovi
come
spuma candida sulle perle del mare, arrendendosi ancora una volta a
quel dolore
che non riusciva a vincere.
Si appallottolò su se
stessa, dando le spalle a Caspian e odiandosi per quel gesto; non
voleva
allontanarlo, non voleva ferirlo… aveva bisogno di lui
più che mai, ma non
tollerava che la vedesse così debole, che la vedesse
piangere.
Non era
colpa di Caspian.
Lei aveva deciso di fare
ciò che aveva fatto, non se ne pentiva; doveva soltanto
smettere di piangere,
non sarebbe servito a nulla, sarebbe soltanto stata peggio…
non aveva alcun
diritto di crollare in quel modo, lei
aveva fatto quella scelta e, se il risultato era stato sapere che
Caspian era
sano e salvo… avrebbe accettato volentieri quella sofferenza.
Doveva
soltanto abituarvisi.
Eppure non riusciva a
fermare quel pianto silenzioso, lottando con se stessa per non
permettersi di
voltarsi, di cercare conforto dove sapeva di poterlo trovare; non aveva
motivo
di comportarsi così, sembrava una ragazzina piagnona, doveva
soltanto
rimettersi in piedi ancora una volta e sarebbe andato tutto
bene… non aveva
diritto di piangere, quando era stata una sua scelta consapevole a
portarla lì
– una scelta di cui era fiera, una scelta che aveva salvato
il suo principe.
Smettila.
Smettila di piangere, adesso! Sei una guerriera, sei un
soldato, ora piantala!
Lei era un soldato.
Aveva imparato nel corso
degli anni a resistere al dolore, a combatterlo, a
sopportarlo… doveva smettere
di piangere, doveva tornare ad essere forte, lei non era
così fragile... o
almeno, il suo corpo non lo
era mai stato.
Perché si sentiva nuda,
Siria, abbandonata dalla coriacea scorza con cui si era sempre protetta
dal
mondo intero; le sue gambe non avevano mai ceduto sotto il peso del
terrore e
dell’angoscia, le sue mani non avevano mai esitato a
sorreggere il peso delle
armi.
Ma adesso, adesso sentiva
che ciò su cui aveva sempre contato se ne stava andando,
lasciandola priva
delle difese che l’avevano sempre protetta da ogni
aggressione.
Si era convinta, negli
anni, che se fosse diventata una guerriera invincibile niente avrebbe
potuto
sconfiggerla; niente avrebbe più potuto ferire quel cuore
troppo tenero,
quell’anima troppo fragile, perché lei sarebbe
diventata abbastanza forte da
sopportare anche gli attacchi che non coinvolgevano il suo corpo.
Eppure, adesso non c’era
più niente.
Non era più una
guerriera,
adesso; era soltanto quella ragazza spaventata che tanto odiava
mostrare, che
tanto facilmente poteva essere ferita.
-Sir, è soltanto troppo
presto. Ci vorrà un po’ di tempo.- la voce di
Caspian accarezzò delicatamente
la sua pelle ancora lacera; non voleva che la vedesse in quello stato,
voleva
essere… bella, per lui.
Non voleva sembrare un
mostro pieno di lividi, di ferite, di sangue a stento rappreso; il suo
essere
donna in quel modo tanto particolare, il suo orgoglio e la sua
femminilità
selvatici ma altrettanto sensuali, desideravano soltanto che Caspian
non la
vedesse ridotta in quello stato.
Era vanità, Siria la
riconobbe immediatamente; sbuffò quasi, fra le lacrime,
sentendo il dolore che
scemava appena e le permetteva nuovamente di respirare.
Si sentiva una sciocca, si
sentiva ridicola; non soltanto le sembrava di essere fragile quanto una
fogliolina sferzata dai venti più impetuosi, ma anche tanto
superficiale e
frivola quanto una ragazzina viziata.
Vanità.
-Non guardarmi.-
mugugnò,
affondando la testa nella propria spalla, avvertendo la pelle ardere
dove gli
occhi di Caspian la sfioravano.
-E perché non dovrei?-
fu
la domanda attonita del principe, il tocco caldo e soffice delle sue
dita che
le sfioravano i capelli; almeno i capelli,
pensò lei, erano rimasti i crini
folti e
rossi che lui tanto amava… oh, ma quanto poteva
sentirsi sciocca, in quel
momento!?
Vanità.
Aveva sempre creduto di
esserne immune, Siria; ma, evidentemente, Caspian l’aveva
resa arrendevole
persino dinanzi a quella pericolosa patologia.
Avvertì Caspian
sorridere,
la sua carezza gentile scendere a sfiorarle con delicatezza il viso,
alzandolo
e portandola a guardarlo in quei meravigliosi occhi neri.
Era cresciuto tanto,
Caspian, nelle ultime due settimane; il volto si era fatto
più scavato, i
capelli più lunghi e disordinati, la pelle delle guance
ruvida di una barba
folta e neonata… sembrava più un uomo di un
ragazzo, adesso, i segni della
lunga agonia che aveva vissuto accanto a Siria che marchiavano
indelebilmente
il suo volto prematuramente invecchiato.
-Sir, pensi di essere meno
bella, adesso?- le chiese, un pizzico d’ironia nella calda
voce sensuale che
riuscì a far avvampare la ragazza, che immediatamente
tornò a nascondere il
visino nella sua spalla.
-Di sicuro non sono un
gran spettacolo.- mugugnò, stringendosi di più a
lui, tentando di scacciare
quell’inadeguato e irrazionale senso di pudore. -È
una cosa sciocca, lascia
stare.- tentò di dissuaderlo, imbarazzata, senza
però riuscire a sfuggire al
penetrante sguardo color carbone di Caspian.
Inaspettatamente,
però…
una breve, roca, calda risata riscaldò l’aria
fredda dell’angusta stanzetta, le
flebili fiamme delle candele che tremolavano in risposta a quel suono
che da
tanto tempo, ormai, nessuno riusciva più ad emettere.
La ragazza si voltò, suo
malgrado, per guardare il volto ilare e divertito del principe
telmarino;
Caspian stava davvero ridendo e,
oh,
era un suono talmente bello che non si sarebbe mai stancata di
ascoltarlo…
avrebbe potuto passare l’eternità, lì,
fra le sue braccia, l’argentino rintocco
delle sue risate a cullarla nei sogni.
-Sir, sai perché non oso
toccarti?- esordì lui, accarezzando con riverita tenerezza
la guancia della
giovane, un caldo bacio che si posava fra i morbidi crini scarlatti.
Bella…
Caspian aveva il potere
unico di farla sentire bella, amata, desiderata…
nella sua stretta, contro il suo petto, il battito
forte del suo cuore che le riempiva la mente, Siria riuscì
– per la prima volta da giorni –
a sorridere,
serena, il ricordo della tortura per un istante dissolto nel calore di
quell’abbraccio.
Il sonno, la stanchezza, i
nervi che si distendevano al contatto col corpo tonico del principe,
portarono
le sue palpebre a socchiudersi proprio quando il sussurro del ragazzo
le
accarezzò l’orecchio, lasciandola scivolare nel
beato oblio dei sensi.
-Ho soltanto il terrore di
ferirti, mia adorata principessa.-
.
-<>*<>-
.
-Che cosa??- Peter
sbarrò gli occhi,
incredulo. Non riusciva a credere a quello che Shaylee gli aveva appena
detto.
Non era possibile. Lei era una Naiade, la magia era parte integrante
del suo
essere, senza sarebbe stata una persona... a metà.
-E'
il prezzo che ho dovuto pagare per curare Siria.- spiegò
lei, la voce che non
tradiva alcun ripensamento, alcun rimorso: era ancora convinta di
ciò che aveva
fatto, sicura che fosse la scelta più giusta. Lei stessa
poteva ritirarsi dalla
battaglia senza intaccare nessuno dei piani, senza creare problemi; ma
se fosse
stata Siria a ritirarsi dal combattimento, la situazione avrebbe preso
tutta
un'altra piega. Non potevano perdere la raminga.
Il volto del Re Supremo si
corrucciò per qualche istante.
-Quando
ti ho spiegato cosa la mia magia comportava... non ti ho detto tutto.-
-Hai
mentito.- Shaylee sussultò a quell'affermazione, scuotendo
vigorosamente il
capo.
-No,
sai che... non riesco a mentire. E' stata un'omissione,
perché sapevo che tu e,
soprattutto, Siria mi avreste impedito di fare il necessario.-
spiegò la
Naiade, stringendosi appena le braccia intorno al ventre. Peter
sospirò
avvicinandosi a lei, alzando una mano per spostarle quella stessa
ciocca di
capelli dal volto; lei fece un passo indietro per guardarlo
direttamente negli
occhi, una luce diversa, una di quelle che il Re non aveva mai visto
così: un
misto tra determinazione e insicurezza.
-Io...
ho deciso di tornare a casa, Peter.- mormorò la ninfa,
tentando con tutta se
stessa di non abbassare lo sguardo; vide il biondo sbiancare appena a
quell'affermazione, gli occhi che improvvisamente diventavano due
specchi
impenetrabili.
-Cosa
intendi dire?- domandò, freddo, incredulo.
-Sono
senza magia per un tempo a me sconosciuto e non sono capace di
difendermi...-
-...ci
sono io..-
-Non
dire sciocchezze. Tu sei il Re. Devi guidare tutta questa guerra con
l'appoggio
di persone in grado di starti accanto senza dover essere protette.-
prese un
lungo respiro, Shay, la sola idea di lasciare lui,
il suo lui la faceva vacillare nell'anima come mai prima
d'allora.
-Due
naiadi domani verranno a prendermi per farmi da scorta. Ho avvertito
Mairead di
tutto prima di condurre la magia curativa. E' meglio così,
per tutti.- sussurrò
la bruna, i capelli che ricadevano scompostamente davanti al viso
inclinato in
avanti, oscurandolo in parte, l'ombra che provocavano che andava a
nascondere
gli occhi puri e sofferenti della ninfa... ombra che rispecchiava
perfettamente
la malinconia che adesso permeava lo spirito della ragazza.
-Non
posso lasciarti andare.- la voce di Peter fu brusca, ma non
più fredda o impersonale:
sembrava appena incrinata, qualcosa a trattenere l'esplosione di
emozioni che
pareva essere sul punto di abbandonare il corpo del Re Supremo.
-Non
puoi impedirmelo...- protestò lieve Shaylee, alzando decisa
lo sguardo sul
compagno, ritrovandoselo a pochi centimetri di distanza.
-Sono
il tuo Re. Posso farlo. Resterai nella cripta se necessario, ti
proteggerò fino
all'ultimo respiro se dovessi farlo... ma non andartene.-
Gli
occhi di Peter, quei limpidi frammenti di cielo estivo, quel cielo che
le aveva
sempre ricordato la vecchia Narnia, erano lucidi come cristalli,
appesantiti da
qualcosa di molto simile a disperazione; Shay gli accarezzò
una guancia con la
punta delle dita sottili, la sua mano che saliva a imprigionare quelle
dita di
fata nel proprio palmo.
-Devo,
Peter. Mairead stessa mi allenerà, diventerò una
guerriera come fino ad ora non
sono stata in grado di essere; così, se sarà
necessario, almeno darò il tempo
alla mia gente di scappare via se mai i Telmarini dovessero trovarci e
attaccarci.
Se imparo a usare le armi e a controllare la magia posso dare una
minima
speranza di salvezza al mio popolo... anche se dovesse costarmi la
vita. Tu
faresti lo stesso.- mormorò la Naiade, le lacrime che ormai
rigavano le sue
guance eburnee senza fermarsi, le mani che si stringevano alla casacca
del
ragazzo, mentre quelle di lui cingevano con morbida fermezza la vita
esile
della fanciulla.
-Stanotte
resta con me. Voglio che tu mi stia accanto…
un’ultima volta.-
-Un'ultima
volta?- domandò lei, la voce bassa e appena roca.
Fra tutt'e due, quelle donne sono un concentrato di pare mentali O.o
Con questo capitolo, si conclude definitivamente la parte della storia
che riguarda la tortura ed il rapimento delle ragazze; ora
comincerà una parte relativamente breve, che
durerà al massimo 5 capitoli (e che non dovrei impiegare
troppo tempo per scrivere, vita permettendo), e poi ci si
avvierà - finalmente - verso il gran finale.
Un finale con il botto xD
Vi avverto, non ho dimenticato Rebirth, il mio amore per Siria
è sempre lo stesso; sono soltanto un po' tanto fisicamente
ed emotivamente distrutta. La vita sa essere decisamente crudele, alle
volte.
-Devi
smetterla!- Siria,
frustrata, si costrinse a non scaraventare la ciotola di terracotta
che teneva in mano contro la parete di quella dannata stanzetta;
fissò Shay, la rabbia che lampeggiava furibonda negli occhi
chiari.
Talia, silenziosa quanto e
più che mai, si limitò a spostare lo sguardo
sulla finestrella del
cubicolo che ospitava la convalescente ed irascibile amica, le
braccia conserte ed i capelli raccolti che mettevano in evidenza le
lunghe, affusolate orecchie elfiche.
Shaylee, con tutta la
calma che possedeva, si avvicinò alla rossa e le tolse il
recipiente
di mano; si allontanò per posarlo sul tavolo accanto alla
porta, i
movimenti misurati e calcolati, l’espressione accuratamente
neutra.
-Di fare cosa, Siria?- le
chiese, con la sua voce più serena ‒ senza, però,
voltarsi a
fronteggiare lo sguardo pieno d’accusa e sgomento della
ragazza. -Voglio solo imparare a combattere. Voglio solo non essere un
peso
per nessuno.- ripeté, forse per la centesima volta da quando
aveva
comunicato alle due amiche la sua decisione, abbassando il tono della
voce fino a ridurla ad un sussurro dolce e delicato.
Siria, irata, scostò
bruscamente le coperte ed afferrò il bastone a cui aveva
preso
l'abitudine di appoggiarsi per camminare, alzandosi in piedi,
traballando un poco, per raggiungere la cassapanca dove aveva
raccolto i suoi pochi averi.
-Tu non sei fatta per
combattere, dannazione!- sbottò, senza nemmeno guardare
l'amica,
aprendo il coperchio con violenza: quello, al suo gesto,
schioccò al
contatto con la parete, un suono che riverberò in tutta la
cella.
Shay sospirò, cercando lo
sguardo di Talia in aiuto: ma la mezz'elfa non pareva d'accordo con
la naiade, tanto che evitò volontariamente di incrociare i
suoi
occhi, limitandosi a fissare l'esterno della cripta attraverso la
finestrella.
-Quella sei tu, vero?- fu
il commento esasperato della ninfa, mentre la rossa estraeva un
corsetto e una tunica, piuttosto consunti ma tutto sommato in buono
stato, e si sfilava la camicia da notte per indossarli.
Talia dovette distogliere
lo sguardo dal corpo nudo e terribilmente magro dell'amica,
perché
le ferite appena rimarginate sulla sua carne bianca disegnavano una
storia che lei non voleva
rivivere; Shay invece sopportò quella vista, inorridendo
però
quando vide che persino la fenice dormiente sulla schiena della
ragazza era stata intaccata dalla violenza di Flynch.
-Sì!- sbottò la
rossa,
ponendo fine al supplizio delle due narniane indossando il
giustacuore lungo, coprendolo poi con il corpetto per sostenere il
seno e rinforzare la spina dorsale malandata.
Si volse verso Shaylee,
fronteggiandola con la rabbia ed il disgusto nelle iridi blu.
-Non sono l’eroe della
storia, okay? Sono il mostro, quello che il prode Re
infilzerà sulla
spada, prima o poi! È così che andrà,
Shaylee, ma tu NON sei una
guerriera!- ringhiò, ignorando il senso opprimente che quel
pensiero
le dava ogni volta che vi si soffermava: non aveva intenzione di
lasciarsi abbattere dalla trista consapevolezza del suo destino.
Non più, almeno.
La ninfa non volle
cogliere l'aspetto positivo di quell'esclamazione furiosa, il lampo
di coraggio ed ostinazione diventati tanto estranei dal viso di Siria
da sembrare appartenenti a qualcun altro: strinse i pugni, sibilando
furibonda la sua risposta.
-Tu non esistevi nemmeno
quando io combattevo per Narnia, Siria! Mi sono battuta per tanti
anni, tanti quanti tu non potrai nemmeno viverne!-
Shaylee, nel pronunciare
quelle parole rancorose, seppe istintivamente di aver fatto la mossa
sbagliata.
Talia e Siria rimasero a
fissarla, stupefatte da quell'uscita che, da lei, nessuno si sarebbe
mai aspettato: Shay non era una persona incline a quei gesti
così
umani,
a quel difetto tanto
comune che era il risentimento.
-Bene!- fu l'esclamazione
della rossa a quel punto, che indossò la calzamaglia con una
furia
tale da rischiare di romperla. -Bene!- ripeté, infilandosi
gli
stivali alti e tentando di allacciarli: fu Talia a soccorrerla,
dandole una mano quando si rese conto che l'amica non sarebbe
riuscita a farcela da sola.
Quando fu vestita, Siria
non aspettò nemmeno che Shay potesse dire qualcosa: si
avvicinò
zoppicando alla porta, furiosa, senza neanche guardarla.
-Vai, diventa un
guerriero, combatti l’ennesima guerra di questa terra, fatti
ammazzare!- la sentì sbottare la Naiade, mentre la rossa
imprecava
nei confronti della porta tanto pesante e difficile da aprire.
Siria si volse verso di
lei soltanto quando fu ormai sulla soglia, gli occhi blu vividi di un
fuoco di nuovo vivido e acceso. -Fai come ti pare, Shaylee, ma non
farlo perché ti senti in colpa per essere scappata.-
aggiunse, in un
tono appena più dolce, ma perentorio: non avrebbe permesso
alla sua
amica di rovinarsi, di diventare un mostro a causa di una sua
scelta.
Non attese una risposta:
si voltò, dandole le spalle e zampettando il più
velocemente
possibile nella penombra opprimente della cripta, Talia accanto.
E non udì, quindi, il
sussurro di Shaylee.
-…Anche per quello,
Siria.- la ninfa si strinse le mani sulle braccia, abbassando lo
sguardo. -Anche per aver quasi fatto uccidere una delle persone
più
care che ho.-
.
§
.
Shaylee era partita ormai
da un paio di giorni, senza che nessuno quasi se ne accorgesse: Talia
e Siria, più taciturne che mai, avevano assistito all'arrivo
delle
due Naiadi mandate da Mairead per recuperarla, salutando l'amica con
sguardi carichi di migliaia di parole mai dette.
Grazie al sostegno
dell'amica mezz'elfa, Siria si era ripresa tanto da poter abbandonare
il bastone per brevi passeggiate, in cui Caspian o Talia
l'accompagnavano più che volentieri.
Nel suo principe, Siria
aveva scorto il sollievo, la pace e la speranza che la sua rapida
guarigione avevano alimentato, il desiderio di saperla di nuovo in
forze ed al sicuro che restituiva vigore e vitalità a quel
ragazzo
che adorava in un modo totalmente unico.
Ma era Talia per cui Siria
era preoccupata, perché l'amica si faceva ad ogni alba
più
silenziosa e corrucciata, quasi temesse il giorno come foriero di
dispiaceri o altro dolore. Quando le aveva domandato, senza mezze
parole, cosa stesse succedendo, la laconica risposta della mezz'elfa
aveva fugato qualsiasi dubbio: gli alberi l'avevano avvertita di una
imminente visita di una delegazione elfica.
Se esisteva una sola cosa
che angosciava Talia, quella era il suo popolo a metà; quel
popolo
che l'aveva ripudiata e allontanata con la facilità con cui
si
scaccia un animale vagabondo.
.
Un giorno,
inaspettatamente, fu Peter a presentarsi sulla soglia della rossa
raminga al posto del principe o della mezzosangue, con un sorriso sul
volto ed il Sole che incorniciava la sua prestante figura: dopo
tanti giornifinalmente il Re Supremo si era
degnato di farsi
vedere, lo
aveva schernito
Siria, accettando però il braccio che lui le tendeva e
seguendolo
fuori dalla cripta, immergendosi nel calore di un'estate nel suo
pieno vigore.
-Come ti senti?- le
domandò, aiutandola a sorpassare una parte di sentiero
particolarmente sconnesso reggendola per il braccio, costatando con
piacere che Siria riusciva a muoversi quasi senza il bisogno di un
sostegno.
La raminga sorrise, senza
scacciare la mano che l'aiutava, rivolgendogli uno sguardo che
finalmente assomigliava a quello combattivo e focoso della donna che
lui aveva imparato ad apprezzare.
-Meglio. Presto tornerò a
maneggiare la spada.- lo informò, soddisfatta di se stessa e
dei
propri progressi: aveva ripreso in mano Kain, il giorno precedente,
sotto gli occhi attenti e preoccupati della sua ansiosa migliore
amica e del suo apprensivo compagno... sferrare giusto un paio di
fendenti era stato terribilmente faticoso, ma, quando aveva lasciato
cadere la spada per la stanchezza, sul viso di Siria era comparso un
sorriso di puro trionfo.
Peter ridacchiò, a suo
modo fiero del portamento molto più solare della giovane:
aveva
fortemente temuto di perdere il suo guerriero migliore, in quelle
ultime sei settimane scarse, ed il fatto che si fosse ritrovato a
provare per lei un affetto al limite della paternità non
aveva certo
aiutato le sue emicranie.
Ma ora Siria era al suo
fianco, il viso pulito e libero dalle cicatrici e gli occhi limpidi e
accesi come due fiamme di cobalto, con addosso un semplice vestito da
donna che Susan l'aveva praticamente costretta a indossare.
-Frena,
puledrina, non hai
bisogno di fare tutto subito!- le fece notare, punzecchiandola con
quel nomignolo saltatogli alla mente nel rammentare una giovane
cavalla selvaggia che lui ed Edmund avevano catturato durante il loro
regno: nessuno era mai stato in grado di domarla, ma la magnifica
bestia dal manto grigio era rimasta nei boschi attorno a Cair
Paravel, fiera nella sua decisa libertà.
Siria si fermò di botto,
voltandosi verso il biondo con l'orrore che si dipingeva alla svelta
nei suoi bei tratti.
-Com'è
che mi hai chiamata!?- quasi strillò, tanto era rimasta
allibita da
quel nomignolo orribile
ed infamante con cui
l'aveva chiamata quel coso
biondiccio.
Lui ghignò, divertito,
annuendo con aria solenne.
-Puledrina. Sei una
cocciuta, testarda e nevrotica puledrina ribelle.- affermò,
soddisfatto di se stesso, aprendosi poi in un sorriso a trentadue
denti che fece soltanto crescere il di lei desiderio di strangolarlo.
-Dimmi cosa mi trattiene
dal liberare Narnia da un cretino come te.- borbottò infatti
Siria,
che divenne ancora più rossa dei propri capelli quando Peter
scoppiò
a ridere di gusto, strappando anche a lei un sorriso.
Gli concesse quasi un
minuto d'ilarità, prima di porgli una delle domande che
più le
premevano. -Come stai, Re Supremo?-
Lui non sembrò sorpreso
dal quesito; sospirò, passandosi le dita fra i capelli, gli
occhi
celesti che si spostavano sull'azzurro carico del cielo, tanto bello
da sembrare finto.
-Vado avanti. Shaylee non
sarebbe molto contenta di sapermi depresso e inattivo.- rispose, con
una sincerità disarmante che lasciò la ragazza
momentaneamente
senza parole. -Mi manca, Sir.- aggiunse, mentre fra i pensieri faceva
capolino il volto delicato e perfetto della sua amata naiade.
Chissà come stava,
Shaylee... chissà come andava il suo agognato allenamento,
chissà
se aveva compreso di non essere portata per la guerra...
Siria annuì, ben
riuscendo a capire lo stato d'animo del Re Supremo.
Lei e Shaylee non si erano
lasciate nel migliore dei modi, il ricordo di quell'aspra discussione
avrebbe aleggiato a lungo fra loro: ma la ninfa era prima d'ogni cosa
una sua adorata amica – una delle poche, una delle sole
persone a
cui Siria, tuttora, avrebbe affidato se stessa.
-Manca anche a me. Tornerà
presto, vedrai... Mairead ha i suoi modi per far capire le cose alle
persone. La farà ragionare.- lo rassicurò,
regalandogli uno dei
suoi rari sorrisi sinceri: più di una volta, da quando
Shaylee era
partita, lei e Peter si erano ritrovati d'accordo sul fatto che le
intenzioni della ragazza erano pura follia, dettata più dal
senso di
colpa che dal reale desiderio di combattere ed uccidere.
Peter si costrinse a
sorridere, nonostante l'angoscia e la malinconia gli stringessero il
cuore ad ogni ora della giornata. Il suo conforto più grande
era il
sapere la sua amata al sicuro, in quei giorni; il suo sollievo,
invece, la preparazione di una guerra che sembrava oramai imminente.
Condusse Siria per
un'altra manciata di metri, prima che la ragazza desse i primi segni
di cedimento: si fermarono quindi ai bordi dei campi allestiti per
l'addestramento con le spade, osservando il possente Cornell che
istruiva pazientemente un giovane centauro dal manto chiaro
nell'utilizzo dello spadone a due mani tipico della sua razza.
Il ragazzo, che poteva
forse essere dell'età corrispondente a quella di Peter e
Siria, era
evidentemente alle prime armi con la spada: la maneggiava con
goffaggine, non riuscendo a parare nessuno dei semplici colpi che il
suo maestro sferrava.
Siria si morse un labbro,
preoccupata: erano ragazzi come quello che avrebbero mandato in
guerra? Poco più che bambini, mandati a morire?
All'ennesima stoccata
andata a fondo di Cornell, il ragazzo parve spazientirsi:
mulinò
furiosamente la spada, ma il centauro più adulto fece
roteare
abilmente i polsi, disarmandolo con semplicità e mandando la
spada a
conficcarsi a non più di un paio di metri dai due spettatori.
A quel punto, Siria non
poté più stare a guardare.
Abbandonò il braccio di
un Peter quantomai stupito, avvicinandosi all'arma ed estraendola, un
po' a fatica, dal terriccio: si avvicinò quindi ai due
narniani,
porgendo lo spadone al ragazzo e sistemando le enormi mani della
creatura sull'elsa, spostando poi delicatamente la lama in modo che
seguisse la piega naturale del braccio del giovane.
-Devi tenere la spada più
bassa... così.- gli spiegò, guidando quindi i
suoi polsi e
mostrandogli come affondare in modo molto più fluente,
rapido e
preciso. -Vedi? Puoi proteggere ogni lato del tuo corpo, in questo
modo.- aggiunse con un sorriso, allontanandosi per permettere al
centauro di provare la nuova tecnica.
Quello tentò un paio di
volte, riuscendo finalmente a prendere dimestichezza con l'arma e
riuscendo a parare alcuni dei colpi del maestro. Si voltò
quindi
verso Siria, mentre rinfoderava la sua nuova compagna di battaglia,
sorridendole dal quel volto antico e misterioso che era quello dei
centauri.
-Ti ringrazio, lady
Siria.- le disse, chinando rispettosamente la testa, provocando un
eccesso di rossore sulle guance di lei.
-Non ce n'è bisogno.- lo
fermò subito, imbarazzata: ma il giovane ignorò
il suo imbarazzo,
ritirandosi soltanto quando il più anziano lo
liquidò con un gesto
della mano.
Siria divenne ancor più
paonazza, quando si rese conto di essersi intromessa senza permesso
nell'addestramento di quel maestoso e terrificante centauro: le
metteva soggezione, Cornell, sin da quella notte nella foresta in cui
l'aveva salvata dalla condanna a morte.
-Perdonami Cornell, non
volevo interferire, io__-
-Non hai interferito.- la
interruppe pacatamente l'altro, indecifrabile nella voce e nello
sguardo. -Seguimi, vuoi?- le propose poi dopo un attimo, invitandola
ad accomodarsi sulla propria schiena. Lei annuì, incuriosita
da
quella proposta, rivolgendo un cenno di saluto a Peter che,
comprendendo, rispose al gesto e si allontanò verso il resto
dell'accampamento.
Il centauro aiutò la
ragazza a sedersi in groppa, sollevandola come se fosse una bambolina
di pezza. Lei odiava l'abito lungo e scomodo che Susan le aveva dato,
le impediva i movimenti in maniera allucinante e non le permetteva
nemmeno di montare a cavallo come aveva sempre fatto, costringendola
ad accomodarsi all'amazzone.
Cornell la condusse
lentamente attraverso i vari centri di addestramento: Susan
addestrava uno sparuto gruppo di tremuli arcieri, Edmund duellava
contro tre fauni alla volta, Aaron e Caleb addestravano alle picche e
alle alabarde i centauri di stazza più minuta.
-Che cosa ne pensi?- le
domandò l'antica creatura, voltandosi a guardarla. Lei
scosse la
testa, sconsolata.
-Si faranno ammazzare. Non
sono pronti, Cornell.- fu la trista risposta della rossa, mentre
l'ingiustizia di quell'amara verità tornava a stringerle il
cuore:
gli ideali e gli obiettivi di quei combattenti erano nobili, ma i
loro avversari avrebbero trafitto l'onore ed il coraggio, passandoli
a fil di spada senza troppi pensieri.
-Lo so bene.- concordò
Cornell, serissimo, scrutandola come già una volta
– una
vita prima
– aveva fatto per capire la vera indole della giovane.
-Tu hai molta esperienza, Siria. E hai bisogno di un obiettivo.-
affermò, alla fine, dopo diversi attimi passati a scrutarla.
Lei sgranò gli occhi,
presa in contropiede.
Cornell le stava forse
offrendo di addestrare i guerrieri? Le sarebbe indubbiamente
piaciuto, ne sarebbe probabilmente stata in grado, ma...
-Io non sono la persona
adatta...- cominciò, sollevata suo malgrado di non dover
mentire a
Cornell: il centauro era perfettamente a conoscenza della sua vera
natura e dei segreti che celava, e mentire non sarebbe servito a
nulla.
-Provaci.- la incoraggiò
lui, ignorando tranquillamente la sua obiezione.
Mosse le enormi mani
nell'aria, abbracciando così tutto l'accampamento della
Cripta di
Aslan e tutti coloro che, al momento, vi vivevano.
Poi, tornò a guardare gli
occhi tormentati di Siria.
-Ti ascolteranno. Tu forse
non hai fiducia in ciò che sei, ma noi... tutti noi...
sappiamo che
quando sarà il momento farai la scelta giusta.-
.
Quella sera, sola nella
sua stanza in attesa di Caspian, Siria si ritrovò a
riflettere.
Sopravvivere.
No, non le bastava più.
Non le bastava più vivere alla giornata, senza sperare in un
futuro.
Voleva combattere.
Ne era certa, era questo
che il suo cuore aveva ruggito con una forza mai provata quando si
era ritrovata al fianco dei Narniani, in battaglia. Era questo che
l’aveva spinta a restare – escludendo Caspian,
ovviamente.
Era questo, ciò che
quella sete di giustizia che aveva sempre sopito le chiedeva di fare.
Voleva combattere. Voleva
combattere per quell’ideale in cui aveva scoperto di credere
con
tutte le sue forze, voleva vedere l’usurpatore trascinato via
dal
trono, voleva vedere la giustizia trionfare a Telmar e a Narnia.
Voleva arrivare a vedere Caspian con la corona sulla testa, voleva
vedere le due civiltà finalmente pacificate, unite sotto una
stessa
guida.
Voleva tutto questo.
E voleva farne parte. In
qualsiasi modo, quello che aveva imparato in sette anni sarebbe
potuto tornare utile ai guerrieri – per poco non si
ritrovò a
pensare i suoi, guerrieri.
Sorrise, sentendo qualcosa
scaldarle il cuore, il petto.
Avrebbe dato anima e
corpo, per quell’ideale, per quel sogno.
Forse, non era poi così
tardi per sperare.
.
§
.
-E’ brava.-
Sentire Peter elogiare le
qualità di Siria, ultimamente, non era più
così raro. Certo, non
se lo permetteva in presenza della rossa, ma la raminga pareva troppo
impegnata nei suoi addestramenti per far caso all’orgoglio
che dava
a tutti quanti nell’impegnarsi così tanto.
Caspian annuì, un sorriso
finalmente sereno sul volto, guardando Siria spiegare ad un
giovanissimo fauno come impugnare correttamente una spada, in modo da
proteggere le fragili zampe caprine.
-Finalmente sa quello che
vuole.- commentò, fiero e felice di tutto ciò che
Siria aveva
conquistato in quei due lunghi mesi che aveva impiegato per
riprendersi.
La ragazza aveva ripreso a
camminare definitivamente sicura qualche settimana prima e, da
allora, non aveva fatto altro che muoversi, con l’obiettivo
di
rimettersi in forma il più presto possibile.
Certo, muoversi le costava
ancora diverso dolore, diversa sofferenza: le costole e la schiena le
avrebbero fatto male molto a lungo, secondo Cornelius, ma Sir
sorrideva, quando lui tentava di dissuaderla dall’allenarsi
insieme
ai guerrieri – guerrieri che, ogni giorno, la adoravano
sempre di
più.
In quelle due settimane,
Siria era diventata l’anima e la guida della resistenza.
Fin da subito, aveva
pregato lui e Peter di farla assistere ai consigli, alle
pianificazioni delle strategie: e il biondo stesso, più di
una
volta, si era voltato verso di lei per chiederle un parere –
parere
che Siria non gli aveva mai negato, dimostrando una conoscenza non
comune della strategia che, da lei, nessuno si sarebbe mai aspettato.
Siria aveva dato un
contributo non indifferente ai loro piani. La sua conoscenza della
guerriglia, della vita com’era quella dei non reali, era
stata
decisamente utile: in sette anni, Siria ne aveva viste più
di Peter,
in quei vent’anni in cui aveva regnato.
Pian piano, dietro la
spinta ed il consiglio di Cornell, si era avvicinata sempre di
più
alle truppe, cominciando a insegnare loro tutti quei trucchi che le
avevano salvato la vita ben più di una volta. Con lei,
Aaron, Caleb,
Talia: quattro menti abituate a combattere strenuamente ogni giorno,
pur di poter dormire la notte, pur di sopravvivere in mezzo alle
avversità.
E negli occhi di Siria
c’era una forza, una luce, una determinazione come Caspian
non ne
aveva mai viste prima.
Vederla impegnata, le
maniche rimboccate e l’espressione più serena e
duratura che
avesse mai scorto sul suo volto, era per Caspian una delle cose
più
belle di quelle settimane di ritrovata serenità.
Siria si stava impegnando
sul serio, per addestrare i loro soldati alle tecniche più
nascoste
e poco ortodosse del combattimento.
Lui e Peter erano stati
allievi di guerrieri provetti, di uomini d’onore; ma Siria e
i suoi
compagni avevano imparato la fine arte della guerriglia e del
mercenarismo, fino a diventare dei guerrieri abili e in pratica
impossibili da sconfiggere.
La guardava, quando con
una pazienza infinita insegnava ai guerrieri a ordire trappole, ad
avere sempre mille occhi e mille orecchie; la osservava, mentre la
raminga allenava al combattimento vero, quello sporco, quello di
persone determinate ad uccidersi, giovani fauni ancora inesperti: e
sorrideva, felice, vedendo in quegli occhi blu una determinazione e
una forza che aspettava da tanto di poter scorgere.
Siria aveva finalmente
trovato la sua strada: insegnare, dare un aiuto notevole per quella
guerra, sembrava poterla guarire ben più delle cure di
Shaylee.
Perché non erano ferite
visibili, quelle che il nuovo idealismo e la forza che brillavano nei
suoi occhi andavano a sanare.
La sera crollava esausta,
e non protestava più quando Tara, incaricata personalmente
da
Shaylee al momento della partenza, le cambiava le bende: le gambe
erano già quasi del tutto guarite, soltanto lievi segni
rossi
solcavano ancora la sua pelle – ma presto sarebbero spariti,
gli
unguenti delle ninfe cancellavano quasi tutte le cicatrici. Il viso
era tornato pian piano ad essere quel volto eburneo e splendido che
Caspian non aveva mai smesso di vedervi, con grande gioia di Siria
invece: si era rifiutata di guardarsi in qualsivoglia tipo di
specchio, finché non le avevano detto che le ferite erano
scomparse.
Caspian restava con lei,
di notte: ormai non era più mistero per nessuno, quello che
li
legava, e non potevano che esserne felici. Peter aveva smesso di far
loro la guerra, e anzi, più di una volta li aveva anche
coperti
quando Caspian misteriosamente tardava agli
allenamenti.
Le restava accanto ormai
quasi sempre, completamente dipendente dalla forza vivida e luminosa
che il viso di nuovo sano della ragazza pareva sprigionare.
E Siria, per la prima
volta nella sua vita, si sentiva davvero a casa: amava quel che
faceva, amava sentire la responsabilità di quelle vite che
le erano
state affidate, di quei soldati che pendevano ogni giorno di
più
dalle sue labbra. Sentiva che avrebbe potuto vivere così per
sempre,
l’anima accesa da quell’obiettivo e il cuore che
palpitava per
Caspian.
Sentiva di amarlo ogni
giorno di più, seppur le paresse impossibile: lo guardava
allenarsi,
combattere, lo guardava quando la sera si addormentava sfinito
accarezzandole i capelli – accoccolata sul suo petto, come un
micio. Lo guardava sorriderle, viveva per quelle dita intrecciate
alle sue, per quelle lunghissime, eterne chiacchierate che parevano
non aver mai fine fra di loro: parlavano di qualsiasi cosa, dal
passato di entrambi a ciò che sentivano nei confronti di
quella
guerra, dai legami che si stavano formando fra tutti i combattenti a
ciò che avrebbero voluto dal futuro.
Un futuro, che entrambi
non volevano immaginare senza l’altro.
.
-Che cosa farai, dopo la
guerra?- domandò una sera Siria a Caspian, il corpo bianco
velato
soltanto dal fumo opalescente dell'incenso, la mente ebbra di piacere
e degli effluvi afrodisiaci delle essenze.
Caspian si abbandonò fra
le lenzuola, posando la testa sul ventre soffice dell'amante, i
riccioli neri che si spargevano sulla carne bianca come inchiostro
sulla tela.
-Voglio tornare al
castello… Voglio essere un buon Re.- ammise, accarezzando
distrattamente la coscia tonica di lei con la punta delle dita.
Sorrise, pacificato dalle lunghe ore d'amore di quella notte,
alzandosi nuovamente e muovendosi suadente come un felino sul corpo
di lei, sovrastandola.
-Tu non dirglielo, ma…
ho sempre sognato di diventare come Peter, un giorno.-
sussurrò,
divertito, sulla gola invitante della ragazza, inframmezzando ogni
parola con un bacio su quella pelle bollente. La sentì
ridacchiare,
il ventre che si contraeva, ma lo lasciò continuare.
-Quando ero piccolo le
leggende su di lui mi affascinavano... sognavo di diventare un giorno
un Re prode e valoroso come lui, di imitare le sue gesta... lo
ammiravo molto, tanto quanto lo ammiro adesso.- le spiegò,
sebbene
non fosse del tutto sicuro che Siria lo stesse ascoltando; miagolava,
infatti, la sua sensuale raminga, al tocco impudico che dai seni
floridi era sceso fra le sue cosce, immergendosi nella sua umida
femminilità.
-Anche se sopportarlo
tutti i sacrosanti giorni ha giusto un po' intaccato il suo mito.-
aggiunse, ridendo insieme a lei a quel commento, prima che Siria lo
separasse gentilmente dalla propria intimità e lo spingesse
morbidamente di lato, portandosi a cavallo su di lui.
Caspian la osservò,
sorpreso e compiaciuto, beandosi del corpo tonico della giovane: non
riuscì a resistere a quei seni, rotondi e abbondanti a tal
punto da
farlo impazzire, tanto che dovette alzarsi per immergervi il viso,
baciandoli con avidità.
-Ora, negherò di averlo
detto, in futuro... ma Peter è stato un grande Re. Lo
è tuttora.-
sentì mormorare Siria, decisamente poco convinta sulla
serietà
delle proprie parole -E lo sarai anche tu.- aggiunse, accarezzandogli
le guance e portando gli occhi neri di lui ad incrociare i propri.
Sorrise, maliziosa,
baciandolo lentamente e profondamente, facendo sospirare entrambi di
piacere. -Il mio Re...- si lasciò sfuggire, gli occhi
socchiusi e le
labbra gonfie di baci.
Caspian le accarezzò il
viso, lasciandosi ricadere sul pagliericcio scomposto che era
diventata la loro alcova d'amore.
-Tu ci sarai, Sir?- le
chiese, posando le mani sui fianchi di lei e disegnandovi pigri
circoletti con i pollici.
Lei annuì, accarezzando
il torace snello del principe con qualcosa di molto simile alla
venerazione.
-Io ci sarò sempre.- lo
rassicurò, i capelli che seguivano il movimento del suo
corpo e
scendevano a colorare l'alabastro della carnagione di Caspian di
scarlatto e sanguigno.
Avvicinò il viso a quello
di lui, gli occhi blu che contrastavano con l'atmosfera dorata della
cella. -Finché mi vorrai al tuo fianco.- aggiunse,
baciandolo
ancora.
Lui le prese il viso fra
le mani, scostando quei crini che tanto adorava, riempiendosi il
palmo delle sue guance soffici.
-Sempre. Sempre, Siria. Ti
vorrò sempre, con me.- affermò, e Siria sapeva
che non mentiva:
aveva smesso di dubitare di Caspian nello stesso istante in cui, mesi
e mesi prima, si era lasciata amare per la prima volta da lui.
-Ma tu cosa vorresti?- le
domandò a sorpresa il ragazzo, facendole sgranare gli occhi.
-Nulla.- fu la sua prima,
istintiva risposta: non riusciva a desiderare nulla, in quel momento,
che non fosse l'amore carnale e mentale del suo adorato Re.
Caspian inarcò un
sopracciglio, scettico.
-Non ci credo. Non ci
riesci a mentirmi, lo sai.- le ricordò, con ironia. Lei rise.
-Continuo a scordarmelo.-
ammise, sospirando poi con voluttà. -Vorrei solo la pace.
Sono
stanca della guerra, della sofferenza. Vorrei anch'io un posto da
chiamare casa... un posto in cui ci sia tu.-
Ammettere quel desiderio,
fu per Siria la più ardua delle sfide.
Era un'esperienza nuova,
per lei, sperare nel futuro: ma non riusciva a fare a meno di credere
che, una volta terminata la guerra, lei avrebbe potuto rivelare a
Caspian il segreto del proprio retaggio e lui l'avrebbe accettato,
per poi passare assieme ciò che rimaneva delle loro vite.
Caspian la ribaltò sotto
di sé, intrappolandosi fra le sue gambe morbide, gli occhi
neri due
braci ardenti come non mai.
-Lo avrai. Te lo giuro.-
fu la sua promessa, una promessa che strappò un sorriso ed
una
lacrima alla giovane raminga.
-Ti credo.- sussurrò,
baciandolo poi con dolcezza e desiderio, intrecciando le dita ai suoi
capelli.
Quando posero di
malavoglia fine al bacio, Caspian posò la fronte nell'incavo
dei
suoi seni, sospirando beato della sua confortevole posizione.
-Sai…-
Siria gli sfiorò il viso, con appena la punta delle dita
affusolate.
-…io ti ho già incontrato, prima di tutto
questo.- sussurrò,
piano, un lieve sorriso sulle labbra rosse.
Caspian non schiuse gli
occhi, i capelli scuri sparsi sul suo petto, l’espressione
beata di
chi si sta pienamente godendo certe attenzioni.
-Davvero?- le chiese, dopo
qualche attimo di silenzio. Le sue dita sottili si chiusero con
dolcezza sulla mano della rossa, e un istante più tardi la
portò
alle labbra, premendole delicatamente sul palmo candido.
Siria lasciò che le
proprie dita sfiorassero la pelle chiara del principe, accarezzando
le palpebre socchiuse, il profilo della fronte, degli zigomi, delle
guance – rapita, completamente rapita da quel volto che amava.
-Sì.- annuì,
accavallando le gambe con delicatezza, sentendo l’erba
pungerle la
pelle chiara.
.
È notte.
È notte, una di quelle
notti senza Luna e senza stelle, nel cielo coperto.
È notte, una notte
cupa e scura in cui lei si ritrova perfettamente.
Il suo corpo è ancora
acerbo, ma è già scattante, tonico, vivo. Ha
sedici anni, ma il suo
fisico è già stato modellato, temprato da una
vita troppo dura per
una ragazzina della sua età.
È una ladra, Siria,
mentre silenziosa come la morte danza nel buio.
Il castello di Telmar è
addormentato, a quella tarda ora di notte. Nessuno, può
rendersi
conto della silenziosa, secca figura che una stanza dopo
l’altra
depreda i dormienti dei loro tesori.
Niente di troppo
appariscente, di troppo impegnato; ruba gioielli anonimi, fibbie,
libri pregiati di cui ha sentito parlare. Sono per lei, quei libri,
per saziare il suo desiderio di conoscenza.
Poi arriva in una
stanza. Una stanza più piccola, meno appariscente, dove
riesce a
distinguere – i suoi occhi non si lasciano intimorire dal
buio
fitto della notte – vecchi giocattoli impolverati, e
un’armatura
troppo piccola per appartenere ad un uomo fatto e finito.
Sente la curiosità
premere sotto al suo sterno, il desiderio di sbirciare oltre quelle
tende chiare che si fa sempre più pressante. Si impone di
non darci
retta, setaccia silenziosamente la stanza, senza trovare nulla che
abbia un vero valore smerciabile.
È la stanza di un
ragazzino.
Un ragazzino come lei,
che nonostante i tanti giocattoli ha consumato solamente quella spada
di legno, e l’armatura troppo piccola.
È allora, che la
curiosità vince: riesce benissimo a immaginare chi
può essere quel
ragazzo.
Il principe.
Tutti, nei bassifondi,
conoscono il silente colpo di stato che ha portato Miraz al potere.
Tutti, in quella marmaglia di gente in cui lei è totalmente
immersa,
sanno che il fratello ha alzato la spada sul suo stesso sangue.
Scosta le tende, con
delicatezza, facendo bene attenzione a non provocare il minimo suono.
Talia le ha insegnato bene: è silenziosa, come un gatto.
Una fitta pare
attraversare il suo petto, quando scorge nella penombra il volto
contratto di quel ragazzo. Può avere uno, forse due anni
meno di
lei, ma l’espressione che oscura il suo volto, mischiando le
gote
ancora rotonde dell’infanzia alle profonde rughe premature
che
solcano la sua fronte, è inequivocabile.
Quel ragazzo ha perso
tutto.
Sua madre è morta anni
prima, tutti lo sanno, a Narnia. Suo padre è stato appena
ucciso: è
pronta a scommettere qualsiasi cosa, Caspian non è a
conoscenza
dell’omicidio del padre. La versione ufficiale è
morte nel sonno,
una morte miserevole per un Re: soltanto chi vive nella feccia, sa.
-Hanno ucciso tuo
padre, principe…e si sono portati via anche la mia mamma.-
Il sussurro le esce più
tremante di quanto avesse pensato, gli occhi bruciano
fastidiosamente.
Il destino di quel
ragazzo le pare tanto triste, in quel momento.
Le ricorda
terribilmente il suo.
Lo guarda, non riesce a
smettere di farlo: diventerà un bell’uomo,
Caspian, ma adesso è
solamente un ragazzino cresciuto troppo in fretta, preda
d’incubi
troppo dolorosi per un così giovane cuore.
Sospira, Siria, quando
il tubare di una civetta spezzare il silenzio assoluto in cui si
ritrova, di cui fa parte: in cui vorrebbe perdersi, alla fine.
Sospira, distogliendo
lo sguardo dagli incubi del giovane, sfiorando appena il volto del
ragazzo con la punta delle dita candide.
-Cerca di trovare pace
anche per me, principe Caspian.-
E Caspian, quando si
sveglia di soprassalto, distingue solamente una macchia rossa svanire
nel cielo nero, nero come la morte.
.
Caspian rimase in silenzio
dopo il breve racconto di Siria, rammentando quella notte e l'ombra
rossa che aveva visto svanire nel cielo... era poco più di
un
ragazzino, a quei tempi, ma si ritrovò a desiderare di
averla
incontrata prima, di aver avuto più tempo da passare con la
sua
donna. Gli sembrava così terribilmente poco, ciò
che riuscivano a
passare insieme nell'enorme incertezza di quella guerra...
Improvvisamente, ricordò.
-Ho una cosa per te.
Chiudi gli occhi, te ne prego.- le chiese, scostandosi dal suo corpo
per allungare una mano verso il mucchio dei propri abiti, recuperando
qualcosa di metallico chiuso da una catenina. Lo avvicinò al
collo
di Siria, chiudendo il fermaglio dietro la gola di lei, posando il
monile esattamente fra i due seni della giovane. -Ecco.-
affermò,
sorridendo per la soddisfazione, concedendole di aprire gli occhi.
Sotto il suo sguardo,
Siria vide delinearsi la forma ovale di un pendaglio molto antico, su
cui due figure eleganti si attorcigliavano in un abbraccio eterno ed
indivisibile: due cigni bianchi, incisi nell'argento di quell'oggetto
magnifico.
Il simbolo dell'amore
eterno.
-Caspian... Caspian, è...-
balbettò, prendendo il gioiello fra le dita, senza parole:
non aveva
mai ricevuto nulla di così bello, nulla che avesse, per lei,
un
valore tale da essere incalcolabile, dal significato intrinseco tanto
potente.
Amore eterno.
Caspian.
-Me lo diede mia madre
prima di morire, tanti anni fa.- le spiegò il giovane
principe,
sorridendo nel vedere gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime.
-Mi disse di darlo a chi
avrei ritenuto la persona giusta per possederlo.- aggiunse, quando
lei alzò lo sguardo per guardarlo adorante: le prese una
mano,
poggiandola sul proprio petto.
-È tuo, Siria. È tuo
come il mio cuore.-
.
§
.
Pochi giorni dopo quella
notte, Siria stava allenandosi assieme a Caleb e a Caspian, quando
Talia giunse di corsa, trafelata e ansiosa come non la vedeva ormai
da tempo.
-Che cosa succede?- le
domandò subito, stringendo più forte l'elsa di
Kain: quella spada
era e sarebbe stata il suo punto di riferimento, la sua sicurezza, la
custode stessa della sua forza e Siria sapeva che, qualunque fosse
stata la minaccia, Kain non l'avrebbe mai abbandonata..
Talia abbassò lo sguardo,
mentre Caleb le si avvicinava le le cingeva le spalle con un braccio,
attonito e preoccupato quanto la rossa. Gli occhi della mezz'elfa
erano più cupi che mai, le venature nocciola che parevano
annegare
nel bruno dell'iride.
-È arrivato un messaggero
per te, Sir.- la informò, torcendosi le mani come faceva
sempre
quando era turbata. -Viene dal villaggio di tuo padre.-
.
Siria irruppe come una
furia nella propria stanzetta della cripta, dove Talia le aveva detto
di poter trovare il messo: il solo pensiero che potesse essere
successo qualcosa al suo unico genitore le aveva dato la
velocità di
fiondarsi lì, precedendo Caspian e chiunque altro avesse
voluto
seguirla, con l'ansia che le batteva nel giovane ma provato cuore.
Suo padre.
Lei
ed Aaron avevano lasciato il padre in un villaggio anonimo al
limitare della foresta, lontano almeno dieci miglia da quello in cui
erano cresciuti: Roan era zoppo, vecchio e distrutto dalla morte
della moglie, ed entrambi i suoi figli avevano sperato che nessuno
andasse a tormentarlo.
Evidentemente,
aveva sbagliato.
Quello che la distrasse
dalla preoccupazione, però, fu riconoscere una familiare
zazzera di
capelli castani che incorniciavano il viso affilato e ruvido di un
uomo che lei conosceva molto, molto bene.
.
Un ragazzino spigliato
ed irriverente, uno sguardo pronto alla battuta e agili mani di
guerriero.
Un ricordo di un
passato oramai perduto da tanto, troppo tempo.
.
-Gwaine?- esclamò,
sgranando gli occhi per la sorpresa, non riuscendo a credere che il
suo amico d'infanzia – il suo compagno di malefatte,
come lo aveva spesso definito sua madre – fosse proprio
lì dinanzi
a lei.
Non lo vedeva da,
quanto, dieci anni?
Gwaine si era trasferito
nello stesso villaggio in cui viveva Roan, questo Siria lo sapeva: ma
mai si sarebbe aspettata di ritrovarselo davanti dopo così
tanto
tempo, mentre l'imbarazzo di ciò che avrebbe potuto esistere
fra
loro le riempiva il cuore di ricordi.
-Siryn?-
Gwaine parve sorpreso
quanto la raminga di vederla, gli occhi castani che si riempivano
della figura florida e snella della rossa che aveva chiamato col nome
che sua madre le aveva dato, il suo nome di nascita.
Si lasciò andare ad un
basso fischio d'ammirazione, un sogghigno divertito che appariva
sulle sue labbra sottili. -Accidenti, già eri bella, adesso
sei…
indescrivibile.- commentò, rivolgendole un esagerato inchino
galante
che portò la sua folta chioma di lunghi capelli scuri a
nascondergli
completamente il volto.
Gwaine era sempre stato un
idiota, questo Siria lo sapeva molto bene.
Da bambini e da ragazzini,
loro si erano divertiti a combinare quanti più disastri e
cataclismi
fossero in grado di causare: ma Gwaine non era soltanto un caro
amico... Gwaine condivideva con lei lo stesso segreto, la stessa
angoscia, le stesse bugie, figlio com'era di una stirpe gemella di
quella di Siria.
Quanto conforto, da
bambina, fra le braccia di un errore
sbagliato quanto lei...
-Ma vai a quel paese,
cascamorto.- rispose, sentendo il cuore ardere quando si rese conto
che, per loro, gli anni non erano passati: le risposte pungenti
uscivano naturalmente dalle loro labbra, fra i loro sguardi c'era
ancora l'antica complicità che li aveva resi i terrori di
tutti i
contadini e gli abitanti del paesino dove avevano vissuto.
-E che male c’è ad
apprezzare una bella donna?- fu la semplicissima risposta del giovane
uomo, più alto di Siria di almeno una spanna e mezzo.
Sogghignò,
scostando i lunghi crini dalle guance ruvide di barba – quanto
diamine era cresciuto, cambiato!?
-Sono un mostro dai gusti
raffinati, lamentati! D’altronde, tu dovresti saperlo
bene...- la
malizia colorò la voce del giovane uomo, mentre i pensieri
di
entrambi andavano alle sciocche promesse di due ragazzini ignari del
sangue che avrebbe permeato la loro vita di lì a poco:
Gwaine, in un
modo molto singolare, era stato il primo uomo a cui Siria aveva
sentito di voler bene in un modo molto diverso da ciò che
provava
verso Aaron.
Sbuffò, la rossa, per
nulla affranta: tanto tempo era passato e, nel suo cuore, c'era posto
per un uomo soltanto.
-Siamo anche mostri dai
denti affilati, Gwaine; sai che ho poca pazienza.- gli fece notare,
esibendosi in un sogghigno che sottolineò in maniera
inquietante il
candore dei suoi denti, il baluginio scarlatto delle sue iridi
chiare.
Il ragazzo scoppiò a
ridere, esilarato: Siria aveva sempre amato le dimostrazioni di forza
e lui, questo, lo ricordava molto bene.
-Meraviglioso, ringhi come
la più bella delle fiere.- la punzecchiò,
divertendosi ancor di più
quando lei diventò paonazza, avanzando di un passo nella sua
direzione e stringendo i pugni, esasperata.
-Gwaine, vuoi diventare un
rospo? Dillo che vuoi diventare un rospo!- grugnì, ottenendo
in
risposta solo un altro scroscio di risate. Scosse la testa,
chiedendosi perché tutti gli
uomini della sua vita fossero degli imbecilli, tornando seria dopo
giusto un istante. -Evita di parlare di mostri, qui in
giro:
non siamo molto graditi.-
Gwaine annuì,
comprendendo perfettamente ciò a cui la vecchia amica si
stava
riferendo.
-Non me ne parlare, il
clima fra i telmarini è ancora più duro. Questa
rappresaglia del
nipote di Miraz in combutta con i narniani ha riacceso l'acrimonia
verso le creature diverse.-
sputò, il veleno che colorava le sue parole nel nominare
Caspian.
Siria
si morse la lingua, impedendosi di sbottare qualcosa di sicuramente
molto difensivo per proteggere il suo principe: conosceva la
proverbiale cocciutaggine di Gwaine e, purtroppo, cercare di fargli
capire i motivi di Caspian nel continuare la guerriglia sarebbe stato
perfettamente inutile.
La vedo male...
Stava cercando un modo per
spiegare a Gwaine chi era esattamente il nipote di
Miraz per
lei quando, con un tempismo terribile, la porta si spalancò
ed i due
legittimi Re di Narnia apparvero sulla soglia, le mani sui pomoli
delle spade e l'espressione guardinga, attenta.
-È tutto okay, Sir?- le
domandò Peter, gli occhi che volavano sul viso belloccio ed
arrogante dello sconosciuto: Caspian, invece, si portò al
fianco
della propria compagna, apostrofando Gwaine con un cauto ma
rispettoso: -E voi chi sareste?-
Gwaine inarcò un
sopracciglio, sorridendo: Siria poté quasi vedere le battute
sarcastiche formarsi nella sua mente, al di là di quegli
occhi
castani che non aveva dimenticato.
-Un umile messaggero
foriero di cattive notizie.- fu la sua pragmatica risposta, le mani
che si alzavano in un muto, ironico gesto di resa.
Lei roteò gli occhi,
avanzando e frapponendosi fra loro.
-Caspian, questo idiota si
chiama Gwaine, ed ho avuto la sfortuna di conoscerlo da bambina e di
sopportarlo fino ad oggi. È un amico d'infanzia.- fece le
presentazioni alla svelta, sperando che quell'imbecille di Gwaine
evitasse di menzionare a Caspian il piccolo
dettaglio che
riguardava la loro fanciullezza.
Si volse verso il vecchio
compare, accennando al principe. -Gwaine, lui è Caspian.
È__-
-Il suo uomo. Piacere.- la
interruppe il moro, con una delicatezza pari a quella di un
pachiderma, scrutando con cipiglio diffidente il nuovo arrivato.
Gwaine indossava un paio di stivali alti da cacciatore, brache di
cuoio, casacca scura e giustacuore in pelle: un abbigliamento anonimo
con cui avrebbe potuto facilmente essere scambiato per un viaggiatore
qualsiasi, se non avesse portato due spade corte incrociate in un
fodero sulla schiena ed un lungo pugnale appeso alla cintura.
Il “messaggero”
sgranò
gli occhi, spostando rapidamente lo sguardo dalla donna al moro e poi
di nuovo su di lei, un sorrisone sarcastico che si apriva sulle sue
belle labbra.
-Hai fatto un salto di
qualità, Siryn! Da mercenaria ad amante di principi
traditori, un
bel cambio!- ridacchiò: ma Siria, purtroppo, sapeva che
Gwaine le
avrebbe fatto pagare a lungo quella, per lui sgradevole,
novità.
Qualcuno, al momento della
sua nascita, aveva donato a Siria un tempo di reazione molto
più
rapido di quello di quasi tutte le donne che aveva conosciuto: fu
grazie a quel tempismo, infatti, che riuscì ad impedire a
Caspian di
sguainare la spada e decapitare Gwaine in un sol colpo.
-Caspian, lascia stare!-
sbottò, stringendo il polso del ragazzo già
volato all'elsa della
spada, impedendogli di sguainarla: da quel che ricordava, Gwaine era
un ottimo combattente, e proprio non ci teneva a scoprire chi avrebbe
vinto fra lui ed il principe.
Si voltò verso il
suddetto giovanotto, esasperata, sempre rimanendo immobile in mezzo
ai due. -Sei un coglione, Gwaine!- lo apostrofò, mentre
Peter, per
una volta silenzioso, cercava di fare del suo meglio per non
scoppiare a ridere in faccia a tutti e tre.
Peter, infatti, sapeva:
Siria gli aveva raccontato del suo ipotetico “promesso
sposo” di
cui si era invaghita da ragazzina, ma certo non avrebbe immaginato di
trovarselo davanti a poco meno di due giorni di distanza da quel
racconto.
Era una situazione a dir
poco esilarante, e lui aveva così poche occasioni per
ridere,
ultimamente.
-Io? Io sono solo un messo
innocente!- si difese Gwaine, alzando le mani in un esageratissimo
gesto di umiltà, sgranando teatralmente gli occhi scuri: era
sorprendente la somiglianza dello straniero con Caspian... Siria,
evidentemente, aveva un debole per gli occhi scuri ed i capelli
lunghi.
Sospirò, vedendo l'amica
sull'orlo dell'autocombustione spontanea, facendosi avanti per sedare
la discussione che rischiava di esplodere da un momento all'altro.
-Senti, messo innocente,
che cos'hai da dire?- chiese, rivolgendosi a Gwaine: il giovane lo
soppesò per un istante, chiedendosi come mai un biondino
impomatato
portasse la spada che era appartenuta al grande Re Supremo, prima di
voltarsi verso Siria.
E lei si sentì gelare,
quando gli occhi castani di Gwaine persero ogni luce di
giocosità e
si fecero grevi, addolorati.
-Tuo padre è stato
aggredito dai soldati di Miraz. Cercavano te.-
.
Siria strinse con forza i
lacci di cuoio del corpetto rigido, sentendo la schiena sussultare e
contrarsi sotto la morsa del giustacuore. Le era mancata, quella
sensazione di costrizione mischiata alla fluidità di quella
stoffa
pesante che aderiva perfettamente al suo corpo, dandole l'impressione
di non indossarla nemmeno.
Nello stesso istante in
cui Gwaine l'aveva informata su ciò che era successo, Siria
si era
voltata verso Peter. Lo aveva semplicemente guardato, gli occhi blu
che parlavano più di qualsiasi supplica, e lui non aveva
potuto fare
altro che annuire, consentendole di sfrecciare fuori dalla cripta per
avvertire Aaron dell'imminente partenza.
Perché sì, era vero:
ancora una volta, Siria sarebbe partita verso l'ignoto e la paura, in
compagnia di Gwaine e di suo fratello, in una disperata corsa contro
il tempo per riuscire, almeno, a dire addio a suo padre.
Roan.
Non
era mai, mai riuscita
a chiamarlo “papà”.
Roan
per lei era stato quasi più un fratello che un padre, sempre
incline
alla risata ed al gioco: l'idolo di quei tre bambini scapigliati e
selvaggi che pendevano dalle sue labbra ogni volta che l'uomo dai
capelli rossi creava per loro un nuovo gioco, fatto di draghi e
streghe e malefici stregoni da combattere per permettere al bene di
trionfare.
Roan... papà.
Roan era rimasto zoppo
durante un incidente sciocco, stupido, facilmente evitabile: era nato
e cresciuto contadino e contadino era sopravvissuto alla sua prima
moglie, sposando la madre di Siria dopo due anni passati a crescere
da solo quel piccolo Aaron che Siria stessa non avrebbe mai potuto
riconoscere.
Quando Siria era appena un
infante, una tempesta terribile si era abbattuta sulla loro modesta
abitazione, rischiando di far saltare via il tetto instabile: Roan si
era arrampicato sui muri, cercando di fissare le tegole malmesse allo
scheletro della casa, ma...
Siria ricordava soltanto
che Aaron, quando le aveva raccontato quella triste storia, aveva
pianto.
Roan.
Aveva
adorato suo padre, Siria: ancora lo adorava. Nonostante non fosse
riuscito a salvare sua moglie, a salvare lei dalla fine che sapeva
attenderla al termine della sua probabilmente breve vita, non era mai
riuscita a farne una colpa per quel padre che aveva sempre almeno
tentato di proteggerla, che l'aveva sempre amata.
-Siria, cosa stai
facendo?- la voce di Caspian la fece sussultare, strappandola ai poco
limpidi pensieri che turbinavano nella sua mente rapidamente tornata
al gelido calcolo di un soldato; le settimane di pace e di
serenità
le sembravano già così lontane…
-Sto preparando le mie
armi.- rispose, allungando la mano e lasciando scivolare le dita
diafane sull’elsa conosciuta e amata del suo Kain; la spada
del
Drago si adattò ancora una volta al suo palmo, legandosi con
naturalezza alla sua carnagione, la lama che si muoveva rapida e
sicura per raggiungere il suo fodero.
Ma la stretta di Caspian
le tolse improvvisamente la spada di mano, gettandola poi malamente
sul letto disfatto: la rossa si voltò verso il suo compagno,
stupita
e allarmata dal gesto... trovandosi davanti due iridi nere come il
carbone e piene di una determinazione che riuscì, per un
secondo, ad
intimorirla.
-Tu non vai.- fu la
perentoria affermazione del principe: tre semplici parole che, per
Siria, furono una condanna.
-Cosa?- sbottò, allibita,
guardandolo come se fosse improvvisamente ammattito.
-C’è mio
padre in pericolo, come puoi pensare che io non vada?-
continuò,
sempre più sconvolta, senza riuscire a comprendere il
comportamento
irrazionale di lui, proprio lui
che aveva perduto suo padre...
-Non ho intenzione di
rischiare un’altra volta di perderti.-
Siria sentì il cuore
sprofondare, a quella frase pronunciata con sicurezza e decisione:
Caspian non l'avrebbe mai
lasciata andare... di questo, purtroppo, era certa.
-Ma io…- cominciò, ma
Caspian posò le dita sulle sue labbra, zittendola.
-Non ci sono “ma” che
tengano. Tu, da sola, non vai.- la interruppe, in un tono molto
più
dolce che riuscì a far breccia nell'ostinata decisione della
raminga.
-No.- la ragazza si liberò
della stretta di lui, improvvisamente gelida e spaventata.
-E’
troppo pericoloso! Rischieresti la vita, potrebbe…-
-…succedermi qualcosa di
peggio rispetto a ciò che hanno fatto a te?-
completò lui in sua
vece, una strana malinconia nelle iridi scure, un sorriso dolce e
triste sulle labbra chiare. Fu quell'espressione, mista alla
coscienza che il cocciuto futuro Re di Narnia non le avrebbe mai
permesso di partire senza di lui, a far sospirare Siria.
Caspian riusciva sempre ad
averla vinta, con lei.
Sospettava anche che ci
fosse lo zampino di Peter in quella decisione, ma avrebbe indagato
sulla ficcanasaggine del Re Supremo al suo ritorno: ora, le
interessava soltanto di raggiungere il villaggio di suo padre il
più
velocemente possibile.
Si separò da lui,
recuperando Kain dal materasso di paglia e infilandolo con un gesto
secco nel fodero. Non voleva guardare in faccia Caspian, non voleva
fargli capire quanto l'angosciasse l'idea di saperlo ancora in
pericolo – quanta paura avesse di quel viaggio, con
i ricordi
ancora ben presenti fra i suoi incubi.
-Saremo in quattro, a
partire, non saremo soli e nemmeno indifesi. Tu, senza di me, non ti
muovi.- tentò di rassicurarla il principe, senza molto
successo: lei
abbassò gli occhi, angosciata, tormentando l'orlo del
corsetto ed un
filo che pendeva, ribelle, dall'allacciatura.
-Sei un testone.- mormorò,
quando lui le si fece più vicino e le accarezzò
una guancia,
cancellando un'unica lacrima dispettosa sfuggita al suo ferreo
autocontrollo.
Caspian sorrise, a
quell'affermazione indubbiamente vera, baciandola teneramente sulla
fronte.
-Sappilo, Siria. Non ti
permetterò più di allontanarti da me.-
.
.
.
.
.
.
My Space:
NON ho scusanti. Mi dispiace.
Avevo
relegato questa storia nei meandri del mio computer, vergognandomi di
una cosa sciocca e rischiando di non tornare più a
scriverla. Se non
esistesse la mia adorata Kiaretta, la mia Kay, in questo momento non
starei pubblicando e certamente non sarei qua a scrivere queste due
righe che, come al solito, non mi vengono mai come avrei voluto io.
Ebbene!
Sono
tornata, Rebirth è di nuovo sugli schermi, ed io spero
davvero che voi
non vi siate dimenticati delle mie ragazze e dei miei ometti di Narnia.
Come
avrete notato, la storia sta subendo un restyling: è stato
necessario,
vitale quasi, perché io riuscissi a rimettere le mani su
questa mia
adorata creatura.
Allora!
In
tre capitoli, Siria farà ritorno: non sarà un
viaggio lungo e non ci
saranno intoppi particolari, quindi non temete altre ritorsioni da
parte di assassini pazzi da legare ^^'''' nel prossimo, invece,
sarà
Talia a fare da padrona di casa (il che mi rende mooooolto sicura che
sarà probabilmente uno sfacelo!) xD
Spero
che il mio ritorno vi faccia piacere, vi faccia sorridere e vi convinca
a lasciarmi una piccola traccia di voi in questa Rinascita che
è
vostra, di EFP... ma anche un po' mia.
B.
.
.
.
.
.
PS:
qui sotto, due volti possibili per Gwaine :)
Jamie Dornan
Eoin Macken (da cui ho rubato il nome per "Gwaine", personaggio del
telefilm di Merlin)
La bastarda di Galador,
così gli elfi l'avevano sempre chiamata: un nome infamante che Talia
si era portata appresso per cinquecento lunghissimi anni e che ancora
riusciva a sentir ridondare fra i propri pensieri, in quel momento
più che mai.
La bastarda di Galador,
Talia figlia di Etain di Archen.
Talia sospirò, lanciando
un'occhiata all'elfo alto ed elegante che precedeva di qualche passo
la delegazione in progressivo avvicinamento alla Cripta di Aslan:
anche da così lontano, poteva scorgere i lunghi e serici capelli del
conte, la carnagione perlacea, il fisico alto e asciutto tipico della
sua razza.
L'unica cosa che aveva
in comune con suo padre erano i capelli, neri come le piume dei
corvi.
Erano passati quasi
trecento anni da quando aveva incontrato il suo ultimo elfo: era
stato un'anonima guardia del Palazzo Verde, la reggia creata dalla
magia della natura per i suoi figli prediletti. Quella guardia che
nemmeno ricordava le aveva rivolto solo un saluto sprezzante, quando
aveva abbandonato il castello di rami e fronde per non farvi mai più
ritorno.
Troppo pochi.
Con uno scatto più secco
del normale, Talia balzò fra i rami dei suoi amati alberi,
inerpicandosi con l'agilità di uno scoiattolo anche sui verdi
fuscelli ancora neonati senza mai spezzarli, fino a raggiungere il
suo angolino prediletto: una conca creata dal tronco di quell'olmo,
che si era diviso in due parti diverse decine di anni prima del suo
arrivo.
Quanto avrebbe
desiderato parlare con Siria, in quel momento...
Siria
avrebbe sicuramente tenuto la sua parte, scatenando probabilmente una
rissa con quegli elfi che la disprezzavano quasi quanto lei:
l'avrebbe fatta ridere con quel suo modo un po' rozzo di affrontare
la rigida etichetta da manichini
dei suoi mezzi consanguinei, ricordando a Talia che non era sola e
che loro non erano migliori di lei.
Ma
Siria era partita ormai da quasi una settimana, in compagnia di un
fratello esilarato e di due contendenti per il suo cuo__ beh, magari
non proprio per il suo cuore,
parlando di Gwaine.
Sospirò,
appallottolandosi nell'incavo del legno e respirando il profumo che
ne emanava.
Non avrebbe degnato gli
elfi della sua presenza, durante quella scomoda convivenza che non
piaceva a lei come a loro: sapevano della sua presenza al campo,
tutta Narnia sapeva che lì c'erano Siria e la sua amica mezzosangue,
quindi non l'avrebbe stupita poi molto se suo padre avesse chiesto di
lei a Peter.
Galador.
Un nobile conte elfico non
avrebbe mai dovuto prendere una donna di Archen come sposa, avevano
detto i saggi del Concilio Elfico, l'assemblea di anziani che
governava in modo democratico l'esigua popolazione di elfi a Narnia.
Ma Galador non aveva mai
dato retta al Concilio, né prima né dopo la nascita di Talia.
Etain, sua moglie, era
morta dando alla luce la loro unica figlia: e Galador, dopo aver
tentato per almeno un decennio di sopravvivere a quel dolore, si era
costretto a tornare con il capo chino per la vergogna al Palazzo
Verde, sperando che la sua prostrazione avrebbe potuto salvare la
vita dell'infante che portava fra le braccia.
E così era stato.
Gli elfi avevano nutrito
Talia, le avevano permesso di crescere al fianco di suo padre,
affidandole il semplice compito di serva mentre Galador veniva
privato di tutti i suoi beni e dei suoi titoli: avevano vissuto per
cinquecento anni in una diroccata casetta al limitare delle terre
della fortezza, prima che Talia decidesse di abbandonare quel luogo
per dare la possibilità a suo padre di redimersi agli occhi del
Concilio.
L'aveva sempre adorata,
Galador.
Da
lui, Talia aveva ereditato il suo non comune sesto senso e l'ironia
con cui affrontava, ogni giorno, la sua lunghissima vita: ma per
tutto il resto, capigliatura a parte, Talia era identica ad Etain.
Madre...
Da bambina si ripeteva in
continuazione che sua madre doveva essere stata una guerriera forte,
invincibile ma dalla bellezza sfolgorante, per aver potuto far
perdere il senno a Galador: adesso, tutto ciò che le era rimasto di
lei erano gli alberi, che sua madre aveva amato quanto suo marito e
la sua figlia mai vista.
-Comprendo il tuo rancore,
ma il tuo vecchio padre avrebbe desiderato almeno un tuo saluto, mo
duinne.-
Per la prima volta da
quasi due secoli, Talia sobbalzò, allibita: si voltò di scatto, le
dita agili e fulminee che correvano all'arco mai scordato, alle
frecce di piume smeraldine... ma sgranò lo sguardo, allibita, quando
una figura perfettamente a suo agio fra i rami si delineò dinanzi a
lei.
-Padre!- esclamò,
arrossendo nello stesso attimo in cui i suoi occhi scuri incontrarono
quelli celesti di suo padre.
Era bellissimo, il suo
papà.
Il fisico asciutto degli
elfi in Galador era evidente quanto in lei: gli arti erano slanciati,
affusolati, guizzanti di muscoli nascosti dal blu polvere della
semplice tunica che indossava, i piedi calzavano comodi stivali da
viaggio, al fianco pendeva una lunga e sottile spada di foggia
elfica.
I capelli, neri come il
giaietto, erano lunghi e sciolti come richiedeva il suo rango di
conte: il viso recava giusto un paio di rughe in più, ma era lo
stesso volto affilato che Talia rammentava schiudersi in un sorriso
durante la propria infanzia, le iridi celesti erano le stesse che
s'erano colmate di dolore nell'apprendere della sua partenza.
-Mi... sono mortificata,
conte Galador.- si corresse però immediatamente, ricordando di
essere vicina a troppi elfi per potersi permettere quell'intimità,
abbassando lo sguardo davanti ad un suo superiore come richiedeva
l'etichetta che aveva sempre disprezzato.
Ma Galador, Galador rise,
una risata piena e tonante che riuscì a riscaldare l'animo sempre
tormentato della sua giovane figlia.
-Quante volte ti ho
ripetuto che la cortesia devi darla in pasto ai cani altezzosi dei
falsi dei, Talia?- le disse, balzando agilmente in direzione della
mezzosangue, fermandosi ad una spanna da lei.
Talia, speranzosa, sbirciò
verso l'alto l'espressione divertita ed ironica del padre,
riconoscendo in quel volto quasi immutato tutto ciò che le era
mancato negli ultimi tre secoli.
Galador spalancò le
braccia, il sorriso vibrante d'orgoglio e d'amore che riusciva quasi
ad illuminare la fitta penombra del tetto di foglie in cui si
trovavano.
-Concedimi il primo
abbraccio in trecento anni, figlia mia.- le disse, incoraggiante: e
Talia, sorridendo finalmente dopo troppi giorni passati in un cupo
silenzio foriero di sventura, si lanciò con tutta la sua forza
addosso all'elfo, stringendosi a lui con la disperata felicità di
una figlia che troppo a lungo aveva penato l'assenza di suo padre.
-Papà...-
sussurrò, chiudendo gli occhi e posando la guancia contro il petto
dell'uomo, udendo il battito lento e regolare del suo cuore: era
passato così tanto tempo da quando aveva avvertito quel suono per
l'ultima volta...
Serrò le palpebre,
sentendole bruciare, senza concedersi l'amaro piacere del pianto. -Ho
sentito la tua mancanza.- disse invece, sebbene non ve ne fosse alcun
bisogno: sapeva che Galador l'aveva a lungo cercata, per convincerla
a tornare indietro, a tornare da lui.
-Ed io la tua, mo duinne.-
l'elfo sorrise, accarezzandole i capelli con dolcezza, notando quanto
fossero terribilmente corti: Talia li aveva tagliati il giorno stesso
della sua partenza, ed evidentemente aveva fatto in modo che non
ricrescessero più di tanto.
Rimasero stretti per
alcuni minuti, senz'altro rumore che il frinire dei grilli nel prato,
prima che il conte sollevasse delicatamente il viso della figlia per
osservarla con più attenzione: c'era dolore, nei tratti che tanto
gli ricordavano la sua amata Etain... un dolore che, probabilmente,
riusciva a capire. -L'angoscia ti si legge negli occhi.-
Tallie annuì, separandosi
controvoglia da lui, sospirando.
-Non sono molto
bendisposta verso i tuoi compagni di viaggio, se così si può
dire.-si strinse nelle spalle, l'ironia che colorava le sue parole:
ma cambiò immediatamente discorso, rammentando quanto fosse fine e
potente l'udito degli elfi, non volendo causare problemi a suo padre.
-Come mai qui?- domandò invece, sinceramente curiosa di sapere il
motivo di quell'apparizione improvvisa. Gli elfi non lasciavano mai
volentieri il Palazzo Verde.
-Gli elfi giurarono
fedeltà ai Quattro Grandi Re quando i troni di Cair Paravel furono
occupati: io stesso m'inginocchiai davanti alla Regina Susan, secoli
fa. Siamo qui per onorare la nostra promessa.- le spiegò il padre,
appoggiandosi con noncuranza al tronco principale dell'olmo: in
trecento anni abbondanti, Talia era cresciuta quanto bastava per
sembrare quasi sua coetanea, sebbene fosse piccola e minuta quanto
era stata sua madre in gioventù.
Talia sgranò gli occhi,
gonfiando le guance in una evidente espressione di disappunto.
-I
Quattro Re sono dei ragazzini in crisi fanciullesche con i cuori
troppo teneri e le mani troppo lunghe.- affermò, annuendo convinta
alle proprie parole, scoccando un'occhiata obliqua al padre.
-Specialmente Peter. Non so proprio come abbia fatto a passare alla
storia come una persona intelligente.- aggiunse, con una smorfia che
fece di nuovo ridere l'elfo al pensiero di quanto il povero
Re Supremo avesse dovuto penare per l'antipatia che sua figlia,
evidentemente, provava nei suoi confronti.
-La tua lingua colpisce
sempre più di una lama, vero, Talia?- le chiese, divertito, ma lei
scosse la testa.
-No, è il biondastro che
fa tutto da solo, io mi limito a sottolineare l'ovvio!- esclamò,
allargando le braccia in un muto e teatrale gesto d'innocenza.
Galador le arruffò
gentilmente i capelli, intenerito.
-Mi è mancato il tuo
umorismo, figlia.- le disse, ed era sincero: non esisteva al mondo
nessuno in grado di far ridere di gusto un elfo... eccetto sua figlia
e la sua lingua svelta quanto la corda del suo arco. -Ho sentito dire
che sei diventata una mercenaria.- aggiunse, con un vago rimprovero
nella voce: non aveva appreso la notizia con molta gioia, ma
d'altronde, chi era lui per vietare qualcosa a sua figlia?
Lei annuì, senza l'ombra
del rimorso sul viso.
-Ero una mercenaria fino a
che la mia protetta non ha deciso di innamorarsi del principe
Tacchino.-
Era sempre stato
estremamente difficile, per Galador, ostentare serietà quando Talia
s'impegnava davvero nel volergli far perdere tutta la sua dignità
con quelle battute che rischiavano di farlo ridere anche troppo
spesso.
Sospirò, concentrandosi
su ciò che Talia aveva detto riguardo alla sua protetta: in tutta
Narnia correva voce che il mostro dai capelli rossi fosse diventato
amante del principe che guidava le truppe, ma lui non aveva voluto
crederci... non fino a che Talia non gli aveva dato la conferma,
definendo Caspian in quel modo decisamente poco ortodosso.
-La Rossa.- mormorò
soltanto, adombrandosi: la magia di quella ragazza piaceva poco agli
elfi e, per quanto Galador si sforzasse, non riusciva a non vedere in
lei un pericolo ben maggiore di quanto Talia comprendesse.
Ma la ragazza scosse la
testa, testarda quanto sua madre, sostenendo il suo sguardo
preoccupato.
-Siria non è pericolosa,
padre. È un'anima persa che sta cercando la sua via.- affermò, con
una tale sicurezza che riuscì a strappare un sorriso contrito al
padre: era cresciuta davvero, la sua bambina.
-E tu farai in modo di
farle scegliere quella più giusta.- disse, orgoglioso della
determinazione che riusciva a vedere in lei.
Tallie, in risposta,
ghignò.
-No. Io farò in modo che
non inciampi nel percorso.-
_
_
Galador
impiegò quasi un'ora per convincere Talia a seguirlo: sua figlia non
pareva molto contenta al pensiero di incontrare gli altri elfi, ma
entrambi speravano che la presenza dei Quattro Re e la protezione di
Peter – Peter, mi sto affidando a Peter! Sto impazzendo.
– avrebbero evitato spiacevoli
ed imbarazzanti scontri con la gente di suo padre.
-Hai ritrovato la tua
figlia bastarda, Galador?-
Certo, la frase d'esordio
dell'elfa bionda non era proprio quello che si considerava un “buon
inizio”, questo Talia lo sapeva anche troppo bene.
Sospirò, stringendosi
nelle spalle quando Peter le rivolse un'occhiata interrogativa e
preoccupata: il biondastro sapeva che lei era una mezzosangue e
sapeva che Galador era suo padre, si era sentita in dovere di
comunicarglielo non appena aveva saputo dell'arrivo della
delegazione, ma forse non si era aspettato l'acrimonia che quella
donna – e tutti gli altri elfi – assunsero all'istante nel vedere
Talia.
-Talia è mia figlia e
basta, Gwynnead.- Galador spinse gentilmente Talia da parte,
affrontando Gwynnead con la stessa cocciutaggine di quando aveva
voluto prendere in moglie una donna umana: nonostante sapesse che era
inutile, Talia lo ammirò ancor di più per quel gesto.
-Hai coraggio, mio
signore.- un altro elfo, più o meno della stessa età di Talia, le
rivolse un'occhiata di puro disgusto. -Io non chiamerei mai “figlia”
una ladra e mercenaria mezzosangue...-
Caleb non fece nemmeno in
tempo a dire a quello stupido ragazzino: uno strillo, un sibilo, il
suono del legno contro l'assicella di una freccia.
-TALIA!- sbottò Peter,
esasperato, mentre tutti e dodici gli elfi si voltavano a guardare lo
sventurato giovanotto che aveva apostrofato Tallie con quelle
diffamanti parole.
La mezz'elfa tirata in
causa ignorò l'esplosione del Re, tendendo con più forza la corda
dell'arco e premendo la freccia contro la gola dell'elfo: sentiva la
rabbia, quella rabbia che non era mai riuscita a contenere in
presenza del suo mezzo popolo, pulsarle nelle orecchie e renderla
sorda a qualsiasi rimprovero, nonostante quella Gwynnead strillasse e
suo padre cercasse di farla ragionare.
-Ripetilo.- lo invitò,
con una voce tanto fredda da uccidere addirittura le proteste di
quella bionda irritante: un silenzio inquietante calò intorno a
loro, gli occhi bruni di Talia che si assottigliavano.
-Abbassa quell'arco,
mezzosangue!- mugolò il ragazzo, atterrito: pessima mossa.
Talia spinse la punta
della freccia tanto in fondo dal riuscire a ferirlo, un rigagnolo di
sangue rosso intenso che sgorgò sulla gola candida dell'elfo. Quello
si zittì, impallidendo, tremando come una foglia.
-Ripeti
quello che hai detto.- sibilò
lei, con una calma letale nella voce che non sapeva nemmeno
appartenerle.
In quel silenzio, fu solo
una la voce che riuscì a raggiungerla.
-Talia!-
La mezz'elfa spostò di un
millimetro indietro la freccia, permettendo al giovane elfo di
respirare senza rischiare la vita, e lanciò un'occhiata confusa
all'uomo che aveva parlato: lì, a pochi metri da lei, bello come il
Sole, c'era Caleb.
-Davvero vuoi sporcarti le
mani del sangue di uno smargiasso di sesta categoria?- le chiese,
senza allarmismi o prudenza nella voce, facendole semplicemente
notare quanto fosse inutile uccidere uno solo di quegli elfi quando
tutto il loro popolo avrebbe solo avuto un pretesto in più per
disprezzarla.
-Per la verità, sì.-
ringhiò, ma abbassò l'arco e permise all'elfo di darsela a gambe,
mentre cinque elfi in vesti militari avanzavano verso di lei.
-Guardie!- sentì
strillare Gwynnead, ed istintivamente Talia saettò accanto a Caleb:
se si erano accorti dell'ascendente che il biondo aveva su di lei,
Cal aveva appena guadagnato una lunga lista di nemici decisamente
poco gustosi.
Fu Galador ad intervenire,
frapponendosi fra i due ragazzi e le guardie elfiche, lo sguardo duro
e furioso come Tallie non l'aveva mai visto: se non fosse stata
sicura del contrario, avrebbe creduto di poter vedere un lampo di
letale decisione negli amati occhi di suo padre.
-Gwynnead. Lascia in pace
mia figlia.- ripeté, in un tono calmo e freddo che diede i brividi
persino a sua figlia: quella figlia che, accorgendosi di quanto fosse
infuriato il conte, fece un cenno a Peter e ad Edmund, fermandoli
prima che estraessero le spade.
Suo malgrado, le fece
piacere vederli pronti a combattere: evidentemente, come lei verso di
loro, erano leali.
L'elfa bionda avanzò
verso l'uomo, puro disprezzo nelle iridi tanto chiare da sembrare
bianche.
-Avresti dovuto ucciderla
alla nascita, Galador.- affermò, lanciandole un'occhiata densa di
disgusto. -Ora, io porrò fine ai suoi tormenti di sanguesporco.-
aggiunse, ed alzò una mano per ordinare alle sue guardie armate
d'arco di colpire Talia.
Ma la mezz'elfa,
esasperata, in quel momento decise che ne aveva abbastanza.
-Non credo proprio.-
sussurrò, prima di chiudere gli occhi e lasciare, semplicemente, che
il suo corpo e la sua mente agissero senza che lei potesse fermarli.
Tanto Peter quanto Edmund
balzarono indietro, allarmati, nell'attimo in cui un boato terribile
risuonò come il canto di un corno da guerra nella valle della Cripta
di Aslan: Caleb stesso si fece rapidamente da parte, trascinando con
sé un attonito Galador che fissava, incantato, sua figlia.
Una soffusa luce dorata
illuminava infatti la pelle bruna di Talia, mentre l'erba fioriva
rigogliosa ai suoi piedi.
Un'energia antica e
terribile pulsava dentro di lei, riempiendola di una forza che
nessuno di loro aveva mai visto prima, la terra che rombava in
risposta al suo richiamo: come in un sogno, Talia s'inginocchiò e
posò i palmi fra i virgulti carnosi che sbocciavano al suo tocco, le
labbra che si muovevano con dolcezza, parlando a quelle creature che
dormivano da troppo tempo.
I Pevensie, Caleb, gli
elfi, i narniani: una scossa attraversò ognuno di loro, quando il
canto degli alberi colorò di nuovo l'aria di Narnia.
Gwynnead indietreggiò,
atterrita, incespicò e cadde quando radici enormi e nodose esplosero
dal terreno, attorcigliandosi con violenza intorno alle sue caviglie
e trascinandola a terra, intrappolandola: le sue guardie scattarono
verso di lei, ma i rami di alcune querce vicine sfrecciarono in loro
direzione, afferrandoli e sollevandoli mentre i loro virgulti
spezzavano a metà gli archi e le spade che possedevano.
L'elfa urlò, spaventata,
ma non uno di loro fu ferito: Talia crollò dopo un istante, la luce
che svaniva da dentro di lei, la testa che le girava furiosamente ed
il cuore gonfio di dolore.
Quanto erano tristi,
gli alberi di Narnia, quanto orribile era tentare di svegliarli...
Aslan, dove sei?
Caleb le fu subito
accanto, preoccupato: la sorresse quando non riuscì ad alzarsi in
piedi, permettendole di aggrapparsi a lui, alle sue spalle forti,
alla sicurezza del suo abbraccio. Alzò lo sguardo, affaticata ma
trionfante, trovando nelle iridi azzurre del suo uomo un profondo ed
intenso orgoglio mescolato ad un amore tanto grande che riuscì, solo
per un istante, a farla vacillare.
-La Terra... la Terra ti
ubbidisce?- sentì esalare Gwynnead, ma era troppo esausta per
risponderle: ma fu Galador, attonito quanto l'elfa imprigionata, a
parlare in sua vece.
-La Terra risponde al
richiamo della sua Custode...- mormorò, guardando sua figlia come
mai aveva fatto prima d'allora.
Talia.
Talia era una mezz'elfa,
aveva gli occhi di sua madre ed il volto di suo padre: Talia era
rimasta per trecento anni lontana da lui, viaggiando per terre che
gli elfi non avevano mai voluto conoscere se non sulle mappe... Talia
aveva chiamato e la foresta le aveva risposto, dopo tredici secoli di
silenzio e di dolore.
Talia
era la Custode.
Una leggenda incarnata
nel viso di sua figlia.
La ragazza sospirò,
lottando per mantenersi in piedi, sentendo le gambe tremare: era
passato molto tempo da quando aveva fatto ricorso alla propria magia
in quel modo, e gli alberi dormienti avevano risucchiato ogni
particella d'energia presente nel suo corpo, ma non era davvero il
momento di lasciarsi andare alla debolezza.
Si
guardò intorno, arrossendo quando si rese conto di aver dato, di sé,
uno spettacolo che avrebbe preferito rimanesse nascosto: Edmund e
Susan la fissavano con gli occhi vitrei, spalancati, mentre la
consapevolezza di chi
lei era davvero si faceva strada dentro di loro; Peter, invece, stava
raggiungendo un livello di ebollizione tale da rendere il contrasto
fra il suo volto paonazzo e i suoi capelli biondi davvero esilarante.
Ma fu il singhiozzo
strozzato e terrorizzato di Gwynnead, ancora intrappolata fra le
radici dell'olmo, a turbarla: il suo sguardo sfrecciò negli occhi
chiari dell'elfa, che la fissava con un misto di adorazione e terrore
che riuscirono a scuoterla più di tutto il resto.
-Maelfiachra...- esalò,
esterrefatta: e Talia si sentì sprofondare, quando le parole di
un'antica profezia elfica risuonarono con prepotenza dentro di lei.
_
Maelfiachra, la
principessa dai capelli d'ebano.
Maelfiachra, la regina
che avrebbe restituito agli elfi le proprie foreste.
Maelfiachra, mezza
umana, mezza elfa, che era stata destinata a salvare Narnia
dall'oscurità.
_
-Io non sono Maelfiachra.-
affermò subito, allarmata da quell'errata supposizione che avrebbe
avuto un effetto devastante sul complicato equilibrio fra le razze
narniane: gli elfi avevano sempre biasimato umani, nani, minotauri e
centauri per aver insozzato le loro amate foreste con la propria
presenza, costringendo gli alberi a rinchiudersi nelle loro cortecce
per non soffrire più la lontananza con i loro fratelli elfi e le
loro sorelle driadi... se Gwynnead, e gli altri elfi con lei, avesse
diffuso quella falsa notizia, la guerra civile all'interno della
fazione narniana sarebbe esplosa in un bagno di sangue che Talia
aveva tutta l'intenzione di evitare.
Sospirò, conscia del
disastro che la sua impulsività aveva causato, abbandonando la
stretta di Caleb per avvicinarsi all'elfa in trappola: le tese una
mano e, nello stesso attimo, le radici si ritirarono per lasciare
Gwynnead libera di aggrapparsi a Talia, in viso quell'espressione
adorante che la mezz'elfa si ritrovò a detestare.
Alzò
gli occhi verso il cielo, chiedendosi per la prima volta se avesse
fatto la cosa giusta nel rivelarsi: ma ormai il danno era
fatto, si disse; tanto
valeva, quindi, giocare definitivamente a carte scoperte.
-Io sono la Custode della
Terra, seconda delle Quattro di Aslan.- annunciò, in un tono forte e
chiaro che raggiunse l'udito di tutti i presenti.
Il silenzio che seguì
quella rivelazione fu il più fragoroso che Talia avesse mai sentito
in vita sua: durò una manciata di secondi, prima che il Re Supremo,
ormai sull'orlo di una crisi di nervi, crollasse a terra e strillasse
un isterico: -COSA!?-
_
_
Erano passati così
tanti millenni, che nessuno tranne Aslan avrebbe mai potuto contarli.
All'epoca, quando di
Narnia esisteva soltanto il vuoto che si sarebbe colmato di lì a
breve, Aslan viaggiava fra i mondi che lui stesso aveva creato,
assistendo alla crescita ed alla dipartita di milioni di creature.
Nella foresta di Mezzo,
il luogo in cui tutti gli universi erano collegati, aveva la sua
dimora: un luogo semplice, austero, che ben si confaceva all'anima
antica del grande Leone.
Tutto era in perfetto
equilibrio, tutti gli incastri trovavano le nicchie in cui collocarsi
alla perfezione, mai un errore veniva compiuto nell'immenso disegno
che soltanto lui poteva comprendere.
Questo, almeno, fino al
disastro di Charn.
Era stato incapace di
prevedere la cupidigia e l'odio di Jadis, principessa di quel regno
scalzata dal trono dalla sua ben più ragionevole sorella: la strega
aveva usato un incanto antico e terribile per uccidere tutti gli
abitanti di quel mondo, portandolo alla rovina ed all'inevitabile
estinzione.
Non aveva potuto
fermare Digory e Polly, quando si erano involontariamente introdotti
a Charn e avevano risvegliato la strega, addormentata fra i suoi
sudditi defunti, portandola ad infettare due mondi prima che lui
riuscisse a porre un temporaneo rimedio a quello sfacelo.
Era stato ignaro,
incapace ed ingenuo, a fidarsi della natura delle molteplici creature
che abitavano i suoi regni.
Allora, soltanto
allora, aveva permesso a se stesso di considerarsi debole: e, nella
sua debolezza, aveva donato il soffio della Vita alle quattro essenze
che lui stesso aveva creato perché dessero vita agli universi del
suo mondo.
Aria, Terra, Acqua e
Fuoco.
I quattro elementi
avevano schiuso per la prima volta i loro occhi nei volti dei primi
narniani, creature nate nel mondo che doveva essere la speranza di
rappacificazione per la bufera causata dall'avvento di Jadis. Una
scimmia, un orsetto, un gatto ed un falco si erano svegliati con la
consapevolezza di portare in sé il dono più grande di Aslan –
assieme alla responsabilità di guidare e proteggere la neonata
Narnia.
Fu proprio Jadis, però,
a distruggere tutti i piani del leone: entrata a Narnia per un errore
di Digory, Jadis uccise il falco di fuoco – la prima fenice –,
bevendone il sangue e mischiando così l'essenza delle fiamme a
quelle del suo ghiaccio dannato.
La furia di Aslan,
nell'apprendere della morte di una delle sue figlie più amate, fu
terribile.
Facendo appello alla
Grande Magia, il leone ordinò che gli elementi si incarnassero non
più in animali, ma negli uomini che lui stesso aveva portato a
Narnia per governarla e guidarla con saggezza ed onestà: allo stesso
tempo, Aslan sapeva che le razze umanoidi di Narnia si sarebbero
mischiate, dando vita ad ibridi che sarebbero diventati il baluardo
perfetto per le sue figlie.
Fu così che si
crearono le silfidi e le pleiadi, ninfe dell'aria delle montagne più
alte; nacquero in quel modo le nereidi e le naiadi, cullate dalle
acque dei fiumi; e in quelle foreste neonate crebbero i figli più
forti e granitici, gli elfi e le driadi, dal sangue verde come la
linfa degli alberi.
Ad ognuna di quelle
razze, Aslan affidò una delle anime degli elementi, in modo che,
quando Narnia avesse avuto bisogno di loro, le Quattro avrebbero
potuto incarnarsi in una di quelle creature per loro create.
Ma il rimorso più
grande di Aslan era, e sarebbe sempre rimasto, quello di non essere
riuscito a salvare la sua figlia di fuoco: Jadis, la strega che non
poteva procreare, aveva distrutto la sua essenza bevendone il sangue,
rendendone impossibile l'incarnazione – e, quindi, la salvezza.
_
_
-Non hai mai detto niente!
Potevamo contare sul tuo aiuto, sulla tua magia, e invece non hai
detto niente!-
Peter scagliò con rabbia
la cintola a cui solitamente portava appesa la spada attraverso il
salone in cui dimorava la Tavola di Aslan, provocando un terribile
fracasso che provocò diverse proteste da parte di alcuni animali
intenti a parlottare fra di loro.
Si voltò per fronteggiare
la mezz'elfa, irato e furibondo come non si ritrovava ad essere da un
po' di tempo, un moto di furia che ruggì nel suo stomaco nel
distinguere l'espressione accuratamente irriverente e saccente di
Talia.
-Io
non prendo ordini da te, Re Supremo, quindi vedi di abbassare la
cresta.- fu la risposta antipatica della creatura, mentre la
delegazione elfica, escluso Galador, la osservava come se non
avessero mai visto una mezzosangue prima di quel momento.
Peter
fece un versaccio, riprendendo a misurare la vasta sala con ampi e
veloci passi: quanto avrebbe desiderato avere Shaylee
accanto, e Siria... dovevano
andarsene proprio in quel momento, quelle due!?
Chissà
se loro sapevano... ma sì, era ovvio che sapessero!
Le
tre ragazze portavano il Sigillo di Iona sulla pelle, nessuna di loro
poteva mentire alle altre: evidentemente, se non gli era stato
rivelato della vera natura di Talia, un motivo doveva esserci... ma
era decisamente molto curioso di scoprire quale.
Intanto, Caleb aveva il
suo bel daffare per cercare di sedare l'animo infiammato della sua
compagna, che ostentava soltanto una calma che, in realtà, non
possedeva: essersi spinta tanto in là da utilizzare i suoi poteri,
dal rivelare all'intera Narnia che la Custode della Terra era ancora
viva ed in salute fra di loro... non prometteva niente di buono,
decisamente no.
Si accostò alla giovane
mezz'elfa, posandole una mano sul braccio con aria noncurante: un
tocco delicato, affettuoso, che Talia accettò con un muto sguardo di
gratitudine.
-Tallie...- cominciò il
biondo, bene attento a come dosava le parole: Talia in quel momento
era estremamente instabile, combattuta fra il senso di colpa e la sua
proverbiale testardaggine – e, di certo, l'avversione verso gli
altri elfi non stava certo aiutando...
La bruna scosse
vigorosamente la testa, chiudendo gli occhi.
-Cal, no. Sono stufa
marcia di quel buffone biondo, dei suoi piani assurdi, di questi elfi
del cazzo e di Miraz, okay? Che quel gatto troppo cresciuto vada al
diavolo, qui c'è bisogno di me.- mugugnò, sentendo ancora una volta
l'agitazione del suo Elemento vibrare al di sotto della sua pelle,
indignato: era rimasto in catene dentro di lei per così tanto
tempo... la Terra sapeva essere tanto paziente quanto
irrefrenabile – e Talia, questo, lo sapeva sin troppo bene.
...e lo sapeva anche
Caleb.
-Volevo soltanto dirti che
quando ti arrabbi sei estremamente sexy, ma va bene lo stesso!- fu
infatti la risposta che il riccio le diede, con un sorriso e un
plateale gesto di resa a braccia spalancate, una scintilla divertita
nelle iridi celesti: e fu un gesto tanto semplice e dolce che Talia
scoppiò a ridere, il tumulto nel cuore che si placava un poco.
-Tu saresti il compagno di
mia figlia?-
La mezz'elfa sgranò gli
occhi, quando Galador s'intromise nel loro discorso e puntò gli
occhi chiari e taglienti su un Caleb improvvisamente molto meno
ridanciano: lo vide impallidire, Tallie, tanto che persino Peter si
distrasse dalla sua petulante tiritera per godersi la scena di un
elfo che strapazzava il compagno mortale della figlia.
-Papà, non è il momento
per queste cose!- sbottò immediatamente la giovane, subodorando
l'enorme casino che poteva venire a crearsi – più grande di quello
che era appena scoppiato, se non altro – se suo padre si fosse
messo in testa di conoscere Caleb...
Gwynnead, che era stata
rimessa in sesto in pochi attimi dai suoi guerrieri, avanzò subito
verso Talia, l'espressione terribilmente indignata.
-Vergognoso! Maelfiachra
deve avere un compagno alla sua al__-
Mancava soltanto lei!
-VAFFANCULO, GWYNNEAD!
TACI!- strillò la mezz'elfa, esasperata: e la sua energia agì
prim'ancora che lei potesse davvero fare qualcosa per controllarla,
erompendo con forza dalla sua anima e risvegliando persino la pietra.
Gwynnead riuscì soltanto
a cacciare un urlo atterrito, prima che una delle colonne rocciose
allungasse tetre propaggini verso di lei e la tirasse verso di sé,
intrappolandola in un – innocuo? – bozzolo indistruttibile
che pose fine, almeno momentaneamente, alla sua antipatica presenza.
Talia tirò un sospiro,
sollevata. -Oh, là. Vediamo se adesso quell'ipocrita del cazzo
continua a blaterare di vecchie leggende inutili.- sorrise, mentre
Galador scuoteva la testa e Peter sembrava aver perso l'uso della
parola – magari!
-Forse non è molto
diplomatico intrappolare un membro del Concilio Elfico in una pietra,
non trovi, figlia mia?- le fece notare suo padre, diplomatico come
sempre, mentre gli elfi accorrevano accanto alla pietra dietro cui
probabilmente Gwynnead strillava a pieni polmoni e Caleb perdeva ogni
dignità, scoppiandogli a ridere in faccia.
Lei fece spallucce,
ostentando un'espressione innocente. -Almeno sta zitta!- ridacchiò,
per nulla scossa... non riuscendo a trattenere un ghigno, quando
distinse sul viso di Peter Pevensie qualcosa che assomigliava molto
ad un colpo al cuore.
-Oh, Supremo Imbecille,
respira! Stai diventando viola!- gli fece notare, pensando che,
forse, Shay avrebbe voluto ritrovarlo quantomeno vivo al suo
ritorno.
-Io... io...- balbettò il
biondo, incerto se ridere fino alle lacrime o scoppiare a piangere
direttamente, esasperato.
-...Io ho urgente bisogno
di una pinta d'idromele. E di quello forte, anche.-
_
§
_
La terra aveva un
saporaccio amaro, venefico, che sapeva di sconfitta ed umiliazione.
Shaylee balzò in piedi,
tentando d'ignorare le urla di dolore di muscoli che nemmeno sapeva
di avere, aggrappandosi con forza al bastone da allenamento che le
era stato dato per cominciare ad addestrarsi: Mairead, bellissima ed
eterea nella sua fiera eleganza, scosse debolmente la testa,
insoddisfatta.
-Così non ci siamo,
Shaylee.- la rimproverò, facendo roteare il proprio legno per
colpire la base di quello della ragazza, rischiando di sbilanciarla:
Shay tentò di replicare all'attacco, portando un colpo con la punta
opposta del bastone, ma con fluidità la regina naiade bloccò il suo
debole affondo, infrangendo la difesa della ninfa e colpendola di
nuovo sul fianco.
-Devi tenere la guardia
più alta e gli occhi non devono essere fissi, ma in continuo
movimento sul tuo avversario.-
Shaylee strinse i denti,
chiudendo gli occhi soltanto per un istante, sperando di riuscire a
calmarsi: ma subito giunse l'aspro rimprovero della donna, il legno
che saettava per colpirla lievemente sulle mani.
-Stai attenta a quello che
ti succede intorno!-
E come diavolo faccio!?
Mairead
sembrava ovunque, in qualsiasi punto lei guardasse alla ricerca di un
varco per poterla attaccare: la regina era veloce e rapida,
perfettamente padrona dell'arma che impugnava e conscia delle
debolezze e dei punti di forza dell'avversaria... come
faceva?
Per
lei era già abbastanza difficile riuscire a parare anche solo la
metà degli attacchi, ma Mairead sembrava sapere in ogni attimo dove
e come muoversi per prevenirla e sconfiggerla – ogni
singola volta.
Non per la prima volta, si
ritrovò ad invidiare Siria per la dimestichezza innata che aveva
dimostrato, sin da bambina, con le armi.
Mairead tirò un lungo e
stanco sospiro, abbassando il bastone e scuotendo ancora una volta la
testa, alzando poi gli occhi azzurri in quelli dorati della ragazza.
-Non va bene, Shaylee.-
affermò, sentendo il cuore stringersi quando vide la rabbia
divampare silenziosamente nello sguardo della sua protetta. Avrebbe
mille e mille volte preferito insegnare a Shaylee le arti più
profonde della magia naiade, i segreti delle erbe curative,
l'antichissima cultura delle Guardiane dell'Acqua, piuttosto che
umiliarla in quegli addestramenti che non facevano altro che
aumentare la frustrazione di entrambe.
Quando, una ventina di
giorni prima di quel momento, Mairead si era trovata davanti a quella
richiesta tanto singolare quanto disperata, non aveva potuto negare
alla giovane ninfa il proprio aiuto: Shaylee aveva dato fondo ad ogni
sua risorsa magica per curare Siria, e questo l'aveva resa talmente
debole da spingerla a voler imparare la spietata arte della guerra.
Le era parsa, sin da
subito, una pessima idea: aveva passato più di tredici secoli in
compagnia di Shaylee ed aveva imparato a conoscerla meglio di quanto
la ragazza stessa immaginasse, e sapeva anche troppo bene quanto
profondo fosse il legame che intercorreva fra la ninfa bruna e le
arcaiche, potenti forze che da diversi anni stavano dando segno di
risveglio, nelle profondità del cuore di Narnia.
Allo stesso modo, Mairead
conosceva la scarsa dimestichezza e la quasi inesistente affinità di
Shay con le armi umane, al contrario delle sue due amiche
mezzosangue... era follia, quella di Shaylee, una follia dettata dal
senso di colpa e dal rimorso.
-Mi dispiace.- Shaylee
chinò il capo, non riuscendo a mascherare una nota rabbiosa nella
propria voce: la regina riuscì quasi a vedere la frustrazione della
fanciulla, la sua ira, l'odio che provava verso la propria incapacità
d'apprendere quel genere di materia... si trattenne dal sorridere,
gli occhi che si colmavano di tristezza nel capire che, in quel
momento, Shaylee non l'avrebbe mai ascoltata.
-So che ti stai impegnando
per imparare, ma continuo ad essere convinta che tu non sia portata
per il corpo a corpo.- le spiegò, in un tono più gentile di quello
che aveva usato per rimbeccarla durante la lotta.
Lei scosse la testa,
stringendo le dita sull'asta del bastone.
-Devo
imparare.- disse soltanto, determinata e testarda com'era sempre
stata. Mairead inarcò un sopracciglio, scettica.
-Davvero? E chi te lo
impone, ragazza mia?- le domandò, riuscendo – con quel quesito
posto a bruciapelo – a far alzare lo sguardo fiammeggiante e
furibondo della bruna, il viso che rispondeva prim'ancora della voce.
-Io.-
Per la terza volta,
Mairead negò con un elegante ma sconsolato gesto del capo,
guardandola con un misto di compassione ed affetto che, se ne
accorse, diede sui nervi alla giovane. -A volte, si desidera così
ardentemente qualcosa da non riuscire a vedere quanto essa non sia
stata fatta per noi.- mormorò, rivolta più a se stessa che
all'altra naiade: si voltò, depositando il bastone fra le mani di un
suo attendente, senza volgersi a guardare Shaylee. -È inutile
continuare, oggi.- decretò, sentendola sospirare un secondo più
tardi: detto questo, la regina s'incamminò verso la propria reggia,
avvertendo la ragazza seguirla.
Shaylee le aveva portato
molte notizie su cui riflettere, notizie che mettevano in dubbio ogni
sicurezza di quella granitica ed eterna regina giunta, ormai, al
termine del suo regno.
La magia di Siria si stava
sviluppando in un modo che nessuno aveva potuto prevedere: l'amore
del principe telmarino la stava cambiando, dandole una ragione per
accettare se stessa e la propria natura, permettendole di arrivare ad
un controllo semi-completo di un incanto di guarigione – qualcosa
che Mairead non avrebbe mai sospettato, considerando il disgusto di
Siria verso se stessa.
Erano indubbiamente ottime
notizie, che la portavano a sperare verso un futuro più roseo per
tutta Narnia: ma, allo stesso tempo, ciò che Siria aveva fatto ai
rapitori non poteva essere dimenticato, perché era l'esempio fin
troppo allarmante di quanto la sua forza fosse diventata tanto grande
quanto ingestibile.
E poi c'era la mezz'elfa,
che presto avrebbe dovuto affrontare la delegazione elfica in arrivo
all'accampamento dei Re d'un tempo: non era molto sicura
sull'autocontrollo della Custode della Terra in presenza dei suoi
consanguinei... aveva avvertito già da molti anni l'impazienza di
Talia, il suo desiderio di mandare all'aria tutti i piani ed i
desideri di Aslan per combattere i Telmarini al pieno dei propri
poteri: quella centenaria guerriera era imprevedibile, quanto e forse
anche più di Siria e di Shaylee.
Shaylee...
Quella ragazza aveva bisogno di capire che
cosa desiderasse veramente dalla propria vita e nel proprio futuro: non
poteva continuare a lasciarsi sballottare dalle emozioni senza riuscire
a controllarle... sorrise fra sé, Mairead, quando si rese conto che
l'atteggiamento di Shaylee era proprio dell'Elemento che tanto le era
affine: inafferrabile, talvolta volubile, ingenuo e maestoso come
soltanto gli Oceani sapevano essere.
Era diventata una donna, la ragazzina che
la Regina delle Naiadi aveva visto crescere nel corso di sedici lunghi
secoli – la donna di un
Re, oltretutto, a cui presto
sarebbero state affidate responsabilità che si sarebbero rivelate
troppo pesanti se Shaylee non avesse capito, in fretta, cosa davvero
volesse diventare.
-Vorrei che tu ti
ritirassi alla Fonte di Quarzo per un paio di giorni.- annunciò,
dopo lunghi minuti di silenzio, una volta raggiunta la Radura del
Trono: si sedette sul proprio scranno, maestosa come non mai, gli
occhi azzurri che celavano sin troppo bene i tumulti e le angosce di
quell'anima millenaria.
-Ma__- vide le iridi
dorate della ragazza allargarsi e riempirsi di collera, sulle labbra
l'inizio di una protesta: ma Mairead la zittì con un cenno imperioso
della mano, congelandola lì dov'era con uno sguardo che avrebbe
intimidito anche il più bellicoso dei minotauri.
-Vorrei
che tu meditassi su ciò che vuoi realmente: da te stessa, dalla tua
relazione con Peter e dalla tua intera vita.- continuò, calcando la
voce sul vorrei per
farle intendere che si aspettava che quell'ordine, perché di un
ordine si trattava, venisse eseguito. -Hai ancora secoli davanti,
Shaylee: non voglio che siano sprecati nel rincorrere un obiettivo
che non è tuo.- aggiunse, ignorando la furia e la frustrazione della
ragazza.
Shaylee doveva capire, e
l'avrebbe fatto: in un modo, o nell'altro.
La
fanciulla rimase in silenzio per una manciata d'istanti, tentata
dalla ribellione che sentiva pulsare sotto il proprio sterno: era
stanca di sentirsi
dire che cosa doveva fare, come doveva comportarsi e quanto fossero
sbagliate le sue decisioni!
Mairead non aveva alcun
diritto di negarle il proprio aiuto, non dopo tutto quello che era
successo a Nihar, non dopo... non mentre...
Chiuse gli occhi,
sconfitta, chinando il capo davanti a quella donna che invidiava con
tutta se stessa: avrebbe voluto essere come lei, potente e forte e
bellissima, sicura nelle proprie certezze e senza dubbi nello
sguardo.
-Come tu desideri, mia
regina.-
.
.
.
.
.
.
My Space:
Non
avete idea di quanto bello sia stato TORNARE e ritrovarvi tutti qui,
con la mia Rebirth, come se non fossero passati che pochi giorni
dall'ultimo aggiornamento. Mi avete scaldato il cuore con le vostre
parole, con le vostre recensioni, con il vostro entusiasmo.
Grazie.
In
questo capitolo, che oserei definire cruciale,
abbiamo una cosa molto importante. Abbiamo la definizione, per la prima
volta, delle Quattro di Aslan.
Per
scrivere il ricordo di Talia mi sono ispirata alla modalità di
scrittura di Lewis stesso: fiabesco, un po' innocente, ma cruento a suo
modo. Charn era realmente il regno di Jadis, tutto ciò che riguarda la
Strega Bianca è estrapolato direttamente dai libri: sono talmente belli
che è inutile e dannoso modificarli :)
Spero
che Galador piaccia a voi quanto è piaciuto a me ;)
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La
foresta era placida e silenziosa, bella
come poche volte Siria era riuscita a scorgerla.
La
presenza sua e di Gwaine, di quelle due
creature tanto simili eppure tanto diverse, risvegliava gli spiriti
più antichi
che dimoravano silenti fra quelle folte fronde d’un verde
intenso, dandole la
frizzante sensazione di euforia che avvertiva da bambina quando i suoi
poteri
erano soltanto un buffo passatempo da esplorare proprio con Gwaine.
Sorrise,
dando un lieve colpo di talloni al cavallo per accostarsi a Caspian; al
contrario di lei, il principe era teso e all’erta... avrebbe
dovuto esserlo
anche lei, avrebbe dovuto essere in grado di concentrarsi sul timore di
essere
stata informata troppo tardi sulla salute del padre – eppure,
sapere di essere
tanto vicina ad un fulcro di energia tanto simile a lei la galvanizzava
più di
quanto avesse potuto aspettarsi.
Si
sentiva combattuta, per l’ennesima volta nella sua vita.
Temeva
per la sorte di suo padre ma, allo stesso tempo, provava un freddo ed
innaturale distacco nei confronti di quella stessa paura: le pareva di
essersi
già rassegnata all’inevitabile, le sembrava che la
sua mente si rifiutasse di
soffermarsi su quel dolore già scritto nel suo prossimo
futuro…
Non
vedeva suo padre da molti anni, ormai.
Da
quando Aaron l’aveva trovata, da quando lui, lei e Talia
avevano deciso di
assumere il ruolo di mercenari, era sempre stato suo fratello a portare
al
padre ciò che riuscivano a trafugare per aiutarlo: per lei
era troppo
pericoloso avvicinarsi ad un villaggio telmarino, ma quella distanza
l’aveva
emotivamente allontanata dal padre che avvertiva come una presenza
nebulosa,
lontana dalla strada che aveva intrapreso.
Eppure,
il desiderio di vederlo era bruciante.
Aveva
amato suo padre, lo aveva ammirato come uomo e come genitore: ancora
adesso
sapeva che l’affetto che aveva provato era rimasto immutato,
sebbene quel
gelido scrigno di ghiaccio la tenesse lontana da quei sentimenti che
avrebbero
potuto sopraffarla.
Dovevano arrivare
presto.
Soltanto
davanti a lui, davanti a suo padre, Siria sarebbe stata in grado di
sciogliere
quel muro che teneva relegata la bambina che non si era più
permessa di essere
dalla morte di sua madre.
-Siamo
quasi arrivati.- annunciò Aaron,
strappandola alle sue riflessioni e riportando la sua mente in un mondo
terreno
e crudele da cui Siria, ormai, desiderava soltanto fuggire.
Gwaine,
più attento di lei alle dinamiche
di quel mal assortito quartetto di viaggiatori, affiancò
Caspian e gli rivolse
un sorrisetto sarcastico, accennando alla sua espressione cupa.
-Nervoso,
principino?- gli chiese,
inarcando un sopracciglio e guadagnandosi, così,
l’occhiata ammonitrice della
rossa.
-Gwaine,
stai zitto.- giunse infatti
l’avvertimento, tanto freddo da risultare quasi comico: Siria
non riusciva mai
ad essere gelida, lei era sempre stata tutta un fuoco, tentare di
sembrare
altro la faceva sembrare soltanto una bambina impacciata.
Le
rivolse un occhiolino, divertito.
-Perché
mi zittisci ogni volta che gli
rivolgo la parola? Sembra quasi che...- s’interruppe,
trattenendo teatralmente
il respiro quando vide Siria scuotere vigorosamente la testa, un nuovo
terrore
che brillava nelle iridi blu. -Oh, lui non sa?- le
chiese, in un
sussurro udibilissimo e sfrontato che fece saettare lo sguardo
tagliente di
Caspian su di lui.
-Che
cosa non so?!- sibilò infatti
il principe, spostando gli occhi dal forestiero a Siria e poi su Aaron,
che si
mordeva le labbra per non scoppiare a ridere e teneva le iridi puntate
ostinatamente davanti a sé.
-Niente.-
rispose subito Siria, ammonendo
Gwaine con un’altra delle sue occhiate inceneritrici: ma il
giovane la ignorò
ancora una volta, avvicinandosi a Caspian con un risoluto colpo di
tacchi nei
fianchi della sua cavalcatura.
-Non
giudicherei “niente” un fidanzamento
ufficiale…- mormorò,
inclinando poi la testa verso la rossa, del tutto propensa a metter
mano alla
spada e ad ucciderlo seduta stante. -Ho come l’impressione di
doverlo ritenere
annullato, vero?- aggiunse, notando il volto del principe farsi
paonazzo, le
labbra che si muovevano senza riuscire a pronunciare nessun suono.
Lo
scrutò per un istante, pensieroso. Le
ipotesi erano due: o sarebbe esploso dalla rabbia, liberandolo
così dalla sua
presenza un po’ troppo ingombrante, oppure__
-…COSA!?-
Siria
rovesciò gli occhi al cielo quando
Caspian ritrovò l’uso della parola, preparandosi
mentalmente ad un lungo,
pesante discorso che non poteva più rimandare.
-Gwaine,
ti odio.-
§
Siria
sospirò, attizzando con aria poco convinta
il fuocherello da campo che avevano acceso meno di un’ora
prima, quando
l’oscurità si era fatta talmente fitta da
impedirgli di proseguire oltre.
Il
villaggio in cui avrebbero trovato Roan
non era lontano, mancavano ormai pochissime miglia:
l’indomani lo avrebbero
raggiunto, e Siria pregava di arrivare in tempo almeno per dirgli addio.
-Caspian,
per favore, almeno dimmi
qualcosa.- esclamò, esasperata dall'ostinato silenzio in cui
Caspian si era
rinchiuso ormai da almeno tre veglie: alzò lo sguardo verso
il principe che, a
braccia conserte come un bambino capriccioso, fissava testardamente un
punto
imprecisato dell'oscuro bosco che li circondava.
-Cosa?
Non ho nulla da dire.- mugugnò,
irritato, lanciando un’occhiata cattiva ai bagagli di Gwaine
riposti accanto ad
un albero: Aaron e quel dannato forestiero si erano allontanati per
perlustrare
il territorio attorno a loro, in modo da accertarsi di essere al
sicuro…
sospettava che ci fosse lo zampino del rosso, in quella decisione, ma
non aveva
mai avuto meno voglia di discutere in vita sua.
Avrebbe
dovuto capirlo da solo, dannazione.
Il
modo in cui Gwaine si rivolgeva a Siria
era stato, sin dal primo momento in cui li aveva visti insieme, sin
troppo
intimo e malizioso per non essere notato… lo aveva
infastidito, sì, ma aveva
etichettato la loro vicinanza come l’inevitabile risultato di
una lunga
amicizia.
Idiota.
Quell’imbecille
era stato il promesso sposo
di Siria! Ecco perché Peter aveva tanto insistito per far
sì che Caspian
andasse con loro, perché voleva… cosa voleva?
Proteggere l’onore di Siria o
farsi due risate al pensiero della sua espressione quando sarebbe
venuto a
sapere quel particolare?
…beh,
probabilmente entrambe le ipotesi erano giuste.
Siria
si lasciò sfuggire un versaccio,
attizzando nervosamente il fuoco e provocando una cascata di scintille
aranciate sulle pietre dove avevano posto il falò. -Gwaine
è un coglione ed è
geloso, è sempre stato intrattabile e__-
-E
ha tutti i diritti di esserlo, visto che
eravate fidanzati.- la interruppe, calcando
volutamente su quella parola
che tanto lo pungolava: era un principe, lui, gli era stato insegnato a
considerare quel genere di promesse quasi una
sacralità… come poteva, Siria,
avergli nascosto una cosa tanto importante?
-Sei
infantile.- sospiròla
ragazza, esasperata, sciogliendo la
treccia in cui aveva raccolto i lunghi capelli in pochi istanti, le
dita lunghe
e sottili che danzavano fra quei crini scarlatti. Cominciò
ad annodarli
nuovamente, le iridi fisse con aria assente sulle fiamme che bruciavano
a pochi
centimetri di distanza da lei. -Io non sono la promessa sposa proprio
di
nessuno, tantomeno di Gwaine. Era un'idea di mia madre, voleva...-
s’interruppe, quando un groppo doloroso in gola le
impedì, per qualche istante,
di parlare.
Sua
madre avrebbe voluto saperla accanto a
Gwaine per non farla sentire diversa.
Lei
e Gwaine erano estremamente simili,
questo Zaira l’aveva sempre saputo… -Voleva che io
fossi felice.- aggiunse,
abbassando lo sguardo sui ciocchi anneriti dal fuoco, detestandosi per
quell’attrazione
irresistibile che provava nei confronti di quell’elemento.
-Non
c'è mai stato niente di ufficiale, e
Gwaine questo lo sa benissimo. Voleva solo farti arrabbiare e
innervosire me, e
c'è riuscito alla perfezione.- continuò, atona,
sebbene Caspian potesse
avvertire una punta di rimprovero nella sua voce calma.
-Già.-
commentò, sentendosi un perfetto
idiota, prendendo un lungo respiro e cercando di darsi una calmata.
In
fondo, aveva fatto una tragedia per una
sciocchezza… Se Siria non gli aveva parlato di Gwaine era
perché non lo
riteneva importante, perché lo aveva dimenticato. Che motivo
aveva di essere in
collera con lei, allora?
Sospirò
di nuovo, dispiaciuto, alzandosi
per poi sedersi accanto alla silenziosa raminga.
-Che
cosa è successo a tua madre, Sir?- le
chiese, dando voce ad un tarlo che lo rodeva ormai da molti mesi. Siria
aveva
accennato a sua madre, e gli era sempre parso che la presenza di quella
donna
aleggiasse sulla sua anima come un silente guardiano proveniente
dall’aldilà.
Lei
scosse la testa, un sorriso triste
sulle labbra rosse.
-È
morta. Tanti anni fa.- rispose, con una
semplicità tale da risultare disarmante.
Chiuse
gli occhi per un istante, la
raminga, combattendo contro il desiderio ardente di rivelargli la
verità una
volta per tutte: aveva bisogno di
parlargliene, di spiegargli il perché
di
tutte quelle ombre che si trascinava dietro da una vita intera.
-È
stata accusata di stregoneria. Lei
curava la gente con le erbe, come fa Shay, ma i telmarini non sono
molto
ragionevoli riguardo a quella che considerano magia.-
spiegò, non riuscendo a
trattenere un velato sarcasmo sull’ultima affermazione:
nonostante tutto,
nonostante Caspian fosse uno di loro, non riusciva proprio a superare
l’astio
ed il disprezzo che provava nei confronti della gente di Telmar.
Quella
era la gente che le aveva portato via sua madre.
-L'hanno
bruciata sul rogo come si fa con
le streghe.-
Quella
rivelazione schioccò nel silenzio
della foresta con un eco terribile, riverberandosi negli scoppiettii
improvvisamente
terrificanti delle fiammelle che languivano davanti a loro.
Caspian
aveva immaginato qualcosa di
simile, dopo tutte le volte che Siria si era dimostrata reticente e
poco
collaborativa nei confronti della magia e dei telmarini: gli aveva
ricordato
Peter, per quell’avversione nei confronti delle creature
magiche, ed ora
riusciva a capire il perché.
D’istinto,
le passò un braccio attorno alla
vita e se la trascinò addosso, sopportando pazientemente la
sua ostinata
rigidità finché Siria non si sciolse un poco,
chiudendo gli occhi e posando la
testa sulla sua spalla.
-Non
volevo comportarmi in quel modo, non
ne avevo diritto.- le mormorò all’orecchio,
accostandovisi per lasciarle un
lieve bacio sulla tempia. Lei scosse la testa, arruffando la frangetta
scompigliata con uno sbuffo.
-Ne
avevi tutti i diritti. Avrei dovuto
parlartene, ma lo avevo dimenticato.- lo corresse, lasciando che la
sensazione
di apatica malinconia scivolasse via dal suo cuore, concentrandosi
unicamente
sulla presenza di Caspian accanto a sé: quel ragazzo era il
suo talismano,
l’unico motivo per cui riusciva a costringersi a riemergere
dal baratro di
sofferenza in cui era sprofondata tanto tempo prima. -Non ho mai voluto
sposare
Gwaine... a dir la verità, non ho proprio mai voluto
sposarmi.- aggiunse, con
un mezzo sorriso un poco derisorio che affiorava sulle sue belle
labbra: non
era mai stata in grado di dire neanche se sarebbe sopravvissuta fino al
giorno
seguente, figurarsi l’idea di programmare un
matrimonio…
Caspian
si lasciò sfuggire una breve
risata, nel notare la sua espressione palesemente scettica.
-Magari
un giorno cambierai idea.- commentò
soltanto, criptico: ma Siria, che non era una sciocca, alzò
di scatto gli occhi
su di lui, sconcertata, gli occhi blu pieni di sorpresa e di confusione.
-Caspian!-
sbottò, e lui dovette
trattenersi per non ridere davanti alla sua espressione quasi
scandalizzata.
-Stai seriamente dicendo che tu mi... che noi...- balbettò
lei, arrossendo fino
alla radice dei capelli, mentre quel pensiero si faceva repentinamente
largo
nella sua mente.
Lei
e Caspian… sposarsi?
Sì,
in fondo, l’età di entrambi era quella
giusta, ma… insomma, erano due reietti, Caspian era
ricercato dall’attuale Re
di Telmar, lei era una mercenaria ed un’assassina! Come
poteva, il principe,
pensare una cosa tanto assurda!?
Una
risata piena e soddisfatta li fece
sobbalzare tutti e due: Aaron riemerse dalla boscaglia, la spada di
traverso
sulle spalle e le iridi celesti piene di una maliziosa e divertita
ironia.
-Sir
ha qualche problema col concetto del
matrimonio.- si rivolse a Caspian, esilarato dall’espressione
della sorella,
guadagnandosi istantaneamente un’occhiataccia da parte della
suddetta rossa.
-Zitto!
Io non ho problemi, sono solo...
insomma...- brontolò infatti Siria, sempre più
paonazza, incrociando le braccia
sotto il seno e guardandoli entrambi in cagnesco. -Vi detesto.-
mugugnò, ed
anche Caspian non poté più trattenere le risate
nel vederla così adorabilmente
imbronciata.
Si
sottrasse al suo abbraccio, avvolgendosi
nel mantello con un gesto risoluto e appallottolandosi accanto al
principe,
raccogliendo la lunga treccia rossa nel cappuccio.
-Vi
preferivo quando vi volevate morti a
vicenda. Buonanotte.- la sentirono brontolare, ed Aaron
ridacchiò di nuovo
mentre gettava un po’ di sabbia sulle fiamme allegre,
smorzandone l’entusiasmo,
prima di arrampicarsi sull’albero accanto a loro per
prepararsi al primo turno
di guardia.
Caspian
invece si coricò accanto alla
raminga ben sapendo che, quando le braci si fossero esaurite del tutto,
Siria
gli si sarebbe avvicinata e si sarebbe lasciata abbracciare,
abbandonando
quell’ostinato silenzio in cui s’era rinchiusa
adesso.
Aspettò
che l’oscurità si facesse più
fitta, prima di voltarsi verso di lei e stringerla a sé
– riuscendo a distinguere,
anche nel buio, il sorriso di lei.
-Non
scherzavo, Sir. Se vorrai, quando
vorrai, sarò qui.- le sussurrò
all’orecchio, dandole un bacio sulla guancia
prima che lei si voltasse per nascondersi fra le sue braccia.
-Lo
so.-
§
Il
villaggio telmarino apparve ai loro
occhi dopo un’intera giornata di marcia, avvolto nella lieve
foschia estiva che
allungava i suoi tentacoli su Telmar ogni volta che il Sole calava
oltre
l’orizzonte.
Siria,
Aaron e Caspian calcarono con più
decisione i cappucci sul volto, nascondendosi dietro quelle stoffe
scure che,
lo sapevano benissimo, non sarebbero riusciti a proteggere la loro
identità
molto a lungo. Gwaine li precedeva, a volto scoperto, ma con una mano
sulla
spada e gli attenti occhi bruni pronti a cogliere ogni anomalia.
Non
era stata una buona idea trascinarsi dietro il principino.
Sapeva
di non aver avuto scelta, quando il
Supremo Re gli aveva comunicato che Caspian si sarebbe unito a loro. Se
fossero
stati soltanto lui ed i due rossi, avrebbe potuto far ricorso ad arti
che li
avrebbero protetti meglio delle armi… ma no, Caspian aveva
voluto seguire
Siria, e la cosa più irritante era che Gwaine riusciva anche
a comprenderlo.
Prima
di partire, Aaron lo aveva preso da
parte e gli aveva raccontato tutto ciò che era successo a
Sir nelle ultime
settimane: il rapimento, le torture, la magia… lo aveva
sorpreso non poco
venire a sapere che proprio Siryn, tanto astiosa nei confronti delle
proprie
capacità, era riuscita ad affrontare se stessa e a salvare
la vita del principino.
La
sua presenza rendeva la giovane più
calma e sicura di sé e, dopo ciò che aveva
passato, non riusciva nemmeno a
darle tutti i torti: era tanto
carina
con quel ragazzino, non si sarebbe certo stupito di sentirla miagolare
per lui…
eppure non riusciva a non pensare che Caspian li avrebbe messi nei guai
con la
sua sola presenza, in un villaggio pieno zeppo di gentaglia gretta ed
ottusa
che avrebbe fatto di tutto per qualche soldo sporco di sangue.
Senza
parlare, rivolse un cenno agli altri
e smontò da cavallo, conducendolo poi a mano in una piccola
stalla malmessa,
una delle prime costruzioni visibili del paesello. I tre lo imitarono,
assicurando le briglie degli animali in modo da poterle sciogliere
velocemente
in caso di pericolo.
Il
piano era semplice, pericoloso come
tutti i piani di Aaron: lui e Sir sarebbero andati dal padre, mentre
Gwaine
avrebbe portato Caspian nella propria capanna, attendendo lì
assieme a lui che
i due tornassero.
Aveva
sempre voluto un gran bene ad Aaron,
Gwaine; ma, in quel momento, sentì di detestarlo con tutto
il cuore.
Si
accertò che nessuno fosse in giro a
quell’ora e che la nebbia fosse abbastanza fitta per
coprirli, prima di far
cenno ai due fratelli di darsi una mossa.
-Andate.-
§
Quando
Siria entrò in quella piccola capanna
rovinata, la prima sensazione che provò fu uno stranissimo
senso di
estraniamento.
Roan
era riuscito a portare con sé, al
momento della fuga, alcuni oggetti che la ragazza ricordava anche
troppo bene;
una vecchia bambola intagliata che suo padre aveva creato per lei, la
scatoletta del cucito di sua madre, le vecchie spade di legno con cui
giocavano
lei ed Aaron da bambini… scosse la testa, distogliendo lo
sguardo da quei
ricordi che tornavano ad assalirla con una chiarezza terrificante,
seguendo Aaron
nel buio.
Suo
padre era disteso in una piccola
nicchia sul lato dell’unica stanza, il giaciglio protetto da
vecchie tende un
po’ sdrucite: anche in quella densa oscurità
riuscì a distinguere, su un
vecchio mobiletto lì accanto, alcune erbe officinali ed un
paio di pietre che
Gwaine doveva aver usato per aiutare il vecchio, per provare a curarlo.
Suo
fratello gli s’avvicinò, sparendo oltre quelle
coltri, e lei lo sentì parlare
piano per svegliare il padre.
Si
sentì sopraffare dall’angoscia, quando
si rese conto di essere stata lontana per troppo tempo: per un istante,
la
paura di non riconoscere il volto di Roan la fece desistere dallo
scostare quei
drappeggi scuciti… avrebbe voluto fuggire, pur di non vedere
ciò che i
telmarini avevano fatto a suo padre.
Eppure
si fece coraggio, quando Aaron le
fece cenno di avvicinarsi al giaciglio. Scostò le stoffe,
cercando di sorridere
nonostante il cuore le si stesse incrinando nel petto.
-Papà…-
sussurrò, sentendo gli occhi
riempirsi di lacrime quando comprese quale scempio avevano compiuto i
soldati
su quell’uomo che le aveva dato la vita.
Lo
ricordava come un uomo alto e snello,
dai lineamenti affilati simili a quelli di Aaron e con due occhi
azzurri pieni
di calore: adesso di quell’uomo non riuscì a
distinguere quasi nulla, perché
lividi e ferite rovinavano ogni centimetro di quel viso – e
probabilmente anche
di quel corpo – e gli occhi erano tumefatti e giallastri a
causa di una
probabile infezione interna.
Si
sentì scivolare in ginocchio accanto a
quel giaciglio, sopraffatta dal dolore e dal rimorso: i telmarini lo
avevano
trovato cercando lei, probabilmente
risalendo addirittura al villaggio in cui era stata condannata sua
madre… suo
padre avrebbe dovuto odiarla, avrebbe dovuto accusarla di essere il
mostro che
era, la causa del dolore di tutte le persone che l’avevano
sempre amata…
Ed
invece sorrise, allungando debolmente
una mano verso di lei e sfiorandole la guancia in una carezza delicata,
stanca
ma piena d’affetto.
-Siryn…
bambina mia, quanto sei cambiata.-
mormorò, e Siria si sentì dilaniare quando si
accorse di quanto esausta e
provata suonasse quella voce che ricordava così forte e
allegra. Strinse
dolcemente quella mano, senza riuscire a trattenere le lacrime dal
rigarle il
viso.
-Che
cosa ti hanno fatto…- sussurrò,
sentendosi sballottare da alcune delle emozioni più
devastanti che avesse mai
provato, l’odio che si rincorreva con la colpa, la rabbia che
si mescolava al
dolore.
Roan
sorrise, nonostante quel gesto gli
causasse evidentemente un dolore atroce al volto distrutto.
-Ciò
che fanno le bestie come loro, piccola
mia.- rispose, con una semplicità che la disarmò
più di qualunque altra cosa.
Si
sarebbe volentieri consegnata nuovamente
ad un uomo come Angus Flynch, pur di non vedere suo padre ridotto in
quello
stato.
Roan
era una persona così buona… chiunque
l’avrebbe accusata, l’avrebbe denigrata, ma lui no
– suo padre la rassicurava,
tentava di proteggerla dal dolore come aveva fatto ogni volta che aveva
potuto,
prima che fosse lei stessa a sottrarsi alle sue cure ed al suo amore.
Perché,
perché doveva essere tutto così orrendo?
Suo
padre parve distinguere i pensieri che
la tormentavano soltanto guardandola negli occhi, perché
sorrise di nuovo e le
accarezzò la frangia, senza riuscire a distogliere gli occhi
dai suoi figli.
-Non
pensiamo a questo, non dopo tanto
tempo. Lasciatevi guardare…- mormorò,
abbracciando entrambi con lo sguardo,
beandosi di ciò che vedeva.
Aaron
era diventato un uomo fatto, bello e
fiero com’era stato fin da piccolissimo – persino
appena nato si era dimostrato
testardo e caparbio proprio come suo padre, svegliando
l’intero villaggio con
le sue urla… ed ora eccolo, adulto e realizzato in un modo
che non avrebbe mai
potuto prevedere per lui, con il volto della sua donna vivido negli
occhi.
Non
avrebbe mai potuto sperare niente di
meglio, per i suoi figli: Aaron aveva trovato l’amore in una
regina d’altri
tempi, mentre Siria… Siria assomigliava così
tanto a sua madre da fargli male.
Anche
Zaira aveva quegli occhi, così blu ed
intensi da lasciare senza fiato; ma il viso di Siria era più
dolce rispetto a
quello maestoso della madre, i capelli erano del colore del fuoco e non
dell’onice, la pelle chiara come quella di Roan.
Eppure,
nonostante i tratti fossero più i
suoi che quelli della sua compianta moglie, Roan riuscì a
vedere la stessa
angoscia e la stessa magia nello sguardo tormentato di sua figlia.
Sorrise
di nuovo, sebbene entrambi i
ragazzi fossero sull’orlo delle lacrime: Aaron strinse con
più forza la spalla
di Siryn e lei posò la mano libera su quella del fratello,
cercando di
infondervi tutto il conforto di cui era capace.
I
suoi figli erano ancora uniti, e si
amavano nonostante fossero due creature tanto diverse.
-Ho
saputo ciò che state facendo per la
guerra.- mormorò, reprimendo un attacco di tosse: secondo
Gwaine, i soldati
avevano danneggiato la maggior parte dei suoi organi
interni… non sarebbe
vissuto ancora per molto, ma valeva la pena di prolungare
l’agonia pur di
passare quella manciata d’istanti con i suoi ragazzi. -Sono
orgoglioso di voi.-
aggiunse, strappando un sorriso nervoso ad entrambi.
-Non
era esattamente il piano iniziale, ma
direi che stia funzionando.- commentò il ragazzo,
inginocchiandosi accanto alla
sorella e stringendo con più forza la sua mano. Roan rise,
nonostante gli
provocasse un dolore lancinante.
-Non
ho saputo proteggervi, non ho saputo
darvi una casa e una vita normale. Ma voi… siete diventati
dei guerrieri, e dei
figli di cui essere fieri.- li lodò, guardandoli con uno
sguardo tanto pieno
d’orgoglio da far cadere nuove lacrime dagli occhi di sua
figlia. Le sentì
bagnargli le dita, quando le accarezzò di nuovo il viso.
-Sei uguale a tua
madre, Siryn. Anche Zaira avrebbe voluto combattere.-
Siria
annuì, piano, serrando le palpebre
per cercare di non piangere ancora.
-L’ho
sentita.- sussurrò, sapendo che suo
padre avrebbe capito, desiderando ardentemente che sua madre non fosse
mai
morta e che loro fossero stati una famiglia come tutte le altre. -Io
l’ho
sentita… nel fuoco. Nella…-
Roan
la zittì con uno sguardo, continuando
a sorridere.
-La
magia di tua madre è la tua, Siryn: lei
vive ancora in te, e tu sei quelle fiamme.- le parole di suo padre la
colpirono
più di quanto avesse preventivato.
Suo
padre non la odiava per ciò che era,
non lo aveva mai fatto.
Aveva
amato Zaira per ciò che era, senza
timore e senza riserve: e, quando gli aveva dato una figlia segnata
dallo
stesso destino, aveva amato anche quella figlia come un dono degli dei,
senza
mai incolpare nessuna delle due per qualcosa che non avevano potuto
scegliere.
Roan
si rivolse ad Aaron, senza sciogliere
il contatto con la ragazza.
-E’
qui?- domandò e, per un attimo, Siria
si sentì confusa: di chi stavano parlando?
-Sì.
E’ nel capanno di Gwaine.- la risposta
di Aaron fu più che esaustiva, e lei arrossì al
pensiero che stessero parlando
proprio di Caspian.
-Voglio
incontrarlo, almeno una volta.-
Roan notò l’espressione confusa e imbarazzata
della figlia, sentendosi scaldare
da quel fuoco che bruciava dentro di lei e che la ragazza nemmeno si
rendeva conto
di emanare. -Dovrò pur conoscere l’uomo che ha
conquistato mia figlia, non è
vero?-
-Penso
di sì.- borbottò lei, a suo modo
contenta che il padre volesse davvero incontrare Caspian.
-Ora
esci, Siryn, e dì a Gwaine di portarlo
qui.- esitò, però, quando Roan le
ordinò di allontanarsi: non avrebbe voluto
lasciarlo, non adesso che sapeva di avere così poco
tempo… ma era sempre stata
una figlia obbediente, in fondo, e dopo qualche attimo di lotta
interiore si
alzò, lo baciò in fronte e sparì nel
buio della notte.
Soltanto
quando fu sicuro di saperla
lontana, Roan si rivolse al figlio. -Sei un buon fratello, figlio mio.-
lo
lodò, stringendo la mano che Aaron gli prese con dolcezza.
-Ho
sbagliato più di una volta. Ho provato
a proteggerla, papà, ma…- il più
anziano scosse debolmente la testa, sedando
sul nascere il rimorso del ragazzo.
Aveva
sbagliato, con Siria.
Aveva
provato a tenerla al sicuro, a
salvarla, ma non c’era stato quando Siria avrebbe avuto
bisogno di lui. Non
aveva saputo capire che sua sorella era in pericolo, che le stavano
facendo del
male – se se ne fosse reso conto prima, forse avrebbe potuto
evitarle quelle
torture…
Aveva
fallito, come
fratello e come padre.
-Non
ti tormentare, Aaron. Hai fatto tutto
ciò che potevi, più di quanto abbia fatto io.- lo
rassicurò, la voce dolce che
riusciva a far breccia nella paura di Aaron. -Avrà ancora
bisogno di te… sei
suo fratello, e ti ama come ti amava quando eravate bambini.
Proteggetevi l’un
l’altro.-
Il
ragazzo rimase interdetto da
quell’affermazione, ma il lieve rumore provocato da qualcuno
che entrava nella
casupola lo distrasse.
Si
fece da parte senza che suo padre avesse
bisogno di chiederglielo, dando un’amichevole pacca sulla
spalla a Caspian
prima di uscire dalla capanna.
Il
principe si avvicinò con cautela,
inginocchiandosi davanti a quel letto con un misto di soggezione e di
dispiacere ad agitargli l’anima: Siria gli aveva soltanto
detto che suo padre
voleva incontrarlo… non aveva pensato di parlargli, non
sapeva che cosa dire a
quell’uomo che aveva messo al mondo la donna che amava.
-Sono…-
cominciò, incerto delle sue stesse
parole, ma Roan alzò una mano per zittirlo e si
voltò a guardarlo, dandogli
l’impressione di essere trapassato da quegli occhi di
ghiaccio.
-So
chi sei, principe di Telmar.- lo
redarguì, ma non c’era astio nella sua voce:
sospirò, Roan, accennando un lieve
sorriso e chiudendo gli occhi, abbandonando la testa sul cuscino di
paglia. -Sei
l’uomo che è riuscito a trovare il cuore di quella
selvaggia di mia figlia.-
continuò, certo di essere nel giusto; e Caspian sorrise a
sua volta, un po’
imbarazzato, ma sollevato al pensiero di portare un po’ di
gioia a quell’uomo
morente.
-Io
amo sua figlia con tutto me stesso,
Roan.- affermò, stupendosi lui stesso per la
facilità con cui aveva pronunciato
quelle parole: non aveva mai ammesso quei sentimenti ad alta voce,
né con Siria
né con nessun altro… ma Roan meritava di morire
con la consapevolezza che ci
sarebbe stato lui per Siria, che non l’avrebbe mai
abbandonata, che la amava e
l’avrebbe amata per tutta la vita. -Anche se sì,
è un poco selvaggia.-
aggiunse, dopo un istante, e l’uomo avrebbe riso se non fosse
stato colto da un
terribile attacco di tosse che lo fece piegare in due, le labbra che si
macchiavano di rosso.
-Lo
è sempre stata.- singhiozzò, accettando
l’aiuto di Caspian per tornare a distendersi, serrando gli
occhi per tentare di
arginare il dolore.
Non
gli rimaneva molto da vivere, ormai… ma
quel ragazzo doveva sapere, doveva capire quanto Siria fosse delicata e
preziosa, quanto fortunato fosse ad avere accanto una donna come sua
figlia.
-Io non sono stato un buon padre, per Siryn. È il nome che
le diede sua madre,
un nome antico quanto la sua stirpe.- Caspian tacque, suo malgrado
assetato di
quelle poche informazioni che andavano ad aggiungersi al mosaico
incompleto che
era il passato di Sir. Roan scosse appena la testa,
un’indicibile tristezza che
rendeva ancor più profonde le rughe sul suo volto e
più vividi i segni della
tortura.
Per
un istante, per un solo, terribile
istante, Caspian intravide in quella viso tumefatto l’ombra
di Siria reduce
dalle torture di Flynch, con la stessa disperazione negli occhi.
-Assomiglia
molto a Zaira… purtroppo,
condivide con sua madre lo stesso triste destino.- aggiunse Roan, la
voce
sempre più roca ed affaticata.
A
quelle parole, Caspian s’incupì.
La
madre di Siria era morta, accusata di
stregoneria… che cosa intendeva dire Roan affermando che il
destino di Zaira
sarebbe stato quello di sua figlia? E perché qualcosa,
dentro di lui, gli
suggeriva che non sarebbe stato così, che Zaira stessa
– ovunque si trovasse –
avrebbe impedito alla figlia di raggiungerla?
-Prenditi
cura di lei.-
Sussultò,
quando le parole sussurrate dalla
donna di fuoco, nel delirio delle febbre, risuonarono nella sua mente
con una
chiarezza sconcertante.
Che
fosse stata…
-E’...-
balbettò, cercando di non dar peso
a quella sensazione irrazionale, gli occhi neri che dardeggiavano
nell’oscurità. -E’ quasi impossibile
proteggere Siria. Lei è…-
-Troppo
cocciuta per comportarsi da donna,
e troppo coraggiosa per restare in disparte.- lo interruppe Roan,
terminando la
frase al suo posto. -E’ bella e forte, ma cercheranno di
distruggerla ancora
una volta…- un secondo attacco di tosse, più
violento del precedente, lo
travolse: Caspian cercò di sostenerlo, sentendosi dilaniare
al pensiero di
quanto quell’uomo amasse i suoi figli e di quanto poco tempo
gli fosse rimasto
da passare con loro. -…prenditi cura di mia figlia,
Caspian… lascia che quel
fuoco esploda una volta per tutte…- mugolò,
distrutto dal dolore, aggrappandosi
alla spalla del ragazzo in una preghiera disperata di un padre che non
aveva
più nulla da perdere.
E
Caspian annuì, sapendo che avrebbe
mantenuto quella che considerava una promessa d’onore,
aiutando l’uomo a
distendersi ancora una volta.
-Lo
farò.- affermò, deciso: e Roan sorrise,
cogliendone la determinazione, chiudendo gli occhi per lasciarsi
scivolare in
un sonno leggero dettato dalla spossatezza.
Il
ragazzo si assicurò che fosse sereno,
prima di allontanarsi dal giaciglio per raggiungere i due rossi e
Gwaine
accanto alla soglia della capanna. Siria, quando le si
affiancò, gli sorrise,
ma i suoi occhi erano arrossati dal pianto e la sua espressione la
più
sconsolata che Caspian avesse mai visto.
-Non
gli resta molto.- mormorò soltanto,
cercando la mano di lui nel buio ed aggrappandosi con tutta la
disperazione che
aveva in corpo.
-Mi
dispiace. Non si sa chi è stato?-
chiese, rivolgendosi a Gwaine, tentando di dimenticare per un istante
l’antipatia che provava nei suoi confronti. Gwaine si
lasciò sfuggire un
versaccio sarcastico, spostando lo sguardo sulla stradina buia.
-Roan
era il marito di una strega… le voci
corrono rapide, a Narnia, e Telmar non fa che alimentarle.-
evidentemente
Gwaine non era dello stesso avviso del principe, perché le
sue parole erano
dense di un’esplicita accusa che Caspian incassò
senza fiatare.
-Gwaine.-
lo ammonì però Siria, esasperata
dal comportamento infantile dell’amico. Lui si strinse nelle
spalle,
scoccandole un’occhiataccia: come
poteva,
Siria, difendere uno degli aguzzini dei suoi stessi genitori?
-Che
c’è? Non è forse vero che gente come lui ha sempre cercato di__-
-GWAINE!-
Sobbalzarono
tutti e tre, quando Aaron
esplose in un urlo soffocato e si piazzò fra i due ragazzi
ed il vecchio amico,
scrutandolo con un cipiglio talmente furioso da riuscire a mitigare
persino il
suo caratteraccio. -Vedi di piantarla, una buona volta. Caspian non è un assassino, e combatte
dalla
nostra parte.- lo ammonì, furibondo, e Siria si
ritrovò a pensare che Aaron era
l’unica persona al mondo che riuscisse ad intimorire una
bestiaccia come
Gwaine.
Uno
scricchiolio.
La
ragazza drizzò la testa, allontanandosi
repentinamente dai tre uomini e avvicinandosi il più
possibile alla soglia
della capanna. Aveva sentito qualcosa di simile ad un piede che
spezzava un
bastoncino… qualcosa come dei passi.
-Ci
hanno sentiti!- sibilò, ed i suoi occhi
allenati colsero il movimento di una persona che scappava in mezzo alla
nebbia.
-Merda.- imprecò, afferrando la balestra nello stesso
istante in cui la voce di
un ragazzino risuonò nel silenzio della foschia.
-ALLARME!
IL PRINCIPE CASPIAN È QUI!-
Siria
imbracciò l’arma, prendendo la mira:
ma il suo tocco esitò sul grilletto, quando distinse
l’aspetto della sua
vittima… poco più di un bambino, emaciato e magro
come anche lei era stata una
volta.
Come
poteva uccidere un disperato?
-Merda.-
imprecò di nuovo, abbassando
l’arma, quando sentì diverse altre voci
sovrapporsi a quella del ragazzino:
sarebbe stato inutile ucciderlo dopo che già aveva allarmato
tutti…
Aaron
l’afferrò per un polso, trascinando
lei e Caspian nel buio della capanna ed indicandole una finestra che
dava sulla
parte della casa che confinava con la foresta.
-Voi
due, andatevene!- le ordinò,
perentorio, ma Siria si divincolò dalla sua presa.
-No!-
sbottò, lanciando la balestra a Gwaine senza
nemmeno guardarlo prenderla al volo ed imbracciarla. -Non posso
lasciare
indietro papà!- aggiunse, gli occhi che saettavano sulla
lettiga nell’angolo
della casetta.
-Penserò
io a lui, Sir! Vai!- la esortò il
fratello, prendendo l’arco da caccia che aveva portato con
sé e raggiungendo
Gwaine sulla soglia, mentre il fuoco delle torce e la rabbia dei
paesani
cominciavano a sovrastare il silenzio attutito della nebbia.
Caspian
scosse la testa, prendendole il
viso fra le mani per cercare di calmarla. -Porta via tuo padre. Io
resto con
loro.- le disse, prima di lasciarla andare e sguainare i tre coltelli
da lancio
che aveva preso l’abitudine di utilizzare.
I
tre ragazzi s’infilarono fuori dalla porta,
pronti a dare battaglia, appostandosi ai lati della casa: riuscivano a
distinguere la massa di disperati che si stava avvicinando, armata di
tutto ciò
che aveva trovato per affrontarli… armata di frecce, che
scoccarono dalla
nebbia portando con sé le fiamme delle torce.
Frecce
incendiarie.
Caspian
le vide conficcarsi nel tetto di
paglia della capanna, e si sentì morire quando si rese conto
che Siria era ancora là dentro.
-No!-
sbottò, ma quando provò a raggiungere
la casupola la mano forte di Gwaine lo agguantò per il
bavero, trattenendolo lì
dov’era.
-Fermati,
idiota! Nessun fuoco scalfirà mai
quella ragazza!- lo redarguì senza nemmeno guardarlo in
faccia, lasciandolo
subito andare per tornare a lanciare dardi sulla folla inferocita.
Ma
Caspian rimase interdetto da
quell’affermazione, le iridi illuminate dal fuoco che
già divampava su quel
tetto dismesso.
§
Siria
si deterse la fronte, stringendo più
saldamente la stretta sulle spalle di suo padre: ogni suo singolo
pensiero, in
quell’istante, era concentrato sul mantenere quelle fiamme
furiose lontane da
lei e da Roan, sperando che ad Aaron o a Gwaine venisse la brillante
idea di
accorrere in suo aiuto.
Non
avrebbe ancora resistito per molto.
Un
paio di travi del soffitto erano
crollate davanti a loro, costringendola ad accucciarsi assieme al
genitore per
evitare di essere travolta: il fuoco divorava il legno di cui era fatta
la
capanna, ma sembrava esitare nell’avvicinarsi al punto in cui
Siria proteggeva
se stessa e suo padre.
-Siryn…-
la voce di Roan le fece perdere
concentrazione: le fiamme avanzarono di qualche centimetro, ruggendo
per la
frustrazione di essere tenute a bada in quel modo da una creatura che
le aveva
sempre ostinatamente rifiutate.
-Non
distrarmi, papà.- lo ammonì lei,
svelta, ma Roan sciolse con delicatezza la stretta della figlia dalle
proprie
spalle, strappandole un’imprecazione incredula.
-Siryn,
lascia perdere.-
Le
iridi piene di fuoco di Sir saettarono sul
padre, allibite.
-Cosa?-
balbettò, senza capire, fissandolo
con un misto di sorpresa ed incomprensione: che cosa intendeva dire con
lascia perdere? Lei non avrebbe
lasciato
perdere! Se avesse perduto il controllo su quelle fiamme sarebbero
stati
travolti e divorati vivi, esattamente come…
Sgranò
gli occhi, Siria, quando il vivido
ricordo di sua madre in agonia si mescolò al furibondo fuoco
che ardeva intorno
a loro.
-Non
ti lascerò qui!- sbottò, scoccando al
padre un’occhiata piena di rimprovero: non poteva chiederle
una cosa del genere…
non poteva chiederle di abbandonarlo!
Roan
sorrise, stanco, accarezzandole il
viso ancora una volta: poteva quasi specchiarsi nei lineamenti di
Siria, e
poteva vedervi l’ombra della donna magnifica che sarebbe
diventata.
-Sto
morendo, bambina. Tu puoi ancora
scappare, ma io… sono arrivato alla fine, ormai.-
sussurrò, piano, con una
serenità tale da far riempire di lacrime gli occhi di sua
figlia.
Era
giunto alla fine della sua strada.
Aveva
percorso un lungo cammino, durante la
sua vita: aveva amato due donne meravigliose, che gli avevano dato due
figli
splendidi e coraggiosi - e le aveva
perdute, le aveva perdute entrambe… era giunto il
momento di raggiungerle
là dove, finalmente, avrebbe potuto trovare la pace che da
troppi anni non
tornava più a fargli visita.
Aaron
e Siria ce l’avrebbero fatta… erano
due ragazzi forti e determinati, avrebbero superato quel dolore e
sarebbero
andati avanti.
Li lasciava
in buone mani.
-Papà,
non posso…- singhiozzò Siryn,
prendendogli le mani fra le proprie, scongiurandolo in una muta e
disperata
preghiera di non toglierle anche quel poco che le restava della sua
famiglia.
Con
gentilezza, però, Roan sciolse quella
stretta angosciata, allontanando il tocco della figlia da sé.
-Va
bene così.- la rassicurò e, nello
stesso istante in cui pronunciò quelle parole, seppe che
Zaira lo aveva
aspettato per tutti quegli anni proprio là, nel fuoco che
l’aveva uccisa e
salvata e che avrebbe protetto anche sua figlia… e seppe che
era giunto davvero
il momento di andarsene, perché soltanto le fiamme avrebbero
potuto portarlo
via con sé alla fine del suo viaggio.
-È
tua madre che sta venendo a prendermi.- sussurrò,
felice davvero per la prima volta da troppo tempo, fissando quelle
lingue
ardenti con una rinnovata ed incredula speranza. Le pose in grembo quei
pochi
oggetti legati alla sua infanzia, quelli che Siria aveva visto entrando
e che
Roan aveva salvato dal fuoco poco prima: la bambola, le spade di legno,
la
scatoletta del cucito… e le sorrise, sfiorandole la testa
rossa con tutta la
dolcezza di un padre, infondendole quel coraggio che Siria sapeva di
non
possedere.
-Vai,
Siryn. Vai.- la esortò, senza più
temere il calore rovente che lo stava raggiungendo.
Siria
esitò, combattuta ed angosciata come
mai prima d’allora.
Cosa
doveva fare?
Forse
sarebbe riuscita a portare via suo
padre da quell’inferno… ma perché, poi?
Per condannarlo a morire per le ferite
interne, per torturarlo in un’agonia che nessuno poteva anche
soltanto lenire?
Roan
voleva andarsene… voleva raggiungere la
donna che aveva amato, in quel fuoco che gliel’aveva
strappata e che, adesso,
gliel’avrebbe restituita.
Cosa
doveva fare?
Si
alzò in piedi, passandosi il dorso della
mano sul viso per cancellare le lacrime e voltandosi, dando le spalle
al padre:
allungando le dita, sentì un pizzicore piacevole e familiare
solleticarle i
polpastrelli, quando le fiamme li sfiorarono e vi s’avvolsero
come allegre ed
innocue salamandre.
Quel
fuoco sarebbe stato misericordioso, con il suo papà.
Tornò
a guardare Roan, sorridendo con una
tristezza terribile nello sguardo, chinandosi per baciarlo
delicatamente in
fronte prima di fare un passo indietro, lasciando che il fuoco
arrivasse a
solleticarle le caviglie.
-…addio,
papà.- sussurrò, infondendo in
quelle due uniche parole tutto l’amore per quel padre che
aveva perduto troppi
anni prima, chiudendo gli occhi e rinunciando, in silenzio, al
controllo sulle
fiamme che stava tenendo a bada l’incendio.
Quando
la capanna crollò, lei era già
lontana.
Era
riuscita ad attraversare indenne quel
marasma, stringendo convulsamente al petto quegli unici cimeli che
erano tutto
ciò che le rimaneva di suo padre e di sua madre, della
famiglia che aveva
avuto, dell’innocenza di bambina che aveva lasciato assieme a
Roan in quella
casupola ormai distrutta.
Siryn,
la ragazzina solare con le trecce
rosse, stava morendo assieme al suo adorato papà; ma Siria,
adesso, non doveva
piangerla, perché sapeva di avere ancora qualcuno per cui
valeva la pena
lottare.
Raggiunse
la stalla abbandonata dove
avevano lasciato i cavalli, sciogliendo in fretta le briglie e
stringendole nel
pugno mentre balzava in sella a Destriero, il più massiccio
ed autoritario fra
le quattro bestie: gli altri tre lo avrebbero seguito senza troppi
intoppi, ed
era ciò che le serviva.
Depose
con dolcezza i suoi ricordi nella
bisaccia, prima di sferrare un deciso colpo di talloni nei fianchi
dell’animale,
partendo al galoppo.
Là
fuori, il caos regnava incontrastato.
I
tre ragazzi avevano rinunciato alle armi
a lunga distanza, sguainando le spade e lanciandosi in un disperato
corpo a
corpo con la massa di contadini e soldati male in arnese che li avevano
aggrediti; Gwaine, il più vicino, balzò in sella
non appena Siria lo raggiunse,
agguantando Aaron un istante prima che venisse trapassato da un forcone
arrugginito.
Lei
scalciò con rabbia, colpendo in faccia
lo sconosciuto aggressore di suo fratello che strillò come
un maiale sgozzato,
cadendo all’indietro proprio sotto gli zoccoli dei cavalli.
Sguainò
la spada, spronando il cavallo
verso Caspian e trapassando da parte a parte un soldato lercio e
appestato
dalla puzza di alcool scadente… senza accorgersi
dell’arciere di fortuna alle
sue spalle, e della freccia che venne scoccata direttamente contro di
lei.
-SIR!-
Gwaine
voltò la testa di scatto, giusto in
tempo per vedere il dardo sfrecciare verso Siria, lo sguardo sorpreso
della
raminga… ed agì.
-HOIGHEAR!-
gridò, con una voce roca e profonda che quasi nessuno aveva
mai sentito prima d’allora.
Sentì
l’energia salire potente e maestosa
dal suo petto al braccio teso verso Siryn, fino alla terra che li
circondava e
che vibrava sotto di loro – esplodendo in due giganteschi
pugnali di ghiaccio che
emersero dal terriccio per frapporsi tra Siria e la freccia che stava
per
colpirla.
Tutto
sembrò pietrificarsi, in quel
momento.
Quella
terribile e maestosa magia lasciò
tutti immobili, basiti davanti a ciò che il ragazzo era
stato in grado di
provocare: ma, dopo un attimo di sbigottimento, la follia e la paura
presero il
sopravvento, le urla che si facevano più stridule e
agghiaccianti, atterrite da
quell’eresia che spaventava i telmarini più di
qualsiasi altra cosa.
Magia.
Ma
Caspian, nonostante la sorpresa,
approfittò di quella confusione senza perdere altro tempo,
balzando in groppa
all’ultimo cavallo e spronandolo per fuggire da
quell’inferno di fuoco e di
ghiaccio.
§
Avevano
cavalcato per tutta la notte, ben
decisi a lasciarsi alle spalle quante più miglia possibili
fra loro e quel
maledetto villaggio di Telmar: non avevano quasi parlato fra loro,
troppo
impegnati a guidare i cavalli in mezzo alla foresta in quella corsa
folle e
disperata, finché il Sole non era sorto su Narnia
dissolvendo lo spettro opprimente
di quella follia collettiva che li aveva assaliti.
Si
fermarono sul greto del torrente che li
avrebbe condotti alla Cripta di Aslan, stremati e stanchi almeno quanto
le loro
cavalcature: fu Siria a liberare le povere bestie ansimanti dai
finimenti e
dalle selle, permettendogli di tuffare il muso nell’acqua
limpida e di brucare
liberamente l’erba bagnata di rugiada attorno
all’argine.
Senza
parlare, tutti e quattro si lasciarono
crollare sul manto rigoglioso che componeva il sottobosco, sentendosi
esausti e
svuotati come non mai.
Solo
dopo diversi minuti Caspian ruppe quel
silenzio, voltandosi verso Gwaine.
-Tu
sei uno stregone.- affermò, senza
nemmeno l’ombra del dubbio negli occhi scuri. Gwaine
annuì, un sorriso
sardonico sul bel volto affilato, lanciando una rapida occhiata in
tralice all’espressione
allarmata di Siria.
-Sì,
sono un simpatico mostriciattolo padrone
del ghiaccio.- cinguettò, incapace di trattenere il proprio
sarcasmo: insomma,
a cosa sarebbe servito? Caspian lo aveva visto praticare la magia,
sarebbe
stato inutile tentare di negare l’evidenza. -Vuoi uccidermi,
principino?- gli
chiese, inarcando un sopracciglio: sarebbe stato interessante vedere
cosa
sarebbe potuto succedere se l’amato principe di Siryn avesse
provato ad
attaccarlo e lei fosse intervenuta… non che ci tenesse a
scoprire quanto male
potesse fare una rossa estremamente incazzata, ecco.
-Streghe
e stregoni, da quel che so, sono
delle minacce concrete per Narnia.- Siria sentì lunghi
artigli affilati
squarciarle il petto, alle parole caute e misurate di Caspian: eppure,
dentro
di lei, una minuscola vocina le fece notare quanto poco convinto le
sembrasse
il suo principe, quanto poco credesse alle sue stesse
parole… le parole di Peter, non le
sue. Le parole di
un uomo che si era visto portare via tutto dalla magia, ma non quelle
di
Caspian…
-Ma
tu… tu hai salvato Siria.- aggiunse
infatti il ragazzo, alzandosi faticosamente a sedere e fissando il
bruno antagonista
con uno sguardo indecifrabile, complicato – uno sguardo che
saettò per meno di
un secondo su Siria, prima di tornare a Gwaine.
-Caspian,
non tutte le streghe e non tutti
gli stregoni sono malvagi. Gwaine non lo è.- intervenne
Aaron, la voce pacata
che non nascondeva del tutto la preoccupazione che sentiva annodargli
lo
stomaco.
Il
principe si volse, però, verso Siria.
-Lo
sapevi?- le domandò, in quel tono
risoluto e determinato a cui Siria non sarebbe mai stata in grado di
mentire. Annuì.
-L’ho
sempre saputo.- rispose,
sorprendendosi per la calma con cui aveva ammesso quella
verità: Caspian non le
sembrava arrabbiato, non le sembrava fanatico come Peter nei confronti
delle
persone come Gwaine…
Forse…
Forse c’era davvero una speranza per lei…
Il
giovane principe chiuse gli occhi, rimanendo
in silenzio per un po’, meditabondo.
Da
ciò che aveva sempre sentito da Peter,
dagli altri Pevensie, dai racconti del nano Nikabrik, maghi e streghe
erano
creature potenti e temibili, nemiche giurate di Narnia e dei suoi
regnanti: se
li era figurati maestosi e terrificanti come la Strega Bianca
raffigurata sulle
pareti interne della Cripta, eppure Gwaine gli sembrava
così… così normale.
Siria
aveva detto di aver sempre saputo la
verità, e non aveva motivo di mentirle: ma che cosa gli
stava nascondendo?
Aveva
capito già da tempo che c’era
qualcosa, in lei, che Siria temeva con tutta se stessa: non gliene
aveva
parlato e lui aveva deciso di rispettare la sua scelta, sapendo che lo
avrebbe
fatto quando si sarebbe sentita pronta… ma se si fosse
trovato davanti alla
verità, in quel momento?
Se
Siria fosse stata come il suo vecchio
amico, se fosse stata una… una strega?
Avrebbe
spiegato l’affermazione di Gwaine
in mezzo al marasma dell’incendio… nessun
fuoco scalfirà mai quella ragazza. Che cosa aveva
voluto dire?
Lui
era ormai sicuro di aver avvertito la
presenza di Zaira, la madre di Sir, nel fuoco della febbre e del
delirio dopo
aver salvato le ragazze da Flynch: forse Gwaine si era riferito a
questo, forse
Siria era la figlia di una strega – ma allora tutto
ciò che sapeva di maghi e
streghe era sbagliato… era sicuro che Gwaine, per quanto
imbecille, non fosse
malvagio: e Siria… amava quella donna con tutto se stesso e,
se si fosse
rivelata essere davvero una strega, ciò che provava non
sarebbe cambiato.
Ma avrebbe
dovuto proteggerla ancor più di prima.
-Vattene.-
esclamò improvvisamente, risoluto,
riaprendo gli occhi e fissandoli su Gwaine. Quello aggrottò
la fronte,
sconcertato, guardandolo come se fosse improvvisamente impazzito.
-Cosa?-
Caspian
scosse la testa, massaggiandosi le
tempie e cercando di rimettere ordine nel caos di pensieri che gli si
accavallavano nella mente.
-Peter
ti ucciderebbe, se venisse a sapere
cosa sei. Vai via adesso, prima di tornare là.-
spiegò, alzandosi in piedi,
subito imitato dagli altri tre.
Andò
a prendere uno dei quattro cavalli,
quello che gli sembrò più forte e sano: lo
sellò, sistemando nelle bisacce
tutto ciò che rimaneva delle provviste che si erano portati
dietro dalla Cripta
– lui, Aaron e Siria avrebbero potuto cacciare e riempire le
borracce in quel
torrente, non avrebbero avuto problemi sulla via del ritorno.
Una
volta terminato di sellare la bella
bestia, la portò lui stesso a Gwaine, sotto gli sguardi
allibiti dei due
fratelli.
-Quando
sarò re, persone come te potranno
vivere in mezzo agli altri senza dover scappare.- affermò,
consegnando fra le
mani di un ammutolito Gwaine le briglie del cavallo,
l’espressione salda e
determinata di un Re che si sovrapponeva a quel giovane volto di
ragazzo.
-È
la prima cosa intelligente che ti sento
dire da quando ti conosco, principino.- fu tutto ciò che il
bruno, sconcertato
per la prima volta nella sua vita, riuscì ad esalare.
Scambiò
un’occhiata incredula con Aaron e
con Siria, non riuscendo a non chiedersi se l’uomo che aveva
davanti era
davvero il principe di Telmar che tanto aveva detestato sino a quel
momento.
E
poi, sorprendendo più se stesso di
chiunque altro, sorrise e tese la mano al giovane, gli occhi castani
che si
rischiaravano e tornavano a riempirsi della consueta, familiare ironia.
-Bada a
Siria, Caspian Decimo. E ricorda sempre la scelta che hai compiuto
oggi.-
affermò, chinando appena la testa in segno di rispetto
quando Caspian annuì e
gli strinse la mano con quella forza inaspettata che il giovane
stregone aveva
appena intravisto in lui.
Si
separarono e Gwaine si avvicinò ad Aaron,
abbracciandolo con sincero affetto e dandogli un’amichevole
pacca sulla spalla:
sapeva che l’amico stava soffrendo, ma sapeva anche di
lasciarlo fra le mani di
due signore donne che avrebbero fatto di tutto per non permettergli di
crollare.
Lo
lasciò andare per rivolgersi a Siria –
sorridendole, per la prima volta da quando si erano ritrovati, senza
malizia.
-Gwaine…-
cominciò lei, le guance rosse per
l’imbarazzo e l’adrenalina causata
dall’ultima conversazione fra lo stregone e
Caspian; ma Gwaine scosse la testa, avvicinandosi per posare
delicatamente le
dita su quella guancia candida e soffice.
Era
diventata davvero bella, sì. Forse anche
troppo per riuscire a dimenticarla di nuovo.
-Ci
incontreremo di nuovo, Sir.- la
rassicurò, ben sapendo di non dover osare troppo, anche solo
per rispetto nei
confronti di Caspian. Le diede un buffetto sul naso, lasciando
scivolare via la
mano in una carezza accennata, agrodolce, che strappò un
sorriso triste alla
ragazza. -Nel frattempo… sopravvivi.- le ricordò,
facendole l’occhiolino e
riservandole il suo migliore sorriso da furfante.
Siria
rise, una risata tremula ed incerta,
ma sincera.
Non
voleva lasciar andare Gwaine, ma sapeva
di non poterlo trattenere lì: Caspian aveva ragione, Peter
non lo avrebbe accettato…
eppure sentiva che, adesso più che mai, lo avrebbe voluto
vicino, pur di non
perdere quell’ultimo legame con la persona che era stata
tanti anni prima.
Doveva
lasciarlo andare via.
Annuì,
sentendo le lacrime annodarlesi
ancora una volta in gola: ma non avrebbe pianto, non più,
perché sapeva che la
ragazzina che si era invaghita di Gwaine era morta definitivamente
poche ore
prima, nell’incendio che aveva portato via suo padre
– e non sarebbe servito a
nulla aggrapparsi a lui pur di tenerla con sé,
perché sapeva che era giunto il
momento di crescere e di andare avanti.
Per
entrambi.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Sono viva, sono viva, non ci credo ma sono viva!
Dai che mi faccio perdonare, pubblico sempre dei capitoli
così lunghi quando ci metto quattro mesi ad aggiornare...
spero che almeno valga la pena aspettare ^^' a me non sembrano malaccio
xD
Ho un sacco di cose da dire su questo capitolo!
Allora: prima di tutto, vi ricordo sempre Memories,
che contiene una one-shot su Siria
e Gwaine da bambini. Poi: in questo capitolo si velano molte
cose di Siria, e si comincia ad accennare ad una verità che,
dopo 35 capitoli, sarebbe anche ora che venisse fuori! Caspian ci
sorprende tutte quante con la sua intelligenza (è una
novità anche per me, finora s'è limitato a
mettere in mostra i boccoli e la permanente!) arrivando a capire,
forse, qualcosa di lei. Non vi confermo niente, ma vi dico soltanto che
Siria è forse più, forse meno, forse qualcosa di
diverso da ciò che lui ha capito.
E' interessante la maturazione che ha il personaggio di
Caspian, e il momento in cui si differenzia da Peter come persona e
come Re: nel film lo vediamo quasi succube del Supremo Idiota, ansioso
della sua approvazione e
anche, secondo me, sessualmente sottomesso (ehm). Lui non
ha motivi di odiare la razza di Gwaine, in fondo: cosa hanno fatto
maghi e streghe a lui? Niente! E' abbastanza intelligente (?) per
capire che sono prima di tutto degli esseri umani, cosa che Peter non
ha mai capito chissà
perché.
Altro personaggio: Roan.
Roan mi piace come personaggio, è più complesso
di quanto mi sarei aspettata io stessa: è un padre,
sì, ma è anche un uomo stanco di vivere menomato,
sulle spalle dei figli che danno a lui i soldi ricavati dal
mercenarismo, con addosso la colpa di non aver protetto la figlia e di
aver costretto Aaron a farle da padre. La sua morte era inevitabile, e
spero di averla resa al meglio possibile.
ED
E' HORATIO CANE, PERDIANA. SIRIA HA UN PADRE FIGO.
Aaron mi ha commossa tanto: sta cercando di fare il fratello
maggiore, di comportarsi da adulto, ma soffre per la perdita del padre
più di quanto sembri. Susan se lo coccolerà fra
un paio di capitoli ^^
Infine, Siria. Siria in questo capitolo si svela tanto, forse
più di quanto abbia mai fatto durante l'intera fanfiction:
Siria abbandona definitivamente la bambina che era in lei, la lascia
lì, con suo padre, perché sa che l'ultimo legame
con i suoi genitori è definitivamente spezzato. Per lo
stesso motivo, lascia che Gwaine se ne vada, non protesta né
si oppone: sa che lui appartiene al suo passato, mentre adesso - e
l'ultima parte l'ha convinta ancora di più - è
Caspian il suo futuro.
Vi ricordo inoltre la Pagina
su Facebook delle mie fanfiction su Narnia, dove potrete
trovare tanti album
di foto e tante curiosità sui personaggi della fic,
principali e non!
Non so dirvi quando arriverà il prossimo capitolo,
perché non ho dei tempi ben precisi: fate conto che, in due
giorni, ho scritto quello che avete appena letto! Non so quanto
potrò metterci con la stesura del prossimo, magari un mese,
magari una settimana, chi lo sa ^^' so che arriverà, e che
questa storia vedrà una fine certa!!!
Grazie
ancora della vostra infinita pazienza ;) PER NARNIA a tutti voi!
La
Fonte di Quarzo era il luogo perfetto per lasciare che i
pensieri facessero il proprio corso.
Si
era formata tanti secoli prima in una piccola deviazione
del corso del lungo fiume che serpeggiava, assieme ai suoi numerosi
affluenti,
per tutta Narnia; l’acqua aveva eroso la roccia per lunghi
decenni, portando
infine alla luce la pietra rosata e levigata che dava a quella piccola
polla un
delicato colore simile a quello del cielo durante il tramonto.
Aveva
sempre amato quel luogo, Shaylee, sebbene si trovasse
appena fuori dai confini del regno naiade.
Era
il luogo segreto dove, per tante volte, aveva incontrato
Nihar, al riparo da occhi indiscreti… se si fosse
concentrata su quei ricordi,
avrebbe potuto ancora scorgere il punto esatto in cui si erano seduti
in un
caldo pomeriggio d’estate; Nihar aveva suonato la cetra per
lei e lei lo aveva
seguito con il flauto, componendo una melodia meravigliosa e struggente
che
aveva fatto danzare persino le driadi di Narnia.
Ah,
Nihar… chissà cosa diresti se mi vedessi ora.
Scosse
la testa, sfiorando con svogliatezza la superficie
limpida dell’acqua, distinguendo un pesciolino argentato
guizzare fra le druse
rosee del quarzo: un salice enorme era cresciuto sulla riva,
proteggendola
ancor di più da eventuali sguardi indiscreti…
l’ultima volta che era stata lì
non aveva visto altro che un piccolo alberello smagrito,
notò, con una fitta di
nostalgia al pensiero di quanto tempo avesse passato lontano da casa. I
rami
sottili ricadevano nell’acqua, mischiandosi con le ninfee ed
offrendo rifugio a
quei tanti piccoli animaletti che vivevano nella polla.
I
lunghi capelli d’oro bruno ricaddero ai lati del suo bel
visetto di bambola, scendendo a sfiorare quello specchio trasparente e
cristallino: la figura riflessa della bella naiade vibrò,
svanendo nei tremuli
cerchi concentrici causati da quel tocco.
Era
stanca, Shaylee.
Mairead
le aveva ordinato di ritirarsi lì per meditare, ma
la frustrazione e l’impazienza non facevano altro che
ammassare ancor più
livore nel suo animo tormentato.
Su
cosa avrebbe dovuto riflettere, in fondo? Era convinta di
sapere ciò che voleva ottenere, aveva un obiettivo davanti
ed intendeva
raggiungerlo a qualsiasi costo… e allora, perché
tutti parevano così poco
favorevoli nei confronti sue scelte?
Peter,
Talia, persino Edmund si era dimostrato scettico,
persino… persino Siria.
Sì,
anche Siria le aveva detto di lasciar perdere, di
piantarla con quella storia secondo lei assurda e
dettata dal senso di
colpa; le parole dure e furibonde della raminga le risuonavano ancora
in testa,
pungolando in continuazione quella coscienza di sé che
Shaylee avrebbe voluto
poter sradicare dalla propria anima.
Lei
non era fatta per combattere.
Questo
le aveva detto Siria, questo avevano dimostrato i
fatti accaduti durante la prigionia: lei era una creaturina
delicata che
doveva rimanere lontano dalla guerra, lontano dalle brutture del mondo,
che
poteva e doveva soltanto scappare quando la
situazione si faceva troppo
pericolosa per il suo bel faccino…
Strinse
i denti quando quella frustrante consapevolezza
bruciò, per l’ennesima volta, dentro di lei.
Lei
non era fatta per combattere.
Mairead
l’aveva umiliata, dimostrandole chiaramente quanto
fosse inadatta a tenere in mano qualsiasi tipo d’arma: la
Sovrana sì, lei era
stata una grande guerriera – tanto grande da essere in grado
di salvare un
intero popolo, creare un luogo protetto dai nemici e nascondere i
superstiti
narniani dagli artigli sporchi di sangue degli invasori.
Ma
lei? Lei no, sapeva che non sarebbe mai stata in grado di
compiere un’impresa del genere: no, lei doveva intestardirsi,
improvvisarsi guerriera quando il suo stesso animo trovava
inaccettabile l’idea
di fare del male ad un essere vivente, prendere decisioni avventate che
avevano
avuto l’unico risultato di farla sentire ancora
più impotente.
Era
vero, in fondo: lei non era fatta per combattere.
Sospirò,
passandosi le dita sottili fra i capelli e
tirandoli indietro, volgendo le iridi dorate al cielo limpido.
No,
in fondo lo sapeva, non era adatta a maneggiare un’arma
e a combattere con la furia di Siria o la gelida metodicità
di Talia. Non aveva
un popolo da guidare come Peter, e non aveva una vendetta da compiere
come
Caspian.
No,
lei non era così.
Lei
non amava la guerra, lei avrebbe voluto vivere in pace
nella Narnia che aveva amato da bambina senza più sentir
parlare di battaglie,
sangue, dolore: eppure, per riavere indietro quel paradiso, lo scontro
fra i
due eserciti doveva avvenire per forza… uno scontro che
avrebbe chiamato in
causa le forze ancestrali dei Quattro Elementi.
Serrò
le unghie con tanta forza da sentirsi ferire il palmo,
provando l’irrazionale impulso di colpire la superficie di
quell’acqua limpida
con tutta la forza che possedeva; prese fiato, socchiudendo gli occhi e
concentrandosi il più possibile sui dettagli del luogo che
la circondava,
tentando di estraniarsi da se stessa e dai pensieri che la stavano
torturando.
Invano.
Come
poteva anche soltanto pensare di poter fare
qualcosa di utile in battaglia quando i suoi poteri non si degnavano
nemmeno di
risponderle?
L’Acqua
la ignorava, rimanendo silente sotto la disperata
richiesta dei suoi palmi… era così da quando
aveva dato fondo ai suoi poteri
per curare Siria, ma se lei fosse stata davvero degna
non sarebbe
successo.
Già…
perché lei non era mai stata degna di indossare il
ruolo di Guardiana.
-Problemi
con l’Acqua, sorellina?-
Il
riverberare di una voce cristallina spezzò il quieto
silenzio che l’aveva circondata sino a quel momento,
strappandole un violento
sobbalzo ed un’imprecazione che certo non aveva imparato
nell’elegante regno
delle Naiadi.
Si
voltò verso la fonte di quel suono, allibita ed
incredula; là, accoccolata sul bordo arrotondato della drusa
che si affacciava
direttamente sulla polla, c’era una ragazzina dai lunghi
capelli biondo cenere,
raccolti in una bassa coda scomposta che lasciava sfuggire alcuni
ciuffi dorati
che le circondavano il visetto dalla carnagione di porcellana.
Shaylee
sentì il cuore cominciare a martellarle nel petto,
quando le sue iridi dorate incontrarono quelle chiare, del medesimo
grigio
indefinito che colorava le nubi nelle tempeste, della giovane fanciulla
che le
sorrideva, incerta, a poco più di una iarda da lei.
-Aysell!-
_
§
_
Un
improvviso vuoto alla bocca dello stomaco costrinse Siria
a piegarsi in due sul collo del suo destriero, la vista che si
appannava ed i
pensieri improvvisamente confusi.
Talia,
al suo fianco, boccheggiò; la stessa sensazione
l’aveva travolta con pari intensità, facendole
quasi scivolare le redini dalla strettae sgranare gli allungati occhi castani.
La
mente che si contraeva su se stessa, ribellandosi al
giogo che ne aveva serrato sin troppo a lungo i frammenti
più importanti.
La
mezz’elfa strinse le dita bronzee sul cuoio dei finimenti,
chiudendo le
palpebre e cercando di controllare il violento tremito che le stava
sconvolgendo il corpo, il cervello… l’anima
stessa.
Anni,
decenni, secoli di bugie svanirono in quel preciso
istante, quando nelle
orecchie avvertì l’eco di un nome leggero e
frusciante che tanto lei quanto
Siria erano state costrette a dimenticare molto
tempo prima.
Avvertì
la stretta delle mani forti e rovinate di Siria sulle spalle, Talia,
quelle
mani in grado di falciare la vita dei nemici con una
semplicità terrificante;
socchiuse gli occhi, vedendo brillare – per un
terribile istante – le
cicatrici candide che solcavano i polsi sottili di Siria.
Era
stata Shaylee a cambiare le bende su quegli squarci, giorno dopo
giorno, sotto
due occhi vispi e grigi come il burrascoso cielo di una primavera
incalzante.
Le
iridi delle due donne, colme di significati spesso opposti e
contrastanti,
s’incrociarono quando Siria abbassò la testa per
sincerarsi della salute
dell’amica; ed assieme si colmarono di una cangiante
verità che aveva
pazientemente atteso di essere rivelata dalla musicale voce della loro
amica
naiade.
Aysell.
_
§
_
Shaylee
incespicò fra i cristalli arrotondati che componevano il
fondale della polla,
raccogliendo le vesti fradice con una mano ed aiutandosi con
l’altra ad
arrampicarsi sulla drusa che ospitava la giovane ninfa.
Aysell.
I
suoi occhi la vedevano ma il cuore non riusciva a crederci,
perché era passato
talmente tanto tempo dall’ultima volta che aveva potuto
godere della presenza
di quella naiade acerba che, purtroppo, aveva cominciato ad accantonare
la
speranza di tornare a stringere fra le braccia.
Aysell.
La
ragazzina rise, allungando una mano per aiutare Shay a raggiungerla: e
la
castana sentì il petto esploderle di gioia quando
percepì il tocco lieve e
fresco delle dita minute sul braccio, reagendo d’impulso a
quel contatto e
tirandosela bruscamente addosso.
Aysell.
Calde
lacrime intrise di commozione le rigarono le gote nivee, quando
poté finalmente
serrare contro il petto quel corpicino delicato e scosso dalla medesima
felicità.
Era
davvero lei…
Chiuse
gli occhi, affogando il pianto negli arruffati capelli d’oro
della fanciulla,
lasciandosi stordire dall’evanescente profumo di foreste e
neve di cui erano
impregnati. Credeva di aver dimenticato cosa significava averla
lì, piccola e
sparuta, fra le braccia… credeva di aver
dimenticato sua sorella.
-Aysell…-
si scoprì priva di fiato, Shaylee, l’intero corpo
squassato da singhiozzi che
non sembravano intenzionati a scemare tanto presto; si
scoprì incapace di
lasciarla andare, anche solo quel tanto che le sarebbe bastato per
guardarla in
volto.
Aysell.
Scioccata,
sconvolta, confusa dalla moltitudine di sentimenti che
l’avevano travolta, la
mente della naiade impiegò una manciata di secondi in
più del necessario a
cogliere la palese nota stridente dell’intera situazione.
Facendo
forza su se stessa separò la ragazzina da sé,
sforzandosi di fermare il pianto
che le annebbiavano la vista di quel volto tanto amato e
così a lungo serbato
nella parte più remota dei suoi ricordi.
Aysell
non era cambiata, eppure guardarla la riempiva di una commozione
talmente forte
da serrarle la gola in una dolce agonia: aveva le guance arrotondate
dalla
giovinezza ancora evidente in lei, le gote arrossate dalla gioia ma,
nelle
iridi di un indefinito color grigio perla, s’agitavano nubi e
tempeste solo in
parte esternate dalle lucide lacrime che le imperlavano le folte ciglia
bionde.
-Aysell,
che cosa ci fai qui!?- esalò, tenendo le mani serrate sulle
braccia esili della
sorella, chiedendosi – finalmente
– perché Aysell non si trovasse al
sicuro in un semi-irraggiungibile eremo sperduto fra le più
alte montagne di
Narnia.
La
ragazza sorrise, lasciando intravedere una chiostra di denti piccoli e
candidi
al di là delle labbra sottili così simili a
quelle di Shaylee.
-Mairead
ha pensato che avresti avuto bisogno di vedermi.- si limitò
a giustificarsi,
stringendosi nelle spalle e guardandola dal sotto in su con
quell’espressione
un po’ birbante di cui la sorella tanto aveva sentito la
mancanza.
-Aysell,
io…- sentì il cuore gonfiarsi ancora una volta,
Shay, le parole che
incespicavano l’una sull’altra nel tentativo di
trovare il desiderio di farle
un rimprovero per quel gesto pericoloso e sconsiderato.
Però…
semplicemente… non ci riuscì.
Rise,
felice ed esasperata allo stesso tempo, tirandosela di nuovo addosso e
stringendola in un abbraccio meno irruente del primo ma pregno del
medesimo
affetto e della contentezza che sentiva traboccarle
dall’animo.
-…sciocchina.-
sussurrò all’orecchio della giovane, serrando le
palpebre per impedire agli
occhi di bruciare. -Mia piccola sciocchina.-
_
-Aysell,
stai attenta!-
La
bambina bionda ride, sfuggendo alla
presa della sorella maggiore per correre incontro al cerbiatto che sta
serenamente brucando a pochi metri di distanza da lei.
Shaylee
scuote la testa, lanciando
un’occhiata in direzione dei genitori: sua madre annuisce,
accennando alla
piccolina come per darle il permesso di tenerla d’occhio.
Prima
che la sorella possa
raggiungerla, però, Aysell incespica e rovina a terra,
strappandosi la veste
candida e graffiandosi la coscia sottile e paffuta.
-Aysell!-
Allarmata,
Shay le corre accanto,
abbracciandola quando vede due grosse lacrime perlacee spuntarle agli
angoli
degli occhioni grigi. La bambina le si accoccola addosso, sfregandole
il
visetto sulla spalla ed aggrappandosi con forza alla tunica della
sorella.
Shaylee
sorride, intenerita,
accarezzandole i lunghi capelli scompigliati e cullandola amorevolmente
fra le
braccia.
-Sciocchina.-
le sussurra, mentre il
cerbiatto si avvicina, curioso, per capire il motivo di tanto
trambusto. -Mia
piccola sciocchina.-
_
Aysell
strofinò la fronte sulla spalla della sorella, ridacchiando
fra sé e
stringendosi con la stessa forza di bambina alla sorella maggiore. -Mi
sei
mancata, Shay.- miagolò, separandosi poi a malincuore
dall’abbraccio per
guardarla negli occhi.
Sbuffò,
liberando la fronte dai ciuffi dispettosi che non riusciva mai a
raccogliere,
sventolandosi appena la piccola mano davanti al volto. -Avevo
dimenticato
quanto fosse caldo, qui… lassù
c’è sempre freddo.- commentò,
guardandosi in
giro e beandosi della bellezza un poco eterea della Fonte di Quarzo.
Il
cipiglio di Shay s’indurì appena, mentre le iridi
dorate scrutavano la sorella
con occhio critico.
-Infatti
sei pallida.- commentò, strappando una risatina allegra alla
giovane. Sospirò,
ravviandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio
– riordinando con quel
gesto elegante anche i pensieri. -Non dovresti essere qui, adesso.
È
pericoloso.- osservò, guardandosi ansiosamente intorno alla
ricerca di una
qualsivoglia minaccia che potesse mettere nei guai quella pasticciona
della sua
sorellina.
Ancora
una volta, però, Aysell fece spallucce, sedendosi
sull’orlo della drusa e
trascinando l’altra accanto a sé.
-Non
importa. Volevo vederti, Mairead mi ha detto che non stai bene.- si
limitò a
giustificarsi, inclinando appena il capo per osservare la castana di
sottecchi.
Erano
sempre state estremamente diverse, loro due: Shay si era dimostrata fin
da
piccola una vera damina, posata ed aggraziata come la minore non era
mai stata;
ma nessuno aveva mai compreso quanto il legame che le univa superasse
di gran
lunga le diversità che le caratterizzavano.
Prese
per mano la sorella, portandosela in grembo e fissandola
insistentemente in
quelle iridi limpide, lucenti, che – lei lo vedeva
– celavano però un
tumulto estremamente profondo. -Che cos’è
successo? Perché sei triste,
Shaylee?-
La
maggiore sussultò, sorpresa, boccheggiando appena quando
avvertì uno sgradevole
vuoto spalancarlesi nello stomaco.
Aysell
era ancora in grado di leggerle dentro… come aveva potuto
allontanarla così
tanto da sé, dai propri ricordi, dai propri pensieri?
D’accordo, non era del
tutto colpa sua, ma non si era ribellata
all’incantesimo che Mairead aveva
posto su tutte loro… lei, prima di chiunque altro, aveva
remissivamente
accettato che la sua adorata sorellina le venisse bruscamente strappata.
-Io…-
cominciò, ma un doloroso nodo in gola le impedì,
per un istante, di parlare.
Come poteva spiegare ad Aysell quante cose erano successe negli ultimi
sei
mesi, che cosa si era scoperta in grado di provare, le avventure che
aveva
affrontato? Come poteva dirle di Peter, di Siria e di Caspian, dei Re e
di
Aslan?
Prese
fiato, tentando di rilassarsi quel tanto che le sarebbe bastato per
riuscire a
raccontarle tutto; e, una volta iniziato, fu difficile smettere.
Aysell
la ascoltò senza mai interromperla, ridendo e trattenendo il
fiato al momento
giusto, fissandola intensamente con quelle iridi chiare che nessuno era
mai
riuscito a definire del tutto. Alla fine la abbracciò,
asciugandole le lacrime
con i polpastrelli delicati, lasciando che Shaylee le posasse la testa
sulla
spalla.
-Ti
lascio sola un momento, sorellona, e guarda quante ne combini.-
_
-È
l’unica soluzione.-
Aysell
si stringe a Shaylee, cercando
di nascondersi dietro la figura più alta e slanciata della
sorella maggiore. Al
suo fianco, intimorita quanto lei dalla Sovrana delle Naiadi e stretta
alla
mano di una piccola, sottile mezz’elfa che comunque la supera
di tutta la
testa, c’è una bambina dai capelli rossi con gli
occhi pieni di lacrime a
stento trattenute.
-Non…
non mi sembra giusto.- mormora,
affrontando temerariamente lo sguardo intenso e altero della donna.
Mairead
la scruta assottigliando appena
le palpebre, scambiando un’enigmatica occhiata con Talia
prima di tornare a
lei.
-Siryn,
tu più di chiunque altro
dovresti capire quanto possa essere pericoloso lasciare che Aysell
venga
scoperta.- le spiega, il tono rigido che si ammorbidisce appena davanti
agli
occhi imploranti della bambina umana.
-Nessuna
di noi la tradirebbe mai!-
protesta, strattonando la mano che Talia non sembra aver intenzione di
lasciar
andare. Scocca un’occhiataccia alla mezz’elfa che
le stringeva le dita, tirando
il braccio e liberandosi dalla presa. -Io non voglio dimenticare
Aysell!-
Aysell
trasalisce, sentendosi nominare
dalla piccola Siria: ci sono diversi secoli d’età,
fra loro, ma nessuna delle
due dimostra più di tredici anni.
Mairead
non si scompone davanti
all’esplosione della giovane telmarina, ricambiando il suo
sguardo furioso ed
accettando pacatamente la sua protesta con un lieve cenno del capo.
-Aysell
è indifesa e inerme, Siryn, al
contrario di quanto io possa dire di voi tre.- le spiegò,
indicando la
mezz’elfa, la naiade più grande e la stessa
ragazzina con l’indice snello.
La
Sovrana delle Naiadi è perfettamente
conscia del pericolo che le Figlie di Aslan stanno correndo in quel
preciso
momento: sa che dovrà dividerle, per far sì che
il loro destino si compia.
-Il
tabù che vi imporrò proteggerà
Aysell e la sua compagna sino a che i tempi non saranno maturi per il
suo
ritorno.-
_
-Non
avrei mai pensato che in sette anni potessero succedere così
tante cose.-
commentò la bionda naiade, ignara dei ricordi che avevano
appena attraversato
la mente della sorella. -Siria e Talia come stanno?-
domandò, senza riuscire a
resistere alla curiosità che aveva dovuto tenere a freno per
sette lunghissimi
anni.
Mairead,
saggia e calcolatrice come la più spietata dei condottieri,
aveva segregato la
piccola Aysell in un eremo montano, assieme ad una protettrice potente
e
fidata, molti secoli prima di quel momento, permettendole solamente
brevi e
sporadiche visite nel regno delle naiadi: era una scelta che Shaylee
aveva
appoggiato a malincuore, benché sapesse che proteggere sua
sorella era più
importante di qualunque sentimentalismo potesse porle degli scrupoli.
Sette
anni prima, quando Talia aveva trovato Siria e l’aveva
condotta da loro, Aysell
si trovava lì: le due bambine avevano legato immediatamente,
donando ad
entrambe quella compagnia fresca e sincera che era sempre mancata nelle
loro
vite travagliate.
La
sicurezza di Aysell, però, aveva dovuto prevaricare anche
quella nascente
amicizia: Mairead aveva imposto un tabù che avrebbe relegato
i ricordi di
Talia, Siria e Shaylee in un angolo oscuro della mente, in modo che
nessuno –
interrogandole o torturandole – avrebbe potuto rivelare
l’identità della
fanciulla e mettere a repentaglio la sua essenziale sopravvivenza.
Mairead
aveva posto anche la condizione in cui il tabù avrebbe
potuto essere spezzato:
soltanto Shaylee, pronunciando il nome della sorella, avrebbe avuto la
facoltà
di rivelarla… ed era esattamente questo il motivo per cui,
da sette anni a
quella parte, la Sovrana aveva impedito che Aysell visitasse il regno.
La
maggiore delle due naiadi sorrise, i volti delle due amiche che
balenavano fra
i suoi pensieri: in quel momento, probabilmente, le due ragazze si
stavano
scambiando uno sguardo attonito e felice, mentre i ricordi legati ad
Aysell
tornavano prepotentemente a farsi vivi nelle loro memorie.
-Amano.-
si limitò a rispondere, perché spiegare quanto
gli occhi delle due mezzosangue
si fossero riempiti di vita, da quando avevano conosciuto
l’amore, sarebbe
stato impossibile. -Mirime…?- domandò poi, il
sorriso che si accentuava nel
comprendere che i ricordi legati ad Aysell le avevano anche restituito
la
memoria di una delle sue più care amiche.
La
bionda rise, spensierata.
-Ci
aspetta da Mairead.-
_
Una
ninfa sottile e longilinea tiene
per mano Aysell, che piange in silenzio mentre abbraccia prima Siria e
poi
Talia: il tabù entrerà in azione non appena lei e
la sua protettrice se ne
andranno, ottenebrando i ricordi delle tre che rimarranno.
Shaylee
scambia con la giovane donna
uno sguardo angosciato, cercando negli occhi dorati
dell’altra un minimo di
rassicurazione.
Mirime,
ravviandosi indietro i lunghi e
lisci capelli color cioccolato, annuisce. -Mi prenderò cura
di tua sorella,
Shaylee. Puoi starne certa.- le promette, avvicinandosi
all’amica per
abbracciarla con trasporto. Entrambe sanno che per molto tempo a venire
non
potranno nemmeno pensare l’una all’altra, ma questo
non implica che il loro
affetto verrà in qualche modo intaccato dalla lontananza.
-Non
so se sarò in grado di gestire la
Guardiana dell’Acqua.- mugola Shaylee, angosciata, sulla
spalla dell’altra
ninfa. Mirime sorride, con quel sorriso saggio e distante che Shaylee
ha
imparato a conoscere ed apprezzare, alzando lo sguardo per fissarla in
volto.
La
paura della naiade è giustificata,
lei lo sa bene: avere a che fare con il potere di una delle Figlie di
Aslan,
non avendone il diritto dalla nascita, può portare chiunque
alla follia;
eppure, Mirime sa bene che Shaylee sarà in grado di
affrontare quella sfida
senza problemi.
-La
gestirai, perché così è stato
deciso molto prima che tutte noi nascessimo.-
_
Shaylee,
più serena di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni,
si alzò in piedi e
prese per mano la piccola, avviandosi verso la terraferma al di
là della drusa.
-Allora non facciamole aspettare.- la esortò, precedendola
sul terriccio
soffice, lasciandola andare per cercare le proprie scarpette.
Un
fruscio.
La
bruna naiade si bloccò, congelata, quando un rumore estraneo
spezzò la quiete
della Fonte di Quarzo. Aveva passato abbastanza tempo in un
accampamento
militare per imparare a riconoscere un suono sospetto…
Allungò
un braccio, facendo cenno alla sorella di accucciarsi fra i cristalli
rosati e
portando l’altra mano al pugnale dorato che Peter le aveva
dato in pegno mesi e
mesi prima.
-Aspetta,
Aysell.- sussurrò, lo sguardo che dardeggiava intorno a loro
alla ricerca della
sorgente di quel fruscio innaturale.
Doveva
proteggere sua sorella.
Sfilò
il pugnale dal fodero, avvertendo la magia pulsare debolmente nel
sangue
assieme all’adrenalina: non era pronta, non era capace di
lottare, l’Acqua
ancora non era tornata completamente da lei e__
-AAH!-
Aysell
incespicò all’indietro, strillando per il dolore,
quando un dardo di balestra
le affondò nella schiena e le fece perdere
l’equilibrio: Shaylee ebbe appena il
tempo di voltarsi, scorgendo l’espressione terrorizzata della
minore, prima che
la bionda cadesse all’indietro e sparisse oltre i flutti
agitati della polla
profonda.
-NO!-
La
ninfa balzò in avanti, pugnale sguainato, quando vide una
figura snella e
rapida fiondarsi sulla ragazzina – non fu abbastanza rapida,
però, perché un
secondo dardo le sfiorò la tempia e le accecò gli
occhi di sangue e dolore,
facendola crollare in ginocchio.
Prepotente
come le tempeste invernali ed irruente come i fiumi montani
l’Acqua esplose
dentro di lei, mutando la consistenza del suo corpo in puro cristallo
liquido;
la ferita si rimarginò all’istante e lei
– ansante, confusa ma illesa – si
costrinse ad alzarsi in piedi e a fronteggiare la nuova minaccia.
La
Fonte di Quarzo si stava intorbidendo alla svelta, arrossata dal sangue
che
sgorgava dalla ferita profonda di Aysell. La ragazzina era emersa,
tossendo, ma
una mano rude le si era serrata sulla gola sottile e vi aveva puntato
una corta
ma affilata spada telmarina.
Shay
serrò la mascella, fissando il volto nerboruto ed estatico
dell’aggressore che
imprigionava sua sorella.
-Sta’
buona, streghetta, altrimenti la bambina farà una brutta
fine.- l’avvertì lui,
guardandola con un languore che sfociava nell’osceno e
stringendo ancor di più
Aysell al petto.
-Lasciala
andare. È un consiglio.- replicò lei, pacata e
tranquilla come in realtà non
era, preparandosi a rivoltare contro l’uomo le acque
insanguinate della polla.
Era stato un grosso errore attaccarle in un luogo come quello, dove le
naiadi
erano più potenti e al sicuro.
Tutte
tranne Aysell…
-Shay_!-
singhiozzò la fanciulla, terrorizzata, serrando le dita
sottili sul braccio del
telmarino.
-Zitta!-
la minacciò lui, premendo la lama sulla sua carne ed
incidendovi un lungo
taglio trasversale da cui il sangue scarlatto colò
immediatamente, macchiando
l’acciaio.
Shaylee,
rimasta immobile a pochi metri di distanza, osservò
attentamente quell'anima rivolgersi nuovamente a lei:
doveva agire ma doveva farlo in fretta, perché
all’uomo
sarebbe bastato un istante per ucciderla… come
faceva Siria a pensare
lucidamente in quelle dannate situazioni!?
-Penso
che questa bella ragazzina verrà con me. Ti assomiglia, sai?
Se è una strega
come te, mi frutterà un gruzzoletto niente male.-
-Io
non sono una strega!- esplose la bionda, tentando di divincolarsi in
preda ad
una crisi d’isteria e dolore troppo grandi per essere
trattenute: no, lei non
era niente, non era nemmeno più una naiade a dire la
verità, la magia aveva
abbandonato il suo corpo tanto tempo prima… -Non sono
niente! Lasciami andare,
pezzo di__-
-Zitta!-
il telmarino, spazientito, afferrò la ragazzina per i
capelli e la spinse sotto
il pelo dell’acqua, trattenendola nonostante lei lottasse con
tutte le sue
forze.
-AYSELL!-
_
-AYSELL,
SCAPPA!-
Shaylee
afferra un arco e cerca di
tendere la corda, ma i soldati di Telmar la colpiscono e la fanno
rovinare a
terra, il volto insanguinato. Alle sue spalle, la casa dove hanno
vissuto con i
loro genitori brucia, portando con sé i loro resti.
Aysell,
dal corpo trasparente come
quarzo ialino, fa per uscire dall’acqua del ruscello per
aiutare la sorella –
ma la maggiore urla di nuovo, fermandola.
_
Stava
annegando… che destino inusuale per una ninfa della razza
naiade.
Aveva
rinunciato alla magia molti secoli prima di quel momento, sapendo di
fare la
cosa giusta per salvare se stessa e Shaylee, ottenebrata dal dolore
della
perdita e dalla cieca rabbia che l’aveva invasa.
Adesso,
però, l’Acqua che le aveva sempre protette
entrambe si rivoltava contro di lei,
entrandole in gola e riempiendole i polmoni di un gelo innaturale che
aveva il
sapore amaro della morte.
-Ferma,
altrimenti le taglio la gola.- il suono della voce dell’uomo
le arrivò
ovattato, lontano, attraverso i flutti ammorbati dal sangue che stava
copiosamente perdendo: la spada premette con più forza sulla
sua carne soffice,
incidendola nel profondo.
-AYSELL,
NO!-
_
-SHAYLEE,
NO!-
È
un attimo, un istante: la Guardiana
dell’Acqua si erge in tutta la sua spaventosa magnificenza
dalle acque torbide
del ruscelletto, attirando l’attenzione dei telmarini che
stanno aggredendo
Shaylee.
Tutto
ciò che Aysell desidera, in quel
momento, è salvare sua sorella: nient’altro le
importa, e niente può fermarla.
L’Acqua
le risponde, le ubbidisce,
esplode in tutta la sua devastante intensità dal suo
corpicino di bambinetta e
travolge tutto quanto: pensieri, emozioni, consapevolezze, tutto
svanisce fra
quei flutti che erompono da lei con il solo scopo di proteggere
Shaylee…
…abbandonando
lei.
_
No,
Shaylee non poteva permettere che sua sorella morisse: Aysell era la
sua
piccola sciocchina, non sarebbe affogata davanti ai suoi occhi
inermi… non
nell’Acqua a cui la sua coraggiosa sorellina aveva rinunciato
per salvare lei.
Aysell
non sarebbe più stata indifesa… mai
più.
Lei
non era importante, la bambina che aveva amato come una figlia invece
sì: in
quell’istante cristallino Shaylee capì che non le
sarebbe importato morire,
purché Aysell uscisse illesa da quella polla insanguinata.
Nemmeno
si accorse della pelle rosea che stava sostituendo la carnagione
trasparente
delle ninfe, tanto era forte ed assordante il battito del cuore che le
martellava le costole.
Niente
era più importante della sua adorata sorellina… e
niente gliel’avrebbe
portata via.
Un
flutto ghiacciato emerse dalla polla e sferzò alle spalle il
telmarino, colto
alla sprovvista da quell’attacco infido: fu scagliato
indietro, le dita che
scivolavano e perdevano la presa sul corpo debole e agonizzante di
Aysell.
Da
dove veniva…? La strega era tornata umana sotto i suoi
occhi…
Tentacoli
cupi e letali emersero dal pelo dell’acqua torbida,
avviluppandosi al torso e
alle gambe dell’uomo. Lui gridò, atterrito da
quella magia che non comprendeva,
ma una notte profonda stava calando in quei flutti anomali, il quarzo
che
scintillava minacciosamente dalle sue celate profondità.
Il
sangue rosso della ragazzina parve sciogliersi, mescolarsi alle nubi
che
parevano essersi scatenate sotto il pelo dell’acqua: tutto si
fece fitto ed
impenetrabile, ma il telmarino ebbe appena il tempo di scorgere gli
ardenti
occhi d’acciaio che brillavano in
quell’oscurità prima che lo sconosciuto
mostro marino affondasse dentro di lui, squarciandolo da parte a parte
ed
inondando ogni suo organo interno di quei liquidi misteriosi e letali.
Morì
in un attimo, seppellito dall’acqua che aveva invaso e
profanato con la sua
sola, immonda esistenza.
_
§
_
Mairead
riaprì gli occhi dopo quella che le era parsa una
quantità di tempo immensa ed
indefinita, trovando ad accoglierla un profondo paio di topazi
giallastri che
racchiudevano l’essenza stessa di ciò che Narnia
rappresentava.
-L’Acqua
è tornata alla sua legittima Guardiana.-
annunciò, prendendo un paio di respiri
profondi e cercando di scacciare la sensazione che l’aveva
invasa quando Aysell
aveva assunto nuovamente il ruolo che le spettava: ogni creatura legata
a mari
e fiumi avrebbe avvertito il ricongiungersi di Elemento e Guardiana, ed
ognuno di
loro sapeva che il giorno della verità era oramai prossimo
ed inevitabile.
Mirime
annuì, giocherellando con apparente serenità con
una ciocca dei propri
liscissimi capelli scuri.
-Allora
è giunto il momento perché Aysell si riunisca
alle sue compagne.- commentò, non
senza tradire un fremito irrequieto nella voce altrimenti musicale:
attendeva
quel momento da troppi secoli perché fosse in grado di
contarli e la sua
pazienza, solitamente quasi infinita, era ormai agli sgoccioli.
La
Sovrana del regno delle Naiadi annuì, concordando con le
parole della ragazza.
-Tu
e Shaylee non l’accompagnerete… non subito,
almeno. Ho alcune cose da
insegnarvi.- Mairead sorrise fra sé, notando il disappunto
disegnarsi sul volto
della ninfa; ma la ignorò, recuperando un piccolo scrigno di
vetro da un
elegante mobile in cristallo, lanciando un’occhiata
affettuosa alle due gemme
iridescenti che racchiudeva prima di consegnarlo nelle mani eleganti di
Mirime.
-Prima,
però, fai in modo che la Guardiana abbia questi.-
.
.
.
.
.
.
My Space:
So di essere sempre più imperdonabile, non ho
scusanti. Però mi dispiace T___T ho lasciato da parte
Rebirth per un po', presa com'ero da Seven Gods e scoraggiata dalle
difficoltà che ho incontrato scrivendo questo capitolo.
Però ce l'ho fatta ancora una volta, e ancora una volta vi
prometto che finirò la storia, parola di lupo ^^'
Allora! Siamo arrivati ad un punto focale, direi!
Aysell è un personaggio nuovo, fresco e frizzante
almeno quanto intrigante da descrivere e caratterizzare: come avete
potuto leggere, lei è la sorella minore di Shaylee, nascosta
per molti secoli dal mondo telmarino e protetta, negli ultimi sette
anni, da un tabù creato da Mairead. Questo tabù
(che comunque spiegherò meglio nel prossimo capitolo)
implica che i ricordi di Shay, Siria e Talia venissero offuscati e
relegati in un angolo della mente, in modo che Aysell (e Mirime con
lei) fosse protetta in caso di cattura o interrogatorio. Soltanto
Shaylee, pronunciando il suo nome e riconoscendola, ha potuto spezzare
il tabù, e per questo Talia e Siria erano così
sconvolte.
Perché Aysell è stata nascosta?
Perché la vera Guardiana dell'Acqua è lei, non
Shaylee. Aysell, da bambina, quando gli uomini di Telmar hanno ucciso i
loro genitori e attaccato le due ragazze, voleva proteggere a tutti i
costi la sorella... e, così volendo, il potere di Guardiana
si è completamente trasferito in Shay, salvandole entrambe.
Shaylee, in questo capitolo, ha fatto la stessa cosa: voleva
ardentemente salvare la sorella ma, essendo impossibilitata a muoversi,
la sua volontà ha agito come specchio di quella di Aysell
tanti anni prima.
Sarà comunque tutto meglio spiegato da Aysell
stessa, nel prossimo capitolo :) ormai siamo in dirittura di arrivo! :D
Serbavo questo colpo di scena da un po': non mi piace fare le
cose scontate, come forse avrete avuto modo di capire in questi anni.
Aysell è rimasta lontana dai pensieri delle tre protagoniste
proprio per via del tabù, ma adesso assumerà
nuovamente il proprio ruolo e ciò che significa. E' una
delle Figlie di Aslan e, come tale, agirà e dal suo
comportamento nasceranno reazioni ed effetti. Vi aspettano un bel po'
di casini, da ora in avanti...come se io non ne avessi già
combinate a sufficienza!
Ho un paio di noticille da segnare: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U Infine, volevo suggerirvi il volto che ho immaginato
per Aysell, che è quello carino e dolcioso di Ashley Benson:
qui sotto trovate qualche immagine :)
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Siria
spalancò gli occhi, bruscamente strappata alla
profonda pace interiore che la meditazione le aveva permesso di
raggiungere.
-CRA!-
Il corvo che le
si era appollaiato sul ginocchio gracchiò di
nuovo, fissandola con insistenza. Lei lo squadrò, inarcando
un sopracciglio con
fare critico.
-D’accordo,
io non sto mai ferma, ma scambiarmi per cadavere
mi sembra un tantino esagerato.- commentò, sorvolando sulla
bizzarria della
situazione e sostenendo, non senza una punta di sarcasmo, lo sguardo
petulante
del pennuto.
-Cra.-
replicò lui, per nulla impressionato, tendendo con
fare imperioso l’artiglio sinistro verso di lei; Siria
sospirò, chiedendosi per
quale nefasto motivo le fosse stato mandato proprio un corvo
come latore
delle notizie che stava aspettando.
L’uccello
le permise altezzosamente di sciogliere il laccio
che assicurava il messaggio alla sua zampa, per poi gracchiare
un’ultima volta
prima di volare via, non senza dedicarle un buffetto affatto cordiale
di una
delle sue grandi ali nere.
-Cioè,
non solo mi mandano un corvo, ma me ne mandano anche
uno con un pessimo carattere!- brontolò la raminga,
rassegnata, srotolando alla
svelta la pergamena sottile e scorrendone il contenuto con malcelata
curiosità.
Ad ogni riga il
suo cipiglio si faceva sempre più incredulo,
mentre un sorrisetto divertito andava disegnandosi sul suo bel volto.
Terminò
la lettura in pochi minuti, ghignando quando colse
l’inconfondibile ironia di
una vecchia amica disegnata nei ghirigori delle lettere; poi si
alzò,
intascando la missiva, e si mise a correre in direzione della vicina
Tana di
Aslan.
.
.
-Caspian, devo
parlarti. Tipo adesso.-
Il giovane
principe si sentì tirare il braccio –
tutt’altro
che gentilmente, oltretutto –, ma non si ribellò
alla stretta che lo trascinò
lontano dalle reclute in fase di addestramento.
Riconobbe il
bagliore scarlatto della treccia che dondolava
sulla schiena di Siria – schiena coperta da un
interessantissimo corsetto
pesante, sì, ma tutt’altro che impietoso sulle
belle curve della giovane.
La rossa lo
attirò in un cantuccio fra gli alberi poco
distante dal campo, sotto al grande olmo che Talia aveva
democraticamente
eletto sua seconda dimora diverse settimane prima.
-È
successo__- cominciò, ma perse il filo del discorso
quando Caspian le catturò le labbra in un bacio ardente,
addossandola al tronco
ed imprigionandola in un abbraccio lascivo in cui Siria si sarebbe
volentieri
lasciata smarrire.
-Dopo.- le
sospirò lui sulla bocca, sorridendo sornione
quando lei, presa in contropiede dall’impeto focoso del
compagno, lo fissò con
quegli occhioni limpidi e spalancati che gli facevano solo venir voglia
di…
-…okay,
più tardi.- miagolò Siria, lasciandosi travolgere
dal languore irresistibile che il corpo tonico e virile del suo
principe sapeva
accendere in lei. Lo tirò a sé, affamata di quei
baci per cui struggeva da mesi
e mesi, immergendo le dita in quei folti boccoli scuri e__
Sussultò,
separandosi a malincuore da quella stretta
fuorviante, arrossendo fino alla radice dei capelli quando lui la
guardò con
una muta domanda impressa nelle iridi corvine –
“Corvine come i corvi,
per l’appunto!”
-No,
sta’ buono, è importante, questo dopo!-
esclamò,
allontanando il ragazzo da sé e tenendolo a distanza con un
indice puntato sul
petto.
-Una volta eri
un ragazzo così timido e impacciato,
principino…- la voce ironica di Talia fece sussultare il
giovane ma non Siria,
che sospirò e lanciò uno sguardo implorante verso
l’alto: lassù, appesa come il
più abile dei trapezisti ai rami nodosi, la
mezz’elfa li stava squadrando
entrambi con qualcosa di simile a puro divertimento a distenderle i
lineamenti
affilati del volto.
La Custode
balzò a terra, agile come un gatto, incrociando
le braccia sul ventre e fissando severamente Siria. -Lo hai trasformato
in uno
schiavo del sesso.- la redarguì, facendo ridere Caspian e
arrossire ancor più
furiosamente l’amica.
-Veramente
l’unica schiava del sesso qui sono io!- protestò
la rossa, paonazza, sgranando gli occhi davanti a
quell’accusa totalmente
falsa: insomma, era stato lui a saltarle addosso,
che diamine! Lei non
aveva fatto proprio niente, per una volta!
Il principe
scosse la testa, divertito, tirandola a sé per
avvolgerla in un casto abbraccio.
-Allora, cosa
dovete dirmi di così urgente da sottrarmi ai
miei piacevoli svaghi di padrone del sesso?- domandò,
trattenendo l’ennesima
risata quando Siria avvampò bruscamente alle sue parole: era
estremamente
divertente metterla in imbarazzo, sì.
-Shaylee non
tornerà all’accampamento ancora per un
po’.- la
salvò Talia, assumendo un’espressione seria e
compita che Caspian le aveva
visto in volto in ben poche occasioni.
-Sono…
sorte delle complicazioni, e Mairead vuole tenerla
con sé per altro tempo.- aggiunse la rossa, intrecciando le
dita a quelle di
lui ma tenendo gli occhi, ora attenti e pensierosi, fissi
sull’amica mezz’elfa.
-Cos’è
successo?- domandò il principe, capendo che ciò
che
le ragazze avevano da dirgli era qualcosa d’importante che,
dato che Peter non
era presente, non avrebbe reso affatto contento il Re Supremo.
Talia fece un
passo avanti, i piedi che si muovevano fra le
foglie secche del sottobosco con una grazia e una delicatezza tali da
far sembrare
il suo corpo in procinto di iniziare una danza antica quanto Narnia; e
Caspian
la guardò, per la prima volta, con l’occhio di chi
sa cosa cercare, vedendo il
suo aspetto di Custode della Terra rilucere appena sotto la patina
abbronzata
della sua carnagione.
-Conosci la
leggenda delle Figlie di Aslan, principino?- gli
domandò, scostandosi i corti capelli neri dalla fronte; lui
annuì. -Come Peter
ti avrà detto, le circostanze mi hanno spinta a rivelarmi.
Io sono la Custode
della Terra, e non sono l’unico Elemento incarnato che
imperversa a Narnia.-
La testa di
Caspian ruotò tanto velocemente da causargli una
fitta al collo, quando il giovane si volse per dedicare
un’occhiata
interrogativa a Siria: che lei fosse uno di quegli Elementi, che lei
fosse una
delle Figlie di Aslan?
La rossa scosse
subito la testa, sapendo quale domanda lui
le stesse silenziosamente ponendo, tenendo però lo sguardo
sempre inchiodato
sull’amica.
-Shaylee
è come te?- chiese allora il ragazzo, tornando a
guardare Talia, che non aveva mancato quello scambio di sguardi ma che,
educatamente, evitò di parlarne.
-No. Lo
è stata, per un po’, dopo aver ricevuto in pegno
quel ruolo dalla vera Guardiana… sua sorella.- la
mezz’elfa vide gli occhi di
lui allargarsi per la sorpresa, ma non la interruppe e le permise di
continuare. -Aysell è più piccola di Shaylee, ed
era poco più di una bambina
quando Telmar invase Narnia ed uccise i loro genitori.- la giovane
tentò di
pronunciare quelle parole nel modo più atono possibile, in
modo da non infierire
sulla vergogna che Caspian sentiva di meritare riguardo a quel
particolare
argomento; ma lui le fece cenno di continuare, sorvolando sulla stretta
che
provò nel sentir nominare quel massacro di cui la sua gente
era la sola
responsabile.
Siria gli
accarezzò il dorso delle dita intrecciate alle
sue, sapendo quanto soffrisse a quel pensiero, invitando
contemporaneamente
l’amica a continuare.
-Shay
rischiò la
vita, quella notte, ed Aysell perse il controllo dei propri poteri: non
abbiamo
mai capito come le fu possibile farlo, ma trasferì
l’interezza della sua magia
a sua sorella. Rimase menomata di ogni briciola di potere, indifesa
proprio
come una bambina…- la voce della mezz’elfa si
spezzò, nel rammentare quanto
Aysell fosse stata piccola e terrorizzata all’inizio della
sua impensabile
prigionia.
-L’Ancella
dell’Aria la prese con sé, mentre Shay sarebbe
rimasta con Mairead. Era la soluzione più sicura mentre la
Sovrana delle Naiadi
cercava un modo per riunire Guardiana ed Elemento, ma… in
tredici secoli Mairead
non è mai riuscita a sistemare le cose.- continuò
Siria per lei, vedendola
incupirsi: entrambe si erano affezionate molto alla piccola naiade, e
non era
facile ricordare – ora che era loro permesso
– quanta fosse stata
terribile quella punizione, non voluta, a cui la sorella di Shaylee si
era
volontariamente sottoposta.
-Fino ad oggi.-
annuì Talia, riprendendosi da quell’attimo
di debolezza.
-Io ho
incontrato Aysell anni fa, quando Shaylee mi salvò la
vita. Però sarebbe stato pericoloso che
l’esistenza di Aysell fosse libera nei
miei ricordi e in quelli di Tallie e Shay; Mairead ci impose un
tabù e ci fece
dimenticare Aysell e tutto ciò che la riguardava, ma poche
ore fa l’incantesimo
si è spezzato.- gli spiegò Siria, cercando di
trovare un modo per dirgli ciò
che doveva sapere senza tradirsi: non era ancora pronta a dirgli tutto,
ma quello era un passo così importante verso la
verità che sapeva di non
potergli nascondere ancora a lungo…
-Aysell
è tornata ad essere la Guardiana dell’Acqua e
presumo che stia venendo qui, adesso.- terminò Talia per
lei, vedendola in
difficoltà.
Caspian rimase
in silenzio per qualche minuto, cercando di
assorbire quella valanga di informazioni senza farsi venire un
terribile mal di
testa; si sentiva spaesato e minuscolo, proprio come quando, mesi e
mesi prima,
si era risvegliato nella tana di un tasso chiacchierone e aveva
scoperto che i
narniani non si erano affatto estinti come aveva sempre creduto.
-Shay non
tornerà?- domandò infine, intuendo dove Siria e
Talia volessero andare a parare: se la naiade non fosse tornata loro
avrebbero
rischiato di perdere Peter… il Re Supremo non avrebbe
accolto volentieri la
notizia di quel cambiamento di piani, ed avrebbe reagito ancora peggio.
Talia scosse la
testa. -Non lo sappiamo. Ma devi essere
pronto ad assumere il ruolo di condottiero, se Peter dovesse crollare.-
A quelle parole,
Caspian s’incupì più di quanto Siria si
fosse aspettata.
Sapeva che
Caspian aveva peccato d’orgoglio e di vanità,
all’inizio di quella crociata: fra lui e Peter si era creata
da subito
un’ostilità reciproca che soltanto ultimamente
cominciava a smussarsi, perché
entrambi avevano lavorato su se stessi e sul proprio – abbastanza
carente in
partenza – senso d’umiltà.
Caspian
però era diventato insicuro, nel tempo, incerto
della propria capacità di comando che Peter gli aveva poco
carinamente
sottratto al proprio arrivo; e Siria questo lo sapeva fin troppo bene,
perché
lei era sempre stata l’unica di cui Caspian si fosse mai
fidato abbastanza per
mostrarle le proprie debolezze.
Talia le rivolse
un cenno, balzando poi verso l’alto,
arrampicandosi sul suo amato olmo, per lasciarli soli. Siria, grata di
quell’opportunità, lo tirò lievemente a
sé per convincerlo a voltarsi, accogliendo
nei propri quegli occhi scuri pieni di timore ed incertezza.
Gli racchiuse il
viso ruvido fra le dita, accarezzandogli
gli zigomi con i pollici. Caspian era cambiato, in quei mesi: il suo
volto
aveva perso le rotondità della fanciullezza e si era fatto
affilato, contornato
da una corta barba disordinata che lo faceva sembrare molto
più adulto di
quanto non fosse, ed i suoi occhi si erano riempiti di una pacata
maturità che,
prima, non c’era mai stata.
-Tu sei il mio
compagno, il mio principe ed il mio Re. Ti ho
giurato fedeltà molto tempo fa, e l’ho fatto
perché credo in te e nell’uomo che
sei diventato.- affermò, sicura di sé e delle
proprie parole, sorridendogli con
dolcezza quando lui le passò le braccia attorno alla vita e
la trasse a sé.
-Sei pronto da tanto tempo, Caspian. Devi soltanto avere fiducia in
ciò che
sei.- aggiunse, lasciando che il giovane premesse la fronte contro la
sua e la
stringesse a sé.
-Sono un uomo a
metà senza di te, Sir.- mormorò, sapendo che
avrebbe potuto guidare anche cento eserciti se lei gli fosse stata
vicina:
Siria era la sua forza, il motivo che lo aveva spinto a migliorare se
stesso e
a diventare quella persona di cui lei era fiera.
Non avrebbe
voluto nient’altro, nessun altro, per il resto
della sua vita.
-Restami
accanto. Sempre.-
.
.
.
Cornell
chinò la testa, in segno di rispetto, quando
l’esile
figuretta della Guardiana dell’Acqua emerse dai flutti del
lago che aveva
sempre accolto sua sorella più grande.
-Mia signora,
è un onore averla qui.- l’accolse, sorridendo
in quel modo mistico e distaccato proprio dei centauri, porgendo il
braccio
alla ragazza per condurla sull’erba che costeggiava la riva
acciottolata.
La bionda
arrossì, imbarazzata, ma accettò di buon grado la
galanteria e si lasciò docilmente condurre dal centauro.
-Non sono una signora,
ma… grazie.- mormorò, abbassando gli occhi grigi
sulle calzature eleganti ma
resistenti che aveva scelto per viaggiare.
Indossava gli
abiti che Mairead aveva fatto cucire
appositamente per l’arrivo alla Tana di Aslan della Guardiana
dell’Acqua, un
completo che Aysell avrebbe potuto utilizzare anche per viaggiare a
piedi ma
che l’avrebbe sempre identificata come qualcuno di rango
elevato: i pantaloni
velati, di stampo calormeniano, si chiudevano sui fianchi e alle
caviglie rimanendo
però ampi e voluttuosi attorno alle sue gambe snelle e
fasciate internamente da
una calzamaglia; un corsetto di un polveroso verde acquamarina le
aderiva al
torso minuto, impreziosito da una pietra posta nell’incavo
dei seni.
Indossava due
bracciali argentei che brillavano di una
strana luminescenza azzurrina ed una cinta di un azzurro spento, a cui
erano
assicurate due piccole bisacce, dello stesso colore della pietra sul
corsetto e
degli elastici che tenevano chiusi sulle caviglie i pantaloni di un bel
blu
polvere. Indossava pochi paramenti, un solo girocollo oltre a quegli
strani
polsini metallici, sempre di quel colore tendente al grigio.
Shaylee aveva
insistito per raccoglierle i capelli
disordinati in una coda, ma erano troppo sottili per rimanere a posto e
sfuggivano in continuazione all’acconciatura, circondandole
il viso imbarazzato
di un alone biondo cenere: sembrava estremamente giovane e
piuttosto
inesperta, si disse Cornell, ma sorrise fra sé
quando ricordò il simile
sguardo spaurito e ferino con cui Siria aveva affrontato le prime
settimane di
quella guerra.
-Sto cercando le
mie compagne…- mormorò la giovane naiade
ma, nello stesso attimo in cui pronunciò quelle parole, una
voce – più adulta e
suadente di quanto ricordasse – lacerò
l’aria.
-AYSELL!-
La bionda si
voltò, sorridendo, appena in tempo per essere
travolta da una valanga umana dai capelli rossi come il fuoco.
Siria era calda,
calda come non era mai stata.
-Aysell…-
le mugugnò la raminga fra i capelli, serrandosela
addosso e notando, sorpresa, quanto piccola fosse al confronto con lei:
ricordava di essere stata alta quanto la naiade, ma non pensava di
essere
cresciuta così tanto…
Aysell.
Era stata la sua
unica amica, la sua unica sorellina, una
creatura piccola e spaventata quanto lei con cui si era trovata ad
avere più
cose in comune di quanto avessero potuto immaginare: Aysell le era
mancata, le
erano mancati i ricordi che si era lasciata strappare dal cuore, le era
mancata
la sensazione di familiarità e affetto che le trasmetteva il
suo abbraccio.
-Siria, mi stai
strangolando!- brontolò la biondina,
divertita, ma si raggomitolò fra le braccia forti
dell’altra ragazza e si
lasciò pazientemente strapazzare. -Anch’io sono
felice di vederti.- le disse,
sapendo che erano quelle le parole giuste per rispondere a quello che
Siria non
sarebbe mai stata in grado di pronunciare. La rossa rise, divertita,
alzando
gli occhi ed allontanandola da sé per osservarla con occhio
critico.
-Ma guardati.
Sei quasi una donna, ormai.- le disse,
studiando il fisico curvilineo della piccola, trovando molte
più forme in quel
corpo, sebbene ancora acerbo, che non ricordava tanto femmineo. Aysell
arrossì
ancora, ma sostenne quei due occhi blu con gioia e fierezza.
-Tu invece lo
sei diventata.- affermò, sorprendendola, prima
che un fulmine bruno le travolgesse tutt’e due e le facesse
capitombolare a
terra in un groviglio indefinito di stoffe svolazzanti, capelli e
risate.
Caspian
sopraggiunse proprio in quel momento e scoppiò a
ridere, vedendo il casino che Talia aveva combinato solo con il proprio
drastico arrivo: non aveva mai visto Talia e Siria esprimere la propria
gioia
in quel modo così espansivo, né avrebbe mai
immaginato di incontrare una naiade
tanto… beh, tanto piccola.
Si
avvicinò, porgendo una mano alla nuova arrivata ed
aiutandola ad alzarsi: lei, stupita, sgranò gli occhi ed
abbassò lo sguardo,
colta in fallo dall’eleganza misurata e galante di quel gesto.
-Presumo tu sia
Aysell. Incantato.- la salutò Caspian, soffiando
quelle parole a pochi centimetri dalla sua mano guantata in un perfetto
baciamano – e lei arrossì fino alla radice dei
capelli biondo cenere.
Talia, che si
era districata da Siria pochi attimi dopo
Aysell, rise e si affiancò al principe, inarcando un
sopracciglio davanti al
ghigno soddisfatto di lui.
-Aysell, lui
è Caspian, il perverso libertino che ha
irretito la virtù della nostra Siria.- lo
presentò, cancellando quella smorfia
soddisfatta dalla faccia dell’amico. Aysell prese fiato,
riprendendosi dall’imbarazzo,
scoccando a Siria un’occhiata obliqua dei suoi grandi occhi
da gatta.
-Quale
virtù?- le chiese, e fu il turno della raminga di
arrossire furiosamente fra le fragorose risate dei presenti.
.
Non poteva non
essere Shaylee.
Quello era il
suo portamento, quella era la sua semplice
acconciatura… quella non poteva non essere la sua Shaylee.
Sorridendo
davvero per la prima volta da settimane e
settimane, con il cuore che batteva forte nel petto, Peter
uscì dalla macchia
d’alberi e s’avvicinò in fretta alla
figuretta esile della naiade – ignorando
lo sgomento di Siria, che gesticolava per chissà quale
motivo in sua direzione
–, raggiungendola e abbracciandola da dietro con una forza
che sfociava quasi
nella disperazione.
-Peter, no!-
gemette la rossa, rovesciando gli occhi al
cielo prima di scoccare un’occhiataccia a Caspian, che non
aveva resistito ed
era scoppiato in una fragorosa risata; Talia scosse la testa,
rassegnata
all’idiozia di quel biondo che si ritrovavano come
condottiero, mentre Aysell aveva
serrato i pugni e gli occhi e tentava di controllare il rossore che le
aveva
ormai invaso il collo ed il viso.
-Mio buon
signore, potrebbe cortesemente lasciarmi andare?-
pigolò, atterrita da quell’estraneo che
l’aveva abbracciata senza alcun motivo
logico.
-Signore?-
commentò Peter, attonito, non cogliendo subito la
bizzarria della situazione: da quando veniva chiamato signore!?
-Eh,
milletrecento anni e non sentirli!- sentì commentare
Talia, ma la ignorò quando si accorse che qualcosa non
quadrava: Shaylee non
poteva essere dimagrita così tanto, né poteva
aver perso almeno cinque o sei
centimetri d’altezza…
-Ma…-
mormorò, allibito, sciogliendo repentinamente
l’abbraccio e permettendo a quella sconosciuta
di fiondarsi,
terrorizzata, fra le braccia di Siria. Rimase lì impalato,
sconcertato, finché
Talia non si avvicinò alla figuretta raggomitolata contro la
raminga e la
indicò con enfasi, scoccandogli uno sguardo di puro
compatimento.
-Idiota, lei non
è Shaylee!- sbottò, abbracciando la
figuretta con un ampio gesto della mano. -Non vedi che è
bionda, Supremo
Imbecille!?- aggiunse, esasperata: loro avevano davvero
affidato il
futuro di Narnia a quel povero rincretinito!?
-Ho provato ad
avvertirti…- mugolò Siria, rivolgendo al
biondo allibito un’occhiata di scuse.
Allontanò
appena Aysell da sé e la costrinse a voltarsi
verso il Re Supremo, sapendo che tutta la raffinata tattica che si era
studiata
per presentarli era ormai completamente andata. -Peter, lei
è Aysell.-
annunciò, scuotendo appena la piccola amica per convincerla
ad aprire gli occhi
e a ricambiare lo sguardo interrogativo di Peter. -Aysell, questo
è Peter, Re
Supremo di Narnia… e, attualmente, il compagno di tua
sorella.- sospirò, senza
trovare un modo migliore per spiegare quella imbarazzante
verità.
Peter, a quelle
parole, trasalì.
Il compagno di
tua sorella, il compagno di Shaylee.
Aysell era
più minuta di Shay, ma condivideva con lei le
forme armoniose del corpo e quelle più affilate del viso;
gli occhi però non
erano dorati ma grigi come il cielo d’inverno e
più allungati, più felini; ed
era effettivamente bionda, un biondo cenere più spento ed
etereo di quello dei
capelli di lui o di Caleb.
Spostò
gli occhi su Siria, che sembrava preda di un profondo
conflitto interiore: ancora una volta, la sua amica raminga gli
stava
nascondendo qualcosa.
-Cosa devi
dirmi, Siria?- le chiese, ignorando Caspian,
Talia e anche Aysell: e la raminga annuì, abbassando lo
sguardo, accennando
alla foresta per suggerirgli di parlare in privato.
.
.
Peter
sospirò, rovesciando lo sguardo al meraviglioso cielo
celeste sopra di loro.
-Pensavo che
Shaylee fosse la Guardiana dell’Acqua.-
mormorò, senza guardare l’amica.
Ne era stato
quasi certo.
Il modo in cui
Shaylee governava l’Acqua non era mai stato
quello che aveva sempre visto utilizzare dalle altre naiadi: la sua era
sempre
stata una magia più profonda, che attingeva a correnti di
potere quasi
dimenticate ma che ancora scorrevano nel cuore stesso di Narnia.
L’aveva
vista alzare fiumi, curare con la magia, riflettere
nell’acqua ciò che i suoi occhi
vedevano… come poteva non essere lei la
Guardiana?
Siria aveva
risposto a quella domanda, spiegandogli che
Aysell aveva rinunciato involontariamente al proprio ruolo tanti anni
prima:
eppure gli sembrava così assurdo…
perché non gli aveva mai detto di
avere una sorella? Come poteva un incantesimo aver
sradicato dalla mente
della sua amata naiade i ricordi di qualcuno tanto importante per lei?
Aveva vissuto a
Narnia per quindici anni, in gioventù, aveva
combattuto una strega che aveva compiuto magie terribili e
spettacolari, aveva
incontrato fattucchiere e maghe di buon cuore e altre capaci di mutare
l’oro in
fiori, ma non riusciva ad accettare che la magia di Mairead avesse
potuto fare
tutto questo.
Era assurdo,
completamente assurdo.
-Non lo
è mai stata davvero.- sospirò la raminga,
scostando
i lunghi capelli rossi da davanti al viso ed intrecciando le gambe
nella stessa
posizione meditativa da cui l’aveva strappata quel corvo
antipatico.
-Per questo non
è ancora tornata?- insinuò il biondo,
alzando la testa dal cuscino d’erba su cui l’aveva
abbandonata e fissando
l’amica con insistenza. -Dimmi la verità, Siria.
È per questo che non torna da
me?-
La ragazza, a
quella domanda, si costrinse a sostenere il
suo sguardo nonostante sentisse il profondo desiderio di guardare
altrove: come
poteva infliggere altre ferite al cuore del suo amico?
-Mairead ha
deciso di tenerla nel regno ancora per un po’,
ma non saprei dirti perché o per quanto tempo.- gli
spiegò, ripetendo pressoché
le medesime parole che aveva detto a Caspian.
Peter rimase in
silenzio, tornando a sdraiarsi con fare
esausto sull’erba carnosa che cresceva, libera e selvaggia,
sulla collina che
loro due avevano eletto a proprio luogo di ritrovo e di pace.
Se solo quella
ragazzina non fosse tornata dal suo dannato
isolamento, Shaylee sarebbe stata di nuovo con lui… chi
aveva avuto la brillante
idea di richiamarla da quell’eremo dove evidentemente
avrebbe dovuto
stare, dato che sembrava assolutamente incapace di badare a se stessa?
-Peter, non
è colpa di Aysell…- mormorò Siria,
cogliendo il
senso dei pensieri che vedeva agitarsi negli occhi del giovane Re; lui
però
voltò la testa, ignorando il suo richiamo e la nota
d’avvertimento che vi aveva
colto all’istante.
-Se lei non
fosse tornata dal suo isolamento, Shay sarebbe
qui.- commentò, più brusco di quanto avrebbe
voluto essere, ignorando il
versaccio dell’altra.
-Peter, non fare
lo stupido.- lo redarguì, infatti, lei;
però, non ottenendo risposta, sentì la pazienza
evaporare nel giro di meno di
un istante. -Peter, guardami in faccia! Subito!- strillò,
esasperata, a voce
talmente alta da far voltare Peter verso di lei quasi immediatamente.
-Aysell è
innocente, ed è la legittima Guardiana. Non puoi prendertela
con lei.- sbottò, in
un tono che non avrebbe ammesso repliche da chiunque altro –
ma Peter,
purtroppo, era più testardo e cocciuto della media delle
persone.
-Come posso non
prendermela con lei!? Siamo passati da avere
una naiade combattiva e orgogliosa come Shay – Siria
inarcò un sopracciglio,
scettica – ad una ragazzina inesperta e impacciata
come quella bambinetta!-
esclamò, esasperato anche lui, alzandosi a sedere e
lanciando all’amica
un’occhiata spazientita: perché lui era
l’unico a vedere quanto danno
avrebbe portato quel cambiamento!?
Siria
aprì la bocca, pronta a ribattere per fargli notare
quanto fosse sfocata la sua idea di
“combattività” quando si ritrovava a
parlare di Shay – provava ancora dell’astio nei
confronti della naiade, sebbene
fossero passate settimane da quella discussione –, ma una
sensazione di
turbamento e vergogna le invase improvvisamente i pensieri, facendola
sussultare.
-Aysell!-
chiamò, voltandosi appena in tempo per vedere una
chioma bionda allontanarsi di corsa verso la cripta.
Aysell aveva
sentito quell’imbecille parlare di lei,
fantastico.
-Sei contento,
stupido idiota!?- ringhiò contro Peter, prima
di balzare in piedi ed inseguire l’amica di corsa.
Ritrovò
Aysell raggomitolata sotto l’effige di Aslan,
scolpita nella cripta, sotto cui anche lei si era rifugiata
più di una volta.
Riusciva a sembrare così piccola, quando si appallottolava
in quel modo…
sospirò, cercando di non lanciare al leone di pietra lo
sguardo di dolore misto
a paura che aveva preso l’abitudine di dedicargli,
raggiungendo la ragazza e
sedendosi al suo fianco.
-Aysell,
piccolina…- mormorò, passandole un braccio
attorno
sulle spalle e tirandosela addosso; Aysell mugolò qualcosa
d’indefinito, gli
occhi grigi ostinatamente nascosti fra le braccia, lasciandosi
però coccolare.
Siria scosse la
testa, divertita dall’ostinato silenzio
dell’amica. -Peter è un imbecille, non devi dar
peso alle sue parole.-
commentò, non senza una punta d’acidità
nel ripensare a quante volte
l’impulsività e la lingua lunga di Peter la
avessero fatta infuriare. Aysell
però continuò a tacere, piccata, e lei
sospirò al pensiero di quanto sarebbe
stato difficile e penoso far andare d’accordo quei due
testardi. -Hai notato la
cicatrice che ha sulla guancia?- le domandò dopo una
manciata di secondi,
sorridendo appena fra sé.
La bionda
alzò lo sguardo, sorpresa dalla domanda; non aveva
una gran memoria visiva, d’accordo, però aveva
notato immediatamente la lunga
cicatrice candida che solcava la guancia del Re Supremo.
Annuì.
Siria
ridacchiò, una risata amara e senza gioia,
arruffandole i ciuffi scompigliati sfuggiti dalla coda alta.
-Gliel’ho fatta
io.- le rivelò, a bassa voce, vedendo il volto
dell’altra riempirsi di
sorpresa.
-Perché?-
le chiese, infatti, rinunciando al proprio mutismo
per dar voce alla propria insopprimibile curiosità.
-Perché
mi diede della sgualdrina.- fu la semplice risposta
della rossa, che sorprese Aysell non tanto per il significato in
sé di quella
frase ma per la serenità e la rassegnazione che trasparivano
dal tono che Siria
aveva utilizzato. Sembrava quasi che la raminga si fosse abituata,
ormai, al
caratteraccio di Peter Pevensie…
-Peter
è un ragazzo impulsivo e propenso a dire tutto
ciò
che gli passa per la mente anche quando dovrebbe evitare, ma
è un buon guerriero
ed un Re giusto.- le spiegò, stupendosi lei stessa per
quella descrizione breve
ma esaustiva che era riuscita a fare di Peter: non pensava di essere
arrivata a
conoscerlo così bene.
Tacquero
entrambe per un po’, ognuna immersa nei propri
pensieri, limitandosi a rimanere lì abbracciate e a godersi
la presenza
dell’altra; poi, però, Siria si alzò
repentinamente in piedi e la trascinò con
sé, il volto illuminato da un nuovo sorriso.
-Dai,
dimenticalo e vieni con me. Tutti i narniani hanno
atteso che la Guardiana dell’Acqua tornasse
all’ovile, e non vedono l’ora di
conoscerti.-
.
§
.
Passarono alcuni
giorni. L’estate stava entrando nel suo
vivo fulgore, segno che non sarebbe durata ancora molto a lungo, ed il
ponte
dei telmarini era vicino ad essere ultimato: le truppe di Peter e di
Siria,
invece, erano ancora molto lontane dall’essere pronte per una
battaglia in
piena regola, ma sicuramente erano molto più preparate
adesso di quanto non
fossero state prima dell’avvento della raminga e del suo
gruppo come insegnanti.
Peter aveva
deciso di assumere un atteggiamento distaccato
nei confronti di Aysell, limitandosi a rivolgerle la cortesia che
gl’imponeva
il proprio rango: la naiade, a cui Siria aveva spiegato tutto il
possibile sul
rapporto tormentato che esisteva fra Peter e Shaylee, aveva invece
optato per
ignorare completamente il Re Supremo, passando il proprio tempo con
Talia e
Siria ed imparando a conoscere la banda di ex-mercenari della rossa e
di suo
fratello, Caspian e gli altri Pevensie.
In un tardo
pomeriggio di quello che Edmund aveva calcolato
essere “agosto”, secondo il calendario ormai in
disuso che lui ed i suoi
fratelli avevano inserito a Narnia durante il loro regno,
l’ufficiale
condottiero dell’esercito si stava allenando contro il suo
ufficioso luogotenente
dai lunghi capelli rossi, davanti agli occhi divertiti di Aysell e del
più
giovane dei tre Re.
-Più
in basso, Re Supremo!- strillò Siria, divertita, quando
Peter evitò per un pelo un affondo che, se fosse andato a
segno, gli avrebbe
quasi sicuramente mozzato il polpaccio; Aysell ridacchiò,
divertita dal modo di
combattere totalmente singolare dell’amica, guardandola
volteggiare fra le lame
che fraseggiavano con una grazia impressionante.
-Infida
puledrina…- mormorò Peter, sogghignando, ed
Aysell rise
di nuovo quando vide l’amica avvampare: l’imbarazzo
le fece perdere il ritmo
dello scontro, permettendo al biondo di farle lo sgambetto e farla
capitombolare a terra, per poi bloccarla immediatamente col peso del
proprio
corpo.
-Non
è valido, idiota! Ti avevo detto di non chiamarmi
più
così, è imbarazzante!-
brontolò Siria, lanciando un’occhiata ammonitrice
ad Aysell – che non smetteva di ridere – e una di
fuoco a Peter, che la teneva
intrappolata sotto di sé con quella che poteva essere
definita solo come
“palese soddisfazione”.
-Ogni cavallo
selvaggio ha il proprio punto debole, puledrina,
ed io sono bravo a trovarli.- fu la risposta di lui – che
commise però l’errore
di distrarsi per arruffarle i capelli e si ritrovò a gambe
all’aria, mentre la
sua fedele Rhindon atterrava a pochi metri da lui.
-È
una qualità che anch’io possiedo, mio caro. Il
tuo,
Peter, è una saccente ed irritante vanagloria.- lo
punzecchiò l’amica, di nuovo
ritta in piedi, rivolgendo un inchino ironico ad Edmund e ad Aysell.
Rivolse
una smorfia al biondo, tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Risero entrambi
e Siria, per dargli il tempo di rimettersi
in sesto, allungò una mano per recuperare la spada di Peter.
“NO!”
Un tremito
gelato la pugnalò all’istante, quando fece per
sfiorare
l’elsa incrociata di quella bellissima arma.
“Lontano da me!”
Sobbalzò,
ritraendosi immediatamente dalla spada,
guardandola con un misto di terrore e ripugnanza del tutto nuovi; il
suo animo
s’agitò ancora, spaventato dall’energia
che pareva emanare il leone dorato
incastonato in quell’arma.
Peter, poco
lontano, la vide impallidire: senza capire
abbassò lo sguardo, avvicinandosi per raccogliere Rhindon
per poi guardare
l’amica, confuso dal suo atteggiamento ferino e sfuggente.
Non aveva
toccato la spada.
Siria non aveva
nemmeno sfiorato Rhindon, aveva soltanto
allungato la mano per prenderla; non capiva perché non
l’avesse fatto, non le
aveva mai impedito di prenderla, sembrava quasi che si fosse sentita
respinta
dall’arma stessa…
Siria non aveva
mai impugnato Rhindon, ora che ci
riflettuto: non ci aveva mai pensato, vero, ma non l’aveva
mai vista prendere
in mano né la sua spada né l’arco di
Susan o la pozione di Lucy… ossia nulla di
ciò che Santa Claus aveva donato loro tanto tempo prima.
Nulla di
ciò che era stato benedetto da Aslan, e che avrebbe
respinto ogni creatura maligna.
…no,
era impossibile.
Siria non poteva
essere malvagia, ne era totalmente sicuro:
probabilmente aveva visto un insetto – quegli animaletti la
terrorizzavano –,
per quello era saltata così… era stato soltanto
un caso che Rhindon fosse lì,
sicuramente doveva essere così.
Prima che
potesse chiederle quale creaturina avesse causato
il suo disgusto, però, tanto Siria quando Aysell
boccheggiarono.
La raminga
crollò in ginocchio, le mani che salivano a
premersi con forza sulle tempie, le labbra schiuse in un muto grido di
quello
che sembrava proprio dolore.
-Siria!-
sbottò lui, rinfoderando la spada per poi accorrere
al suo fianco e sorreggerla, preoccupato. -Che cosa succede?
Cos’avete?- le
domandò, ansioso, passandole una mano sulla fronte madida di
sudore e
scambiando un’occhiata preoccupata con Edmund, che stava
aiutando Aysell ad
alzarsi.
Poteva essere
successo qualcosa a Shaylee, forse? Da che
sapesse lui, il legame mentale che esisteva fra Siria, Talia e Shaylee
poteva
comprendere anche Aysell; non credeva che esistesse un altro motivo per
una
reazione così simile in una Guardiana ed in una semplice
umana…
Siria
però lo ignorò, senza pensare al pericoloso lampo
di
comprensione che aveva scorto nei suoi occhi, guardando Aysell e
trovando,
nelle iridi tempestose dell’amica, il medesimo panico che
sentiva agitarsi
dentro di sé.
Che cosa stava
succedendo?
Chiuse gli
occhi, sentendo il cuore martellarle il petto con
una forza massacrante, cercando di concentrarsi sulla voragine che
aveva
avvertito spalancarsi dentro di sé: e, per un istante,
sentì il gelo della
morte invaderle le membra, atrofizzandole, mentre nella sua mente
– appannata
da un incomprensibile vapore ghiacciato – distinse
il volto di Caspian,
imbambolato ed assente come non lo aveva mai visto.
Sembrava quasi
che si stesse per addormentare, sembrava
quasi ammaliato, quasi… stregato.
-…Caspian.-
sbottò, spalancando le palpebre, balzando in
piedi quando Peter le dedicò uno sguardo confuso. Lo
fissò, permettendogli di
scorgere il terrore che l’animava, sguainando la propria
spada con un gesto
impaziente. -Nella cripta! Caspian è in pericolo!-
sbottò, voltandosi poi verso
Aysell – Aysell, che comprese immediatamente che
cosa stava per succedere.
Si fiondarono
tutti e quattro in direzione della cripta,
mentre la naiade avvertiva mentalmente Talia e lanciava anche un
richiamo
disperato alla mente lontana di Mirime: se ciò che aveva
capito dalla visione
di Siria era vero allora un pericolo più grande di qualunque
altro stava per
abbattersi su tutti loro…
Quando furono
sulla soglia della Tana, però, Peter afferrò
Siria per un braccio e la trattenne, facendo cenno al fratello di
precederli;
Edmund annuì, sparendo nella penombra, ma Aysell,
combattuta, esitò per qualche
istante prima di seguirlo.
-C’è
qualcosa che devi dirmi, Siria?- chiese all’amica,
sicuro del fatto che Siria non gli avrebbe mai potuto nascondere
qualcosa di
davvero importante, guardandola con quello sguardo a cui lei non era
mai
riuscita a dire di no.
Siria
però, per la prima volta davanti a quella domanda che
tante volte lui le aveva posto, esitò.
-Peter…-
mormorò, incerta, i piedi che parevano ancorati
alle pietre del selciato e gli occhi pieni di un’angoscia che
il Re Supremo non
riuscì a comprendere.
Avrebbe dovuto
dirgli tutto… avrebbe dovuto dirgli la
verità, avvertirlo di cosa li aspettava
là dentro, dirgli cosa lei nascondeva
nel più profondo della sua anima.
Avrebbe dovuto
affrontare lo sgomento e la rabbia di Peter,
accettare ciò che il Re avrebbe dovuto fare; avrebbe dovuto
confessargli di
avergli mentito, di avergli nascosto quale creatura orribile si
nascondesse
dentro di lei…
Eppure…
esitò. Guardandolo negli occhi, quegli occhi azzurri
a cui aveva imparato a voler bene, Siria esitò.
Le iridi piene
d’angoscia, il cuore che ruggiva
disperatamente il proprio silente dolore, la raminga abbassò
lo sguardo,
sconfitta.
Non poteva.
Non poteva
pugnalarlo alle spalle in quel modo, non poteva
vedere la delusione e l’odio nello sguardo di Peter, non
poteva pensare di…
non poteva perdere Peter.
Serrò
gli occhi, lottando contro la frustrazione, lottando
contro la paura, maledicendosi mille volte per essersi affezionata
così tanto
al biondo Re di Narnia. Aveva sempre saputo che sarebbe stato
difficile, sì, ma
non aveva mai immaginato di non riuscire a parlare, bloccata da quel
terrore di
perdere quell’amicizia su cui entrambi facevano tanto
affidamento che
imbrigliava la verità nelle sue spire.
Non poteva
dirgli tutto.
Avrebbe
significato spezzare quel bizzarro legame che era
nato fra loro… e non riusciva, non sarebbe mai riuscita ad
accettare di dover
fare a meno di Peter.
-Sir?- si
riscosse soltanto quando il biondo, preoccupato
dal suo repentino silenzio, la chiamò. Le si
avvicinò, vedendo gli occhi
dell’amica bassi, tremendamente angosciati, la paura nelle
labbra morse dai
denti bianchi; scorgere Siria in quello stato era qualcosa che aveva
scoperto
di non essere in grado di sopportare, non senza soffrire assieme a lei.
-Io…
no, davvero. Niente d’importante.- sospirò, Siria,
sentendo qualcosa incrinarsi dalle parti del petto; non c’era
tempo per dirgli
la verità, non adesso, non con Caspian
in pericolo.
Ma non
riuscì ad alzare gli occhi sul volto del biondo, a
guardarlo in viso con la consapevolezza che da lì a poco
tutto quanto sarebbe
stato distrutto comunque; lo superò a passo svelto, serrando
gli occhi, una
lacrima sottile che le rigava lo zigomo e spariva nel folto rosso dei
suoi
capelli.
Mi dispiace.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Guardate come sono stata brava! Ho aggiornato in tempi umani!
Peter: mentre bestemmiava facendosi le sopracciglia e i peli pu__
*SDENG!*
Scusatemi, ogni tanto diventa molesto e mi tocca prenderlo a padellate.
(perché, rendetevi conto, Peter è il mio
neurone-coscienza. Lo so. Sono messa male.)
Allora, ragazzi e ragazze: CE L'ABBIAMO FATTA!
Siamo ufficialmente entrati nell'ultima parte della storia, quella
cardine, quella che svelerà tutti gli arcani! Avanti, vi
voglio tutti e tutte in riga, pronte per lo scontro epocale!
Peter: e per massacrare me a sassate -.-
....ANCHE per quello, Peteronzolo.
Spero che questo capitolo vi piaccia; la parte iniziale, con Siria e il
corvo e poi Siria con Caspian, mi ha fatto ridere come una cretina
mentre la scrivevo :) Il corvo è da parte di Mirime,
comunque, imparerete a conoscerla nella storia che seguira Narnia's
Rebirth, ossia Narnia's Redial - che arriverà su questi
schermi al massimo un mese dopo il termine di Rebirth, il che non
dovrebbe avvenire fra molto tempo.
Sono disperata al pensiero di concludere questa storia, ve lo dico
sinceramente: mi ha accompagnata attraverso tantissime fasi della mia
vita, momenti belli, altri orrendi, mi ha vista crescere come donna e
come scrittrice. Ci sono affezionata quasi più che a
Luce&Buio, QUASI, ma sono due storie molto diverse che, per me,
significano cose egualmente importanti.
Comunque non disperate, ci saranno altre storie su questo gruppo di
sciamannati, ve l'assicuro! A breve dovrei pubblicare una one-shot in Memories,
legata ad Aysell. :)
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto (l'impennata di letture
mi ha fatta TANTO felice *-*), spero che vi stiate chiedendo cosa sta
per succedere e che cosa sta per combinare Siria a quel disgraziato di
Peter.
...ora, una domanda da fangirl.
SONO SOLO IO A VEDERE DELLA SEXUAL-TENSION FRA PETER E SIRIA!??!!?
Peter: TU SEI PAZZA!
Coooomunque. Qualche notiziola utile.
Qua sotto vi mostrerò un'immagine, creata dalla mia
fantastica beta e best DreamWanderer, che rappresenta la mappa di
Narnia aggiornata nei minimi dettagli nei confronti di Rebirth; se non
ho fatto casini con NVU dovreste riuscire a visualizzare l'immagine
ingrandita su DeviantArt cliccando sull'immagine stessa qua su EFP :)
Inoltre, appena sotto, vi offro uno scorcio degli abiti da viaggio di
Aysell, stessa roba cliccando sull'immagine: sempre creazione di
DreamWanderer! Come farei senza di lei? :D
Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.
Le pietre
opalescenti incastonate nei bracciali di Aysell brillarono di luce
propria
quando la naiade si scagliò con tutto il suo peso addosso al
nano Nikabrik.
Lame di
pura energia azzurrina scaturirono da quei monili improvvisamente non
più così
innocui, crescendo lungo il profilo delle braccia della ragazza nello
stesso
attimo in cui lei attaccò con furia il nano armato di spada
corta.
La lama
magica cozzò contro quella d’acciaio, producendo
uno stridore agghiacciante che
le trasmise un brivido gelido; la ragazza ruotò su se
stessa, parando un
attacco per pura fortuna per poi assalire di nuovo
l’avversario con due
fendenti che lo costrinsero ad allontanarsi bruscamente da lei.
Era
la prima volta che metteva a frutto l’allenamento che Mirime
le aveva imposto
per secoli.
Nikabrik
attaccò dal basso verso l’alto per prenderla di
sorpresa, ma la magia di Aysell
rispose prim’ancora di lei: le pietre brillarono ancora e le
lame scomparvero,
mutando in uno scudo opalescente che vibrò terribilmente
quando la spada del
nano vi s’abbatté.
Il
dono di Mairead era tremendamente difficile da controllare, ma lei non
aveva
tempo per imparare.
Aysell
riprese fiato, balzando indietro e fissando astiosamente il nemico:
Siria le
aveva detto che quello non era un nano come Trumpkin, che si era
dimostrato
amichevole e gentile come pochi della sua razza avevano mai fatto, ma
un essere
vile e colmo di rancore di cui non ci si poteva fidare.
Aveva
avuto ragione.
Con un
imperioso ordine mentale, la Guardiana ritirò lo scudo e
spinse l’energia dei
cristalli a mutare in due sottili pugnali dalla lama ondulata; Mirime
le aveva
insegnato ad utilizzare praticamente qualsiasi arma, nel corso degli
anni, ma
quelli erano di gran lunga i suoi favoriti.
-Non
giocare con cose più pericolose di te, ragazzina magica!-
sbottò il nano in sua
direzione, scagliandolesi addosso subito dopo; lei però
piroettò con la grazia
di una ballerina, affondando un colpo che s’immerse con
precisione nel braccio
sinistro del nano e lo fece imprecare.
Poco
lontano, Edmund si lasciò sfuggire un paio di colorite
definizioni dirette al
licantropo che stava affrontando, una bestia enorme
dall’irsuta pelliccia nera
e con due occhi cupidi e famelici tanto vividi da far paura.
Là,
impotente, Caspian fronteggiava la Strega Bianca.
Edmund
sentì lo stomaco rivoltarsi quando il lupo balzò
per aggredirlo, il fiato
ributtante del mostro che gl’inondava il volto; si
scansò appena in tempo,
guadagnandosi solo una zampata fortunatamente innocua, ruggendo e
lanciandosi
in un attacco disperato contro il fianco del lupo mannaro.
Avevano
richiamato Jadis alla vita.
Non era
possibile, quella Strega doveva essere morta secoli prima! Non poteva
essere di
nuovo lì, a minacciarli tutti con la sua sola
esistenza…
Il giovane
Re strinse i denti, ricacciando indietro l’angoscia e
lanciando un’occhiata
alla soglia della segreta: Siria doveva rimanere lontana da
lì, ma Caspian era
in pericolo e nessuno avrebbe potuto impedirle
d’intervenire…
-Caspian!-
Peter e Siria
irruppero nella grande sala con rabbia, scagliandosi senza esitazione
verso la
fattucchiera che danzava, ebbra di estatica follia, attorno al principe
ammaliato dalle spire di magia che Edmund poteva quasi avvertire sulla
pelle,
simili a lascivi serpenti avviluppati attorno ai muscoli e alle membra.
Conosceva
quel tormento, Edmund. Conosceva l’agonia della malia.
Jadis era,
da sempre, il suo più grande incubo: Jadis lo aveva
incantato e lo aveva
tradito, aveva quasi sterminato la sua famiglia, lo aveva quasi
ucciso…
Ed
ora era là, bella e terribile come la più letale
delle sirene, splendida come
lui la ricordava.
Con un
ruggito di rabbia Peter si scagliò addosso alla
fattucchiera, strappandola al
suo ballo esagitato ed ingaggiandola in un combattimento senza
esclusione di
colpi; Siria, invece, si buttò addosso a Caspian,
strappandolo al cerchio in
cui era stato inscritto e facendolo ruzzolare via…
impietrendosi, però, quando
si ritrovò intrappolata al suo posto.
Alzò
gli
occhi blu verso Edmund ed Aysell, che combattevano con furore a pochi
metri da
lei: sarebbe stato così facile raggiungerli, dare
battaglia… ma si scoprì
immobile, incapace persino di respirare quando gli artigli della paura
le
ghermirono l’anima.
La
fattucchiera contro cui stava combattendo il Re Supremo venne scagliata
indietro e rotolò via, ferita e urlante come una bestia
colpita a morte; il
licantropo e Nikabrik si ritirarono al suo fianco, soffiando ed
imprecando in
direzione dei tre combattenti, mentre il biondo agguantava Caspian
– ancora
stordito, ma di nuovo in sé – e lo trascinava al
sicuro.
Jadis, la
Strega Bianca, si lasciò sfuggire un teatrale sospiro e
rivolse gli occhi
chiari in direzione dell’antico nemico.
Era
stupenda e terribile proprio come lui la rammentava.
-Peter, caro.-
mormorò, aprendosi in un sorriso irridente che gli
strappò un versaccio
sarcastico, gli occhi azzurri che dardeggiavano verso il volto in ombra
di
Siria. -Mi sei mancato.- aggiunse Jadis, con quella voce eterea e
lontana che
lui non era mai riuscito a dimenticare.
Perché
Siria non si levava di lì?
-Tu no,
Jadis.- la voce piena d’odio di Peter scatenò un
brivido atterrito nel corpo
della raminga, un tremito che nessuno tranne Aysell riuscì a
cogliere; Siria
avrebbe voluto fuggire da lì, avrebbe voluto scappare via e
non dover
affrontare la Strega Bianca – la madre e la causa
di ogni suo incubo, di
ogni suo dolore.
Aveva
ancora qualche istante prima che la strega si accorgesse della sua
presenza…
eppure i suoi piedi non vollero muoversi perché, quando il
suo sguardo si era
posato su Caspian, la paura per la sua incolumità era stata
più prepotente di
tutto il resto.
Vide Edmund
trattenere Aysell, che aveva fatto l’atto di accorrere al suo
fianco e,
mentalmente, lo ringraziò: non poteva rischiare la vita
della sua amica in
quella battaglia che apparteneva solamente a lei.
Il
ghiaccio di Jadis emanava un gelo quasi familiare, qualcosa che lei
conosceva
da sempre.
Sapeva di
non poter scappare, non dopo tutti quegli anni passati in fuga: ed
allora si
voltò, fronteggiando a spalle dritte la propria condanna,
trovando gli occhi
crudeli e trionfanti della Strega Bianca ad attenderla.
Tutto parve
cristallizzarsi, congelarsi. Tutto parve immobile.
Siria si
ritrovò a specchiarsi in quello sguardo antico di migliaia
di anni, incattivito
dalla prigione in cui Aslan ed i Pevensie l’avevano costretta
per tredici
secoli; si sentiva minuscola, un microbo inutile al cospetto di quella
donna
malvagia e potente che per tanti secoli aveva tenuto Narnia sotto la
propria
tirannide.
Il
gelo dell’Inverno le penetrò dentro, arrivando a
ghiacciarle il cuore.
Aveva
paventato quel momento per tutta una vita, Siria: aveva sperato che non
giungesse mai… ed invece ecco Jadis davanti a lei, Jadis che
la guardava in
volto – un sorriso crudele che le piegava le labbra
sottili, bianche come la
neve.
Ecco che
Jadis finalmente l’aveva trovata, dopo vent’anni di
fughe e di terrore: e,
stavolta, Siria non avrebbe avuto via di scampo.
-Oh,
finalmente… Siria.-
Le parole
lievi e soddisfatte della Strega Bianca risuonarono cristalline nella
segreta, mentre
il suo sorriso cattivo si accentuava in una smorfia di gioia pura,
violenta,
quasi bestiale: tutti, nel sentirla pronunciare con tanta dolcezza il
nome
della rossa guerriera, abbandonarono definitivamente il combattimento e
si
voltarono verso le due donne che si stavano fronteggiando.
Siria
rabbrividì, scoprendosi incapace persino di tremare: sentiva
addosso gli occhi
di tutti… tutti quanti erano lì e la osservavano,
la vedevano, e lei si trovava
sola ed indifesa a fronteggiare il suo più grande
incubo…
Caspian le
rivolse un’occhiata di sottecchi, senza capire, sorpreso,
allarmato,
preoccupato… spaventato
dall’espressione contratta e ferina della rossa.
Siria
abbassò lo sguardo, senza volgersi verso Caspian e tentando
di evitare
l’occhiata compiaciuta della Strega. Sentiva
freddo, per la prima volta da
tanto tempo.
Quel gelo
che era riuscita a scacciare stava prepotentemente tornando a divorare
ogni
millimetro della sua anima, raggelando persino il suo respiro breve,
affannato.
Era dinanzi al suo stesso mostro, e la morsa fredda della paura
accecava ogni
suo istinto.
-È un
piacere incontrarti, finalmente.- mormorò Jadis,
squadrandola da capo a piedi
con una pericolosa dolcezza nel tono suadente della voce.
-Non
è
reciproco.- rispose, atona, la voce appena tremante, serrando il pugno
intorno
all’elsa della spada; la Strega Bianca, però,
parve non dare importanza alla
sua diffidenza: la soppesò per qualche altro istante,
scrutando il suo aspetto
così diametralmente opposto al proprio.
-Sei
diversa da come immaginavo, cara…- il
sogghigno di Jadis si accentuò quando
Siria fremette di disgusto alla sua ultima parola, volutamente
sottolineata dal
tono falsamente civettuolo della sua voce. -…ma
soddisfacente, dopotutto.-
terminò, soffermandosi sul volto in ombra della raminga,
aspettando
pazientemente che Siria trovasse il coraggio per fronteggiarla.
Eppure la
mercenaria non pareva intenzionata a farlo ancora, a guardare chiunque
in
quella caverna mentre la sua mano sinistra stringeva la spada tremante
e serrava
convulsamente le labbra. Non poteva guardarla, non poteva cedere: ne
andava
della vita di tutti quanti…
Doveva
andare via.
Doveva
allontanarsi da Jadis, allontanare da lì tutti quanti, prima
che la Strega
dicesse qualcosa che avrebbe potuto…
-SIRIA!- la
rossa si voltò di scatto quando la voce terrorizzata di
Talia rimbombò nella
caverna; incontrò i suoi occhi, la sua espressione che via
via inorridiva
sempre di più mentre assimilava la situazione, la
realtà terribile della scena
a cui stava assistendo… del pericolo immenso che tutti
quanti, lì, vicino a
Siria, stavano correndo.
-T-Tallie…-
per la prima volta nella sua vita Siria si ritrovò a
balbettare, confusa,
sentendo qualcosa incrinarsi nel petto.
Stava
combattendo
contro quell’istinto malsano e suicida che le stava urlando
di a voltarsi verso
la Strega Bianca, di posare una mano su quel ghiaccio liscio ed
innaturale e
lasciare che il fuoco maledetto dentro di lei liberasse Jadis dalla sua
prigione…
Talia lo sapeva,
Talia sapeva tutto quanto: aveva combattuto fino allo stremo per
impedire che
quell’incontro avvenisse, che la dannazione più
grande della sua amica si
abbattesse sull’intera Narnia.
Ma
avevano fallito. Entrambe.
-Ah…-
la
strega sollevò appena lo sguardo, scostandolo dalla rossa,
incontrando sulla
sua strada due rabbiose iridi color nocciola. -…la
mezz’elfa.-
-SIRIA,
VATTENE! VAI VIA!- urlò Talia, ricambiando con odio
l’occhiata di sufficienza
di Jadis, sguainando intanto la spada che non usava quasi mai; ma
Jadis,
enigmatica, sorrise… prima di rivolgersi alle sue bestie,
accennando con un
movimento elegante all’elfa e alla naiade.
-Uccidetele.-
mormorò soltanto, ed il suo sogghigno crudele si riflesse
sul volto animalesco
del licantropo suo servo… esattamente un istante prima che
si scagliasse contro
Aysell.
-NO!-
Il ruggito
spaventato di Siria sovrastò persino il ringhio
dell’uomo-lupo: Talia
rabbrividì, Aysell tremò, Caspian e Peter
fremettero nel sentire la voce della
rossa così potente e terrorizzata.
E,
un istante più tardi, un’esplosione violenta
costrinse la terra a tremare.
Le zampe
sporche di sangue della bestia vennero rabbiosamente inghiottite in
fauci di
ghiaccio emerse dal suolo, le ossa delle gambe che scricchiolavano con
un suono
agghiacciante: la belva crollò a terra a poche spanne di
distanza da Talia e
Aysell – che si teneva il braccio, graffiato da
quell’attacco repentino –, ma
le due ragazze non lo stavano guardando, allibite e spaventate
com’erano da...
Da lei.
Tutti,
istintivamente, si voltarono, seguendo gli occhi spalancati ed
atterriti delle
due Figlie di Aslan.
Siria.
Siria era
là, la bocca spalancata in un muto grido di orrore: gli
occhi erano cinerei e
vacui, lontani, terrorizzati da ciò che lei stessa era stata
capace di fare.
Sulle sue
mani ancora avvertiva il freddo maledetto del ghiaccio, quel ghiaccio
che aveva
scatenato senza nemmeno rendersene conto… quel ghiaccio che
aveva obbedito ai
suoi ordini prima che lei stessa potesse fermarsi.
Magia.
-Vedi,
Siria?- la voce di Jadis, alle sue spalle, la fece rabbrividire.
Non
riuscì
ancora a voltarsi, a fronteggiarla, gli occhi che supplichevoli
cercavano
quelli delle amiche; ma il sussurro tenue e basso della Strega Bianca
accarezzò
la sua pelle, penetrando con forza nel suo udito, mentre la mano gelata
sembrava posarsi sulla sua spalla in un raggelante conforto che non
voleva.
-Hai visto,
cara?- mormorò, ed a Siria parve di sentire il suo volto a
pochi millimetri dal
proprio orecchio, il respiro di ghiaccio che penetrava il suo petto
mirando a
congelarle il cuore. -Ho di che essere fiera di te… mia
degna erede.-
A
quell’ultima parola, mormorata appena più forte in
modo che tutti potessero
sentirla, Siria si sentì morire.
Erede.
Quella
parola… il suo più grande terrore, la sua
discendenza, la sua antenata… quelle
poche sillabe contenevano una verità da cui Siria aveva
cercato di scappare per
tanti anni, una realtà che era quasi riuscita a dimenticare,
una condanna a
morte che Jadis aveva atteso per secoli pur di vedere compiuta.
Strega.
Siria si
voltò di scatto, inorridita, tremante, la spada sempre meno
salda nel pugno,
fuggendo dagli sguardi allibiti dei presenti – fuggendo
dall’espressione
tradita e piena d’ira di Peter, fuggendo dal dolore negli
occhi di Caspian.
-Non sono
come te.- sibilò, ma il suo era un rantolo, la sua voce una
supplica, un guaito
di dolore.
-Oh,
sì
invece.- il sogghigno di Jadis si accentuò, quando
finalmente gli occhi della
ragazza si spostarono nei suoi. -Sì, Siria, tu sei esattamente
come me.-
mormorò, con un’angelica espressione crudele
rivolta a quella ragazza sempre
più confusa coi denti serrati e gli occhi ricolmi
d’odio. -Sei nata per
esserlo.-
-IO NON
SONO COME TE!-
L’esplosione
di Siria scosse tutti quanti tranne la strega; la rossa mosse un passo
indietro,
serrando le dita sull’elsa della spada che stava per
sfuggirle, mentre l’odio
le ribolliva nel suo sangue più violentemente che mai.
Jadis
le aveva portato via tutto…
Le aveva
portato via sua madre, colpevole soltanto di discendere da lei, dalla
Strega
Bianca. Le aveva portato via la sua innocenza, spingendola ad uccidere
da
bambina pur di difendersi dai suoi carnefici. Le aveva portato via la
vita,
costringendola a vivere nel terrore e ad avere paura persino di se
stessa.
Ed ora
stava spezzando tutti quei legami che faticosamente aveva stretto,
stava
distruggendo tutto ciò che aveva costruito e in cui aveva
cominciato a sperare…
Kain tremò nel suo pugno, mentre il fuoco pulsava e fremeva
nel suo petto.
Jadis,
però, non si mostrò scossa da quella reazione
furiosa, né dall’ira che vedeva
ardere nello sguardo imperioso della ragazza.
-Non sarai
come me… ma sarai come tua madre, presumo.-
mormorò, e sorrise trionfante
quando vide la rabbia bruciare ancor più violentemente nel
cuore di Siria.
-Non osare
parlare di lei!- ringhiò la rossa, l’autocontrollo
sempre più labile, sempre
più lontano. Sarebbe bastato così poco
per incenerire quella maledetta…
Jadis
inclinò graziosamente la testa, fissandola con uno sguardo
pieno di
compassione.
-Ti manca,
vero? Povera piccola Siria… figlia di una strega morta sul
rogo…- mormorò, con
una tenerezza crudele nella voce che fece rizzare un po’ di
più le spalle
tremanti della raminga.
Caspian,
alle sue spalle, la fissava spiritato; tutto andava improvvisamente a
posto,
tutto repentinamente quadrava: Siria si era sempre odiata…
ed ora,
finalmente, capiva perché. Aveva visto giusto, aveva capito
già da tempo
qual’era la verità che la giovane non aveva mai
avuto il coraggio di
rivelargli.
Siria
era una strega.
-SMETTILA!-
ruggì la rossa, esasperata e con il cuore che gridava di
dolore, le iridi blu
che lampeggiavano di rosso nel ricambiare lo sguardo della Strega
Bianca.
Quella però non si lasciò scuotere, gli occhi
quasi bianchi che si riempivano
di trionfo nello scorgere la magia pulsare nell’animo della
raminga.
-Io posso
lenire il tuo dolore, piccolina.- la confortò, allungando
tentacoli di magia
per sfiorare quella della sua unica discendente donna,
l’unica che avrebbe
potuto ereditare il dono del Falco di Fuoco che lei aveva strappato ad
Aslan,
l’unica abbastanza potente da poter essere il ricettacolo
perfetto per la sua
reincarnazione.
Siria era
la sua creatura, l’aveva modellata per essere più
straordinaria di qualunque
altra strega avesse mai solcato le terre di Narnia – e
quel corpo, quella
giovinezza, quella forza, presto sarebbero appartenute solamente a lei.
-Non voglio
nulla da te.- fu la flebile risposta della ragazza, ma tutti poterono
udire
l’incertezza e la confusione che vibravano nelle sue parole;
la fattucchiera e
Nikabrik si scagliarono addosso ai combattenti, distraendoli mentre il
licantropo si liberava dalla sua prigione di ghiaccio e fuggiva,
guaendo, verso
le gallerie sotterranee da cui era venuto.
-Posso
riportarti da tua madre, mia dolce Siria.-
Siria scosse
la testa, cercando di ignorare quella voce che sembrava in grado di
distruggere
tutte le sue strenue difese.
-Non vuoi
rivederla?-
Oh, avrebbe
voluto rivedere sua madre più di qualsiasi altra cosa al
mondo… ma Zaira era
morta tanti anni prima, era morta a causa di Jadis, a causa di
Siria… morta in
quel fuoco che la raminga non riusciva più ad ignorare, e
che bruciava
terribilmente dentro di lei.
-Zaira vive
nel fuoco che tu ti ostini a rifiutare, bambina. Lascia che ti avvolga,
che ti
riempia… lascia che ti porti da me.-
Senza
nemmeno accorgersene, ipnotizzata da quelle promesse di sollievo e di
pace,
Siria mosse qualche incerto passo verso la Strega Bianca, gli occhi
vitrei e
lontani.
-NO!-
Il grido
disperato di Aysell non la raggiunse, non la toccò; la rossa
allungò una mano,
come succedeva sempre nei suoi incubi più vividi, attratta
dal gelo di Jadis
che le prospettava un lungo sonno privo di sogni…
Ma una
spada trafisse, all’improvviso, il ghiaccio in cui Jadis era
intrappolata,
strappando Siria al suo controllo un istante prima che le sue dita
toccassero
quelle della Strega.
Jadis
sussultò, gemette, allungò le mani impalpabili
verso quella lama che non poteva
toccare: dal punto in cui s’era immersa si diramarono mille e
mille crepe, che
salirono a frantumare l’immagine della donna ora
atterrita…
E,
in un istante, la parete esplose in mille pezzi, lasciando dietro di
sé
soltanto una voragine vuota.
.
.
.
.
.
.
My Space:
................................................................................................
Peter: abbi almeno la decenza di dire qualcosa.
.............................................................................................................................
Peter: disgraziata -.-
Seriamente, non so che cosa dire ^^' siamo arrivati finalmente al rush
finale!
Aspettavo questo momento, la rivelazione su Siria, sin dall'inizio: gli
indizi c'erano tutti, oggettivamente, ma spero di avervi sorpreso
comunque!
Non ho molto da dire: le spiegazioni sono tutte in questo capitolo e
nei prossimi che seguiranno! Le lascio ai personaggi, sono
più bravi di me... ma aspettatevi danni, ENORMI danni (anche
perché Peter è un idiota!)!
La scaletta dei prossimi aggiornamenti sarà la seguente:
13/10 - Capitolo 40
27/10 - Capitolo 41
10/11 - Capitolo 42
24/11 - Capitolo 43
E posso dirvi che la storia intera comprenderà 50 capitoli
tondi tondi! :D
Peter: non so quanto questo sia un bene -.-
...sono solo io a trovarlo stressante, questo tizio biondo?
Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.
Ad Aaron
gelò il sangue nelle vene quando un terribile frastuono
risuonò dalla cripta
fino al campo di addestramento.
Si
voltò di
scatto e con lui Susan, poco lontana; sentivano la voce di Peter
impartire
stentorei ordini ai propri soldati, mentre qualcun’altro
urlava qualcosa
d’indefinito.
Il rosso
portò istintivamente la mano destra all’elsa della
spada, quando si accorse di
quanto quella voce furiosa assomigliasse a quella di Talia.
Tallie non
urlava mai: piuttosto rispondeva a tono con cinismo e sarcasmo
taglienti quanto
una lama, ma non gridava e non esternava se non in preda ad una rabbia
atroce –
cosa che stava facendo adesso, e a pieni polmoni: distinse chiaramente
la sua
voce scandire un “lasciala!” a
cui avrebbe obbedito praticamente chiunque,
terrorizzato dall’espressione omicida che doveva essere
apparsa sul suo volto
di mezzosangue.
Scambiò
un’occhiata preoccupata con Sue che, per precauzione, aveva
messo mano
all’arco.
Che
cosa…
E poi li
vide emergere dal buio, quattro arcieri armati e Peter, con la spada
sguainata
in pugno, il volto di pietra, gli occhi pieni d’odio.
Li vide e
seppe immediatamente che cosa era successo: perché, quando
li vide, vide anche
nel pugno serrato di Peter un polso più esile, candido come
la neve, prima che
sua sorella venisse bruscamente scaraventata a terra in mezzo al campo.
Avevano
scoperto tutto. Avevano scoperto Siria.
L’avrebbero
uccisa.
-Ehi!-
sbottò, sguainando la spada e correndo da lei, senza esitare
nemmeno per un
istante: sua sorella era in pericolo, sua sorella pareva non essere
nemmeno in
grado di rialzarsi in piedi e, adesso, sua sorella aveva bisogno
di lui.
-Stai
lontano, tu!-
Niente
avrebbe mai potuto eguagliare l’odio che Aaron
provò verso Peter, in
quell’istante.
Lo
odiò, lo
odiò tanto che se non fosse stato per Siria lo avrebbe
affrontato senza
esitazione: e lo avrebbe ucciso, senza alcun dubbio – né
rimorso,
soprattutto.
Ma
c’era
Siria.
Siria, i
capelli che le coprivano il viso, una lunga ferita rossa che le correva
lungo
il braccio.
Siria, la
schiena scossa dai singhiozzi, improvvisamente fragile quanto cristallo
– quanto
cristallo spezzato.
-Siria!-
sbottò, ignorando del tutto l’avvertimento del Re
Supremo e correndo da lei,
lasciandosi cadere in ginocchio al suo fianco per sostenerla prima che
crollasse del tutto.
La strinse
a sé, rialzandosi in piedi e serrandola contro il proprio
petto con la spada
ben stretta in pugno; piangeva, Siria, accucciata contro di lui come un
animale
ferito a morte, ed Aaron poteva sentirla singhiozzare “sanno
tutto” e tremare
come mai prima d’allora le era successo.
-Stalle
lontano.- sibilò, alzando lo sguardo su Peter.
Peter, che
la guardava con un misto di odio e di disgusto che vibrava persino
nella lama
di Rhindon.
Peter, che
pareva aver dimenticato l’affetto che lo legava a sua
sorella, l’acciaio della
lama sporco del sangue di Siria.
Peter,
di cui lei si era fidata.
-Sono qui.
Non ti farà niente, sorellina, sono qui.- mormorò
a mezza voce, stringendola
più forte, avvertendo la sua stessa paura riempirlo e
svuotarlo allo stesso
tempo.
Non avrebbe
permesso a nessuno di farle del male. Peter, i suoi soldati, il mondo
intero:
non erano niente, avrebbe difeso sua sorella a costo della
vita – sua, o
di quell’imbecille che aveva davanti.
-Spostati.-
La voce del
Re Supremo riuscì a colpirla nonostante fosse al sicuro fra
le braccia di suo
fratello. Riuscì ad immergersi nella sua schiena, un pugnale
piantato con forza
e rabbia in mezzo alle sue costole.
Aaron la
sentì tremare sotto quel colpo, un colpo che le aveva
probabilmente fatto ancor
più male di quel taglio sul braccio e della stretta sul
polso che, rapidamente,
stava diventando livido.
-Non
toccare mia sorella, Pevensie, o giuro che ti ammazzo.-
ringhiò, gli occhi
azzurri che si assottigliavano, la mano destra che si serrava
sull’elsa. Peter
non indietreggiò – anzi; diede ordine agli arcieri
di circondarli e lui stesso
avanzò di qualche passo, furibondo.
La voce
dura, quasi metallica del Re Supremo risuonò nella radura
dinanzi alla cripta,
accompagnata dal suono inquietante della sua spada che tagliava
l’aria mentre
veniva brandita. Il biondo era là, armato, il volto
deformato dall’odio e dal
disgusto, lo sguardo rabbioso fisso sulla ragazza in lacrime stretta al
petto
di suo fratello.
Siria.
Una strega.
-Levati di
mezzo, Aaron!- gli intimò, ma il suo ordine fu coperto dagli
strilli furiosi
che scoppiarono pochi metri dietro la linea dei guerrieri.
-LASCIALA
IN PACE, DEFICIENTE!-
Peter
ignorò la voce acuta di Aysell, che Caleb aveva acciuffato
al volo prima che si
scagliasse addosso al Supremo Re con tutto il suo peso di Elementale
infuriata.
Talia invece era accanto a Caspian, e gli occhi scuri di entrambi erano
inchiodati – chi con paura, chi con dolore
– sulla figuretta sussultante
di Siria.
-È
l’erede
di Jadis, non mi serve sapere altro. Lei e suo fratello sono una
minaccia per
tutti.- sentenziò, la voce una vera e propria condanna a
morte che echeggiò in
tutto l’accampamento.
Aaron
alzò
lo sguardo, rivolgendogli un’occhiata cattiva. Gli arcieri
tenevano i due
fratelli sotto tiro, impedendogli praticamente qualsiasi movimento; ma
il rosso
non pareva intenzionato a lasciar andare sua sorella, che fremeva di
terrore
nell’incavo delle sue braccia.
Suo
malgrado, Peter si sentì stringere il cuore a quella vista
straziante.
Siria aveva
lentamente guadagnato il suo rispetto, la sua stima, il suo affetto di
amico… e
molto di più, era riuscita a farlo fidare di lei, a
strappargli quelle
confessioni private di cui improvvisamente provava un disgustoso
imbarazzo.
Lo aveva
tradito… lei, che per prima era riuscita a guadagnarsi la
sua amicizia.
-N-no.-
La voce
spezzata di pianto della rossa risuonò improvvisamente fra i
suoi silenziosi
singhiozzi. Attirò su di sé gli sguardi di tutti:
di Caleb e Talia, che sembravano
intenzionati a combattere strenuamente pur di proteggerla; di Aysell,
che
pareva anch’ella sull’orlo delle lacrime di
frustrazione; di Susan, Lucy ed
Edmund, che la guardavano con un misto di paura e pietà che
le diede soltanto
sui nervi; di Peter… e di Caspian, che la fissava con
dolore, con tristezza,
con qualcosa di indecifrabile che oscurava il suo volto.
-Cosa “no”?-
sbottò il biondo, quando gli occhi blu della strega
– continua a
ripetertelo, Peter: strega, non Siria – si
alzarono, pieni di vergogna, su
di lui.
-Aaron
è… è
figlio di madre diversa. Non c’entra nulla, con
mia… m-mamma.- singhiozzò lei,
senza riuscire a sostenere quello sguardo rabbioso, colmo
d’odio, ferito,
che l’Alto Re le rivolse.
Peter vide
Aaron scuotere appena la testa, rassegnato, ferito, esasperato lui
stesso
dall’atteggiamento della ragazza. Riconobbe in quelle parole
il carattere di
Siria, comprese ancora una volta quanto il desiderio di proteggere chi
amava
fosse ben superiore a quello di salvare se stessa.
Non
è come Jadis, Peter. Lei non l’avrebbe mai fatto.
-Aysell,
Talia… non fate niente.- la ninfa e l’elfa
sussultarono, sentendosi tirare in
causa quando Siria si allontanò dal fratello. Potevano
avvertire un rivolo di
magia scorrere dalla ragazza ad Aaron – gli stava impedendo
di tornare a
proteggerla e così facendo, molto probabilmente, gli stava
salvando la vita.
-Siria…-
fu
il lieve sussurro della naiade, che la guardò gli occhioni
spalancati e
preoccupati. Sentiva la magia pulsare nel sangue della rossa e
riverberarsi in
lei, non più nascosta né trattenuta e che,
irruente come un fiume in piena,
spezzava gli argini che la sua recalcitrante proprietaria aveva eretto
per
trattenerla.
Presto
sarebbe esplosa, presto non sarebbe più stata in grado di
evitarlo… dopo vent’anni
di rifiuti, la strega in lei avrebbe preso il sopravvento.
Lo sguardo
della rossa era scuro, spento; non si mosse quando si
ritrovò sotto il tiro di
un manipolo di frecce diverse, con gli sguardi di tutti puntati
sgradevolmente
addosso. Lei non guardò nessuno; nessuno, salvo il biondo Re
che avanzò verso
di lei in un paio di rapide falcate, la lama della spada che
repentinamente si
fermava ad un millimetro dalla sua gola.
Peter era
di fronte a lei, adesso.
Il giovane
re scorse le lacrime e il disgusto riverberare in un atroce scintillio
masochistico, distinse quella… rassegnazione
con cui lei lo guardava,
quelle iridi vuote e sconfitte con cui sosteneva le sue.
I pugni di
Siria erano stretti, ogni suo muscolo era in tensione: vedeva il sangue
pulsare
spaventato nella giugulare, poteva quasi avvertirne il ritmo attraverso
la lama
premuta sulla sua pelle.
-Fallo.-
mormorò soltanto, quando il volto del Re Supremo si
ritrovò a poco più di una
manciata di centimetri dal proprio.
Il biondo
sussultò, stupito: possibile che Siria gli stesse dando il
permesso di… di
ucciderla?
-Sono anni
che cerco un modo, Peter.- sussurrò la giovane strega, le
lacrime che,
silenziosamente, le scendevano lungo le guance. Soltanto lui poteva
sentirla,
soltanto lui poteva vedere la determinazione suicida nel suo sguardo.
Fu quello,
più di qualsiasi altra cosa, a farlo esitare.
Vuole
morire, Peter. Non c’è bugia nei suoi occhi, vuole
soltanto morire.
-Perché?-
si ritrovò a chiederle, in quel dialogo di cui soltanto loro
sentivano le
parole – e non lo domandò come un Re avrebbe
dovuto fare contro l’erede della
sua più grande nemica: era semplicemente Peter che, come
tante volte prima
d’allora, si rivolgeva alla sua migliore amica.
-Non voglio
fare del male a nessuno.- fu la tenue risposta di lei, le lacrime
sempre più
copiose sul suo bel volto.
Mai come in
quel momento avrebbe desiderato lasciarsi stringere da
Caspian… ma se era così
doloroso affrontare Peter non osava immaginare quanto male avrebbe
potuto farle
sostenere per più di un attimo gli occhi delusi, feriti e
arrabbiati del suo
principe.
Devi
lasciarlo andare. Devi morire. È l’unico modo per
proteggerlo, Siria.
Se adesso
stava implorando come mai aveva fatto nella sua vita, se stava
scongiurando
quello che si era ritrovata a considerare un amico di porre fine alla
sua
esistenza dannata, era soltanto per Caspian.
Peter lo
sapeva. Peter lo vedeva nei suoi occhi, comprendeva – si
stupiva anche, di
quella richiesta.
Basta
solo che faccia in fretta.
-Peter…
ti
prego.- fu su quelle due parole che l’ultimo argine
al suo dolore si ruppe.
Lo
sentì
irrompere nella sua mente, forte come non mai. Anche
l’orgoglio non era che un
lontano ricordo, l’ultima àncora prima di
sprofondare in quell’oceano di
sofferenza; si ritrovò a tremare quando davanti ai suoi
occhi passarono, rapide
come fotogrammi, le immagini più cruente.
L’uccisione
di sua madre, il suo corpo che bruciava nel fuoco, le sue urla
disperate via
via inghiottite dal crepitio delle fiamme.
L’odore
della carne bruciata, delle lacrime che come quella volta adesso
scendevano
copiose, della terra in cui era crollata in ginocchio, implorando
quella gente
di fermarsi.
L’immagine
chiara e nitida di un coltello, nelle mani tremanti di una bambina, dei
tagli
che da sola si era inferta pur di fuggire dalla vergogna di essere una
strega.
Era
cristallino, quel ricordo, e altrettanto limpida era
l’immagine di un Aaron
molto più giovane, sconvolto, che tentava di fermare
quell’emorragia.
Il
senso di solitudine e di smarrimento in mezzo alla foresta, quando si
era
decisa a fuggire, a liberare suo padre ed il suo fratellastro dalla sua
pericolosa presenza… si era rannicchiata lì,
sotto quell’albero, aspettando
soltanto di morire.
Siria
avvertì la lama tremare sul proprio collo.
Alzò
lo
sguardo e vide gli occhi sbarrati di Peter, l’orrore scritto
nel suo volto. Non
seppe spiegarsi il perché di quell’improvvisa
consapevolezza ma fu certa che
quei ricordi, che ora si susseguivano veloci nella sua mente, fossero
chiaramente visibili anche al Re.
-Ti
scongiuro…
uccidimi.- mormorò soltanto – ed alle sue parole
quelle immagini, quelle
cruenti memorie, scomparvero.
Il biondo
scosse la testa, improvvisamente di nuovo lucido ed in grado di pensare
coerentemente: però non riusciva a togliersi di dosso
l’orrore che quei
pensieri gli avevano provocato, la fitta di dolore al pensiero di
quante ne
avesse passate Siria…
-Io
non…-
esitò, Peter, di fronte alla preghiera di lei.
Più di tutto il resto sentirla scongiurare,
implorarlo, era… terribile.
Non
poteva farlo. Non poteva.
Non ci
sarebbe riuscito comunque, nemmeno se non avesse visto tutto
quanto… lui le
voleva bene, non sarebbe mai stato in grado di porre fine alla sua vita
in quel
modo, a sangue freddo. Nemmeno durante un duello, nemmeno se lei lo
avesse
attaccato.
-…io
non
posso, Siria.- sospirò, sconfitto.
L’aveva
chiamata per nome.
Siria
notò
soltanto questo, nel fitto senso di delusione e di paura che il suo
rifiuto le
riversò prepotentemente addosso.
Lo
guardò,
implorante, quando il Re Supremo si allontanò di un passo da
lei, abbassando la
spada e facendo cenno agli arcieri di riporre gli archi. Loro
obbedirono, e
Siria si ritrovò sola in quello spiazzo d’erba
– sola come non era mai stata.
Sentì
freddo… il freddo della Morte che, per l’ennesima
volta, l’aveva sfiorata senza
trascinarla con sé.
Vide
soltanto un movimento indistinto, Peter annuire con lo sguardo rivolto
a terra,
prima che una presa salda, quasi dolorosa, si stringesse intorno al suo
polso.
-Vieni
via.-
Siria si
sentì morire – un’altra volta
– quando riconobbe la voce di Caspian in
quel tono duro e rabbioso.
L’ultima
cosa che avrebbe voluto era affrontare anche lui, soprattutto adesso
che anche
l’ultimo barlume di orgoglio l’aveva abbandonata,
lasciandola sola in balia dei
propri mostri. Non si oppose però quando Caspian la
trascinò verso la foresta,
senza delicatezza, senza la dolcezza a cui era abituata. Le stava
facendo male,
ma sembrava non importargli.
D’altronde,
a chi importa di una strega?
Non appena
gli alberi presero il posto del prato, Siria si ritrovò
violentemente premuta
contro il tronco di un faggio, le mani di Caspian convulsamente strette
sul
legno ai due lati del suo viso, l’espressione furibonda e
ferita del principe
ad un soffio dai suoi occhi.
Trasalì.
Avrebbe voluto ritrarsi, ma era impossibile; Caspian le bloccava
qualsiasi via
di fuga con il proprio corpo, la intrappolava e la costringeva a
guardarlo in
faccia.
Chiuse gli
occhi, le braccia che salivano istintivamente a chiudersi intorno al
proprio
ventre in un istintivo gesto di autodifesa.
-Guardami.-
la rossa scosse la testa, voltandosi, le lacrime che scendevano
tormentate ma
silenti sulle sue guance.
Non poteva
farlo, non ci riusciva, perché vedere i suoi occhi avrebbe
significato soltanto
capire quanto lo avesse deluso, quanto male gli avesse provocato,
quanto lui la
odiasse… ed era qualcosa che non poteva fisicamente
sopportare, il suo cuore
urlava disperato soltanto all’idea di capire di averlo
perduto davvero.
Perché
lui
era diventato il centro della sua vita… e, se non era ancora
morta, se aveva
provato a combattere contro se stessa e contro la propria natura, era
stato
soltanto per qualche istante in più accanto al Principe di
Narnia.
-Ti ho
detto di guardarmi.-
Quelle
parole furono più dolorose di un colpo in pieno petto. Siria
le sentì
trapassare il suo torace, affondare nel suo cuore con rabbia, spezzare
ossa e
tendini e fermare – una volta per tutte – quel
povero muscolo straziato.
Silenzio.
Non batteva
più nulla dentro di lei.
Sentì
i
propri occhi vacui, Siria, quando tremante alzò lo sguardo
su di lui. Erano
vuoti, spenti: non c’erano nemmeno più lacrime. Di
lei era rimasto un guscio
vuoto, una bambola – niente di più,
perché quel poco di speranza che l’aveva
tenuta in vita fino a quel momento era scomparsa, perduta in quei due
baratri
neri che la fissavano con ira.
Caspian si
sentì cedere un poco dinanzi a quell’espressione
sconfitta, persa.
Era
terribile vederla così, era orrendo rendersi conto di quanto
le stesse facendo
del male… parte di lui avrebbe voluto stringerla, baciarla,
proteggerla e
sussurrarle che non gli importava chi fosse, cosa fosse,
purché la vita
tornasse limpida in quegli occhioni bui…
Ma la
delusione, il dolore che le sue bugie gli avevano fatto, glielo
impedirono.
-Perché
non
me l’hai detto?- le chiese, con quel tono duro e violento che
non gli
apparteneva, che mai avrebbe voluto rivolgere a lei.
La vide
tremare come se la sua voce potesse infierire ancor di più
sul suo corpo
improvvisamente fragile, indifeso, martoriato da ferite invisibili che
lui
stesso stava causando.
Si
odiò come mai, Caspian, in quell’istante.
-Non…-
cominciò lei, le labbra rosse che vibravano di terrore.
-…n-non volevo avessi
paura di me.- balbettò, fissando un punto indefinito oltre
la sua spalla, senza
più la forza nemmeno di guardarlo.
-Io ho
paura adesso, Siria!- sbottò il
Principe, esasperato, prendendola per le
spalle e costringendola rabbiosamente ad affrontarlo. La
sentì tremare, sotto
le dita, vide i suoi occhi riempirsi di lacrime. -Mi hai mentito, come
faccio
ora a fidarmi di te?- continuò, più per sfogare
la frustrazione che aveva
dentro che per aggredire lei.
-Non
avresti dovuto farlo mai.- fu il sussurro spento di lei, cercando
nuovamente di
ritrarsi, di sfuggirgli.
Caspian
rovesciò gli occhi al cielo, esasperato, prima di abbassare
nuovamente il viso
e portarlo a livello del suo.
-Siria,
dannazione! Sapevo che mi stavi nascondendo qualcosa, l’ho
accettato da molto
tempo, ma tu avresti dovuto essere sincera e dirmi la
verità! Perché non vuoi
capire?- esclamò, cercando di scuoterla, di risvegliarla da
quell’incubo che
sembrava averla inghiottita. -Io ti amo, stupida strega che non sei
altro,
perché non ti sei fidata di me?-
continuò, ignaro del brusco scossone
inferto all’anima martoriata della ragazza di fronte a lui.
Io
ti amo.
La sua
mente non riusciva più a registrare altro. Si era fermata a
quelle tre parole,
le uniche parole che lui non avrebbe mai dovuto dire, le uniche parole
capaci
di distruggerla davvero.
Io
ti amo.
Ferivano,
quelle parole, perché sapere di doverlo allontanare prima
che la magia – sempre
più potente in lei – prendesse il sopravvento era
ancora più doloroso.
La sentiva:
ormai ruggiva nel suo petto, nel suo sangue, occupava ogni meandro
lasciato
libero dalla sua anima spezzata, dal suo cuore morto. Presto avrebbe
distrutto
quel poco di umano che era rimasto ancora in lei, presto avrebbe usato
il suo
corpo per ridare vita alla Strega Bianca… e lei sarebbe
stata peggio che morta.
Perché
Peter non mi ha uccisa?
Le
ginocchia le cedettero prim’ancora che lui finisse di
parlare. Scivolò lungo il
tronco dell’albero fino a finire a terra, lo sguardo non
più vacuo, ma colmo di
qualcosa molto simile a puro terrore.
-Siria?-
Caspian, preoccupato, s’inginocchiò accanto a lei.
Il suo viso le apparve
sfocato, attraverso il velo di lacrime che appannava i suoi
occhi… eppure non
le era mai sembrato più bello.
-Io non ti
ho mai mentito…- nemmeno si rese conto di aver parlato, di
essere riuscita a
mettere insieme una frase di senso compiuto con quella voce sussurrata,
quasi
delirante. L’unica cosa che desiderava era dirglielo, fargli
capire che… anche
lei…
-No, non
l’hai fatto.- la voce di Caspian suonava come il rintocco
dell’orologio che
regolava i suoi ultimi attimi di vita. -Hai fatto di peggio, Siria. Non
ti sei
fidata di me.-
Lo
avvertì
alzarsi lentamente, allontanarsi di un passo da lei. Tutti
facevano un passo
indietro di fronte a lei, notò la rossa, senza
nemmeno la forza di alzare
gli occhi per guardarlo. Era normale, dopotutto… cosa poteva
aspettarsi di diverso
nei confronti di una strega?
Non
poté
far altro che stringersi le ginocchia al petto, non appena libera della
presenza pressante di lui. Vi affondò il viso, cercando buio
e conforto che,
tuttavia, sapeva di non poter trovare in se stessa.
Restò
dov’era
quando lo sentì andarsene, quando avvertì i suoi
passi farsi più lontani nel
sottobosco.
_
Sei
uno stupido.
Questo era
l’unico pensiero che Caspian riusciva a formulare verso se
stesso. Era stato
uno stupido a trattarla così, a farle del male in quel
modo… lo aveva visto
quanto Siria fosse rimasta sconvolta da tutto quello che era successo
nell’ultima mezz’ora… soltanto mezz’ora…
Non
è difficile capirla… aveva soltanto paura di
perderti, idiota!
Il principe
si fermò di botto, riflettendo su quell’ultimo
pensiero.
Siria non
gli aveva davvero nascosto quasi niente. Gli aveva
parlato di tutto, gli
aveva rivelato anche le cose più oscure e terribili che era
stata costretta a
compiere, gli omicidi che aveva perpetrato, i crimini e gli orrori che
l’avevano accompagnata… aveva rischiato la vita
per lui e per il popolo di
Narnia, lo aveva salvato da morte certa, lo aveva amato…
Era
così riprovevole che gli avesse nascosto ciò che
era?
Aveva visto
il suo viso spegnersi completamente quando si era allontanato,
disgustato da se
stesso e da come si stava comportando nei suoi confronti. Aveva capito
subito
quanto la sua lontananza potesse ucciderla… era
così brutto che avesse cercato
di non perderlo?
E
poi, a lui interessava davvero che lei fosse una strega?
A lui le cose
non cambiavano, in fondo: era sempre Siria, la donna di cui si era
innamorato…
cosa importava che fosse una strega? Cosa cambiava per lui?
Sospirò
di
nuovo, prendendo fiato.
Sei
uno stupido.
Se solo
avesse pensato prima di parlare… si
voltò di scatto, ripercorrendo
all’inverso la strada che aveva percorso per allontanarsi da
lei.
Un
atteggiamento alquanto fraintendibile, Caspian, si disse,
maledicendo la propria
idiozia.
Si era
allontanato per calmarsi, per riprendere il controllo su di
sé, per smetterla
di farle del male con quelle parole che parlavano con la voce della
delusione;
ma Siria poteva benissimo aver frainteso, chiunque al suo posto avrebbe
frainteso, sicuramente aveva pensato che lui la stesse
abbandonando…
-Siria!-
sbottò, allarmato dal suo stesso pensiero, gli occhi neri
che dardeggiavano
atterriti in mezzo alla foresta. Gli alberi, l’erba, le
piante… era tutto
immobile.
Nessuna
macchia color fuoco, nessuna ragazza accoccolata contro il tronco di un
albero.
Per terra soltanto una macchia argentea che riconobbe come un
medaglione… il
medaglione che lui le aveva donato.
E
Siria… Siria non c’era più.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Buonsalve!
Peter: vattene.
Ma veramente è la mia fanfiction!
Peter: VAI. VIA.
....scusate Peter, è sempre più molesto -.- non
gli basta fare casino nella storia, deve anche venire a rompere qui -.-'
Va beh, a parte gli scherzi, siamo arrivati a -10 e comincia il
countdown finale per il finale della storia!! Ora comincerete ad odiare
Peter quanto lo detesto io, ma in fondo Siria gli vuole tanto bene (e
forse è per questo che non muore mai, quel dannato COSO).
Sinceramente, non so cosa dire su questo capitolo senza rischiare di
essere linciata come Peter ^^' quindi vi lascio presto, e vi prometto
che il biondastro la pagherà ampiamente U_U
Peter: come se vivere nella sua testa non sia una punizione sufficiente.
Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.
I rovi le
graffiavano la pelle, le strappavano gli abiti: ma
a lei non importava.
Correva a
perdifiato in quella foresta silente e malinconica
che non le apparteneva, mentre il cuore le pompava panico e
disperazione nelle
vene sottili ed il Sole allegro creava crudeli riflessi azzurri nelle
sue
vesti.
Non poteva
fermarsi.
Doveva
trovarla… doveva continuare a cercare, non aveva
alcun diritto di abbandonarsi allo sconforto che sentiva serrarle lo
stomaco in
una morsa d’acciaio.
-Siria!-
gridò, angosciata, Aysell.
Della raminga
non c’era traccia: Siria era scappata, poteva
avvertire l’energia pulsante del fuoco che le danzava in
corpo farsi sempre più
potente, sempre più incontrollabile – presto
si sarebbe arresa a quella forza
dirompente – ma lei poteva evitarlo…
poteva riportarla indietro.
-SIRIA!-
chiamò ancora, la voce piena di rabbia e di
preghiere mai pronunciate, alzando gli occhi grigi verso le folte
fronde degli
alberi di Narnia per cercare una qualsiasi traccia del passaggio della
sua
amica.
Nessun riflesso
scarlatto ballava in quel verde meraviglioso.
Crollò
in ginocchio, Aysell, i lunghi capelli biondi che
sfuggivano alla coda e le ricadevano, come un misericordioso mantello
dorato,
sulle spalle esili.
-Siria, torna
indietro!- gemette, aggrappandosi alla flebile
ombra che le riempiva la mente di speranza: Siria era ancora viva, non
si era
ancora arresa, stava ancora lottando… poteva
sentirla? -Torna indietro,
Sir… ho bisogno di te…- singhiozzò,
arrendendosi al pianto e scoprendo di
tremare come una fogliolina abbandonata.
Siria non
sarebbe tornata indietro.
L’aveva
appena ritrovata dopo sette anni di separazione, non
poteva averla perduta in quel modo! Siria era parte della sua
famiglia… era
parte di lei… le era stata accanto, era stata la prima
creatura ad avvicinarsi
a quella bizzarra Guardiana senza magia – la prima
persona a considerarla
un’amica e non uno scherzo della natura…
Si
lasciò cadere, stremata, sul tappeto di foglie secche che
componeva il sottobosco, mentre le lacrime le rigavano le guance nivee.
Siria si sarebbe
arresa.
Era la cosa
giusta da fare, le avrebbe detto; era l’unica
soluzione possibile, le avrebbe ricordato; ma come poteva arrendersi
alla
consapevolezza di aver lasciato morire la sorella che lei stessa si era
scelta,
per affetto e non per qualche legame di sangue?
Si
raggomitolò su se stessa, fremendo di paura e del senso
devastante dell’abbandono – sola, per
l’ennesima volta nella vita, lontana
dal mondo e dalle persone che le erano care.
Non si accorse,
sconvolta com’era, del lieve alito di vento
che l’avvolse in una stretta cara ed affettuosa –
né vide quelle volute
impalpabili mutare in carne ed ossa attorno a lei, abbracciandola e
cullandola
come avrebbe fatto una madre con la propria figlia.
Si
lasciò solamente andare contro la spalla di Mirime,
piangendo in silenzio tutto il proprio dolore, mentre sentiva il Fuoco
di
Narnia affievolirsi dentro di lei.
_
§
_
-SEI UN
FOTTUTO IDIOTA! TU, E QUELL'ALTRO IMBECILLE BIONDO!-
L'urlo a
pieni polmoni di Talia sovrastò tutte le voci che si
susseguivano, timorose e
concitate, nella grande sala della Tana di Aslan; il principe
sospirò,
stringendosi la testa fra le mani, con in viso l'espressione angosciata
di chi
sa di essere rimproverato a ragione.
-Lo
so…
Talia, smettila, so cosa…-
Un
brusco movimento della bruna – la figura massiccia di Caleb
che si spostava fra
loro.
Caspian
alzò lo sguardo, allibito, quando si rese conto che il
biondo riccioluto aveva
evitato, per pochi istanti, che Tallie gli stampasse un massacrante
cazzotto
dritto sul naso.
Avrebbe
fatto bene, gli
suggerì una vocina malefica nella mente.
-No, tu non
sai cosa hai fatto! L'hai condannata a morte,
imbecille!- strillò
l'elfa, ignorando per una volta la consapevolezza di essere
disordinata,
arruffata, completamente sconvolta. Sentiva, flebile e lontana, la vita
di
Siria appesa al filo dei suoi pensieri disperati: era questione di
minuti,
forse, prima che la magia prendesse il sopravvento su di lei…
-Che
cosa!?- sbottarono Caspian e Peter all’unisono,
sconvolti.
Talia
sospirò, scambiando uno sguardo angosciato con Cornell
mentre Aaron e il biondo
volgevano la testa per ascoltare ciò che lei aveva da dire:
il centauro annuì
appena, cupo in volto, volgendosi verso i tre giovani uomini e
schiarendosi la
voce.
-Siria
Zairassen è l’erede del ruolo di Jadis, il primo
ricettacolo figlio della
stirpe della Strega Bianca a possedere abbastanza potere magico da
eguagliarla.- declamò, la voce più distante e
cupa che mai, mentre gli occhi
bruni fissavano, con fierezza ed alterigia, l’espressione
sconvolta dell’Alto
Re di Narnia.
-Siria
è
una strega, la più potente mai nata dopo Jadis.-
confermò Talia, ignorando
volutamente Peter e rivolgendosi, perciò, a Caspian.
-Però non vuole, né ha mai
voluto, sperimentare la magia.- continuò, scuotendo appena
la testa al lampo
scuro negli occhi dell’idiota biondo.
-Tu
immagina… le streghe sono l'eccesso, sono le versioni
più estreme di un essere
umano; non sanno cos'è una via di mezzo, per i loro
caratteri esistono soltanto
bene o male. È il cuore a decretare la loro scelta, la
pendenza dell'ago.- gli
spiegò, paziente, sapendo che quelli erano segreti che
nemmeno il saggio
Cornelius avrebbe potuto rivelare al giovane principe –
solamente chi aveva
vissuto molto a lungo aveva potuto accedere a quei misteri.
-Quando
incontrai Siria per la prima volta lei già sapeva cos'era.
Sua madre è stata
uccisa sotto i suoi occhi, proprio perché era una strega.
Siria l'ha vista
bruciare sul rogo.-
Susan, che
fino a quel momento aveva tenuto fra le proprie le mani di Aaron ed era
rimasta
in silenzio, sgranò gli occhi.
Talia
annuì
in sua direzione, rispondendo così alla silenziosa domanda
della Regina: sì,
Siria aveva affrontato quel calvario ed aveva portato sulle spalle la
consapevolezza
di essere stata una delle cause della morte della propria madre.
-…è
stato
allora che Sir ha deciso di rinnegare qualsiasi legame con la magia, e
sempre
allora mi scongiurò di proteggere gli altri da se stessa.-sospirò,
osservando di sottecchi la reazione
di Lucy e di Edmund – Lucy sembrava un cucciolo abbandonato,
ma Edmund scuoteva
appena la testa in un muto gesto di sconforto, segno che Siria aveva
fatto bene
a fidarsi di lui nel rivelargli la propria identità.
-Siria
è
sempre stata combattuta fra la sete di vendetta ed il terrore di fare
del male,
di diventare una creatura malefica. Ha cercato di togliersi la vita da
bambina,
pur di non permettere a Jadis di tornare.- intervenne Aaron, stringendo
a sé
Susan mentre pronunciava quelle parole che decretavano il suo
fallimento come
fratello e come padre: non era stato in grado di salvare sua sorella,
nonostante fosse stata la cosa che più aveva desiderato al
mondo.
Caspian
trasalì, sconvolto. Nella sua mente
s’affacciò il ricordo di due sottili cicatrici
bianche, che spiccavano sulla pelle chiara dei polsi di
Siria… Siria aveva
tentato di togliersi la vita da bambina.
Ignorò
la
stretta al cuore che quella consapevolezza gli provocò,
guardando Talia e
scongiurandola, con lo sguardo, di non smettere di parlare.
-Siria
è
una delle persone più buone che conosca, Caspian. Pur di non
lasciarsi andare
all'odio è diventata una cacciatrice di taglie, una
mercenaria, incanalando la
sua rabbia verso degli obiettivi precisi: ladri, assassini,
stupratori… tutti
coloro che catturava, che consegnava, erano una piccola valvola
attraverso cui
parte del suo odio se ne andava, spariva.- gli concesse lei, mentre un
sorriso
triste le si disegnava in volto: Siria aveva lavorato così
tanto per diventare
una persona buona, in grado di controllare la parte più
oscura di sé…
-Quando sei
arrivato tu io ho sperato, ho sperato davvero che potessi essere la
svolta, il
mutamento improvviso. L'ho vista guardarti sognante, sorriderti
– sai quanto è
difficile farla sorridere?- gli domandò, sentendo la rabbia
evaporare dal
proprio cuore nel guardare gli occhi imploranti del principe: come
poteva
odiarlo? Caspian aveva reagito anche troppo bene, dopotutto…
aveva sbagliato,
sì, ma non aveva mai voluto fare del male alla donna che
amava.
-Per me
no…- mormorò, rammentando la facilità
con cui Siria si era sempre abbandonata
alle risate e alla serenità quando si trovava insieme a lui.
-Io pregavo
che tu potessi salvarla da se stessa. Siria si odia, ha sempre temuto
di
diventare malvagia, per quella rabbia che l'ha sempre corrosa da
dentro…
speravo che tu potessi permetterle di accettarsi e ci stavi anche
riuscendo…
era questione di tempo, presto ti avrebbe parlato anche di Jadis.-
Talia gli
rivolse un’occhiata che avrebbe voluto essere di
compatimento, ma che risultò –
per entrambi – uno sguardo angosciato e pieno di delusione ed
amarezza.
-Io…
a me
non…- cominciò lui, ma l’altra lo
interruppe quasi immediatamente.
-Lo so che
non t'interessa, dannazione!- sbottò, chiudendo poi gli
occhi per qualche
attimo e cercando di mantenere la calma: non era tutta colpa
di Caspian se
si era creato quel casino, doveva tenerlo a mente.
-Il
problema è che Siria adesso è confusa: ha perso
la fiducia in se stessa che tu
le davi, mio principe.- intervenne Cornell, vedendola in
difficoltà, ma fu il
Re Supremo a porgli quella domanda che aleggiava fra tutti loro da
quando Siria
se n’era andata.
-E
potrebbe… potrebbe lasciarsi andare? Alla rabbia, al male?-
-Sì.
Potrebbe benissimo farlo.- il disprezzo con cui Talia si rivolse a
Peter fu più
che sufficiente a farlo trasalire, quando gli occhi scuri e pieni
d’odio della
mezz’elfa incrociarono per qualche istante i suoi.
Talia
non l’avrebbe perdonato facilmente.
-Ma conosco
Siria… è una persona buona, forse anche troppo.
Non è mai stata capace di far
del male gratuitamente.- Tallie avvertì gli occhi pungere
quando l’unica
soluzione, che anche la sua amica doveva aver compreso, si
presentò fra i suoi
pensieri.
Siria
sapeva che ormai non avrebbe più potuto trattenere la sua
magia… non ne era
nemmeno più in grado, la forza impressionante con cui
l’aveva imbrigliata per
tanto tempo non esisteva più.
Serrò
le
palpebre, ricacciando indietro le lacrime che lottavano per sfogarsi,
per
scenderle lungo le guance. Siria non avrebbe voluto vederla piangere,
avrebbe
sorriso e le avrebbe detto di andare avanti, che era meglio
così.
Le
avrebbe detto di resistere.
-Talia…
no…-
riaprì gli occhi soltanto al sussurro di Aaron, alzando lo
sguardo su di lui.
Tante volte
si era trovata in disaccordo con il rosso, ed aveva perso il conto
delle
discussioni che li avevano visti antagonisti l’un
dell’altra; ma c’era sempre
stato rispetto, fra loro, un rispetto e una fiducia che avevano finito
per
somigliare molto ad affetto reciproco.
Ma adesso
vedere gli occhi color ghiaccio di Aaron riempirsi della stessa,
orribile
consapevolezza che lei aveva appena avvertito… faceva male.
Faceva male al
cuore.
-Mi
dispiace.- riuscì soltanto a mormorare, terrorizzata dal
fremito che la sua
voce le restituì all’udito.
-Cosa?
Dannazione, cosa!?-
Peter non
aveva ancora capito… l’elfa si strinse le
ginocchia contro al petto, cercando
di proteggersi, di trattenere quel dolore che si stava propagando con
una forza
inarrestabile nel suo corpo, nel suo respiro.
-Siria sa
di essere debole, adesso. Sa che Jadis ha fatto un qualche tipo
d'incantesimo,
e che lei ne è particolarmente sensibile, essendo una
strega. Quell’incantesimo
ce l’ha dentro da quando è morta sua madre: Jadis
le ha fatto credere che la
sua magia fosse malvagia, ma… Siria è la Quarta
Figlia di Aslan, la prima
strega ad incarnare in sé il Falco che Jadis uccise per
rubarne i poteri.-
mormorò, rassegnata.
Talia
sapeva bene cosa succedeva a Siria quando la magia prendeva il
sopravvento: la
sua magia non era mai stata cattiva, sbagliata,
era davvero
qualcosa di puro e semplice – terribilmente grande ma, allo
stesso tempo,
innocuo. Non per nulla, prendeva il sopravvento su Siria solamente per
salvarle
la vita, soltanto per proteggerla…
Jadis
però,
tanti anni prima, aveva instillato nella sua unica discendente il seme
dell’odio: quando Zaira era stata uccisa dai telmarini qualcosa
era
germogliato dentro Siria, qualcosa di oscuro e di malvagio che, prima,
non era
mai esistito: Jadis, da ovunque si trovasse allora, era riuscita a far
sì che
la magia scatenasse un’altra reazione dentro di lei, una
reazione distruttiva
che l’aveva segnata per sempre.
Aveva fatto
sì che una rabbia profonda, che non aveva ragioni di
esistere nella raminga, si
legasse indissolubilmente all’espressione dei suoi poteri.
Era
quella la maledizione che la Strega Bianca aveva imposto su Siria: la
dannazione di bruciare di un odio profondo ed incontrollabile
ogniqualvolta la
magia avesse preso il sopravvento sulla razionalità,
costringendola a temere se
stessa e a ripudiare il suo stesso essere.
Tallie
sapeva bene perché: se Siria si fosse odiata, se avesse
maledetto la propria
natura e la propria magia, sarebbe stata una preda molto più
facile per le mire
della Strega Bianca: sarebbe stata un corpo vuoto, privo di speranza, e
per
Jadis sarebbe stato un gioco da ragazzi prenderne possesso e tornare,
in quel
modo, a tiranneggiare sull’intera Narnia.
-Se Siria
fosse davvero malvagia lascerebbe la Strega Bianca prendere possesso
del suo
corpo, permettendole di tornare.- spiegò, laconica.
Non aveva
voglia di rivivere tutto, non aveva la forza di parlare ancora una
volta di
quella maledizione che, ora, le stava portando via la prima persona che
le era
stata davvero amica in tutta la sua lunga, lunghissima vita.
-Ma non lo
farà. Non è da lei.-
Se ne
avesse avuto la forza, Tallie gli avrebbe tirato un pugno.
Soltanto adesso
Peter Pevensie si rendeva conto di quanto Siria fosse buona, di quanto
non
avesse mai voluto fare del male a nessuno!?
-No,
infatti.- si limitò a sospirare, alzando gli occhi non sul
Re, ma su un altro
biondo.
Caleb era
al suo fianco, vedeva nei suoi occhi un sordo dolore non molto diverso
dal
proprio; però Cal era forte, era sempre stato tanto
forte… riuscì a rivolgergli
un breve, tirato sorriso, un sorriso umido di lacrime che ancora
combattevano
per essere libere di scendere.
Si sedette
accanto a lei senza dire nulla, passandole un braccio intorno alle
spalle. Non
parlò, non fece altro che stringerla con forza contro di
sé: Caleb la
conosceva, Caleb sapeva che parlare non sarebbe servito a niente,
sapeva che
non l’avrebbe fatta sentire meglio – ma sapeva che
aveva bisogno di lui, con
una tale intensità da risultare anch’essa dolorosa.
Aveva
bisogno di sentire la sua presenza, le sue braccia forti che la
stringevano.
Aveva
bisogno di non lasciarsi andare, di non cadere a pezzi.
Aveva
bisogno di lui… e Caleb era lì.
-Ti ha
chiesto di ucciderla, Peter. Avresti dovuto farlo.- mormorò
Tallie, chiudendo
ancora gli occhi e abbandonando il viso contro la spalla di Cal.
Oh, ma
avrebbe potuto dimenticare ogni cosa, fra le sue braccia; chi poteva
costringerla ad aprire di nuovo gli occhi, a guardare di nuovo quel
mondo che
le aveva dato soltanto sofferenza?
-Perché?-
Fu una
rabbia malcelata a costringerla a guardare di nuovo Peter Pevensie, gli
occhi
azzurri che la fissavano con una determinazione che sfociava quasi
nella
disperazione.
Che
cosa meritava, Peter, dopo tutto quello che aveva fatto?
Talia
sentì
le proprie labbra piegarsi in una gelida smorfia di disprezzo,
l’ira che
bruciava terribilmente nella sua carne. Non aveva mai provato nulla del
genere,
mai… non fino a quel momento, non fino a che non si era
ritrovata davanti
l’inconsapevole carnefice della sua più cara amica.
Che
cosa meritava, lui? Forse… meritava soltanto la
verità.
-Perché
ora
morirà nel modo più penoso.- rispose, la voce che
tagliava con la violenza di
un coltello affilato. -Da sola.-
Un lungo
silenzio seguì quelle parole che sapevano di condanna a
morte.
-Devo
andare da lei.- esclamò improvvisamente Caspian, alzandosi
in piedi con una
nuova forza negli occhi scuri: in quell’istante, non per la
prima volta, Talia
ammirò la determinazione che quel giovane testardo
possedeva; lei non aveva
nemmeno l’energia di alzarsi in piedi…
-No. Tu devi
restare qui e combattere per Narnia.- lo fermò Aaron, con la
gentilezza e la
compassione nella voce. Caspian scosse la testa, cocciuto.
Il
tuo popolo, che ora più che mai ha bisogno di te…
o la donna che ami, Caspian?
-Voglio
trovare Siria.- replicò, sostenendo l’occhiata
rassegnata di Aaron con
fermezza: Siria non era ancora morta, e lui poteva riportarla indietro.
Poteva.
-Adesso
ascoltami bene, razza di citrullo che non sei altro.- sbottò
il rosso,
alzandosi a sua volta nonostante lo sguardo di avvertimento rivoltogli
da
Susan. -Siria non vorrebbe mai che tu mettessi lei prima di migliaia di
altre
persone, vorrebbe che tu andassi a combattere, che andassi a vincere
questa
guerra maledetta anche per lei.- gli spiegò, sentendosi
però bizzarramente fiero
di ciò che quel ragazzo, che aveva lentamente imparato ad
apprezzare, era
diventato: Siria sarebbe stata felice di vederlo ancora
capace di combattere.
Il principe
rovesciò gli occhi verso l’alto, frustrato.
-Siria si
sta lasciando morire! Non posso abbandonarla, io…-
-Nessuno
andrà a cercarla.-
La voce
gelida del Re Supremo risuonò, agghiacciante, in tutta la
segreta, zittendo
ogni singola persona che fosse stata in grado di sentirlo. Peter non
guardava
nessuno: dava le spalle alla piccola folla riunita in quel luogo, il
volto
basso, chino, rivolto verso la figura scolpita di Aslan.
-Cosa!?- la
voce di Caspian spezzò quell’istante, la mano
destra che volava all’elsa della
spada. Sentì la rabbia montare ad una velocità
impressionante, salirgli agli
occhi, annebbiargli la mente più di quanto non avesse mai
fatto: il desiderio
di colpirlo, di fargli pagare la sofferenza che aveva imposto a Siria,
per un
istante fu più forte di tutto il resto.
-Siria ha
fatto la sua scelta. Noi abbiamo una guerra da vincere.- fu la risposta
secca
dell’Alto Re – che non si mosse, che non si
voltò nemmeno per un istante.
Nessuno
sembrò trovare qualcosa da rispondergli, in
quell’istante. Uno strano silenzio,
malsano, pesante, non voluto, sembrò calare fra tutti loro e
la figura distante
del biondo Re. Peter sembrava separato dal mondo, era lontano, diviso
dai
compagni e dalla famiglia da un’impenetrabile barriera di
ghiaccio che lui
stesso si era costruito attorno.
Nessuno
avrebbe potuto capirlo in quell’istante, nemmeno Shaylee:
perdere Siria era
stato…
-Ha
tradito, vero, Peter?- mormorò Talia, dando voce a quei
pensieri che nemmeno
lui voleva ammettere con se stesso: trasalì, Peter, quando
quella verità gli
s’affacciò nel cuore con la violenza e la rabbia
di un colpo di spada.
-Esatto.-
sussurrò, piano, volgendo lo sguardo sorpreso verso il volto
rassegnato di
Talia.
-No,
imbecille di un Re Supremo del cazzo.-
Tutti i
presenti trasalirono, sorpresi, quando la voce graffiante e furibonda
di Aysell
risuonò nell’intera sala della cripta.
La giovane
naiade era apparsa sulla soglia della vasta camera in silenzio,
arruffata e
scarmigliata come se avesse appena percorso, a piedi, miglia e miglia
di
cammino nella foresta. Ora però fissava Peter, rabbiosa come
nessuno dei
presenti l’aveva mai vista, ed avanzò verso il
Supremo Re con un passo deciso e
veloce molto diverso da quello elegante che aveva utilizzato sino a
quel
momento.
-Siria non
ha tradito nessuno. Non ha tradito me, non ha tradito Aaron
né Talia né,
tantomeno, Caspian.- soffiò, avvicinandosi minacciosamente a
lui e puntandogli
un dito contro il petto. -Non è la guerra, il punto.
È che ha tradito te.-
sputò, furiosa, il volto circondato dalla ribelle chioma di
capelli biondi e
gli occhi grigi che promettevano tempesta.
-Non__-
cominciò l’altro, intimorito da tanta veemenza, ma
Aysell serrò i pugni,
incenerendolo con lo sguardo.
-TACI!-
strillò, ed improvvisamente apparve nelle sue iridi un
bagliore assassino che
fece sussultare anche Talia, sconvolta da quel fervore letale che non
aveva mai
sentito agitarsi nell’animo di Aysell.
Peter
boccheggiò, crollando in ginocchio e portandosi entrambe le
mani al petto: una
pressione sgradevole gli stava congestionando il respiro, sentiva in
bocca il
sapore salato dell’acqua di mare che gli saliva dalla gola,
dalla trachea,
riempiendogli i polmoni e serrandogli il cuore in una morsa da cui non
sarebbe
potuto scappare…
-Aysell!-
sbottò Talia, sinceramente incerta sul da farsi: ritrovarsi
un Peter Pevensie
annegato non sembrava una brutta prospettiva, dopotutto… ma
no, Siria non
avrebbe voluto vederlo morto, era scappata anche per proteggere lui.
Balzò
in
piedi, pronta ad intervenire, ma una mano pallida e sottile si
posò sulla sua
spalla l’attimo dopo, trattenendola.
Si
voltò,
incredula davanti a quell’apparizione che aveva scatenato la
gioia nel suo
animo di Custode, ritrovandosi davanti i pacati occhi color bronzo di
una ninfa
– una pleiade, una ninfa del vento montano
– che le intimavano
gentilmente di non intervenire.
Caleb
sgranò gli occhi, sorpreso, quando vide Talia fermata da
quella creaturina
vestita di grigio che era apparsa bruscamente in mezzo a loro; la
riconobbe
anche se non si erano mai incontrati, perché Tallie
gliel’aveva descritta nei
minimi dettagli… Mirime, l’Ancella
dell’Aria, la creatura più antica di
Narnia.
Spostò
lo
sguardo su Peter, che stava annaspando: che Mirime volesse far annegare
davvero
il Re Supremo? Era uno spettacolo assurdo vedere qualcuno che affogava
dentro
se stesso, senza acqua che salisse a ghermire il suo corpo…
Bruscamente,
però, Peter boccheggiò e prese aria, la stretta
dell’oceano che si allentava e
gli permetteva di tornare a vedere chiaramente: Aysell lo
aveva lasciato
andare? Non sembrava molto propensa a…
Le
tre Figlie di Aslan lanciarono un urlo agghiacciante, quando una
voragine si
spalancò dentro ognuno dei loro cuori.
_
§
_
Caspian…
Siria
serrò
i denti, ignorando la fitta di dolore provocata dal labbro che si
spaccò sotto
quella tortura candida: la magia l’aveva trascinata
lì, lontano dalla Tana di
Aslan, oltre il Grande Fiume e le ultime foreste che dividevano Narnia
da
Archen… eppure non sapeva dove fosse finita, forse ai piedi
del Monte Pire.
Il volto
del principe era sempre più sfocato, nella sua mente. Tutto
si stava facendo
lontano ed incomprensibile, persino il terriccio che le macchiava le
mani
candide si dissolveva in polvere fra le sue dita, persino il vento
freddo che
sferzava quelle colline dimenticate era nulla più che una
carezza evanescente
sulla sua pelle insensibile.
A
che cosa serviva trattenere ancora quella bestia?
Era
diventata più forte di lei. L’aveva mangiata da
dentro, permettendo a Jadis di
farsi spazio nella sua anima, di infettare, con la sua
malvagità, la magia che
l’aveva dannata fin dalla nascita.
Siria non
era più niente, non esisteva più: c’era
soltanto quel fuoco dannato, quel fuoco
che distruggeva, ad ogni istante che passava, ogni centimetro ancora
sano del
suo corpo, del suo cuore in frantumi.
A
che cosa sarebbe servito resistergli?
Avrebbe
soltanto prolungato l’agonia, avrebbe soltanto permesso a
Jadis di renderla un
involucro vuoto da sfruttare a proprio piacimento. Continuare a vivere
sarebbe stata la condanna per tutti coloro che aveva amato, che quel
poco che
restava di lei ancora amava.
La sua
morte avrebbe portato solamente sollievo, a Narnia e ai suoi abitanti.
L’incubo
del ritorno di una strega potente come la Regina Bianca si sarebbe
dissolto
nell’inferno che ardeva dentro di lei, sarebbe stato soltanto
cenere sparsa su
quelle colline dal vento impietoso che spirava dalle montagne.
La sua
morte avrebbe salvato tutti quanti. Jadis non sarebbe mai tornata, la
sua
stirpe si sarebbe dissolta con Siria, con quella ragazza incapace di
alzarsi in
piedi un’altra volta – in ginocchio, poi riversa al
suolo, i capelli rossi che
bruciavano l’erba dove lo stremo l’aveva
abbandonata.
Cominciava
a crepitare, il fuoco.
Quell’energia
che troppo a lungo era rimasta sopita e in catene dentro di lei adesso
imperversava libera appena sotto la sua pelle, in attesa
dell’ultima resa.
Tremava,
Siria.
La paura
era grande, era immensa: ma il baratro che le scavava dentro era nulla
in
confronto al vuoto che aveva lasciato il suo cuore, la sua anima, nello
stesso
istante in cui aveva capito di aver perduto Caspian.
Tutte le
creature di Narnia lo avrebbero sentito. Forse già
avvertivano l’esplosione
imminente, l’incendio che sarebbe divampato per giorni,
incenerendo il pericolo
più grande che quella terra avrebbe mai potuto temere.
Forse
Talia ed Aysell potevano sentirla.
Annegata in
quelle voragini che la scuotevano in dolori convulsi nel mare verde
dell’erba,
Siria non riusciva ad avvertire nulla che non fosse il pulsare
terribile della
lava che le scorreva nelle vene.
Ma lo
sperava.
Quell’ultima
speranza, flebile e disperata, era rivolta alle sue amiche.
Mi
dispiace…
Un lieve
sussurro fra i pensieri esausti, gli occhi vacui e vuoti come cieli
sporchi di
nubi, labbra livide che mormoravano appena un nome soltanto.
-Caspian…-
E la
stremata barriera sottile crollò proprio in
quell’istante, quando l’ultima
crepa spezzò definitivamente la sua coscienza, la sua
flebile speranza.
L’ultima
cosa che Siria riuscì a sentire, a vedere, fu la sua pelle
diventare un fuoco
terribile che ardeva con la forza devastante della morte.
E bruciava.
Bruciava dello stesso rogo che aveva ucciso sua madre.
E
poi furono solo fiamme.
_
§
_
Ogni
singola creatura di Narnia lo sentì.
Ogni
nano, ogni animale parlante, ogni centauro, ogni fauno. Ogni elfo e
ogni
naiade, ogni driade ed ogni silfide, ognuna delle creature figlie di
quella
terra avvertì qualcosa spezzarsi nel loro cuore, nel cuore
di Narnia stessa.
E, ognuno
di loro, provò per un istante un terribile senso di
abbandono, di sconfitta, di
morte che ghermiva con i suoi artigli insanguinati una vita che non
aveva
meritato quel destino.
Anche
Cornell sentì, anche Cornell comprese. Anche
Ripicì, Tartufello, Trumpkin.
Tutti, per un istante, avvertirono la speranza spezzarsi con lo
schianto di un
fulmine.
Anche
Shaylee lo sentì e sussultò, guardando Mairead
con gli occhi che si riempivano
di lacrime.
Ma,
soprattutto, lo sentirono le tre Figlie di Aslan.
Aysell
crollò in un pianto disperato fra le braccia di Mirime, che
l’accolse nel suo
abbraccio impedendole di lasciarsi scivolare a terra: ma lacrime
silenziose
rigavano le guance della pleiade, che aveva conosciuto Siria e le si
era
affezionata tanti anni prima, che l’aveva osservata da
lontano per tutto quel
tempo e l’aveva protetta al massimo delle proprie
capacità.
-NO!-
Tutti
quanti, nella cripta, si voltarono a guardare la mezz’elfa
che aveva gridato:
un grido angosciato pieno di dolore e di sordida
incredulità, gli occhi scuri
che si spalancavano di botto mentre il colore scivolava via dalle sue
guance –
e le lacrime, sottili lacrime le rigarono il volto nello stesso istante
in cui
si serrò le mani sul cuore.
No.
Non era
possibile, no… non poteva essere successo davvero, non
poteva essersi arresa
davvero… Siria non era tipo da gettare la spugna, la
speranza di vederla ancora
una volta rialzarsi dopo l’ennesima pugnalata non era svanita
dentro di lei…
Eppure,
adesso, sentiva soltanto il vuoto.
Il vuoto di
un legame spezzato, di un giuramento che Siria aveva appena adempiuto.
Quella
presenza rassicurante, ora, era soltanto un sordo dolore lontano.
-No…-
le
ginocchia le cedettero nello stesso istante in cui le braccia forti di
Caleb
arrivarono a sorreggerla, a sostenerla mentre una parte di lei andava
irrimediabilmente in frantumi.
Jadis
aveva perso.
Lo sentiva,
la Strega Bianca non sarebbe mai più tornata a minacciare
Narnia.
Ma
aveva perso anche Siria.
La
maledizione di Jadis, alla fine, l’aveva consumata. L’aveva
portata via.
E, per la
prima volta, Talia non si vergognò di piangere.
Non si
vergognò di chiudere gli occhi, di voltarsi piano verso il
petto di Caleb per
nascondervi il viso: per la prima volta debole, fragile, mentre un
dolore mai
provato si faceva strada con forza dentro di lei.
Caleb la
strinse a sé senza dire nulla, la serrò in un
abbraccio caldo che l’avrebbe
tenuta insieme, che non le avrebbe permesso di andare in pezzi, di
gettare la
spugna: finché ci sarebbe stato lui al suo fianco, con
lei, Talia non
avrebbe ceduto.
Ma ora, ora
riusciva soltanto a piangere.
-Che cosa
succede? Cal, cosa succede a Talia?-
Aaron…
come
sarebbe riuscita a dirglielo?
-Tallie!-
Caspian…
con che coraggio poteva distruggerlo, con quale forza poteva dirgli
che…
-Principe
Caspian.- la voce profonda di Cornell le arrivò appena
più chiara. Era
rassegnata, era cupa: era la voce di chi si accingeva a dare una
brutta,
orribile notizia.
-Cornell,
cosa…- la voce di Caspian tremava, incerta e incredula
davanti a una sofferenza
che forse poteva cogliere anche lui.
Il suo
cuore apparteneva a Siria… ma forse il principe non capiva
perché
improvvisamente quel dolore avesse ghermito i suoi pensieri,
attanagliando il
suo petto e strappandogli un battito che aveva appena cessato di
esistere.
E poi
quelle parole. Le uniche che il centauro riuscì a
pronunciare in tono
distaccato, distante, terribilmente vero.
-La Strega
Rossa è caduta.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
.
............................................non dico niente e passo
direttamente alle noticille!!!!!!!!
Peter: SCIAGURATA! . Noticilla
n° 1:
Vorrei solo segnalare
una cosa molto importante: il termine "Strega Rossa", che qui viene
pronunciato da Cornell in riferimento a Siria, NON è un
riferimento o un plagio
della medesima definizione che viene utilizzata nella bellissima
fanfiction,
sempre appartenente a questo fandom, "The
Witch's Daughter".
Ho avuto in mente di
chiamare Siria in questo modo sin dall'inizio di Rebirth,
più di tre anni fa:
io e l'autrice ci siamo confrontate, sulla questione, poiché
l'ho contattata
non appena ho visto che utilizzava questo termine nella sua storia
(splendida,
fra l'altro, la consiglio!).
Io utilizzo
"Strega Rossa" per definire una strega appartenente al fuoco, e
l'unica che si fregia di questo titolo è Siria - che, per
l'appunto, è LA
strega DEL fuoco per eccellenza, così come Jadis era LA
strega DEL ghiaccio e,
di conseguenza, “Strega Bianca”. Questo non
significa che non sappiano utilizzare
altri tipi di magia, ma è ciò che le classifica
come streghe
"elementali".
L'autrice di
"The Witch's Daughter", invece, generalizza il termine "strega
rossa" come definizione di una strega che si basa non sulla freddezza
caratteriale e sulla spietatezza (come Jadis) ma sulle emozioni pure e
forti
come l'amore, l'affetto e la dolcezza.
Spero di essere stata
esaustiva e di aver reso giustizia ad entrambe le scelte di termini ^__^ . Noticilla
n° 2:
In questo capitolo viene accennato il nome completo di Siria: "Siria
Zairassen".
Come in molti libri ambientati in epoche pseudo-medievali (due nomi fra
tutti: la saga di Eragon e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco), il
cognome dei personaggi viene spesso formato con l'utilizzo di una
desinenza che significa "figlio/a di". Mi sono categoricamente
rifiutata di fare come Christopher Paolini, che ha utilizzato
semplicemente l'aggiunta del nome paterno (per i maschi) o materno (per
le figlie) sommato alle desinenze "-sson" o "-ssdaughter". Volevo
qualcosa di diverso, che non si collegasse all'inglese (sebbene sia la
lingua ufficiale di Narnia), poiché non è l'unico
linguaggio parlato nel regno. Perciò mi sono inventata,
ripescando le mie conoscenze di tedesco, due desinenze totalmente
diverse.
Nella mia fanfiction, quindi, le figlie FEMMINE assumono il nome della
MADRE con l'aggiunta della desinenza "-ssen"; allo stesso modo, i figli
MASCHI assumono il nome del PADRE sommato alla desinenza "-ros" oppure
"-oss" (la cosa varia dal nome del padre del pargolo, nel caso finisca
in vocale o consonante). Ovviamente sono esclusi i figli di chi un
cognome proprio ce l'ha già, ad esempio: un figlio o una
figlia
di Edmund si chiamerebbe "Pevensie", non "Edmundros" xD . Noticilla
n° 3:
Non ho una connessione internet mia, sto vivendo di reti a cui mi
connetto in modo molto maleducato ^^' Dovrei comunque riuscire a
continuare gli aggiornamenti seguendo la tabella di marcia che mi sono
prefissata, un capitolo ogni due settimane! Vi ricordo che Narnia's
Rebirth comprenderà 50 capitoli tondi tondi, e sto finendo
or
ora di scrivere il numero 46. . Noticilla
n° 4:
Sto lavorando ad una sorta di "~R~ Pedia" che potrei decidere di
pubblicare, una volta conclusa, come appendice a questa storia o alla
seguente, "Narnia's Redial". Contiene tutta una serie di informazioni
su come ho modificato il pantheon, la storia, la geografia e la trama
de "Le Cronache di Narnia" originale rispetto alle mie fanfictions -
grazie (nuovamente) al fondamentale aiuto di DreamWanderer!
Peter: in sostanza: aveva un attacco di insonnia e s'è messa
a scrivere quelle baggianate per passarsi il tempo. . Noticilla
n° 5:
Vi presento Mirime, la pleaide che è Ancella dell'Aria e
Prima
fra le Figlie di Aslan! Il volto è quello di Nina Dobrev,
ossia
la protagonista femminile di "The Vampire Diaries".
Non seguo la serie, lo ammetto (quindi: fans, non linciatemi per quello
che sto per dire, parlo per semplice gusto personale!), ma mi
è
bastato vedere qualche video su Youtube per capire che Damon Salvatore
è l'uomo della mia vita. Elena, vai da Stefan, Damon me lo
piglio io! . Dalla ~R~
Pedia:
Pleiadi: le pleiadi erano la razza
più potente fra
le ninfe, perché si trattava delle creature che avevano
avuto il compito di
portare il respiro alle creature di Narnia durante la creazione di
Narnia
stessa. Mirime è una pleiade, l’unica rimasta
della sua razza: durante
l’invasione di Caspian I, infatti, le pleiadi presero la
decisione di
disperdersi nel proprio elemento per preservare la presenza della magia
(questo
loro sacrificio, infatti, ha permesso ai narniani di sopravvivere e di
mantenere la propria scintilla di coscienza che li differenzia dagli
animali
comuni).
La scimmietta che
Aslan aveva destinato ad essere la prima
portatrice del ruolo di Ancella dell’Aria si donò
allo spirito di Mirime nel
momento stesso in cui Aslan decise di affidare alle razze narniane (e
non più agli animali) le essenze
delle sue Figlie: Mirime ha, quindi, l’età stessa
di Narnia, ed è l’unica
persona che non teme Aslan e, anzi, spesso lo rimprovera e lo scavalca.
.
. Noticilla
n° 6:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei
baldi
giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi
accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C.
S.
Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson
(il
regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di
"Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD .
Famiglia
Pevensie Peter:
20 anni Susan: 18 anni Edmund: 16 anni Lucy: 12 anni
Figlie
di
Aslan Siria:
20 anni Talia: 815 anni
(dimostrati: 19 circa) Mirime:
indefinito (dimostrati: 20 circa) Aysell: 904
anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari Tara: 14 anni Caleb: 22 anni Aaron: 22 anni
Altri
personaggi Caspian:
18 anni Shaylee: 1528
anni (dimostrati: 17/18) Mairead: 1987
anni (dimostrati: 30/35)
. Noticilla
n° 7 (poi ho finito di rompere, promesso):
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di
guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato
è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di
darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO
o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=ykpbAb_5ubQ
N.B. la canzone del capitolo precedente, il 40°, si chiama
"Demons"
ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come
collegamento, però, è farina del mio sacco e
riguarda
Peter e Siria ^^' . .
Tabella prossimi aggiornamenti:
.
10/11 - Capitolo 42
24/11 - Capitolo 43
08/12 - Capitolo 44
22/12 - Capitolo 45 . .
.
.
Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
Caspian
corse fuori dalla cripta, incredulo, incapace di credere alle terribili
parole
di Cornell che condannavano la flebile speranza che lo aveva tenuto in
vita
sino a quell’istante.
Doveva
sapere.
Il
medaglione d’argento rimbalzò sul suo petto quando
si arrestò bruscamente sulla
collinetta che Siria aveva tanto amato, alzando poi la testa verso il
cielo
scuro e ammantato di nubi.
Però
non erano nuvole quelle che oscuravano il sole di Narnia.
Una colonna
di fumo grigio, denso, era apparsa a sud-ovest rispetto a dove si
trovava la
Tana: era uno spettacolo terribile vedere quel mostro color ferro
innalzarsi
verso il firmamento, enorme e terrificante come i draghi descritti
nelle fiabe
che Cornelius gli leggeva quando era ancora un bambino.
No.
Crollò
in
ginocchio, Caspian, quando comprese che quell’immensa pira
funeraria era tutto
ciò che rimaneva della donna che aveva amato.
No.
-Siria…-
gemette, sentendo il volto riempirsi di lacrime e le mani tremare come
mai
prima.
La
consapevolezza di averla perduta lo schiacciò lì
dov’era, inchiodandolo al
suolo con tutta la forza del dolore e ghermendogli l’anima
con lunghi artigli
che la sbrindellarono in pochi istanti, spargendone i poveri resti in
quel fumo
che sapeva di morte.
Seppe in
quell’istante che avrebbe preferito morire mille volte pur di
non assistere a
quello spettacolo, pur di non sapere che Siria aveva rinunciato alla
vita per
proteggere lui e tutta Narnia: urlò, urlò tanto
da sentire i polmoni contrarsi
di dolore, battendo i pugni sul terreno fino a scorticarsi le nocche.
Il sangue
si mischiò con il terriccio ma lui parve non badarci;
abbassò lo sguardo,
sconfitto, guardandosi le mani rovinate e pensando che Siria lo avrebbe
sgridato: lei adorava le sue mani…
Il suo
cuore stridette, spezzato, quando quel pensiero lo sfiorò e
annientò anche quel
poco d’integro che era rimasto di lui.
Non
poteva farcela.
Lei non
c’era più e, con lei, era morta una parte troppo
grande di lui.
Lei se
n’era andata, aveva compiuto il sacrificio che nessuno
avrebbe avuto il
coraggio di portare a termine e, adesso, bruciava della maledizione che
le era
stata imposta contro la sua volontà come la più
pura ed innocente vergine
sacrificale.
Siria
non c’era più.
Calde lacrime
gli rigavano le guance, ma non gl’importava: chi
avrebbe avuto il cattivo gusto di deridere un uomo che piangeva la
donna che
amava?
Serrò
nel pugno quell’unico ricordo che gli rimaneva di lei,
quel medaglione che le aveva donato: sfiorò dolcemente quel
simbolo antico,
quei due cigni che si attorcigliavano in una danza di nodi e arabeschi
senza
fine né inizio, continui come il legame eterno ed
indissolubile che quel
disegno rappresentava.
Non era
possibile soffrire così tanto.
Come aveva
fatto, Siria, a vivere una vita intera col dolore
e la paura nel cuore? Caspian lo sentiva dilaniarlo da dentro, lacerare
ogni
più timido respiro inframmezzato dai singhiozzi…
come poteva essere
sopravvissuta tanto a lungo?
Era un mostro
quello che aveva preso vita nel suo petto e
che, ad ogni secondo, si faceva sempre più violentemente
largo dentro di lui,
distruggendo tutto ciò che aveva faticosamente costruito in
quell’anno di
guerriglia e lasciandosi soltanto polvere alle spalle.
Lasciando
soltanto il ricordo di quegli occhi spenti, vuoti,
quegli occhi che lo avevano abbandonato prim’ancora di lei.
Come
avrebbe fatto a sopravvivere, adesso?
Come
avrebbe fatto a combattere, a lottare, a
vincere quella guerra per cui la sua Siria aveva dato la vita?
Si
passò una mano sul volto, sentendo il sapore
salato delle lacrime macchiargli le labbra mentre, a fatica, si
costringeva a
reprimere tutto quel dolore che pareva volerlo distruggere,
squarciargli il
petto e dilaniarlo fino a lasciare di lui soltanto cenere.
Cenere.
Come ciò che era rimasto di lei.
Siria
aveva dato tutto per la Narnia in cui
aveva sempre detto di non credere, ma che aveva protetto a lungo
– per cui
aveva lottato fino all’ultimo respiro – nonostante
affermasse di non volersi
immischiare in quelle faccende che non la riguardavano.
Narnia
era stata, malgrado tutto, ciò che
l’aveva spinta a diventare ciò che era stata: una
mercenaria, una strega, una
raminga senza un luogo ove fermarsi a riposare…
una guida, una speranza, la
sua amata compagna.
Lui
avrebbe voluto
disperarsi, piangere la sua morte e non rialzarsi più da
quel letto di dolore
composto da fiori sgargianti ed erba rigogliosa su cui tante volte
aveva
riposato con lei; ma sarebbe stato giusto nei confronti della memoria
della
donna che aveva amato così tanto da sapere che nulla sarebbe
stato più come prima,
d’ora in avanti?
No.
Siria
non avrebbe
voluto vederlo compiangersi. Gli avrebbe detto di alzarsi, gli avrebbe
preso
una mano e, assieme a lui, si sarebbe gettata nell’ennesima
battaglia senza
esitare nemmeno per un istante, luminosa e splendente in quel suo
infinito
coraggio.
Però
adesso lei non era lì per stargli accanto,
per dargli la forza di vincere quella guerra.
Si
alzò in piedi,
Caspian Decimo, odiando quel pensiero irrazionale che lo stava
pungolando per
convincerlo a non arrendersi proprio adesso: doveva lottare, ora,
lottare come
mai aveva fatto sino a quel momento per portare a termine
ciò che la sua amata
aveva iniziato.
Era
solo.
Siria
lo aveva sempre
sostenuto, la sua presenza era stata un fuoco che aveva illuminato la
lunga
notte in cui aveva passato la sua intera vita; era diventato un uomo,
con lei e
per lei, aveva imparato cos’era
l’umiltà, cos’era la pazienza
– aveva
imparato ad amare, ad amare lei.
Sarebbe
stato in grado di farcela?
Lei
aveva creduto in
lui fin dall’inizio.
Siria
era sempre
stata convinta di ciò che lui poteva diventare, di
ciò che avrebbe potuto fare
imparando dai propri errori. Quella donna meravigliosa lo aveva
sostenuto
contro Peter, contro Telmar, contro i narniani – persino
contro se stesso e
contro le sue insicurezze, contro le sue paure.
Siria
non si era mai
arresa, mai, nemmeno dinanzi alla morte… e lui non avrebbe
infangato la sua
memoria abbandonando ciò per cui avevano lottato insieme.
Alzò
lo sguardo verso la densa colonna di fumo
che s’innalzava nel cielo una volta terso di Narnia con gli
occhi che
bruciavano, mentre le lacrime si arrestavano fra le sue dita.
Avrebbe
combattuto.
All’ombra
di quel fuoco che gli aveva portato
via tutto lui avrebbe vinto quella dannata guerra a cui lei aveva dato
tanto,
in cui tanto avevano creduto entrambi.
Per
lei.
_
§
_
Le naiadi
sussurravano, concitate ed afflitte, mentre attendevano che Mairead
uscisse
dalla reggia per annunciare loro le novità che le
sentinelle, tornate poche ore
prima, avevano sicuramente portato alla Sovrana. L’argomento
di discussione fra
le ninfe era uno soltanto, che si rincorreva di bocca in bocca e di
gemito in
sospiro: la colonna di fumo non accennava minimamente a disperdersi,
sopra di
loro, e l’aria solitamente limpida sapeva di cenere e di
sconfitta.
Improvvisamente,
i mormorii si chetarono.
Una
figuretta esile, che indossava abiti di cuoio rinforzato e portava a
tracolla
un bastone da combattimento, si fece avanti e salì sul podio
che avevano
improvvisato i servitori del palazzo per permetterle di parlare alla
totalità
della folla.
Emanava
un’aura di sicurezza, quella ninfa, che riverberava nella
lunga treccia in cui
aveva raccolto i capelli dorati e che trasudava da ognuno dei movimenti
rapidi
e determinati che aveva imparato a far suoi dopo gli insegnamenti di
Mairead.
Shaylee
prese fiato, chiudendo per un istante gli occhi per non sentire addosso
lo
sguardo delle centinaia di naiadi che, ora, tacevano per ascoltare
ciò che lei
avrebbe avuto da dire.
Siria
non c’era più.
-La Sovrana
Mairead ha ricevuto la conferma che tutti noi temevamo.-
iniziò, sentendo la
voce che tremava e le lacrime che tornavano a pungerle gli occhi: ma si
contenne, respirando a fondo. Aveva pianto abbastanza, ora doveva
comportarsi
come ci si aspettava da lei. -La Paladina del Fuoco, la nostra Siryn,
si è
sacrificata per impedire a Jadis di tornare ad appestare questo mondo
con la
sua esistenza.- continuò, sentendo il cuore dibattersi per
il dolore che le
causavano quelle parole pesanti quanto macigni.
Siria
era scomparsa e, con lei, il marchio di quella promessa a cui aveva
appena
adempiuto.
-I nostri
cuori sanguinano, adesso, ma non possiamo lasciare che il dolore ci
impedisca
di lottare.- continuò, ignorando lo sgomento del suo popolo
e le lacrime delle
più giovani di loro.
Il
suo, di cuore, non sanguinava. Si era spezzato.
Lei e Siria
avevano avuto degli screzi, sì, ma non per questo
l’affetto che l’aveva legata
alla raminga si era smorzato: sapere di averla perduta senza nemmeno
dirle
addio, senza nemmeno abbracciarla un’ultima volta, era
più doloroso di quanto
avesse mai potuto immaginare.
-Gli
esploratori hanno portato notizie nefaste per tutti noi: il ponte su
Beruna è
stato completato, e Telmar avanza verso la Tana di Aslan.-
Peter
doveva essere distrutto.
Controllò
il proprio corpo, Shaylee, quando un tremito
l’attraversò al pensiero di quanto
stesse soffrendo il suo amato Re in quel momento: avrebbe voluto essere
con
lui, ma sapeva che Peter le avrebbe detto ciò che anche
Mairead le aveva fatto
notare.
Il
suo posto era lì, adesso.
-È
giunto
il momento di ricordare che le naiadi hanno protetto questo regno
quando nessun
altro lo avrebbe mai fatto e che continueranno a farlo, oggi come fra
cento,
mille o diecimila anni ancora.- continuò, alzando il volto
con una nuova fierezza
nelle iridi d’oro liquido: Peter avrebbe combattuto fino
all’ultimo uomo, se
necessario, e Siria si era sacrificata per salvare il loro intero mondo.
Non
avrebbe deluso nessuno dei due, mai più.
Sorrise,
trovando la forza di farlo nel ricordo del volto del suo amato,
abbracciando
con uno sguardo orgoglioso e combattivo coloro che, rapiti, stavano
seguendo il
suo discorso parola per parola: il suo popolo, che lei
avrebbe guidato
assieme a Mairead in battaglia.
-È
giunto
il momento di combattere, ancora una volta, per Narnia.-
_
§
_
Peter,
all’interno della cripta, ricominciò ancora una
volta il tragitto che aveva
percorso già almeno venti volte, incapace di rimanere fermo.
Siria
era morta.
Gli
sembrava inverosimile.
Siria aveva
combattuto, al suo fianco e non, decine e decine di battaglie: ne era
sempre
uscita sana e salva – magari un po’ ammaccata,
d’accordo, ma comunque viva…
come poteva essersi arresa proprio nello scontro più
importante?
Siria
era morta.
Talia aveva
avuto ragione, avrebbe dovuto essere misericordioso ed ucciderla lui
stesso.
Avrebbe potuto risparmiarle l’agonia di morire in quel
tormento di fuoco che
aveva annerito il cielo di Narnia… ma no, lui non era stato
in grado nemmeno di
compiere quel gesto di pietà.
Si
era lasciato accecare dal rancore.
Come aveva
potuto essere così cieco da non vedere la realtà?
Persino Susan si era accorta
da sola di quanto Siria non potesse essere una semplice
umana… persino Edmund,
maledizione! Tutti loro avevano capito che Siria nascondeva una natura
magica
tranne lui e nessuno si era degnato di farglielo
notare!
Avresti
capito, Peter?
Quella
vocina interiore, che tanto assomigliava a quella di Siria, parve
sbeffeggiarlo.
Sarebbe
stato in grado di capire, lui? Sarebbe stato capace di accettarla per
quello che
era?
Ne
sei stato capace, alla fine, quando ti sei trovato davanti alla
verità?
Il Re
Supremo strinse i pugni, odiandosi come mai si era odiato in tutta la
sua vita:
lui era l’unico colpevole di quel disastro, sua era la
responsabilità di ciò
che era successo a Siria, lui l’aveva
spinta a scappare e a sacrificarsi
per salvare tutti loro.
Era
stato un codardo.
Non era
riuscito a vedere al di là di Jadis, della consapevolezza di
avere dinanzi una
lontana discendente della strega che lui aveva detestato non meno di
quanto,
ora, stesse biasimando se stesso: l’aveva attaccata e
accusata di qualcosa che
Siria non aveva mai fatto, l’aveva ripudiata come compagna di
battaglie e,
soprattutto, come amica.
-Mio Sire.-
la voce di un giovane fauno, latore di messaggi, spezzò il
filo dei suoi
pensieri angosciati.
-Voglio
rimanere solo, se non ti spiace.- si limitò a rispondere il
Re, senza nemmeno
voltarsi verso il nuovo arrivato: voleva compiangersi solo un altro
po’, voleva
soffrire per conto suo fino a riuscire ad acquietare, almeno
momentaneamente,
il rimorso che si sarebbe trascinato dietro per tutta la vita.
-Mio Sire,
è urgente. Porto notizie dagli esploratori.- insistette il
messaggero,
dispiaciuto ma impaziente come tutti i giovani che militavano nelle
truppe narniane.
Sospirando,
l’Alto Re di Narnia alzò il volto e gli
ordinò, con un cenno del capo, di
parlare.
-Il ponte
sul guado di Beruna è stato appena ultimato.
L’usurpatore Miraz conduce un
esercito di almeno diecimila uomini verso la Tana di Aslan.-
recitò lui tutto
d’un fiato, rizzandosi sulle zampe caprine e mantenendo
quella posa rigida e
compita per tutto il tempo.
Non
poteva scegliere un momento migliore, si disse Peter,
imprecando fra sé ma evitando di mostrare
la propria tensione al ragazzo.
-Chiama le
Figlie di Aslan. Adesso.- si limitò ad
ordinargli in tono secco,
invitandolo ad andarsene con un brusco gesto della mano. Il fauno
sparì nella
penombra della cripta, lasciandolo nuovamente solo ma con decine di
pensieri in
più che si accavallavano dentro di lui.
Diecimila
uomini contro poche centinaia di narniani.
Era una
battaglia persa in partenza, quella: nessun condottiero avrebbe potuto
vincere
contro Telmar a capo di quel gruppo di sparuti guerrieri a malapena in
grado di
sostenere un duello… se solo Siria fosse stata lì
avrebbe tirato fuori una
delle sue idee miracolose, era sempre stata molto brava ad ideare piani
e__
Si
maledisse, Peter, per aver permesso alla propria mente di dardeggiare
timidamente, ancora una volta, verso il pensiero di Siria.
Siria
era morta… era morta e lui doveva farsene una ragione.
Serrò
i
pugni, l’Alto Re di Narnia, ricominciando a percorrere la
cripta a passo di
marcia. Non aveva tempo per piangere una strega, si
impose, cercando di
scacciare il senso di oppressione che sentiva gravargli sul petto dal
momento
in cui Cornell aveva annunciato la caduta della Strega Rossa.
_
-IO
TI CAVO GLI OCCHI!-
Non
ha nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, Peter – non ha
nemmeno il tempo di
cacciare indietro le lacrime che gli stanno bruciando gli occhi
–: Aysell gli
si scaglia contro, strillando, con le gote arrossate dal pianto e le
iridi
piene di rabbia.
-Aysell!-
A
nulla vale il richiamo angosciato della ragazza coi capelli neri: la
naiade gli
arriva addosso con la furia di un maremoto, artigliandogli il viso
prima che
lui possa anche solo pensare di scostarsi.
Le
unghie affilate di Aysell gli scavano il volto con cattiveria, aprendo
solchi
che bruciano quasi quanto quella fitta atroce che gli ha mozzato il
fiato pochi
istanti prima.
Rimane
immobile, Peter, incredulo dinanzi a quella piccola furia che sta
cercando di
strappargli gli occhi; è Edmund che balza in avanti,
afferrando Aysell con
decisione e separandola dalla sua vittima inerme.
Susan
gli corre incontro, preoccupata, ma Peter l’allontana quando
lei cerca di
detergergli il viso con un fazzoletto. Si limita a spazzarsi via dagli
occhi il
sangue con la manica della tunica, ed è talmente sconvolto
da non riuscire
nemmeno ad avvertire il dolore.
Aysell
non urla più, adesso: Edmund la tiene stretta contro di
sé, accarezzandole
delicatamente i capelli e sussurrandole all’orecchio una
nenia di parole
confortanti che suo fratello maggiore non riesce a udire.
Piange,
la naiade, arrendendosi al dolore che le sta dilaniando il petto ed
abbandonandosi
nell’abbraccio del giovane, stremata – piange
quelle lacrime anche per lui, per
Peter, che sa di non potersi permettere nemmeno quella mera
consolazione.
Non
può, si dice, respirando a fondo nonostante il sapore del
sangue in bocca gli
dia la nausea. Lui non può piangere per la morte di una
strega – nemmeno se
quella strega lui l’aveva considerata un’amica.
Non
può, perché la colpa di tutto è
soltanto sua.
_
Bruciavano
ancora, quei graffi.
Aysell non
si era affatto risparmiata, constatò, passandosi quasi
inconsciamente le dita
sul volto sfregiato e sentendo il contorno di un taglio più
profondo degli
altri disegnarsi sotto i polpastrelli.
Bruciavano
come la morte di cui lui era l’unico responsabile.
Si
detestò
e provò ad ignorare se stesso, ma si ritrovò
comunque a riflettere su come si
fosse sentito spezzare dentro nell’attimo stesso in cui aveva
visto le Figlie
di Aslan crollare: era stato quasi un dolore fisico quello che lo aveva
attraversato, una stilettata in pieno petto… possibile che
avesse avvertito il
riflesso della loro sofferenza dentro di sé?
Beh…
tutto era possibile a Narnia, no? Lì poteva persino accadere
che una strega
stringesse amicizia con un Re…
-DANNAZIONE!-
sbottò all’improvviso, sussultando egli stesso per
la veemenza che avvertì
nella propria voce. Scosse la testa, cercando di calmarsi, ma
l’ansia e
l’agitazione continuavano a bruciargli dentro come
fuoco…
…come
il fuoco che aveva ucciso Siria.
Il
provvidenziale arrivo di Aysell, Mirime e Talia lo distrasse da quei
pensieri
che avrebbero potuto portarlo in fretta sull’orlo della
follia: si volse verso
di loro, accennando un inchino con un movimento della testa –
evitando, però,
di guardarle negli occhi.
Aysell
tremava come una foglia, aveva le guance arrossate e i capelli tutti
arruffati;
Talia era tesa come la corda del suo arco, aveva gli occhi gonfi e lo
fissava
come se non avesse desiderato altro che trucidarlo; l’unica
che pareva in grado
di controllare se stessa era l’Ancella dell’Aria,
Mirime, che continuava
meccanicamente a lisciare fra le dita la stessa ciocca dei suoi lunghi,
lisci
capelli corvini con lo sguardo perso nel vuoto.
Il biondo
rimase a distanza di sicurezza, memore di quanto sarebbe stato semplice
per
qualunque di loro ammazzarlo in meno di un istante, e le
ragguagliò in fretta
su ciò che il messaggero fauno gli aveva appena riferito.
-Voi potete
aiutarci in qualche modo?- domandò, infine, sapendo bene di
camminare sul filo
di un rasoio nel porre quella domanda proprio a loro, che sicuramente
lo
incolpavano della morte della loro compagna.
E
non avevano nemmeno tutti i torti, in fondo…
Mirime
sospirò, scorgendo lo sguardo furente che Aysell e Talia
avevano alzato sul Re
Supremo e decidendo all’istante di prendere la parola prima
che potessero
strangolarlo. -Lo faremmo, se fosse possibile.- si scusò,
scuotendo la testa
quando lui le rivolse un’occhiata interrogativa e confusa. -I
nostri poteri
sono spariti, Peter Pevensie, da quando l’esplosione
è divampata.- gli spiegò,
cercando di mantenere il tono della voce distaccato e freddo come i
venti che
spiravano fra le sue amate montagne.
-Pensavi
davvero che avessi smesso di affogarti per simpatia, deficiente?-
Suo
malgrado, Mirime si ritrovò a reprimere un sorriso quando
Aysell sputò quella
frase cattiva in faccia al biondo, che si ritrasse
all’istante davanti alla sua
gelida furia.
Lei ed
Aysell avevano avuto così poco tempo per stare con
Siria… sentì il cuore
dolerle quando si ritrovò a pensare che Siria avrebbe
meritato di crescere con
le sue sorelle, felice e spensierata come ogni bambina avrebbe dovuto
essere e
meravigliosa nella libera espressione della sua splendida magia.
Invece
il destino aveva voluto diversamente.
Non per la
prima volta la pleiade si ritrovò a pensare con astio ad
Aslan, il padre che le
aveva generate per solitudine e che le aveva abbandonate al loro
destino
esattamente come aveva fatto con i Pevensie e con Caspian: se solo
avesse
protetto meglio Siria, se solo si fosse degnato di
dare un segno di vita
ogni tanto negli ultimi tredici secoli…
_
-Io
sono un mostro, Mirime?-
La
domanda giunge inaspettata, prendendo di sorpresa
l’eternamente giovane Ancella
dell’Aria; Mirime alza gli occhi, guardando la ragazzina
smagrita che, fino a
pochi istanti prima, si stava allenando nel tirare di spada.
Siryn
non la sta osservando, i suoi occhi sono fissi sul bersaglio mobile che
Talia
ha costruito per lei: balza come un gatto, mulinando la spada, e il suo
colpo
va a segno senza nemmeno una traccia di esitazione.
-Assolutamente
no.- risponde la mora, chiudendo il libro che stava leggendo e
posandolo sulla
panchina di pietra, al proprio fianco. -Sei una strega, Siryn, non
è una cosa
brutta.- le ripete, sapendo però che – esattamente
come mille altre volte – la
piccola non crederà alle sue parole.
La
rossa prende fiato, scosta la treccia dalla spalla e la lascia
dondolare sulla
schiena rigida: si volge appena per guardare l’altra di
sottecchi, gli occhi
che brillano di un cupo dolore.
-Però
le streghe le bruciano sul rogo… beh, se non altro
dovrebbero trovare un altro
modo per far fuori me, no?- commenta, cercando di fare del sarcasmo
che, però,
non le riesce così bene: Mirime la vede tremare e sospira,
facendole cenno di
avvicinarsi e di sedersi accanto a lei.
-Nessuno
ti ucciderà, Sir.- le assicura, accarezzandole la frangia
che l’acconciatura
non riesce a trattenere. La bambina sospira, guardandola con quelle
iridi
stanche che dimostrano molti più anni di quelli che, in
realtà, possiede.
-Jadis
sì.- le fa notare, con una rassegnazione tale nella voce da
dare i brividi
persino all’imperturbabile Ancella dell’Aria.
-È questo quello che vuole, vero?
Vuole che io cresca per diventare il suo nuovo corpo.-
Mirime
rimane in silenzio, limitandosi ad annuire appena: Siryn è
grande abbastanza
per aver capito da sola qual’è la maledizione che
la Strega Bianca ha imposto
su di lei, non ha bisogno delle sue conferme. -Sarà come se
mi avesse uccisa,
in fondo. Forse non è così male.- aggiunge la
ragazza, abbassando gli occhi
sulle proprie ginocchia.
Ha
paura, tantissima, ma cerca di nasconderlo: è coraggiosa,
osserva Mirime,
coraggiosa come ben pochi saprebbero essere davanti ad un destino come
il suo.
-Non
dirlo neanche per scherzo.- sbotta, improvvisamente irritata da quella
mancanza
di reazione da parte della combattiva ragazzina che Talia ha portato
nel Regno
qualche mese prima.
La
prende per le spalle, costringendola a sostenere il proprio sguardo:
non può
permetterle di lasciarsi andare così… non
è giusto, Siryn non merita questo e
lei vorrebbe soltanto vederla sorridere – come tutte le
bambine della sua età
dovrebbero poter fare.
-Ascoltami
bene, ora: tu sei parte di Narnia e di tutte noi, sei la Paladina del
Fuoco ed
è un vero miracolo che tu esista, perché nessuna
di noi avrebbe mai sperato di
poterti incontrare.- afferma, sorridendole con tenerezza quando vede le
lacrime
riempirle gli occhi. -Tu sei una speranza, Siryn, non una maledizione.-
aggiunge, e ci crede davvero: quella ragazzina è anche la sua, di
speranza, la speranza che
non ha mai abbandonato di poter vivere serenamente assieme alle sorelle
che ha
scoperto di amare.
Siryn
trema, sconvolta da quella consapevolezza molto più grande
di lei.
-Io
però non riesco a sperare… ho solo tanta
paura…- sussurra, arrendendosi al
terrore e cercando rifugio fra le braccia di Mirime.
-Lo
so, piccola.- la conforta la pleiade, accarezzandole la lunga treccia e
dandole
un bacio sulla fronte. -Però sei una ragazza coraggiosa,
più coraggiosa e più
forte di quanto tu possa pensare. Ce la farai, te lo prometto.-
_
Gliel’aveva
promesso… Mirime serrò i denti, cercando di non
piangere quando quel frammento
di ricordo svanì dagli occhi della sua mente.
Aveva
promesso a Siria che si sarebbe salvata, che ce l’avrebbe
fatta a sconfiggere
Jadis: senza dubbio la sua amica raminga aveva vinto contro la Strega
Bianca,
le aveva impedito per sempre di tornare alla vita, ma… a
quale prezzo?
In quei
pochi mesi di vicinanza lei e Siria si erano affezionate
così tanto… era stato
impossibile impedire che tutte loro si legassero in quel modo, tanto
particolare e profondo, che nessun altro avrebbe potuto comprendere:
erano
sorelle, loro, sorelle per scelta ed affetto reciproco e non soltanto
per
volere di quell’essere semidivino che aveva donato loro la
vita.
Erano
sorelle che, adesso, piangevano la più coraggiosa e
splendente di tutte loro.
Come
avrebbero sistemato le cose? Loro tre erano esistite a lungo, avevano
posseduto
i loro poteri di Figlie anche prima della nascita di Siria: forse la
brusca
esplosione del Fuoco aveva sconvolto gli equilibri venuti a crearsi in
quegli
anni, da quando Siria era venuta al mondo…
Cristallina
come il ghiaccio, spontanea quanto la vita, la soluzione le si
presentò davanti
in tutta la sua luminosa e crudele semplicità.
Alzò
gli
occhi su Peter Pevensie, cercando di scorgere quel profondo dolore che
il Re
stava cercando di nascondere anche a se stesso: anche lui aveva amato
Siria,
anche lui aveva perduto una sorella in quel rogo… quel
pensiero infelice la
spinse a detestarlo un po’ meno, a sentirsi improvvisamente
più vicina alla sofferenza
che aveva visto agitarsi dentro di lui.
-Aslan
può
rimettere a posto le cose.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
.
Non mi uccidete, per piacere ^^'
Mi dispiace molto vedere che Rebirth non riscuote più tanto
successo; mi sono impegnata a finirla, a completarla, mettendoci
l'anima e lasciando da parte anche i progetti più seri e con
un possibile futuro come Seven Gods. La finirò e non ho
intenzione di abbandonarla un'altra volta, ma mi dispiace davvero che
in molti abbiano smesso di seguirla.
Lo so, in parte è colpa mia perché ho abbandonato
la storia per tantissimo tempo. Non fa niente, però un po'
dispiace ^^'
Non ho molto altro da dire su questo capitolo, direi che si spieghi da
solo: è ricomparsa, finalmente, anche la cara vecchia
Shaylee. È cambiata e s'è fatta più
matura, più donna, e per lei ho ancora in serbo un paio
d'assi nella manica.
Peter è un personaggio che, come credo si sia notato, mi
piace molto e adoro caratterizzare; il suo rapporto con Siria
è un'altra di quelle cose che mi mancheranno, una volta
terminata Rebirth. Non so, francamente, se valga la pena pubblicare
Redial.
Caspian è un poveraccio ma è tanto carino, il mio
amore per lui non smetterà mai di crescere xD e Mirime
è un altro di quei personaggi che adoro descrivere, mi
dispiace solamente averla fatta arrivare così tardi nella
fanfiction.
Niente, scusatemi per il ritardo ma non ho sempre Internet, ci
rivediamo al prossimo aggiornamento! . Noticilla:
In questo capitolo viene accennato il nome completo di Siria: "Siria
Zairassen".
Come in molti libri ambientati in epoche pseudo-medievali (due nomi fra
tutti: la saga di Eragon e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco), il
cognome dei personaggi viene spesso formato con l'utilizzo di una
desinenza che significa "figlio/a di". Mi sono categoricamente
rifiutata di fare come Christopher Paolini, che ha utilizzato
semplicemente l'aggiunta del nome paterno (per i maschi) o materno (per
le figlie) sommato alle desinenze "-sson" o "-ssdaughter". Volevo
qualcosa di diverso, che non si collegasse all'inglese (sebbene sia la
lingua ufficiale di Narnia), poiché non è l'unico
linguaggio parlato nel regno. Perciò mi sono inventata,
ripescando le mie conoscenze di tedesco, due desinenze totalmente
diverse.
Nella mia fanfiction, quindi, le figlie FEMMINE assumono il nome della
MADRE con l'aggiunta della desinenza "-ssen"; allo stesso modo, i figli
MASCHI assumono il nome del PADRE sommato alla desinenza "-ros" oppure
"-oss" (la cosa varia dal nome del padre del pargolo, nel caso finisca
in vocale o consonante). Ovviamente sono esclusi i figli di chi un
cognome proprio ce l'ha già, ad esempio: un figlio o una
figlia
di Edmund si chiamerebbe "Pevensie", non "Edmundros" xD . Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei
baldi
giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi
accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C.
S.
Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson
(il
regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di
"Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD .
Famiglia
Pevensie Peter:
20 anni Susan: 18 anni Edmund: 16 anni Lucy: 12 anni
Figlie
di
Aslan Siria:
20 anni Talia: 1136
anni
(dimostrati: 19 circa) Mirime:
indefinito (dimostrati: 20 circa) Aysell: 904
anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari Tara: 14 anni Caleb: 22 anni Aaron: 22 anni
Altri
personaggi Caspian:
18 anni Shaylee: 1528
anni (dimostrati: 17/18) Mairead: 1987
anni (dimostrati: 30/35)
. Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di
guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato
è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di
darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO
o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama
"Demons"
ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come
collegamento, però, è farina del mio sacco e
riguarda
Peter e Siria ^^' . .
Tabella prossimi aggiornamenti:
.
24/11 - Capitolo 43
08/12 - Capitolo 44
22/12 - Capitolo 45 (così vi augurerò "buon
Natale" xD)
05/01 - Capitolo 46 . .
.
.
Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
L’erba,
gli
alberi, le piante: era stato tutto spazzato via da quel fuoco che
ancora
innalzava lingue rossastre e colonne di fumo nero nel cielo, e che
aveva
incenerito qualsiasi cosa trovasse sul proprio cammino.
Era stato
il grido della morte a risuonare in tutta Narnia quando la strega aveva
lasciato libero sfogo al dolore che la perseguitava da una vita intera:
ed ora
il suo corpo ardeva, libero, in mezzo a quell’inferno da cui
non si sarebbe più
sottratta.
Non provava
dolore né piacere, soltanto la stranissima sensazione di non
essere più né
carne né respiro: era qualcosa di diverso, ora, era il fuoco
stesso che ardeva
per consumare la maledizione di Jadis nella sua furia purificatrice.
.
.
.
E
così è questo morire. Non è poi
così male, dopotutto.
“Oh,
no. Questa non è la morte, mia cara.”
Cosa…
“Puoi
ancora tornare indietro.”
…Jadis.
“Perché
continui a odiarmi, bambina? Siamo sangue dello stesso sangue, tu ed
io.”
Non
tornerò indietro. Non tornerai a Narnia.
“Sei
coraggiosa, mia piccola, ma ti stai sacrificando per qualcuno che ti ha
rifiutata.”
Non
importa.
“Non
importa? Il tuo principe, l’uomo che ami? Tuo fratello, la
tua cara mezz’elfa,
le ninfe? Peter? Non valgono nulla per te, Siria?”
È
per loro che non tornerò indietro. Morirò, e tu
con me.
“Sei
una sciocca. Guarda la forza che hai dentro, guarda che cosa sei:
potresti
essere potente, invece ti stai sacrificando per qualcuno che ti
odia.”
Io
non ti lascerò vincere.
“Ma
io ho già vinto, non capisci? Ho vinto nello stesso momento
in cui hai
cominciato ad usare la magia, anni ed anni fa.”
No.
Io non sono come te.
“E
allora cosa sei? Chi sei, Siria, figlia di Zaira la strega, erede della
magia
di Jadis?”
Io
sono una strega.
“Lo
ammetti, finalmente.”
Ma…
sono anche Siria.
“Oramai
è troppo tardi. Non puoi conciliare più nulla,
puoi solamente arrenderti a me.”
Sono
entrambe le cose… e nessuna delle due è malvagia.
“Tu
sei una creatura del male, come me. Rassegnati.”
No.
Non è vero.
“Sei
figlia della morte. Non ha senso combattere contro la tua
natura.”
Io
sto combattendo contro di te, non contro me stessa.
“Muori,
allora. Brucia nel tuo stesso sciocco sacrificio, ma Narnia
sarà perduta lo
stesso, un giorno, e tu non sarai lì a
proteggerla.”
No.
“Permettimi
di spazzare via Telmar, Siria. Permettimi di tornare, e sarai Regina
per
sempre.”
Con
tutta la cortesia di questo mondo, Jadis: vai all’inferno.
“Tu
sei l’inferno, traditrice.”
No.
Io… io sono soltanto Siria.
.
.
.
E, quando
quelle ultime parole rimbombarono con forza nella sua mente, nel suo
cuore una
nuova pace prese il posto del tormento.
La tenaglia
che le aveva serrato l’anima in una morsa terribile
allentò finalmente la sua
stretta, e le permise di respirare appieno per la prima volta in
vent’anni.
La
sentì
sciogliersi, la sentì farsi flebile e lontana dentro di
sé. La sentì
dissolversi, spargersi come polvere nel vento, come cenere in un fuoco
che non
bruciava più ma che accarezzava, cingeva, confortava.
Fuoco
che era la sua pelle, fuoco che era la sua carne.
Fuoco
che l’aveva resa cenere e da essa le aveva permesso di
risorgere.
Fuoco
che aveva schiuso le ali della fenice che lei era nata per essere.
La schiena
cominciò a formicolarle, dandole la meravigliosa sensazione
di avvertire nuovamente
il proprio corpo: carne, ossa, muscoli, era di nuovo tutto vero, era di
nuovo
tutto lì e lei non era più soltanto un fuoco
indefinito che consumava se
stesso.
Sorrise,
sentendo le labbra distendersi ed i muscoli tirare: era stremata, ma
non per questo
si sarebbe negata il piacere di vivere appieno la bellissima sensazione
di cui
il suo corpo si stava riempiendo.
Si
lasciò
scivolare con grazia in ginocchio, mentre le fiamme si esaurivano
lentamente e
lasciavano il suo corpo nudo e intatto fra la cenere che la sua
esplosione
aveva sostituito alla lussureggiante vegetazione delle colline alla
base del
monte Pire.
Lingue
rossastre la cinsero in un abbraccio dolce, materno, accarezzandole la
guancia
e portando via le ultime lacrime commosse che Siria non era riuscita a
trattenere: si sentì riempire di tenerezza e di gioia,
quando riconobbe il
profumo suadente e familiare, nonostante tutto, di una persona che
aveva
perduto tanti anni prima.
Mamma…
Il fuoco
parve sorridere con lei, mentre delicate dita di lava le disegnavano
circoletti
affettuosi sul viso.
Sono
fiera di te, mia piccola Siryn, mia dolce bambina. Sono sempre stata
fiera di
te.
Siria
gioì
di quelle parole, lasciandosi cullare in quell’amorevole
stretta fino a che non
sentì i propri sensi abbandonarsi all’oblio della
stanchezza e della pace.
Per
la prima volta, nel cielo limpido della sua pelle candida, le ali rosse
della
fenice poterono spiegarsi in tutta la loro magnificenza, respirando
finalmente
l’aria fresca della libertà.
.
.
.
.
.
.
My Space:
. Non mi uccidete ^^' Peter: dici sempre la
stessa cosa alla fine di ogni capitolo! Non è colpa
mia se hanno tardato a riallacciarmi Internet T___T
Coooomunque: bentrovati!
Ve l'avevo detto che non dovevate perdere la speranza xD Siria
è
troppo coriacea per lasciarsi far fuori da gentaglia come Jadis o Peter
U_U Peter: no ma grazie, eh! Sempre a tua
disposizione U_U Comunque
(di nuovo), siamo arrivati a questo capitolo!
È pronto da un sacco di tempo, qualcosa come 2 anni ^^' ed
è il coronamento della crescita che Siria ha attraversato
durante tutta la storia. In questo capitolo lei affronta la sua
più grande paura, Jadis; non scappa più, non
fugge più, ma la affronta con la serenità della
donna che è diventata, sicura nella propria determinazione e
nella propria scelta. È questo, più di qualunque
altra cosa, che la consacra come qualcosa di puro e di "buono":
è andata contro la propria natura, la propria discendenza,
pur di fare ciò che riteneva più giusto per le
persone che ha imparato ad amare.
Insomma, ce l'abbiamo fatta!
Mancano sette capitoli alla fine e saranno tutti uno più
agitato dell'altro: sta arrivando la battaglia finale!!! Peter: notare che questa
qua si diverte un sacco quando parla di gente che si massacra!
Vi comunico inoltre che, fra poco tempo, aggiornerò i
capitoli precedenti di Rebirth con la versione
riveduta e corretta in primis da DreamWanderer (sia lode a
lei!) e con qualche aggiunta, modifica o correzione a livello di trama
da parte mia. Non cambierà nulla per la storia, ma la
versione online sarà decisamente più precisa e
scritta meglio! Stay tuned! . Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei
baldi
giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi
accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C.
S.
Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson
(il
regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di
"Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD .
Famiglia
Pevensie Peter:
20 anni Susan: 18 anni Edmund: 16 anni Lucy: 12 anni
Figlie
di
Aslan Siria:
20 anni Talia: 1136
anni
(dimostrati: 19 circa) Mirime:
indefinito (dimostrati: 20 circa) Aysell: 904
anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari Tara: 14 anni Caleb: 22 anni Aaron: 22 anni
Altri
personaggi Caspian:
18 anni Shaylee: 1528
anni (dimostrati: 17/18) Mairead: 1987
anni (dimostrati: 30/35)
. Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di
guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato
è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di
darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO
o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama
"Demons"
ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come
collegamento, però, è farina del mio sacco e
riguarda
Peter e Siria ^^' . .
Tabella prossimi aggiornamenti:
.
15/12 - Capitolo 44 (così torniamo in pari xD)
22/12 - Capitolo 45 (regalo di Natale!)
05/01 - Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47 . .
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
-Lucy
troverà Aslan, in qualche modo. È
sempre stata la sua diletta.-
Susan non aveva avuto torto: Lucy
Pevensie era sempre stata
la preferita di Aslan, forse per la sua natura dolce ed estremamente
buona, ed
era l’unica fra loro che avrebbe avuto qualche
possibilità di incontrarlo – forse
perché era proprio l’unica a credere ancora in lui.
Il piano che i Re e la Regina
avevano ideato per ritrovare
il grande leone le era parso incredibilmente ben congegnato, tanto da
spingerla
ad accettare la preghiera che Edmund le aveva rivolto per chiederle di
accompagnare la piccola in una delle foreste più profonde e
pericolose di
Narnia.
Avevano superato da circa
un’ora il Prato Ballerino e si
stavano addentrando sempre di più fra quegli alberi
dormienti di cui Talia,
soffrendo, non poteva più avvertire il respiro quieto ma
costante; aveva però
avvertito la presenza di una squadra di telmarini ad una manciata di
iarde
dietro di loro sin dal momento in cui avevano lasciato la Tana di Aslan
e,
adesso, aveva mandato avanti Lucy al galoppo, fermandosi per rallentare
i loro
inseguitori.
-Non
rischiare inutilmente, Talia.
Trattieni i telmarini, se riesci, ma non mettere a repentaglio la tua
vita.-
Mirime era riuscita a cogliere
immediatamente il lampo cupo
nei suoi occhi, sì: l’Ancella dell’Aria
l’aveva presa da parte e le aveva
bruscamente messo in chiaro quella scomoda verità,
pronunciando le esatte
parole che Talia non avrebbe voluto sentire.
Saggiò la corda del
proprio arco, sentendolo vibrare
delicatamente sotto le dita.
I suoi poteri erano scomparsi,
debilitati dalla brusca
sparizione di Siria, ma possedeva ancora forza e velocità a
sufficienza per
sterminare almeno quel manipolo di telmarini che, adesso, poteva vedere
distintamente a poche iarde dinanzi a lei, mentre frustavano i cavalli
già
lanciati al galoppo.
-Ti
amo.-
Soltanto Caleb era riuscito a far
breccia in quell’armatura
dietro cui si era trincerata dopo aver avvertito la morte della propria
amica.
Caleb le aveva ricordato quanto
l’amava, con quelle parole
semplici eppure piene di sentimento; Caleb aveva voluto farle presente
che non
tutto era perduto, che – insieme
– avrebbero potuto avere ragione di
quel dolore pulsante che non si era minimamente acquietato nel cuore
della
mezz’elfa; Caleb le aveva permesso di rimettersi in sesto
abbastanza a lungo
per darle la forza di sorridergli, esausta ma ancora in piedi, prima
che
Destriero s’impennasse per poi scagliarsi nella folle corsa
attraverso il
bosco.
Ma nemmeno lui aveva potuto aver
ragione della sete di
vendetta che, adesso, le riempiva la bocca del sapore acre e disgustoso
del
sangue.
-Fatevi avanti, su. Non chiedo
altro.- sibilò, portando
l’arco lungo in tensione ed accostando l’asta della
freccia alla guancia: così
facendo, però, sentì il polsino della casacca
sfiorare un punto del collo più
sensibile del normale – l’angoletto di pelle su cui
il sigillo di Iona aveva
perdurato per tanti anni –, rammentandole così
ciò che aveva perduto e
l’assenza simile ad una voragine che avvertiva dentro di
sé.
Siria aveva adempiuto alla sua
promessa, portando con sé il
marchio di quel giuramento che le aveva unite l’una
all’altra.
Talia serrò le unghie
sul legno, digrignando i denti ma
sforzandosi di non piangere: tirò a sé la corda,
mentre l’odio le pulsava nelle
orecchie uccidendo ogni altro rumore attorno a lei, focalizzando
l’attenzione
sulla maschera di ferro del telmarino che stava per attaccarla.
E poi non rimase altro che morte.
.
.
.
-Dai, Destriero!- gemette Lucy,
spaventata, spronando il
bellissimo frisone quando, guardando indietro, vide uno dei guerrieri
telmarini
farsi sempre più vicino a lei.
Il cavallo di Caspian
lanciò un nitrito disperato,
abbassando la testa e spingendosi al massimo delle proprie
possibilità – ma era
stanchissimo, avevano corso per un sacco di tempo senza mai rallentare
e aveva
già la schiuma alla bocca, Lucy sapeva che avrebbe dovuto
farlo riposare subito
per evitargli un mancamento…
Un lampo dorato nel verde della
foresta.
La ragazzina lanciò
un’occhiata incredula agli alberi che,
sfocati, scorrevano attorno a lei ad una velocità
straordinaria: le era
sembrato di scorgere qualcosa di familiare fra quei tronchi
così immobili…
-Aslan?- sussurrò,
speranzosa, le iridi celesti che
s’illuminavano di una nuova speranza: tirò
bruscamente le redini di Destriero,
lanciandolo alla propria sinistra quando scorse ancora una volta il
baluginio
della folta criniera del familiare, imponente signore di Narnia.
Il ruggito del leone precedette di
pochi attimi la sua
trionfale apparizione: l’enorme felino si scagliò
fuori dalla macchia arborea
con la rapidità di una freccia scoccata, balzando
sull’inseguitore di Lucy
senza la minima esitazione e squarciandogli il petto dalla spalla al
ventre
quando il telmarino provò a colpirlo.
Rotolò a terra, Aslan,
riempiendosi la criniera di foglie
secche mentre il cavallo dell’uomo scappava via; Lucy, senza
esitare, fermò
Destriero e ne discese, sentendo il cuore battere forte nel suo piccolo
petto.
-Aslan!- chiamò,
più felice di quanto non fosse mai stata
nell’ultimo periodo.
E Aslan si voltò,
sorridendole con quegli occhi bruni e
lucenti che lei non aveva mai dimenticato, annuendo ed alzandosi in
piedi
giusto un istante prima che Lucy gli si lanciasse addosso per
abbracciarlo con
tanta forza da far capitombolare entrambi, nuovamente, a terra.
Rise, il leone, rise di quella
risata calda e rassicurante
che Lucy adorava, chinando la grande testa per avvolgerla nel profumo
di
muschio e di Sole della sua folta criniera.
-Sapevo
che eri tu,
fin dall’inizio…- singhiozzò lei,
ridendo a sua volta, stringendosi forte a
quel pelo morbido con la meravigliosa consapevolezza di sapere,
finalmente, che
le cose stavano per sistemarsi.
Si staccò da Aslan
soltanto dopo essersi calmata un poco,
squadrandolo dal basso verso l’alto e sgranando gli occhi.
-Sei cresciuto!-
esclamò, stupita: non credeva che anche Aslan potesse
cambiare, lo aveva sempre
immaginato come un essere immutabile ed eterno – un
po’ come il cielo e le
stelle.
-Come tu cresci un po’
ogni anno, anche io cambio col passare
del tempo.- le spiegò lui, con la voce più calda
e profonda di quanto lei non
rammentasse. Lucy annuì, sentendo un nuovo groppo in gola
annodarsi ed
impedirle di parlare, limitandosi ad accoccolarsi un’altra
volta contro di lui.
-Cosa ti è successo,
Aslan? Perché non sei venuto a
salvarci, questa volta?- mugolò, sentendo
l’angoscia ripresentarsi dentro di sé
al pensiero di quante cose erano successe in quell’anno che
era trascorso dal
momento in cui, per la seconda volta, avevano messo piede a Narnia.
Aslan non rispose immediatamente.
Si sedette con grazia
nell’incavo delle radici di un grosso faggio, lasciando che
Lucy s’accomodasse
fra le sue gigantesche zampe e volgesse gli occhioni pieni di domande
verso di
lui.
-Le cose non accadono mai due volte
allo stesso modo.- si
limitò ad affermare, enigmatico come sempre, strappando uno
sbuffo esasperato
alla bambina.
-Ma… avresti potuto
impedire tante cose!- protestò, infatti,
la piccola Lucy: Aslan avrebbe potuto evitare che Siria venisse rapita,
assieme
alle sue amiche, da Angus Flynch… avrebbe potuto far
sì che la rossa non
scappasse dalla Tana e non si sacrificasse per tutti loro, avrebbe
potuto fare
tante cose per impedire ciò che, invece, aveva lasciato
accadere.
Aslan abbassò il capo,
mentre i suoi occhi s’incupivano al
pensiero di quella figlia che non era riuscito – ancora
una volta – a
proteggere come avrebbe voluto e dovuto fare.
-Cose che vi hanno insegnato
più di quanto io avrei mai
potuto.- contraddisse, pacatamente, la piccola Lucy: se lui fosse
intervenuto
per proteggere le sue Figlie, Caspian e i giovani Pevensie, nessuno di
loro
avrebbe mai imparato nulla di ciò che quell’anno
di guerriglia e preparazione
aveva permesso loro di capire e accettare. Era un concetto difficile e,
per
certi versi, crudele, ma Lucy era una giovane intelligente e Aslan
sapeva che,
alla fine, avrebbe capito.
La vide però
intristirsi, probabilmente al pensiero della
morte orribile di Siria. Lucy era sempre stata molto dolce ed
estremamente
sensibile, non lo sorprendeva affatto vederla tanto sconvolta per la
sparizione
di una persona a lei cara… -Non piangere chi se
n’è andato, Lucy. La vita è
piena di sorprese.- la consolò, cullandola fra le zampe e
strofinando il muso
contro di lei.
La bimba ridacchiò,
tirando su col naso ed asciugandosi gli
occhi, incapace di tenergli il broncio troppo a lungo.
-E, ora come ora, tu che sorpresa
hai in serbo per questo
disastro?- gli chiese, ironica e spigliata come sempre, strappandogli
una
risata enigmatica ed un lungo sguardo di quelle profonde, antiche iridi
brune.
-…rawr?- tentò allora Lucy, mimando un ruggito ed
un’artigliata con la manina
piccola e soffice.
Il leone si alzò in
piedi, divertito, guardandola con
orgoglio ed infinita pazienza.
-Esattamente, mia piccola Lucy.-
annuì, prima di rovesciare
la testa verso il cielo e lanciare un ruggito che poté
udirsi in tutta Narnia.
La terra stessa tremò,
quando il canto di Aslan richiamò
alla vita le creature che per lunghi secoli avevano celato se stesse.
Le fronde degli alberi fremettero
d’impazienza quando driadi
e silfidi comparvero danzando fra i loro rami, accogliendo le ninfe dei
boschi
e dei venti in un abbraccio materno ed amorevole; dalla penombra della
foresta
emersero le figure, dapprima sfocate, di decine di creature di Narnia
che Lucy
non credeva esistere ancora – troll, goblin, lupi delle
montagne e tantissimi
altri – mentre, alle loro spalle, si delineava il profilo
più familiare delle
impalpabili nereidi e delle ben più concrete naiadi.
Lucy trasalì, sentendo
un sorriso entusiasta schiudersi sul
proprio volto quando riconobbe le inconfondibili iridi dorate della sua
adorata
amica Shaylee.
-Shaylee!- esclamò,
incapace di trattenersi, correndo ad
abbracciarla e stringendosi forte alla vita esile di quella giovane
ninfa a cui
tanto si era affezionata durante l’ultimo anno.
Shaylee sorrise, emozionata,
stringendo a sé la piccola
Pevensie e chiudendo per un istante gli occhi per assaporare quel
minuscolo
attimo di gioia che si era appena acceso dentro di lei: era
così bello rivedere
Lucy dopo tante settimane…
-Ciao, piccola.-
mormorò, chinando il capo e lasciandosi
confondere – per un breve istante – dal profumo
fresco e frizzante intriso
nella lunga chioma castana di Lucy.
Sapeva di casa, quella bambina.
Rimase abbracciata alla ragazzina
per quella che le parve
un’eternità, sotto gli sguardi orgogliosi di Aslan
e di Mairead; ma, quando si
accorse di essere osservata, alzò il volto e si ricompose,
permettendo però a
Lucy di rimanere stretta a lei.
-È arrivato il momento,
Aslan?- domandò, dominando
l’emozione che sentiva agitarle il cuore al cospetto del
signore incontrastato
di tutta Narnia – era passato talmente tanto tempo dal loro
primo incontro che
Shay, vergognandosene, si era convinta di averlo solamente
sognato…
Le iridi grandi e lucenti del leone
si posarono su di lei,
spingendola a chinare la testa in segno di rispetto; sorrideva, Aslan,
fiero di
quella naiade che aveva osservato a lungo e che, finalmente, vedeva
sicura di
sé e della strada che aveva deciso di percorrere.
-Sì, mia cara.- annuì, prima
di volgersi verso la bellissima Sovrana che aveva guidato il popolo di
Narnia
da quando lui se n’era andato. -Mairead, mia signora.- la
salutò, abbassando la
grande testa davanti a lei.
Mairead sorrise, altera e
misteriosa come sempre,
comprendendo il muto ringraziamento che Aslan le stava rivolgendo con
quell’inchino.
-Ti affido Lucy.- aggiunse lui,
rialzando il muso e vedendo
la ninfa annuire in risposta.
Mairead sapeva bene dove lui doveva
andare, adesso.
-Sarà al sicuro.- gli
assicurò, stringendo le lunghe dita
affusolate sullo scettro incantato che Aslan stesso le aveva donato
secoli e
secoli prima; la pietra azzurra incastonata
nell’estremità superiore sfolgorò
di bagliori argentati quando la Sovrana s’inchinò
a sua volta al cospetto del
grande leone, rispettosa, prima che il felino si voltasse per avviarsi
verso il
profondo della foresta.
-Mairead?- sentì
squittire, e si voltò per rivolgere un
sorriso alla più giovane dei Quattro regnanti venuti dal
passato. -L’ultima
volta che vi ho incontrato eravate completamente d’acqua,
maestà.- la salutò
Lucy, riconoscendola con entusiasmo e lasciando andare Shaylee per
rivolgere
una riverenza molto aggraziata all’antica naiade.
-Come Shaylee, anche io e le altre
naiadi abbiamo dovuto
adattarci quando Narnia è cambiata.- le spiegò,
intenerita dalla dolcezza
speciale di quella ragazzina che non era cambiata nemmeno dopo tutti
quegli
anni. -L’acqua di ogni mondo è sempre collegata,
non esiste una polla che possa
vivere a sé stante; Aysell ha perduto il controllo sul
proprio elemento, e
tutte noi soffriamo con lei.- continuò, vedendo Shaylee,
alle spalle di
Lucy,incupirsi
quando nominò la sua
adorata sorellina.
La giovane umana annuì,
rammentando le lezioni che le erano
state impartite durante il periodo in cui aveva vissuto e regnato a
Narnia.
.
“Le naiadi e le nereidi
sono ninfe dell’acqua e da acqua
sono composte, ma soltanto le prime fra loro possono assumere altre
forme come,
ad esempio, quella umana.
È un processo di
trasformazione non istantaneo, che richiede
molta energia ed una notevole capacità di concentrazione: la
maggior parte di
questa razza di ninfe preferisce, infatti, assumere una forma sola
durante la
propria esistenza.
Una volta mutate, però,
le naiadi sono in grado di adattarsi
perfettamente al proprio nuovo aspetto fino a che non sarà
necessario tornare
alla propria forma originaria: in questo caso, tuttavia, la spesa di
forze sarà
uguale – se non maggiore – a quella utilizzata
durante il cambiamento
precedente.
Si dice che soltanto creature come
la Guardiana dell’Acqua,
la Terza delle Figlie di Aslan, sia in grado di trasformarsi in pochi
attimi e
senza dispendio di energie: questa mitologica creatura (non ancora
ritrovata)
appartiene sicuramente ad una di queste due famiglie di ninfe, essendo
esse
tutte collegate dall’indissolubile legame che unisce le
creature dell’acqua.”
.
-Potremmo non essere in grado di
combattere se assumessimo
la nostra forma originaria, Lucy. Saremmo troppo instabili.- la voce di
Shaylee
strappò la piccola Pevensie dai propri ricordi, facendola
sussultare. Lucy alzò
lo sguardo, mortificata dalla propria distrazione, appena in tempo per
vedere
l’amica naiade lanciare un’occhiata pensierosa alla
figura già lontana di
Aslan. -Fino a che Aslan non avrà sistemato le cose, la
soluzione più sicura è
rimanere umane.- aggiunse, ma la piccola capì che stava
parlando più a se
stessa che con lei e non rispose, rimanendo a guardare il leone fino a
che non
lo vide scomparire nel folto del bosco.
Sarebbe tornato, Lucy non aveva mai
smesso di crederci e
certo non lo avrebbe fatto adesso: eppure vederlo andare via le fece
male come
mai prima di quel momento.
Shay sospirò,
ravviandosi la treccia bruna dietro la spalla
e drizzando appena la schiena.
-Forza, non abbiamo tempo da
perdere.- affermò, prendendo
Lucy per mano e conducendola con sé alla destra di Mairead.
-Peter e gli altri
stanno aspettando soltanto noi.-
.
§
.
Il clangore delle spade era
assordante.
Peter rotolò su se
stesso, sfilandosi dal letale ingaggio di
Miraz appena in tempo; alzò lo scudo, proteggendo il braccio
– ferito pochi
attimi prima – quando la pesante spada di Miraz si
lanciò in una nuova scarica
di colpi che lui riuscì a malapena a parare.
Aysell represse il desiderio di
imprecare mordendosi un labbro,
tenendo gli occhi inchiodati sul duello in corso a pochi metri da lei.
-Così si farà
ammazzare!- mugugnò, lanciando una veloce
occhiata a Edmund Pevensie che, come lei, non riusciva a staccare lo
sguardo
dallo scontro che vedeva coinvolto suo fratello maggiore. -A cosa
può servire
un Supremo Re morto!? Edmund, fai qualcosa!-
aggiunse la giovane naiade,
indicando il biondo con un ampio gesto del braccio.
Edmund, però, scosse la
testa.
-Peter non ha bisogno di me,
adesso.- le rispose soltanto,
senza allontanare le iridi scure da Peter – aveva
uno sguardo tremendamente
intenso, notò Mirime, studiando
l’espressione corrucciata e pensierosa del
più giovane dei Re.
L’idea che Caspian aveva
proposto poche ore prima era stata
approvata praticamente all’unanimità dal consiglio
improvvisato che avevano
tenuto in una delle salette della Tana: il Re Supremo aveva sfidato a
duello
l’usurpatore telmarino, pungolandone l’orgoglio
tramite il messaggio che Edmund
stesso si era premurato di riferire a Miraz, per decidere la sorte di
quella
battaglia senza inutili spargimenti di sangue.
Tutti quanti sapevano perfettamente
quanto quello fosse
soltanto un tentativo di prendere tempo per permettere a Lucy e a Talia
di
trovare Aslan e risistemare l’equilibrio delle Figlie
superstiti, ma l’idea era
che Peter tentasse almeno di sopravvivere…
L’Ancella
dell’Aria tornò a soppesare l’Alto Re di
Narnia,
pensierosa.
Peter Pevensie combatteva con una
furia che aveva visto ben
poche volte nel volto di un uomo: aveva, negli occhi, la rabbia e la
determinazione di un innocente condannato a morte – metteva
tutto se stesso nei
colpi della propria spada, attaccando come se stesse cercando di
vincere non
soltanto Miraz ma, soprattutto, tutti i pensieri che gli avevano
corroso lo
spirito da quando Siria se n’era andata.
Combatteva per dimenticare
ciò che le aveva fatto, comprese la pleiade, guardando il
biondo balzare in piedi
e scagliarsi addosso al nemico con forse anche più furia di
quanta ne avesse
usata sino a quel momento.
Combatteva contro i propri demoni, Peter Pevensie, e nessuno avrebbe
potuto arrestare la
determinazione con cui stava lottando in quell’istante.
-Vincerà.-
mormorò Caspian, fermo sull’attenti al fianco
della ninfa mora, serrando convulsamente la mano destra
sull’elsa della spada.
Da quando era arrivata alla Tana,
poche ore prima, Mirime
gli aveva sentito pronunciare giusto una manciata di parole: tutto
ciò che il
principe Caspian aveva detto le era sembrato corretto, misurato ma,
purtroppo,
estremamente e profondamente sofferto.
C’era l’ombra
della morte, negli occhi di quel futuro Re.
Il ragazzo digrignò i
denti, masticando un’imprecazione
quando vide Peter, esausto, chiedere una breve pausa
all’avversario.
-Le deve almeno questo.-
sussurrò, rivolto più a se stesso
che alla ninfa dei venti, prima di farsi avanti per sostenere il
proprio Re.
.
§
.
“È
giunto il momento, Siria.”
Riversa a terra in quel talamo di
cenere che l’aveva vista
sacrificarsi per il più nobile dei motivi, velata soltanto
da quella sua
cascata di lucenti capelli rossi, la Paladina del Fuoco dormiva il
primo vero
sonno tranquillo della sua vita.
Mosse appena il capo, scacciando la
polvere nera che le
irritava le palpebre socchiuse, mentre le iridi si muovevano, agitate,
sotto il
velo di quella pelle sottile.
“È
ora di svegliarsi, figlia mia.”
Scosse ancora una volta la testa,
imbronciandosi persino nel
dormiveglia: non aveva la minima intenzione di sottrarsi a quella pace
in cui
si stava lasciando naufragare da quando la presenza di sua madre
l’aveva abbandonata,
no… in quel mondo selvaggio e ostile la aspettavano
solamente dolore e
solitudine, non aveva proprio voglia di ricominciare a combattere
così presto.
Voleva godersela soltanto un altro po’, non c’era
niente di male… rotolò su se
stessa, avvolgendosi ancor di più in quel lenzuolo scarlatto
intessuto di
capelli e braci morenti, scacciando la sensazione – piuttosto
vivida,
oltretutto – di non essere sola.
“Avrai
tutto il tempo del mondo per
imparare ad amarti, mia cara… adesso, però, devi
aprire gli occhi e tornare
alla vita.”
A chi apparteneva quella voce? Le
sembrava di averla
conosciuta molto tempo prima… eppure, nonostante le suonasse
familiare, non
riusciva a dare un nome alla sensazione di calore e affetto che
sembrava
trasparire da quelle parole sussurrate alla sua mente assopita.
Era quasi come se una presenza che
le era mancata per
tantissimo tempo fosse finalmente tornata da lei, abbracciandola e
cullandola
in una stretta piena d’amore e di sollievo per averla
ritrovata.
Le diceva di svegliarsi, quel
qualcuno che la amava ma che
lei non era in grado di riconoscere; le diceva che doveva andare, che
doveva
tornare alla vita che la stava aspettando al di là di
ciò che rimaneva delle
colline di Archen – ma se poi l’avesse perduta? Se,
destandosi, quella persona
sconosciuta se ne fosse andata un’altra volta?
Qualcosa, dentro di lei, si
ribellava all’idea di lasciarla
andare: aveva aspettato così tanto per
riabbracciarla…
Una risata calda e rassicurante le
riempì l’anima,
strappandole un sorriso spontaneo e sincero che distese i lineamenti
contratti
del suo bel volto.
“Sii
serena, mia cara bambina. Io non
ti lascerò più.”
.
§
.
Aysell scambiò
un’occhiata pensierosa con Mirime, per nulla
rassicurata dalla presenza del piccolo drappello di soldati che, appena
dietro
i luogotenenti di Miraz, si era avvicinato al colonnato in rovina in
cui si
stavano fronteggiando Peter ed il re telmarino.
Miraz era in ginocchio, ferito ed
inerme davanti alla spada
di Peter. Contro ogni aspettativa – nonostante le
ferite, il dolore, la
rabbia – il giovane Pevensie era riuscito a
ribaltare le sorti di quel
duello e ora era lì, con in pugno la vita di
quell’uomo che tanto male aveva
liberato a Narnia, impugnando una lama che tremava della stessa furia
che gli
brillava negli occhi.
Aysell si morse un labbro,
preoccupata.
Non conosceva bene nessuno dei
Pevensie, vero, ma le era
parso di capire che Peter fosse un guerriero estremamente leale
– un idiota,
certo, ma di sicuro non qualcuno in grado di giustiziare un uomo
disarmato.
Miraz aveva fatto del male a tutti
loro, era vero, ma non
meritava una fine del genere: la sua morte non avrebbe risolto quella
guerra né
fermato l’esercito che si era ammassato davanti alla Tana
– avrebbe
solamente portato ancora più oscurità nel cuore
dell’Alto Re di Narnia.
Edmund, accanto a lei, fissava il
fratello: forse era
d’accordo con la sua riflessione, forse anche lui pensava che
Peter non dovesse
finire Miraz… ma sussultò, sorpreso, nello stesso
istante in cui la naiade
trasalì: Peter aveva abbassato la spada e si era voltato
verso Caspian,
porgendogliela e facendosi, poi, da parte.
Quella vendetta non gli spettava, sembrava voler dire
l’atteggiamento del Re Supremo: aveva
ceduto il posto a Caspian, dandogli la possibilità di
vendicare tutti coloro che
il principe aveva perduto a causa di quel malvagio essere umano
– suo padre,
il suo regno, Siria…
Da quel poco tempo che aveva
passato alla Tana, Aysell era
riuscita a comprendere quanto forte e solido fosse stato il legame fra
la
raminga e Caspian: non osava nemmeno pensare a
quanto dolore stesse
provando il ragazzo in quel momento…
Peter – incredibile a
dirsi – aveva compiuto un gesto molto
onorevole nei confronti del moro: gli aveva dato la
possibilità di uccidere il
responsabile di mille e mille atrocità e, soprattutto, non
lo stava lasciando
solo ad affrontare Miraz, rimanendo al suo fianco come avrebbe fatto
soltanto
un vero amico.
Nemmeno Caspian avrebbe dovuto
uccidere quell’uomo.
Aysell strinse i pugni, imponendosi
l’autocontrollo
necessario per non scoppiare di nuovo in lacrime: uccidere Miraz non
avrebbe
riportato indietro Siria… niente e nessuno avrebbe mai
potuto restituire la
raminga alle persone che l’avevano amata.
Ma Caspian lo avrebbe capito?
Sarebbe stato in grado di
vedere oltre l’odio e la sofferenza?
Sentì il principe
mormorare qualcosa, vide Miraz
rispondergli e chinare il capo, sconfitto dinanzi a quel nipote che
aveva
tentato di uccidere in tutti i modi; e chiuse gli occhi, la giovane
naiade,
voltando la testa per non costringersi a guardare
quell’esecuzione che avrebbe
tanto voluto poter fermare.
Il grido disperato, sofferto,
ruggito di Caspian le ghiacciò
il sangue nelle vene, appena prima che il sibilo della spada ed un
tonfo
alquanto sinistro la facessero trasalire ancora una volta.
Sentì Mirime espirare al
proprio fianco, avvertì il fiato di
Edmund mozzarsi all’improvviso: aprì gli occhi,
incapace di capire che cosa
stesse succedendo, giusto in tempo per vedere Caspian voltarsi verso la
Tana
con gli occhi pieni di lacrime mentre Miraz, incredulo, guardava la
spada del
giovane principe vibrare a pochi centimetri dal proprio volto.
La ninfa sentì qualcosa
di simile ad una scossa elettrica
attraversarla, mentre un sorriso incredulo le si apriva in viso: Caspian
non
lo aveva ucciso!
Incredula, vide Peter sorridere
stancamente e dare una pacca
sulla spalla al ragazzo, ottenendo in risposta uno sguardo confuso ma,
in un
qualche modo, trionfante; il biondo annuì, lanciandogli
un’occhiata che poteva
essere definita soltanto orgogliosa, passandogli un
braccio intorno alla
spalla e conducendolo verso la delegazione narniana mentre
l’intero esercito li
acclamava.
-Siria sarebbe fiera di loro. Di
tutti e due.- mormorò
Edmund a bassa voce, in modo da non farsi sentire dai due ragazzi,
permettendosi
un breve sorriso che, tuttavia, non illuminò del tutto il
suo sguardo rapace.
Aysell si sfregò gli
occhi, sentendosi pienamente concorde a
quell’affermazione: Peter non le piaceva e lo avrebbe odiato
– forse per sempre
– ma sì, Siria sarebbe stata fiera di entrambi, se
fosse stata lì sarebbe stata
così felice di vederli uscire trionfanti ed immacolati da
quella sfida…
-Era molto legata a Peter?-
sentì domandare Mirime al bruno.
Edmund annuì.
-Più di quanto si possa
spiegare.- fu la risposta che diede
alla pleiade, prima di farsi avanti per controllare che il fratello
fosse
ancora tutto intero; Peter però lo fermò
immediatamente, facendogli cenno di
seguirlo mentre lo superava assieme a Caspian.
-Torniamo alla Tana e prepariamoci.
Non è ancora finita.- lo
sentì sussurrare Aysell mentre il Re passava accanto alle
due ninfe col passo
determinato di sempre; Mirime, rapida, le toccò una spalla
per farle cenno di
seguirla, accodandosi ai tre Re assieme alla naiade.
-È andata bene, no?- le
domandò la bionda, mentre
camminavano fra le rocce semidivorate dal muschio che costellavano quel
pezzo
di prateria.
-Più che bene.- le
confermò l’altra, intrecciando una ciocca
di capelli alle lunghe dita e lanciando un’occhiata
pensierosa ai tre ragazzi.
-Edmund Pevensie ha ragione: hanno dimostrato entrambi di essere degni
di
essere chiamati Re.- aggiunse, in quel tono lontano e distaccato che
– Aysell
lo sapeva bene – assumeva quando stava riflettendo su
qualcosa di importante.
Avanzò di qualche passo,
rispettando il bisogno dell’amica
di riflettere, lanciando un’occhiata intorno a sé:
una volta quel pianale era
stato l’altare sacrificale della Strega Bianca ma, ora non
rimanevano altro che
sconnesse pietre bianche oramai spezzate…
Uno strano riflesso grigiastro.
Aggrottò le
sopracciglia, perplessa: era cresciuta fra le
alte montagne che dividevano Narnia da Ettins e, nel corso dei secoli,
aveva
imparato a riconoscere tutti i modi in cui la luce poteva rifrangersi
sulla
roccia… ma quella non era una luminescenza normale.
Un riflesso metallico.
Si voltò di scatto,
improvvisamente spaventata… appena in
tempo per vedere il luogotenente di Miraz pugnalare il proprio re con
una
freccia dalle piume scarlatte.
-CASPIAN! PETER!-
strillò, inorridendo quando vide
l’usurpatore cadere e le guardie del nobile –
Sopespian, si chiamava? – rompere
le righe e scagliarsi verso di loro.
-TRADIMENTO!- urlò il
telmarino, sorridendo trionfante
davanti all’agonizzante corpo di Miraz. -NARNIA CI HA
TRADITI!-
I tre ragazzi si voltarono di
scatto, sguainando le spade e
lanciandosi verso i nemici senza esitare nemmeno un istante; anche
Mirime,
senza scomporsi, distese una mano ed evocò la propria arma
prediletta dal limbo
in cui la sua energia la teneva racchiusa – Mirime
era magica anche senza i
propri poteri, rammentò Aysell, vedendo la lunga
asta apparire fra le dita
dell’amica e le lame gemelle lampeggiare nel sole di Narnia; non
aveva
problemi ad evocare qualcosa creato da una magia diversa da quella
dell’Aria,
e__
Aysell si batté una mano
sulla fronte, stupita dalla propria
lentezza: si concentrò sulla propria energia vitale,
guardando le pietre
incastonate nei propri bracciali illuminarsi e prendere istantaneamente
la
forma dei pugnali che aveva utilizzato anche contro Nikabrik.
Anche lei poteva evocare quel tipo
di magia, perché si
legava alla sua mente e non all’Acqua: come aveva fatto a
dimenticarlo!?
Scuotendo la testa, esasperata,
Aysell corse verso il cuore
dello scontro; schivò il primo colpo abbassandosi di scatto
e pugnalando
l’aggressore al ventre, allontanandosi quasi subito per
volgersi verso un altro
avversario.
Peter, più accorto di
lei, vide l’uomo ferito agguantare la
propria lancia per prendere Aysell alle spalle; reprimendo il desiderio
d’imprecare, brandì Rhindon e calò con
forza la fidata spada sul braccio del
telmarino, mozzandoglielo di netto e rendendolo innocuo.
-Mettiti al sicuro, accidenti!-
abbaiò in direzione di
Aysell che, sorpresa dal suono delle ossa che si spezzavano, si era
voltata
verso di lui e adesso lo stava fissando con un’espressione
totalmente allibita.
-Me la cavo benissimo!- fu
l’unica risposta che Peter
ottenne da lei ma, prima che potesse urlarle in faccia quanto si stesse
comportando da sciocca, la ragazza incespicò, schivando per
un pelo la lama di
un’ascia leggera scagliata contro di lei.
-Certo, come no!- sbottò
lui, esasperato; però, vedendo che
Aysell non gli dava minimamente retta, sbuffò e la prese per
un braccio,
costringendola a guardarlo in faccia. -Senti, fila subito da Susan e
rimani
fuori dai piedi fino a che non potrai annegarli tutti!- le impose,
bruscamente,
in un tono talmente perentorio da farla sussultare.
-D’accordo!-
pigolò la ragazza, allibita
dall’autorità che
aveva sentito vibrare nella voce di lui, scivolando via dalla sua presa
e
dirigendosi di corsa verso la Tana di Aslan.
Certo che quell’idiota sa
come dare ordini,
si disse, mentre si arrampicava sulla scala pericolante
che l’avrebbe condotta dagli arcieri che Susan aveva disposto
sopra l’accesso
della cripta; scosse la testa, imbronciata e sorpresa, in risposta
all’occhiata
interrogativa che le lanciò la Regina nel vederla arrivare.
-Accidenti a lui, stavo quasi per
mettermi sull’attenti!-
mugugnò fra sé, contrariata, ma non
poté fare a meno di provare una fitta di
ammirazione quando, lanciando uno sguardo verso i tre Re e Mirime, vide
il
biondo sterminare i telmarini senza una briciola di esitazione.
Forse, con una guida come lui, non
tutto era perduto…
.
§
.
Gli occhi di Siria si schiusero con
dolcezza, accompagnati
dalla delicata sensazione di affetto che aveva avvertito durante il
sonno e
che, contrariamente a quanto aveva temuto, non si stava dissolvendo.
Le colline di Archen erano soltanto
un ricordo: sotto le sue
mani c’era, adesso, un terreno nerastro e brullo che si
stendeva fino a dove
istanti, ore, giorni prima c’era stata solo tanta erba
spazzata dal vento…sarebbero rimaste nere di cenere per sempre,
Siria lo sapeva.
Lì la fenice era morta.
Era morta per poi risorgere.
Inspirò profondamente,
serena come mai prima, sentendo i polmoni
riempirsi di quell’aria fredda e pura che le trasmise un
profondo senso di pace
e di libertà.
Non c’era più
odio nel suo cuore, non c’era più quel mostro
che Jadis aveva impiantato fra le sue carni: la sua anima, adesso,
aveva la
possibilità e la forza di volare via, di ardere e di
esplodere in un tripudio
di luci e di fiamme.
Sorrise, chiudendo ancora gli occhi
e sentendo la magia
scoppiettare liquida e pura appena sotto la sua pelle: era un fiume in
piena
che la riempiva, che donava ai suoi muscoli ed al suo cuore nuovo
coraggio,
nuovo vigore.
Un solo battito d’ali, e
le colline di Archen rimasero alle
sue spalle.
Si guardò intorno, una
volta abbandonato il fuoco che
l’aveva riportata indietro, trovando nella foresta di Narnia
una vita che non
vi aveva mai scorto prima – un lento battito appena
celato sotto le cortecce
immote degli alberi. Gli occhi di una strega potevano
distinguere ogni
anelito di magia, ogni sprazzo di vita in ciò che la
circondava: l’energia che
le scorreva nelle vene non era più malvagia ed
incontrollata, ma impaziente di
bruciare con tutto il proprio ardore.
Per la prima volta nella sua vita
Siria si sentì davvero Siria.
Una strega, una donna, una
guerriera; un’amante, una
compagna, un’amica fedele; era in grado di essere tutto
ciò che desiderava,
tutto ciò che il suo cuore aveva bisogno di sentire.
Si era finalmente liberata della
bestia che Jadis aveva
impiantato dentro di lei, costringendola a temere se stessa e la
propria
natura: ora non era più un’agonia lasciar scorrere
fra le dita rivoli di magia,
densi come il sangue, scoppiettanti come il fuoco.
Era bello.
Si sentiva a suo agio, si sentiva
come se non avesse mai
davvero assaporato appieno la propria esistenza: una magia molto
più antica
della Strega Bianca la chiamava, incantandola con la meraviglia che
emanava
ogni essere che la circondava, avvolto dall’opalescente aura
della sua stessa
natura.
L’intera Narnia, ora lo
vedeva, era impregnata di magia.
La palpava, l’assaporava;
la sentiva scendere fra le labbra,
lungo la gola, riempiendole il ventre del sapore caldo e denso di una
magia che
diventava parte di lei, assorbita dalla sua stessa carne che si
confondeva, che
si mischiava con quel nettare troppo a lungo negatole.
E lei non era più una
creatura a sé stante: non era più una
reietta, non rifiutava più il posto che quella terra aveva
riservato
esclusivamente a lei fin dalla notte dei tempi; sentì la
natura gioire,
estasiata, quando prese finalmente il posto che le spettava da sempre.
Là, figlia dello stesso
sangue di Aslan.
Ma ora, ora doveva andare: avrebbe
avuto tanto tempo per
scoprire le meraviglie che la magia le aveva riservato, che quella
meravigliosa
comunione le aveva offerto e che lei, finalmente, aveva accettato.
Aveva un compito, adesso.
C’era una guerra, in
corso, una guerra in cui avrebbero
combattuto tutte le persone che amava e che avevano bisogno di
lei…
I suoi soldati, che così
duramente aveva addestrato.
Aaron, Caleb e Talia che,
sicuramente, la stava aspettando –
Talia, che di lei si era sempre fidata, anche quando Siria stessa aveva
dubitato di sé.
Mirime, che aveva sempre creduto
nella sua forza, vedendola
le avrebbe sorriso e sarebbe stata felice di ritrovarla, fiera della
vittoria
che la sua giovane amica aveva conquistato.
Aysell, che invece
l’avrebbe certamente affogata: chissà
quanto si era spaventata, quanto aveva sofferto nel sentire la magia
strapparle
la presenza di una sorella appena ritrovata…
Shaylee…
chissà se Shaylee sarebbe entrata in battaglia,
occupando finalmente quel posto che Mairead aveva serbato tanto a lungo
per
lei.
Peter, che non era riuscito a
ucciderla. Peter, che aveva
visto ogni suo tormento, ogni suo dolore, ogni segreto nascosto nel suo
animo
tormentato. Peter, a cui non avrebbe permesso di lasciarsi ammazzare
– non da
qualcuno che non era lei, perlomeno.
Caspian.
Non sapeva cosa
l’aspettava. Non sapeva se il principe
sarebbe stato in grado di perdonarla, di accettarla per quello che era.
Non
sapeva quanto avrebbe sofferto, non sapeva se avrebbe ancora avuto il
coraggio
di guardarlo negli occhi. Non sapeva se in quelle iridi color pece
avrebbe
ancora trovato quell’amore che l’aveva salvata, che
le aveva restituito la
vita.
Ma sarebbe andata. Sarebbe andata
comunque, avrebbe
combattuto comunque.
Sentì il suo cuore
incendiarsi quando le fiamme arsero
dentro e fuori di lei, il volto del suo principe bene impresso sulla
retina.
Caspian.
Qualunque cosa fosse successa, lei
sarebbe andata – anche
solo per vederlo un’ultima volta.
Si volse in direzione della Tana di
Aslan, a nord rispetto a
dove si trovava in quel momento, accorgendosi soltanto in quel momento
di
calzare degli abiti che non ricordava di aver mai posseduto: aveva
addosso un
semplice corsetto di un bel rosso cupo, resistente e perfetto per
combattere,
un paio di polsiere in cuoio rinforzato e una calzamaglia tanto ben
modellata
sulle sue gambe da darle l’impressione di non indossarla
nemmeno.
Saggiò il proprio corpo
dondolandosi sui talloni, stupendosi
di quanto morbidi fossero i nuovi stivali da viaggio che le erano
apparsi ai
piedi assieme a tutto il resto: un gesto che non le costò il
minimo sforzo,
sostenuta com’era dall’amorevole aiuto della terra
e del fuoco che vi pulsava
all’interno, impaziente di eruttare.
Narnia voleva vendetta.
Siria lo sentiva, avvertiva la
richiesta muta ma pressante
del mondo che l’attorniava, del suo
mondo: non poteva ignorarla, non
avrebbe potuto nemmeno volendo… i suoi stessi desideri
coincidevano con quello
del canto che avvertiva attorno a sé ovunque i suoi occhi
cercassero, in
qualunque modo ascoltasse la natura.
.
Vai,
Strega Rossa.
Vai
e combatti, fenice, spiega le tue
ali e ardi nel cielo azzurro della tua terra.
Combatti,
Paladina del Fuoco, ultima
delle Quattro di Aslan. Combatti per Narnia.
..
..
.
.
.
.
.
My Space:
. Lasciatemelo dire,
perché oramai ci siamo: PER NARNIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Come siamo messi male xD
È arrivato Aslan! Incredibile ma vero, anche quel grosso
gatto
si è fatto vivo (finalmente U_U). Non so se ve l'ho mai
detto,
ma Aslan mi sta davvero antipatico ^^''''
In questo capitolo succedono un sacco di cose: Talia dà
sfogo
alla sua rabbia, Peter affronta in parte i suoi demoni, Aysell e Mirime
si inspessiscono come presenze nella storia e Siria si dà,
finalmente, una svegliata. La nostra Strega Rossa ha da fare un bel po'
di casino, non c'è che dire xD oh, ed è tornata
Shaylee!
Non dimentichiamoci di Shaylee xD
A proposito, una nota mia: ho adorato scrivere di Edmund, in questo
capitolo. È così... *-*
A parte questo, ecco i due outfit, di Mirime (che mi sono scordata di
postare prima) e di Siria, sempre opera di DreamWanderer
che trovate su DeviantArt cliccando su questo link ^^ cliccando sulle
immagini, invece, potete ingrandirle!
. Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei
baldi
giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi
accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C.
S.
Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson
(il
regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di
"Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD .
Famiglia
Pevensie Peter:
20 anni
Susan: 18 anni
Edmund: 16 anni
Lucy: 12 anni
Figlie
di
Aslan Siria:
20 anni
Talia: 1136
anni
(dimostrati: 19 circa)
Mirime:
indefinito (dimostrati: 20 circa)
Aysell: 904
anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari
Tara: 14 anni
Caleb: 22 anni
Aaron: 22 anni
Altri
personaggi Caspian:
18 anni
Shaylee: 1528
anni (dimostrati: 17/18)
Mairead: 1987
anni (dimostrati: 30/35)
. Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di
guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato
è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di
darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO
o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama
"Demons"
ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come
collegamento, però, è farina del mio sacco e
riguarda
Peter e Siria ^^' . .
Tabella prossimi aggiornamenti:
.
22/12 - Capitolo 45 (regalo di Natale!)
05/01 - Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47 . .
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
La freccia dalle piume smeraldine
affondò nella gola dell’ennesimo telmarino, troppo
lento per scansarla; Talia
si abbandonò ad un sorriso freddo, quasi crudele, vedendo
agonizzare la sua
vittima nel tentativo di strapparsi il dardo dal collo.
Incoccò rapidamente
un’altra asticella,
balzando contemporaneamente di lato per evitare il fendente di spada
che uno
dei pochi cavalieri rimasti menò in sua direzione: la lama
tagliò lo spazio che
lei aveva occupato sino ad un attimo prima, prima che venisse scalzata
dalla
mano del proprietario da un colpo preciso
dell’estremità d’acciaio
dell’arco di
Talia.
-Andate a morire impiccati,
carogne!-
strillò la mezz’elfa, lasciando fluidamente andare
la corda e assottigliando le
palpebre per schermarsi dal riflesso del Sole: vide il suo attaccante
cadere,
ucciso, ma quell’attimo di distrazione permise ai tre rimasti
di afferrare le
balestre e puntarle contro di lei.
Rapida, Talia saltò in
alto e
s’arrampicò agilmente sull’albero
più vicino, scartando più volte quando i
dardi le sibilarono attorno. Infilò l’arco nella
sua custodia, sapendo che non
sarebbe più riuscita a trovare il tempo necessario per
utilizzarlo; sguainò
quindi la propria spada, un’arma sottile ed elegante che le
aveva donato
Galador prima di lasciare la Tana di Aslan, accucciandosi
nell’incavo di due
grossi rami per calcolare quanto tempo e quanti movimenti le sarebbero
serviti
per falciare i telmarini rimasti senza rischiare la vita.
Lanciò loro
un’occhiata malevola mentre
quelli ricaricavano le balestre in fretta e furia: li odiava, li odiava
e
nessuno avrebbe potuto biasimarla per averli trucidati…
erano umani, ciechi e
dannati esseri umani che avevano portato solamente sofferenza e
solitudine agli
abitanti di Narnia come lei e come le sue sorelle.
Se solo avesse avuto i suoi poteri
non
avrebbe nemmeno avuto bisogno di pensare: le sarebbe bastato aprire il
proprio
cuore alla Terra per far sì che Narnia stessa si rivoltasse
verso quei
maledetti invasori…
Al solo pensiero, tuttavia, la
rabbia bruciò
con una forza tale da farla quasi cadere dall’albero.
Sgranò gli occhi,
stupefatta
dall’intensità quasi fisica di
quell’emozione: non le era mai capitato di
essere talmente sopraffatta da una sensazione da perdere il controllo
del
proprio corpo, quasi fosse__
-ARGH!-
Il ruggito spaventato dei telmarini
la
strappò dai propri pensieri; lanciò loro
un’occhiata, chiedendosi perché
stessero strillando come dei maiali sgozzati… e vide grossi
tralci bruni e
verdi scagliarsi su di loro, strappandoli dalle selle dei cavalli e
strangolandoli senza la minima esitazione.
Sconvolta, Talia li
guardò agonizzare
nelle spire di quelle piante assassine. -Quando si dice
“prendere un ordine
alla lettera”…- mormorò, distogliendo
lo sguardo e cercando di capire cosa
fosse successo: forse Lucy era riuscita a trovare Aslan, ma__
Qualcosa, in
quell’attimo, esplose
dentro di lei.
Scoppiò a ridere, Talia,
quando avvertì
una sensazione familiare – insperata
– farsi largo nella sua rabbia,
incenerendo tutto quanto e lasciando dietro di sé solamente
una dirompente
felicità che, in sette anni, la mezz’elfa non era
mai riuscita ad avvertire.
Sorridendo, con la pelle che
formicolava e s’accendeva di riflessi dorati, la Custode
s’arrampicò fino alle
fronde più alte dell’albero su cui si trovava,
trovando nel cielo azzurro di
Narnia la traccia di qualcosa che, al proprio
passaggio, aveva
incendiato l’aria intorno a sé e formato vaporose
nuvolette che già si stavano
diradando.
-Bentornata, sciagurata che non sei
altro.- sussurrò, con gli occhi pieni di lacrime, mentre
– intorno, dentro
di lei – la natura di Narnia si riappropriava di
una vita che per tredici
secoli le era stata negata.
._
§
_
Caspian lanciò il
pugnale lungo,
colpendo in pieno petto il soldato che stava per uccidere Trumpkin.
-Raggiungi Susan!- gli
urlò,
superandolo di corsa e recuperando il coltello al volo, affiancandosi
ad Aaron
e a Caleb che, in quel momento, erano ingaggiati da una vera e propria
folla di
telmarini armati fino ai denti.
-Fuori dai piedi!- ruggì
il gigante biondo,
mulinando lo spadone con tanta veemenza da far arretrare i nemici,
intimoriti
dalla sua furia; Caspian ed Aaron, approfittando della loro incertezza,
vi si
scagliarono come rapaci sulla preda e ne trucidarono la
metà, mentre Edmund
galoppava alle loro spalle finendo gli altri con precisi tiri di
balestra.
I due giovani tirarono fiato, ma la
pausa durò pochissimo: quasi immediatamente altri soldati
emersero dalla
voragine che gli stessi narniani avevano aperto per dividere
l’esercito di
Telmar, assaltandoli e costringendoli ad arretrare verso la Tana di
Aslan.
-Sono troppi!- abbaiò
Aaron, lanciando
un’occhiata disperata ai nuovi arrivati: quei dannati
sembravano non finire
mai, li avrebbero soverchiati con la sola forza del proprio
numero…
-Beh, se proprio devo morire,
almeno me
ne porterò dietro un po’!- fu la risposta
sarcastica che ottenne dal biondo,
che si lanciò in avanti proprio in mezzo alla massa di
guerrieri che li stava
attaccando mentre Caspian si scagliava contro un altro gruppo di
avversari.
-CALEB! NO!- gli gridò
dietro ma, per
quanto fu utile, avrebbe potuto urlare al vento: vide l’amico
sparire fra le
armature e gli scudi telmarini e, imprecando, gli corse dietro per
evitare che
si facesse ammazzare anzitempo.
-Fatevi sotto, maledetti!-
ruggì il
gigante, ruotando su se stesso e colpendo tre soldati uno dopo
l’altro; altri
però balzarono in avanti, ansiosi di far fuori quel
guerriero formidabile che
stava decimando tutti i drappelli che gli venivano mandati contro.
Caleb digrignò i denti,
affondando nel
ventre del più vicino la punta dello spadone e ritraendola
subito per rotearla
sopra la testa, parando un’attacco di lancia venuto
dall’alto: quei bastardi
non finivano mai, constatò, e lui cominciava ad
accusare la stanchezza di
quella battaglia che gli sembrava stesse durando già da ore.
Lo avrebbero ucciso, quella era una
verità che non poteva ignorare: ma, almeno, ne avrebbe
potuti trascinare con sé
un numero considerevole.
-Pagherete cara la mia pelle!-
abbaiò,
afferrando il guerriero più vicino e sollevandolo di peso,
scagliandolo addosso
a tre dei suoi compari: quelli ruzzolarono a terra, momentaneamente
innocui, ma
subito altri li calpestarono per assalirlo nuovamente.
Cal avvertì il bruciore
delle ferite
acuirsi, moltiplicarsi, ma non gli diede peso: sarebbe morto in
battaglia con
coraggio e senza tirarsi indietro, avrebbe reso onore alle Figlie di
Aslan che
stavano disperatamente cercando di sistemare i danni causati dalla
Strega
Bianca… sentì il cuore gonfiarsi di commozione
quando il suo pensiero corse a
Talia, nello stesso attimo in cui una lama telmarina gli feriva la mano
destra
facendogli perdere la presa sull’elsa della spada.
Talia.
Lei sarebbe sopravvissuta, avrebbe
salvato Tara e sarebbero rimaste insieme: era l’unica cosa
importante, adesso,
l’unica cosa che lo spingeva a combattere ancora.
Talia.
Un infido colpo fra le costole lo
fece
stramazzare a terra, stordito, ma lui rotolò su se stesso ed
evitò il primo
affondo di spada; qualcuno però gli piantò una
lancia nella spalla, facendolo
ruggire di dolore ed inchiodandolo lì dov’era.
-Muori!- strillò un
telmarino, alzando
l’arma che impugnava che, crudele come la scure del boia,
scintillò di letale
bellezza nella luce vivida del Sole.
Talia.
Chiuse gli occhi, Caleb,
preparandosi
al colpo ma cercando di non lasciarsi sopraffare dalla paura: Talia
sarebbe
stata forte, ce l’avrebbe fatta a superare la sua morte, lei
era sempre stata
la più coraggiosa fra loro due…
Il dolore, però, non
venne.
Allibito, il biondo schiuse le
palpebre
e si guardò intorno, sentendo il giubilo e la meraviglia
soppiantare alla
svelta il terrore che lo aveva quasi paralizzato: lunghi rami e nodose
radici
erano esplose tutt’attorno a lui, afferrando i soldati
telmarini e scagliandoli
lontano con una delicatezza tale da farlo
sogghignare quando li vide
atterrare malamente a diverse iarde di distanza.
Si alzò in piedi,
dolorante ma affatto
sconfitto, e rise quando si ritrovò davanti una foresta in
piena regola che,
contro ogni logica, avanzava ruggendo verso l’esercito di
Telmar.
Lanciò
un’occhiata divertita verso
l’alto giusto in tempo per essere travolto da un qualcosa
– molto simile
ad un giunco flessuoso, rilucente d’energia dorata
– che gli si buttò addosso e
lo strinse forte fra sottili braccia che lui ben conosceva.
La trasse a sé per
baciare quella
meravigliosa creatura fatata che, ridendo, ricambiò con
egual passione il suo
gesto d’amore, prima di dividersi da lui e guardarlo con
quell’aria maliziosa
che era tutto un programma.
-Non oggi, ragazzone. Mi servi
vivo.-
sussurrò Talia, facendogli l’occhiolino prima di
dargli le spalle per gettarsi
nella mischia con rinnovata energia.
_
L’arrivo degli alberi e
di Talia parve
capovolgere momentaneamente l’andamento dello scontro: i
telmarini, sconvolti
da quelle enormi creature mugghianti, scappavano di fronte ai rami
frustanti e
alle furiose driadi che ne accompagnavano i proprietari, ma presto
– incitati
da Sopespian, il traditore – accesero enormi fuochi
nei cestini dei
trabucchi, trascinati fin lì da Beruna dai cavalli da soma,
per usarli come
arma contro quelle nuove venute.
Siria, che stava osservando la
battaglia da alcuni minuti, sentì qualcosa incrinarsi quando
il suo sguardo
corse sul campo di battaglia.
Susan e Tara, armate
d’arco e di
frecce, lottavano fianco a fianco contro i soldati che continuavano ad
incalzarle; Caleb ruggiva come un orso, assestando fendenti mortali a
tutti i
telmarini che capitavano a tiro del suo micidiale spadone; Cornell
combatteva
al fianco di suo fratello Aaron, ma non avrebbe saputo dire quale dei
due fosse
più pericoloso; Peter invece era vicino ad Edmund, ed
entrambi non
risparmiavano affatto il maestoso canto delle proprie spade.
E poi, là,
c’era Caspian.
No.
Caspian era a terra: Glozelle, il
più
fido generale di Miraz, puntava una lancia contro il suo petto.
Il principe era immobile, sapeva
che
non sarebbe servito provare a scappare… al collo portava il
medaglione che
aveva donato a Siria tempo prima, che brillava come un faro agli occhi
della
raminga.
-Mia
madre mi fece giurare di darlo
soltanto ad una persona.
È
tuo, Sir. È tuo come il mio cuore.-
-No.- quelle due semplici lettere
rimbombarono con forza nel suo petto, nel suo cuore.
Non lo avrebbe permesso, non
avrebbe
lasciato che lo uccidessero. Non avrebbe lasciato che le fosse portato
via, non
prima di aver tentato – non prima di avergli detto tutto
quello che provava per
lui.
Non finché ci sono io.
Sentì la magia ardere
dentro di lei a
quel pensiero, ma dovette trattenersi dal lanciarsi in mezzo alla
battaglia:
non era sicura di cavarsela, non sapeva controllare la sua magia a
sufficienza
per rendersi davvero utile… non aveva nemmeno una spada,
santo cielo!
Esitò, ma vide Glozelle
avanzare di un
passo verso il principe: doveva fare presto…
-Questo può servirti,
Sir?-
La strega sobbalzò,
colta di sorpresa
dalla voce cristallina e divertita che risuonò alle sue
spalle; si voltò di
scatto, incredula… e ritrovò dinanzi a
sé due iridi dorate che non l’avevano
mai abbandonata per davvero.
-Mirime!- esclamò,
sentendo gli occhi riempirsi
di lacrime nel vedere la pleiade a pochi metri da lei.
Mirime sorrideva, felice ed
emozionata
almeno quanto la rossa, ma il suo sguardo antico si spostò
verso il basso…
verso l’oggetto che due invisibili refoli d’aria
tenevano sospeso a pochi centimetri
dai suoi palmi aperti.
Siria trasalì,
impallidendo
visibilmente. -Lo scettro di Jadis…?- mormorò,
sentendo un vuoto sgradevole
spalancarsi a livello dello stomaco.
Perché Mirime le aveva
portato
quell’arma dannata?
-Gli scettri canalizzano la magia e
aiutano una strega a controllarla, soprattutto se non è
ancora molto esperta.-
le spiegò la ninfa dei venti, comprendendo il suo timore ma
sorridendole con
fare incoraggiante. -Questo è tarato sul ghiaccio e non ti
appartiene, ma…
credo che per stavolta potrà andar bene, non trovi?-
aggiunse, facendole cenno
di avvicinarsi quando Siria fece l’atto di incrociare le
braccia sul ventre in
segno di protezione.
Caspian era in pericolo.
Siria prese un lungo respiro,
tutt’altro che rassicurata. -Credo di sì.-
mormorò; tese una mano, guardinga –
ma, quando il metallo intarsiato sfiorò le sue dita tese,
semplicemente lei seppe.
Seppe cosa fare, come combattere e
come
sfruttare appieno la propria magia, lei… lei, che era
l’ultima strega di
Narnia.
La pleiade sorrise, ritirando
l’aria
che aveva sostenuto quel ricettacolo di magia che lei non avrebbe mai
potuto
impugnare, posando una mano sulla spalla dell’amica: era
cresciuta così tanto…
-Mirime, io… grazie.-
mormorò la rossa,
serrando la presa su quell’antichissima arma che apparteneva
a lei di diritto.
-Di niente.- ridacchiò
l’altra,
scuotendo appena la testa. -È bello rivederti sana e salva,
Siryn.- aggiunse in
tono dolce, sorridendo all’amica ed arruffandole teneramente
la frangia
spettinata; Siria rise, sentendosi di nuovo bambina per qualche attimo,
arrossendo appena e salutando Mirime con un cenno affettuoso prima che
la
pleiade sparisse così com’era arrivata.
Prese fiato, la raminga, scrutando
lo
scettro che teneva in mano: i cristalli che lo componevano,
più resistenti e
brillanti di qualsiasi diamante, scintillavano di rosso nel riflesso
dei suoi
capelli… quanto male aveva fatto
quell’oggetto?
Non aveva tempo per pensarci,
Caspian
era in pericolo: con forza, roteando appena l’asta sottile
fra le dita, lo
impugnò più saldamente e lo piantò con
rabbia nel terreno.
_
Glozelle alzò lo sguardo
dagli occhi
furenti di Caspian, allibito, quando il suono di
un’esplosione echeggiò in
tutto il campo di battaglia.
-Ma che diamine…-
mormorò, incapace di
credere a ciò che stava vedendo nascere davanti ai propri
occhi sbalorditi:
qualcosa di simile ad un mostro infuocato era appena sbucato dal folto
della
foresta narniana, circondato da lingue scarlatte che si allargavano a
raggiera
tutt’attorno alla sua figura indefinita; era uno spettacolo
affascinante e
terribile e, non per la prima volta, Glozelle si ritrovò ad
ammirare la
bellezza selvaggia che quella terra misteriosa aveva dovuto celare da
quando
Telmar l’aveva invasa.
Un attimo dopo, però, la
sua sorpresa
mutò in terrore quando comprese che i tentacoli di fuoco si
stavano scagliando,
ruggendo, proprio contro di lui.
Il telmarino balzò
indietro, lasciando
cadere la lancia ed evitando per pochissimo la lingua di fuoco che rese
bollente gli anelli della cotta di maglia che indossava: la propaggine
rossastra si contrasse attorno a Caspian, allontanando il generale dal
ragazzo
– stupefatto e allibito quanto lui, oltretutto.
Il principe alzò lo
sguardo verso la
collina, incredulo, seguendo il percorso che le fiamme avevano
tracciato
sull’erba oramai ridotta in cenere: là, in mezzo
al fuoco, lei stessa nulla più
che una creatura forgiata dalle fiamme…
…c’era lei.
-Siria…-
esalò, pronunciando il nome
della sua amata con incredulità e terrore, incapace di
credere a ciò che stava
vedendo: Siria era là, viva e vegeta, ed era semplicemente
più bella che mai.
Il fuoco danzava intorno a lei,
dentro
di lei; lei stessa ormai non era altro che un incendio di carne e di
ossa, i
capelli guizzavano allegramente, fondendosi con le fiamme che ballavano
sulla
sua pelle e nel suo pugno chiuso intorno ad una lancia intarsiata di
cristalli che riverberavano
del carminio delle fiamme; quello che le
solcava il volto era un sorriso vivido, quasi estatico: la sua era
l’espressione
indomita di una fiera finalmente libera, e i suoi occhi… i
suoi occhi erano vivi,
due zaffiri intensi che brillavano in mezzo a quell’oceano di
lava.
Era libera.
Caspian sentì il cuore
accelerare
bruscamente, riprendere a battere dopo tante ore di silenzio e di
sofferenza,
nel riconoscere quei tratti tanto amati nel crepitio del fuoco.
Era libera.
Si ritrovò a sorridere
quando la
giovane divampò di gioia e di esaltazione, buttandosi in una
folle corsa
dall’interno della foresta al pieno della battaglia e
sciogliendo la propria
magia in altre lingue rossastre che andarono ad affiancare i guerrieri
di
Narnia.
Era finalmente libera.
Libera dal dolore, libera dalla
paura e
dal terrore che aveva sempre scorto in fondo ai suoi occhi. Era libera,
danzava
nel suo elemento con la grazia e la bellezza di un’odalisca,
con lo scettro
nella mano destra e i capelli che ballavano intorno a lei.
Era libera, ed era lì.
-Caspian, sei in mezzo ad una
battaglia!-
La voce soave di Aaron lo riscosse
da
quell’attimo di trance, riportandolo bruscamente alla
realtà.
Siria.
Doveva combattere, si disse, ma non
era
fisicamente in grado di distogliere lo sguardo dalla meravigliosa
realtà che
Siria aveva appena concretizzato con la sua sola esistenza: lei era viva,
lei era tornata…
Battaglia.
La vide riprendere il suo aspetto
umano, mentre il fuoco combatteva fianco a fianco con i narniani; vide
i
soldati voltarsi istintivamente verso di lei, alla ricerca di quella
guida che
lei era diventata e che li aveva addestrati e motivati negli ultimi
mesi; la
vide sorridere mentre scagliava il pugno verso il cielo, e
sentì il ruggito dei
soldati accoglierla in mezzo a loro quando si gettò in mezzo
alla battaglia.
…una battaglia che, per
una volta,
avrebbe aspettato.
Caspian balzò in piedi,
parando un
infido colpo alle spalle che stava per essere inferto al giovane
centauro che
combatteva poco distante da lui, animato da un nuova forza e da un
nuovo
coraggio.
La guerra avrebbe aspettato,
adesso:
c’era qualcosa, prima, che doveva fare.
Doveva andare da lei.
_
Talia sorrise, impugnando arco e
frecce
e balzando sull’albero più vicino; il volto
impresso nella chioma
lussureggiante le sorrise, voltando poi l’immenso capo verso
il cuore della
battaglia.
-Avanti, amico mio, andiamo a fare
un
po’ di danni!- lo esortò la mezz’elfa,
sentendo i rami più sottili avvolgerle i
polpacci per sostenerla quando, con un rombo assordante, la creatura
della
foresta sollevò le radici dal profondo della terra e
s’incamminò in direzione
della voragine in cui vedeva ardere il fuoco della Paladina.
Pochi erano i telmarini in grado di
contrastare l’avanzata dei suoi alberi, ma – Talia
doveva proprio ammetterlo –
furono molti i coraggiosi che tentarono di rallentarne il passo,
cercando di
mutilarne le radici o i rami più bassi; non avevano
però messo in conto
l’abilità di arciere della Custode che
l’albero portava con sé, e nessuno di
quegli stolti aggressori fu in grado di sfuggire ai quei dardi dalle
piume di
smeraldo.
Nessuno avrebbe potuto impedirle di
raggiungere la sua amica.
-Tallie!-
Sentì il cuore
scoppiarle nel petto,
Talia, quando quella voce familiare le echeggiò nelle
sensibilissime orecchie
appuntite.
Vide la strega dai capelli rossi
annientare metà dei guerrieri che cercavano di tagliarle la
strada,
incenerendoli o pugnalandoli con l’estremità
acuminata dello scettro; rideva,
Siria, ma la vista acuta della mezz’elfa distinse anche le
sottili lacrime di
commozione che le rigavano il volto.
Balzò a terra,
sguainando la spada
elfica e tranciando di netto la testa del primo sventurato che ebbe
l’ardire di
pararsi davanti a lei; Siria si mosse allo stesso modo, schivando un
colpo e
mozzando il braccio dell’aggressore di turno, prima di
mettersi a correre per
raggiungere il punto in cui Talia si stava battendo.
-Siria!- esclamò la
bruna, sgomitando
fra due minotauri per spingerli da parte – ed eccola
là, la sua amica, avvolta
nella familiare cascata di capelli rossi e con lo sguardo acceso di chi
ha
appena ritrovato la forza di combattere.
Ed il mondo riprese finalmente a
funzionare nel verso giusto, quando Talia riuscì finalmente
a stringere la sua
amica fra le braccia.
Si abbracciarono di slancio,
serrandosi
l’un l’altra in una stretta piena di paura e di
sollievo; Talia affondò il viso
in quel mare rosso, ridendo e piangendo allo stesso tempo, ancora
incapace di
credere alla fortuna sfacciata che Siria aveva dimostrato, per
l’ennesima
volta, di possedere.
Era viva.
Siria, che era da sempre la
metà di
quell’anima solitaria, era viva e vegeta e rideva con lei,
abbracciandola con
la medesima forza e riempiendola di gioia quando le trasmise un calore
e una
meraviglia tali da farla gioire ancor di più.
Siria era fuoco, adesso, un
falò
scoppiettante di vita che non aveva mai potuto ardere davvero.
-Non farlo mai più. Sono
quasi morta di
paura.- Talia ansimò sulla sua spalla, rendendosi conto
soltanto in quel
momento di avere il fiato corto ed il volto inondato di lacrime:
perdere lei,
perdere Siria, aveva minato alla base tutte le sicurezze che
l’avevano tenuta
in piedi in quei sette anni da che l’aveva incontrata.
Era tornata.
Siria ridacchiò,
arruffando con un
gesto affettuoso la corta chioma lucente dell’amica e
socchiudendo gli occhi in
quel profumo selvatico e rassicurante che lei conosceva così
bene.
-Sissignora.- mormorò, ironica, sussultando però
quando Talia le rifilò un
pizzicotto tutt’altro che delicato in risposta al suo scherno
giocoso.
Rimasero strette per una manciata
d’istanti, protette dalla furia del grande albero che
combatteva alle loro
spalle, prima di separarsi e guardarsi in volto con rinnovato vigore:
erano di
nuovo insieme, adesso, e nessun nemico era mai riuscito ad annientarle
quando
si trovavano l’una con l’altra.
Senza nemmeno parlare balzarono
indietro, piroettando con un aggraziato movimento speculare e brandendo
ognuna
la propria arma per ingaggiare i telmarini che avevano appena tentato
di
prenderle di sorpresa: i soldati caddero senza possibilità
di scampo ma, con
quel gesto, Siria ebbe la possibilità di abbracciare con lo
sguardo l’interezza
del campo di battaglia che si dipanava attorno a lei.
Sgranò gli occhi,
sorpresa, quando un
particolare combattente attirò la sua attenzione.
La familiare chioma bionda
dell’Alto Re
riverberò nel Sole di Narnia, lanciando bagliori dorati
nell’erba carnosa che
accolse il regal capino quando il suo fiero proprietario cadde a terra,
colpito
alle spalle da uno dei lancieri di Telmar.
Peter.
La rossa sospirò,
lanciando un’occhiata
in tralice a Talia: la mezz’elfa, cogliendo
l’espressione dell’amica, alzò gli
occhi al cielo e si lasciò sfuggire un versaccio esasperato.
-Vuoi ancora andare a salvargli la
pelle!?- sbottò, incredula – e Siria comprese, dai
pensieri che le sfiorarono
la mente in quell’stante, che Talia avrebbe volentieri
permesso all’esercito di
Telmar di ridurre Peter Pevensie ad una poltiglia sanguinolenta ed
uggiolante,
liberando così Narnia dalla sua seccante ed inutile presenza.
Ridacchiò, Siria,
avvicinandosi
all’amica per stringerle una spalla in un breve gesto
d’affetto. -Beh, l’unica
che ha il diritto di farlo fuori sono io, non ti pare?- si
limitò a farle
notare, sorridendo, prima di voltarsi – in uno svolazzo di
crini scarlatti – e
buttarsi nuovamente nella mischia in direzione di uno sventurato Re
Supremo
che, nonostante tutto, continuava a rimanere nelle grazie di Siria in
un modo
che Talia non sarebbe mai riuscita a comprendere.
-È una logica che non fa
una grinza.-
si limitò a commentare, esasperata, prima di abbandonarsi ad
una risata
entusiasta e lanciarsi all’inseguimento dell’amica
nel folto dell’esercito di
Telmar.
_
Peter imprecò, vedendo
Rhindon
sfuggirgli dalle dita e atterrare a poche, vitali iarde dalla sua
portata;
crollò a terra, stordito dall’infido attacco del
telmarino, sentendo il fiato
mozzarsi a causa della caduta.
Vide la lancia del nemico calare
–
inesorabile e scintillante – verso di lui, sentì
la scure della Morte scendere
al fianco dell’arma telmarina per tranciare quella vita
vissuta due volte…
-PETER!-
Un sibilo, il suono familiare di
una
lama che trapassava un petto umano, una zazzera immensa
d’infuocati capelli rossi.
Il guerriero
telmarino crollò a terra, trafitto in pieno torace da una
spada che Peter
riconobbe all’istante come la propria; l’elsa
dorata di Rhindon brillò di
riflessi scarlatti quando, con un brusco strattone, la giovane donna
che
l’aveva impugnata la estrasse dal corpo agonizzante del
soldato, chinandosi a
passarla nell’erba per eliminare il sangue che ne aveva
lordato la letale
bellezza.
Il biondo alzò lo sguardo,
distogliendolo a fatica dalla lama, quasi
incapace di credere a ciò che aveva dinanzi: lì,
splendente e fiera come la più
nobile delle regine guerriere, c’era Siria.
Siria.
Rimase immobile, Peter, senza
trovare
la forza di allontanare gli occhi dal volto tanto familiare della
giovane
strega: Siria era lì, era viva, Siria gli aveva appena
salvato la vita per
l’ennesima volta…
Per un istante provò il
fortissimo
impulso di abbracciarla, di toccarla, di sapere per certo che non si
trattava
di un’illusione; aveva creduto di averla costretta a
sacrificarsi, aveva
creduto di averla condannata a morte… aveva creduto di
averla perduta – non
una, ma ben due volte.
-Credi che sia il momento di vincerla,
questa battaglia?- gli chiese lei, spezzando il filo dei suoi confusi
pensieri
e tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Peter, esitando
solamente per
un istante, accettò l’offerta e si
lasciò sostenere, impugnando nuovamente la
fidata Rhindon quando lei gliela porse.
-Direi proprio di sì.-
rispose, e non
riuscì a non rivolgerle un vago sorriso d’intesa
prima di ributtarsi, con
rinnovato vigore, nel cuore della battaglia.
_
_
Il terrore si propagò
fra i telmarini
con la stessa velocità delle fiamme che ardevano fra loro;
il fuoco ruggiva,
aggredendoli, assumendo le sembianze
di creature
infernali che proteggevano i combattenti di Narnia e che rinvigorivano
le loro
forze con la prepotenza della lava incandescente.
I soldati
incespicavano,
arretrando dinanzi a quei mostri: la paura era nei loro occhi scuri,
nei colpi
che perdevano vigore, nelle grida di coloro che si ritrovavano accerchiati da
quell’inferno salito in terra.
-Una strega! Hanno una strega!- fu
uno
dei lord fedeli a Miraz che urlò quelle parole, terrorizzato
dalla bestia di
fuoco che combatteva al fianco di un minotauro contro due dei suoi
soldati: le
streghe, da sempre, brillavano nell’immaginario collettivo di
Telmar per la
loro perfidia e per la loro temibile capacità di annientare
intere nazioni
senza nemmeno combattere.
Cercò di colpire quel
mostro con la
lancia, mentre il cavallo nitriva, terrorizzato, sotto di lui. La
creatura di
fuoco non avrebbe visto, era impegnata contro gli altri due e
annientarla
avrebbe forse rinfrancato il morale dei suoi uomini…
Ma una mano bianca si chiuse sul
legno
scuro dell’arma, sfruttandone la lunghezza per disarcionarlo
e strappandola poi
dalla sua stretta – una mano di donna, della donna dai
capelli rossi che lo
sovrastò quando lui ruzzolò a terra.
Due vividi occhi blu sostennero il
suo
sguardo atterrito, ricambiandolo con il sorriso sardonico del
vittorioso.
-La strega!- sbottò lui,
più stupito
che spaventato, vedendo il fuoco ballarle nelle iridi e nei cristalli
dello
scettro che teneva nella mano destra.
-Esatto. E, pensa un po’?
Ora la strega
fa il culo a tutti quanti.- fu la risposta sarcastica che Siria gli
rivolse,
voltandosi di scatto e scagliando con precisione la lancia –
colpendo in pieno
petto uno dei soldati che stava attaccando senza pietà il
minotauro.
Il lord telmarino, però,
approfittò di quell’istante
di distrazione e balzò in piedi, sguainando
con rabbia la propria spada: la strega era voltata, il collo bianco era
esposto
e fragile… quel gesto di altruismo le sarebbe costato la
vita.
Brandì
l’arma, alzandola
nel cielo limpido, pronto a calarla sulla gola di quella maledetta:
avrebbe
mondato il regno di Telmar da quella sudicia creatura partorita dai
mostri, e
la sua morte avrebbe annientato il ritrovato entusiasmo
dell’esercito narniano…
Il sibilo della lama
quasi
non si udì, nel frastuono della battaglia:
di certo Siria non lo avrebbe mai potuto sentire, concentrata
com’era su altro,
e non sarebbe stata in grado di avvertire la morte calare come una
scure su di
lei – ma sentì, chiaramente, il clangore di due
lame che si scontravano a pochi
millimetri dalla sua gola.
Piroettò su se stessa e
balzò a
distanza di sicurezza, allarmata, distinguendo soltanto un brusco
ingaggio di
spade e il lord telmarino che veniva sbalzato indietro con un coltello
piantato
nel cuore, ucciso senza pietà dal guerriero che si era
frapposto per
proteggerla da quel vile attacco alle spalle.
Un guerriero dai riccioli scuri e
dalle
spalle larghe, che Siria riconobbe all’istante.
-…Caspian.-
Per la prima volta
dall’inizio di
quello scontro Siria esitò, sentendo il cuore incrinarsi
quando comprese di
ritrovarsi davanti al principe di Narnia.
La battaglia intorno a lei perse
ogni
significato in pochi attimi; la
giovane strega
abbassò gli occhi: non poteva affrontarlo,
si disse, mentre le lacrime le bruciavano di muta frustrazione le
palpebre
socchiuse.
Con quale coraggio
avrebbe
potuto alzare lo sguardo in
quelle iridi nere che lei tanto amava, dopo ciò che gli
aveva fatto? Non poteva
dimenticare l’occhiata che il principe le aveva rivolto in
mezzo alla foresta,
non riusciva a schiodarsi dalla mente quegli occhi pieni di dolore, di
tristezza, di rancore…
Si ritrasse appena, inconsciamente,
quando avvertì i passi rapidi e determinati del giovane;
Caspian se ne accorse,
sarebbe stato impossibile non vedere il fremito di paura che
l’aveva
attraversata – ma Siria non lo sentì rallentare
né fermarsi, fino a che non si
sentì avvolgere da qualcosa di caldo e meravigliosamente
familiare.
Sgranò gli occhi,
allibita.
Riconobbe le braccia di Caspian,
riconobbe la stretta salda in cui l’aveva appena racchiusa:
si ritrovò –
piccola e tremante – contro al suo petto, con le dita del
principe immerse fra i propri
capelli ed il suo volto che cercava,
terrorizzato, l’incavo di quella gola bianca che tanto benconosceva.
E, improvvisamente, si
sentì bene.
Avvertì le lacrime
rigarle le guance e
i singhiozzi salirle in gola, ma non le importava; era fra le braccia
di
Caspian e questo valeva tutte le lacrime del mondo, valeva tutto il
dolore che
aveva provato nelle ultime ore – improvvisamente
insignificante di fronte alla
gioia che quell’abbraccio, adesso, le trasmetteva.
Furono tremanti le dita che
sfiorarono
il petto del giovane, le sue spalle; non le era mai parso
più concreto,
Caspian, più vero di quanto non fosse in quel momento,
mentre le sue braccia la
serravano a sé con una forza che sfociava quasi nel terrore.
Un attimo più tardi,
finalmente, le
candide mani sussultanti salirono a cingergli il collo, stringendosi a
lui con
forza ed incredulità, immensamente felice di ritrovarsi
nell’unico luogo dove
si fosse mai sentita davvero al sicuro.
Lì.
Nell’abbraccio di Caspian.
Avvertì il torace del
giovane
sussultare e la stretta delle sue mani farsi più forte,
quasi spasmodica;
stupita, alzò lo sguardo su di lui, ignorando le lacrime
liberatorie che le
ruscellavano lungo le guance.
Niente, niente avrebbe mai potuto
sconvolgerla in quel momento come vedere quelle stesse lacrime rigare
il volto
del suo principe.
Avvertì i propri occhi
sgranare, Siria:
nulla avrebbe mai potuto causare quel turbinio di violente emozioni nel
suo
cuore quanto vedere gli occhioni di Caspian pieni di pianto e di
tormento, colmi
un senso di colpa immenso che non si sarebbe mai aspettata.
-Perdonami.- le
sussurrò, piano,
accarezzandole una guancia, sentendo le dita bagnarsi di quelle perle
salate
che parevano non volersi fermare.
Siria non disse nulla,
perché qualcosa
di doloroso le ostruiva la gola e le impediva di parlare; soltanto i
suoi occhi
si stavano allargando per la
sorpresa – una
sorpresa insperata, una sorpresa meravigliosa.
Era bella, bella più di
quanto non
fosse mai stata.
Qualcosa, dentro Caspian, si ruppe.
Dovette stringere i denti ed accostarsi a lei, cercando disperatamente
il
calore corporeo che Siria emanava e che riusciva a dargli la sicurezza
di
averla davvero lì, di non essere preda della più
dolce e crudele delle
allucinazioni; premette la fronte contro la sua, passando le mani sulla
schiena
della ragazza e serrandola contro di sé.
-Perdonami, Sir… ti
prego, perdonami,
sono stato un idiota, a me non cambia nulla, strega o menonon
fa
differenza, io__-
-Ti amo.-
La voce morì sulle
labbra di Caspian
quando quelle due semplici parole riuscirono a fermare quel fiume di
scuse, di
preghiere e di lacrime che lo stava sconvolgendo.
Mise a fuoco gli occhi lucidi di
Siria,
si rese conto delle mani candide premute sulla propria gola, distinse
il suo
volto appena sorridente, luminoso, candido.
Mise a fuoco quelle due parole, che
penetrarono con forza nel suo cuore senza più
l’intenzione di schiodarsi da lì.
Ti amo.
Non c’era alcuna
battaglia, in quel
momento. Non c’era nulla se non un silenzio ovattato che
apparteneva soltanto a
loro, a quelle iridi tanto diverse che si erano ritrovate, a quei
sorrisi umidi
di lacrime che imperlavano sui loro volti.
Sorrise, Siria, spostando con
delicatezza una mano e posandola sulla guancia del
suo principe – prima una e poi anche l’altra, ed
accarezzò la sua pelle per
portare via con sé quelle gocce salate che non le piacevano,
che non avrebbe
mai voluto vedere nei suoi occhi.
E il suo sorriso si riflesse sulle
labbra di Caspian, sul suo volto, nei suoi occhi arrossati.
Bloccò dolcemente
le sue dita sul proprio viso, voltandosi appena per posare un bacio su
quel
palmo temprato dalle battaglie, socchiudendo gli occhi e beandosi del
gradevole
odore della pelle di lei.
-Ti amo anch’io. Sempre e
comunque.
Potrai perdonarmi?- la sua voce tradì un fremito sulle
ultime due parole,
mentre un’ombra scura riempiva nuovamente i suoi occhi; ma la
raminga – la
strega – scosse la testa, sorridendo divertita e
dandogli un buffetto sul
naso.
-L’ho già
fatto.- rispose, con una
serenità nella voce che lui non vi aveva mai udito,
alzandosi in punta di piedi
per sfiorare, con un bacio, quella bocca familiare di cui non si
sarebbe mai
potuta saziare. Rise, felice, nell’avvertire le labbra di lui
schiudersi in un
sorriso – quel sorriso che lei tanto amava
– quando Caspian le cinse il
volto e la baciò con una furia tale da cancellare qualsiasi
altro pensiero
dalla sua mente.
Si baciarono lì,
suggellando il proprio
amore nel fragore della battaglia, mentre l’esercito ruggiva
la propria
approvazione tutt’attorno a loro.
-Scusatemi, abbiamo una battaglia
da
vincere, permesso!-
Qualcosa di molto simile ad una
montagna semovente, coronata non da neve ma da folti riccioli biondi,
sollevò
Siria di peso e la separò dal principe, stringendola in un
breve abbraccio da
orso che, nonostante l’irruenza, la fece sorridere.
-Devo dire a Talia di tenerti a
bada,
gorilla. Un po’ di astinenza magari ti farebbe
bene…- commentò, schioccando un
bacio sulla guancia di Caleb prima che il gigante, ridendo, le
permettesse di
sgusciare via dalla propria stretta entusiasta.
-Ma anche no!- sentì
strillare, poco
lontano, l’amica mezz’elfa, e scoppiò a
ridere assieme a Caspian nel vedere
l’espressione sconvolta e supplichevole appena apparsa sul
viso di Caleb.
Quell’attimo di pausa,
però, costò caro
a tutti loro: Talia, impegnata a dirigere gli alberi contro quei
trabocchi che
i venti di Mirime non avevano ancora distrutto, cacciò uno
strillo di rabbia
quando uno dei massi delle catapulte telmarine cozzò contro
l’albero che
l’aveva seguita sino a lì, rovesciandolo a terra
in un marasma di ruggiti, rami
spezzati e foglie che si disperdevano ovunque.
Siria balzò sul tronco
del caduto,
sentendo l’angoscia ed il dolore della pianta riverberarsi
nelle emozioni di
Talia e, di riflesso, anche nelle sue: concentrandosi per incanalare la
propria
energia nel braccio destro – quello che reggeva lo scettro
–, puntò il
manufatto verso la grossa roccia levigata per liberare la creatura di
Narnia
dal peso che stava minacciando di spezzarne l’ampio fusto.
I cristalli brillarono di una
vivace
luminescenza scarlatta quando la magia corse lungo la lunghezza
dell’asta e si
scagliò, in un tripudio di innocue scintille, sulla pietra:
quella rotolò via,
innocua, liberando l’albero dalla sua morsa e accendendo un
forte sentimento di
gratitudine e sollievo nei pensieri delle due Figlie di Aslan.
Caleb e Caspian, rapidi come
frecce,
erano tornati a combattere singolarmente contro i soldati di Telmar;
soltanto
Peter, però, che non era troppo lontano, vide il secondo
proietto di catapulta
descrivere un ampio raggio nel cielo prima di cominciare la sua
parabola
discendente proprio verso il punto in cui Siria era appena balzata a
terra.
-SIRIA!- chiamò,
atterrito, ma la
giovane ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo: riuscì
soltanto a scambiare
un’occhiata disperata con Peter, sconvolta
dall’ombra mortale che si stava
repentinamente allargando intorno a lei, prima che l’enorme
pietra si
abbattesse al suolo, scuotendo la terra e scavando una terribile
voragine
tutt’attorno a sé: le scintille rosse scomparvero
e Siria… Siria svanì con loro
nel polverone alzato dallo schianto.
-NO!-
Peter, incapace di credere a
ciò che
aveva appena visto, raggiunse di corsa Caspian e Caleb appena in tempo
per
vedere il biondo lasciar andare il ragazzo che si agitava come un
ossesso, ma
insieme dovettero agguantarlo di nuovo per impedirgli di lanciarsi in
avanti.
Caspian rivolse al Re Supremo uno
sguardo disperato, ma Peter scosse la testa: Siria non poteva essere
morta in
un modo così stupido, andiamo! Nemmeno Jadis era riuscita ad
ucciderla –
nemmeno lui…
-Uh!-
Sobbalzarono tutti quanti, colti di
sorpresa, quando una voce divertita risuonò alle loro
spalle. Si voltarono,
increduli, trovandosi davanti una divertita ed esilarata Siria, con gli
occhi che
ancora crepitavano di magia.
-Non ero sicura di saperlo fare,
questo…- mormorò a mo’ di scusa,
vedendo le espressioni allibite del principe e
del Re scrutarla come se non riuscissero a credere ai propri occhi
– e come se
avessero improvvisamente una gran voglia di strangolarla, soprattutto.
-Io non ho parole,
davvero… sei una
strega pivella e provi a fare cose che son fuori dalla tua portata.-
sospirò
Caleb, ridacchiando, avvicinandosi a lei con un largo sorriso dipinto
sul volto
abbronzato.
-Ehi! Però ci sono
riuscita!- protestò
Siria, ridendo a sua volta, accettando con gratitudine la spada che
Caleb le
porse un istante più tardi.
Un brivido di gioia ed eccitazione
la
pervase, quando finalmente le sue dita si chiusero su
quell’elsa che aveva
agognato sin da quando aveva raggiunto il campo di battaglia
– quell’elsa che
il suo tocco aveva modellato giorno dopo giorno, anno dopo anno, guerra
dopo
guerra.
Kain. Bentornato, amico mio.
-Sì, ma hai fatto
prendere un colpo al
tuo principino!- ribatté Cal, ruggendo una risata che
riuscì a scaldarle il
cuore mentre i suoi occhi cercavano l’espressione
terrorizzata ancora scolpita
sul volto di Caspian.
-Non ho fatto tutti questi casini
per
farmi ammazzare da un grosso sasso.- gli fece notare, con un sorriso
spigliato
e divertito a riempirle il volto.
-La detesto quando fa
così.- mormorò
Peter, accanto al principe, scuotendo appena la testa e dando una
debole pacca
sulla spalla dell’amico; Caspian annuì,
sconfortato quando lui, non riuscendo
però a non ridere quando vide Siria volgersi nuovamente
verso i guerrieri di
Telmar.
-Concordo.-
Dal canto suo, Siria si
limitò a
ridacchiare nell’udire il breve scambio di battute fra
principe e Re: la sua
attenzione però fu subito attirata da Talia e da Mirime che,
vendicative, avevano
scatenato ognuna le proprie forze ed avevano appena ridotto in macerie
l’ultimo
trabucco ancora in piedi.
L’esercito avversario
sembrò contrarsi,
a quel punto, mentre la ninfa dei venti volteggiava minacciosamente fra
i
soldati mulinando quella che – Siria dovette scuotere la
testa, incapace di
credere a ciò che vedeva – assomigliava terribilmente
ad una falce a
doppia lama.
Talia apparve al suo fianco,
divertita
quanto lei, comunicandole mentalmente le posizioni di ognuno dei
comandanti:
Aaron ed Edmund li stavano raggiungendo a piedi, Cornell stava
disimpegnandosi
da uno scontro ed Aysell e Susan erano ancora sui bastioni della Tana
assieme
agli arcieri.
“Mirime, porta qui Sue ed
Aysell.
Tallie, scorta Cornell da noi”
ordinò mentalmente la strega, studiando la posizione in cui
si trovavano – a
poche iarde di distanza dall’entrata della cripta –
e prendendo subito la
decisione di radunare lì i loro condottieri.
-Peter!- chiamò, ma non
ebbe bisogno di
aggiungere altro: Peter e Caspian avevano già recuperato due
cavalli, portati
loro dagli scudieri fauni, e lei balzò in sella dietro al
principe prima che i
due cavalieri si lanciassero al lungo galoppo per richiamare i loro
soldati.
-Ripiegare sulla Tana!-
ordinò lei, e
subito vide i narniani obbedire al suo richiamo ed abbandonare i duelli
che li
tenevano impegnati.
-Indietro tutti, proteggete i feriti!- aggiunse Peter nel medesimo
tono stentoreo,
sentendosi bizzarramente orgoglioso del portamento fiero e determinato
che
Siria aveva assunto assieme al ruolo ufficioso di comandante in seconda.
Una volta lontani
dalla
Tana, Siria balzò a terra e fece cenno ai due giovani di
tornare indietro: i
narniani stavano ripiegando sul piazzale della cripta esattamente come
i
telmarini si stavano ritirando verso Beruna, schiacciati dal terrore
che vento,
fiamme ed alberi avevano seminato fra i loro ranghi. Molti soldati
però erano
troppo vicini alla Tana per sperare di poter tornare indietro vivi, e
si
scagliarono quindi sui guerrieri di Narnia; ma la ragazza si era
aspettata
quella mossa disperata e non si fece trovare impreparata.
D’istinto tese la mano
destra, gioendo
nel vedere le lingue di fuoco tornare ad avvolgere la sua pelle ed il
metallo
liscio dello scettro. Era una bella sensazione, quella: si sentiva un
tutt’uno
con le sue fiamme, potente e forte come non credeva di poter essere, si
sentiva… se stessa – una sé che non si
era mai permessa di essere: il suo vero
io, la sua reale essenza.
E le fiamme, al suo ordine,
crebbero.
Si snodarono sul terreno, senza
bruciare
l’erba che era loro
sorella, attraversando il
campo di battaglia e separando definitivamente i due schieramenti,
allontanando
i soldati di Miraz dai narniani senza, se possibile, uccidere quei
disgraziati
che non erano riusciti a ritirarsi verso Beruna.
-Questi ve li restituisco, manica
d’imbecilli!- sentì strillare sopra di
sé, e non poté fare a meno di scoppiare
a ridere quando vide due proietti di catapulta lanciati a tutta
velocità verso
i telmarini più lontani.
“Sempre diplomatica,
vero?”
sussurrò mentalmente, rivolgendosi alla pleiade che
svolazzava con aria minacciosa a diversi piedi d’altezza
sopra di lei.
“Sempre!” fu la risposta allegra che le
risuonò nella testa, mentre
la raminga si concentrava per ripetere l’incantesimo che le
aveva permesso di
spostarsi attraverso lo spazio in meno di un battito di ciglia.
Riapparve in una fiammata al fianco
di
Caspian, che sussultò per la sorpresa ma sorrise
immediatamente nel
riconoscerla; a poche iarde da sé, udì Edmund
commentare, in direzione di
Peter, lo spirito battagliero di Mirime col naso
rivolto verso l’ultimo punto in cui avevano visto sparire la
pleiade.
-E quella sarebbe la più
tranquilla fra
tutt’e quattro?-
Peter annuì, sconsolato,
lanciando uno
sguardo abbacchiato in direzione di Talia – che sfrecciava da
un albero
all’altro per verificarne la salute – e, in
seguito, di Siria.
-Già.-
mormorò, sentendo il cuore
stringersi nel guardare colei che era stata la sua amica sorridere a
Caspian
coi capelli ancora intrisi di fiammelle.
Strega.
-E tu sei riuscito ad inimicartene
la
metà. Bel colpo, Pete.- ridacchiò Edmund, dando
un pugno amichevole al biondo e
scoccando un’occhiata divertita alla rossa. -Per fortuna
Siria ti adora,
altrimenti saresti già ridotto ad un regale arrosto di
tacchino.-
Peter, con le orecchie
più rosse del
normale, si limitò ad ignorare ostinatamente il commento del
fratello.
A poca distanza da loro Siria e
Talia sorrisero, emozionate,
quando le loro sorelle apparvero a
pochi metri da loro in uno sbuffo biancastro; Aysell si
buttò senza
ritegno addosso alla rossa, piangendo, tempestandola di pugni ma
stringendosela
convulsamente addosso.
-Stai buona, piccoletta.- le
sussurrò
la rossa per cercare di tranquillizzarla, ma Aysell esplose in una
sequela di
insulti ed imprecazioni talmente coloriti da far arrossire di pudicizia
persino
le orecchie, un poco a sventola, di Caspian.
-Fammi un’altra volta uno
scherzo del
genere e giuro che morire ti sembrerà uno scherzo in
confronto a quello che ti
farò io!- concluse la naiade, furibonda, prima di buttarsi
un’altra volta
addosso all’amica e appallottolarsi con fare molto felino
addosso a lei.
Mirime, alle sue spalle, rise.
-Abbiamo avuto paura di perderti,
Siryn.- mormorò, avvicinandosi per stringere le spalle
dell’amica in un
abbraccio e tirando nella
stretta anche Talia, che
non esitò a lanciarsi addosso a tutt’e tre
rischiando di farle rovinare a
terra.
Casa.
La dolcezza ed il sollievo
pervasero le
menti delle quattro ragazze, quando finalmente riuscirono a comprendere
di
essere di nuovo tutte insieme. Siria chiuse gli occhi, costringendosi a
non
piangere, abbassando appena il capo per inspirare a fondo i profumi
mescolati
dei capelli delle sue compagne: Mirime sapeva di fresco e di neve,
Aysell aveva
l’odore frizzante delle sorgenti montane, Talia profumava di
corteccia e di
foresta.
Assieme, quelli diventavano il
profumo
che probabilmente aveva una famiglia.
Si separarono a malincuore,
perché la
battaglia non era ancora finita e Siria doveva tornare dai suoi
soldati; la
raminga affiancò quindi Peter e Caspian davanti alla
formazione scomposta ed
eterogenea dei narniani, mentre Cornell li raggiungeva e rivolgeva un
rispettoso cenno di saluto alla giovane donna.
-Ritirate i feriti nella Tana, chi
è in
grado di stare in piedi si presenti subito qui!- ordinò la
strega, indicando
imperiosamente un gruppo di giovani fauni che, al suo ordine,
scattarono sulle
forti zampe equine e sfrecciarono fra le fila narniane, aiutando i
più malconci
a raggiungere la sicurezza della cripta.
Caspian, distogliendo a fatica lo
sguardo orgoglioso dalla propria donna, si rivolse a Cornell. -Dobbiamo
incalzarli adesso, prima che possano organizzarsi su Beruna e
contrattaccare.-
affermò, ed il centauro annuì, concorde.
-Susan! Tieni con te gli arcieri e
seguiteci dalle retrovie!- chiamò invece Peter, alzando lo
sguardo per
sincerarsi di essere stato sentito; la sorella annuì,
facendo cenno a Trumpkin,
che l’affiancava, di discendere dai bastioni
d’entrata. -Fauni ed animali con
me, sulla destra!- chiamò quindi, brandendo Rhindon ed
invitando i guerrieri
che aveva chiamato a seguirlo sul lato più a nord dello
schieramento.
-Minotauri e giganti, al centro!-
incalzò Siria, balzando sul cavallo che Peter non aveva
portato con sé e
scagliando il pugno armato verso il cielo, ottenendo un ruggito
entusiasta in
risposta da parte delle truppe. Si rivolse quindi alle amiche, che la
osservavano in silenzio e con degli strani sorrisi dipinti in faccia.
-Faremo
da cuneo. Talia, prendi Aysell su un albero e spianaci la strada.-
ordinò lei,
ignorando l’imbarazzo che quegli sguardi vibranti
d’orgoglio le causavano.
La mezz’elfa rise,
passando un braccio
intorno alla vita di Aysell e sollevandola senza alcuno sforzo.
-Con molto piacere!-
affermò, ignorando
le proteste della naiade – tutt’altro che contenta
di sentirsi sballottare come
una bambola di pezza – e
raggiungendo la postazione assegnatale in
pochi, lunghi balzi.
-Cornell, i centauri staranno sulla
sinistra, li chiuderemo in una morsa sul lato sud del guado.-
affermò quindi
Caspian, pacato e rassicurante al confronto con quei due esagitati dei
loro
generali: Cornell sorrise, afferrando il proprio corno d’osso
e lanciando un
lungo richiamo in direzione dei propri compagni.
Caspian salì quindi sul secondo cavallo, un bel baio giovane
ed impaziente,
affiancandolo al destriero di Siria. -Non devo dirti di
stare attenta,
vero?- le chiese, distogliendo l’attenzione della ragazza
dalla disposizione
delle proprie truppe – avevano architettato quella
tattica molto tempo prima, ma
si sentiva soddisfatta nel vedere quanto i guerrieri si fossero tenuti
pronti
ad attuarla.
La giovane si volse verso il moro,
sorridendo: aveva in volto quell’espressione dura e
splendente che Caspian
sapeva appartenerle in battaglia,
quando – ora lo
capiva – il fuoco che le scorreva nelle vene accendeva
l’ardore che Siria già
possedeva, riempiendola di una forza luminosa e cangiante in grado di
scaldare
l’animo di chi aveva intorno a sé.
Era nata per essere una guerriera,
Siria.
-Assolutamente.- annuì
lei, impaziente,
tirandolo però verso di sé e coinvolgendolo in un
bacio irruente che fece
ruggire d’entusiasmo l’intero esercito.
Mirime scosse la testa, divertita,
alzandosi in aria per guadagnare un’altitudine tale da poter
scorgere
l’interezza del loro schieramento, ora ordinato e pronto per
combattere.
Impugnò quindi la propria falce con più
sicurezza, scagliando il braccio armato
verso il cielo che pareva risplendere della rivalsa e della vendetta
che tutta
Narnia reclamava a gran voce.
-Forza! Andiamo a riprenderci la
nostra
terra!- strillò, e la risposta che venne dai guerrieri si
mischiò all’estatico
urlo di guerra che serpeggiò come un canto dai comandanti a
tutte le truppe:
-PER NARNIA!-
..
..
.
.
.
.
.
My Space:
. Io non mi sono strafogata
nienteniente con questo capitolo, nonnò!
Non avete idea di quanto mi sia divertita: tornare finalmente alle mie
adorate battaglie e alla mia gente fuori di testa che strilla lanciando
grossi sassi ai telmarini o scatena foreste contro quei malcapitati...
xD . Ho un sacco di cose da dire per
questo capitolo! Innanzitutto: Proietto: corpo
che è stato lanciato nello spazio; grosso proiettile (es. di
catapulta, trabucco)
(http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/P/proietto.shtml) .
Edmund è stato un personaggio che ha preso vita
repentinamente negli ultimi capitoli pubblicati, poiché
prima non lo avevo quasi mai tirato in causa se non per i pezzi in cui
era presente insieme a Tara. Che dire, s'è conquistato uno
spazio tutto suo e devo dire che il suo commento sul "regal arrosto di
tacchino" mi ha fatta sputtanare xD . Siria e Caspian si sono finalmente riuniti! Che ne
pensate? Trovo che questi due siano talmente adorabili da riuscire a
sciogliere persino una vecchiaccia acida come la sottoscritta U_U il
loro climax è finalmente finito e ora Caspian sa tutto, sa
della strega e della donna e ha accettato, finalmente, entrambe. Siamo
a meno 5 capitoli dalla fine della storia, signori e signore! E a me ne
mancano sempre 3 da scrivere ^^''' li finirò, promesso! . Siria e Peter, invece, sono ancora tutti da studiare.
Peter è felice di rivederla viva, ma non per questo ha
dimenticato: le streghe, per lui, non sono proprio un argomento
discutibile... diciamo che meno ne vede meglio sta, e questo
causerà non pochi problemi alla nostra raminga nei prossimi
capitoli e nella prossima storia! . Mirime invece s'è guadagnata il suo spazio, che
ne dite? Io l'avevo detto che era fantastica xD gira con una falce! *-* .
Ora siamo proprio vicinissimi alla fine: abbiamo visto la foresta
ripigliarsi (e Talia e Caleb sono sempre un amore di coppia), i venti
lanciare proietti di catapulta, il fuoco arrostire telmarini; chi
manca? Ma manca la nostra Aysell, naturalmente!
...oh, e anche Aslan. Va beh, lui è inutile. U_U . 05/01
- Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47 ..
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
.. .
Ne approfitto per augurarvi, con qualche giorno d'anticipo, un felice e
sereno Natale da parte mia e di tutti i miei
personaggi, neuroni e
gentaglia varia! Tantissimi auguri! .
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
Shaylee
trasalì quando vide i piccoli ciottoli che componevano la
riva sassosa del
Grande Fiume tremare in risposta ad una vibrazione del terreno che si
propagò
sino a lei.
-Sento
la terra tremare.- mormorò, serrando involontariamente le
dita sul bastone da
combattimento.
Alzò
lo sguardo verso Mairead che, a poca distanza da lei, scrutava verso il
ponte
con in volto l’espressione più imperscrutabile e
cupa che le fosse mai capitato
di scorgere su quel viso bellissimo.
-Stanno
arrivando.- le confermò la Sovrana, rivolgendole un cenno
secco ed imperioso
per ordinarle di raggiungerla. Shaylee si affrettò ad
obbedirle, ravviando la
treccia dorata dietro la spalla con un gesto secco che, ormai, aveva
fatto
proprio.
Quando
fu accanto alla Sovrana, ad appena una spanna dal velo di nebbia che
Mairead
stessa aveva fatto calare alle spalle di Lucy – che
attendeva, sola, all’inizio
del pontile – per nascondere ai telmarini le truppe che
avevano radunato, Shay
sussultò nel riconoscere l’imponente figura di
Aslan affiancarsi a quella più
minuta della ragazzina.
-È
tornato… che cos’ha fatto?- mormorò,
sorpresa: né lei né le altre naiadi
avevano colto qualche mutamento nell’energia
dell’acqua, che le univa le une
alle altre e che si sarebbe certamente risvegliata nel momento in cui
Aysell
avesse recuperato la propria magia.
-Ha
ristabilito l’equilibrio fra le sue Figlie.- fu la risposta
sibillina che
Mairead le diede, assieme ad uno sguardo indecifrabile che, tuttavia,
non fece
altro che aumentare la sua confusione.
Quando
Aslan si era congedato da loro lei aveva pensato che avrebbe restituito
alle
Figlie sopravvissute i propri poteri… perché,
allora, sua sorella non si era
ancora ripresa ciò che le apparteneva di diritto?
-Ma
Aysell è ancora silente…- provò ad
obiettare, nel tentativo di esporre i propri
dubbi alla Sovrana; ma poi, dopo un istante, le sue iridi brune
s’illuminarono
di comprensione. -…ah.- sussurrò, sentendo il
cuore stringersi dolorosamente
quando capì cos’era che impediva
all’energia dell’acqua di risvegliarsi in
Aysell.
Abbassò
lo sguardo, pentita della propria ingenuità.
-È
rimasta troppo a lungo senza i suoi poteri, non è abituata a
sentirli e ciò si
riflette su di noi.- mormorò, perché sapeva che
Mairead avrebbe voluto sentirla
esporre le conclusioni a cui era giunta tramite le tecniche di
riflessione che
le erano state insegnate.
La
Sovrana sorrise appena, rivolgendole un cenno d’assenso
senza, però, spostare
lo sguardo dalle figure di Aslan e di Lucy.
-Imparerà.
È giovane, come te: avete tutto il tempo del mondo.- la
rassicurò, allungando
la mano che non stringeva il maestoso scettro incantato per stringere
brevemente la spalla della fanciulla.
Shaylee
era cresciuta così tanto, era così orgogliosa di
lei… sarebbe stato terribilmente
doloroso separarsi da lei, una volta giunto il momento che la Sovrana
stava
aspettando, oramai, da fin troppo tempo.
-Avrà
una buona insegnante, mia Sovrana.-
Se
Shaylee fosse stata una veggente certo non avrebbe pronunciato
quelle parole,
si disse Mairead, rivolgendo alla ragazza un sorriso carico di
tristezza e di pacata rassegnazione: conoscendola, la sua amata
protetta
avrebbe tentato qualsiasi strada pur di impedire che il destino si
avverasse
nei modi che erano stati scritti molto tempo prima della sua stessa
nascita.
-Indubbiamente.-
affermò, perché sapeva che Aysell avrebbe avuto
la miglior guida che si potesse
desiderare: ma non sarebbe stata lei, Mairead ne
era conscia, perché
il fato non avrebbe ammesso intoppi lungo il proprio cammino.
Eppure
non era quello il momento di abbandonarsi a quel genere di pensieri: un
lord
telmarino a cavallo era apparso sul ponte, seguito dalle proprie
truppe, e
proprio in quell’istante lo vide brandire la spada ed
ordinare una carica
disperata in direzione di Aslan e di Lucy.
Con
un gesto imperioso, sicuro, la Sovrana brandì lo scettro: le
pietre azzurre
divamparono in un lampo di accecante luce celeste e la nebbia che
nascondeva i
soldati narniani si dissolse, rivelando la distesa di creature che
aveva risposto
all’appello di Aslan.
E
il ruggito tonante di Aslan si fuse con l’ordine imperioso di
Mairead,
mischiandosi in un unico grido di battaglia che serpeggiò
fra le truppe,
rinvigorendole e spingendole a lanciarsi verso i telmarini in un
possente
attacco da cui nessuno degli avversari avrebbe potuto trovare scampo.
Siria
attraversò di corsa la linea di sbarramento dei narniani,
dirigendosi senza la
minima esitazione verso il giovane generale biondo che stava impartendo
le
ultime direttive ai propri soldati. Lo raggiunse e lo
afferrò bruscamente per
una spalla, costringendolo a voltarsi verso il fiume nel momento stesso
in cui
i telmarini si scontravano con le truppe di Aslan.
-Peter,
guarda!- sbottò, ignorando lo sguardo carico di rancore che
le fu rivolto dall’Alto
Re e fingendo di non aver scorto il gesto convulso con cui Peter si era
prontamente liberato della sua stretta.
Non
aveva tempo, adesso, per riflettere su quei segnali
tutt’altro che
incoraggianti: sul ponte di Beruna stava divampando una nuova
battaglia, e
Peter doveva vedere chi era a
guidare le naiadi contro i
telmarini.
Un
raggio di Sole si infranse proprio in quell’istante sulla
lunga, flessuosa
treccia dorata che danzava sulla schiena ritta della naiade che aveva
appena
ingaggiato Sopespian – e Peter sentì il cuore
mancare un battito, quando riconobbe
quei familiari lineamenti che lui tanto amava.
-Shaylee…-
sussurrò, incredulo.
Shaylee.
La
sua Shaylee era là, era tornata,
stava combattendo con la grinta
e la determinazione che lui aveva sempre scorto dietro la sua elegante
armatura
di lady… sorrise, avvertendo la pelle formicolare e gli
occhi bruciare di
commozione e di gioia, muovendo automaticamente un passo in avanti.
Fu
nuovamente Siria ad afferrarlo, ma questa volta lo fece per
trattenerlo: le
rivolse uno sguardo confuso, senza comprendere il motivo per cui la
rossa gli
stesse impedendo di andare da Shay… gli era
mancata così tanto, Shaylee…
-Io
devo__- cominciò, tentando di scostarla, ma fu di
un’altra la voce che lo
fermò.
-__lasciare
che lei combatta la sua guerra.-
Peter
si voltò di scatto, sorpreso: sopra di lui, avvolta da una
lieve foschia che
rendeva indefiniti i suoi lineamenti, Mirime lo stava osservando con
quelle
iridi da gatto che tanto riuscivano ad inquietarlo.
Siria
lo liberò dalla propria stretta, allontanandosi da lui come
se si fosse
scottata – che metafora stupida, si disse
lui, Siria non poteva
bruciarsi…
La
ignorò e guardò la mora, rivolgendole uno sguardo
interrogativo e confuso prima
di spostare nuovamente gli occhi sulla figura dolorosamente lontana di
Shaylee.
-Non
è Sopespian il nemico che Shaylee sta affrontando, Peter
Pevensie.-
Solo
allora, quando Mirime pronunciò quelle parole, lui
capì.
Shay
se n’era andata perché si era sentita tradita da
se stessa, perché non era
stata in grado di far fronte ad un pericolo concreto e
perché aveva permesso a
qualcun altro di assumersi una sofferenza che, secondo la sua
convinzione, lei
avrebbe potuto evitare; se n’era andata per cambiare, per
imparare ad ammettere
i propri limiti e per coltivare, in sé, quel germoglio di
determinazione e di
coraggio che le avrebbe permesso di crescere.
Ed
ora stava combattendo il condottiero delle truppe di Telmar –
e bene,
oltretutto –, lo stava affrontando senza paure ed
esitazioni e, così facendo,
stava dimostrando a se stessa di essere diventata ciò che
aveva ardentemente
desiderato di essere.
Sorrise,
Peter, sentendo il cuore gonfiarsi di commozione e di fierezza nel
guardare la
ragazza che aveva incontrato riconoscere in sé, finalmente,
la donna che lui
tanto amava.
-Telmar!
Attaccate!-
Con
un ruggito disperato, le truppe telmarine si scagliarono verso i
combattenti
che quel leone assurdamente grande aveva portato con sé; gli
uomini e le donne
vestiti di chiaro – “ma quali donne,
quelle erano altri mostri!” – lanciarono un
urlo di guerra che non
fece nemmeno esitare l’armata umana, brandirono le armi che
portavano e si
buttarono nel fiume e lungo il ponte, ingaggiando i soldati in un
combattimento
sorprendentemente serrato e violento.
Sopespian
spronò il cavallo, ghignando quando vide le prime di quelle
bestie cadere sotto
l’acciaio dei suoi: non avevano scampo,
si disse. Presto li avrebbe
definitivamente fatti schiacciare come i vermi che erano, e sarebbe
tornato al
castello per riorganizzare l’esercito – ed
insediarsi, finalmente, sul tanto
agognato trono che gli spettava di diritto.
Il
destriero bruno che montava, però,
s’impennò.
Imprecando
una bestemmia in direzione della divinità di quelle stolte
creature di Narnia,
Sopespian tirò con forza le redini e costrinse la bestia a
scartare, rivelando
la figura
esile e minuta della ragazzetta
che si era frapposta sul suo cammino.
Non
aveva più di diciott’anni,
rifletté l’uomo, squadrando la giovane con uno
sguardo di sufficienza: lei ricambiò la sua occhiata con
astio e alterigia – chi
aveva dato il permesso a quelle creature di sentirsi tanto potenti?
–,
brandendo il bastone da combattimento e sbarrandogli, così,
la strada.
Il
lord, nel vedere gli occhi dorati della ragazza assottigliarsi,
scoppiò a
ridere.
-Una
ragazzina? Non avete nessun altro da spedirmi contro, grande
Leone?-
schernì Aslan, che osservava lo scontro assieme ad una donna
bionda e alla
bambina, rivolgendogli una profonda riverenza densa di disprezzo.
-Silenzio!-
la voce di Shaylee echeggiò seccamente nell’aria,
facendo sobbalzare il cavallo
di Sopespian quando lei roteò il bastone; con un gesto
rapido colpì senza
troppa forza il garretto dell’animale, che
s’impennò un’altra volta – e,
stavolta, il telmarino cadde, colto di sorpresa dal gesto della sua
cavalcatura.
La
naiade ricambiò l’occhiata astiosa
dell’uomo senza abbassare lo sguardo,
scostando indietro la treccia ed alzando appena il mento in un
inequivocabile
gesto di superiorità. -Non accetto insulti da un
usurpatore.- affermò, piegando
le labbra in una smorfia disgustata.
-Pagherai
la tua insolenza, mostro.- ansimò lui, furibondo, sguainando
la spada quando la
vide assumere una posizione di difesa.
-Fra
noi di mostro ne vedo uno soltanto, e non sono io.- fu la pacata
replica di Shaylee, ma
ebbe appena il tempo di scorgere il lampo di rabbia nel volto del suo
avversario prima di essere completamente assorbita dalla furia del
combattimento.
Sopespian
le si scagliò addosso con tutto il peso del corpo, calando
la spada verso di lei
come se fosse un’ascia;
la ninfa si scostò
prontamente, flettendo i muscoli
delle braccia per sfruttare la forza d’inerzia provocata dal
proprio movimento
e colpire al ginocchio e al fianco il telmarino in rapida successione.
Il lord
roteò su se stesso e vibrò un colpo infido dal
basso verso l’alto, scalfendole
il corpetto rinforzato con il taglio della lama quando lei si torse
all’indietro, disimpegnandosi dal corpo a corpo.
Balzò
indietro e poi subito in avanti, ignorando la fatica e tentando un
approccio
laterale: Sopespian, tuttavia, parò e attaccò a
sua volta, costringendola di
nuovo ad arretrare. Non volle però dargli la soddisfazione
di cogliere la sua
stanchezza: si costrinse di nuovo all’assalto frontale,
Shaylee, cogliendolo di
sorpresa e riuscendo a farlo incespicare.
Era
la sua occasione: roteò su se stessa e colpì con
tutta la sua forza l’elsa
della spada e subito dopo il costato del lord, facendolo piegare in due
per la
violenza dell’urto; con un terzo affondo lo fece cadere in
ginocchio, privo di
fiato e disarmato – e sentì, per la prima volta
nella sua vita, l’euforia della
vittoria imminente riempirle l’animo di baldanza.
Sopespian,
però, non si sarebbe lasciato sconfiggere facilmente da una
ragazzetta di
Narnia: senza che lei vedesse, estrasse un lungo pugnale dal fodero
cucito sul
lato della cosciera di pelle e lo strinse contro al petto, in attesa
che lei si
avvicinasse.
E
così Shaylee fece, ansiosa di porre fine al duello: gli si
accostò, tenendo
brandito il bastone, ma quando fu a tiro la mano del telmarino
scattò e bloccò
l’arma, tirando quella e la proprietaria verso di
sé, a terra, e affondando in
profondità il coltello nella carne soffice della coscia di
lei.
Shaylee
non poté fare nulla: si divincolò, cercando di
liberarsi, ma il dolore
lancinante dell’acciaio che s’immergeva nella carne
cancellò qualsiasi altro
pensiero dalla sua mente.
Strappò
il bastone dalla presa di Sopespian, usandolo per spingersi
convulsamente
indietro, lungo la pavimentazione del ponte: non riusciva a staccare
gli occhi
dall’elsa di metallo che spuntava dalla sua coscia e dal
fiore rosso che vi si
stava rapidamente allargando intorno, le sembrava incredibile che
potesse
esserci tanto sangue in un corpo piccolo come il suo…
Approfittando
dello shock della naiade, tenendole ben stretta la caviglia con
l’altra mano,
Sopespian annaspò e afferrò nuovamente la spada,
alzandosi in ginocchio e
sovrastando la figuretta scarna della sua avversaria.
-Muori!-
ruggì, alzando l’arma verso l’alto:
l’acciaio riverberò dei riflessi del Sole,
accecando Shay che, con tutte le sue forze, stava cercando di sottrarsi
a
quella condanna a morte.
-NO!-
Agli
occhi di Shaylee, fu un’ombra dorata a frapporsi di slancio
fra lei e Sopespian, oscurando il Sole.
La
giovane ninfa si sentì attraversare da una scarica di
sollievo e di
ammirazione, quando riconobbe in Mairead la salvatrice che aveva
impedito a
Sopespian di finirla.
La
Sovrana delle naiadi scalzò indietro il telmarino con tre
rapidi, secchi
affondi dello scettro donatole da Aslan; scavalcò la sua
protetta con grazia,
assaltando nuovamente il lord con una decisione e una forza tali da
intaccare
persino l’irritante sicumera dell’uomo.
Shay
lo vide arretrare, fissare la Sovrana con uno sguardo di puro terrore;
sembrava
che Mairead non potesse essere sconfitta, era una battaglia impari,
Sopespian
sarebbe stato annientato dalla bellezza letale del combattimento della
donna…
Si
serrò la gamba, abbassando per la prima volta lo sguardo per
controllare
l’entità del danno – ma
trasalì, inorridendo, quando si accorse che il pugnale
non era più immerso nella sua carne.
Ebbe
solamente un istante, e nulla avrebbe potuto impedire alla tragedia di
consumarsi.
Quando
alzò lo sguardo, con un urlo di avvertimento in gola, vide
lo scettro colpire
animosamente il braccio armato del telmarino; la spada volò
via di nuovo, ma
Sopespian incassò il colpo e serrò le dita sul
legno di sambuco dell’arma,
tirando ancora una volta l’avversaria verso di sé.
Un
lampo metallico fra i corpi che si scontravano.
-MAIREAD!-
gridò Shaylee, ma era troppo tardi: con un ghigno vittorioso
a storpiargli il
volto, Sopespian affondò violentemente il pugnale nel ventre
della Sovrana.
Mairead.
Aysell
guardò gli occhi azzurri della Sovrana delle naiadi
sgranare, riempiendosi in
un attimo di sofferenza e di sconfitta.
Mairead.
Che
strano, si disse: non aveva mai notato quanto gli occhi di
quell’antica naiade
fossero grandi e luminosi, simili a gemme preziose, né
quanto fosse elegante e
vellutata la sua carnagione eburnea.
Mairead.
Sopespian
affondò il pugnale un’altra volta –
Aysell non poteva vederlo, ma era sicura
che stesse ghignando – ma la Sovrana non si
lamentò, nemmeno quando il sangue
cominciò a colarle dalle labbra chiare.
Mairead.
Se
avesse potuto udirle, Aysell si sarebbe accorta dell’intenso
dolore e della
paura che stavano sconvolgendo le sue amiche: Siria era caduta in
ginocchio,
Talia era immobile fra i rami dei suoi alberi, Mirime aveva quasi perso
la
presa sulla sua amata falce.
Mairead.
Mairead
era morta. La luce e la determinazione erano sparite dal suo sguardo,
Aysell li
aveva visti svanire, assieme alla vita, in pochi attimi; ma, prima di
morire,
la Sovrana aveva guardato lei.
Lei,
che Mairead aveva salvato dalla morte e protetto per tutta la
sua vita.
Lei,
che aveva trovato nella Sovrana la madre che non aveva potuto
avere.
Il
corpo di Mairead scivolò sulla pavimentazione di legno del
ponte, in silenzio,
davanti allo sguardo inorridito di Shaylee; Sopespian alzò
la testa, volgendosi
verso l’altra naiade e scavalcando con noncuranza i resti
della Sovrana…
Aysell, sebbene non potesse vederlo in faccia, capì che
quell’uomo voleva
uccidere la sciocca ragazza che aveva avuto l’ardire di
sfidarlo.
-…no.-
Non
avrebbe rammentato, in seguito, come si fosse trovata a sfiorare le
acque
tumultuose del Grande Fiume – né, tantomeno, gli
sguardi atterriti che si erano
scambiate le sue sorelle nel vederla coprire le poche iarde che li
separavano
dal fiume con quel passo leggero e vagamente trasognato.
L’acqua
era gelida, gelida come l’odio che ne riempiva le
correnti.
I
flutti le avvolsero il corpo, infradiciandole la tunica e ghiacciandole
la
pelle sottile e sensibile: Aysell però non ci fece caso, era
abituata al freddo
– lei aveva sempre freddo, anche quando gli altri non lo
sentivano.
Il
fiume la strinse in un abbraccio, aggrappandosi a lei con quella che la
naiade
parve cogliere come disperazione: il suo dolore salì a
riempire il vuoto che le
si era spalancato dentro alla morte di Mairead, sfiorando qualcosa che
– Aysell
poté avvertirlo fremere – era rimasto sopito nel
suo animo per molto,
moltissimo tempo.
CRACK!
Uno
dei piloni del ponte s’incrinò sotto
l’irruenza improvvisa dei flutti, che si
erano fatti più torbidi e scuri, quasi neri; dopo appena un
istante lo schiocco
del legno che si rompeva echeggiò nell’aria,
seguito immediatamente da molti
altri.
Il
ponte tremò.
Sopespian
distolse lo sguardo da Shaylee, che stava opponendo una disperata
resistenza
per salvarsi la vita, e si guardò intorno per cercare di
capire la causa di quel
movimento inspiegabile: non trovò nulla, però,
scorgendo soltanto il colore
grigiastro e ribollente che il fiume, sotto di lui, aveva assunto.
Le
naiadi e i soldati si ritrassero di scatto, respinti
dall’acqua che andava
rapidamente ingrossandosi; Caspian e Peter ne approfittarono per
ordinare ai
narniani di imprigionare i guerrieri di Telmar, che gettarono le armi
senza
opporre resistenza: l’ira glaciale ed assassina che li aveva
sfiorati,
cacciandoli via dal letto del fiume, era bastata per far desistere
anche i più
animosi fra loro.
Liberati…
Sopespian
fece qualche passo verso la sponda più vicina alla Tana di
Aslan, ignaro di
Lucy che, correndo, aveva raggiunto Shaylee e l’aveva aiutata
a trascinarsi a
terra.
Guardava
il fiume, Sopespian, e – avrebbe potuto giurarlo –
fu certo di scorgere uno
sguardo freddo, metallico, ricambiare con ira la sua occhiata
angosciata.
Lingue
ghiacciate s’infransero sulla superficie del ponte, lambendo
gli stivali
pesanti del lord telmarino; quello balzò indietro, cercando
di ritrarsi verso
la terra, ma un’onda più grossa delle altre gli
tagliò la strada e spezzò di
netto i tronchi che componevano il sentiero per la salvezza che lui
avrebbe
voluto percorrere.
Sopespian
guardò i suoi soldati e li vide in ginocchio, disarmati e
inermi davanti alle
truppe narniane che, al contrario di ciò che lui avrebbe
ordinato se fosse
stato al posto dei comandanti di Narnia, si limitavano a sorvegliarli
senza
dare loro il colpo di grazia.
Nessuno
sarebbe giunto in suo aiuto,
comprese: i mostri delle
foreste non lo guardavano, i suoi uomini si erano arresi – e
l’enorme leone era
lì, sul greto del fiume, e lo fissava senza alcuna
pietà nello sguardo.
Un
boato terribile echeggiò intorno a lui, provocandogli la
pelle d’oca: era un
grido che nessun essere umano avrebbe potuto emettere, quello, un grido
che
sapeva di sofferenza, di rabbia… di morte.
Si
voltò quando lo scrosciare dell’acqua si fece
più intenso, e sgranò gli occhi
nel trovarsi davanti a qualcosa che non poteva esistere:
il fiume, che loro
avevano imbrigliato e sfidato costruendovi in mezzo un ponte, si stava
lentamente sollevando in un’alta colonna scura e torbida che
prese l’aspetto di
una creatura infernale, appena umanoide – e Sopespian vide,
di nuovo, quello
sguardo spaventoso volgersi verso di lui.
E
vi lesse la propria condanna a morte.
Uno
schianto orrendo fece traballare l’intera struttura sotto di
lui: il telmarino
cadde in ginocchio, scoprendosi incapace di rimanere in piedi quando
l’essere
sollevò lui ed il suo ponte fino a portarlo davanti al
proprio volto mostruoso.
…e
liberami.
L’ultima
cosa che Sopespian poté vedere fu quello sguardo indistinto,
ardente e privo di
qualsiasi pietà.
Con
un ruggito terribile le acque si chiusero su di lui, stritolandolo in
una morsa
implacabile e frantumando con lui quel ponte che aveva osato sfidare lo
spirito
fluviale e la sua Guardiana: le Figlie di Aslan videro il telmarino
dibattersi,
ed avvertirono, di riflesso, l’acqua che si espandeva nel suo
corpo e gli
riempiva i polmoni e gli organi, affogandolo…
Non
doveva rimanere niente di lui, niente: del mostro
che aveva ucciso
Mairead non doveva rimanere nemmeno la più piccola traccia e
così sarebbe stato
fatto, il suo corpo sarebbe stato ridotto in mille e mille pezzi per
vendicare
l’uccisione della Sovrana.
Lo
sgomento degli uomini di Telmar si riflesse sulla superficie burrascosa
del
fiume quando i soldati scorsero il loro comandante accartocciarsi su se
stesso
fra quei flutti rabbiosi; un boato assordante echeggiò
allora nel volto amorfo
dell’entità liquida che si volse verso di loro
mentre il cadavere di Sopespian
spariva tra le sue profondità.
Li
avrebbe distrutti tutti, tutti quanti: nessuno di quei
maledetti avrebbe visto una nuova alba.
Strane
propaggini tentacolari emersero da quella forma altera, scatenando il
panico
fra le fila dei telmarini in fuga verso la riva; un ennesimo ruggito
agghiacciante risuonò fra le correnti del Grande Fiume e,
ergendosi in tutta la
sua statura, la creatura fece per lanciarsi all’inseguimento.
È
abbastanza, Aysell.
Da
qualche parte, in quel marasma di acqua nera e insanguinata, la
coscienza della
Guardiana trasalì.
Un
che di caldo – così diverso dal gelo che
l’aveva invasa – la sfiorò, dandole la
sensazione un poco sgradevole di qualcosa che le rivolgeva una tenera
carezza
ma poi subito se ne andava; tentò di aggrapparsi a quel
tocco, a quello spirito
che il fiume misericordioso aveva preso con sé, ma la
sensazione di un sorriso
la sfiorò di nuovo, fermandola.
Buona
fortuna, bambina mia.
Davanti
agli sguardi atterriti dei narniani, che avevano seguito tutta la scena
in un
silenzio quasi religioso, la creatura crollò;
abbandonò in una sola, potente
marea la forma che aveva assunto, tornando ad essere semplicemente
acqua, di
nuovo limpida e tersa.
Nella
sua caduta travolse coloro che, come Talia, non avevano trovato in
tempo un
rifugio asciutto sugli alberi che la Custode aveva portato sin
lì; furono
ondate innocue, che si limitarono a far inciampare un po’
tutti e a
costringerli ad un bagno inaspettato.
Caspian
e Peter ordinarono alle truppe di mantenere serrati i ranghi, in modo
da
impedire qualsiasi atto di ribellione da parte dei telmarini sconfitti;
ma
dissero anche ai narniani di aiutare gli uomini rimasti feriti, e di
rivolgersi
a loro con il rispetto che un nemico sconfitto meritava.
Susan
ed Edmund, che avevano impartito le stesse direttive ai soldati
più lontani, li
raggiunsero; insieme, tutti e quattro, spinsero in acqua una piccola
barchetta
– probabilmente utilizzata dai costruttori del ponte e poi
abbandonata lì – e
Caspian e Peter si misero ai remi, dirigendo la minuscola imbarcazione
verso la
sponda dove li attendeva il signore di Narnia.
Aslan
sentì le zampe inumidirsi, ma questo non lo
infastidì; solo allora, dopo essere
rimasto immobile tanto a lungo davanti alla furia del fiume, si volse
verso
Lucy, che si era stretta forte a Shaylee e piangeva lacrime silenziose
fra le
braccia della sua amica naiade.
-I
tuoi fratelli stanno arrivando, mia diletta.- le sussurrò,
chinando l’enorme
testa verso le due fanciulle, entrambe accoccolate fra i ciottoli della
riva, e
sfiorando con la punta del naso la brutta ferita sulla coscia di
Shaylee; la
naiade sussultò, sorpresa, quando sentì la carne
richiudersi in un soffio,
senza lasciare nemmeno un’ombra rossastra sulla pelle chiara.
-Grazie.-
mormorò, chiudendo gli occhi ed accarezzando i capelli umidi
di Lucy; se solo
Aslan non l’avesse guardata in quel modo lei avrebbe potuto
piangere, ora che
solo la sua piccola amica sarebbe stata in grado di vederla…
ma trasalì,
sorpresa, quando una voce familiare risuonò
nell’aria limpida di quel
pomeriggio che aveva il sapore della vittoria.
-Non
lasciarmi cadere, diamine!-
La
ninfa, la ragazzina ed il leone si voltarono, sorpresi: conoscevano
quella
voce, ma non si sarebbero mai aspettati di trovarsi davanti ad una
scena del
genere.
Siria
penzolava nel vuoto, aggrappata con tutta la sua forza alla vita di una
paziente Mirime che, caritatevolmente, aveva sollevato la rossa per
salvarla
dal bagno improvviso che aveva travolto il resto delle truppe narniane.
-Siria,
mollami! Sei pesante!- protestò la pleiade, scoccando
all’amica uno sguardo
esasperato. Quella però scosse la testa, stringendosi con
più forza al corpo
snello della mora.
-Scusa,
stai dicendo che sono grassa!?- sbraitò la rossa, riuscendo
– forse
volontariamente, perché non c’era gioia nei suoi
occhi – a strappare un sorriso
esasperato, umido di lacrime, a Shaylee e a tutti coloro che la stavano
guardando. -Non mettermi giù, io li odio i bagni fuori
programma!-
..
..
.
.
.
.
.
My Space:
. Peter: ...e tu SERIAMENTE mi
hai cacciato fra capo e collo questa piccola indemoniata che affoga
eserciti se perde il controllo della propria rabbia!? MA STIAMO
SCHERZANDO!? SEI IMPAZZITA!? IO MI RITIRO!
IO MI LICENZIO! IO QUI CI LASCIO LE PENNE! ...come sei drammatico,
Peter. Ha solo cercato di cavarti gli occhi, ti è andata
anche bene! Peter: ...IO HO BISOGNO
DI UNO PSICANALISTA! .
...sì, Aysell è pericolosa. E sì,
Peter è riuscito ad inimicarsela subito! Povero idiota xD
In questo capitolo vediamo, finalmente, l'Acqua: l'Acqua come non
è mai stata, nel suo aspetto distruttivo e non solamente
positivo. L'Acqua, come tutti gli Elementi, è in grado di
portare sollievo e beatitudine ma anche di creare devasto e distruzione
attorno a sé: questo è ciò che succede
ad Aysell e che non succedeva a Shaylee, perché la prima
è la reale espressione dell'elemento e, perciò,
ne vive anche la furia.
Fra l'altro Aysell è molto interessante da questo punto di
vista: avendo vissuto così a lungo lontano dai propri
poteri, fra lei e l'Acqua si è creata una sorta di
"scissione", nel senso che fatica a rimanere presente a se stessa
quando la magia prende il sopravvento. Ci lavorerà,
dopotutto è giovane e ha tutto il tempo per rimettersi in
sesto! .
Vediamo, in questo capitolo, la morte di un personaggio secondario che,
però, io ho sempre amato molto.
Mairead se ne va perché sa che la sua era, che è
quella dell'abbruttimento di Narnia e del dominio di Telmar, sta
finendo; Mairead se ne va sacrificandosi per le sue figlie, per quelle
bambine che ha cresciuto per diventare donne forti e indipendenti.
Mairead se ne va in pace ma vi confesso che saperlo mi stringe il
cuore: adoravo il suo personaggio, e anche nella morte mi ha dato quel
senso di regalità e maestosità che poche altre
mie creature hanno assunto nel corso degli anni di scrittura. .
Parlando di cose più allegre: Siria è una
deficiente xD e sì, si è seriamente arrampicata
su Mirime per sfuggire alla marea! .
Il 28 di gennaio saranno sei anni che sto su questo sito. È
un traguardo che mi fa sentire un po' strana, ma contenta: in sei anni
sono cambiata tanto, sono cresciuta, ed EFP mi è sempre
stato accanto (nel bene e nel male) e mi ha sorretta in questi lunghi
anni travagliati. Devo molto a questo sito, più di quanto,
credo, la maggior parte delle persone "esterne" potrà mai
capire.
E niente, ci tenevo a dire due parole, non so nemmeno io
perché ^^' .. Il
prossimo aggiornamento arriverà il 26 di gennaio, vita
permettendo, e dopo staremo a vedere se il blocco dello scrittore ha
deciso o meno di sparire o di rimanere a rompere le balle ^^' ...
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
.
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
Siria si
lasciò sfuggire un sorriso quando Mirime la
apostrofò in quel modo mentre la scaricava – poco
carinamente, fra l’altro
– sulla riva del Grande Fiume da cui, pochi minuti prima,
erano apparsi Lucy e
il leone.
-Me lo dice
sempre anche Tallie, sai?- replicò, sarcastica,
guadagnandosi uno di quegli sguardi pieni di bonaria disapprovazione
che tante
risate le avevano strappato da bambina.
-E fa bene!-
mugugnò la pleiade, rassettandosi gli abiti e
ravviando le ampie maniche della tunica argentea sul dorso delle mani.
Entrambe,
istintivamente, scoccarono un’occhiata in
direzione del mastodontico felino che sedeva accanto alla piccola
Pevensie, in
paziente attesa degli altri regnanti che stavano attraversando il corso
d’acqua
per raggiungerli; Siria rabbrividì e Mirime si
rabbuiò, prima di spostare la
propria attenzione sulle tumultuose correnti che si stendevano dinanzi
a loro.
-Io devo
…- cominciò, ma subito una morsa gelida le
serrò
impalpabili artigli di ghiaccio sul petto, quasi impedendole di
respirare.
Siria, a
disagio, si strinse le braccia attorno alle spalle
per cercare di lenire quella sensazione che anche lei avvertiva,
lanciando
intanto all’amica uno sguardo disperato.
Aysell non era
riapparsa.
L’ira
della Guardiana e del fiume aveva travolto ogni cosa,
spazzando via le velleità guerresche da ambo le parti e
lasciando dietro di sé
un’atmosfera tanto quieta da apparire surreale: i telmarini,
miti e penitenti,
sfilavano davanti alle guardie di Cornell e abbandonavano le proprie
armi ai
piedi dei narniani prima di unirsi ai propri compatrioti sotto lo
sguardo
attento delle truppe di Narnia.
L’esplosione
di quella rabbia aveva decretato la fine della
battaglia, la vittoria dei Pevensie, di Caspian… ma quale
prezzo avevano dovuto
pagare?
In un riflesso
dettato più dall’abitudine che da un pensiero
vero e proprio, Mirime espanse la propria coscienza per cercare quella
di
Aysell, nel tentativo di smorzare l’angoscia che si era ersa
attorno all’anima
della bionda per impedire a chiunque di entrare; la piccola naiade,
però,
sembrava essersi completamente smarrita nel proprio dolore, e si era
lasciata
sprofondare in una misericordiosa apatia che, tuttavia, impediva alle
sorelle
di contattarla.
Lei e Siria si
scambiarono un’occhiata ansiosa e anche
Talia, da un angolo delle loro menti, condivideva la loro angoscia. La
reazione
della biondina le aveva spaventate a morte – sentire
quel baratro scavarsi
nel petto, viverlo come se stesse per inghiottire anche loro, era stato
terribile.
Mirime chiuse
gli occhi, richiamando alla memoria tutte
quelle tecniche di meditazione e di estraniamento che aveva affinato
nel corso
dei lunghi secoli passati in solitudine. Inspirò
profondamente, permettendo
all’aria di riempire ogni particella del suo corpo e
lasciando che il vuoto
spaventoso che aveva risucchiato Aysell– che le ghermiva l’anima in
quella stretta orribile – scivolasse
via dalle sue carni mentre, lentamente, espirava.
Inspira, espira.
Ripeté
l’esercizio un paio di volte, lasciando che Siria e
Talia – molto più inesperte di lei –
beneficiassero della calma di cui si stava
riappropriando. Solamente quando fu certa di poter impedire alle
emozioni delle
sue sorelle di condizionarla e riacquistato il serafico autocontrollo
che la
caratterizzava, l’antichissima ninfa si permise di schiudere
le palpebre,
rivolgendosi poi alla rossa.
-Vado a cercare
Aysell.- affermò pacata.
Siria
annuì senza obiettare, seguendola con gli occhi mentre
la pleiade si avvicinava, fluttuando, alla superficie
dell’acqua; e sorrise, un
sorriso mesto e triste, quando la vide svanire in uno sbuffo vaporoso
– e lei
comprese che era mutata in aria pura: era l’unico modo che
avesse per
avvicinarsi alla coscienza di Aysell, dispersa nella sofferenza che
aveva
riempito le correnti del fiume.
Mirime
l’avrebbe riportata indietro.
Sospirò,
tentando di mantenere i pensieri limpidi e di
continuare a respirare lentamente come aveva fatto la mora. La reazione
di
Aysell non l’aveva sorpresa: l’aveva terrorizzata,
questo sì, ma non sarebbe
stata sincera se avesse detto di non essersi aspettata qualcosa del
genere.
Quando aveva
visto cadere Mairead – inspira, espira –,
quando Sopespian aveva assassinato in quel modo tanto vile la Sovrana
delle
Naiadi, aveva saputo immediatamente che Aysell non sarebbe stata in
grado di
sopportare quella vista.
Mairead era
stata, per tutte loro, ciò che poteva
avvicinarsi di più ad un ideale materno: le aveva accolte
nella propria casa,
le aveva protette, aveva insegnato loro quei princìpi che le
avevano rese ciò
che erano diventate… ma, per Aysell, era stata anche di
più.
Quando i
genitori delle due sorelle naiadi erano stati
brutalmente uccisi durante l’assalto di Caspian il
Conquistatore, Aysell era
ancora molto piccola; Shaylee, anch’essa molto giovane, era
riuscita a portare
entrambe in salvo nel Regno delle Naiadi appena in tempo. La Sovrana le
aveva
immediatamente prese con sé, occupandosi personalmente di
quelle due bambine
sperdute che erano state costrette ad assistere all’orrendo
sterminio della
propria famiglia.
Quella donna
formidabile le aveva cresciute: dopo il
traumatico incidente dello scambio dei loro poteri aveva permesso a
Shaylee di
approfondire la conoscenza di quella magia – sapendo che
sarebbe tornata utile
anche ad Aysell, nel momento in cui si fosse riappropriata del proprio
elemento
– e di diventare una delle sue guardie personali; aveva
tenuto con sé Aysell,
che era cresciuta sotto le sue amorevoli cure e la sua guida saggia e
paziente,
fino a che la Sovrana non aveva dovuto ammettere che, con Mirime, la
sua
diletta sarebbe stata più al sicuro – fino a che
non si era resa conto di
quanto Aysell fosse infelice, lì, in mezzo a persone che
possedevano ciò che
lei aveva perduto.
Aysell non aveva
molti ricordi dei propri familiari,
rifletté Siria mentre guardava,
malinconica, il fiume: i genitori le erano stati strappati troppo
presto,
quando ancora la sua memoria non avrebbe potuto trattenere molto di
loro e
quando il trauma della perdita della magia aveva prevaricato quasi
tutto il
resto… l’unica madre che Aysell aveva
conosciuto era stata Mairead.
Una risata calda
e preponderante la strappò bruscamente ai
suoi cupi pensieri, facendola sobbalzare e voltare immediatamente verso
il
piccolo capannello di persone che si era assiepato dinanzi al Grande
Leone di
Narnia.
Un miscuglio
d’ira e di sgomento la invase quando si accorse
che a produrre quel suono cangiante e affettuoso era stato proprio quel
felino
ipocrita: come poteva ridere in un momento del genere?
Mairead era
morta, santo cielo!, Aysell si era rinchiusa nel
proprio muto dolore, il numero dei cadaveri rimasti sul campo di
battaglia
doveva essere immenso, avevano rischiato di lasciarci la pelle tutti
quanti… che
motivo aveva, lui, di ridere?
Serrò
le dita sull’impugnatura metallica dello scettro,
costringendosi
ad impedire a quelle emozioni indignate di imperversare liberamente in
sé – inspira,
espira –, nonostante continuasse a sentirsi
profondamente oltraggiata da
quell’atteggiamento superficiale.
Decise di
concentrarsi su ciò che stava succedendo nel
complesso, piuttosto che sui dettagli: Lucy era ancora accanto al leone
e
sorrideva in direzione dei fratelli e di Caspian, umilmente
inginocchiati
dinanzi al maestoso signore di tutta Narnia; Aslan disse qualcosa e i
tre
Pevensie si alzarono – Siria vide l’imbarazzo ed il
sollievo rincorrersi sui
loro volti familiari… ma Caspian rimase dov’era,
con la testa china verso il
basso e la mano destra serrata sull’elsa della spada.
Attratta da
quella figura snella, dal lucore argenteo della
sua armatura e dalla curva morbida dei suoi capelli scuri, Siria mosse
qualche
passo lungo il profilo del corso d’acqua, avvicinandosi senza
però mostrarsi
apertamente ai Pevensie o al principe; Aslan la scorse ma non disse
nulla,
limitandosi a rivolgerle un rapido sguardo prima di riportare la
propria
attenzione su Caspian.
-Tutti.-
decretò, abbracciando con una sola occhiata
ciascuno dei Re e delle Regine di Narnia – e Siria comprese
che, con quelle
parole, Aslan stava chiamando a sé coloro che aveva scelto
per regnare su quel
mondo che lui stesso aveva creato.
Sorrise, la
giovane donna, vedendo Caspian sollevare il
volto senza, però, alzarsi in piedi nonostante il richiamo
del leone; commossa
si strinse le mani al petto, sentendosi intimamente fiera di lui e
dell’umiltà
che gli era sempre mancata ma che ora, finalmente, dimostrava di aver
imparato.
-Non credo di
essere degno di questo titolo.- mormorò
infatti il ragazzo, sostenendo lo sguardo profondo di Aslan senza
timore.
Il leone,
però, sorrise.
-Proprio per
questo, invece… lo sei.- lo contraddisse, con
quella voce pacata e serena che Siria trovava quasi innaturale, date le
circostanze.
Caspian
sussultò ma non si oppose, arrendendosi
all’atavica
e profonda sensazione di sicurezza che le parole di Aslan
trasmettevano, alzandosi
lentamente in piedi e scambiando un’occhiata imbarazzata
– sollevata –
con Edmund.
Il leone
annuì, soddisfatto.
-Ti sei
comportato come il migliore dei Re, quest’oggi.
Sarai in grado di farlo per il resto della vita, principe Caspian?- gli
domandò, improvvisamente solenne come non era stato fino a
quel momento – e, in
qualche modo, la sua voce echeggiò in un modo completamente
diverso fra i
narniani, che si volsero verso il loro signore ed il principe che li
aveva
guidati alla vittoria.
Siria si
guardò intorno, sorpresa: l’ascendente che Aslan
aveva sulle creature viventi aveva attratto su di lui
l’attenzione di tutti i
guerrieri presenti, telmarini o narniani che fossero, interrompendo
qualunque
cosa stessero facendo per assistere a ciò che lui desiderava
che vedessero.
Telmar e Narnia
furono una cosa sola, in quell’istante,
davanti al giovane uomo che sarebbe diventato il loro Re.
Riportò
i propri occhi su Caspian, Siria, in tempo per
vedere il principe, resosi conto di essere osservato
dall’interezza di quello
che sarebbe divenuto il suo nuovo popolo, raddrizzare le spalle ed
ergersi in
tutta la sua altezza, sostenendo senza insicurezza gli occhi profondi
del
Grande Leone.
-Fino a che
avrò fiato in corpo, mio signore.- affermò,
determinato e deciso come Siria non lo aveva mai visto, stringendo la
mano
destra sull’elsa della spada e lanciando uno sguardo intenso
in direzione di
coloro che stavano ascoltando le loro parole. -Narnia e Telmar sono la
mia casa
e la mia famiglia. Li guiderò al meglio delle mie
capacità e li proteggerò a
qualunque costo.-
La raminga, a
quelle parole, sentì il cuore riempirsi di
commozione.
Come di riflesso
alla sua reazione gioiosa, la rossa quasi
poté sentire il numeroso pubblico trattenere il fiato, in
attesa della risposta
del leone. Aslan, cogliendo quella tensione, si concesse un altro
piccolo
sorriso ed annuì.
-Ricorda questo
tuo giuramento, Caspian, quando i tempi si
faranno nuovamente bui.- mormorò, rivolto a Caspian.
Peter e Susan si
spostarono in fretta quando il leone avanzò
per sporgersi sul troncone del ponte, rivolgendosi così alla
moltitudine
eterogenea di umani, animali e creature fatate che avevano osservato
quel breve
dialogo con il principe e che – Siria se ne accorse subito
– parevano in
trepidante attesa delle parole dell’antichissimo protettore
di Narnia.
-Quest’oggi,
davanti alla Grande Magia e agli antichi
Regnanti, Narnia accoglie il Re che la guiderà verso una
nuova pace ed un nuovo
splendore!- declamò, lanciando un ruggito entusiasta verso
il cielo – ma anche
la sua voce tonante scomparve nel giubilo entusiasta del popolo.
La strega si
voltò di scatto, stupefatta, quando l’ovazione
esplose fra le fila dei narniani e degli umani che,
come un sol uomo,
avevano scagliato i pugni al cielo e lanciato le loro grida di gioia in
direzione di Caspian.
Non erano
soltanto le creature di Narnia ad accogliere
festosamente Caspian come nuovo Re: anche i telmarini, disarmati e
inermi,
stavano esultando con pari gaudio per il principe che avevano
combattuto sotto
la guida di Miraz. Allibita, incapace di credere a ciò che
stava vedendo e
udendo, Siria li osservò mentre acclamavano a gran voce il
giovane principe – Re
–, sorridendo come non li aveva mai visti fare e
abbracciandosi l’un l’altro.
Telmar aveva
sofferto, sotto il giogo di Miraz.
Quella
riflessione repentina la colpì profondamente.
Nel corso della
sua vita si era costretta a vedere i
telmarini come il nemico, li aveva odiati con tutto il cuore per quello
che
avevano fatto ai suoi genitori, li aveva combattuti e uccisi per
portare i
narniani alla vittoria… ma, comprese, molti di loro avevano
agito sotto gli
ordini di un usurpatore crudele e del suo degno successore, e non
potevano
essere totalmente biasimati per aver obbedito agli ordini di un
dittatore che,
se si fossero dimostrati poco solerti, li avrebbe certamente fatti
uccidere.
Come cambiavano
le prospettive… se,
solo qualche settimana prima, le
avessero detto che avrebbe assistito ad una gioia genuina come
ciò che stava
avvertendo scorrere nei soldati telmarini, non avrebbe mai potuto
crederci.
Turbata da
quella consapevolezza, ma felice di vedere un
popolo festeggiare l’avvento di un Re che avrebbe portato
finalmente pace e
cambiamento nella sua esistenza, la ragazza riportò la
propria attenzione su
Caspian, che stava parlando con Peter e sorrideva come lei non lo aveva
mai
visto fare prima d’allora.
Caspian sarebbe
diventato un grande Re.
Qualcosa le si
spezzò dentro, a quel pensiero, ma s’impose
di non lasciarsi abbattere dalla consapevolezza crudele che le
riempì l’animo
di un gelo che nulla aveva a che fare con la maledizione della Strega
Bianca.
Scosse la testa,
sciogliendo con rapidi gesti i capelli e
lasciando che l’avvolgessero nel familiare tepore del loro
abbraccio scarlatto;
dopo qualche istante avvertì un sibilo lieve, qualche passo
misurato e quattro
presenze che si accostavano a lei, rimanendo educatamente a pochi metri
dalla
sua persona.
-E adesso?-
Caleb.
Sorrise, Siria,
voltandosi verso quei compagni che le erano
sempre stati accanto con una dolcezza immensa in quegli occhi blu
finalmente
sereni e limpidi.
Nonostante
tutto… loro erano ancora lì, tutti e quattro.
Erano ancora al suo fianco, com’era sempre stato –
ma come, probabilmente, non
avrebbe più potuto essere.
Erano giunti
all’inizio di un nuovo sentiero, proprio come
Caspian.
Aaron ardeva
dell’amore che Susan gli aveva insegnato,
quell’amore in cui lui per primo – proprio come sua
sorella – aveva sempre,
testardamente affermato di non credere; Tara aveva Edmund, che le
sarebbe
rimasto accanto a qualunque costo, e suo fratello, che stringeva fra le
dita la
mano delicata di Talia.
Tallie.
Siria
sentì il cuore stringersi al pensiero di quanto dolore
avrebbe causato la sua decisione proprio a lei, alla sua compagna di
vita, che
già tanto aveva sofferto a causa sua; il modo in cui la
mezz’elfa la stava
guardando in quel momento le faceva intuire che lei già
sapesse…
-Adesso si va
avanti.- sospirò, lanciando una breve occhiata
all’altera figura di Aslan; una fitta
d’inquietudine, nel guardarlo, le
attraversò il petto. -Adesso è ora che io me ne
vada.- aggiunse, piano,
avvertendo le iridi velarsi di tristezza.
Non
c’era posto per lei – per una strega
– a Narnia…
gli occhi le si colmarono di lacrime quando si rese conto di cosa
comportava la
scelta che aveva appena preso: sarebbe partita, in silenzio, senza
disturbare,
senza attirare l’attenzione su di sé…
Non era
più una minaccia per Narnia, forse non lo era
davvero mai stata… ma il suo posto, il luogo adatto a lei,
non era quello – non
era accanto ad un Re, non era sul trono che, una volta, era appartenuto
a
Jadis.
Non era con
Caspian.
Si volse,
scoprendosi incapace di guardare i volti dei suoi
compagni inorridire in risposta alle sue parole, sentendo la
frustrazione e la rassegnazione
pungerle fastidiosamente le palbebre socchiuse.
Sarebbe andata a
nord, magari; il fuoco che le ardeva nel
petto si sarebbe progressivamente spento a contatto con i ghiacci
eterni che
regnavano appena dopo Ettins…
-Non
così in fretta.-
Un brivido, un
sussulto, una paura ancestrale nel sangue.
Siria
s’irrigidì di botto, allarmata, quando il suono
della
familiare voce profonda e rimbombante la inchiodò
lì dov’era.
Alzò
lo sguardo, lentamente, avvertendo il sangue vibrare di
terrore ad ogni respiro… e gli occhi di Aslan, quei
penetranti occhi bruni,
accolsero la sua incertezza in una determinazione tale da farla fremere.
Improvvisamente,
gli sguardi dei Re e delle Regine si
spostarono su di lei: Lucy, Edmund, Susan, Peter…
Caspian… e tutti gli altri, i
suoi compagni d’armi e i soldati telmarini, i narniani e le
creature portate da
Aslan: tutti, indistintamente, arretrarono di qualche passo, lasciando
la
strega sola a confrontarsi con il leone.
Fu uno sforzo
immenso, per Siria, mantenere la calma.
Lo sguardo di
Aslan era perforante e annientava ogni suo
tentativo di muoversi, inibendo la forza nelle sue gambe –
quella forza che le
sarebbe servita per fuggire via da quel luogo e dalla paura che
l’esistenza
stessa del leone accendeva in lei –; le impediva di fare
qualsiasi cosa, tranne
ricambiare quello sguardo tagliente e antico di migliaia di anni con la
triste
serenità di chi già sa cosa l’aspetta.
-Hai combattuto
valorosamente, Strega Rossa.-
Se Siria fosse
rimasta sorpresa da quell’epiteto, da quel
nome, non lo diede minimamente a vedere: intravide Peter e Caspian
trasalire
nel sentirla nominare con quel titolo dal suono pomposo che, lei lo
sapeva, le
apparteneva da quando era venuta al mondo.
-Ho fatto
ciò che ritenevo giusto.- fu la risposta calma,
laconica e misurata che diede all’imponente felino; lo
scettro della Strega
Bianca brillava placidamente nella vivida luce del Sole, stretto
saldamente nel
suo pugno sinistro.
-E ritieni
giusto, adesso, andartene?-
Siria non lo
vide, ma fu sicura di sentire il respiro di
Caspian mozzarglisi nel petto. Annuì, ostentando una
tranquillità che non
possedeva, chiudendo un istante gli occhi per mascherare il dolore.
-Narnia non
è posto per una… strega.- affermò
– ma la sua
voce, quando pronunciò quel termine tanto odiato, si
spezzò.
Aveva combattuto
per Narnia. Aveva lottato e aveva sofferto
pur di far sì che la giustizia trionfasse sulla tirannia di
Telmar, pur di
restituire ai narniani la loro terra – la sua
terra… e la sua vita, che
respirava in quel ragazzo dai capelli scuri che la stava guardando con
un misto
di dolore e incredulità che sbocciava negli occhi.
Perdonami,
Caspian.
-No, Narnia non
è nata per una strega come te.- concordò
Aslan, stranamente atono: quelle parole furono una pugnalata, per lei,
una
condanna terribile a cui non si sarebbe mai potuta preparare abbastanza.
Sospirò,
chinando il capo davanti a quella verita che non
poteva assolutamente negare: Aslan aveva ragione, lei era una strega e
discendeva dalla più terribile di tutte loro. Jadis non era
nemmeno nata
a Narnia, come poteva anche solo sperare, Siria, di poter avere un
posto in
quel mondo che non era suo?
-Ma tu non
appartieni solamente alla stirpe di Charn.-
Trasalì,
la strega, quando Aslan nominò il regno perduto che
era appartenuto alla Strega Bianca.
Jadis era giunta
a Narnia dopo essere stata liberata dalla
propria prigionia da un giovane ingenuo che, in seguito,
l’aveva sconfitta e
aveva donato a Narnia una protezione che era perdurata per moltissimo
tempo. La
strega, però, non era originaria di quel mondo: Jadis era
stata una principessa
di Charn, un regno che ella stessa aveva condannato e da cui era
fuggita prima
di subirne la medesima, inesorabile sorte.
Lei aveva
imparato quella storia da piccola, quando Mairead
gliel’aveva raccontata: ma a che cosa si riferiva, Aslan,
dicendo che lei non
discendeva solamente dalla stirpe reale di Charn?
Il leone,
scorgendo la sua confusione, le rivolse un sorriso
sorprendentemente dolce e comprensivo.
-Nel tuo sangue
c’è più Narnia di quanto tu possa
capire,
Siria… e sei mia figlia, la figlia che ho perduto migliaia
di anni fa.- le sue
parole si colorarono di un affetto del tutto nuovo, per lei; e, per la
prima
volta, si sentì quasi a proprio agio dinanzi a lui
– quasi come se il suo
retaggio di strega, che provava repulsione nei confronti di Aslan e le
urlava
incessantemente di fuggire, si chetasse davanti alla consapevolezza di
essere
qualcosa che quel suo padre ancestrale aveva amato ed amava tuttora.
Siria gli
rivolse uno sguardo timido e impacciato,
sentendosi arrossire davanti al calore che poteva scorgere nelle iridi
brune di
Aslan. Non riusciva a credere che fosse così
facile… lei era una strega, una
strega proprio com’era stata Jadis: che altro c’era
da dire?
-Tu appartieni a
Narnia, Strega Rossa, e così al suo Re.-
Nel volto di
Talia si schiuse un sorriso, a quelle parole,
ma gli occhi della raminga s’adombrarono; sorrise ancora,
Aslan, quando Siria
chinò il capo.
-Accanto al Re
di Narnia non può stare una strega…-
mugolò
lei, pronunciando quella condanna con più sofferenza di
quanta la sua anima
fosse disposta ad accettare: tutto in lei si stava ribellando a quelle
parole,
ma Siria non avrebbe mai permesso che una strega
– una strega della
stirpe di Jadis, checché ne dicesse quel grosso gatto
– tornasse a mettere
piede sul trono di Narnia.
Perché
Aslan non voleva capire? Il suo era soltanto il
disperato desiderio di tenere la sua gente al sicuro… come
poteva, lui,
obiettare davanti a quella semplice verità? Una strega non
poteva avvicinarsi a
quel ruolo di potere, non a Narnia né in nessun altro luogo,
sarebbe stata una
scelta incosciente e pericolosa – il potere, alle
streghe, dava alla testa.
-Vero.- fu Peter
a fermare Caspian e a zittirlo prima che
intervenisse, ma Siria poté comunque vedere che i suoi occhi
neri erano sempre
più disperati e pieni d’angoscia. -Ma è
anche vero…- continuò Aslan,
imperterrito, apparentemente ignaro del dolore silenzioso del giovane
Re al suo
fianco. -…che hai combattuto come una strega non ha mai
fatto.-
Siria
alzò repentinamente gli occhi, stupita da
quell’affermazione che non si sarebbe aspettata –
trovando, in risposta al suo
sguardo, un enigmatico sorriso sul volto fiero del leone.
-Hai giurato di
servire Narnia ed i suoi Re. Ora io ti
chiedo di pronunciare ancora quelle parole, giurando col sangue.
Giurando a me.-
Tutti
trasalirono a quella richiesta, confusi, ma a Siria
servì soltanto un istante per comprendere.
Un giuramento
col sangue era tutto ciò che esisteva di sacro
a Narnia: nessuno poteva spezzare quella promessa se non con la morte o
adempiendovi alla lettera, perché era un legame che trovava
la propria
sacralità nelle radici della Grande Magia a cui persino
Aslan era costretto a
sottostare. Lei ne aveva già stretto uno anni prima, il
sigillo di Iona, che
aveva consumato sacrificandosi nel proprio potere. Conosceva gli
effetti di
quella magia e sapeva che sarebbe stato un voto che l’avrebbe
indissolubilmente
legata ad Aslan, ai Pevensie, alla neonata casa reale –
a Caspian.
Aslan le stava
chiedendo di giurargli fedeltà, di onorare
col sangue una promessa che l’avrebbe resa sua vassalla e
suddita legittima; le
stava chiedendo di andare contro lo stesso istinto di ogni strega e di
bandire
l’ombra di Jadis da sé, immolandosi ad una nuova
causa e ad una nuova vita.
Aslan le stava
offrendo una strada.
Le stava dando
la possibilità di scegliere e di decidere
cosa fare della sua vita, come mai aveva potuto fare da quando la
Strega Bianca
gli aveva strappato la possibilità di esserle padre.
Qualcosa le diceva che, se
avesse scelto la via della fuga e della solitudine eterna fra i ghiacci
del
Nord, l’avrebbe lasciata andare; e la stessa vocina le
suggeriva che restare
sarebbe stato difficile, che sarebbe stato arduo accettarsi e imparare
a
conoscere quella parte di lei che per tanto tempo aveva rinnegato.
Se fosse
rimasta…
I soldati
avevano esultato quando era comparsa fra loro,
durante la battaglia. L’avevano seguita, avevano combattuto
al suo fianco,
avevano ubbidito ai suoi ordini e le avevano permesso di guidarli e di
spronarli… e avevano sempre saputo chi era,
cos’era.
Le sue sorelle
non l’avrebbero lasciata andare facilmente,
non dopo averla creduta morta, non dopo tutto quello che era successo:
ebbe una
fugace visione della reazione che avrebbe potuto avere Aysell e non
riuscì ad
evitare di sorridere appena, divertita.
In quel momento,
davanti ad un crocevia che avrebbe cambiato
per sempre la sua esistenza, Siria si volse verso Talia.
La
mezz’elfa era a poche iarde da lei, impugnava il suo
bell’arco archeniano e sembrava che non avesse aspettato
altro che di essere
interpellata dall’amica; sorrise, Talia, e Siria
sentì il cuore riempirsi di un
calore meravigliosamente familiare che le trasmise una pace che mai era
riuscita ad assaporare davvero.
Qualunque
decisione lei avesse preso, Talia non l’avrebbe
abbandonata; ma la sua amica sapeva bene che Siria aveva già
scelto.
La rossa
estrasse la spada con la mano sinistra, mentre con
la destra piantò nel terreno al proprio fianco lo scettro di
Jadis. L’elsa di
Kain brillò di gloriosi riflessi corvini nella luce calda
del Sole quando Siria
posò delicatamente la sua lama d’acciaio bianco
sul palmo; un profondo,
bruciante solco scarlatto si disegnò immediatamente sulla
sua pelle eburnea – e
là, dinanzi ad Aslan, lei chinò il capo e
s’inginocchiò.
Davanti al
signore di Narnia e di mille altri mondi lei
s’inchinò e rimise la propria vita a lui, come un
anno prima aveva promesso al
cospetto dei Re di quel regno a cui lei sentiva di appartenere,
abbassando la
testa – e, con essa, il proprio orgoglio
– in un muto segno di resa.
-Lo giuro.-
affermò, alzando poi lo sguardo per cercare
quello di Aslan: il suo padre ancestrale era là, maestoso
come la divinità che
era, e la guardava con un cipiglio tale che avrebbe spaventato
qualunque essere
vivente.
Eppure, per la
prima volta, lei non ebbe paura.
-Con il mio
sangue e con la mia magia io giuro di porre
entrambi al servizio di Narnia e del Re che è e del Re che
verrà. Come strega,
come guerriera e come donna io oggi mi inchino a te, mio signore, ed
offro a te
e ai tuoi diletti il mio onore e la mia anima senza alcuna riserva.-
Il giuramento le
salì in gola con spontaneità, come se –
in
qualche vita passata – qualcuno le avesse insegnato quelle
parole ed il loro
significato; ed ora, finalmente, tutto acquisiva quel senso che lei non
aveva
mai potuto comprendere prima.
Sorrise appena,
sentendo l’energia del Fuoco vibrare nei
battiti rapidi che le scuotevano il cuore: stava succedendo qualcosa,
dentro di
lei, e tutta la sua magia sembrava volersi innalzare per godere di quel
mutamento che le aveva acceso un tumulto inestinguibile nel petto.
-Come figlia,
invece, padre mio, ti offro in dono la
sincerità del mio cuore, che però appartiene solo
e soltanto al tuo Re.-
sussurrò, ma Aslan annuì e si aprì in
un’espressione di pura gioia che riuscì
ad intenerirle l’animo.
E poi
ruggì, cogliendola di sorpresa, volgendo l’enorme
testa verso il cielo.
Siria
avvertì improvvisamente un bruciore sul palmo della
mano destra, là dove il taglio che si era inferta pizzicava
un po’; abbassò gli
occhi sulle proprie dita, macchiate di sangue, appena in tempo per
vedere
un’ombra dorata snodarsi sulla propria pelle.
Sobbalzò,
allarmata, ma non si mosse quando – seguendone
l’evoluzione – vide quella polla del colore
dell’oro brunito prendere forma sul
suo braccio.
Un nuovo
tatuaggio, completamente diverso dalla fenice che
le danzava sulla schiena e dal Sigillo di Iona che aveva portato,
marchiava ora
indelebilmente la sua pelle, dal palmo fino al gomito. Una fiamma
nasceva
nell’incavo dell’avambraccio, serpeggiando e
circondando la sua pelle fino alla
mano dove, stilizzato eppure maestoso, un leone spalancava le sue fauci
in un
silente ma tonante ruggito.
Sorrise, Siria,
riconoscendo in quel raro simbolo il sigillo
di Aslan.
-Alzati, Siria,
Strega Rossa e Paladina del Fuoco, quarta
delle Figlie di Aslan e nuovo Generale dell’esercito di Re
Caspian.-
Siria
obbedì, rinfoderando Kain e rialzandosi in piedi nel
silenzio più totale, tornando con lo sguardo al signore di
Narnia.
E non provava
più paura, adesso.
-Finché
onorerai il tuo giuramento, il marchio sul tuo
braccio mostrerà al mondo la tua lealtà.- le
spiegò il leone, la voce gentile,
quasi carezzevole. -Ed il tuo posto, figlia mia, non può
essere che accanto al
tuo Re.- aggiunse dopo un istante, e Siria avrebbe potuto giurare di
averlo
visto rivolgerle un occhiolino; non ebbe però il tempo di
sincerarsi di quel
dettaglio, poiché la sua attenzione venne immediatamente
catalizzata dalla
figura del giovane uomo che stava correndo verso di lei.
Davanti ad
Aslan, ai Pevensie e agli eserciti di Telmar e di
Narnia – davanti all’interezza del popolo
che era appena divenuto suo –
Caspian la raggiunse di slancio e la sollevò in un abbraccio
entusiasta,
facendola volteggiare in aria mentre il ruggito trionfante dei narniani
echeggiava
in tutta la valle del fiume. Siria rise, sopraffatta dal sollievo e
dalla
gioia, accorgendosi solamente in quell’istante di avere gli
occhi pieni di
lacrime; si abbandonò dolcemente fra quelle mani tanto amate
che la posarono
delicatamente a terra, stringendolo forte al petto e riempiendosi il
cuore
dell’odore familiare della sua pelle.
Pace, amore,
serenità – in
quell’attimo lei seppe che non avrebbe mai più
dovuto
errare alla ricerca di ciò che le era sempre mancato, che
avrebbe potuto
lasciar andare la sua nomea di raminga e permettere ai sogni e alle
speranze di
tornare a colmarle l’animo di quel bruciante, estatico
desiderio di vivere.
Per la prima
volta in tutta la sua vita Siria si arrese a
quel pianto liberatorio e felice che le aveva reso ostici i respiri
sino a quel
momento, celando il visetto nel familiare angolino della clavicola di
lui da
cui nulla e nessuno avrebbe più potuto portarla via.
Caspian,
emozionato quanto lei, le accarezzò una guancia e
la baciò teneramente sulla fronte, attirando lo sguardo di
lei nel proprio.
-Non osare mai
più allontanarti da me. Non pensarlo
neanche.- le intimò, col respiro affannoso che si mischiava
a quello della
ragazza e le iridi piene di sollievo e di sentimento.
Lei rise ancora,
persa nel calore di quegli occhi scuri e
meravigliosi, annuendo vigorosamente a quell’ordine.
-D’accordo.-
Il fiume era di
nuovo tiepido e calmo, ma lei – di cui non
rimaneva che una corrente gelida – si ostinava a non
lasciarsi avvolgere dal
calore rassicurante dei flutti.
Aveva freddo,
Aysell, ma non era l’acqua che la circondava a
far rabbrividire quel poco di coscienza di sé che non si era
lasciata annegare
nella furia: quel ghiaccio lei ce l’aveva
nell’anima da secoli, ma vi si era
talmente abituata da averlo quasi dimenticato.
Quasi.
Era una parte
con cui aveva imparato a convivere da molto
tempo, ormai; ultimamente credeva di essere riuscita ad assumerne
definitivamente il controllo, di poterla governare e reprimere nei
momenti in
cui non era in grado di trattenerla del tutto… adesso
però quel cancro
d’angoscia e solitudine si era risvegliato, nutrito dal
dolore che le era
scoppiato dentro quando aveva visto cadere Mairead.
Quelle spire
senza vita le si erano avviluppate allo spirito
lentamente, come un mostro che cresce in un irrequieto dormiveglia: ad
ogni
sguardo di coloro che la guardavano, compatendola – povera
piccola Guardiana
spogliata del proprio potere –, ad ogni alba
vissuta in quell’eremo
sperduto in cui lei e Mirime avevano dovuto rifugiarsi, qualcosa che
avrebbe
dovuto essere rigoglioso e rifulgente appassiva un po’ di
più, un petalo alla
volta.
C’era
ancora qualcosa di vivo, dentro di lei?
Probabilmente la
risposta a quella domanda era un sì
un poco amaro, agrodolce: sì, indubbiamente c’era
un qualcosa che si ostinava
testardamente a sopravvivere – quel qualcosa che
poteva ancora soffrire.
Prima Siria, che
avevano quasi perduto, poi… Mairead… come
poteva, quel misero rimasuglio, sopportare così tanto dolore
in così poco
tempo?
Avvertì
la coscienza familiare di Mirime accostarsi alla
propria ma la scacciò, trincerandosi in quel gelo che altro
non era se non ciò
che aveva portato con sé sin da bambina.
Come poteva
trovare la forza di lasciarsi riportare alla
vita?
No, lei sarebbe
rimasta lì, sperduta in quell’Elemento che
così a lungo le era stato precluso: quello era il suo posto,
e non desiderava
altro se non lasciarsi scivolare via.
Eppure qualcosa
la tratteneva, la inchiodava lì, la
imbrigliava ad un pelo dalla superficie tumultuosa del fiume
– Aslan.
Aveva incontrato
il Grande Leone solamente un paio di volte
in tutta la propria vita, e mai troppo a lungo; forse a causa
dell’assenza del
proprio potere, forse perché era stata molto piccola in
quelle occasioni, non
aveva mai compreso che cosa potesse esserci di tanto intenso nel
rapporto di
una Figlia con quel genitore che le aveva condannate tutte a molteplici
destini
uno più crudele dell’altro.
Ora,
però, capiva.
Aslan era un
faro, splendente di calore e di luce, che lei
poteva percepire anche senza vederlo. Era una presenza che pulsava di
vita e di
energia – le stesse che lei rifiutava di cercare in
sé, le stesse che lei
aveva annegato nella furia e nel dolore – che
sembrava guardarle dentro in
un modo che non sarebbe mai stata in grado di definire.
-Shaylee.-
La voce profonda
e terribilmente rassicurante di Aslan
perforò il silenzio ovattato e misericordioso in cui Aysell
si era rinchiusa,
vibrando in ogni particella di quell’acqua gelida che
componeva il suo corpo di
Guardiana.
Shaylee doveva
essere poco lontana, ma lei non riusciva a
sentirla: forse Aslan era una presenza troppo grande perché
chiunque altro
potesse essere scorto dai suoi sensi nelle immediate vicinanze, o forse
era
proprio lei, Aysell, a non voler prestare ascolto a quel senso che le
avrebbe
permesso di distinguere le altre naiadi – quelle naiadi che
non l’avevano mai
accettata e che le avevano rivolto solo sguardi di sdegno e di
compatimento,
disgustate da quella bambina menomata che era stata così
sciocca da rinunciare
alla propria magia.
Si sorprese,
tuttavia, di poter udire la voce compita e
ossequiosa di Shaylee rispondere garbatamente al Signore di Narnia.
-Mio
signore.-
Aysell quasi
poté vederla inchinarsi con deferenza al
cospetto del felino e, fra sé, si sentì
bizzarramente fiera dell’eleganza che
stava sicuramente dimostrando davanti ad Aslan. Shay era sempre stata
così
posata ed educata, a palazzo era diventata la beniamina delle
insegnanti di
galateo e delle dame di compagnia della Sovrana…
-Sono
addolorato per questa perdita. Mairead mi era molto
cara.-
Le parole di
Aslan le trafissero bruscamente il cuore,
spezzando il filo dei suoi pensieri.
Sì,
Mairead era stata cara a tutti – era stata cara a lei.
Aveva sempre
creduto che Mairead sarebbe stata eterna, che
non se ne sarebbe mai andata. Era Sovrana già da molto tempo
quando lei e Shay
erano giunte al Regno delle Naiadi, persino i Pevensie erano diventati
regnanti
dopo diversi anni dalla sua ascesa… era quasi una bestemmia
affermare che
quella donna meravigliosa non esisteva più.
Da qualche parte
in quel fiume Aysell gemette, percependo
qualcosa di enormemente doloroso stringersi in lei a quel pensiero.
Mairead era
stata… tutto.
Per lei
– per quella bambina cieca, spaventata e sperduta
– Mairead era stata l’intero universo.
L’aveva
amata come una figlia, l’aveva difesa dalle angherie
di coloro che l’avevano derisa per l’assenza dei
suoi poteri, l’aveva cresciuta
e aveva accettato di separarsi da lei solamente quando, per Aysell, la
sicurezza nel Regno delle Naiadi era venuta a mancare; era stata la sua
forza
nei momenti di sconforto, la sua guida durante i lunghi secoli che
aveva
passato come reietta fra la sua stessa gente, la sua protettrice
più grande… la
sua unica madre.
Una madre che
non sarebbe tornata mai più.
Non poteva
essersene andata davvero. Mairead c’era sempre
stata…
Zanne ghiacciate
le sferzarono lo spirito quando dovette
ricordare a se stessa che cosa aveva visto – che Mairead non
sarebbe più
tornata, che non le avrebbe mai più rivolto una carezza o
una parola di
conforto.
Mairead non
c’era più.
Non poteva
sopravvivere a quella consapevolezza: il dolore
era troppo e lei era così stanca… che male ci
sarebbe stato nello smarrirsi in
quel baratro di sofferenza?
Non era
abbastanza forte per andare avanti, quell’atroce
agonia l’avrebbe dilaniata un po’ giorno dopo
giorno. Come poteva, lei che era
solamente una ragazzina, vivere accompagnata dalla consapevolezza che
Mairead
non le avrebbe mai più sorriso, che non le avrebbe mai
più parlato, che non
l’avrebbe mai più abbracciata?
-Tutto
il mio popolo piange la perdita della nostra
Sovrana.- sentì aggiungere Shaylee, e
riuscì a cogliere una profonda
tristezza ed altrettanto dolore nella sua voce. -È
stata… è stata la
migliore delle madri per ognuno di noi.-
Le parole di
Shaylee sembrarono dar voce ai pensieri di
quella sua sorellina che pareva non volersi destare; quel pensiero
riuscì a
toccarla come nemmeno Mirime avrebbe potuto fare, rammentandole che
anche Shay
e le sue sorelle stavano piangendo la scomparsa di quella donna
formidabile che
le aveva cresciute tutte quante – ricordandole che
non era giusto isolarsi,
non quando qualcuno che amava stava soffrendo.
-Ti ha
insegnato bene.- sentì mormorare Aslan, ma
comprese dal suo tono di voce che la sua attenzione si era spostata da
Shaylee
agli occhi opachi che la piccola aveva sporto sul pelo
dell’acqua.
Il fiume, forte
come lei sapeva di non riuscire ad essere,
la accompagnò con una morbida ondata fin sulla riva,
infrangendosi sui ciottoli
levigati in migliaia di bollicine candide.
Aslan la
guardò con quell’intensità a malapena
tollerabile
nel momento in cui le correnti si ritirarono dal greto, lasciandosi
dietro la
figuretta di Aysell, modellata nell’acqua che portava dentro
di sé – tuttavia,
diversamente da qualsiasi altra naiade, la limpidezza di quel corpo era
offuscata, quasi una piccola tempesta turbinasse dentro di lei.
-Aysell,
bambina.- il leone la accolse con dolcezza,
abbracciandola con quegli occhi caldi e profondi in cui chiunque
avrebbe potuto
trovare pace e conforto.
E lei rispose a
quella dolce chiamata, abbandonando il fiume
e muovendo qualche passo incerto sulla terraferma, avvolta da una
cascata di
capelli d’oro liquido che si mescolava, danzando, alla sua
carne mutata.
Prima di
raggiungere Aslan e Shaylee, però, si costrinse a
fermarsi sul greto acciottolato per raccogliere qualcosa che lo spirito
fluviale aveva restituito agli esseri viventi senza che lei se ne
accorgesse –
tutto ciò che rimaneva della più grande Sovrana
che Narnia avesse mai
conosciuto, e della più grande donna che lei e le sue
sorelle avrebbero mai
potuto incontrare: lo scettro di Mairead.
Cercando di non
incespicare in quella forma che non le era
più familiare, Aysell si avvicinò al Grande Leone
e a Shaylee, l’uno
imperscrutabile e l’altra ansiosa e preoccupata; la Guardiana
si costrinse a
mantenere le spalle dritte e il portamento determinato – proprio
come Shay,
proprio come le aveva insegnato Mairead.
Serrò
le piccole mani su quel meraviglioso scettro che tante
volte aveva visto in mano alla Sovrana, sentendo il cuore piangere
quando
scorse gli zaffiri opachi e spenti come stelle defunte; continuando a
stringerlo, aggrappandovisi con tutta la disperazione che le riempiva
la mente
per non lasciarsi cadere a pezzi, si fermò davanti ad Aslan
e glielo porse.
-Il fiume lo ha
lasciato sulla riva.- affermò, costringendo
la propria voce a non tremare e sostenendo lo sguardo perforante del
padre.
-Appartiene alla
Sovrana delle Naiadi e, questo, lo spirito
del fiume lo sa molto bene.- mormorò lui, indecifrabile come
il più
inestricabile degli enigmi, avvicinandosi appena ad Aysell e sfiorando
con la
punta del naso il legno bianco dello scettro.
In quello stesso
attimo Aysell sussultò, percependo una
sensazione calda ed avvolgente risalire l’asta e le sue
braccia, colmandola di
una pace che non avrebbe creduto di poter più provare;
fissò Aslan, stupefatta…
ma lui sorrise soltanto, avvolto da quel mistero rifulgente di
splendore che
quasi accecava gli occhi di chi era in grado di vedere, prima di
volgersi verso
la più grande delle due sorelle.
-Prendilo,
Shaylee.- affermò; e, non appena ebbe parlato,
Aysell seppe – in un modo che trascendeva qualunque logica o
razionalità – che
il destino di Shaylee era legato indissolubilmente a quello scettro, a
quel
ruolo, a quel titolo.
Shaylee
apparteneva al Regno delle Naiadi, così come vi era
appartenuta Mairead.
-Cosa?-
balbettò la maggiore, sgranando gli occhi davanti
all’affermazione di Aslan; scosse la testa, sfregandosi le
mani sulle guance
che si erano riempite d’imbarazzo, distogliendo le iridi
dorate dal leone. -No,
io non sono degna, non sono… pronta.- tentò di
giustificarsi, facendo un passo
indietro, ma Aslan negò appena ed invitò Aysell
ad avvicinarsi alla sorella.
-Sei la figlia
che Mairead ha designato per succederle, ed è
con il favore di Aslan e della Guardiana dell’Acqua che, da
oggi, tu regnerai.-
A quelle parole,
pregne di un profondo significato che
entrambe riconobbero immediatamente, Aysell sorrise appena.
Consapevole di
quanto ciò che stava compiendo fosse molto
più solenne ed importante di qualunque azione avesse mai
compiuto nella propria
vita, la Guardiana dell’Acqua avanzò per arrivare
a trovarsi davanti a Shaylee,
serena ed imperscrutabile in volto esattamente come Aslan; in un lampo
di
consapevolezza la giovane Figlia capì che la calma surreale
che la pervadeva
ora apparteneva ad un qualcosa di più grande di loro, che
sovrastava qualunque
legge pronunciata nel corso dei secoli e che vibrava in ogni singolo
millimetro
della sua carne e della sua anima.
La Grande Magia
era lì, dentro di lei, per designare colei
che era degna a proteggere i suoi figli più amati.
Guardò
gli occhi dorati di sua sorella, così diversi dai propri,
e vide nel suo volto una donna che a lungo aveva atteso di poter
sbocciare;
vide una coraggiosa guerriera che aveva abbandonato la fanciullezza per
indossare le pesanti vesti della maturità; vide il riflesso
del sorriso di
Mairead nella consapevolezza che stava lentamente soppiantando
l’incredulità
nei suoi tratti, e comprese che Shaylee sarebbe diventata una delle
più grandi
Sovrane che le naiadi avrebbero vantato nei millenni a venire.
Le tese lo
scettro senza più tremare, e quasi poté sentirlo
vibrare quando Shaylee allungò entrambe le mani e chiuse le
dita sottili sul
legno candido, impugnandolo con una sicurezza che andava oltre ogni sua
paura.
E gli zaffiri
sfolgorarono di gioia quando la giovane donna
accettò se stessa e il proprio destino, proclamandola
così novella Sovrana del
proprio amato popolo.
Shaylee sorrise,
sopraffatta dalla commozione, rivolgendo
uno sguardo pieno di gioia alla sorella e ad Aslan; aveva gli
occhi pieni di
lacrime, notò Aysell, ma sapeva che sarebbe
riuscita a contenere le proprie
emozioni.
Aslan si
affiancò alla piccola Guardiana mentre quella
presenza ultraterrena che l’aveva avvolta scemava bruscamente
da lei, facendola
quasi barcollare; la sostenne con educazione, permettendole di
accostarsi alla
sua criniera mentre riprendeva fiato, in modo che nessuno scorgesse il
volto
della ninfa – che, gradualmente, stava tornando umano
– adombrarsi quando i
foschi pensieri che l’avevano tormentata si ripresentarono
alla sua mente.
Shaylee
però non si accorse di quel breve momento di
debolezza; guardò Aslan, che le sorrideva, e ricompose il
proprio volto in
un’espressione seria e determinata.
-Sarò
degna.- affermò soltanto, solenne, congedandosi dal
Signore di Narnia con un profondo inchino prima di dirigersi verso il
greto del
fiume, dove le ninfe la stavano aspettando – dove
Peter Pevensie aveva
atteso fino a quel momento.
Si
avvicinò a lui dominando le emozioni, ripetendosi che una
Sovrana doveva mostrare decoro e non lasciarsi prendere dalle passioni;
eppure,
quando Peter le sorrise e le racchiuse le mani sul proprio petto con
gli occhi
pieni di gioia, lo sguardo che si scambiarono fu più intenso
di qualsiasi bacio
potesse esistere.
Aysell, che
aveva seguito i movimenti della sorella senza
mai muoversi, si strinse le braccia attorno al corpicino sussultante
– del
tutto umano, ormai – e si scostò da Aslan, che
percepì il suo turbamento e si
allontanò per concederle un minuto di solitudine.
Era sciocco
sentirsi così.
La bionda chiuse
gli occhi quando li sentì bruciare,
lottando per scacciare quella sensazione sgradevole che non riusciva ad
identificare.
Era felice per
Shaylee, sapeva da sempre che sarebbe
diventata Sovrana, un giorno; però… qualcosa di
pesante e doloroso sembrò
animarsi nel suo diaframma quando, in un tremendo secondo di
consapevolezza,
comprese che sua sorella aveva un popolo intero di cui prendersi cura,
adesso,
ma che non era rimasta nemmeno per chiedere a lei
come si sentisse.
Scosse la testa,
cercando di scacciare quel pensiero: non
era il caso di angosciarsi per una sciocchezza del genere, si
disse, ma non
riuscì ad evitare la sgradevole sensazione di abbandono che,
mescolandosi al
dolore che provava, le sfiorò l’anima.
Poteva capirla,
però: Shaylee era emozionata e addolorata e
probabilmente più confusa di lei – andava tutto
bene, il suo compito adesso era
quello di rassicurare un intero popolo che aveva appena assistito
all’omicidio
di una Sovrana che era stata molto amata, di sicuro non poteva perdere
tempo
per sbrogliare le ansie della sua sorellina impacciata…
-Ehi.-
La naiade
sobbalzò, colta di sorpresa da quel richiamo, ma
si sentì enormemente sollevata quando, voltandosi, si
trovò davanti
all’espressione dolce di Siria.
La strega si era
separata da Caspian, lasciandolo con i
Pevensie e con i suoi luogotenenti narniani – per un istante
Aysell si chiese
come mai non fosse rimasta là anche lei, dato che Aslan
l’aveva nominata
ufficialmente Generale di Narnia… ma, dallo sguardo
rassicurante e comprensivo
della rossa, la naiade capì che aveva preferito raggiungerla
piuttosto che
lasciarla sola.
Le si
gonfiò il petto di commozione a quel pensiero: la sua
amica aveva lasciato tutto da parte, persino il suo adorato Caspian,
per venire
da lei… perché l’aveva sentita soffrire
ed era corsa al suo fianco senza che
nessuno la chiamasse, semplicemente perché non poteva
tollerare di rimanere a
guardare mentre il dolore le squarciava l’anima.
Perché
era sua amica, sua sorella, e non l’avrebbe mai
lasciata soffrire.
-Ehi…-
mugolò, abbozzando un sorriso nonostante il nodo che
era salito ad ostruirle la gola fosse talmente ingombrante da impedirle
quasi
di respirare – Shaylee che se ne andava
così… Mairead…
Non ebbe bisogno
di dire nulla, né l’altra dovette chiederle
che cosa stesse succedendo: a Siria bastò uno sguardo per
capire, e se la tirò
addosso prim’ancora che Aysell stessa si accorgesse di aver
perduto la
battaglia contro il pianto.
L’abbraccio
di Siria era sempre caldo, caldo e
meravigliosamente familiare.
Aysell vi si
raggomitolò subito, nascondendo il visetto
nella curva della spalla della strega e aggrappandosi con forza ai suoi
abiti,
quasi fosse un gattino spaurito e abbandonato; ma non era sola,
le
suggerì una vocina speranzosa all’orecchio della
mente, non era sola e non
lo sarebbe stata mai più…
-Andrà
tutto a posto, piccoletta.- le mormorò l’amica
all’orecchio, stringendola a sé ed accarezzandole
delicatamente i capelli
ondulati. -Rimetteremo tutto a posto. Te lo prometto.- aggiunse, piano
– ed
Aysell le credette all’istante, perché se Siria
era convinta che quell’atroce
agonia si sarebbe chetata un poco allora doveva essere la
verità, Siria non le
avrebbe mai mentito e avrebbe fatto di tutto per mantenere quella
promessa…
Tirò
su col naso, annuendo appena, ma non si mosse da
dov’era; e la rossa sorrise, stringendola un po’
più forte quando un fremito la
attraversò – però, adesso, Aysell non
aveva più così freddo.
Avrebbero
rimesso tutto a posto, tutte insieme; e tutto
sarebbe andato a finire bene.
Aslan, poco
lontano dalle due ragazze abbracciate, si
concesse un breve sorriso.
Separare le sue
Figlie era stato un azzardo che avrebbe
potuto causare una spaccatura incolmabile fra loro: la distanza avrebbe
potuto
distruggere l’amicizia che le aveva legate da bambine
– d’accordo, Mirime e
Talia non erano state così giovani all’epoca, ma
lui non riusciva proprio a
fare a meno di vederle tutt’e quattro come le sue piccole
creature –, e lui
aveva davvero temuto che le sue figlie non riuscissero a mantenere
intatta
quell’affinità che avrebbe potuto salvarle una
volta cresciute.
Ma, per fortuna,
tutto si era risolto al meglio.
L’affetto
che si era instaurato fra tutte loro era stato più
forte degli anni e del tabù: quando Shaylee aveva
smantellato l’incantesimo
della Sovrana tutt’e quattro le Figlie di Aslan avevano
ritrovato se stesse,
donando ai propri cuori e a Narnia un’unione profonda e
sincera che avrebbe
portato gioia e serenità al regno intero.
In quel modo
particolare che lo caratterizzava da sempre
Aslan sapeva che, dopo quell’ardua prova a cui il destino le
aveva sottoposte,
niente avrebbe più potuto dividerle.
Voltò
l’enorme testa, soddisfatto, spostando l’attenzione
sulla ninfa dell’aria che galleggiava pigramente a qualche
metro da terra, poco
distante dalla mezz’elfa e dal suo compagno umano; Talia,
avvertendo il suo
sguardo, si voltò e gli rivolse un sorriso scanzonato,
affiancandolo quando lui
la raggiunse.
-Era ora che ti
facessi vedere, vecchio mio.- lo salutò,
allungando una manina per arruffargli con tenerezza la criniera dorata;
Aslan,
paziente, sopportò quell’epiteto bonario e si
lasciò strapazzare un poco
dall’esuberante mezz’elfa che, con un versetto
deliziato, gli balzò al collo
per immergersi completamente nell’abbraccio di quella
criniera soffice e folta.
-La gente stava cominciando a crederti una favoletta per bambini.- gli
fece
notare lei dopo qualche attimo, ridacchiando al pensiero di
quell’enorme felino
ridotto a spauracchio per i piccoli insonni di Narnia.
-Ogni cosa ha il
suo tempo, ragazza mia.- replicò il
leone, punto nell’orgoglio – e Talia rise di nuovo,
soddisfatta, quando si
accorse che Aslan le aveva fatto il verso e che, in fondo, anche lui
possedeva
un qualche strano senso dell’umorismo.
Si
separò a malincuore dal folto collare di pelo del felino,
ricomponendosi un poco e lanciando, nel frattempo,
un’occhiata serena in
direzione delle amiche; si trattenne dal ridere ancora quando scorse
nello
sguardo di Mirime un astio familiare, un’antipatia nata molti
secoli prima e
tutta dedicata al sedicente – e peloso
– Signore di Narnia che le stava
accanto.
-Il Concilio
Elfico sta arrivando.- le annunciò lui,
cogliendo l’oggetto dei suoi pensieri ma ignorando
clamorosamente la presenza
vagamente minacciosa della pleiade che volteggiava sopra di loro.
-Credo
abbiano preferito accusare un ritardo piuttosto che intervenire in
questa
battaglia, ma sono per strada.- aggiunse, inarcando un sopracciglio e
annuendo
quando Talia sbuffò, spazientita.
-Chissà
perché ma non mi sorprende più di tanto, questa
cosa!- fu l’unico commento della mezz’elfa, che
scosse vigorosamente la testa
in segno di profonda disapprovazione.
Aslan si
concesse un sorrisetto ironico, consapevole di
quanto Talia disprezzasse l’atteggiamento della gente di suo
padre: nemmeno lui
era mai andato molto d’accordo con gli elfi, e__
-Ciao, papi.-
Il Grande Leone
s’irrigidì a quelle parole improvvise, ed i
suoi grandi occhi si colmarono di disagio e imbarazzo; scosse la folta
criniera
per tentare di alleviare quella sensazione sgradevole ma, quando seppe
di non
poter evitare quell’incontro, si arrese
all’evidenza e si voltò verso quel paio
d’occhi ambrati che, pieni di rimprovero, lo stavano
aspettando.
Esisteva una
sola persona, in tutti i numerosi mondi che lui
aveva creato, in grado di provocargli quella reazione: Mirime.
Mirime era
l’unica creatura nell’universo che potesse
vantare un’esperienza quasi pari alla sua; era
l’unica che avesse mai avuto il
coraggio di opporsi a lui, che si fosse rivelata saggia quanto e forse
anche
più del padre… ed era anche
l’unica in grado di provocargli quello strano
sentimento tanto simile a puro terrore.
-Mirime…
è bello incontrarti lontano dalla tua torre,
finalmente.- la salutò, rivolgendole un breve inchino quando
la pleiade toccò
leggiadramente terra dinanzi a lui.
-Sì,
è piacevole cambiare aria, ogni tanto.- fu la caustica
replica della mora, che si limitò ad incrociare le braccia
sotto al seno e
fissarlo, torva, da sotto la folta frangia scura.
Nel corso dei
lunghi secoli che Mirime aveva passato in
solitudine, ultima della sua razza e Ancella di un potere troppo
prezioso per
essere messo in pericolo in mezzo ai mortali, lei ed Aslan si erano
spesso
scontrati sull’atteggiamento che il Signore di Narnia aveva
sempre tenuto nei
confronti delle sue genti: Mirime non aveva mai sopportato il suo
continuo sparire
dalle situazioni critiche, ed Aslan non era mai riuscito a farle capire
che,
nel destino che lui solo poteva scrutare, il suo comportamento avrebbe
sempre
trovato un perché.
In fondo si
erano sempre rispettati e sopportati a vicenda –
erano abbastanza saggi per non discutere sulle decisioni
dell’uno o dell’altra,
e non si era mai presentata una situazione talmente critica da
richiedere un
intervento troppo pesante del Grande Leone.
Insomma, era
intervenuto per aiutare i Pevensie contro
Jadis, no? Mirime sapeva benissimo che i pupilli del padre giungevano a
Narnia
per imparare e per crescere, di solito Aslan non causava mai troppi
danni con
la sua assenza…
Stavolta,
però, aveva proprio esagerato.
La fanciulla
fece schioccare le labbra fini, assottigliando
le palpebre su quegli occhi grandi e insolitamente allungati, quasi
felini;
aveva gli zigomi pallidi stranamente accesi ma sembrava calma,
notò Aslan – eppure
quella consapevolezza non lo tranquillizzò minimamente.
-La prossima
volta, magari, potresti intervenire
prima di lasciare che accada un disastro come quello che ci ha quasi
portato
via Siryn?- furono le parole che la pleiade scelse per rivolgersi a
quel padre
ancestrale che l’aveva delusa più di quanto
avrebbe ritenuto possibile.
Il leone
sospirò, rassegnato.
Spiegare a
Mirime che Siria aveva avuto bisogno di
affrontare se stessa solo ed esclusivamente in quel modo – che
niente e
nessun altro avrebbe mai potuto spingerla ad accettarsi
– sarebbe stato
impossibile: l’affetto che la legava alla strega
l’avrebbe resa sorda alle sue
delucidazioni… ma, in fondo, quella non era una
consapevolezza che lo
disturbava: sapere che la sua Figlia più antica era stata in
grado di
affezionarsi alla più giovane lo riempiva di una gioia tale
da spingerlo a
rinunciare all’idea di esplicare alla ragazza i propri piani;
si limitò,
perciò, ad abbassare l’enorme testa in segno di
scuse.
-Farò
il possibile, figlia mia.- le assicurò, mite; la
pleiade, finalmente soddisfatta, si permise un sorriso indulgente e
allungò
persino una mano verso di lui, posandola sull’ampia fronte
dorata del padre e
lasciandovi una breve carezza.
-Bravo micetto.-
si complimentò, lasciandosi finalmente
andare ad un sospiro che le sciolse la tensione accumulata nelle spalle
esili.
Il suo
però fu un sollievo di breve durata, perché tanto
lei
quanto Aslan e Talia, poco discosta da loro, si voltarono di scatto
quando
udirono la voce oltraggiata di Shaylee echeggiare fino a loro.
-Chi ha osato
farti questo, caro?- stava chiedendo la naiade
al biondo Re, riferendosi al profondo taglio che solcava il viso di
Peter e che
lei, amorevolmente, aveva appena sfiorato con una tenera carezza.
Automaticamente,
diverse paia d’occhi scattarono sulla
figuretta minuta di Aysell.
Peter
sospirò, scoccando un rapido sguardo alle Figlie di
Aslan: Talia ridacchiava, Mirime stava facendo del suo meglio per
rimanere
seria, Siria pareva confusa – Aysell, tuttavia, era arrossita
fino alla radice
dei capelli e cercava di non guardarlo, sebbene stesse lottando per
impedirsi
di sorridere soddisfatta.
-Tua sorella.-
sospirò, tornando a volgersi verso Shaylee
con l’espressione più sconsolata che gli si fosse
mai vista in volto, mentre
Caspian e Caleb, che sorridevano sornioni, si accostavano a Siria e ad
Aysell.
Videro Shaylee
sgranare gli occhi, e tanto lei quanto Siria
si volsero per lanciare un’occhiata attonita alla piccola.
-Ah.- fu
l’unico commento che la nuova Sovrana si concesse,
prendendo un respiro profondo e chiedendosi come mai
si stesse ostinando
ad indagare su quella faccenda. -E… perché?-
chiese, pentendosene all’istante
quando Peter volse gli occhi al cielo, imbarazzato.
-Perché
ho quasi causato la morte di Siria.- mugugnò,
imbronciato, senza guardare nessuno e desiderando ardentemente di
trovarsi in
qualsiasi altro luogo piuttosto che davanti all’espressione
allibita di
Shaylee.
-Ah.-
La naiade,
sconcertata, rimase immobile per qualche secondo
prima di voltarsi verso la sorellina, che aveva in volto
l’espressione più
angelica ed innocente che Shaylee avrebbe mai potuto immaginare,
guardando poi
Siria che alzò immediatamente le mani per proclamarsi
innocente e ignara di
quella faccenda mentre Talia ridacchiava poco lontano e volgendosi,
infine,
verso l’espressione seria e palesemente falsa di Mirime.
Sospirò
di nuovo, scoccando all’amica pleiade un’occhiata
esasperata.
-Senti, io capisco
che avesse ragione, ma tu un po’
di diplomazia potevi anche insegnargliela in questi secoli!-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Mwehehehehehehehehehehehe! Peter: NON sei
divertente.
Buongiorno!
Come promesso ecco qua il capitolo 47 di Narnia's Rebirth, credo il
più lungo che io abbia mai pubblicato in questa
fanfiction... dopotutto è il capitolo di scioglimento di 46
capitoli di tensione, direi che si merita tutto lo spazio di cui ha
bisogno. Con questo si chiude ufficiosamente la fianfiction: i tre
capitoli che seguiranno saranno quelli che andranno a comporre
l'epilogo.
Allora! Finalmente Aslan si confronta con le sue figliole, dopo
qualcosa tipo un'eternità... diciamo che Mirime ha giusto un
paio di cosette da dire al papi!
Tutte loro hanno un modo diverso di rapportarsi con Aslan: Siria,
nonostante tutto, lo rispetta e sono convinta che arriverà
ad adorarlo (ricordiamo però che Siria adora ANCHE Peter,
quindi non è un metro di giudizio molto imparziale); Mirime
lo tratta più come un suo pari che come un padre, dato che
hanno un'esperienza multisecolare tutti e due; Talia lo prende, come
sempre, con tanta ironia, ma la amiamo anche per questo; Aysell ne
è intimorita e prova rancore nei suoi confronti per non
essere mai intervenuto per lei.
Aysell in questo capitolo mi fa così tanta tenerezza... il
suo cercare di essere all'altezza della situazione è
ciò che la differenzia dalla sorella, più d'ogni
altra cosa: Shay SA come destreggiarsi nelle vicende, è
elegante e determinata, Aysell invece è un po' goffa e
tanto, tanto insicura. Le voglio tanto bene, è un tesoro!
Peter: ma sei convinta!?
NO MA SEI SICURA!? E SE POI TE NE PENTI!?
Anche Caspian, in questo capitolo, arriva alla conclusione di un
percorso che è durato un sacco di tempo: è
cresciuto, è diventato l'uomo che voleva diventare, il Re
che era destinato ad essere... e, al suo fianco, avrà la
compagna che si è scelto e che nessuno avrebbe mai potuto
immaginare sarebbe stata la plausibile consorte del Re di Narnia e di
Telmar. Insomma, ce l'abbiamo fatta e il resto dovrebbe essere tutto in
discesa xD
Ne approfitto per riportarvi, qui sotto, tutte le varie immagini che DreamWanderer
ha creato per questa fanfiction e quelle che seguiranno (cliccate sulle
immagini per aprirle): le trovate comunque tutte su Deviantart!
Inoltre potete trovarci anche su Polyvore, sia io
che lei
(ci sono un sacco di set su questa fanfiction!) ^^
Gli outfits da battaglia delle ragazze:
La falce di Mirime:
La mappa di Narnia (riorganizzata secondo questa fanfiction):
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
Quel
tardo pomeriggio di fine estate sarebbe stato ricordato, negli annali
del
reame, come il primo, glorioso giorno di una nuova era.
Re
Caspian, decimo del suo nome, aveva trionfato contro
l’usurpatore Miraz e aveva
risparmiato le vite di coloro che si erano limitati ad ubbidire agli
ordini dei
propri generali; diverso era stato il destino dei più fidi
sostenitori dello
zio, che il nuovo regnante aveva fatto arrestare e condurre nelle
prigioni
della rocca.
Dinanzi
alla popolazione dei telmarini, che si era radunata in fretta e furia
nella
piazza centrale della cittadella sorta attorno al castello, sul capo di
Caspian
fu posata la corona che Cornelius, il mentore che lo aveva cresciuto e
guidato
fin da bambino, aveva recuperato una volta potuto rimettere piede a
palazzo.
Si
trattava di un fine lavoro d’oreficeria che solamente i nani,
maestri di
quell’arte, avrebbero potuto eguagliare: sottili
ramificazioni del tutto simili
alle regali corna dei cervi di montagna s’intrecciavano
attorno alla struttura
sottile del cerchio, forgiato nell’oro bianco e impreziosito
da minuscoli
rubini incastonati ad intervalli regolari lungo la circonferenza.
-Questa
corona vi appartiene, mio Sire.- aveva detto l'insegnante, emozionato,
quando
il giovane Re gli aveva domandato da dove provenisse quell'oggetto.
-L’ho
forgiata io stesso molti anni fa, per il re che sareste diventato.-
La
gioia e la commozione che si erano accese nelle iridi d'ossidiana di
Caspian
erano state il ringraziamento più sincero e profondo che
Cornelius avrebbe mai
potuto desiderare.
Era
stato proprio Peter, sotto lo sguardo benevolo di Aslan, a porre quella
semplice corona sui capelli del suo successore: e l’intera
Telmar aveva
esultato quando la moglie di Miraz si era fatta avanti per donare al
nipote il
mantello di pelliccia, simbolo di regalità, che era stato
prima del cognato e
poi del marito.
Le
Figlie di Aslan avevano presenziato alla cerimonia solamente durante
l’atto
finale, il più importante: accanto al padre avevano
rappresentato le creature
magiche che si erano prudentemente tenute lontane da quel grande
assiepamento
di umani, perché Cornell aveva intelligentemente preferito
tenere le truppe con
sé, nel cortile interno della rocca e lungo i costoni
rocciosi che segnavano
l’inizio del pontile che vi conduceva. Le Figlie, consce
dell’instabilità che
poteva venire a crearsi fra narniani e telmarini, avevano raggiunto il
centauro
non appena era stato loro possibile, aiutando così a
mantenere calmo e sereno
l’umore di quelle creature tutt’altro che abituate
a convivere con gli umani.
I
narniani avevano atteso pazientemente che il loro nuovo Re venisse
incoronato
secondo le usanze del popolo che, da quel momento in avanti, avrebbe
smesso di
cacciarli e avrebbe lentamente cominciato ad accettarli come parte
integrante
di quel nuovo, strano e meraviglioso regno: ed ora la loro
pazienza stava
per essere premiata, si disse Mirime, vedendo il corteo che
precedeva il Re
comparire oltre la linea curva della strada in salita.
Le
persone – uomini, donne, bambini – sciamarono sulla
piazzetta che precedeva il
pontile come un’onda marina si sarebbe allargata sulla sabbia
fine delle
spiagge di Cair Paravel: in molti sussultarono nel vedere i narniani
disposti
lungo i terrapieni, ma la presenza di quelle quattro donne, che avevano
visto
accanto al Re sino a pochi istanti prima e che conoscevano ormai di
fama, li
rassicurò.
Caspian
comparve qualche attimo dopo, quando la folla che lo circondava si
allargò:
montava il suo fidato Destriero, strigliato accuratamente per
l’occasione e
bardato con finimenti appena usciti dalla bottega del mastro sellaio,
ed
indossava il mantello reale sopra una semplice casacca bianca ricamata
in
verde. La corona, fra i suoi folti capelli scuri, risaltava come la
Luna piena
spicca nel cielo terso e scuro della notte: gli donava,
pensò Siria,
sorridendogli appena quando lui la guardò.
Aslan
– apparso chissà come – e le sue Figlie
attendevano il nuovo Re sulla soglia
del ponte. Aysell avrebbe dovuto essere accanto a sua sorella, che
cavalcava
elegantemente al fianco del cavallo baio montato da Peter, ma aveva
preferito
anteporre il proprio dovere di Guardiana a quello di sorella di una
sovrana;
Aaron e Caleb erano appena dietro i roani di Lucy e di Susan, ed Edmund
era
riuscito a tirarsi Tara in sella, ignorando le sue proteste e il suo
imbarazzo.
Talia
ridacchiò, divertita, quando vide la piccola bionda
rivolgere un’occhiata di
fuoco al più giovane dei maschi Pevensie: Edmund
non l’avrebbe passata
liscia, sembrava dire lo sguardo di Tara, ma la
mezz’elfa era certa che, in
qualche modo, sarebbe riuscito a farsi perdonare.
Il
Re di Narnia e di Telmar diede dolcemente di speroni al proprio
destriero,
distanziando il resto del corteo e avvicinandosi alle quattro
fanciulle; il
cavallo, riconoscendole, nitrìcontento
e allungò il muso verso Talia per farsi coccolare
– il suo cavaliere, tuttavia,
aveva occhi solamente per la guerriera dai capelli rossi che, accanto
alla
mezz'elfa, lo guardava con orgoglio e commozione pari solamente alla
fierezza
intrinseca del suo stesso carattere.
La
giovane strega si lasciò inconsciamente attrarre da quello
sguardo, dalla
silenziosa chiamata che vedeva rilucere nel volto del suo amato,
accostandosi
al fianco dell’animale nel medesimo attimo in cui Caspian si
sporse per
sollevarla, con grazia, traendola in sella e fra le sue braccia.
Siria
sgranò gli occhi, stupita dal gesto tutt’altro che
convenzionale di Caspian, ma
non protestò; si limitò a lasciarsi sfuggire una
risata nervosa per mascherare
l’imbarazzo, assottigliando appena le palpebre per scoccare
al suo Re
un’occhiata divertita.
-Stai
giocando col fuoco, lo sai?- gli sussurrò
all’orecchio, inarcando un
sopracciglio e accennando appena al corteo che li precedeva.
Caspian
però le rispose con quel sorriso spigliato e sicuro che lei
aveva imparato ad
amare, socchiudendo gli occhi nel profumo familiare dei suoi capelli e
avvicinandosi, così, alla pelle eburnea della fanciulla.
-Dovrei
aver paura di bruciarmi?- insinuò, ironico, avvertendola
rabbrividire, sotto il
suo respiro, in quel modo delizioso che lui adorava.
Siria
ridacchiò di nuovo, approfittando di quell’istante
d’effimera intimità per
lambire le sue labbra con un bacio leggero, delicato, quasi fuggevole.
-Mai.-
.
§
.
I
fasti telmarini, a parer di Siria, avevano sempre avuto una sola
caratteristica
positiva: l’assembramento degli abitanti della rocca nelle
sale dei ricevimenti
e l’agitazione della servitù davano libero accesso
ai ladri ai piani superiori,
dove era sempre facile raccogliere un ricco bottino approfittando
dell’assenza
dei regnanti… parteciparvi, però, era
una grandissima fregatura.
Talia,
che aveva colto il suo pensiero, si lasciò sfuggire una
risata che subito
soffocò nel tovagliolo.
“Mi
sto annoiando a morte.” il
pensiero tediato di Aysell, rivolto a tutt’e tre le sue
sorelle, distrasse le
fanciulle dall’apatia indolente in cui erano sprofondate
quando anche le facezie
dei giullari e le melodie dei cantori si erano fatte borbottate e
assordanti
come il vociare dei convitati che gozzovigliavano allegramente attorno
a loro.
“Siamo
in quattro, credo.” la voce di Mirime vibrò
nelle menti
delle Figlie con la leggiadra turbolenza di un temporale estivo; Siria
e Talia
si scambiarono uno sguardo perplesso, un po’ turbate dal
nervosismo quasi
palpabile che avvolgeva l’animo della solitaria pleiade.
Il
grande e fastoso convivio in onore dell’incoronazione di
Caspian, organizzato
ad una velocità impressionante dai sovrintendenti di
palazzo, durava ormai da
quasi cinque veglie ininterrotte; la notte era sorta in un tripudio di
stelle
ardenti e luminose come nessuna di loro avrebbe mai pensato di poter
scorgere,
ma erano state incastrate in quel banchetto dal loro rango e dallo
sguardo
ammonitore che Caspian e Peter avevano rivolto loro:“voi
siete le eroine di
Narnia, non potete assolutamente mancare! Sarebbe uno
scandalo!”, aveva
detto il biondo a Mirime – l’unica delle quattro
che non desiderasse ucciderlo
seduta stante –, e nessuna di loro era stata in grado di
negare quella scomoda
verità.
Siria
sbuffò, contrariata.
Peter
e Shaylee si erano eclissati almeno un’ora prima,
abbandonandole in balìa di
quegli uomini gretti ed insopportabili che imbarazzavano Aysell,
irritavano
Mirime e provocavano una bizzarra ilarità in Siria e Talia
quando rammentavano
di averli ripuliti dei loro beni più preziosi ben
più di una volta.
Anche
le due Regine del Passato, Susan e Lucy, si erano educatamente ritirate
prima
che l’ora divenisse sconveniente per due dame perbene,
portandosi dietro anche
Tara – misteriosamente, però, Aaron era scomparso
appena dopo di loro…
Caleb
era rimasto stoicamente accanto a Talia, ma dalla sospetta
opacità dei suoi
solitamente limpidi occhi celesti sembrava irrimediabilmente avviato
verso il
beato oblio degli ubriachi.
Caspian,
invece, non aveva quasi toccato il vino e l’idromele che
molti degli invitati
avevano largamente apprezzato, e così anche Edmund; i due
bruni sedevano l’uno
accanto all’altro, intrattenendo amabili conversazioni con i
tanti lord, conti
e marchesi presenti e dimostrandosi due ospiti squisiti ed eccellenti.
Siria
si lasciò scappare un sorrisetto nel vederlo massaggiarsi le
tempie, tradendo
la stanchezza che certo doveva provare.
Era
bello, il suo Caspian, ma adesso non aveva certo bisogno di lei.
“Ce
la diamo a gambe?” propose quindi alle tre amiche
che,
con un sussulto, si drizzarono sugli scranni intarsiati a loro
riservati e si
volsero all’unisono in direzione della rossa – e
lei poté chiaramente
distinguere il sorriso trionfante fiorire sulle labbra di Talia.
“Sono
con te, sorella!”
Ridacchiando
fra sé per via della reazione dell’amica, Siria si
allungò delicatamente verso
Caspian, approfittando di un momento in cui non era impegnato con un
qualche
nobile sconosciuto e ubriaco.
Il
giovane Re si concentrò immediatamente su di lei,
rivolgendole un sorriso
stanco ma meravigliosamente tenero e dolce; la strega
arrossì ma non si
scompose, sapendo di essere osservata più o meno da una
trentina di paia
d’occhi annebbiati dall’alcool, accarezzando in
punta di dita il dorso della
mano del ragazzo.
-Possiamo
ritirarci senza dare vita ad una guerra diplomatica?- gli
sussurrò
all’orecchio, piano, in modo che nessuno salvo lui potesse
udirla. -Siamo tutte
esauste, Caspian.- aggiunse, sospirando teatralmente e soffocando uno
sbadiglio
palesemente esagerato.
Caspian,
che conosceva estremamente bene ogni singola sfumatura
d’ironia su quel volto
affilato, sorrise.
-Non
sei brava a mentirmi, Sir.- rispose, divertito, sfiorandone la linea
arcuata
dello zigomo prima di scostarsi un poco da lei. -Mia cara, spero di non
arrecare offesa a te e alle tue illustri compagne chiedendoti umilmente
di
lasciare noi lord a disquisire della politica in privato.-
declamò, alzando la
voce quel tanto che sarebbe bastato per attirare l’attenzione
degli avventori.
Siria
inarcò un sopracciglio, lanciando un’occhiata
scettica alle numerose prostitute
che ronzavano attorno ai nobili telmarini – forse
non era una buona idea
andarsene, dopotutto…
-Purtroppo
non tutti si sentono a loro agio in presenza di creature della vostra
levatura
e della vostra… giovane età.-
aggiunse il Re, celando una risata quando
vide Aysell rizzarsi a sedere, punta sul vivo, pronta a ribattere che lei
era tutto fuorché giovane; Mirime, più accorta
della bionda, le tappò
bruscamente la bocca per impedirle di rovinare tutto, mentre Caspian si
alzava
per inchinarsi in direzione di Siria. -So che ti spezzerà il
cuore, ma vi dispiacerebbe
ritirarvi?- le domandò, galante come un perfetto lord
d’altri tempi,
rivolgendole un occhiolino di sottecchi.
Siria,
prendendo un lungo respiro che le trasmise una piacevole senso di
costrizione
da parte del corsetto, porse una mano al ragazzo e gli permise di
rivolgerle un
raffinato baciamano.
-…mio
Re, non preoccuparti. Posso capire il bigottismo di taluni individui,
non è un
problema.- replicò a voce alta, accennando un mezzo sorriso
che quasi fece
soffocare Edmund nel boccale di sidro.
Caspian
ridacchiò fa sé, sentendo alcuni degli ospiti
imitarlo e scorgendoli lanciare
un’occhiata ammirata a Siria – anche
troppo ammirata, forse… avrebbe
dovuto convincerla ad abbandonare le vesti di guerriera per quella
sera,
decisamente troppo attillate a suo parere, ma sia
lei sia le sue
compagne avevano rifiutato quella protesta ed erano rimaste abbigliate
come più
preferivano.
Permettere
loro di ritirarsi era una scelta conveniente, sì: non voleva
causare
spargimenti di sangue perché qualche conte ubriaco aveva
rivolto un qualche
complimento un po’ troppo spinto ad una delle Figlie di Aslan.
Le
tre sorelle di Siria si alzarono immediatamente, rivolgendo inchini a
profusione – Talia ridacchiò quando vide Edmund
rivolgere loro uno sguardo
invidioso ed implorante – ed allontanandosi quasi subito.
Caspian
però trattenne Siria per qualche istante, cingendole
repentinamente la vita con
un braccio e premendola con forza contro al proprio torace; le iridi
blu della
giovane si allargarono di sorpresa e desiderio quando le dita abili del
giovane
risalirono la sua schiena in una lenta scalata al piacere che la fece
rabbrividire, frustrata dalla forzata distanza che avevano mantenuto
durante
tutta la serata.
-Per
stanotte ti lascerò fuggire, ma non prenderla come
un’abitudine.- le mormorò,
suadente, sulle labbra, assaporando il fiato caldo e frizzante della
giovane.
-Avrai
molte notti per tentare di prendermi.- replicò lei, languida
ed innamorata come
mai, prima di scostarlo malvolentieri da sé e sciogliere
quell’unico abbraccio
che potevano permettersi in pubblico.
Si
voltò, sentendo il cuore stringersi al pensiero di quanto
avrebbe desiderato
averlo tutto per sé, sforzandosi di sorridere quando
raggiunse le sue amiche e
le guidò attraverso il dedalo di corridoi che avrebbe
portato al giardino e, in
seguito, alla libertà.
.
.
-Benvenute,
ragazze.-
Seguendo
la magia che palpitava in tutta Narnia quella notte, le Figlie di Aslan
avevano
abbandonato di nascosto la rocca e si erano dirette verso il bosco poco
distante, approfittando dell’abilità di Mirime per
nascondersi alla vista.
Il
suono della musica pulsante e densa di significati arcaici e misteriosi
le
aveva attirate verso un’ampia radura illuminata quasi a
giorno dalle numerose
torce sparpagliate un po’ ovunque; attraversando il sentiero
sterrato avevano
incontrato le creature più disparate, dalle affascinanti
driadi ai satiri più
lascivi, ma nello spiazzo erboso si era raccolto un numero
impressionante di
narniani.
-Hanno
dato festa senza invitarci.- commentò Talia, divertita,
accettando un calice di
idromele da parte di un fauno che, rispettoso,
s’inchinò profondamente al loro
cospetto prima di lasciarsi trascinare da una ninfa in un ballo
decisamente
poco casto e puro.
-Cornell!-
chiamò Siria, illuminandosi quando riconobbe il condottiero
poco lontano da
loro.
Il
centauro le raggiunse subito, sorridendo quando la rossa gli si
avvicinò di
corsa e lo abbracciò con trasporto, ricambiando
affettuosamente la stretta.
-Siamo
fuggite da palazzo.- gli spiegarono, divertite, e lui rispose con una
risata
piena e tonante che trasmise a tutt’e quattro una sottile,
eppure palpabile,
euforia.
Non
avevano mai visto Cornell tanto rilassato, né i narniani
così ebbri di felicità
e di gioia: la guerra era finita davvero,
compresero, sentendo quella
estatica verità vibrare nell’aria e nei loro
spiriti.
-Non
è stata una cattiva idea.- annuì il centauro,
orgoglioso, battendo
imperiosamente le mani in direzione dei musici alle proprie spalle.
-Musica,
amici fauni! Questa notte appartiene alla rinascita di Narnia!-
ordinò a pieni
polmoni, strappando una risata alle due ninfe prima che Siria e Talia
le
trascinassero entrambe nel centro della radura, dove i satiri e le
driadi si
erano già lanciati in un ballo sfrenato che, presto, le
trascinò via sull’onda
del ritmo pulsante della musica.
Nessuna
di loro avrebbe mai ricordato distintamente gli avvenimenti di quella
notte: le
note e la magia si erano mescolate nelle voci di soprano e di contralto
di
Aysell e di Siria, e Talia aveva guidato tutte quante in una danza
intensa e
irrefrenabile che aveva coinvolto persino la tanto ritrosa Mirime.
Del
ritmo dei tamburi, dei flauti e dei liuti che avevano suonato
incessantemente
fino all’alba le Figlie di Aslan avrebbero rammentato
solamente la gioia esplosiva
che le aveva travolte, sopraffacendo i loro sensi – annebbiati
dal sidro e
dal vino – e la loro memoria.
Narnia
era rinata, quella notte, assieme a loro; e loro, finalmente, potevano
chiamarla di nuovo casa.
.
.
Fu
Caspian, il mattino dopo, a ritrovare le Figlie di Aslan in quella
radura dove
la maggior parte dei narniani presenti era rimasta a dormire
all’addiaccio.
Il
giovane Re, sorridendo, smontò da Destriero e si
avvicinò alla piccola alcova
formata dalle radici di una quercia dove le quattro ragazze si erano
rifugiate:
Mirime dormiva con la testa posata sul ventre di Siria, mentre Aysell
le si era
accoccolata accanto e stringeva al petto il suo braccio destro; Talia,
invece,
si era appallottolata fra i lunghi capelli rossi dell’amica,
acciambellandosi
come un micio in quel mare scarlatto.
Abituata
a non abbandonarsi mai completamente al sonno, Siria si era destata al
suono
familiare degli zoccoli del cavallo; i suoi occhioni blu erano limpidi
quanto
il cielo terso che splendeva oltre le chiome degli alberi, ed il
sorriso che
rivolse al giovane fu tenero e affettuoso come l’abbraccio
della rugiada sui
fiori appena dischiusi.
In
silenzio, per non svegliare le amiche, la bella strega
scivolò via dai loro
abbracci e si alzò, spazzolandosi gli abiti con un gesto
prima di poter – finalmente
– correre dal suo uomo e abbandonarsi
nell’abbraccio che stava aspettando
solamente lei.
-Non
hai idea di quanto t’invidio.- le sussurrò nei
capelli, stringendola a sé e
chiudendo gli occhi in quel morbido falò spettinato. -Mai
più fasti del genere,
mai più.- aggiunse, sentendo la sua risata vibrargli in gola
quando Siria gli
si accoccolò addosso, affettuosa come un gattino.
-Mi
sei mancato.-
-Come
l’aria.- annuì il giovane, riempiendosi i palmi di
quel viso meraviglioso e
lambendo quella bocca, finalmente, con un bacio.
La
ragazza rabbrividì, estasiata, sorridendo e tirandolo
giocosamente verso di sé
per approfondire quel contatto – aveva agognato
così tanto il profumo, il
sapore di Caspian…
-…parliamone.-
Una
voce impastata di sonno risuonò improvvisamente alle spalle
della rossa,
facendo sussultare il Re e scoppiare in una sonora risata la strega;
voltandosi, Siria trovò una Mirime torva e ancora
mezz’addormentata ad
osservarli, con in volto l’espressione di un gufo arruffato
costretto ad una
scomoda veglia diurna.
La
pleiade si massaggiò le tempie, seccata, scoccando uno
sguardo di rimprovero ad
Aysell e a Talia, anche loro svegliate dai turbolenti e rumorosi
pensieri che Siria non era riuscita a trattenere in presenza di
Caspian. -La
mia testa…- mugugnò, maledicendo le tre amiche
che l’avevano convinta ad
ingurgitare una quantità spropositata di idromele e di sidro.
-Esattamente
da quanto tempo non ti concedevi una bella sbornia, Mirime?-
ridacchiò la
mezz’elfa che, in virtù del suo sangue
semi-immortale, possedeva l’invidiabile
qualità di riprendersi dagli stati di ubriachezza molto
più velocemente
rispetto a chiunque altro.
-Almeno
una decina di secoli.- fu la serafica e tagliente risposta della ninfa
dell’aria.
Aysell,
ancora confusa dalla notte di bagordi, si sfregò i grandi
occhi grigi con il
dorso delle piccole mani, domandandosi fra sé perché
Caspian aveva avuto
la deprecabile idea di amoreggiare con Siria a quell’ora
indegna del mattino.
La
suddetta strega, perplessa, le studiò tutt’e tre
con un cipiglio
sorprendentemente serio, incrociando le braccia sul ventre e dedicando
ad
ognuna di loro un’espressione profondamente delusa.
-Dobbiamo
seriamente trovare un modo per evitare questa cosa, non è
possibile che se voi
bevete mi ubriachi anche io.- fu la sentenza che declamò
qualche attimo più
tardi, serissima – apprezzando, per la prima volta nella
vita, l’infondatezza
del proverbio che decantava le proprietà assassine degli
sguardi.
-Ossia?-
domandò educatamente Caspian, distogliendo la rossa dal non
molto avveduto
proposito di scatenare reazioni omicide nelle sue adorabili
sorelline.
La
ragazza, docile, gli rispose immediatamente, approfittandone per
tornare a
farsi coccolare da quelle braccia che – lo sapevabene – avrebbe
potuto solamente immaginare per molto tempo a venire.
-C’è un legame mentale
che condividiamo, ed ora che siamo tutt’e quattro vicine
è più forte di quanto
pensassi… loro hanno bevuto e io ho risentito della loro
sbornia.- gli spiegò,
ridacchiando in risposta ad un qualche indignato pensiero rivoltole
dalle sue
amiche. -Io sono fatta di fuoco, Caspian. Lo spirito brucia subito, e
di
conseguenza io non potrei… beh, ubriacarmi.- aggiunse,
stringendosi nelle
spalle.
Lui,
per tutta risposta, le avvicinò il volto al proprio e
sorrise, malizioso.
-Vorrà
dire che troverò altri modi per irretire i tuoi sensi.-
bisbigliò in tono
lascivo, ma subito la replica seccata di Talia gli fece comprendere quanto,
esattamente,la sua adorata Siriafosse
incapace di tenere a
freno le proprie emozioni.
-Ma
guarda che ti basta un’occhiata e quella si scioglie,
principino perverso!-
.
§
.
L’estate
volgeva ormai al termine, ma il regno di Caspian sembrava essere
sbocciato in
una repentina fioritura fuori stagione.
In
quei primi giorni di governo, decisivi per imporre sin da subito la sua
autorità, Caspian aveva attuato diverse riforme in favore
del popolo e
pianificato altrettante mosse diplomatiche e belliche, in modo da
dimostrare
sin da subito quanto coesa e determinata fosse la nuova guida di quel
paese
neonato.
Aveva
inviato Susan e Lucy, scortate da Aaron e da alcuni narniani scelti da
Cornell
in persona, nei paesucoli e nei villaggi, abitati dalla gente povera e
affamata
che il governo di Miraz aveva sempre trascurato: le Regine avevano
portato
viveri, beni di prima necessità e cerusici, conquistandosi
in breve tempo
l’amore profondo ed incondizionato di un popolo che mai prima
di quel momento
aveva visto un regnante scendere fra il volgo per distribuire pane,
dolci e
coperte di lana.
Appena
dopo i festeggiamenti e l’incoronazione, Shaylee si era detta
pronta per
insediarsi alla corte nel Regno delle Naiadi; e così aveva
fatto, lasciando la
rocca il mattino seguente al convitto, in compagnia di Peter che,
tuttavia, non
aveva potuto rimanerle accanto durante la delicata fase del lutto
indetto dalla
sua compagna in memoria di Mairead, perché la sua presenza
era stata richiesta
altrove.
Nonostante
Aslan avesse nominato Siria Generale – un
titolo ampiamente meritato,
secondo Caspian –, il giovane aveva preferito tenerla con
sé a corte assieme
alle sue sorelle; Aslan stesso, rimasto a Narnia dopo il termine della
battaglia, si era detto concorde con il giovane regnante: le sue Figlie
erano
creature troppo in vista, ancora troppo sconosciute da parte degli
umani, per
permettergli di assumere immediatamente il ruolo che spettava loro in
quella
struttura governativa che andava rinsaldandosi di giorno in giorno.
Questa
decisione aveva scatenato tutta una serie di discussioni che Caspian
aveva
cominciato a paventare più di qualsiasi altro dilemma
politico: cercare di
tenere buone Siria e Talia, abituate com’erano a vivere in
mezzo alle foreste e
senza alcun dogma di palazzo, si era rivelato più arduo di
quanto potesse
sembrare, ed era stato solamente grazie all’influenza
benevola che Mirime
esercitava su di loro che era riuscito a chetarle almeno un poco.
Aysell,
assieme alla sorella, si era recata nel regno delle ninfe per
partecipare al
cordoglio privato che le naiadi avevano l’obbligo morale di
osservare nei
riguardi delle figure importanti com’era stata quella di
Mairead. Tuttavia, la
sua permanenza laggiù era stata breve e sofferta: dopo pochi
giorni, infatti,
la Guardiana era tornata al castello telmarino, riunendosi con sollievo
alla
sua famiglia.
Edmund,
invece, non si era spostato da palazzo nemmeno una volta: lui e Caspian
avevano
passato lunghe ore negli archivi reali, stilando
un’importante lista di nomi
relativi alla politica telmarina – diplomatici
archeniani, conti di Ettins,
signorotti locali, tarkaans calormeniani, latifondisti telmarini e
molto altro
– e schematizzando, un po’ a fatica,
l’enorme e complessa mole di creature
magiche che avrebbero dovuto contattare e con cui, si sperava,
avrebbero
instaurato presto un rapporto di fiducia reciproca.
Tara
non si era mai separata dal più giovane dei maschi Pevensie,
dando prova di
notevole pazienza quando le ore passate sulle pergamene si erano
dilatate
durante le giornate; era stato proprio grazie a lei che le Elementali
di Narnia
erano riuscite a scoprire che Caspian ed Edmund stavano organizzando un
grandioso evento mondano a cui tutte le più alte cariche di
Narnia – umane e
narniane – e dei regni limitrofi sarebbero state
invitate, e avevano
compreso che la loro presenza sarebbe stata determinante in quel gioco
politico
da cui il giovane Re sembrava essersi lasciato completamente assorbire.
Siria
soffriva quella situazione più di quanto desse a vedere:
l’etichetta di corte,
essenziale in un momento di transizione tanto delicato, imponeva a lei
e a
Caspian una casta distanza che, avendo vissuto per quasi un anno come
un’anima
soltanto, la rendeva estremamente irosa ed intrattabile.
La
moltitudine di cortigiane, servitori e sovrintendenti che abitava al
castello,
inoltre, le rendeva la vita praticamente impossibile, e lei ricambiava
quell’antipatia con tanto entusiasmo da aver già
causato diverse rimostranze
degli esasperati maggiordomi davanti al Re.
Per
tentare di impedire che il carattere focoso della sua amata causasse
presto
qualche serio incidente diplomatico, Caspian aveva preso
l’abitudine di farla
presenziare durante le udienze e le riunioni a cui partecipava: si
trattava di
una scelta ragionata poiché, presto, avrebbe fatto in modo
che Siria occupasse
quel ruolo di Generale che le spettava di diritto – ed in
qualche modo doveva
aiutarla ad inserirsi in quel mondo di cui lei non sapeva assolutamente
nulla.
Siria
aveva accettato con sollievo quella decisione – se
non altro, si era
detta, avrebbe almeno potuto passare del tempo con Caspian
–, e l’invito
di Caspian era stato ovviamente esteso anche alle sue sorelle: non
avendo nulla
di meglio con cui occupare le loro giornate, le fanciulle avevano
accettato ben
volentieri quella novità.
Una
manciata di giorni dopo l’incoronazione, quando nella reggia
l’abitudine a
quella nuova sovranità aveva soppiantato la sensazione di
novità, Caspian
convocò in una delle sale più piccole –
quella che utilizzava come studio
privato – due delle poche persone a lui gradite in quel
ultimo periodo.
-Aaron,
Caleb.- salutò i due guerrieri quando entrarono nella bella
stanza dalle
vetrate a piombo, sospirando e rivolgendo loro un’occhiata
amichevole ma
profondamente esausta.
Siria,
alle sue spalle, si permise di sciogliere la posizione dritta e
compìta che
teneva durante le riunioni ufficiali e gli si avvicinò,
accogliendo
amorevolmente fra le dita la mano che Caspian aveva istintivamente
allungato
verso di lei.
Mirime
ed Aysell non erano presenti: si erano allontanate dalla reggia per
raggiungere
la torre in cui avevano vissuto per secoli e trasportare a palazzo
tutti i
propri effetti, ed il loro ritorno era atteso entro poche ore.
Talia
invece sorrise, felice, sparendo dallo scranno su cui si era
accoccolata per
riapparire al fianco di Caleb; il biondo rise a sua volta, arruffandole
i
capelli con tenerezza e cingendo morbidamente il suo corpo esile col
braccio
muscoloso.
Entrambi
gli ex mercenari indossavano i tipici capi di vestiario che ci si
aspettava di
vedere addosso agli uomini di un Re narniano: lunghe tuniche
intrecciate sui
fianchi asciutti, spessi calzoni di pelle e stivali al ginocchio, il
tutto nei
colori neutri – grigio e nero – dei soldati.
Caspian,
grato di trovarsi in presenza di qualcuno davanti a cui non avrebbe
dovuto
mostrarsi come Re ma solamente come ragazzo, si abbandonò
pesantemente sullo
schienale della propria seduta, accettando con profonda gratitudine il
tocco
caldo e familiare di Siria sulle tempie e fra i folti capelli castani.
-Ho
bisogno di messaggeri fidati alle corti di Archen e di Calormen.-
spiegò
stancamente, schiudendo gli occhi per rivolgersi ad Aaron. -Susan
è già stata
alle corti di Calormen, e non sono cambiate molto da quando era lei a
regnare.
Ho bisogno che i tarkaans si presentino qui e che vedano la forza di
Narnia.-
aggiunse, ed il rosso annuì: da sempre, Calormen era stato
il regno più ostile
a Narnia ed i suoi governatori, i tarkaans, erano famosi per la propria
disonestà e per i continui tentativi di sforare i confini
per appropriarsi di
terre non loro.
Talia,
che aveva colto un’altra parte dell’affermazione di
Caspian, si volse nella sua
direzione.
-Conosco
gli archeniani e i loro costumi, Caspian. Da loro posso andare io.-
affermò,
sicura: durante i suoi lunghi peregrinaggi, infatti, aveva vissuto a
lungo alla
corte di un signore di Archen e aveva imparato a destreggiarsi fra le
politiche
più disparate.
-Non
da sola.- fu l’istantanea replica di Caspian, che scosse
vigorosamente la testa
davanti a quella proposta; ma, prima che Talia potesse protestare,
continuò:
-So che sei perfettamente in grado di difenderti e non ho intenzione di
insultare la tua indipendenza, Tallie…- affermò,
con la voce pacata e calma di
un domatore di belve feroci. -…ma Caleb è umano e
appartiene alla mia corte. È
diplomaticamente più corretto che sia lui a portare il mio
invito.- le spiegò,
accennando al biondo con un gesto elegante della mano.
Caleb,
che conosceva bene la sua compagna e sapeva come sedare i suoi scatti
d’ira,
posò le mani sulle spalle esili della mezz’elfa e
la trattenne dolcemente
contro di sé quando lei fece per avanzare, infuriata, verso
Caspian.
-Questo
non implica che debba andare solo.-
Siria,
accanto al bruno, si lasciò sfuggire una risata quando vide
l’espressione
oltraggiata di Talia addolcirsi repentinamente in un sorriso che, in
uno
sprazzo d’incredulità, mutò in una
risata.
-Hai
già imparato a parlare come un politico, principino.-
.
§
.
Talia
tornò da Archen una manciata di giorni più tardi,
profondamente soddisfatta dai
risultati che era riuscita ad ottenere presso le corti di quel regno
d’eterna
primavera a cui tanto si era affezionata secoli prima: i signori di
quel paese,
governato democraticamente da un concilio che comprendeva tutti i lord
delle
varie regioni indipendenti, avevano accolto l’elezione di
Caspian con grande
entusiasmo, assicurando che sarebbero stati presenti al gran ballo di
gala
previsto per la fine del mese in corso – quel ballo
che avrebbe stretto
alleanze e appianato dissapori, dipingendo nei fruscii dei merletti e
delle
sete lo splendore della corte del Re.
Pochi
giorni prima di quell’evento – che Siria e Mirime,
entrambe di natura
profondamente schiva, paventavano come non avevano temuto nemmeno la
guerra –
Caspian si trovava nella sala del trono, seduto sullo scranno che era
appartenuto al padre, in attesa dell’uomo che aveva
singolarmente chiesto
udienza con il Re.
Le
guardie di palazzo scortarono il prigioniero, con delicatezza, sotto lo
sguardo
impenetrabile e gelido delle Figlie di Aslan al completo; Caspian,
tuttavia, lo
osservava con il medesimo rispetto che aveva rivolto alla sua persona
per tutta
la vita.
L’uomo
in catene s’inginocchiò, senza che nessuno glielo
ordinasse, ai piedi della
piattaforma sopraelevata che ospitava il trono, chinando umilmente la
testa
dinanzi al signore di Narnia.
-Mio
Re.- salutò colui che era stato il Primo Generale delle
truppe di Miraz,
catturato senza spargimenti di sangue subito dopo la battaglia di
Beruna: lord
Glozelle di Telmar.
-Glozelle.-
replicò Caspian, tranquillo e pacato come sempre,
invitandolo silenziosamente
ad alzare lo sguardo verso di lui.
Glozelle
ubbidì immediatamente, stupito da tanta gentilezza,
rabbrividendo però quando
scorse la figura inconfondibile della Strega Rossa in piedi accanto al
trono.
Siria,
bella e algida come la statua di un’antica
divinità guerriera, presenziava
silenziosamente alle spalle del suo Re; al suo fianco c’era
la ninfa dai
capelli neri, eterea ed impassibile, e poco discoste scorse anche la
mezz’elfa
e la naiade bionda.
-Hai
chiesto di essere ricevuto come ospite e non come prigioniero.
Perché?- gli
domandò il Re, attirando nuovamente la sua attenzione.
Glozelle
accennò ad un sorriso mesto, sostenendo lo sguardo
indagatore del ragazzo.
-Penso che tu conosca la risposta alla tua domanda, mio Re.-
-Ti
ho visto affrontare Caspian, in battaglia.- intervenne Siria, ignorando
lo
sguardo ammonitore che le venne rivolto dalle guardie che stanziavano
accanto
al portone.
Glozelle,
però, si rivolse a lei con la medesima deferenza con cui
aveva parlato a
Caspian.
-Non
avrei mai ucciso il mio principe, Generale.- le spiegò,
riferendosi a lei con
il titolo che Aslan le aveva assegnato e che in molti, ancora,
dimenticavano di
associare a lei. -Come lei, Generale, ho giurato di servire il mio Re.
Posso
essere condannato per aver ubbidito agli ordini di Miraz, che era il
mio
signore?-
A
quella domanda, turbata, Siria non seppe rispondere.
Mirime
le accostò il volto all’orecchio, approfittando
della sorpresa dell’amica. -Non
c’è bugia nella sua voce. Non posso esserne
completamente certa, ma__-
sussurrò, ma Siria la interruppe con dolcezza, alzando una
mano ed annuendo:
sapeva che Mirime, in virtù della sua natura e dei suoi
poteri, poteva cogliere
nei suoni delle voci l’impronta delle menzogne e delle
verità.
Caspian,
ignaro di quel breve scambio di opinioni, si alzò in piedi.
-Ti ho visto
esitare, in battaglia.- commentò, pensieroso.
Glozelle
era stato suo maestro d’armi per tutta la vita.
Conosceva
quell’uomo fin da bambino, e lo rispettava più o
meno da altrettanto: con lui,
figlio di un re assassinato, Glozelle era sempre stato corretto e
spesso
amichevole, dandogli talvolta l’attenzione e
l’affetto che quel bambino
solitario non aveva mai ricevuto da parte degli zii.
Sapeva
che Glozelle era un guerriero di prim’ordine, ed i soldati si
erano sempre
ciecamente fidati della sua guida e del suo giudizio: condannarlo
alla
galera poteva portare più danno che beneficio,
rifletté, perché una risorsa
come quell’uomo – di cui aveva sempre ammirato la
lealtà e la correttezza –
poteva diventare un punto di forza non indifferente nel sistema che
stava
faticosamente costruendo pezzo per pezzo.
Il
suo silenzio si dilatò nella vasta sala del trono per un
tempo che persino a
Siria, abituata com’era alle sue tacite riflessioni, parve
interminabile; alla
fine, però, il ragazzo tornò a sedersi su quel
cupo trono foriero di pensieri e
responsabilità e spostò lo sguardo su Glozelle.
-Non
posso affidarti l’incarico che avevi sotto mio zio, Glozelle,
ma posso offrire
una seconda possibilità alla tua onestà e al tuo
onore.- affermò, lentamente,
vedendo la sorpresa allargarsi nelle iridi corvine del suo
interlocutore. -Gli
uomini si fidano di te e ti ho sempre visto guidare le truppe con
saggezza e
lungimiranza; sei un guerriero formidabile, e sarebbe uno spreco
rinunciare a
qualcuno come te.- spiegò, lanciando un’occhiata
indecifrabile al Generale al
suo fianco.
Siria
però fissava il telmarino, indecifrabile.
-Farai
parte di un piccolo drappello di venti uomini, agli ordini di Peter
Pevensie.
Il vostro compito sarà di rastrellare la Landa della
Lanterna nei prossimi
giorni, alla ricerca degli ultimi sostenitori di Sopespian ancora
liberi che,
da ciò che ricordo, erano infidi e crudeli almeno quanto
lui.-
Glozelle
annuì. Conosceva gli uomini a cui si stava riferendo Caspian
e capiva la
decisione del giovane: gli uomini lo conoscevano e si fidavano di lui,
mentre
non sapevano nulla di Peter Pevensie ed in molti avrebbero protestato
davanti
ad un condottiero così giovane – ma se lui,
Glozelle, si fosse fidato dell’antico
Re e avesse mostrato quanto quel ragazzo potesse essere abile ed
intelligente…
sorrise, il telmarino, ammirato dalla classe con cui Caspian aveva
orchestrato
quelle scelte per arrivare a favorire ancor di più la classe
nobile che aveva
instaurato a Telmar.
Sarebbe
diventato un grande Re.
-Partirete
oggi stesso.- terminò il giovane, sorridendo in un modo che
gli fece intuire
quanto fosse perfettamente conscio del ragionamento che Glozelle aveva
appena
fatto.
-Ti
sono grato per la tua generosità, mio Re.-
ringraziò, chinando nuovamente il
capo in un gesto pieno di rispetto mentre le guardie avanzavano subito
per
liberarlo dalle catene.
Si
alzò finalmente in piedi, fiero e massiccio come Caspian lo
aveva sempre visto,
rivolgendo una profonda riverenza alle Figlie di Aslan.
-Mio
Generale… mie lady.- salutò, prima di seguire i
soldati che lo avrebbero
condotto verso la sua nuova missione e la sua possibilità di
redenzione.
La
tensione parve allentarsi nello stesso attimo in cui i pesanti portoni
si
chiusero alle sue spalle; Mirime si avvicinò al trono,
posando una mano sulla
spalla di Caspian e rivolgendogli uno dei suoi rari, misteriosi
sorrisi.
-Potrai fidarti di lui. È un uomo d’onore.-
Caspian
ricambiò il gesto amichevole, ma i suoi occhi cercarono
nuovamente il volto
della sua amata: sapeva che Siria stava ricordando il momento in cui il
fuoco
era esploso nel campo di battaglia, frapponendosi nel duello fra
Caspian e
Glozelle.
Ma
Glozelle non aveva più combattuto quando le fiamme lo
avevano allontanato da
Caspian.
Nel
marasma dello scontro non aveva avuto tempo di accorgersene ma,
riflettendoci,
Siria ricordò: Glozelle aveva sospirato, sollevato, nel
riverbero della magia
della Paladina del Fuoco, gettando a terra le armi ed arrendendosi al
primo
guerriero narniano che lo aveva incontrato.
-Sì.-
disse lentamente, detestandosi perché, in fondo, avrebbe
sempre provato un
certo risentimento nei confronti dei soldati che erano stati agli
ordini di
Miraz. -È un buon soldato.-
Caspian,
dal trono, sorrise.
-Siria…-
la chiamò, avvicinandola a sé quanto
l’etichetta di corte gli permetteva di
fare senza scatenare uno scandalo; la giovane accettò la sua
mano e si lasciò
attrarre a lui, sfiorando appena le gambe di lui quando il Re le
accarezzò
l’interno del polso, mentre il sorriso svaniva in
un’espressione contrita.
-…devo parlare con Peter.-
Fra
le sue dita, prevedibile, il tocco di Siria
s’irrigidì; e, nei suoi occhi,
dilagò l’inverno.
Aysell,
cogliendo il turbamento di Siria fra i propri pensieri, si
avvicinò alla rossa
e la sottrasse alla vicinanza intossicante di Caspian. -Andiamo,
Sir.
Abbiamo appuntamento con i sarti.- le ricordò, guadagnandosi
un’occhiata
confusa da parte dell’amica ed una profondamente grata da
Caspian.
Talia
e Mirime, cogliendo subito le intenzioni della piccola, si affrettarono
a
precederle verso i corridoi interni e meravigliosamente silenziosi del
palazzo.
-Potevo
restare.- mugugnò la rossa alle sue compagne, ma nessuna
delle tre diede retta
alla sua affermazione contrita, quasi trascinandola verso i piani
superiori
dove attendevano, pazienti, i sarti e le ultime misure che dovevano
prendere
per gli abiti che le ragazze avrebbero indossato al gran ballo.
Aysell
scosse la testa, ignorandola, ripensando all’ultima occasione
in cui aveva
visto Siria e Peter incontrarsi.
.
-Devo
farti i miei complimenti.-
Nell’usuale
confusione dell’ennesimo banchetto politico, Aysell non
riconosce subito la
persona che le ha appena rivolto la parola; si volta, incuriosita, e la
sorpresa sboccia in lei quando si ritrova dinanzi allo sguardo
imbarazzato
dell’ultimo individuo al mondo con cui pensava
d’interloquire quella sera:
Peter.
-Perché?-
gli chiede, senza capire.
Peter
accenna un sorriso, arruffandosi i capelli. -Beh,devo dire che come
obbedisci
agli ordini tu, nessuno!-
Ad
Aysell, confusa, serve qualche attimo per comprendere; ma, quando il
ricordo
vivido dell’ordine che lui le ha impartito durante la
battaglia fa capolino
nella sua memoria, si lascia sfuggire una risata divertita e annuisce,
concorde.
-Dovere.-
commenta.
Per
un istante, per un solo istante, sente che potrebbe davvero fare pace
con
l’idea di Peter e Shaylee insieme per un tempo sgradevolmente
tendente
all’infinito, perché in fondo quel biondo,
lì, non pare così stupido come
spesso s’intestardisce a sembrare.
È
solo un attimo, però.
La
naiade s’irrigidisce, irritata, quando vede le iridi azzurre
di Pevensie
scavalcare la sua figura e posarsi su qualcuno alle sue spalle,
riempiendosi
all’istante di un gelo e di una diffidenza che solamente una
persona può
provocare; la bionda si volta, spazientita, cogliendo però
solamente un fruscio
di capelli rossi e l’immagine di Siria che sparisce fra due
cortigiane ad una
velocità impressionante.
Furiosa
cerca di chiamare indietro l’amica, ma
c’è solo un ostinato vuoto là dove
solitamente avverte la presenza della strega – fa sempre
così, Sir, quando si
tratta di Peter.
-Oh,
insomma!- sbotta, lanciando un’occhiata assassina a Pevensie
e cercando
seriamente di tenere a mente che Shaylee le potrebbe rimproverare
l’omicidio di
quella stupida acciuga bionda per un tempo odiosamente lungo se lo
annegasse,
in quel momento, come tanto vorrebbe fare.
Lui
fa un passo indietro, allarmato, ma non replica: anche lui, come Siria,
si è
trincerato dietro una maschera che lascia trapelare solamente tutta la
sofferenza che sta provando nei confronti di una persona che teme di
aver
perduto per sempre.
La
Guardiana si limita a sospirare, esausta da quella tensione fra loro
che sfibra
i nervi di tutti quanti da quando la guerra è finita,
salutandolo bruscamente
per poi sparire fra la folla alla ricerca di quella dannata testona
della sua
amica.
.
…no,
decisamente era meglio impedire a Siria di vedere
Peter.
Pevensie non era
ancora riuscito a superare ciò che era
avvenuto alla Tana di Aslan, probabilmente, e Siria non sembrava
propensa a
lasciarlo perdere come chiunque sano di mente avrebbe fatto al suo
posto – no,
lei doveva anche rimanerci male, dannazione alla sua testaccia!
Sospirò,
rassegnata, trotterellando accanto alle amiche
mentre si dirigevano ai piani inferiori. Almeno si sarebbero distratte
un poco
con le prove degli abiti: era divertente vedere Siria impazzire davanti
alle
pressioni dei sarti e__
-Purtroppo temo
di dover sottrarre Siria a questo indubbio
piacere, ragazze mie.-
Tutt’e
quattro le giovani trasalirono, colte di sorpresa
dalla voce calda che echeggiò nel corridoio buio che avevano
appena superato;
Mirime e Talia si volsero immediatamente in quella direzione, scoccando
alla
figura apparsa dal nulla uno sguardo che poteva definirsi solo estremamente
scocciato.
Aslan era
lì, maestoso ed enigmatico come sempre; sorrise,
sereno, in risposta alle espressioni indispettite della Custode e
dell’Ancella.
-Nessun
problema!- trillò invece Siria, incapace di credere
a tanta fortuna, scivolando via dalla presa delle amiche ed affiancando
immediatamente il leone. -Non vi dispiace, vero?- chiese, speranzosa,
strappando una risata esasperata a tutt’e tre: Siria avrebbe
fatto più o meno
qualsiasi cosa per evitare gli interminabili incontri con quelli che
lei,
invece di sarti, definiva sadici figli di meretrici.
Talia le rivolse
una smorfia allegra, annuendo. -Tranquilla,
vorrà dire che chiederemo a Caspian le tue misure. Dovrebbe
averci fatto
l’occhio ormai, vero?- le chiese, maliziosa, ma Siria si
limitò a rivolgerle un
luminoso sorriso pieno di gratitudine prima di seguire Aslan nella
direzione
opposta a quella delle amiche.
Il leone, che
aveva accuratamente evitato di ascoltare
l’ultimo commento della mezz’elfa,
accennò con l’enorme testa al porticato che
conduceva alle stalle.
-Vai a sellare
Destriero. Ti aspetto ai cancelli.- le
ordinò; lei, ubbidiente, lo superò subito e
s’incamminò, ma Aslan la richiamò
indietro. -Siria? Porta con te lo scettro.-
.
.
Le
ultime carezze del Sole morente dipingevano polle dorate sulle Colline
di
Cenere – ciò che rimaneva dei dolci rilievi alla
base Monte Pire, l’ultimo
baluardo dei territori narniani.
Siria
smontò dalla sella istoriata di Destriero con delicatezza,
avvertendo il
respiro stringerle dolorosamente il petto quando lasciò
scivolare lo sguardo
sulla curva ondulata di quelle alture ancora impresse a fuoco nella sua
memoria.
Quello
era il luogo dove lei si era arresa.
Aslan
la precedette e s’incamminò verso il punto in cui,
Siria lo rammentava alla
perfezione, lei si era abbandonata – esausta,
sconfitta, perduta – non
più di una manciata di giorni prima; si affrettò
a seguirlo, correndo
nonostante sentisse le gambe indolenzite da tante ore passate a
cavallo. Per
fortuna aveva indossato i suoi soliti abiti,
rimuginò fra sé, perché non
avrebbe resistito a quella giornata di viaggio con gli stupidi abiti
che le
erano stati rifilati a palazzo… allungò
distrattamente una mano verso la
custodia che portava sulla schiena, sentendo il gelo dello scettro
sfiorarle le
dita in un tocco distratto eppure amichevole, ed istintivamente strinse
anche
la spada, intimorita dalla familiarità con cui
quell’antico manufatto si
rivolgeva a lei.
-Perché
siamo qui?- domandò, trattenendo l’affanno, quando
Aslan arrestò la propria
marcia nel punto più alto delle colline e si volse,
finalmente, a guardarla.
Sotto
di loro Siria vide che di cenere non ce n’era, ma la terra
era nera e bruciata
come il fondo di una torcia spenta.
Aslan
sospirò, socchiudendo gli occhi quando comprese che Siria
aveva riconosciuto il
punto in cui erano.
-Jadis
è stata una grande strega.- parlò, finalmente,
ignorando il sussulto della
rossa quando nominò la sua malvagia antenata. -Non ho mai
condiviso il suo modo
di agire, né ho mai perdonato le sue malefatte…
ma era una donna molto
intelligente ed altrettanto esperta nella sua magia.-
continuò, la voce che si
smarriva nei ricordi – nella malinconia di ciò che
avrebbe potuto essere e non
era stato.
-Jadis
era un mostro.- Siria si arruffò nervosamente i capelli,
cupa in volto,
stringendo nervosamente l’elsa di Kain. Aslan sorrise.
-Eppure
anche lei ha amato, una volta.- commentò, misterioso,
facendo sgranare gli
occhi alla più giovane delle sue figlie.
Mosse
qualche passo e s’avvicinò alla fanciulla,
facendole cenno di estrarre lo
scettro che aveva portato con sé; lei eseguì
immediatamente, scoccando
all’oggetto uno sguardo confuso e tormentato.
Non
voleva avere nulla a che fare con Jadis, ma sapeva che quello scettro
era in
grado di accordarsi sulla stessa musica che cantava la sua anima.
-Jadis
ha confidato nel suo scettro più che in qualunque altro
essere vivente. Vi ha
infuso la sua stessa essenza ed ogni incantesimo che ha compiuto.- le
spiegò
Aslan, paziente, vedendola rabbrividire ed allontanare il
più possibile quel
manufatto da sé. -È un oggetto malvagio, e
preferirei che tu non lo
conservassi.-
Lei
tirò un lungo respiro, grata, ma scosse nuovamente la testa.
-Non
posso nemmeno abbandonarlo. Qualcuno potrebbe appropriarsene.-
negò, mesta:
avrebbe preferito seppellire lo scettro di Jadis in una delle stanze
sotterranee del castello e dimenticarlo per sempre, ma sapeva che non
era
possibile farlo – inoltre come poteva, lei, sopravvivere
senza qualcosa che
l’aiutasse a compiere i primi passi nel mondo della magia?
Senza uno scettro
non sarebbe stata in grado di controllarsi, avrebbe finito con il
combinare
guai… per quanto odiasse l’idea, quel
compagno le serviva.
Aslan
non rispose subito alla sua obiezione. Si allontanò un poco
da lei,
passeggiando con aria assorta in quel mare di finissima cenere del
colore del
piombo, gli occhi bruni rivolti al cielo.
-In
questo luogo tu sei morta e rinata nel fuoco che Jadis ha cercato di
strappare
a Narnia molti e molti secoli fa.- disse, infine, voltandosi e
guardandola con
tanta intensità da trasmettere l’ormai familiare
sensazione di essere trafitta
da una spada. -Sei un miracolo, figlia mia.-
La
strega sussultò, arrossendo, quando quelle parole affettuose
l’avvolsero in un
calore che contrastava con il vento impetuoso che sferzava la base del
Monte
Pire.
Lei
era un miracolo…
Non
si era mai considerata nulla più di un crudele scherzo del
destino, ma gli
ultimi avvenimenti l’avevano costretta a rinunciare a quella
consapevolezza che
tanto l’aveva afflitta e tormentata da quando sua madre era
stata uccisa.
Le
fiamme che le avevano portato via Zaira, che avevano crudelmente ucciso
sua
madre e la sua innocenza di bambina, lei le aveva sempre odiate: non
aveva mai
accettato di portare in sé il fulcro dello stesso elemento
che tanto male le
aveva causato… eppure il fuoco le era rimasto accanto
nonostante lei tentasse
di estirparlo da sé, proteggendola e salvandola quando
persino lei si era
arresa alla maledizione che una magia crudele le aveva impiantato nel
cuore.
Jadis
aveva tentato di sottrarre il Fuoco a suo padre. Invano.
Lei
era l’esempio vivente del fallimento della Strega Bianca:
aveva tentato di
spingerla ad odiare se stessa, il proprio ruolo di Paladina, la propria
natura
– il proprio padre ancestrale –
per ridurla ad un semplice burattino fra
le sue mani… l’aveva dannata, le aveva imposto una
sofferenza indicibile da cui
solo la morte avrebbe potuto liberarla.
E
così era stato.
Non
era più in grado di definirsi un mostro, Siria.
Il
mostro era spirato, con lei, nel momento stesso in cui aveva preferito
sacrificare la propria vita pur di non permettere a quel demonio di
strega di
tornare a calcare il suolo di Narnia, pur di proteggere coloro che
amava; e, in
quello stesso istante, Siria aveva smesso di odiare quel fuoco che era
semplicemente sempre stato parte di lei.
-Non
ha mai avuto un sepolcro.- le sussurrò Aslan, con tatto, e
lei sorrise quando
capì che il leone aveva seguito in silenzio il corso dei
suoi pensieri, senza
intromettersi e permettendole di giungere all’unica
conclusione possibile.
Strinse
entrambe le mani sul manico metallico dello scettro, rivolgendo a
quell’entità
antica e misteriosa un saluto ed un ringraziamento per tutto
ciò che le aveva
permesso di fare, di essere, di diventare: Jadis e le sue trame, il
mostro che
lei si era portata dentro, quell’oggetto dannato che tanto
bene aveva fatto…
tutto il dolore che aveva passato le aveva permesso, finalmente, di
accettare
se stessa e di liberarsi di quelle morse che, in fondo,
l’avevano aiutata a
crescere.
-Allora
diamoglielo.- mormorò, serena.
Come
già in battaglia aveva fatto, brandì con
decisione lo scettro della Strega
Bianca e lo scagliò nel terreno dinanzi a sé,
là dove la fenice aveva
abbandonato le sue catene e spiccato il volo verso la
libertà.
I
cristalli riverberarono di un bagliore scarlatto quando la sua energia
dirompente li attraversò, diramandosi nel terreno brullo che
lo circondava.
Quasi immediatamente, rispondendo all’inconscio comando della
strega, le ceneri
si animarono e si sollevarono in decine di spire, voluttuose ed
intricate, che
salirono ad avvolgersi graziosamente attorno al fusto improvvisamente
opaco
dello scettro.
Strabiliata,
Siria osservò il calore della propria energia diramarsi in
quelle migliaia di
granelli scuri, sciogliendoli per poi saldarli attorno
all’artefatto incantato
in una delicata composizione di rovi vetrificati che, delicatamente e
senza
violenza, lo cinsero in un abbraccio da cui nessun essere vivente
avrebbe più
potuto sottrarlo.
-Cento
volte cento anni in questo posto lo purificheranno da ciò
che Jadis ha fatto di
lui.- sentenziò Aslan, pacato, e lei poté quasi
avvertire un sospiro di
sollievo provenire dallo spirito improvvisamente sonnolento e
pacificato del
bastone.
Respirò,
finalmente, anche lei. I bollenti venti di Archen, che spiravano
perennemente
attorno al Monte Pire donandogli quel nome a lei tanto affine,
lì non erano
altro che una piacevole brezza calda, così diversa dalle
prime correnti fresche
che ultimamente giungevano, di sera, al castello di Caspian.
Il
tramonto riempiva la figura imponente e frastagliata della montagna di
bagliori
rossastri, dorati e sanguigni; il Sole stava lentamente sprofondando al
di là
dell’orizzonte, avviandosi pigramente verso il mare lontano,
e la pace ed il
silenzio di quell’istante le colmarono lo spirito, sempre
inquieto, di una
quasi ascetica serenità.
-Però
ad una strega serve uno scettro, no?-
La
voce di Aslan, musicale e rilassata, non la distrasse subito da quel
momento di
contemplazione, fondendosi con naturalezza al sussurro dei venti; ma,
quando la
sua mente comprese ciò che lui le aveva appena suggerito, si
voltò.
-Cosa…-
fece per domandare, ma le parole le morirono in gola quando, dinanzi a
sé,
trovò ad attenderla la figura slanciata di un dono del tutto
inaspettato.
Uno
sfarfallio scarlatto occhieggiò giocosamente verso di lei
quando uno degli
ultimi raggi solari sfiorò la superficie liscia e levigata
di uno dei manufatti
magici più belli che Siria avesse mai visto.
Lo
scettro che era apparso al comando di Aslan – non poteva
venire da nessun altro
– avrebbe potuto essere scambiato come il fratello di quello
che Siria aveva
appena abbandonato: a differenza del primo, però, non era
composto da cristalli
ma da un legno chiaro, levigato e delicatamente istoriato nei due punti
in cui
la struttura si divideva per lasciar spazio all’impugnatura
di quello che
sembrava argento e in cui era incastonato il rubino che aveva
sfavillato nella
luce del Sole.
-…oh.-
fu tutto ciò che la raminga, attonita, riuscì a
dire.
Era
suo.
Il
cuore le batté forte nel petto quando, senza attendere un
invito, allungò le
mani e trasse al petto quell’artefatto nato per essere sia di
sostegno alla sua
magia sia come arma, dato che le estremità si
assottigliavano fino ad
inguainarsi in due punte affilate forgiate nello stesso metallo che ne
componeva il centro.
-Questo
scettro è nato dalla stessa magia che ha forgiato la falce
di Mirime, le pietre
di Aysell e l’arco di Talia.-
-Pensavo
che quell’arco le fosse stato donato da un archeniano.-
mormorò distrattamente
lei, troppo impegnata ad ammirare quel presente meraviglioso per
accorgersi
realmente di ciò che Aslan le stava dicendo.
Avvertiva
una sensazione familiare, frizzante, guizzare nel legno lucido che le
scivolava
dolcemente sotto le dita: riuscì ad identificarla solamente
qualche attimo più
tardi e allora sorrise, emozionata, sentendo strane lacrime di
commozione
salirle agli occhi senza che lei sapesse bene perché.
C’era
vita in quello scettro.
Si
riscosse un poco, alzando lo sguardo pieno di gratitudine verso il
leone mentre
si stringeva istintivamente al petto quel dono tanto apprezzato.
-Infatti.-
ridacchiò lui in risposta al suo commento di poco prima,
guadagnandosi
un’occhiata curiosa da parte della ragazza che, non per la
prima volta, si
chiese quante fossero state le volte in cui Aslan era intervenuto per
le sue
figlie senza però permettere loro di percepire la sua
vicinanza.
Avrebbe
voluto porgli altre mille domande, perché sentiva di essere
rimasta separata da
lui per troppo tempo e avrebbe desiderato colmare subito quel vuoto; ma
lui
agitò la criniera, voltando poi le spalle ai rovi di cenere
vetrificata e
facendole cenno di seguirlo.
-Avanti,
ora dobbiamo fare ritorno.- la esortò, e la giovane si
affrettò a correre al
suo fianco, scorgendo già la folta criniera di Destriero
agitarsi nel vento che
spirava fra le Colline di Cenere. -C’è un gran
ballo che incombe, e i sarti non
attendono.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
. Buonsalve a tutti! Come va? Oggi qua
finalmente
c'è il Sole, che scalda un po' le mie vecchie ossa
intirizzite e
aiuta il mio umore a non essere nero come al solito. In sostanza, oggi
Peter può tirare fiato: non cercherò di ucciderlo
(forse).
Questo capitolo è lunghissimo, e ci sono tantissime cose da
dire al riguardo!
Caspian è tanto carino, il mio amore per lui cresce
esponenzialmente ogni volta che mi ritrovo a descriverlo, a muoverlo, a
farlo respirare... saranno le orecchie, ma non riesco a resistergli,
è più forte di me! Nella scena dell'incoronazione
mi
è piaciuto parlare di lui come del Re che è
diventato,
non più come il ragazzo che la banda di mercenari ha rapito
dieci mesi prima di quel momento. Ci sono un sacco di accenni in quel
primo pezzo: Edmund e Tara (che io shippo tantissimo, sono una cosa
meravigliosa), Peter e Shaylee (che avranno il loro spazio nel prossimo
capitolo), Cornelius (AMATELO QUANTO LO AMO IO), Caspian e Siria.
Caspian e Siria *O*
Invece le ragazze al banchetto mi hanno fatta rotolare dal ridere: sono
quattro buffone, e Siria è una stronza di prima categoria xD
però, in fondo, chi non avrebbe cercato di darsela a gambe
da
quella palla di festa?
Ah, e Cornell ha citato il titolo della fanfiction senza che io me ne
accorgessi xD quando l'ho notato sono rimasta sbigottita, non era
voluto però devo dire che non ci sta male come affermazione!
Per la questione dell'ubriachezza molesta e condivisa delle Figlie di
Aslan mi pare che Siria si sia spiegata bene (rischiando lo scalpo), ma
mi ripeto: lei non può ubriacarsi perché, essendo
fuoco,
brucia l'alcool prim'ancora che entri in circolo. Lo stesso non
può dirsi delle altre! Solo che, non essendo molto brave a
gestire quel rapporto mentale che hanno ora (e che non hanno mai avuto
a questo livello di profondità) capita che Siria si senta un
tantino influenzata... mi sa che dovranno trovare il modo di chiudere
la mente, oppure qua non si fa più sesso per paura di essere
"sentite" xD
Che ne pensate di Glozelle? Io personalmente lo adoro, per questo ho
deciso di tenerlo agli ordini di Caspian: ha un futuro, quell'uomo!
Ed ecco che si profila all'orizzonte la sfida più ardua per
la
nostra Siria: un gran ballo di gala! Si accettano scommesse su quanto
ci metterà a dar fuoco a tutto...
Aslan si rende utile ogni tanto, no? Non molto, ma abbastanza per non
rischiare la falcidiatura da parte di Mirime U_U
Nel prossimo capitolo vedremo tornare un personaggio che era stato
molto apprezzato, il conte elfico Galador e compagnia (molto meno
apprezzata); le fan di Aaron e Susan dovranno attendere fino a quello
dopo, il conclusivo, per poter fangirlare indegnamente su una scena
tutta loro; idem per le amanti della coppia Edmund/Tara!
Quindi ora che ci aspetta? Il ballo e? Ma il gran finale, ovviamente! I
prossimi due capitoli sono in stesura, ma io sono in fase di
trasloco... spero di riuscire a essere puntuale con gli aggiornamenti,
o almeno farò in modo che qualcuno aggiorni per conto mio ^^'
Avrei tante altre cose da dire ma non me ne viene in mente
nessun'altra, quindi vi lascio e ci sentiamo prestissimo! Ah, e questa
è un esempio di come ci siamo immaginate la corona di
Caspian
(non in questi colori, ma pace) xD:
(...sì, è quella di Game of Thrones!) . .
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
Rasi e merletti invadevano la
sala da ballo, illuminata a giorno da centinaia di lunghe candele
candide, frusciando in un calzante contrappunto alla delicatezza della
musica dei liuti, delle viole e delle arpe.
.
Gli abiti delle dame
erano uno sfoggio di quell’opulenza talvolta pacchiana che
Talia non aveva mai apprezzato; eppure, nascondendo un sorriso, si
lasciò ipnotizzare dalle magnifiche coreografie di luci e
intrecci del taffettà e dell’organza, lasciando
vagare la sua attenzione sulle semplici sequenze di passi della basse danse.
.
Sul pavimento di fine
marmo bianco risuonavano i tacchi delle ballerine, in un coro di
cembali e di nacchere tanto armonioso da strapparle un sorriso.
.
Caspian aveva dato
fondo ai tesori reali per quella festa, ne era certa: il buffet era il
più glorioso che lei avesse mai visto – e lei era
cresciuta dagli elfi,
che avevano un concetto estremamente ricco della gestione di un evento
mondano soddisfacente – e comprendeva molti tipi di verdure e
cereali, che erano stati cucinati appositamente per le
personalità non umane presenti al ballo; il castello
telmarino era stato tirato a lucido e riarredato per
l’occasione, e l’immenso lampadario
d’argento che era stato fatto installare pochi giorni prima
era talmente bello da far quasi male al cuore.
.
Da tutto il loro mondo
erano giunti i più nobili e gli altolocati, ansiosi
d’incontrare il Re del più grande dei regni e di
guadagnarsi il suo favore – peccato che nessuno di loro
avesse lunghi capelli rossi e profondi occhi blu,
ridacchiò la mezz’elfa, lisciando
inconsapevolmente fra le dita la sottile stoffa della sua svolazzante
gonna del colore del Sole al tramonto.
.
Lasciò
scorrere lo sguardo sugli astanti che non ballavano, riempiendosi la
mente dei colori accesi delle tuniche calormeniane e dei bizzarri abiti
di Archen, sospirando di piacere alle tonalità
più delicate delle divise d’ordinanza dei
dignitari di Ettins e di Narnia: era
un commovente tripudio d’arcobaleni quello che le si stendeva
dinanzi, ma lei era alla ricerca di un semplice fuoco corvino.
.
Scovò Siria
esattamente dove aveva immaginato di trovarla: la sua amica si era
rifugiata in un provvidenziale riparo momentaneo al di là
del colonnato che divideva la pista da ballo vera e propria alla zona
in cui i più ciarlieri potevano sedere e discorrere
liberamente e, da come si stringeva le mani sulle braccia nude e
tormentava il collarino di stoffa da cui si diramava il suo abito,
sembrava in procinto di una combustione spontanea.
.
Talia
ridacchiò, sorseggiando l’idromele che le era
stato offerto con una grazia invidiabile.
.
.
Siria la
guarda con l’aria sconsolata di chi sta andando al patibolo,
ma Talia si limita a stringersi nelle spalle mentre Mirime, meno
diplomatica di quanto si impegni a sembrare di solito, si abbandona ad
una serie di imprecazioni che fanno inorridire lo smilzo garzone del
sarto che sta presenziando alla prova della rossa.
.
-Oh,
ma non è possibile!- sbotta infine la pleiade, ed i piccoli
refoli che la sostengono a qualche centimetro da terra turbinano,
oltraggiati. -Caspian è un idiota.- aggiunge, scoccando
un’occhiata di rimprovero a Siria che, per tutta risposta,
stringe le labbra per non mettersi a piangere dal nervoso.
.
-Mia
lady, parlare così del Re non__- interviene il mastro sarto,
oltraggiato; Mirime si volta di scatto, trucidandolo con i luminosi
occhi color topazio.
.
-Taccia!-
gli intima, e quello impallidisce quando i venti che spirano attorno
alla pleaide si scuriscono minacciosamente.
.
La
ninfa torna ad ignorarlo, riportando la propria attenzione
sull’abito che Siria sta provando e che – Talia non
può fare a meno di sogghignare – le va
irrimediabilmente stretto sul seno.
.
-Oh,
datemi ago e filo, ci penso io!-
.
Aysell,
al fianco di Talia, non ce la fa: scoppia a ridere quando un paio di
forbici appaiono in mano alla mora e si avvicinano pericolosamente alla
pelle di Siria, che rimane stoicamente immobile sebbene sembri sul
punto di darsela a gambe.
.
La
mezz’elfa, a sua volta, si lascia sfuggire una risata che le
fa guadagnare un’occhiata assassina da parte dell'amica
– “tra
un po’ le uscirà il fumo dalle orecchie”,
si dice, e decide saggiamente di uscire prima che la tanto millantata
Strega Rossa perda il controllo di se stessa e decida che, dopotutto, a
corte non hanno bisogno di una sartoria.
.
Quando
si chiude alle spalle la porta della sala, trova Caspian che ridacchia
quasi convulsamente appoggiato alla parete. Scuote la testa, esasperata.
.
-Non
dirmi che hai dato le misure sbagliate ai sarti.-
.
Quel
Re poco serio si limita ad annuire, sfoderando quel ghigno sardonico ed
accattivante che fa capitolare Siria ogni singola volta, ma che lei si
limita a trovare assolutamente esilarante.
.
-Le
ho solo… moderate un poco.- si giustifica il giovane, e lei
non può far altro che sgranare gli occhi davanti a
quell’affermazione tutta matta.
.
-Ma
perché?- sospira infine, cogliendo
dall’espressione mefistofelica del ragazzo le sue vere
intenzioni. -Dannazione, Caspian, sono sarti! L’avrebbero
vista comunque, non è che puoi fare il modesto sulle misure
della tua donna perché non vuoi che le guardino le__!-
È
la risata del Re, piena e tonante, che copre il mirabile eloquio di
Talia prima che possa causare un’accusa di oltraggio al
buoncostume.
.
. Stupido principino pervertito e
geloso.
.
Per fortuna di Siria,
Mirime aveva passato gli ultimi secoli a sferruzzare ininterrottamente
per combattere la noia ed era stata in grado di rendere
l’abito originale ancora più bello: i sarti
avevano disegnato per lei un modello lungo e svasato, con un ardito
spacco che lasciava intravedere il biancore del polpaccio snello. La
gonna si apriva come una corolla scarlatta attorno alle sue caviglie,
scurendosi nel risalire le forme della strega fino al nero
più profondo; per ovviare ai danni di Caspian, Mirime aveva
tagliato una piccola scollatura che lasciava intravedere il solco del
seno, intrecciando poi la chiusura dell’abito sulla nuca
dell’amica.
.
Era un bel vestito e le
stava d’incanto, ma Siria sembrava comunque la creatura
più infelice dell’universo.
. Quante storie per uno stupido
ballo di gala; si erano vestite a festa tutt’e
quattro, non era un dramma!
.
Ridacchiò,
vedendola sussultare e svicolare quando un paio di dame sembrarono
volersi avvicinare per fare conversazione – ma la sua
attenzione, in un istante, venne attirata dalla snella e altera figura
dell’elfo che si stava dirigendo verso di lei.
.
-Padre!-
esclamò, aprendosi nel primo sorriso sincero della serata e
correndo ad abbracciare Galador che, sereno e bellissimo come sempre
nel suo completo bianco, la strinse con dolcezza al proprio petto.
.
-Mo duinne, pensavo
non ti fossi accorta di me.- le mormorò
all’orecchio, facendola ridere: lei lo aveva visto ore prima
– era arrivato assieme al Concilio Elfico al completo per
presenziare alla festa –, ma aveva accuratamente evitato ogni
contatto con gli elfi che lo circondavano.
.
Come lei, Galador
vestiva alla foggia degli elfi: gli umani erano rimasti sconvolti dalla
lunghezza scandalosa della gonna d’organza di lei, che le
arrivava appena oltre il ginocchio, e ancor più dalla
sfacciataggine del corsetto di broccato arancio che le fasciava il
torso snello – la seta la avvolgeva interamente, e di seta
erano anche i fiori della tiara che le tratteneva i capelli scuri e la
stoffa che foderava le sue scarpine dal tacco alto.
.
Per gli elfi un
abbigliamento del genere era decoroso, elegante e squisitamente fine: gli umani erano troppo pudici
per i suoi gusti, aveva decretato – a parte
certuni soggetti che, a suo parere, avrebbero dovuto imparare a tenere
le mani al loro posto qualche volta di più.
.
-Una creatura come
Talia renderebbe fiero qualsiasi genitore, Galador.-
.
Padre e figlia
s’inchinarono con rispetto ad Aslan che, per quella sera,
sembrava meno ingombrante del solito e aveva passeggiato fra gli
invitati con un’imperturbabilità invidiabile,
ignorando serenamente gli sguardi sbigottiti di chi lo aveva creduto
solo una leggenda.
.
-Infatti lo sono sempre
stato, mio signore.- annuì l’elfo, passando un
braccio attorno alla vita della giovane. -Ma il mio mondo mi ha
impedito di vederla diventare ciò che è ora, e lo
rimpiangerò per tutto il resto della mia esistenza.-
aggiunse, contrito.
.
Talia
sospirò, appoggiando brevemente la fronte contro la sua
spalla: non aveva mai fatto colpe a Galador per non averla protetta
– sapeva che non avrebbe potuto farlo –, ma lui
continuava a perseverare in quel rimorso che lo avrebbe perseguitato
forse per sempre.
.
Aslan, cogliendo
l’ombra di dispiacere nelle iridi della Figlia, sorrise.
.
-Forse non
sarà necessario.- commentò, criptico come suo
solito, prima di spostare lo sguardo alle spalle dei due. -Gwynnead,
Dealtháir, quale onore: l’intero Concilio si
è mosso da Elishebra-zahirah alla mia chiamata.-
salutò, e Talia alzò di scatto la testa per
rivolgergli un’occhiata stranita: quello era veramente sarcasmo?
.
Fu certa per un istante
di vedere uno scintillio d’intesa nelle iridi bronzee del
leone, ma non ebbe il tempo di recepirne il significato: ai due lati di
Galador, con una mossa che sembrava fatta apposta per impedirle di
svignaserla, erano apparsi due elfi biondi che s’inchinarono
elegantemente al cospetto del Grande Leone, rivolgendo poi
un’occhiata trionfante alla loro vittima di turno –
lei.
.
-Ci muoveremo sempre in
aiuto di Narnia, grande Aslan.- si profuse subito Dealtháir,
che Talia ricordava come un leccapiedi di prim’ordine: era il
cugino di Gwynnead e si assomigliavano come due gocce d’acqua
– probabilmente
anche in simpatia.
.
-Sì, ne sono
certo.- fu il commento, un poco ironico, del leone, che le diede la
conferma di quanto i sentimenti di entrambi i suoi padri coincidessero
coi suoi nei confronti del Concilio Elfico. -A questo
proposito… sarebbe opportuno trovare un canale di
comunicazione più rapido ed efficace dei soliti, non trovi?-
aggiunse il felino, inarcando un sopracciglio.
.
-Trovo assai! Il
Concilio ha già in programma di__-
.
-Forse potremmo evitare
una lunga e tediosa discussione, Gwynnead?- Aslan interruppe la bionda
quasi subito, e Talia non poté fare a meno di ridacchiare
fra sé nel vedere lei inghiottire sdegnosamente una protesta
davanti al Signore di Narnia che aveva oltraggiato la sua filippica.
-Non pensate, Onorabili, che sia opportuno far sì che la
nostra riverita Maelfiachra__-
.
La mezz’elfa
sgranò gli occhi, allibita: perché stava tirando
in mezzo lei!?
.
-…papi!?-
sibilò, ma inorridì quando Galador
terminò la frase di Aslan proprio come se
l’avessero provata un milione di volte – e chissà, magari era
anche vero, dannazione!
.
-__debba avere la
possibilità di essere più presente nella vita del
suo beneamato popolo?- domandò, e lei vide chiaramente le
espressioni dei due elfi illuminarsi di soddisfazione.
.
-Ma certo, Onorabile!-
sbottò, sarcastica, ma Galador ignorò il tono un
poco isterico della sua voce e si aprì in un sorriso
entusiasta.
-Vedete? È
d’accordo con noi!- esclamò, deliziato; la bruna
gli scoccò un’occhiata assassina.
.
-Ma veramente io__-
tentò di nuovo ma, ancora una volta, il padre la interruppe.
.
-Senza comunque
trascurare le sue responsabilità di Custode, ovviamente.- “Ovviamente! Non ho
altro da fare, io!” -Maelfiachra è la
candidata ideale per divenire l’ambasciatrice che non abbiamo
mai avuto, Onorabili.-
.
-Approvo la tua
decisione, Onorabile.- annuì Aslan, soddisfatto, ignorando
l’espressione terrificata che si era dipinta sul volto della
sua Custode.
.
-Oh, ma andiamo!-
sbottò la mezz’elfa, ma sapeva già che
era troppo tardi per fermarli: le espressioni bramose di Gwynnead e
Dealtháir non avrebbero lasciato spazio ad alcuna protesta
da parte sua.
.
Prima che qualcosa in
lei decidesse autonomamente di rinchiudere genitore biologico, padre
ancestrale e condivisori di etnia in un qualche tumulo vita natural
durante, decise saggiamente di svicolare dall’abbraccio di
Galador e fiondarsi verso il punto in cui aveva visto Siria, decisa a
mettere quanta più distanza possibile fra sé e
quel manipolo di immortali deficienti.
.
La sua amica
però si era defilata da qualche altra parte, e lei
masticò un’imprecazione tanto colorita da far
sussultare il giovane marchese a cui passò di fianco mentre
decideva all’istante di servirsi un’altra generosa
dose di idromele.
.
Fu lì che
Caleb la trovò, dieci minuti più tardi, con gli
zigomi arrossati dal liquore e le labbra che articolavano bestemmie a
profusione.
.
-Tutto bene?- le
domandò, attonito, avvicinandosi a lei con circospezione:
Talia, in quelle situazioni, poteva essere più pericolosa di
qualunque Strega Bianca fosse mai esistita a Narnia o in altri mondi.
.
-Non esattamente.-
mugugnò lei, passando le dita sulla stoffa testa del
corsetto ricamato e scuotendo la testa, sconsolata. -Credo che mi
abbiano appena incastrata.-
.
. Non si era mai vergognata tanto
in vita sua.
.
Siria si torse
nervosamente le mani, tentando inutilmente di confondersi il
più possibile con gli affreschi delle pareti
dell’immensa sala da ballo; si sentiva sotto accusa
– si sentiva maledettamente
osservata mentre cercava di mantenere un basso profilo e di non
incrociare gli sguardi degli invitati al ballo indetto per festeggiare
l’incoronazione di Caspian.
.
Cominciò
nervosamente a torturare l’orlo dell’abito nero e
scarlatto che fasciava delicatamente il suo corpo snello, i lunghi
capelli raccolti in un’acconciatura elaborata che le inondava
le spalle di infronzolati riccioli color mogano.
.
Si sentiva nuda e
inerme senza la protezione della sua lunga zazzera e senza la sua
adorata calzamaglia di pelle.
.
Non era abituata a quel
tipo di abbigliamento: le scarpe dal tacco alto erano meravigliose,
d’accordo, ma rischiava in continuazione di inciampare
nell’orlo infuocato dello splendido vestito che tanto era
stato difficile farle indossare – non che non le piacesse,
anzi, era bellissimo… ma
non era da lei.
.
Era una mercenaria,
santo cielo!, una guerriera abituata a sangue e scontri e battaglie e
gente che tentava di farla fuori ad ogni pie’
sospinto… non certo a cerimonie di gala in presenza di
almeno un centinaio di persone fra dame e cavalieri!
. Caspian gliel’avrebbe
pagata.
.
Era tutta colpa del
neo-Re di Narnia se si trovava in quella spinosa ed imbarazzante
situazione: l’aveva guardata in un certo modo, sgranando gli
occhioni nerissimi in una richiesta quasi implorante che
lei… che lei non era riuscita a rifiutare.
.
“Stupido ricciolino!”
.
Essere guardata la
metteva a disagio, le faceva desiderare di scomparire nel nulla entro
poco più di un istante: sentiva addosso gli sguardi
compiaciuti degli uomini presenti al ballo, quelli invidiosi e scettici
delle dame e delle duchesse… quanto, quanto avrebbe
desiderato essere sul campo di battaglia, in quel momento.
.
-Lady Siria,
è un onore fare la sua conoscenza.-
.
Siria alzò
di scatto gli occhi, allibita, sorprendendosi nel ritrovarsi un giovane
lord calormeniano a poco più di un metro da lei. Il tarkaan
era alto, dalla carnagione scura come tutti gli abitanti di Calormen;
portava la barba corta e curata, gli occhi erano scuri e le spalle
larghe, proporzionate.
.
Il suo aspetto era
piacente, nulla di straordinario ma comunque affascinante; Siria
distinse alcune gentildonne rivolgerle uno sguardo irritato, segno che
avrebbero desiderato per sé l’attenzione che
invece stava rivolgendo a lei.
.
-L’onore
è mio… suppongo.- mormorò, a disagio,
sorridendo di un sorriso incerto e poco convinto – dove diavolo era finito Caspian!?
.
Le mancava soltanto che
il calormeniano sconosciuto le chiedesse di__
.
-Mi concede
l’onore di un ballo, mia lady?- le chiese, infatti, senza
darle nemmeno il tempo di finire di formulare quel pensiero.
.
Siria sgranò
gli occhi, senza riuscire a mascherare la sincera paura che quella
domanda le aveva appena provocato.
.
“Ma perché tutta la
gente che mi vuole ammazzare non c’è mai quando ne
ho bisogno!?”
.
Lei non sapeva ballare
– o, per meglio dire, era in grado di ballare le danze del
popolo, quelle che da bambina festeggiava con sua madre, Gwaine e suo
fratello a Beltane, intorno ai falò… ma i balli
di gala, nella fattispecie uno con uno sconosciuto cavaliere che
avrebbe preferito mille volte sfidare a duello, erano tutta
un’altra storia!
.
Sapeva, per quanto
fosse poco esperta della vita di corte, che quello era un chiaro segno
d’interesse da parte del tarkaan; da quello che aveva letto
sui libri che aveva rubato nel corso degli anni il corteggiamento di
una dama iniziava proprio in quel modo…
.
“Roba da pazzi! Ma qualcuno
scateni una guerra in questo momento, per favore!”
.
Non aveva la minima
intenzione di accettare quell’invito, poco ma sicuro: di
certo non avrebbe permesso che quel ragazzo poco più che
adulto la corteggiasse… anche perché sarebbe
stato, per lui, assolutamente inutile e potenzialmente fatale.
.
-Io non…-
iniziò, non sapendo bene come declinare l’invito
senza scatenare una dichiarazione di guerra, maledicendo fra
sé chiunque avesse inventato l’etichetta di corte.
.
-Lady Siria ha
già promesso un ballo a me, mio tarkaan.-
.
L’irrequieta
strega si voltò di scatto ed un sorriso, luminoso e
sollevato, illuminò repentinamente il suo volto quando
riconobbe il portamento fiero e regale di Peter nel giovane apparso
quasi magicamente alle sue spalle.
.
.
-Mio Re,
mio Generale.- saluta il ciambellano, inchinandosi a Caspian e a Siria
che, come sempre, presenzia silenziosamente alle udienze del suo Re.
Caspian gli rivolge un cenno amichevole, liquidando i convenevoli con
un gesto della mano. -Sono giunti a corte i messi del drappello di lord
Pevensie.- riferisce l’altro, obbediente, e subito Siria
drizza le spalle e si pone in ascolto.
.
-Quali
notizie recano?- domanda Caspian, inarcando un sopracciglio in
direzione della sua compagna.
.
-Buone,
mio Re. Lord Pevensie ha compiuto il suo dovere con la massima
perizia.- Siria, alle spalle del bruno, si permette un breve sorriso:
sa che non esiste guerra che Peter non possa vincere, se ci si mette
d’impegno. -I messi hanno però comunicato che,
sebbene nessuno scontro sia stato particolarmente sanguinoso, lord
Pevensie è rimasto ferito durante una colluttazione.-
.
Il
gelo che ghermisce Siria è talmente repentino e prepotente
che anche Caspian, improvvisamente preoccupato, ne avverte la presenza.
.
-Con
permesso.- la rossa s’inchina sbrigativamente e si ritira,
scendendo dalla piattaforma del trono ad una velocità che ha
dell’invidiabile.
.
-Siria!-
la chiama indietro Caspian, ma lei è già corsa
via verso le balconate che danno sul giardino esterno, col cuore che le
martella orribilmente il petto.
.
“Peter
è vivo”, continua a ripetersi, tentando di
convincersene quando incespica sui gradini, rovinando a terra e
scorticandosi le mani sulla nuda roccia del pavimento esterno
– ma si costringe a balzare immediatamente in avanti,
ignorando il bruciore ai palmi che ha teso per attutire la caduta.
.
Non
può nemmeno pensarlo: Peter la odia, è forse
l’unica persona a desiderarla morta più di quanto
lei stessa abbia mai fatto… ma non può andarsene
in un modo così stupido, senza significato.
.
“Non
si lascerebbe mai ammazzare da qualcuno che non sia
io…” si ritrova a pensare, disperata: le deve
almeno questo, ed è convinta che lui lo sappia.
.
Eppure
è con il cuore in gola che raggiunge, trafelata, la
balaustra da cui sa di poter scorgere il battaglione in arrivo;
è con l’angoscia negli occhi e nello spirito che
scruta voracemente le fila dei soldati, alla ricerca di un qualsiasi
segno che possa dar pace alla sua anima in pena.
.
Glozelle
è in testa alle truppe, che lo seguono con
l’adorazione cieca di un esercito dinanzi al più
nobile dei condottieri; al suo fianco, vestito di una semplice tunica
azzurra e con una spalla fasciata che occhieggia dal risvolto della
stoffa, cavalca serenamente l’antico Re Supremo di Narnia.
.
Vivo.
.
Il
sollievo è tale da farle tremare le gambe.
.
Torna
a respirare, Siria, allentando la morsa delle dita sulla pietra della
ringhiera e rivolgendo un esausto ringraziamento al cielo terso e
limpido che splende sopra di lei.
.
Peter
sta bene: questo è tutto ciò che le interessa.
.
Si
lascia sfuggire un mezzo sorriso un poco triste, malinconico: le manca
così tanto…
.
È
improvviso, inaspettato, l’attimo in cui gli occhi celesti
del maggiore dei Pevensie si alzano verso di lei, allargandosi di
sorpresa quando riconoscono la sua inconfondibile sagoma nella penombra
del porticato.
. Sussulta, Siria, pugnalata dal
gelo che vede annientare la serenità nello sguardo del
giovane nel momento in cui la guarda – e non riesce a non
distogliere lo sguardo, sconfitta, ritirandosi rapidamente
nell’amorevole abbraccio del buio prima che quei turchesi
affilati possano trafiggerla ancora una volta.
.
.
Era stato Caspian,
pochi minuti dopo, a trovarla esattamente dove lei si era rifugiata:
nella grande biblioteca del palazzo, apparentemente immersa nella
lettura di un grosso tomo dall’aspetto noioso e con gli occhi
arrossati e lucidi.
.
Siria scosse la testa,
tornando bruscamente al presente e lanciando un’occhiata
contrita a quello che, al momento, era il suo problema più
fastidioso –
scarpe escluse.
.
Il biondo indossava un
abito non troppo sfarzoso, affascinante ma, allo stesso tempo, non
eccessivamente appariscente; la tunica che fasciava il petto ampio era
di un blu profondo, le rifiniture erano dorate e gli stivali alti
racchiudevano i calzoni chiari che completavano il suo abbigliamento
– quei colori
erano quelli del suo regno, della Narnia che era stata ma che non era
più.
.
In quelle vesti Peter
pareva perfettamente a suo agio: gli occhi azzurri erano tranquilli,
pacati, calmi come solo quelli di un Re potevano essere.
L’espressione era affabile ma sempre attenta, i capelli
biondi incorniciavano il suo viso con un’eleganza quasi
distratta.
.
Il calormeniano si
profuse immediatamente in una rapida scusa, defilandosi nella folla
dopo nemmeno un istante; evidentemente, lo sguardo
d’ammonimento del Re Supremo era bastato per intimidirlo.
.
Siria
sospirò, sollevata, sentendo la morsa
dell’imbarazzo sciogliersi dal suo petto.
.
-Grazie.-
mormorò a mezza voce, alzando timidamente lo sguardo sul
volto di quello che una volta era stato il suo amico; ma
l’espressione di Peter era impenetrabile, le iridi azzurri
erano fisse in un punto non precisato sulla sua sinistra, le labbra
soltanto lievemente contratte.
.
Siria sentì
qualcosa di spiacevole contorcersi dentro di lei a quella vista: Peter
pareva tollerare appena la sua presenza… eppure era
intervenuto, vedendola in difficoltà si era subito mosso per
aiutarla – perché, perché
continuava a comportarsi così?
.
Non c’era
più motivo di provare tanto astio nei suoi confronti: le
sembrava di avergli chiaramente dimostrato quanto fosse pentita di
quelle bugie, di avergli nascosto la verità su
ciò che lei era e sarebbe sempre stata.
.
-Non mi piacciono i
calormeniani.- commentò, distante, già pentito di
essersi intromesso in quella questione; non avrebbe dovuto avvicinarsi
tanto a Siria, avrebbe fatto soltanto del male tanto a lei quanto a se
stesso… -E poi vorrei evitare una dichiarazione di guerra
perché quel tizio ti ha guardato un po’
troppo… Caspian è un po’ esagerato in
queste cose.- aggiunse, senza riuscire ad evitarselo: e, suo malgrado,
un mezzo sorriso increspò per un attimo le sue labbra nel
sentire l’accenno di risata della ragazza accanto a lui.
.
-Probabilmente
è vero.- Siria annuì debolmente, un minuscolo
calore che sembrava accendersi dentro di lei: per una frazione di
secondo aveva intravisto il suo amico in quel viso alieno, il Peter a
cui aveva imparato a voler bene…
.
-Dovrai accettare un
ballo, però. Sei la compagna del Re, ci si aspetta che tu
sia affabile con gli ospiti.- per poco Siria non rischiò
seriamente di cadere da quei dannati trampoli che portava al posto
degli stivali quando Peter si espresse in quel commento capace di farla
sobbalzare violentemente.
.
-Io non so ballare.-
esclamò, arrossendo, abbassando lo sguardo verso
l’orlo del suo vestito; avrebbe soltanto fatto una figuraccia
se avesse anche solo provato a ballare con uno qualsiasi dei
presenti…
.
Peter si decise
finalmente a guardarla, sorpreso.
.
Siria era a disagio in
quel luogo, in mezzo a quel tipo di persone; poteva capirla: era
cresciuta in mezzo alle foreste e aveva passato gli ultimi sei anni a
catturare delinquenti per conto di Miraz…
.
Era tenera, in quel
momento, con gli occhi blu lucidi d’imbarazzo e le guance
color porpora. Non sembrava nemmeno la guerriera dallo sguardo
tagliente che aveva imparato ad apprezzare, non sembrava nemmeno la
strega che gli aveva nascosto di essere…
.
Non riusciva
più ad essere se stesso, con lei: il rancore era ancora
troppo grande – forse non sarebbe mai sparito, forse il loro
legame era andato perduto per sempre… non riusciva a farsene
una ragione, Peter, Siria gli aveva mentito ed era una strega, una strega
esattamente com’era stata Jadis…
.
Ma non poteva lasciarla
lì, spaesata e confusa in un mondo che non le apparteneva e
che sapeva essere forse anche più crudele di quello che
Siria conosceva già, non quando avrebbe potuto fare qualcosa
per aiutarla.
.
Sospirò, ben
sapendo che se ne sarebbe presto pentito.
.
-Non è
difficile. Vieni.- disse, piano, porgendole il braccio dopo solo un
istante d’esitazione.
.
Siria rimase allibita
da quel gesto, da quell’offerta che non si sarebbe di sicuro
aspettata.
.
Finalmente riusciva a
guardarlo negli occhi, finalmente poteva osservare il viso che aveva
imparato a leggere e a conoscere tanto bene: le sembrava che Peter
stesse facendo uno sforzo immenso per fare ciò che stava
facendo, per tentare di mettere da parte il rancore, per aiutarla a
muovere qualche passo in quella realtà che le era del tutto
sconosciuta.
.
Sentiva uno strano
desiderio crescere nel petto, Siria: aveva voglia di piangere, di
urlargli in faccia quanto si stesse comportando da idiota, quanto gli
volesse bene, quanto avesse bisogno che lui tornasse ad essere il Peter
a cui lei era tanto affezionata; avrebbe voluto prenderlo a
pugni, costringerlo ad arrabbiarsi e a sfogare finalmente
quell’astio che non spariva mai quando la guardavam
.
Ma riuscì
soltanto ad annuire, lo sguardo perso ed un poco implorante, posando
una mano stranamente curata sul braccio di Peter.
.
Quella situazione era
surreale, del tutto fuori da ogni logica.
.
Intravide Caleb
rivolgerle uno sguardo sorpreso, ma sollevato, quando il biondo la
condusse in un angolo non troppo in vista della parte della sala
destinata al ballo – Caleb sapeva bene quanto Peter non fosse
esattamente bendisposto nei confronti di Siria e quanto la raminga ne
soffrisse: gli strilli isterici della rossa erano giunti più
volte alle sue orecchie, in quei giorni, quando persino Talia si era
stufata di ascoltarla inveire contro quello stupido di un
Supremo Imbecille.
.
La giovane strega si
sentì arrossire furiosamente quando Peter posò
una mano sul suo fianco e prese l’altra nella sua –
gesti misurati, calmi, ma più vicini e amichevoli di quanto
non fosse stato, con lei, negli ultimi tempi.
.
-Sei rigida come un
pezzo di legno. Non ti faccio niente, su.- lo sentì
commentare – l’orribile
cicatrice sul braccio di lei, celata dalla magia, bruciò
indignata a quell’affermazione –;
tuttavia lo udì soltanto, poiché i suoi occhioni
blu erano inchiodati decisamente verso il basso, molto interessati ai
ricami sulla tunica di lui.
.
Suo malgrado, Peter
dovette ammettere con se stesso di sentirsi abbastanza a suo agio.
Siria era incredibilmente carina in quel momento, più di
quanto avesse potuto immaginare: le guance rosse, lo sguardo basso, le
mani che tremavano nelle sue… sembrava una bambina spaurita
più che l’indomita guerriera che Aslan aveva
proclamato sua diletta e Generale di Narnia – figlia della stessa magia che
Aslan aveva annientato senza requie.
.
La guidò in
qualche passo senza troppo impegno, sentendola sciogliersi appena e
seguirlo, un po’ più sicura.
.
-Ecco, hai visto? Non
è una cosa impossibile.- lo sguardo sarcastico che la
ragazza gli rivolse gli strappò un sorriso – un
sorriso breve, effimero, che scomparve con una rapidità
disarmante.
.
Accostò il
viso ai suoi capelli, sfiorandole la fronte con le labbra. Siria era
tesa, lo sentiva, la capiva… ma non riusciva ad essere
comprensivo com’era stato una volta, con lei, non riusciva a
consolarla come avrebbe voluto fare.
.
Il peso della
verità aleggiava ancora fra loro, tenendolo più
lontano da lei di quanto in realtà avrebbe voluto essere
– le voleva
bene, la adorava, gli mancava da morire…
.
…ma non
riusciva più ad essere se stesso con quella donna che gli
ricordava dolorosamente il più terrificante dei suoi incubi.
C’era ancora Jadis, fra loro, a separarli con quel velo di
ghiaccio che Peter poteva percepire adagiato sulla propria anima.
.
-Non ti senti a tuo
agio, vero?- le chiese, piano.
.
Siria scosse
vigorosamente la testa mentre le dita si stringevano sulla spalla del
giovane Re; sentiva che avrebbe desiderato restare accanto a lui ancora
un poco, cullandosi nell’illusione che tutto fosse tornato al
proprio posto…
.
-Per niente. Voglio una
guerra, adesso.- borbottò, piano, scorgendo le labbra di
Peter piegarsi in un altro lievissimo sorriso – erano sempre stati rari i
sorrisi di Peter, quelli veri.
.
Forse… forse
avrebbe dovuto dirgli chiaramente quanto si sentisse in colpa per tutto
ciò che gli aveva nascosto. Dopotutto Peter non era proprio
un genio con quel tipo di cose: era un bravo guerriero ma il suo
intuito spariva improvvisamente ogni volta che si trovava a confronto
con le persone…
.
-Peter, mi__- lo
sguardo improvvisamente ammonitorio e freddo di Peter la
zittì immediatamente, gelandola dentro: gli occhi azzurri
dell’Alto Re erano inchiodati nei suoi, lontani e tormentati
come li aveva visti soltanto poche volte, le mani che si irrigidivano
contro di lei mentre continuavano a ballare.
.
Durò
soltanto un attimo, nulla più di un battito di ciglia:
l’istante più tardi, il volto di Peter era tornato
ad accostarsi ai suoi capelli rossi, un sussurro lieve che le
solleticava la fronte.
.
-Stai zitta. Per
favore.- le chiese, piano, soffiando un bacio su quei crini scarlatti
prima di allontanarsi delicatamente da lei, avvertendo la musica
interrompersi per qualche attimo.
. Fuggire, stavolta, era
più semplice che restare per morire di nostalgia.
.
Siria rimase immobile,
guardandolo allontanarsi e stringendosi le braccia intorno al torso;
provava di nuovo quell’insano desiderio di piangere, di
sfogarsi in qualche modo che comprendesse un’arma di qualche
tipo – e Peter, possibilmente, a cui frantumare in testa il
suo dannatissimo orgoglio ferito.
. Stava seriamente cominciando a
detestare quella festa.
.
Avrebbe soltanto voluto
ritirarsi nel buio fragrante e familiare della foresta, lontano da
tutto e da tutti, avvolta soltanto dal profumo vivo delle fronde e dei
tronchi e accolta nel grembo di quella madre da cui non riusciva a
separarsi.
.
Avrebbe preferito
trovarsi ancora alla Casa di Aslan, braccata dai telmarini, pur di non
sentirsi tanto a disagio in un luogo che non le apparteneva minimamente.
.
Un odore piacevole e
conosciuto la colpì improvvisamente, facendole socchiudere
gli occhi e disegnando subito un lieve sorriso sollevato sulle sue
labbra.
.
-Non lo capisco
più.- mormorò, avvertendo il calore di una
persona in particolare alle proprie spalle, mentre la sua presenza
faceva vibrare corde ben precise nel suo cuore e nella sua mente.
.
-Dagli tempo.
È un idiota, non pretendere troppo.- la voce di Aaron
riuscì a strapparle una risata, con quel commento ironico e
pieno di qualcosa molto simile all’esasperazione.
.
Si voltò
verso suo fratello, grata, la malinconia e il disagio che si
dissolvevano alla sua presenza come foschia notturna dinanzi al Sole.
.
Era bello, Aaron,
quella sera. Suo fratello era sempre stato splendido ai suoi occhi, ma
in quel momento emanava un’aura di pacatezza e galanteria che
non aveva mai avuto occasione di scorgere in lui; la tunica scura
contrastava magnificamente con i folti ed elegantemente arruffati
capelli del colore del fuoco, gli stessi di Siria, che scendevano ad
approfondire il taglio profondo di quei magnetici occhi color del
ghiaccio.
.
-Questo è
vero.- la ragazza sorrise, rivolgendogli un’occhiata
riconoscente che celava un’inquietudine ben più
che radicata.
.
Poi lo
scrutò per qualche istante, perplessa: lo sguardo di Aaron
era tagliente e lei non faticò ad accorgersene, sebbene il
giovane stesse tentando di mantenere un certo contegno…
.
-Ma è una
mia impressione o hai la tua solita espressione da fratello maggiore
mordace?- gli chiese, ironica, inarcando un sopracciglio quando lui le
rivolse un’occhiata chiaramente esasperata.
.
-Ho tutte le ragioni,
sai? Ti stanno guardando un po’ troppo, per i miei gusti.-
commentò.
.
Siria
arrossì furiosamente, abbassando lo sguardo e sentendo le
guance andare a fuoco: ecco, voleva di nuovo sparire, trovare un
caminetto e ficcarcisi tutta intera…
.
-Ma non
c’è niente da guardare, che la smettano!-
borbottò, torturando nuovamente quelle mani che Aysell e
Susan si erano tanto impegnate per rimettere in sesto.
.
Aaron la
squadrò, allibito da quella frase, per un istante dimentico
degli sguardi ammirati dei troppi lord presenti quella sera.
.
-Siria, ti sei vista?-
le domandò, sinceramente sconvolto dall’abissale
ingenuità che sua sorella stava dimostrando di possedere
– eppure era sempre stata una donna sveglia e attenta, come
poteva essere tanto sciocca da non capire quanto fosse attraente in
quel momento?
.
Lei scosse la testa,
facendo ondeggiare i boccoli scarlatti sulla pelle d’avorio.
-Veramente no, non mi hanno messa davanti a uno specchio, ma non__-
.
Aaron, spazientito, la
zittì con uno sguardo e la prese bruscamente sottobraccio,
trascinandosela appresso fino alla grande specchiera che troneggiava al
centro della parete laterale della sala, circondata da arazzi e
dipinti: la spinse con poca grazia davanti al proprio riflesso,
ignorando le proteste di lei.
.
-Ecco, guardati.- le
intimò, esasperato, cercando disperatamente Susan con lo
sguardo e trovandola, a poca distanza, sorridente e divertita
dall’espressione che si era appena dipinta sul volto della
sorella del suo amato.
.
-Oh.- esalò
infatti la rossa, ed Aaron ridacchiò nel vederla inarcare un
sopracciglio in direzione della dama elegante e sensuale che vedeva
dipinta sull’antico vetro dello specchio. -Sono una donna.-
aggiunse, passandosi distrattamente le mani sui fianchi e sentendo il
profilo del bacino delinearsi sotto le dita, disegnato con una maestria
incredibile dalla stoffa delicata del vestito e dal corsetto interno
– da quando
aveva un punto vita?
.
-Esatto.-
annuì lui, sollevato, sottraendola all’analisi
corrucciata che stava facendo di se stessa e prendendola, stavolta
più gentilmente, a braccetto. -Una bellissima donna per cui
il tuo adorato Caspian sta smaniando, al momento.- aggiunse, accennando
al Re che – “finalmente,
ecco dov’era!” –, impegnato
com’era con quelli che sembravano degli alti dignitari del
suo paese d’origine, era costretto a limitarsi a lunghe
occhiate preoccupate ed inequivocabilmente gelose nei confronti della
sua compagna.
.
Lei gli
scoccò uno sguardo assassino, strappandogli un sorriso,
prima di sollevare nuovamente gli occhi sul fratellastro che,
misericordiosamente, la stava conducendo verso l’angolo meno
affollato dell’intero salone.
.
-Sto diventando matta,
questa storia è del tutto assurda. Io non sono una donna di
palazzo, Aaron!- sbottò, esasperata, ringraziando la
provvidenziale colonna che troneggiava in quell’angolo per
appoggiarsi un istante e massaggiarsi i polpacci indolenziti; si
sollevò nuovamente un istante più tardi,
rivolgendo uno sguardo profondamente angosciato al fratello.
.
Il giovane guerriero
sospirò, comprensivo, prendendola per mano e tirandola a
sé; e Siria, grata, si abbandonò contro al suo
petto e si permise un unico, breve sospiro strozzato, serrando le dita
sulla stoffa della veste di lui e nascondendo il viso in
quell’accogliente oscurità.
. Per la prima volta, quella sera,
sentì la morsa che l’affliggeva sciogliersi un
poco.
.
-Prendi fiato.- le
consigliò Aaron, accarezzandole delicatamente i capelli. Lei
negò, affranta.
.
-È inutile,
non ce la faccio.- sussurrò, sentendosi più
colpevole di quanto avrebbe avuto ragione d’essere: lei non
apparteneva a quel genere di situazioni e nessuno con un minimo di sale
in zucca – nemmeno Peter, santo cielo! – avrebbe
avuto l’ardire di sostenere il contrario o di biasimarla per
questo, eppure… eppure
era rimorso ciò che lei sentiva agitarsi dentro di
sé. -Voglio darmela a gambe.- aggiunse,
sconsolata.
.
-Fuggiamo, allora. Solo
facciamo presto, prima che qualche arpia di Ettins provi di nuovo a
darmi in moglie una qualche sua nipote di sedicesimo grado.-
.
Aaron
scoppiò a ridere quando Siria, sussultando,
abbandonò la sua stretta per voltarsi e scoccare al
sopraggiunto ex-principe di Telmar uno sguardo che avrebbe ridotto a
più miti consigli persino una dragonessa inferocita.
.
-Ecco, giusto te.-
sbottò, avanzando a passo marziale verso di lui e
picchiettandogli nervosamente l’indice sul petto. -Mi hai
abbandonata in mezzo a gente sconosciuta che mi chiede di ballare e che
mi guarda come se fossi una cortigiana pronta a dispensare i suoi
servizi al miglior offerente!-
.
Caspian
inarcò un sopracciglio e ridacchiò divertito,
rivolgendole quell’espressione intensa ed ironica che
– “dannato
lui!” – riusciva sempre a rabbonirla;
per tutta risposta lei sbuffò, indispettita, tentando di
ignorare la sensazione di sollievo che la colmò
nell’attimo stesso in cui Caspian le cinse la vita e la
trasse a sé.
.
Scosse la testa,
arrendendosi al tepore familiare e seducente di quella stretta e
abbandonando delicatamente la testa sulla spalla del giovane,
lasciandosi cullare dal ritmo cadenzato e regolare del suo respiro: le era mancato così
tanto…
.
-La prossima volta mi
presento in armatura, sappilo.- mugugnò, inarcando
impercettibilmente il collo sotto la tenue – impudica
– lusinga che il tocco di Caspian stava disegnando nel
sensibile incavo della sua spalla.
.
-Sarebbe uno spettacolo
fantastico.- le sussurrò, seguendo con lo sguardo la carezza
che, scivolando in punta di nocche lungo il profilo tonico del suo
braccio, scese ad intrecciarsi gentilmente alle dita di lei. -Vieni.-
la invitò soltanto, e lei – stregata
– si lasciò docilmente rapire dalla confusione di
quel luogo, sperduta com’era in quegli ammalianti occhi neri.
.
La condusse via,
lontano dal chiasso e dai colori troppo vividi della festa, sentendola
sospirare di sollievo nel momento in cui il buio fragrante della notte
li avvolse nella quiete del porticato meravigliosamente deserto,
distante dalla musica e dal brusio ininterrotto delle chiacchiere.
.
Siria ebbe, tuttavia,
il tempo soltanto per riempirsi i polmoni dell’aria fresca
della sera – perché
il suo esistere, ogni fibra del suo essere, furono attratti e travolti
in una stretta che la coinvolse in un bacio intriso di passione.
.
Il freddo della roccia
sulla schiena nuda le trasmise un delizioso brivido che, mescolandosi
all’ardore del corpo tonico e dolorosamente agognato che
l’aveva intrappolata in quella morsa contrastante di gelo e
di passione, annientò ogni bruttura dai suoi pensieri,
lasciandovi solamente lui a regnarvi – incontrastato e dominante, Re
del regno come lo era del suo corpo, del suo animo, di ogni particella
del suo amore.
.
Assaporare quel bacio
fu come tornare a respirare: troppi erano stati i giorni di carezze
forzatamente limitate, di sorrisi e di strette fugaci nelle ombre dei
corridoi mai del tutto deserti, di distanze imposte dalla situazione e
dalle esigenze… Siria si lasciò sfuggire un
gemito, figlio del sollievo e della sofferenza, infilando le dita fra i
soffici capelli scuri del giovane uomo e avvicinandolo spasmodicamente
a sé.
.
Il tempo perse ogni
significato in quell’abbraccio, in quell’incendio
mai sopito che ribolliva persino nelle ossa; prendere fiato, tornare al
presente – il
chiasso lontano della festa feriva l’udito, l’aria
fresca si rincorreva nei brividi sulla pelle nuda delle braccia
– fu, per Siria, un bisogno malvoluto ed inaccettabile.
. Voleva annegare lì,
anima e corpo, vittima sacrificale e compiacente del carnefice
più dolce.
.
Caspian
accennò un sorriso, accarezzandole con una delicatezza
inimmaginabile il profilo dello zigomo e seguendo distrattamente
l’immaginario disegno che le lentiggini parevano intrecciare.
-Perdonami per tutto questo. Se avessi potuto evitartelo lo avrei
fatto.- mormorò e, per la prima volta, Siria vide incrinarsi
lo sguardo sempre controllato di lui: era stanco, Caspian, e qualcosa
le suggerì che anche lui desiderasse ardentemente fuggire da
quell’evento tanto grandioso quanto detestato.
.
-Presumo che essere una
Figlia di Aslan comprenda anche il dovere di presenziare ai balli del
Re.- lo rassicurò, giocherellando con uno dei riccioli scuri
che le si era intrecciato alle dita e ostentando una
serenità che non lo convinse nemmeno per un istante; in
risposta alla sua espressione scettica lei sospirò,
sconfitta, chinando la testa e posando la fronte sulla spalla nodosa
del ragazzo. -Dimmi che mi porti via davvero.-
.
-Non chiedermelo due
volte.- fu la risposta rapida e tormentata che il giovane le rivolse,
sorprendendola. Alzò lo sguardo, stupita, e seppe per certo
che la sua intuizione non avrebbe mai potuto essere più
giusta: aveva imparato a cogliere ogni sfumatura sul volto di Caspian,
ogni ruga d’espressione per lei aveva un significato ben
preciso – ed
era stanco, il suo Re, stanco e a disagio esattamente come lei.
.
Il bruno socchiuse gli
occhi, accostando le labbra ai soffici boccoli in cui i capelli di
Siria erano stati acconciati – ma lui avrebbe voluto
scioglierli, annodarli in quei crini scompigliati che gli solleticavano
il petto quando lei si muoveva nella piccola alcova di paglia, parca,
distante milioni di miglia dalla gabbia dorata di quel castello pieno
di sguardi.
.
La giovane
sospirò, rilassandosi un poco nell’incavo delle
braccia di lui: vivere ai limiti della sua vita, costringendosi a
sfiorare appena quell’uomo con cui aveva condiviso tutto per
così tanto tempo, era stata una tortura a cui non si era
aspettata di reagire tanto male. Serrò i polpastrelli sulla
stoffa scura degli abiti di Caspian, imponendosi di respirare a fondo
per non perdere il controllo sulla frustrazione che le palpitava
sottopelle ormai da giorni.
.
-C’è
un’ultima incombenza che dobbiamo risolvere…- fu
il sussurro che la strappò ai suoi pensieri, e lei non
poté che reprimere l’imprecazione istantanea che
la consapevolezza di ciò a cui si riferiva Caspian le
presentò alla mente; lui, conscio di quanto la irritasse
anche solo il pensiero, sorrise di nuovo e riportò le iridi
scure nelle sue, sollevandole appena il viso in punta
d’indice. -…poi nessuno dovrà avere
l’ardire di disturbarci, almeno per una notte.-
.
.
. Siria doveva imparare a
contenersi, senza alcun dubbio.
.
Peter non
poté che reprimere un mezzo sorriso quando, nervosamente, si
portò fra le prime file degli avventori che si erano
lentamente assiepati attorno alla piattaforma sopraelevata del trono
quando il ciambellano li aveva invitati a raggiungere il Re.
.
Lasciò
scorrere lo sguardo sulle ragazze che, alle spalle di Caspian,
cercavano di mostrarsi per quelle guerriere potenti e stimate che in
tanti avevano già cominciato a mitizzare in canti e ballate
più o meno fedeli alla realtà – se i
cantori le avessero viste ora, però, di certo avrebbero
ridimensionato le immagini fantasiose che le loro parole dipingevano su
quei volti troppo giovani –: Talia cercava di non
abbandonarsi alle risate, ostentando una serietà
tutt’altro che convincente dinanzi all’espressione
rabbuiata di Siria che, a sua volta, fissava Caspian come se avesse
voluto mangiarselo tutto intero; Mirime invece, curiosamente serena in
volto – come
avrebbe dovuto mostrarsi ogni semidivinità pronta a
scatenare piaghe infernali fra i mortali, insomma
–, teneva una mano sulla spalla di un’Aysell
più infuriata che mai, che tormentava la stoffa del proprio
abito e sembrava pronta ad annegare lo sventurato che avesse provato a
rivolgerle anche solo mezza parola.
. Altro che potenti guerriere,
rifletté Peter fra sé: quelle erano quattro
psicopatiche senza un minimo di ritegno!
.
Caspian, in piedi
davanti alla platea che si era riunita nella grande sala del trono,
scoccò alle Figlie di Aslan un’occhiata sconsolata
subito mascherata dall’affabile sorriso con cui, in un
cambiamento tanto repentino quanto ammirevole, si rivolse al suo
pubblico.
.
-Miei graditi ospiti.-
declamò, alzando il calice di cristallo che reggeva fra le
dita in un gradevole gesto di benevolenza che fu accolto da un
borbottio di approvazione da parte degli astanti.
.
Il Re attese che il
silenzio calasse di nuovo prima di parlare ancora, alzando la voce per
permettere a tutti quegli ospiti di sentire ognuna delle sue parole, a
lungo studiate. -È per me un immenso piacere presentare alla
mia corte e a coloro che sono qui, questa sera, una delle
personalità che accompagnerà d’ora in
avanti il cammino dei regnanti di Narnia.-
.
Un educato applauso
seguì l’inchino galante con cui Caspian
invitò Shaylee, sorpresa ma sorridente, ad affiancarlo
– e tutto
smise di esistere nello stesso attimo in cui lei, bellissima e altera
come la più perfetta delle regine, apparve dinanzi al suo
sguardo impaziente.
.
Peter si impose di
mantenere l’espressione neutra e affabile, sebbene il tumulto
che lei causava nel suo animo – solamente esistendo
– fosse quasi ingestibile tant’era la forza con cui
si ribellava alle maglie in cui lo aveva rigorosamente imbrigliato.
. Era più bella che
mai, quella sera.
.
I delicati fiorellini
candidi che ornavano l’elaborata acconciatura della Sovrana
ondeggiarono quando Shaylee rivolse una perfetta riverenza al pubblico
che, avidamente, la osservava; solo Peter, che di lei conosceva ogni
più recondita sfumatura, fu in grado di distinguere gli
inequivocabili tratti del nervosismo e della tensione nel volto di
porcellana della ninfa – eppure
era solamente un’ombra impercettibile, un luccichio
particolare nelle iridi d’oro liquido.
.
-Shaylee, Sovrana delle
Naiadi, ha combattuto valorosamente per liberare nostro regno dalla
tirannide e con altrettanta forza d’animo entrambi sosterremo
le nostre genti nel futuro di pace che ci aspetta.-
.
L’applauso
che seguì fu sincero ed entusiasta: le grandi
personalità di quell’era si aprirono in sorrisi ed
ovazioni quando Caspian innalzò il calice in direzione di
Shaylee, inchinandosi davanti all’amica – ora alleata
– in uno svolazzo del mantello reale che aveva indossato in
occasione di quel discorso.
.
Fu solo un istante, un
incrociarsi di sguardi: Shaylee spostò
l’attenzione da Caspian sulla folla e lì
incontrò quei familiari occhi azzurri che si era imposta di
non cercare, conscia di quanto fossero in grado di destabilizzarla e di
strapparle di dosso tutte le maschere che il suo ruolo le imponeva
d’indossare.
.
Accennò un
sorriso, la Sovrana, sentendo le gote riscaldarsi quando Peter
chinò la testa per rivolgerle una celata riverenza,
portatrice di un sentimento di rispetto e di ammirazione molto diversi
da ciò che avrebbe mai potuto esprimere chiunque altro.
.
La festante accoglienza
di quella nuova alleanza, che sanciva indissolubilmente la pace fra
narniani ed esseri umani dopo secoli e secoli di violenze e soprusi, si
protrasse per diversi minuti: Caspian, da ottimo affabulatore quale
era, attese pazientemente che la gioia per quella ritrovata
serenità scemasse in un educato mormorio pieno
d’eccitazione mentre Peter, dal canto suo, si
ritrovò ad ammirare l’ineccepibile tecnica che il
Re sembrava aver messo a punto per mantenere viva e presente
l’attenzione dei propri ospiti, ritrovandosi poi a sorridere
fra sé quando riconobbe, in quella grandiosa opera di
persuasione, il tocco inconfondibile di suo fratello Edmund.
. Era un gioco di teatro, di
palcoscenico, orchestrato alla perfezione affinché tutto
potesse magnificare lo splendore di quella Narnia in sboccio.
.
-Però, amici
miei, questa era noi siamo qui perché è un onore
ed un onere rendere omaggio alle quattro meravigliose donne che hanno
combattuto al nostro fianco e hanno permesso a Narnia di ritrovare la
pace.-
.
Le prime parole del
giovane Re riportarono definitivamente il silenzio in quella piccola
moltitudine variopinta, ed anche Peter si fece più attento:
un sottile fremito aveva appena attraversato le quattro fanciulle alle
spalle del moro, e l’espressione di Siria si era fatta
improvvisamente più imbarazzata e nervosa di quanto il
biondo non l’avesse mai vista.
.
Gli era inevitabile, e
Peter si odiava per questo: lei era la sua bussola, il volto che
istintivamente cercava per avere conferme e risposte – quelle risposte che erano
mancate nel momento cruciale.
.
Distolse lo sguardo, a
disagio, appena in tempo per vedere Caspian inchinarsi di nuovo
– questa volta, tuttavia, in direzione delle fanciulle che,
sentendosi tirate in causa, si ricomposero davanti alla moltitudine di
sguardi che si raccolsero avidamente sulle loro figure.
.
-Nemmeno fra le mie
più irreali speranze avrei potuto immaginare che sareste
state voi a restituire la giustizia a Narnia.- mormorò il Re
e tutti, in quella grande sala, poterono avvertire il sentimento e
l’emozione riempire per qualche attimo la voce altrimenti
controllata del bruno.
.
Le Figlie avevano
riportato la pace in quel regno dilaniato dalla guerra e nessuno, mai,
sarebbe stato loro grato quanto l’uomo che ne era stato posto
a capo: Caspian doveva la propria corona e la propria rivalsa personale
alle guerriere di Aslan e, come Re, non avrebbe mai potuto dimenticare
quanto fossero state cruciali per la riuscita di
quell’impresa titanica.
.
Eppure c’era
di più: Caspian
era un idealista, rifletté Peter, e la
consapevolezza che proprio quattro creature appartenenti alle
più diverse stirpi di Narnia avessero contribuito alla
disfatta della tirannide di Miraz doveva essere, per lui, la
più grande di tutte le vittorie che aveva ottenuto.
.
Riscuotendolo dal
proprio attimo di riflessione, il Re tornò a rivolgersi alla
platea.
.
-Apparteniamo a razze
diverse, a mondi diversi, ma uno solo è il destino che ha
portato tutti noi ad incrociare le nostre strade. È quindi
con gioia che questa sera, dinanzi ad amici e alleati, dichiaro
ufficiali i ben meritati ruoli che queste giovani, splendide donne
meritano più di chiunque altro.-
.
Caspian si
spostò, facendo cenno alle Figlie di Aslan di affiancarlo in
modo che tutti potessero ascoltarlo e riconoscere, in ognuna, il ruolo
studiato apposta per loro. -Rendiamo dunque omaggio ad Aysell,
Guardiana dell’Acqua; a Mirime, Ancella dell’Aria e
consigliera del Re di Narnia; a Talia, Custode della Terra ed
ambasciatrice fra gli elfi; a Siria, Paladina del Fuoco e Generale
delle Truppe Regie!- declamò, alzando il calice per ognuna
delle ragazze e tutti, in sala, lo imitarono, inchinandosi al cospetto
di coloro che avevano portato a compimento il proprio destino e donato
ad un’intera terra una nuova speranza.
.
-Alle Figlie di Aslan.-
.
Anche Peter
brindò, incrociando per un istante lo sguardo imbarazzato di
Siria e annuendo appena in risposta al suo tremulo sorriso di
ringraziamento; tutt’e quattro s’inchinarono con
eleganza quando la folla le applaudì, segnando il termine
del discorso di Caspian e permettendo così al biondo di
avvicinarsi alla piattaforma dove Shaylee era rimasta a vegliare,
serena ed imperscrutabile, la presentazione ufficiale della sorella.
.
-Mi concede
l’onore di un ballo, mia signora?- le domandò,
sorridendo quando vide le sue spalle sottili sussultare per la sorpresa
di sentire la sua voce; la naiade si volse, gioiosa, e lui
poté chiaramente vedere la cortina di tensione e insicurezza
dipanarsi nelle sue familiari iridi dorate.
.
-Questo e anche molto
di più, mio Re.- rispose Shaylee, scoprendosi tremante e
bisognosa come poche altre volte si era sentita: lei e Peter si erano
separati solamente per la rapida campagna militare di lui, ma il tempo
che avevano passato assieme le era sembrato così
terribilmente breve… bramava soltanto la pace del Regno
delle Naiadi, il quieto zampillare delle fonti all’interno
della corte, la morbidezza dell’erba nella sala principale
– sognava
tutto questo, e di viverlo con lui per il resto dell’esistenza.
.
Si lasciò
condurre al centro della pista da ballo, ignorando gli sguardi
invidiosi delle dame e delle cortigiane – senza nemmeno
vederle, in realtà, perché il suo universo
convergeva in quegli amati capelli biondi e nella dolcezza infinita che
riempiva quei begli occhi azzurri.
.
Toccarlo, lasciarsi
cingere dalle sue mani familiari e calde, fu la più dolce
delle torture; socchiuse le lunghe ciglia castane sugli occhi,
costringendosi a reprimere la commozione e la felicità che
provava lì, fra le braccia di Peter, cullata dalla musica e
dal frusciare della seta.
.
Volteggiarono fra i
danzatori come se nulla esistesse salvo loro, come se il mondo
all’infuori dei loro sguardi fosse avvolto da
un’opalescente cortina d’inconsapevolezza; si
sentiva ebbra, Shaylee, e non avrebbe rinunciato a quella sensazione
per niente al mondo.
.
Peter era
lì, era suo, niente più avrebbe potuto portarle
via quell’uomo che era diventato il centro della sua
serenità, il suo equilibrio; e, quando lui si
chinò per sfiorarle la guancia con un bacio,
rabbrividì e si sentì arrossire come una
ragazzina, aggrappandosi alle sue spalle forti – timorosa di annegare, di
perdersi in quell’incredibile beatitudine.
.
-Devo dirti una cosa.-
.
.
.
Sul marmo delle statue
le gocce d’acqua scivolavano, placide, raccogliendosi negli
incavi come miriadi di perline opalescenti.
.
Aysell, annoiata,
allungò una mano per seguirne la scia in punta di dita
– era
più interessante stare lì, inerpicata sulla
fontana, piuttosto che farsi prendere in giro dagli alti dignitari
stranieri.
.
A quel pensiero, la
naiade digrignò i denti: ragazzina a lei? Aveva nove
secoli di vita alle spalle, come osavano quegli stupidi damerini
darle della ragazzina!?
.
Sbuffò,
stirandosi pigramente sul dorso del cavallo rampante che si ergeva,
maestoso, al centro della piattaforma rialzata circondata dai giochi
d’acqua che, in un momento di indolenza, lei aveva richiamato
a sé.
. Ragazzina.
.
-Ma per piacere.-
mugugnò, scostando bruscamente la treccia scarmigliata dalla
spalla.
.
Quella dannatissima
festa era stata una pessima idea e, di certo, si sarebbe premurata di
far pervenire al Re e al suo caro compare Edmund tutte le sue
rimostranze – avrebbero almeno potuto
dire in giro che lei non aveva quindici anni, maledizione!
.
Nessuno si era degnato
di invitarla a ballare, nessuno le aveva rivolto una riverenza... non
le avevano nemmeno offerto da bere!
. L’avevano forse
scambiata per una paggetta!?
.
Aveva passato la serata
in disparte, chiacchierando con le altrettanto annoiate Tara e Lucy;
Edmund, a onor del vero, aveva provato a rabbonirla un poco e ad
offrirle un giro di danze, ma l’espressione offesissima di
Tara l’aveva scoraggiata dall’accettare.
.
-Non ti
preoccupare, Tara, ne basta uno di Pevensie in famiglia!-
.
Tara, sorpresa, non aveva fatto in tempo a replicare a quel borbottio
divertito che la Guardiana le aveva sussurrato all’orecchio:
Edmund l’aveva presa per mano e se l’era
praticamente trascinata via, lasciando un’esilarata Lucy a
ridacchiare sommessamente in compagnia della naiade.
.
Sospirò.
.
Lucy aveva lasciato la
festa poco dopo il discorso di Caspian, adducendo come scusa una
stanchezza molto poco convincente; anche Mirime, che non amava le
occasioni mondane, l’aveva abbandonata in balia di quegli
odiosi invitati che non sapevano far altro che rivolgerle sorrisetti
accondiscendenti e sguardi inteneriti – insomma, gli stessi che
avrebbero potuto dedicare a un gattino domestico.
.
Nessuno si era accorto
di lei quando, spazientita, aveva abbandonato la sala: Siria era tutta
impegnata a cercare di non pestare i piedi a Caspian mentre ballavano,
Talia cercava di nascondersi dagli elfi e Aslan, beato lui, era
scomparso di nuovo
– e, stavolta, non poteva nemmeno dargli tutti i torti.
.
Il silenzio confortante
di quello specchio d’acqua l’aveva accolta,
comprensivo, avvolgendola nella quiete del giardino deserto; si era
arrampicata sulla statua del cavallo ed aveva giocato per un
po’ con gli zampilli, lasciando poi che il loro mormorio
allegro la cullasse e lenisse un poco l’onta
dell’offesa che aveva subito.
.
Evidentemente,
però, non esisteva un solo posto in quel castello che
potesse considerarsi davvero silenzioso.
.
-Lo sapevo, lo sapevo,
lo sapevo…-
.
Aysell
inarcò un sopracciglio, sbirciando da dietro la criniera per
capire chi
fosse venuto a rompere le scatole nel suo angolino di
serenità; di certo non si sarebbe aspettata di riconoscere
la figura minuta di sua sorella Shaylee nella penombra, occupata a
camminare avanti e indietro come un’anima in pena.
.
La bionda
inclinò la testa, accigliata, scrutando l’altra
con curiosità ed un pizzico di apprensione. Che cosa era successo per
innervosire tanto Shay?
.
-Cos’è
che sapevi?- le domandò, sollevandosi dal suo confortevole
nascondiglio e lanciandole un’occhiata obliqua.
.
Shaylee
sobbalzò, colta di sorpresa, soffocando uno strillo fra le
mani curate e rischiando d’incespicare sui ciottoli; il suono
improvviso spaventò i giochi d’acqua che, timorosi
quanto la loro Guardiana, si ritirarono di scatto nel letto della
fontana.
.
-Aysell, mi hai quasi
fatto venire un accidente!- sbottò la castana, irritata,
premendo una mano sul petto con un certo atteggiamento teatrale che la
sorellina, già esasperata, non mancò di notare.
.
-Se non ti è
venuto vedendo Peter appena sveglia, dubito che potrei mai causartelo
io.- commentò, acida, mentre s’ingegnava per
scendere dal cavallo senza capitolare – e senza strapparsi il
vestito.
.
Comprese
però che qualcosa non andava quando, invece di rimproverarla
come al solito, Shaylee s’incupì ed
abbassò lo sguardo, tornando a torcersi nervosamente le
mani. -Che cosa succede?- le domandò, quindi, una volta
raggiuntala.
.
Shaylee, che sembrava
non aspettare altro che quella domanda, si abbandonò ad un
sospiro affranto e si sedette, con squisito abbandono, sul muretto. -Se
ne andranno.- sussurrò, celando il tormento fra le dita che,
misericordiose, salirono a raccogliere il dolore di quella giovane
Sovrana.
.
Aysell, per tutta
risposta, si limitò ad inarcare un sopracciglio: chi se ne sarebbe andato,
esattamente?
.
La sorella
continuò, imperterrita, senza nemmeno notare
l’espressione interrogativa dell’altra. -I
Pevensie. Aslan ha detto loro che è giunto il tempo di
tornare nel loro mondo.-
.
Fu uno sforzo titanico,
per la Guardiana, impedirsi di alzare gli occhi al cielo.
.
“Mancava soltanto questa! E
adesso chi la tiene più Shay!?”
.
-I-Io sapevo che
sarebbe successo, lo sapevo sin dall’inizio!-
proseguì, infatti, Shaylee. -Tutto questo è
completamente sbagliato, non avrei mai dovuto permettere che
succedesse!- la maggiore si alzò in piedi, ricominciando il
suo angosciato andirivieni ed ignorando completamente il plateale
sbigottimento dipintosi sul volto di Aysell.
.
“Ma siamo sicuri che sia davvero
una brutta cosa, questa? Non è che Peter sia molto utile, al
momento… non che lo sia mai stato, a dire il vero.”
pensava intanto la piccola, ignorando a sua volta i brontolii della
sorella.
.
-Mi sono fidata di
lui… mi sono innamorata di lui, e adesso…-
Shaylee, sconsolata, si fermò, volgendo lo sguardo velato di
pianto al ritratto riflesso sulla superficie dell’acqua.
.
“Okay, forse è il caso
di dirle qualcosa.”
.
-Shay_-
cominciò Aysell, ora sinceramente preoccupata.
.
-Io devo tornare al mio
Regno.- la interruppe subito la castana, drizzandosi di scatto e
rassettandosi la già impeccabile treccia sulla spalla.
.
“Cosa?”
.
-Cosa?-
ripeté, stavolta a voce alta, la più giovane.
.
Shaylee scosse la
testa. -Non voglio essere qui quando partiranno, domani. Non sono in
grado di sopportarlo, mi spiace.- mormorò, rivolta
più a se stessa che all’altra, spazzolando la
veste col dorso di una mano e dandole le spalle.
.
-Shay…-
Aysell tentò di richiamare la sua attenzione, ottenendo
però solamente un testardo silenzio in risposta.
.
La Sovrana delle
Naiadi, in quel momento più simile ad una ragazzina
spaventata che ad una grande regina, cominciò ad avviarsi
lungo il sentiero; la Guardiana la seguì, maledicendo
mentalmente Peter e tutta la sua futura e sciagurata progenie.
.
-Porgi i miei saluti a
Caspian, mi terrò in contatto finché non_-
.
-Shaylee, ora basta!-
.
Lo strillo di Aysell
echeggiò nel grande giardino con una violenza stupefacente,
raggelando Shaylee quando le dita fredde della piccola le si strinsero
fermamente attorno al gomito.
.
Si costrinse a voltarsi
e, stupita, si accorse di quanto sembrasse furiosa la sua sorellina in
quel momento: in quegli occhi grigi, per la prima volta, Shaylee scorse
turbamento e rimpianto – un
ricordo lontano, forse, ma che Aysell non aveva mai condiviso con
nessuno.
.
-Lasciami…
Aysell, lasciami andare.- tentò di convincerla, ma la bionda
la strattonò per impedirle di allontanarsi.
.
-No!- sbottò
la Guardiana, stringendo con una forza impressionante il braccio
dell’altra. -Che cosa vuoi fare, lasciarlo andare via
così?-
.
L’espressione
di Shaylee, in risposta a quelle domande, fu estremamente eloquente.
.
-Ma sei impazzita?-
soffiò, ostile, Aysell. -Vuoi vivere sapendo che non potrai
vederlo mai più, che non saprai mai se starà
bene, se gli mancherai? Vuoi sapere che morirà lontano da
te, vuoi vivere sapendo di non avergli nemmeno detto addio?-
snocciolò, odiando il fremito che avvertì
incrinare le proprie parole.
. Come si poteva essere tanto
crudeli ed egoisti da desiderare un destino simile per sé?
.
-Non puoi fare una cosa
del genere!- strillò, tirando indietro la sorella e
fissandola con una rabbia tale che Shaylee, per un istante, non
riuscì a riconoscerla.
.
-Smettila!-
protestò, riuscendo finalmente a liberarsi dalla morsa di
quelle dita improvvisamente sgradevoli e congelate. -Io__-
.
-NO!- l’acqua
della fontana, alle spalle della Guardiana,
s’intorbidì. -Smettila tu!-
.
La coscienza di Aysell
fremette quando, al suono disperato della sua voce, i pensieri delle
tre sorelle conversero istantaneamente su di lei; le
scacciò, più bruscamente di quanto non avrebbe
voluto, tirando su col naso e costringendosi ad inghiottire il groppo
di dolore e di frustrazione che le si era annodato in gola.
.
Si strinse le mani
attorno alle spalle, avvertendo un freddo sin troppo familiare
strisciarle dentro come un tarlo dispettoso e maligno; Shaylee,
accortasi del repentino cambiare del suo atteggiamento,
provò ad avvicinarla.
.
-Aysell…-
mormorò, conciliante; ma, quando si allungò per
abbracciare la sorellina, quella si ritrasse.
.
-Rimani.-
sibilò, perentoria, la bionda, scoccandole
un’occhiata tanto fredda e furiosa da sedare immediatamente
ogni possibile replica. -Rimani per dirgli addio.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
. Purtroppo ho POCHISSIMO tempo per scrivere le
note dell'autrice, ma ci tenevo a pubblicare il capitolo!
Non ho ancora la connessione internet a casa (mi sono trasferita di
recente), per questo ho tardato tanto con l'aggiornamento e non
riuscirò, per un po', a rispondere alle recensioni e a
scrivere delle note decenti. Però ecco qua il penultimo
capitolo di Rebirth, spero che non ci siano erroracci perché
DreamWanderer ed io abbiamo finito un po' in fretta fra la stesura e la
correzione e quindi potrebbe essere scappato qualcosa ^^'
. .
Nota dell'Autrice:
Seven Gods è
stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al
copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete
averne notizia nel gruppo FB "Uno
sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante
curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di
Rebirth, Narnia's
~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina
personale, Ray;
voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate
sia su EFP
che su Facebook,
che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non
è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo,
sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a
qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
.. .
Sul
limite esterno del promontorio su cui sorgeva il castello di Telmar,
ad un soffio dallo strapiombo che si gettava nel Grande Fiume
accarezzato dal sospiro di libeccio che spirava da est, Aslan
rifletteva.
La
folta criniera s’intrecciava ai capricci del vento, giocoso e
frizzante, ma nient’altro in lui si muoveva. Il suo sguardo,
attento e profondo, seguiva con interesse le minuscole figure delle
persone che, lentamente, si stavano assiepando nella piazza
principale della cittadella, invisibile ai loro occhi almeno quanto
l’aria fresca del mattino.
-Che
cos’hai in mente, Aslan?-
La
voce pacata di Mirime non turbò la profonda meditazione in cui
era assorto il Grande Leone; tutt’altro. Il suo volto
imperscrutabile si distese in un sorriso sereno quando si volse per
accogliere l’arrivo, non del tutto inaspettato, della più
antica delle sue Figlie.
Mirime
aveva rinunciato in fretta all’abito di impalpabili sete
argentee che era stato confezionato per lei dai sarti di corte in
occasione del ballo – suo padre sapeva bene che lei non
apprezzava affatto le occasioni mondane e l’inevitabile
scomodità dei vestiti richiesti, eppure l’aveva trovata
estremamente elegante in quel modello semplice, dalle maniche
voluttuose e spiraleggianti quanto i venti onnipresenti che
s’intrecciavano ai suoi capelli altrimenti lisci e immoti. In
quel momento, infatti, l’Ancella dell’Aria era avvolta in
una delle tuniche incrociate che tanto apprezzava e, stranamente, un
paio di stivaletti le calzavano i piedi solitamente nudi, fasciando
la calzamaglia sino alla caviglia sottile.
Aslan
non le rispose subito, preferendo seguirne lo sguardo ambrato che,
dopo avergli scoccato una lunga occhiata, si volse in direzione delle
grandi porte del castello: erano apparsi due cavalieri sul ponte
levatoio e, immediatamente, la pleiade riconobbe la scapigliata
chioma fulva del più minuto fra i due.
-Li
hai convocati tu.- rifletté, scorgendo Siria illuminarsi
quando si voltò verso Caspian che, sereno, le cavalcava
accanto.
Aslan
tacque ancora, immerso in se stesso, mentre il Sole procedeva
pigramente lungo il suo ciclico sentiero, tracciato in quel pallido
cielo migliaia di anni prima – ed era stato proprio lui,
allora, a disegnare il cammino di quell’eterno viandante.
Spazientita,
la pleiade abbandonò il sostegno delle sue correnti e posò
i piedi a terra, affiancando il padre su quell’altura baciata
dal tepore della timida alba settembrina.
Le
giornate tornavano ad accorciarsi in quel continuo mutare, e
l’autunno aveva già cominciato a tingere gli alberi
d’oro e di scarlatto: la foresta che si stendeva attorno alla
cittadella telmarina era uno spettacolo di sfumature e d’audaci
giochi di colori nel bagliore del mattino, e Mirime avvertì il
sospiro che fremette nelle chiome, raccolto dai venti, quando la
Custode della Terra fece capolino dall’eterna penombra del suo
amato bosco.
Anche
Talia era fuggita dal ballo,
notò Mirime con un mezzo sorriso, distinguendo l’imponente
figura di Caleb e quella minuscola di Tara apparire dal buio poco
dopo la comparsa della mezz’elfa. Anche loro, come Siria e
Caspian, si avviarono in direzione della piazza centrale; due alberi,
intrecciati l’uno all’altro sin dalla nascita e maestosi
nella loro semplicità, erano perfettamente distinguibili anche
da lì, a ridosso dello strapiombo che si affacciava sul fiume.
Poco
dopo, uno scintillio conosciuto attirò l’attenzione
della ninfa su quelle acque perennemente tumultuose: la corte della
Sovrana delle Naiadi emerse dalle correnti, assumendo gradualmente le
fattezze umane a cui ormai, probabilmente, si era abituata. Shaylee –
cupa in volto come Mirime non credeva di averla mai vista –
fu la prima a toccare terra e a terminare la mutazione; si rassettò
la semplicissima tiara – un semplice cerchio d’oro ornato
da uno zaffiro centrale – sulla fronte, impugnò lo
scettro e rizzò le spalle, ostentando una calma che
probabilmente non possedeva.
Aysell
non aveva passato la notte con le sue simili, ma questo non sorprese
affatto la pleiade; la scorse inciampare sui ciottoli della salita
che conduceva alla piazza e ridacchiò, incapace di
trattenersi, quando la profonda irritazione della Guardiana increspò
appena i suoi pensieri, tanto abituati a cogliere ogni sfumatura
dell’umore della bionda.
Aysell
non era contenta di essere stata svegliata presto e lo fu ancora meno
quando, superata la folla che si stava lentamente assiepando,
raggiunse gli alberi intrecciati e si trovò davanti i Pevensie
al completo accompagnati da Cornell, Trumpkin, Tartufello e
Reepecheep.
“Stai
buona”,
le sussurrò, e vide la piccola naiade sobbalzare quando un
soffio di vento le arruffò giocosamente i capelli,
distraendola dal sanguinario proposito di porre fine all’esistenza
di un Peter Pevensie evidentemente già tormentato abbastanza,
a giudicare dalla sua espressione funerea.
Anche
Aaron, il fratello di Siria, era già là. Teneva lo
sguardo fisso sull’orizzonte lontano e le braccia rigidamente
incrociate sul petto mentre Susan Pevensie, non meno tesa, quasi non
respirava nel tentativo di mantenere l’espressione impassibile.
Mirime,
turbata, si strinse le mani affusolate sulle spalle. “Quanti
amanti costretti a dirsi addio…”
Come
se avesse udito quel pensiero, Aslan prese un profondo respiro e
socchiuse gli occhi nella luce opalescente del mattino. -Ogni
avventura ha una fine, Mirime.- le ricordò, paziente, ma la
pleiade scosse la testa e gli scoccò l’ennesima
occhiataccia.
-Questa,
però, li ha cambiati troppo perché tu possa
semplicemente rispedirli indietro.- obiettò, anche se sapeva
quanto quella si sarebbe rivelata l’ennesima discussione
sterile ed irritante: Aslan seguiva regole che lei, seppur tanto
saggia e antica, non avrebbe mai potuto comprendere né
conoscere appieno – regole che non approvava e che non aveva
alcun interesse a fare proprie, oltretutto.
-Non
appartengono a Narnia, e tu lo sai bene.-
Bugia.
I
Pevensie appartenevano a Narnia forse più di qualunque altro
essere umano avesse mai messo piede in quella terra – forse
persino più di Digory e Polly. I due Figli di Adamo e le due
Figlie di Eva avevano combattuto più volte per quel regno,
portando ai suoi abitanti pace e prosperità per quindici anni;
erano tornati per Narnia, perché il loro aiuto era
stato richiesto e loro, come già una volta avevano fatto, non
si erano tirati indietro.
Lei
c’era stata, e non avrebbe mai potuto dimenticare la gioia e la
bellezza della Narnia dei Pevensie.
-Non
sono d’accordo.- replicò, senza dar voce ai propri dubbi
e alla propria frustrazione. Aveva parlato più volte ad Aslan,
implorandolo di riportare Peter e i suoi fratelli a Narnia quando i
telmarini avevano cominciato a sterminare il popolo magico e avevano
costretto la magia a celarsi in se stessa pur di sopravvivere, ma ciò
che aveva ottenuto in risposta a quelle suppliche erano sempre stati
silenzi e frasi criptiche che, dopo tanti secoli, lei non era più
disposta ad accettare.
I
silenzi di suo padre avevano portato le pleiadi al sacrificio
supremo.
Per
proteggere la scintilla di coscienza e di magia nel cuore dei
narniani sopravvissuti e per impedire che gli animali regredissero e
trascinassero con sé – nell’incoscienza della loro
essenza più primitiva – la speranza di una rinascita, le
ninfe dei venti montani avevano rinunciato alla propria vita e
avevano compiuto un atto di profondo eroismo nei confronti della
terra che avevano protetto dall’alba dei tempi: Mirime non
avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che, ancora oggi, portava
nel cuore nel sapere che non avrebbe mai più rivisto nessuna
creatura della sua specie… perché se avesse potuto,
allora, avrebbe preferito andarsene con loro piuttosto che rimanere e
soffrirne la perdita per l’eternità – ma no, lei
era rimasta in vita secondo il volere di Aslan: era sopravvissuta,
intrappolata nella protezione di suo padre ma distante dalla vita che
scorreva rapidamente dinanzi ai suoi occhi, nell’abbraccio dei
suoi venti in cui l’essenza delle pleiadi si era perduta per
sempre.
Amore.
Il
sacrificio delle ninfe era stato un gesto d’amore… lo
stesso amore che aveva intrecciato i destini delle persone che, ora,
Aslan sembrava intenzionato a dividere per sempre.
Un
moto di rabbia – una rabbia profonda, ancestrale, con cui
Mirime aveva ormai imparato a convivere da tanto tempo – le
fece stringere i pugni, vibrando nel sospiro di tramontana che tremò
visibilmente attorno alla sua figura snella.
Aslan
aveva chiesto ai suoi diletti più impegno, dedizione e fiducia
di quanti lui ne avesse mai dimostrati in cambio; con che coraggio,
adesso, voleva imporre le sue stupide leggi con quella calma
innaturale che lei trovava tanto intollerabile?
Era
stanca, stanca di seguire le regole di Aslan: aveva passato
un’eternità in solitudine, si era ritrovata separata da
tutti coloro che le erano stati cari – aveva potuto soltanto
guardareda lontano il mondo che amava sgretolarsi e
rivoltarsi contro se stesso, le sue sorelle rischiare la vita più
e più volte, soffrire e piangere lontano da lei…
ed ora lui voleva costringere anche altre persone a vivere il suo
stesso tormento, la sua medesima agonia?
Se
il sentimento era sincero, dettato dal cuore, chi era suo
padre per porre fine ai legami che si erano creati durante quel lungo
anno che i Pevensie avevano passato a Narnia?
Lei
li aveva osservati durante quel periodo, più attentamente di
quanto in realtà avrebbe potuto fare secondo gli ordini di
Aslan – aveva anche tentato di intervenire, per quanto le
fosse possibile da quella distanza immensa, quando le sue amiche si
erano trovate in pericolo – e non riusciva a comprendere
come quel gattaccio rognoso fosse diventato tanto cieco da non vedere
quanto i destini dei suoi protetti si fossero irrimediabilmente
intrecciati l’uno all’altro.
Il
suo guerriero più fidato aveva trovato qualcuno da amare e che
lo contraccambiava, ed Aslan sapeva quanto questo fosse un
avvenimento poco lontano dall’avverarsi di un miracolo. Portare
Peter via da Narnia, strapparlo alle braccia della donna che aveva
sconfitto se stessa e le proprie paure pur di rimanergli accanto, le
sembrava un affronto troppo spudorato nei confronti di colui che era
stato il Magnifico Re dell’Età dell’Oro.
Anche
i cuori acerbi di Edmund e Tara meritavano almeno la possibilità
di nascere, di fiorire nell’affetto e, chissà, forse in
qualcosa di più profondo e duraturo: il più Giusto dei
Re aveva trascorso tanti anni a rimproverarsi gli errori compiuti da
bambino e, Mirime ne era convinta, aveva diritto di trovare un poco
di serenità e di spensieratezza – magari proprio con
quella ragazzina che, in mezzo alle brutture e allo squallore dei
bassifondi che l’avevano partorita, era riuscita a mantenere
intatta la propria spensieratezza di fanciulla.
Persino
Susan – “la Dolce dal cuore freddo” l’avevano
cantata i fauni, secoli addietro – era stata in grado di
aprire il proprio cuore all’amore! Lei, che da tempo immemore
si presentava tanto algida e terrorizzata dall’idea di perdere
il controllo delle proprie emozioni… come poteva essere tanto
crudele, Aslan, dal volerla dividere da Aaron? Allontanarla da lui
avrebbe significato infliggerle una ferita tale da spezzare per
sempre ogni speranza e serenità nella sua anima…
Si
costrinse a respirare, cercando in sé quella calma che,
tuttavia, sembrava mancare all’appello.
Lei
aveva trascorso secoli e secoli in quel modo indegno che Aslan voleva
imporre a quei poveri ragazzi – no, era sbagliato, era
dannatamente sbagliato! Con quale coraggio si proclamava
giusto e amorevole, lui, per poi decidere di infliggere tanto
dolore a__
“Va
tutto bene.”
Quasi
sobbalzò, la pleiade, quando le voci di Talia, Siria ed Aysell
sfiorarono la sua coscienza in tumulto.
Chiuse
gli occhi, scoprendosi scossa da un tremore furibondo che non aveva
avvertito strisciarle dentro con l’infida eleganza di una
serpe, cercando disperatamente il contatto, a lungo negato, con
quelle anime piene d’amore e d’amicizia; il calore del
Sole sembrò nascerle dentro nell’istante in cui
l’affetto di Siria la toccò, avvolgendola nell’abbraccio
caldo e pieno d’amore che Mirime riconobbe per quello della
bambina che tante volte aveva cullato per proteggerla dagli incubi.
In
quel tiepido vento di fine estate, che spirava incessantemente dentro
di lei, il profumo delle montagne e dei fiumi s’intrecciò
delicatamente alle sue normali percezioni con tanta familiarità
da farle salire le lacrime agli occhi: Aysell, più dolce di
quanto potesse sembrare ad un primo sguardo, aveva nell’anima
lo stesso profumo dei monti fra cui Mirime l’aveva cresciuta e
fra cui avevano vissuto molti anni di serenità; udire per
qualche attimo il canto dei ruscelli e delle fonti d’acqua le
strappò un sorriso – tremulo, incerto, ma pur sempre un
sorriso.
I
petali delle stelle alpine, che mai sarebbero potute nascere in quel
clima mite, le solleticarono le caviglie attraverso la stoffa sottile
della calzamaglia e le s’attorcigliarono giocosamente ai
polpacci snelli. Sentì il volto scaldarsi quando l’ironia
e la giocosità di Talia la travolsero, spazzando via le nubi
dai suoi occhi di topazio e riempiendole l’anima del profumo di
quei fiori che Mirime conosceva e amava da tantissimo tempo.
Avevano
capito.
La
furia che la ninfa provava svaporò nello stesso attimo in cui
comprese che le sue amiche avevano colto il vero motivo della sua
rabbia, il significato celato dei suoi pensieri.
Con
una semplicità commovente le sue sorelle le avevano trasmesso
la consapevolezza che mai più sarebbe stata allontanata da
loro – che condividevano la sua rabbia e la capivano come mai
nessuno aveva potuto fare, che le erano accanto e che nessuna di loro
sarebbe più rimasta sola.
Le
sue sorelle.
Mille
volte mille anni sarebbero potuti passare, ma Mirime non avrebbe mai
potuto perdonare Aslan per averla tenuta lontana tanto a lungo dalle
sue sorelle.
-Tu
credi troppo fermamente nell’amore per permettere tutto questo,
Aslan.- mormorò, dando le spalle al paesaggio mozzafiato che
si stendeva ai loro piedi per fronteggiare apertamente quel padre
sempre tanto criptico, sempre infinitamente silenzioso.
Aslan,
difatti, tacque. Si limitò a sorridere mentre si alzava sulle
zampe, scuotendo un poco la criniera nell’aria tiepida che
spirava dal fiume, rivolgendole un cenno e allontanandosi prima che
Mirime potesse protestare.
Lei
sbuffò, spazientita: era stanca dei silenzi, dopo una vita
passata a tesservi la propria esistenza solitaria, ma sapeva che il
padre non sarebbe mai cambiato; si limitò quindi a
massaggiarsi le tempie, esausta da quella lotta di misteri e di
verità sbocconcellate, prima di decidersi a seguirlo per
raggiungere la piazza e le sue sorelle.
.
.
.
Caspian
strinse con forza la mano sulla spalla di Siria quando, in un
fruscio, sua zia Prunaprismia ed il padre sparirono, assieme al
cuginetto infante, al di là del portale che Aslan aveva aperto
fra i due alberi apertisi ad arco.
Un
coro di esclamazioni sorprese, attutite dal timore reverenziale che
il Grande Leone sembrava incutere nei telmarini, serpeggiò fra
i cittadini; qualcuno, più coraggioso degli altri, alzò
la voce per esprimere il dubbio che sembrava accomunare tutti quegli
spettatori ignari della correttezza quasi maniacale di Aslan.
-Come
facciamo a sapere che staranno bene?- domandò e, in seguito a
quella richiesta, altre voci si levarono per esprimere i propri
timori e la propria diffidenza.
-E
se fosse solo un tranello?-
-E
se fossero già morti?-
Il
giovane Re avvicinò a sé la propria compagna quando, in
risposta all’astio e alla paura che sentiva vibrare negli animi
dei telmarini, la avvertì irrigidirsi e tentare di nascondere
un brivido che lui, tuttavia, riuscì a cogliere.
Siria,
grata, si accoccolò nell’incavo del suo braccio,
respirando profondamente e tentando di sottrarsi all’istintivo
terrore che le era nato dentro nell’udire il vociare della
folla – troppe volte, nella sua vita, quell’ostilità
era stata preludio di dolore e di sofferenza –; non vide,
così, lo sguardo angosciato che Caspian rivolse a Peter, ma
percepì il suo tocco delicato fremere appena mentre le
accarezzava i capelli.
Peter,
dal canto suo, sospirò e scosse la testa, stringendosi nelle
spalle in un gesto che trasudava tutto il senso d’impotenza che
era germogliato dentro di lui nello stesso istante in cui Aslan aveva
spiegato a lui e a Susan il motivo che li avrebbe tenuti lontano da
Narnia, una volta tornati a casa – ma poi, che casa sarebbe
stata quella in Inghilterra, lontano da tutti coloro che avevano
imparato ad amare?
Scoccò
un’occhiata in tralice ad Aslan, ma il leone teneva gli occhi
fissi in lontananza; lo vide però annuire impercettibilmente e
seppe, all’istante, che opporsi alla sua scelta sarebbe stato
completamente vano.
-Credo
che tocchi a noi.- affermò quindi, sconsolato, costringendosi
a non guardare in direzione della corte delle naiadi – in
direzione di Shaylee che, con tutto il contegno di una vera lady,
aveva deciso di presenziare a quell’addio in prima fila,
nonostante il lacerante dolore che, lui lo sapeva, la stava
dilaniando.
Dilaniando
quanto aveva squarciato lui, da dentro, al pensiero di doverle dire
addio.
Un
silenzio attonito accolse le sue parole, sedando le proteste del
popolo e strappando alle Figlie e ai suoi fratelli uno sguardo
sbigottito; fu la voce di Siria, insolitamente stridula, a spezzare
l’attimo una manciata di secondi più tardi.
-Cosa?-
sbottò infatti la rossa, sollevando il volto dalla camicia di
Caspian e rivolgendogli uno sguardo torvo e per nulla rassicurante.
-È
giunto il momento che i ragazzi tornino a casa.- intervenne Aslan,
forse cogliendo il turbinio di rabbia e confusione che aveva animato
la Paladina del Fuoco nel sentire Peter pronunciare quella che poteva
essere classificata solamente come pura follia.
-No!-
replicò lei, incredula, serrando le dita sulla tunica di
Caspian per impedire a se stessa di dilaniarsi i palmi con le unghie.
-Aslan, ma sei impazzito? Non puoi mandarli via!- protestò,
girandosi di scatto per guardare Shaylee – certa di trovare
sdegno e indignazione sul volto altero della ninfa, sicura di
trovarla d’accordo con lei e pronta a ribellarsi a quella
decisione; la Sovrana delle Naiadi, però, socchiuse gli occhi
senza ricambiare la sua occhiata, stringendosi fra le proprie braccia
e scuotendo lievemente la testa con mesta rassegnazione.
…Shay
non avrebbe fatto niente?
Fu
solo grazie al tempestivo intervento delle sue sorelle che Siria non
balzò giù dal terrapieno sopraelevato per tirare un
meritatissimo schiaffone alla sua amica naiade; a dire il vero,
Aysell dovette piantarle le unghie nel braccio per fermarla, ma la
strega era talmente arrabbiata che nemmeno si accorse delle mezzelune
violacee che apparvero sulla sua pelle diafana quando la Guardiana la
lasciò andare.
-Non
li sto cacciando, Siria.- spiegò Aslan, pacato come sempre,
accostandosi alla giovane con quella che a tutt’e quattro le
sue Figlie sembrò proprio una rispettosa e prudente
circospezione. -Edmund e Lucy potranno tornare.- aggiunse,
piano; e Siria, comprendendo finalmente dove quel suo padre
sconosciuto voleva andare a parare, raggelò lì dov’era,
avvertendo la rabbia svaporare in puro sgomento.
…ecco
perché Shay non stava facendo niente.
-Perché?-
intervenne Lucy, stupita, avvicinandosi al Grande Leone per guardarlo
con quegli occhioni azzurri che non avevano ancora perso il fulgore
abbacinante dell’infanzia. -Loro hanno fatto qualcosa di male?-
domandò; fu Peter, però, a chinarsi e a passarle un
braccio intorno alle spalle, sorridendole con quella che alla sua
sorellina parve un’infinita tristezza.
-Non
abbiamo fatto nulla di male, Lu. Abbiamo solo imparato tutto ciò
che dovevamo imparare da Narnia, e__-
Fu
lo strillo esasperato di Siria, ancora una volta, ad interromperlo.
-Oh, ma fammi il piacere! Tu non hai imparato proprio niente!-
Un
istante di cristallino silenzio accolse l’esplosione della
strega; pochi attimi più tardi, tuttavia, la fragorosa risata
di Talia e quella a stento trattenuta degli altri Pevensie riempirono
l’aria, mentre Aysell si ficcava le nocche in bocca per non
imitarli e Mirime, sconsolata, scuoteva la testa.
Peter,
però, si concesse solamente un breve sorriso che svanì
nello stesso attimo in cui la guardò: gli sarebbe mancata
l’irriverenza di Siria, esattamente come gli sarebbe mancata
Narnia.
-Può
essere, ma è comunque giunto il momento di andarsene.-
mormorò, sapendo che lei lo avrebbe comunque sentito, incapace
di guardarla negli occhi. L’attimo di ilarità fu
spazzato via dalle sue parole, e la consapevolezza di essere dinanzi
ad un addio colpì tutti quanti con una freddezza inattesa.
Il
biondo si alzò in piedi, tirandosi nervosamente indietro i
capelli; Siria non si era mossa – era ancora lì, con i
pugni stretti ed un’espressione ribelle in volto, che lo
fissava come se non avesse voluto altro che prenderlo a pugni.
Sapere
che non l’avrebbe rivista mai più era assieme un
indicibile sollievo e la più odiosa delle agonie.
Abbassò
appena la testa, rivolgendole l’accenno di un inchino che
sarebbe per sempre rimasto incastrato lì, fra le parole che
avrebbe voluto dirle e quelle che non sarebbe riuscito a pronunciare
nemmeno davanti a se stesso.
Siria
trasalì, ferita. Non riuscì nemmeno a parlare dinanzi
agli occhi di ghiaccio di Peter che, senza nemmeno toccarla, la
colpirono con la stessa stilettata silenziosa che l’indifferenza
del giovane aveva immerso nelle sue carni più e più
volte in quelle settimane.
“Dimmi
qualcosa, ti prego. Qualunque cosa.”
Chinò
a sua volta il capo, dedicandogli il medesimo saluto freddo e
distaccato che lui aveva riservato per lei; Peter sussultò,
stringendo le labbra davanti a quella brusca replica, ma si morse un
labbro ed ignorò le proteste che erano appena salite a
bruciargli in gola.
“Non
farmi andare via senza averti detto addio.”
Fu
lei a spezzare quell’istante, incapace di sopportare ancora la
sua vista.
Aggrappandosi
convulsamente al braccio di Caspian si volse verso Susan, muovendo
qualche passo verso lei ed Aaron; non ebbe però il tempo di
farne altri perché, prima che potesse anche solo capire che
cosa fosse successo, la Regina l’aveva raggiunta e l’aveva
stretta a sé in un abbraccio convulso, sincero – un
gesto che stupì Siria più di qualunque altra cosa fosse
successa in quell’anno.
-Susan…-
mormorò, arrossendo, ma la bruna scosse la testa e nascose con
più forza il volto nella sua spalla.
-Non
permettergli di vedermi piangere.- sussurrò, piano, la Regina
– e Siria la strinse all’istante quando percepì un
fremito di dolore attraversarne il corpo tornito, chiudendo gli occhi
e avvertendo il profumo tanto particolare di Susan in quel folti
boccoli castani.
Rimasero
lì, abbracciate, condividendo in quella stretta silenziosa più
parole e più affetto di quanto se ne fossero dimostrate
reciprocamente in tutto quel tempo. L’amore che entrambe
provavano per Aaron le accomunava e le univa come mai nulla le aveva
avvicinate sino a quel momento, e Siria – Susan lo sapeva –
era l’unica persona, in quel luogo, che avrebbe potuto
permetterle qualche istante di dolore senza distruggerla nel suo
orgoglio di regnante ma, soprattutto, di donna.
Si
scoprì a tremare, Susan, stretta al corpo caldo e solido della
guerriera.
Aveva
trascorso la notte con Aaron – parlando, amandosi,
paventando l’alba che, inesorabile, sarebbe giunta a separarli
– ma lì, dinanzi a tutti, lei non avrebbe mai potuto
permettersi di lasciarsi andare al dolore lacerante che sentiva
artigliarle lo sterno.
Aveva
imparato ad apprezzare la sorella del suo amato, Susan: aveva
imparato a rispettarla e a comprenderla, scoprendo nella rossa quegli
stessi tratti di orgoglio e testardaggine che anche lei aveva
coltivato con costanza dentro di sé per proteggersi dal mondo.
Siria
non le avrebbe permesso di crollare.
Ed
infatti la strega la strinse sino a che non avvertì i suoi
singhiozzi placarsi, la Regina riguadagnare il controllo sulle
proprie emozioni; solamente allora la lasciò andare,
sorridendole e stringendole affettuosamente le mani fra le proprie.
-Grazie.-
sussurrò Susan, prendendo un profondo respiro e trovando
finalmente la forza di alzare lo sguardo verso Aaron, che si era
avvicinato alle due donne e che, senza dire nulla, le accarezzò
amorevolmente una guancia col dorso della mano – inseguendo una
lacrima fuggita dall’autocontrollo della sua amata Regina,
nascondendola al mondo dove solamente lui avrebbe potuto scorgerla e
conservarne la purezza in eterno.
-T-Tara!-
Tutti
e tre si voltarono di scatto, stupiti, quando una voce stridula –
che solo dopo un secondo riconobbero per quella di Caleb –
esclamò il nome della ragazzina… appena in tempo per
vederla porre fine al bacio che aveva schioccato con decisione sulle
labbra di un Edmund più sconvolto di quanto nessuno lo avesse
mai visto.
Susan
sgranò gli occhi, ma Siria ed Aaron sorrisero; anche Lucy,
Caspian, Aysell e Mirime ridacchiarono davanti a quella scena che, in
fondo, tutti si aspettavano già da molto tempo – tranne,
forse, proprio Edmund…
La
ragazza si ravviò i lisci capelli biondi dietro la spalla,
soddisfatta, replicando all’espressione stravolta del bruno con
determinazione ed assoluta tranquillità. -Vedi di tornare
presto, Pevensie.- gli intimò soltanto, ammiccando appena
prima di raggiungere Talia per aiutarla ad impedire che Caleb
saltasse alla gola del più giovane dei Re Pevensie.
Edmund,
incapace di pronunciare alcunché, si limitò ad annuire
lentamente e a seguirla con lo sguardo fino a che non la vide
allontanarsi insieme al fratello, parlargli piano, prenderlo in giro
– “Tara…”
Prese
fiato, cercando di riordinare le idee che quel rapido bacio aveva
mandato all’aria; e arrossì quando, guardandosi intorno,
si rese conto di essere al centro dell’attenzione di quel
branco di pettegoli che, se non se ne fosse andato alla svelta, lo
avrebbero di certo fatto morire d’imbarazzo.
Solamente
Peter, stranamente, sembrava non essersi unito all’ilarità
generale che il gesto di Tara aveva provocato.
Il
più grande dei Pevensie era rimasto immobile, fissando
insistentemente le naiadi che, protettive, si erano chiuse attorno
alla propria Sovrana per sottrarla allo sguardo dell’uomo che
amava e che, assieme al suo amore, possedeva anche tutte le armi per
distruggerla – semplicemente esistendo.
-Shaylee…-
sussurrò, sentendo un moto d’ira accendersi dentro di
lui quando comprese che lei era lì, a pochi metri –
eppure lontana ed intoccabile com’era stata tanto a lungo…
come lui non poteva sopportare di vederla di nuovo.
…no.
Si
voltò verso il Grande Leone, rimasto seduto accanto agli
alberi del portale.
-Aslan,
io… no.- ripeté, incerto, ma non rimase ad attendere la
risposta del felino; balzò dalla piattaforma e si diresse,
determinato come non si era mai sentito prima di quel momento, verso
la corte delle ninfe, scostò con ferma gentilezza le guardie
personali della Sovrana e afferrò Shaylee, stupefatta, per un
polso, tirandola a sé ed inginocchiandosi al suo cospetto.
-Peter…?-
esalò la naiade, arrossendo furiosamente quando avvertì
decine di sguardi puntarsi su di loro. -Che cosa stai facendo?-
sibilò, sentendosi letteralmente andare a fuoco quando il
biondo le prese una mano e ne baciò dolcemente il dorso,
sorridendole e guardandola con quell’ardore che, nonostante
tutto, era in grado di farle dimenticare ogni cosa.
-Resto.-
rispose lui, semplicemente, ed il suo volto si rischiarò come
il cielo dopo un temporale. -Vuoi sposarmi, Shaylee?-
Fu
fragoroso il silenzio che seguì quella proposta, e tante
furono le bocche aperte e le espressioni sorprese; persino Siria, che
taceva raramente, boccheggiava davanti a quella scena surreale –
“Oh, no, non di nuovo i piccioni in amore! Qualcuno mi vuole
davvero male, qui!”
-…eh?-
fu il commento educatamente sorpreso di Mirime, che ben esprimeva lo
sconcerto della solitamente imperturbabile pleiade, spezzò la
tensione venuta a crearsi e permise a tutti di prendere fiato, ancora
sconcertati.
-Ma
chi mai vorrebbe sposarlo quel coso, lì?- esclamò
Talia prima che qualcuno potesse impedirle di parlare e fu Caspian,
stavolta, a zittire Siria per impedirle di scoppiare a ridere davanti
a tutti all’uscita sarcastica della sua amica.
La
reazione di Aysell fu la più coerente: la naiade, infatti, si
limitò a sventolare teatralmente una mano dinanzi al volto
deliziosamente impallidito, allungando voluttuosamente l’altro
braccio per cercare l’appoggio della spalla di Mirime.
-…sto
per svenire.- declamò, profondamente turbata, guadagnandosi
un’occhiata piena di rispetto e di ammirazione da parte delle
sorelle, di Caspian e di almeno tre quarti della popolazione.
“Qualcuno
la fermi prima che dica di sì!”
la
sentirono strillare le altre Figlie e fu arduo, per loro, continuare
a respirare senza permettere all’ilarità di prendere il
sopravvento.
Shaylee,
tuttavia, per una volta riuscì ad ignorare il palese disprezzo
che sua sorella non mancava mai di reiterare nei confronti di
quell’uomo meraviglioso che le stava innanzi – Peter, il
suo amato Peter… che la stava chiedendo in sposa.
-Shay,
non o__mmph!-
Ancora
una volta, il commento di Aysell – prontamente soffocato dagli
infallibili riflessi di Mirime – non fu in grado di strapparla
a quei due splendidi, cristallini occhi celesti colmi d’amore e
di speranza.
Con
delicata grazia, si abbandonò al peso dell’emozione che
il suo corpo non era in grado di sostenere, scivolando in ginocchio
dinanzi a lui. Piangeva: stille di incommensurabile gioia si
raccolsero fra le dita di Peter quando il giovane vi racchiuse il
volto di Shaylee – e lei vi s’aggrappò con dolce
impeto, mentre un sorriso estatico le sbocciava sulle labbra.
-Sì.-
Un’ovazione
di gridolini eccitati ed esultanti coprì il rumoroso pensiero
di Aysell – “Ecco! Il danno è fatto!”
– quando, di slancio, Peter Pevensie trasse a sé la sua
amata e la baciò con passione e trasporto.
Un
sospiro generale, invece, fu l’unica reazione che si permisero
le Figlie di Aslan: Talia, comprensiva, si avvicinò alla
bionda per consolarla dopo quella proposta strappalacrime che Aysell
proprio non aveva gradito; Mirime, come le era ormai di
abitudine, rivolse ad Aslan un’occhiata storta, mentre Siria
ridacchiava un po’ istericamente a causa delle emozioni
discordanti che le attraversavano la mente.
I
restanti Pevensie e Caspian scesero per congratularsi con la coppia,
sebbene tutti quanti fossero dolorosamente consapevoli di quanto
quella gioia non sarebbe potuta durare a lungo. Fu Lucy, incapace di
credere che non potesse esistere un modo per far trionfare l’amore,
a voltarsi verso Aslan con lo sguardo lucido.
-Aslan…
Peter deve restare!- implorò, accorata – e Siria,
accanto al leone, sentì il cuore incrinarsi quando cominciò
a comprendere quale, fin dall’inizio, fosse il piano che Aslan
aveva pazientemente ordito.
Il
mastodontico felino annuì, muovendo qualche passo per
accostarsi alla piccola.
-Sono
d’accordo con te, mia diletta, ma la Grande Magia non lo
permette.- le fece notare dolcemente, prima di dirigere la propria
attenzione verso Aaron e Siria. -In quattro sono giunti ed in quattro
dovranno tornare.-
Un
gelo innaturale parve emanare dalle parole pacate del Signore di
Narnia: Aaron lo avvertì ghermirgli le vene, serpeggiandogli
nel sangue nell’istante in cui anche lui capì.
La
Grande Magia non permetteva eccezioni.
Zaira,
che lo aveva cresciuto ed amato come la madre che lui non aveva mai
conosciuto, aveva spesso spiegato a lui e a Siria l’importanza
di quell’immenso dogma che regolava lo scorrere della vita a
Narnia e in tutti i mondi toccati dalla magia.
Se
qualcosa veniva donato, qualcos’altro doveva essere sottratto.
Lanciò
un’occhiata angosciata a sua sorella, accorgendosi
immediatamente di quanto fosse impallidita alle parole di Aslan:
anche lei aveva scorto il collegamento… anche lei aveva
capito.
La
ragazza scosse la testa, costringendosi a non ricambiare lo sguardo
tormentato di Aaron.
-E
quattro saranno.- sussurrò, tanto piano da non riuscire quasi
ad udire le proprie parole.
Aslan,
però, la sentì.
La
strega prese fiato, ignorando l’espressione sbigottita comparsa
sul viso di Aysell e facendosi coraggio – fosse stato
facile… -Aaron può… può prendere il
posto di Peter, se è permesso.- pigolò, serrando
convulsamente le mani sulle proprie braccia – perché
il dolore, lo sapeva, sarebbe presto arrivato.
Tutti,
stavolta, colsero distintamente la sua voce… eppure tacquero,
chi sorpreso, chi sconvolto, chi dilaniato dalla sofferta
consapevolezza di dover scegliere tra un amore ed un altro.
-Lo
è.- annuì, grave, il Signore di Narnia.
Susan
e Peter, a quella risposta, sussultarono. Esisteva davvero una
possibilità, una strada alternativa da percorrere, un sentiero
che non li avrebbe divisi da coloro che amavano – ma dalla
loro famiglia.
Il
volto di Aaron, di solito sempre attento a non lasciar trapelare
alcuna emozione, ora parve a Siria dilaniato da un’angoscia e
da un’incertezza che lei non vi aveva mai colto prima d’allora.
Suo fratello fece un passo verso di lei ma, prima che potesse
raggiungerla, la rossa si sottrasse al suo tocco – rinunciando
inconsciamente a quel conforto che, lo sapeva, non avrebbe avuto più.
Distinse
qualcosa spezzarsi in lui, nei suoi occhi, nella sua espressione;
nello stesso attimo una coscienza profonda e rassicurante sfiorò
il suo animo dolente, riscaldandola là dove il gelo
dell’abbandono già accarezzava i suoi pensieri.
“Ne
sei certa, mia cara?”
le
domandò la voce pacata di Aslan.
Lei
annuì, ricacciando indietro il pianto che sentiva già
pungerle il viso. “Voglio solo che mio fratello sia felice.”
La
strega chiuse gli occhi, costringendosi ad allontanare da sé
la presenza del padre – non voleva sentire, non voleva vedere,
sapeva che cosa sarebbe successo e non era certa di avere la forza di
assistervi.
-Aaron,
Peter.- sentì chiamare, i passi dei due allinearsi per
rispondere all’appello. -Desiderate davvero tutto questo? Il
prezzo da pagare per questa scelta è molto alto.-
Sì,
concordò Siria fra sé: il
prezzo era un fratello…
-Sue…-
udì boccheggiare Peter e, detestandosi, provò un
immediato trasporto nei confronti della stupida acciuga bionda
– come amava definirlo Aysell –: quella scelta, per lui
come per lei, implicava un sacrificio non indifferente.
Un
lungo silenzio parve dilatarsi in quel ventoso pomeriggio di fine
estate. Poi dei passi, uno schiocco secco e, in un qualche modo,
definitivo; Siria sbirciò, ansiosa, in tempo per vedere Peter
ed Aaron scambiarsi una stretta di mano.
-Se
puoi rendere felice mia sorella, allora non posso che darti la mia
benedizione.- declamò il biondo, sorridendo con quello che a
tutti sembrò uno sforzo titanico – e lo era, diamine
se lo era!
Rivolse
un cenno ad Aaron prima di separarsi da lui, avvicinandosi al resto
della sua famiglia: Edmund stava lottando contro se stesso per non
permettere al sorriso forzato che aveva in volto di sbiadire mentre
Lucy, emotiva come sempre, piangeva.
S’inginocchiò,
accarezzando i capelli soffici della piccola. -Lucy… questo
non è un addio, sorellina.- le ricordò, scostandole un
ciuffo dalla fronte.
-Lo
so ma…- la ragazzina tirò su col naso, guardandolo con
gli occhioni pieni di lacrime. -Sono felice per te, davvero, ma…-
Il
fratello annuì, capendo. -Non sarai sola, Lu.-
Edmund,
alle spalle della sorella minore, annuì con fare solenne.
Lucy, cogliendo il gesto e il muto scambio di promesse fra i due
uomini della sua vita, si morse il labbro nel tentativo di
trattenersi… e fallendo miseramente, gettandosi al collo di
Peter e scoppiando in un pianto a dirotto.
Peter,
per nulla sorpreso, la cullò fra le braccia che tante volte
l’avevano protetta dagli incubi e dal suono incessante delle
sirene d’emergenza e degli aerei tedeschi, accarezzandole la
folta chioma rossiccia.
-Mi
mancherai tanto…- singhiozzò la bambina e lui, toccato,
non poté far altro che affondare il viso nell’incavo
della sua spalla sottile, riempiendosi i polmoni e la memoria del
profumo familiare dei capelli di Lucy.
-Anche
tu, piccoletta.- mormorò soltanto, perché un doloroso
nodo di commozione gli impedì di aggiungere altro.
Rimase
stretto a Lucy per quella che gli parve un’eternità, ma
fu comunque con dispiacere che si sciolse dall’abbraccio per
alzarsi in piedi e rivolgersi a Edmund.
-Toccherà
a te fare l’uomo di casa, adesso.- gli ricordò,
accostandoglisi e stringendogli brevemente una spalla – se
solo, qualche anno addietro, gli avessero detto che Edmund sarebbe
cambiato così tanto… -Fatti onore, pivello.- aggiunse,
strappando una risata incerta al fratello prima di tirarselo addosso
in un ruvido abbraccio che Edmund, impacciato almeno quanto lui,
ricambiò con sincero trasporto.
Dopo
qualche attimo un tocco delicato gli sfiorò la spalla; girando
lo sguardo, con gli occhi gonfi di commozione, trovò Susan
che, separatasi da Aaron, reclamava l’addio del suo fratello
maggiore.
Non
avevano mai avuto bisogno di troppe parole per capirsi, loro due –
né per detestarsi, ovviamente –, e nemmeno in
quell’occasione si smentirono. Bastò uno sguardo, un
mezzo sorriso, per dirsi tutto ciò che non si erano mai detti,
prima che il biondo attirasse lei e Lucy nell’abbraccio.
.
Aveva
perso Peter.
Avrebbe perso
lui.
Siria
sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando Aaron, insicuro,
le si avvicinò, ma le ricacciò indietro e contrasse il
volto in un sorriso tirato – celando lo sguardo con un gesto
secco della mano e ringraziando, fra sé, il fastidio che le
provocava la luce vivida e intensa di quel Sole pomeridiano.
Aveva
perso Peter.
Avrebbe perso
lui.
-Siria,
non…- cominciò il fratello, ma lei scosse la testa.
Aaron
non avrebbe voluto andarsene, non voleva lasciarla sola… ma
amava Susan e lei ne era così felice, e sapeva che la cosa
giusta da fare era incoraggiarlo a seguirla – non sarebbe mai
stato felice senza di lei, così come lei non avrebbe mai
potuto trovare pace lontana da Caspian.
-Vai.-
con uno sforzo terribile – uno sforzo che solamente Caspian,
al suo fianco, comprese appieno – Siria alzò gli
occhi sul fratello e gli sorrise: era un sorriso che trasudava
lacrime, un sorriso umido ma terribilmente sincero.
Siria
rabbrividì quando, con una delicatezza fin troppo misurata,
abbracciò suo fratello. Tutto quello che non gli aveva mai
detto, tutto ciò che lui significava per lei, lo avvertì
bruciare in quella stretta forte ed un poco disperata.
Padre,
confidente, amico: Aaron era stato la sua famiglia quando il mondo
stesso l'aveva rifiutata, era stato tutto… ed ora se ne
sarebbe andato – era la cosa più giusta per tutti
quanti, ma questo non lo avrebbe mai reso meno doloroso…
Aaron
avrebbe seguito la donna che amava. Aaron sarebbe stato felice.
Continuare
a ripeterselo era un buon modo per impedirsi di piangere.
Sapeva
di aver fatto la scelta giusta, Siria, così come sapeva che
Aaron la stava stringendo così forte perché non voleva
lasciarla lì, lontana dal proprio sguardo di fratello, dove
lui non avrebbe più potuto proteggerla.
Pareva
non volerla lasciare. Pareva non volersene andare.
Le
sue braccia erano forti intorno a lei. La stringeva con forse anche
troppa irruenza, come se volesse strapparle via il dolore dell’addio,
come se avesse voluto dividersi in due per restare con entrambe le
donne che amava.
Ma
Siria sapeva: sapeva di dovergli permettere di andare.
Poteva
godere ancora un po’ di quell’abbraccio, però;
poteva affondare per l'ultima volta il viso nel collo di lui e
inspirare il profumo di selvatico che lei stessa portava sulla pelle,
che li avrebbe sempre accomunati: loro erano i figli di
quell’impenetrabile foresta che aveva fatto loro da casa per
tanti anni, e niente – nemmeno un universo di mezzo –
avrebbe potuto cambiare quella realtà.
Rimasero
stretti a lungo mentre i rumori intorno a loro si riducevano ad un
brusio indistinto, insignificante.
-Ti
voglio bene.- sussurrò Siria, sulla gola di lui, strusciando
appena il viso per meglio nascondersi in quell'incavo – lo
aveva sempre fatto, fin da piccolissima...
Una
miriade di dettagli, di particolari di lei, improvvisamente invasero
la mente di Aaron.
Il
piccolo vezzo di tormentarsi le mani quando era agitata; la
dolcissima vanità con cui sistemava i suoi lunghi capelli in
una treccia; il sorriso birbante di quando era bambina e combinava
una marachella; la sua passione per il cioccolato, la gioia nel
vederla sgranare gli occhi quando – con diversi sacrifici –
riusciva a procurarle quel dolce tanto costoso.
Ricordò
quando da bambini loro due e Gwaine giocavano con dei bastoni,
immaginandoli spade e fingendo di essere i grandi guerrieri del
passato; ricordò i pomeriggi passati a pescare, le notti a
contare le stelle. Ricordò la prima volta che la aveva portata
con sé a cavallo, l'emozione della sua sorellina con quelle
due trecce rosse e quegli occhioni pieni di vita.
Ricordò
il tormento che non le aveva dato pace dalla morte della madre.
Ricordò di aver temuto per la sua incolumità, che quel
qualcosa che la Strega Bianca aveva impiantato nel suo cuore
riuscisse a distruggerla, a portargliela via. Ricordò con
quanto sollievo l'aveva vista ricomparire dalla foresta, con Talia al
suo fianco e un'ombra negli occhi, specchio di quelle cicatrici
candide sui polsi.
E
ricordò di quando era arrivato quel principe. Ricordò
di averlo visto distruggerla, spezzarla... e di averla vista
rinascere da quella devastazione, ricordò che l'amore di quel
ragazzo era riuscito a farle trovare se stessa – in lui.
-Ti
voglio bene anch'io. Sempre.- sussurrò, stringendosi più
forte a quel corpo di donna che, per lui, sarebbe per sempre rimasto
quello di una bambina – della sua bambina, della
ragazzina allegra che si arrampicava sugli alberi.
Fu
Siria a sciogliere quell'abbraccio.
Fu
Siria a sorridere, di nuovo, con quelle lacrime negli occhi che
brillavano alla luce del Sole.
Fu
Siria a guardare Susan solo per un istante, ricevendo in cambio un
sorriso e un deciso cenno di assenso.
Restagli
accanto, Susan. Resta con lui. Rendilo felice.
Gli
alberi gemelli sospirarono nel vento lieve che, silente, sfiorò
le chiome di coloro che si accingevano a partire: il tributo della
pleiade fu quell’ultimo sospiro denso dei profumi di Narnia,
che li avrebbe per sempre accompagnati anche a universi di distanza.
I
saluti erano stati fatti e più nulla poteva trattenerli ancora
in quel luogo. Fu senza guardarsi indietro che, insieme, i Pevensie
ed Aaron valicarono quella soglia misteriosa, sparendo là dove
nessuno di loro avrebbe potuto seguirli.
Siria
tremò, avvertendo una fitta rassegnazione avvolgerla in un
bizzarro senso di straniamento.
Era
successo davvero? Aaron era davvero andato via?
Per
un istante fu sicura di aver sognato. Aveva trascorso l’intera
vita sapendo che Aaron sarebbe stato un porto sicuro a cui tornare,
una certezza incrollabile che non l’avrebbe mai abbandonata…
che adesso, tuttavia, non c’era più.
Che
non sarebbe tornata.
Il
peso schiacciante di quel pensiero le diede, per un attimo, la
sensazione di barcollare: non sapeva che cosa le avrebbe riservato il
domani, ma capire che Aaron non ci sarebbe stato fu un colpo
durissimo e difficile da accettare.
…ma
non sarebbe stata sola.
Come
mai prima d’allora – mai con quella chiarezza
luminosa, abbacinante – la presenza delle sue sorelle le
sbocciò nel petto, dandole la forza di alzare una mano per
cancellare le lacrime che le avevano rigato le guance.
Aaron
sarebbe stato felice, ne era certa; ma sapeva anche, con la certezza
indissolubile che solamente l’affetto delle sue compagne poteva
darle, che ciò non avrebbe significato la sua solitudine e la
sua sofferenza.
Talia,
Mirime, Aysell: loro erano lì e ci sarebbero sempre state.
Erano
la sua famiglia.
Il
tocco di Caspian, la sua mano nella propria, le strappò un
sorriso. Lo sguardo che le rivolse fu una promessa che, ne era
sicura, lui non avrebbe mai mancato di mantenere.
C’erano
tante cose da fare e mille altre da progettare: il castello di Cair
Paravel da ricostruire, il regno da consolidare, l’esercito
narniano da amalgamare a quello umano – una vita intera, per
loro, in quella nuova Narnia che sarebbe diventata più bella e
forte di quanto si sarebbe mai potuto immaginare.
Una
vita insieme.
Caspian
era lì, con lei… e, adesso, il futuro non la spaventava
più.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Aysell: ...ci eravamo vicine tanto così!
E invece NO, nemmeno stavolta siamo riuscite a liberarci di Peter!
Non è possibile! *tic nervoso*
Peter: ma... ma!
. E così,
anche stavolta, ho terminato ciò che avevo iniziato.
È servito più tempo di quello che
avevo immaginato, e sono cambiate mille e mille cose nel frattempo:
qualcuno se n'è andato, qualcuno è tornato, qualcuno è
arrivato a cambiare per sempre la mia vita. Assieme a me è
cresciuta, maturata, anche Rebirth, come tutte le creature che si
creano e si crescono con amore, dedizione e pazienza.
Questa storia era nata per gioco, ma è
diventata molto di più. Dopotutto, succede sempre così,
no?
Vorrei ringraziare le tantissime persone che hanno
sempre seguito questa storia, i lettori anonimi e chi ha voluto
lasciare una traccia di sé nel corso di questi anni che hanno
portato Rebirth alla sua ultimazione. Tutti, dal primo all'ultimo,
siete stati una forza che mi ha spronata a migliorare la mia
scrittura e tutto ciò che ne consegue... e, di conseguenza,
anche me stessa.
Le peripezie di questo branco di matti narniani
non sono finite: sto già lavorando da tempo al secondo
capitolo di questa saga, "Narnia's Redial", e
anche "Narnia's Memories" non è finita
nel dimenticatoio! Inoltre ho alcuni altri progetti molto simpatici
relativamente a questi personaggi... quindi non disperate (?),
non vi libererete delle mie ragazze, di Caspian e di Peter!
Aysell: che gioia!! -.-
.
E... niente, sono pessima nei saluti. Ma,
dopotutto, questo non è un addio ma soltanto un arrivederci,
no? :)