Damned Souls di Evie08 (/viewuser.php?uid=52958)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tormento ***
Capitolo 3: *** Separazione ***
Capitolo 4: *** Imprinting ***
Capitolo 5: *** Forks ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Damned Souls
Prologo
Eravamo
arrivati ad un punto di rottura,
laddove
la realtà diventa illusoria ed il sogno
prende
il suo posto.
Dopotutto
cosa potevamo pretendere?
Eravamo
pur sempre anime
dannate,
esseri
a cui era stato negato il
dono
di una vita normale.
Non
ci era neanche concesso
il
privilegio della morte.
Ciononostante
avevamo trovato un modo
Per
sopravvivere insieme.
Ma
che vita poteva essere la nostra
Arrivati
a quel punto?
Josephine Heart
L'ANGOLO
DELL'AUTRICE
Tatatatà!
Eccomi qua!!! Per la vostra gioia sono tornata,come promesso, con il
tanto atteso seguito di "The
Voice Of Heart" che ho intitolato - come potete vedere- "Damned Souls".
In questo nuovo
'volume' ne succederanno delle belle... ma davvero...
Innanzitutto
conosceremo nuovi
personaggi, vedremo la formazione della famiglia Cullen,
seguiremo le vicende del Clan
di Denali ed il tanto atteso matrimonio tra Isabelle e Marco,
e finalmente anche Cristopher
troverà l'anima gemella.
Avremo a che fare
con i Volturi
e intravedremo gli antenati dei membri del branco.
Ma soprattutto
troveremo Edward e
Josephine dinnanzi ad un bivio; affronteranno un momento
di crisi dal quale ne deriveranno scelte apparentemente diverse.
Riusciranno i
nostri eroi a farcela anche questa volta??
Leggete e lo
scoprirete!!
Besos miei
adorati! ^_^
Evie
|
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Capitolo 2 *** Tormento ***
1.
Tormento
Edward
POV
Fissavo
le foto sul caminetto.
Diversi
visi si succedevano sotto il mio sguardo distratto.
Alcuni
sorridenti, altri irrigiditi da una lunga posa; foto di matrimoni,
nascite, battesimi, eventi lieti, altalene e bambini.
E
ultima, la nostra.
La
foto del nostro matrimonio.
Mia
moglie ed io abbracciati, ma soprattutto innamorati.
Mi
voltai e vidi il sogno di una vita: la mia Josephine che stringeva tra
le sue fredde braccia un bambino bellissimo, dai grandi occhi
acquamarina.
Lei
lo cullava dolcemente, mentre lui le stringeva avido l’indice
portandoselo alla bocca.
Josephine
sorrideva felice. Un sorriso che non le avevo mai visto indossare.
Dolce,
delicato, materno.
Guardava
quella piccola creatura con una devozione totale: lei era presa da lui,
e lui da lei.
Quasi
fui geloso di tutte quelle attenzioni, anche se sapevo sarebbero durate
molto poco.
“Non
può restare qui, lo sai vero?”, esordii rompendo
il silenzio.
Josephine
non rispose, ma in cambio mi rivolse uno sguardo straziato dalla
consapevolezza.
Tornò
a guardare il piccolo senza mai smettere di cullarlo.
“Dobbiamo
chiamare la polizia. E’ giusto che il piccolo trovi famiglia
al più presto…”, continuai.
“E
se… e se la sua famiglia fossimo proprio
noi?”, Josephine parò senza alzare lo
sguardo.
La
guardai perplesso.
“Pensaci:
potrebbe essere un segno del destino! Noi che non potremmo mai e poi
mai generare, troviamo una sera per caso, un pargoletto di al massimo
un paio di mesi davanti la porta di casa. Se non è questo un
segno del destino…”.
“Destino…”,
sussurrai tra me e me.
“Se
non fosse stato per il destino, noi non saremmo qui, adesso, insieme.
Pensaci Edward.”, cercava di convincermi con tutte le sue
forze.
“Josephine,
che vita potremmo dare noi ad un bambino umano? Siamo dei mostri! Te ne
rendi conto si o no?”.
“Certo,
ma non per nostra volontà! Non è stata colpa
nostra… Oh, Edward! Dio ce l’ha mandato e
sarà lui ad aiutarci.”.
“Se
ci fosse stato un Dio noi non saremmo finiti in queste condizioni!
Siamo dei dannati Josephine! Dio non ci aiuta a priori… non
lo farà mai! E’ stato lui ad abbandonarci nel
momento del bisogno; lui ci ha condannati
all’immortalità eguagliandoci ai suoi angeli
maledetti.
Non
siamo altro che feccia e rifiuti per lui.
Se
ci avesse voluto aiutare, non ci avrebbe ridotti così.
Questa
vita è una schiavitù
insopportabile…”.
Sentii
il gelo dei suoi occhi su di me.
Guardai
il suo volto, una leggera smorfia di dolore lo contraeva.
Guardavo
come le mie parole l’avevano ferita.
Avrei
voluto ritrattare, solo per veder svanire quell’espressione
afflitta.
Ma
non potevo, anzi non volevo.
Io
credevo a tutto quello che avevo detto, ad ogni singola parola.
Non
potevo.
Lenta
e inesorabile, Josephine mi si avvicinò stringendo il
bambino al petto, come se volesse proteggerlo da me, il terribile
mostro che voleva portarle via il suo sogno.
Nei
suoi occhi leggevo la delusione e qualcos’altro…
dolore, forse?
Si
allungò rendendo nullo lo spazio che ci divideva e mi diede
un bacio.
Leggero
come la brezza estiva, caldo come il sole.
Sapeva
di ultimo.
Si
staccò da me con un singhiozzo.
“Questa
vita è una schiavitù
insopportabile…”, citò le mie parole in
un sussurrò appena percettibile.
“Josephine,
non intendevo..”
“Ssh”,
mi zittì posando un dito sulle mie labbra dischiuse,
“hai detto anche molto per stasera. Ne riparliamo domani. Se
c’è ancora qualcosa da dire. Buona
notte”.
La
guardai allontanarsi da me, salire le scale.
La
sentii aprire la porta della sua stanza, chiudere la finestra, sedersi
sul letto.
Piangere.
E
tutto con l’oggetto del suo nuovo amore accanto.
Non
credevo che un giorno l’avrei fatta soffrire così.
Senza
prendere il cappotto, inforcai la porta e uscii da quella casa.
L’atmosfera
era troppo pesante ed io avevo bisogno di pensare.
Pensa
pensa pensa pensa Edward!
Che
confusione!
L’aria
gelida mi prese alla sprovvista lasciandomi senza fiato.
Mi
fermai al centro della strada a prender fiato.
Respirai
a fondo e mi incamminai nuovamente senza una meta precisa.
Attirato
dalle sue luci, entrai in un bar frequentato da brutti ceffi.
Sentivo
i loro occhi cisposi tenere d’occhio ogni mio passo, ed i
commenti sul mio abbigliamento fin troppo elegante si sprecavano.
Mi
sedetti al bancone.
“Cosa
ti porto?”, disse una voce esile in contrasto con
quell’ambiente così rozzo.
Alzai
lo sguardo e vidi che era una donna, minuta, non particolarmente bella,
ma con un sorriso conciliante e sereno.
“Whisky.
“Che
aria triste…”, commentò portandomi la
mia ordinazione.
Mi
strinsi nelle spalle senza darle retta.
Ero
riuscito ad isolarmi a tal punto da non sentire i pensieri di chi mi
stava accanto.
O
meglio, ero riuscito a confinarli nell’angolo più
buio della mia mente.
Notai
che guardava la fede al mio anulare sinistro, sconsolata.
“Peccato…
ci avrei fatto volentieri un pensierino…”
Quel
pensiero sfuggì al mio controllo costringendomi a guardarla.
Era
poco più che una bambina, lavorava in quel postaccio e non
faceva solo la barista.
“Problemi
di cuore?”, sussurrò il quel baccano.
“Ad
avercelo un cuore…”, buttai giù un
po’ di whisky.
Normalmente
mi sarebbe scoppiata a fuoco la gola.
Non
sentivo nemmeno quello stupido fastidio.
“Che
dici! Tutti abbiamo un cuore!”
“Si…
con la differenza che il tuo batte e il mio no”.
Mi
guardò un attimo sbigottita sbarrando i grandi occhi
nocciola per poi scoppiare in una sonora risata, che attirò
l’attenzione degli altri uomini seduti al bancone.
Si
fece seria allungando una mano verso di me.
La
posò sul mio petto all’altezza del cuore.
“Hai
ragione… non batte.”, disse intristendosi
all’improvviso.
Mi
concentrai nuovamente sul mio whisky.
Quella
conversazione non mi interessava.
Nella
mia mente lampeggiava un’immagine nitida, che faceva male.
Gli
occhi colmi di dolore di mia moglie.
“Tornerà
da te”, disse la ragazza rompendo il silenzio tra noi.
“Come?”
“Stai
soffrendo per una donna è talmente ovvio. Tornerà
da te. Ne sono sicura.”
“No,
lei non è mai andata via. Sono io che le sto facendo del
male..”
La
ragazza mi prese la mano sinistra e la strinse al suo petto.
“Se
ti fa soffrire così tanto.. allora non ti
merita..”, baciò la mia mano più volte.
Ritrassi
la mano.
“Oh,
mi dispiace.”, sibilò lei arrossendo violentemente.
Pagai
il mio whisky e feci per andarmene.
“Ehi,
comunque io sono Sophie”.
Annuii
e uscii da quel locale.
Continuai
a vagare per tutta la notte alla ricerca di una risposta alle mie mille
domande.
CHIEDO
UMILMENTE
PERDONOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!
PERDONATEMI!!!!!!!!
Per
chi non l'avesse capito: mi sto scusando per la mia assenza
PROLUNGATISSIMA!!
Vi
prometto che non succederà
piùùù...
Comunque..
avete visto che bel casino che vi ho creato?? Ne succederanno delle
belle... questo è solo l'inizio.
Non
ho tempo per ringraziare tutti, uno per uno (lo farò con il
prossimo capitolo promesso) e vi ringrazio tutti tutti tutti!
Lettori,
commentatori tutti insomma!
Un
grazie particolare a Sabry
che mi ha costretta a finire questo chappy oggi!
Vi
voglio bene!
Commentate
commentate commentate!
Besos
Evie
|
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Capitolo 3 *** Separazione ***
2.
Separazione
Josephine
POV
Perché
era così difficile?
Cosa
c’era di sbagliato in tutto questo?
Perché
Edward non voleva capire?
Queste
domande mi ronzavano nella testa da quell’ultimo colloquio
avuto con lui.
Cosa
voleva dire con quelle parole?
Forse
lo sapevo…
Ma
quella piccola creatura adagiata sul mio letto, rappresentava per me la
speranza che un futuro potesse ancora esistere, che il tempo potesse
riprendere il suo veloce e inesorabile scorrere, che la vita avrebbe
avuto un sapore nuovo.
Il
profumo di un bambino era ciò che mancava al nostro
matrimonio, e che credevamo non avremmo mai potuto sentire.
Un
figlio.
Il
sogno irrealizzabile era lì.
E
dormiva.
Sembrava
un piccolo angelo mandato dal cielo…
Ma
non parlate di angeli o altre divinità con
Edward… lui è scettico, così
arrabbiato con Dio da non riuscire a cogliere il sottile gioco che il
destino ci aveva giocato.
L’amore
eterno.
L’avevamo
desiderato dal primo istante in cui ci eravamo conosciuti; da quella
prima notte nella piccola cappella dell’ospedale di Chicago,
sino all’ultima , poco prima della nostra morte.
E
poi è arrivata lei: la morte, che invece di dividerci ci ha
uniti per sempre rendendoci creature speciali, capaci di vita eterna.
Di
amore eterno.
Come
poteva non capire?
La
sua era una visione pessimistica della nostra condizione, e da una
parte potevo anche capirlo.. dopo quello che avevamo dovuto passare per
riunirci.
Chiamatemi
pure egoista, ma arrivata a quel punto non potevo rinunciare a
ciò che il destino ci aveva regalato.
Questo
non avrebbe significato un amore minore per Edward.
Il
mio amore per lui era destinato a crescere, così come il mio
cuore.
A
quel punto non era più spezzato in due, no anzi era
cresciuto così tanto da poter contenere un amore altrettanto
forte: quello per mio
figlio.
Non
riuscivo a capire come due amori così grandi potessero
coesistere.
Ma
forse non potevano.
O
almeno non per me.
Forse
Edward aveva ragione, forse non eravamo adatti a crescere un piccolo
mortale…
Sentii
la porta di ingresso aprirsi e chiudersi violentemente.
Un
fitta di dolore mi trafisse il cuore.
Era
quasi l’alba quando la porta si riaprii.
Il
bimbo ancora dormiva, circondato da un decina di cuscini messi per
evitargli la caduta.
Sentii
il suo profumo inconfondibile e scesi giù per le scale quasi
correndo.
“Edward,
sei tu?”, dissi precipitandomi nell’ingresso.
Lo
vidi.
Bello
e immobile come una statua di marmo.
Il
viso tirato e sofferente.
Aveva
preso una decisione quindi?
Mi
avvicinai a lui, la voglia di toccarlo era forte ma rimasi ferma, senza
sbilanciarmi.
Leggevo
la tensione nei suoi occhi e la sofferenza per quello che stava per
dirmi.
Era
difficile.
Sentivo
che stava cercando le parole dentro di sé.
Parole
che, nonostante la lunga nottata, erano difficili da pronunciare.
“Josephine..”,
sussurrò più a se stesso che a me.
“Dimmi…”,
rimasi senza fiato.
“Ho
preso una decisione riguardo noi.”
Ehi
aspettate!
Perché
riguardo noi?
“Co-cosa?”
“So
che il bambino ti sta molto a cuore, lo hai sempre desiderato.. lo abbiamo
sempre desiderato, ma non così. Non a questo
prezzo”.
“Che
intendi per ‘non
a questo prezzo’
?, chiesi spaventata dalla risposta.
“Pensaci
Josephine: che vita potremmo dare ad un essere umano? Come crescerebbe
con due genitori vampiri? Quanti pericoli dovrebbe correre?
Non
pensi che prima o poi, crescendo, lui vorrà diventare come
noi, e arrivati a quel punto chi lo trasformerà?
Tu,
Josephine?”.
Il
tono della sua voce si fece accusatorio.
Un
brivido di freddo misto a paura mi tagliò in due la schiena.
Presa
dall’entusiasmo della novità non avevo considerato
il fattore ‘futuro’.
Avrei
trovato la forza di uccidere
mio figlio?
“E’
giusto che tu realizzi il tuo sogno. Il tuo destino ti sta dando questa
grande opportunità…”, il volto sempre
più serio e contratto.
C’era
un ma.
Ne
ero sicura.
“…
ma io non credo di potercela fare. Ho bisogno di pensare, di
riflettere. Devo trovare una soluzione a tutta questa faccenda. Da solo”.
Le
sue parole tuonarono nelle mie orecchie formando una eco che mi
rimbombò violentemente nel cervello.
Che
sciocca che ero stata!
Per
il mio egoismo stavo rischiando di perdere il grande amore della mia
vita.
Colui
per il quale avevo lottato contro la morte.
E
avevo vinto.
“Edward
ti prego no.. possiamo pensarci insieme.
Siamo sposati, legati per l’eternità.. troveremo
una soluzione insieme…”, lo supplicai con un nodo
in gola.
“Amore
mio, non voglio costringerti a fare una scelta”
“No,
quella l’hai già fatta tu”.
“Non
è definitivo lo sai, vero?”, mi disse addolcendo
il tono di voce, in contrasto con la sofferenza dipinta sul suo volto.
“Non
posso crederci! Come siamo arrivati a questo punto?”
“Non
lo so… ma era inevitabile credo. Non è colpa di
nessuno. Doveva accadere e basta.”
“Adesso
ti metti a fare anche il fatalista? O mio Dio, Edward! E’
tipico di te.. scappi quando il gioco si fa duro, quando le cose non
vanno come avresti voluto tu..”, subito mi pentii di quelle
parole.
Avrei
voluto mordermi la lingua talmente forte da staccarla.
“Passerò
a prendere la mia roba più tardi”.
Uscì
sbattendo la porta.
“Bravo
scappa di nuovo Edward Masen! E’ una cosa che ti riesce bene.
Prima Carlisle, adesso io.. sai solo abbandonare le persone che ti
amano..”.
Mi
voltai furiosa, afferrai l’antico vaso di limoge, regalatoci
da Isabelle, che avevo sistemato sulla console
nell’ingresso e lo scagliai violentemente contro la porta
riducendolo in mille pezzi.
Caddi
a terra con il cuore spezzato, perso tra i mille frammenti del mio
matrimonio.
Noticine
Salve
a tutti! Sono tornata (un pò più tardi del
previsto per colpa del teatro ma ce l'ho fatta) con il secondo
sconvolgente chappy!!!
E
lo so so... molti di voi saranno rimasti a bocca aperta davanti lo
schermo del pc, increduli per ciò che hanno appena letto...
se vu può essere d'aiuto, vi confermo che è tutto
vero...
Ebbene
si, Eddy se n'è andato... :(
E
se l'evento vi ha sconvolti, non immagino come reagirete a quello che
succederà nei prossimi chappy... muah....
Passiamo
ai ringraziamenti!!!
Allora...
ringrazio tutti ma proprio tutti tutti tutti!!
Chi
ha commentato (Prologo):
frefro
Fred Cullen
Bimba sognatrice
Sabry_Cullen
E il Primo Capitolo:
Athena1
_Bri
Ringrazio anche i lettori, chi l'ha aggiunta tra i
perferiti-ricordate-seguite ecc...
E che dirvi??
Me lo lasciate un commentino???
Ps: presto aggiornerò anche Bright
Smile (devo rileggere solo il chappy XD)!
Alla prossima <3
Baci
Evie
|
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Capitolo 4 *** Imprinting ***
Chi
mi conosce bene e chi mi segue da tempo, sa che lo spazio che
solitamente dedico ai ringraziamenti è quello a fine
capitolo.
Ma
oggi ho deciso di cambiare qualcosa.
A
volte i cambiamenti sono necessari e fanno pure bene.
Quindi
inauguriamo questo primo Settembre (oddio non ho ancora cambiato il
calendario XD) con questa novità ed una prima svolta nel
capitolo che leggerete oggi.
Piccola
anticipazione: quasi sicuramente dal prossimo capitolo parte della
scena si svolgerà a Forks e incontreremo i primi
lupacchiotti della riserva.... muah... non aggiungo altro altrimenti vi
rovino la surprise!
Come avrete notato ho messo
una copertina a questo capitolo: bene vi annuncio che sto lavorando su
quelle dei primi capitoli di Damend Souls e su quelle dell'ormai
conclusa The
Voice of Heart.
:)
Grazie a tutti coloro che
seguono la storia ed in particolare grazie a _Bri la my best friend (insieme
alla mia sorellina frefro) e a Athena1
Grazie
di cuore! <3
Prima
di lasciarvi (direte finalmente) alla lettura del chappy , fo un
pò di pubblicità:
Always
and Forever
(sezione Twilight) & Superstar (Generale) di _Bri- due storie
assolutamente meravigliose
The
Last Secret
storia post
Breaking Dawn che sto scrivendo a quattro mani con _Bri!
E
ora...
Buona
lettura!!!!!!
Bacioni
3.
Imprinting
Josephine
POV
Erano
passati diversi giorni dall’addio di Edward.
Era
appena iniziato il periodo più brutto di tutta la mia vita.
Il
mio peggiore incubo si era fatto realtà e mi tormentava ogni
giorno con la sua
assenza.
Mi
ero persa nell’illusione che sarebbe durato per sempre, ed
invece mi ritrovai a stingere tra le mani il mio cuore ferito e
sanguinante.
Edward
se n’era andato e sapevo non sarebbe tornato tanto presto.
Eravamo
giunti ad un punto di rottura.
Possibile
così presto? Così innamorati? Così
dannatamente felici?
Passavo
i giorni a darmi la colpa dell’accaduto, pur sapendo che il
nostro punto di rottura non aveva un nome.
Non
ancora almeno.
Il
piccolo dormiva beato nella vecchia culla di mia sorella Katie che
avevo accuratamente ripulito portandola dalla soffitta, al suo vecchio
posto nella stanza dei miei genitori, quella più grande.
Quella
piccolissima creatura aveva scombussolato le nostre vite, tanto da
rendere la nostra separazione inesorabile.
Eppure
non riuscivo ad odiarlo.
Lui
era l’oggetto inconsapevole del mio grande amore, il mio
piccolo centro di gravità che riusciva in qualche modo a
tenermi ancora viva.
Lui
era ciò che in natura chiamano imprinting.
Lui
era il mio destino.
Lo
sapevo, lo sentivo.
Altrimenti
come avrei potuto spiegare il forte attaccamento che nutrivo nei suoi
confronti?
“Signora,
volete che vi prepari qualcosa?”
La
voce sottile e squillante di Anne mi distrasse dai miei pensieri.
“No,
ti ringrazio”, risposi cortesemente intravedendo la sua
figura sulla soglia.
“Scusate
se mi permetto…”, esitò; “..
ecco è da quando sono arrivata in questa casa che non vi ho
visto toccare cibo. Siete così magra… e poi avete
avuto da poco un bambino. Dovreste mettervi in forze”.
Anne,
la balia che avevo preso per il piccolo, mi parlava a testa bassa,
fissando il prezioso tappeto steso sul pavimento.
Aveva
ragione. La mia copertura stava per saltare.
“Hai
ragione. Scendo a prendere un po’ di tè con
qualche biscotto, va bene?”
Il
suo viso si arrossò nel constatare che avevo accettato il
suo suggerimento.
Mi
sorrise.
Anne
aveva poco più di vent’anni.
Non
era particolarmente alta, ma era ben fatta; la vita era stretta, i
fianchi rotondi e gli occhi di un bellissimo verde scuro. Portava i
lunghi capelli corvini legati sulla nuca: solo qualche ciocca sfuggiva
alla presa circondando il viso tondo e roseo.
Avevo
incontrato Anne al mercato una settima prima.
Continuavo
ad imbattermi in lei, finché un giorno chiesi in giro se
qualcuno conoscesse una buona balia e fu proprio lei a bussare alla mia
porta.
Da
quel giorno Anne era entrata nella mia bizzarra quanto distrutta
famiglia.
Era
una persona molto discreta; non mi fece mai domande sul
perché il signor Masen non fosse in casa, e nemmeno sulla
nascita del bambino.
La
sua unica domanda fu: “Come si chiama questa splendida
creaturina?”
Già
il suo nome.
In
tutto quel trambusto non avevamo pensato al suo nome.
Ricordai
d’un tratto un vecchio discorso fatto con Edward, tempo prima.
Era
un caldo pomeriggio e ce ne stavamo sdraiati a letto.
Parlavamo
di come sarebbe potuta essere la nostra vita se non fossimo stati dei
vampiri, se avessimo avuto delle vite normali.
Una
famiglia normale.
“Edward
posso chiederti una cosa?”
“Certo,
dimmi pure”
“Se
avessimo avuto un figlio maschio, come avresti voluto
chiamarlo?”
“Mmmm…
fammi pensare… Jayden mi piace molto! E’ moderno,
non è scontato, originale. È nostro
figlio!”
“Jayden…
è musicale.. mi piace!”
Di
getto dissi: “Jayden”.
“E’
meraviglioso”.
Edward
POV
“Edward
ti serve qualcosa?”
“No,
grazie”
“Bè
se ti dovesse servire qualcosa mi trovi giù al bar,
intesi?”.
Sophie
si affacciò per un istante dalla porta della mia nuova e
momentanea stanza.
Mi
sorrise e scese al bar dove ci eravamo conosciuti la notte prima che
prendessi la mia decisione.
Josephine
mi mancava da morire, ma non sarebbe stata felice con me accanto
arrivati a questo punto.
Non
a lungo.
La
mia era la decisione più giusta.
Passavo
ormai le giornate a fissare la periferia di Chicago dalla finestrella
della mansarda dove Sophie mi aveva gentilmente offerto di stare per il
tempo necessario.
Necessario
a prendere una vera decisione.
Dopo
essere andato via di casa, vagai per un po’ per le strade
della città chiedendomi il perché.
Perché
eravamo arrivati a quel punto?
Perché
avevo così paura di quel bambino?
Forse
odiavo che tutte le attenzioni di Josephine fossero concentrate su di
lui…
No,
non era questo.
Avevo
paura del futuro.
Per
la prima volta nella mia vita temevo il futuro.
E
mi sentii un mostro.
“Ehi,
tu. Ci conosciamo vero?”
Alzai
gli occhi e riconobbi la figura minuta che mi aveva servito il whisky
in quella bettola la notte prima.
Non
risposi, limitandomi a fissare i suoi grandi occhi nocciola.
“Oh
no.. non è tornata da te vero?” ,
sussurrò con un filo di voce, stringendosi nel cappotto
logoro.
Scossi
la testa superandola.
Non
mi andava di parlare dei miei problemi con una completa sconosciuta.
“Ehi,
dove vai? Fermati!”
, disse stringendo la sua mano sul mio braccio ne tentativo di fermarmi.
“Che
vuoi?”
, tuonai facendola spaventare.
Sophie
ritrasse la mano e si allontanò di qualche passo
terrorizzata.
“Scusa..
non volevo…”
Annuì
debolmente.
“Hai
almeno un posto dove stare?”
, mi chiese avvicinandosi lentamente.
Scossi
la testa.
“Non
m’importa. Troverò qualcosa qui, in giro.. e anche
se non dovessi, la mia vita non ha più senso..”
“Oddio,
non dirmi che vuoi ammazzarti? Ti prego non lo fare.. sei
così giovane.. sono sicura che andrà tutto a
posto..”
A
quelle parole scoppiai in un’amara
risata.
Dio
solo sapeva quanto desiderassi la morte, quanto l’avevo
desiderata all’alba della mia trasformazione, e quanto la
desideravo in quel momento.
“Vieni
con me. Stasera il whisky lo offro io”.
Fu
così che mi ritrovai a vivere in una vecchia soffitta
polverosa nella periferia di Chicago.
Sophie
si prendeva amorevolmente cura di me.
Cercava
di convincermi che presto sarei stato di nuovo felice.
Ma
io non le credevo.
Quelli
come me non meritano la felicità.
Evie
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Capitolo 5 *** Forks ***
4. Forks
La neve
iniziava a cadere lenta su Chicago.
Il
clima si era stabilizzato ed il freddo si faceva sentire ogni giorno di
più.
Eravamo
sedute di fronte al fuoco, Anne ed io, mentre il mio piccolo Jayden
dormiva beato nella culletta di vimini accanto alla mia poltrona,
quando una domanda mi venne spontanea:
“Anne,
tu di dove sei? Non sembri di Chicago”.
“Non
lo sono, signora”, mi rispose tenendo la testa bassa sul suo
ricamo. “Sono di Forks, un paesino sconosciuto nello stato di
Washington”.
“Ed
è bello lì?”, chiesi incuriosita dallo
strano nome della città.
“Diciamo
che è tutto verde… è piccola come
cittadina ma molto ospitale.”
“Capisco.
Cosa ti ha portata nel caos della grande città?”
“Il
lavoro di mio marito. Quando lui e nostro figlio sono morti ho deciso
di rimanere lo stesso qui… almeno da queste parti si lavora
un po’…”
“Oh
mi dispiace. Non volevo entrare nel tuo privato. Perdonami”,
dissi prendendo in braccio Jayden che nel frattempo si era svegliato.
“Non
fa nulla signora. Non dovete scusarvi. E’ tutto
apposto”, mi sorrise lasciando per un istante il suo lavoro.
Passammo
minuti interminabili in silenzio. Nessuna delle due osò
aprir bocca per un buon quarto d’ora, quando mi decisi a
tentare una nuova domanda.
“Anne,
ti piacerebbe tornare a Forks?”
Lei
scattò, guardandomi con gli occhi sgranati.
“Volete
che vada via?”
“Oh
no! Vorrei fare un viaggio in un luogo tranquillo e sperduto per
riposarmi un po’ e schiarirmi le idee e Forks mi sembrava il
posto giusto”.
Tirò
visibilmente un sospiro di sollievo. Le guance, prima bianche per lo
spavento, si arrossarono per l’imbarazzo del fraintendimento.
Sorrise
annuendo e capii che in quel modo aveva dato una risposta alla mia
domanda.
“Bene
allora inizia a preparare i bagagli. Fra due giorni partiamo, vero
piccolo mio?”
Jayden
mi guardò con quei suoi occhioni acquamarina per un istante,
prima di regalarmi il suo primo sorriso.
Due
giorni più tardi eravamo sul treno che ci avrebbe portati a
Forks.
Per
la prima volta dopo tanto tempo ero curiosa.
Curiosa
di scoprire un posto nuovo.
Curiosa
di conoscere gente diversa da quella che abitava la città.
Curiosa
di scoprire tradizioni nuove.
Se
Forks mi sarebbe piaciuta, come pensavo, non saremmo partiti molto
presto da lì.
Il
viaggio fu lungo e a tratti faticoso.
Arrivammo
a Port Angeles be due giorni dopo la nostra partenza; da lì
avremmo dovuto poi prendere una corriera che ci avrebbe portati a
destinazione.
Anne
e Jayden erano stremati.
Un
uomo mi aiutò a caricare i bagagli sulla corriera ed una
mezzoretta più tardi vidi in lontananza il cartello di
benvenuto.
“Anne,
siamo arrivati!”, svegliai la mia balia.
“D-di
già?”
“Finalmente!”,
esclamai entusiasta.
“Signora
non siete stanca?”, mi chiese Anne mentre scendevamo dalla
corriera.
“Affatto!
Dobbiamo trovare un alloggio… vado a chiedere in giro.
Aspettami qui.”
Lasciai
Anne e Jayden e mi allontanai per cercare un posto dove stare.
La
cittadina era proprio come l’aveva descritta Anne: piccola,
verde ma molto ospitale.
La
gente era pittoresca, sembrava una foto venuta dal passato.
Camminando
mi imbattei in una costruzione terribilmente vecchia ma ancora in
ottimo stato.
C’era
un cartello esposto nel giardino erboso e trascurato: In Vendita.
La
casa non era molto grande: all’entrata vi era un
portico e un vialetto di mattoni quasi interamente coperto dalle
sterpaglie.
Passai
oltre il piccolo cancello semiaperto e feci un piccolo giro attorno
alla casa: nella parte posteriore c’era un piccolo balcone
quadrato, e affacciandosi dal terrazzo, si poteva vedere
l’immenso bosco.
Che
meraviglia!
Mi
avvicinai; una donna uscì dall’abitazione
guardandomi perplessa.
“Desiderate?”,
chiese con diffidenza.
“Mi
scusi, non volevo disturbare ma ho visto il cartello e…
questa casa mi era piaciuta molto.”
“Non
si preoccupi signorina! Volete fare un giro?”.
Quella
che immaginavo essere la padrona di casa mi invitò
all’interno. Era una donna in là con gli anni,
dall’aspetto ben curato e cordiale, i capelli bianchi e un
bel vestito color caramello.
“Questa
è la cucina”, mi disse indicando una stanza
piccola con un grande tavolo in quercia al centro con due sedie ai lati.
“Di
là c’è il soggiorno..
c’è anche un caminetto ben funzionante per
giornate come queste”, disse sfregandosi le mani per il
freddo.
Sorrisi
osservando tutti i dettagli di quella piccola, deliziosa casetta.
“Al
piano di sopra ci sono due stanze da letto ed un piccolo bagno
lì, in cima alle scale. Se volete seguirmi vi faccio
vedere”.
“Certo.”
Seguii
la signora al secondo piano ed entrai istintivamente in una stanza: era
sul lato ovest della casa, aveva il pavimento di legno, pareti gialline
e soffitto a punta. Accanto alla finestra c’era un piccolo
lettino e sulla parete di fronte un vecchio armadio da cambiare
assolutamente.
“La
compro!”, dissi presa da un entusiasmo nuovo.
Inedito.
La
signora mi guardò come se non credesse a ciò che
le sue orecchie avevano sentito.
“Ne
è sicura? La casa è molto vecchia.. ha bisogno di
manutenzione..”
“Apprezzo
la vostra sincerità, ma avrei una certa urgenza. Quando
potremmo venire ad abitare?”
Travolsi
la signora con il mio entusiasmo. Vidi che si guardava intorno per
cercare il trucco, l’inganno.
“Per
me anche subito. Ma non vuole sapere il prezzo prima di
acquistarla?”, chiese sedendosi sul lettino della stanza
più piccola, che si piegò sotto il suo peso
(tutt’altro che gentile) cigolando.
“Oh,
giusto. La borsa con i soldi l’ho lasciata ad Anne.
Signora…”, esitai non conoscendo il suo nome.
“Carrey.
Ma chiamatemi pure Ines”.
“Signora
Ines, potreste aspettare qui. Tra dieci minuti sarò di
ritorno, promesso”.
Non
so per quale motivo, ma la signora mi credette e dieci minuti
più tardi, quando tornai con la mia balia e Jayden, la
trovai seduta di fronte al camino acceso da poco.
“Eccoci.
Scusate l’attesa”, dissi fingendo un lieve fiatone.
“Non
vi preoccupate. Qui ci sono le carte del contratto e le chiavi. Ma che
delizioso bambino…”, si avvicinò a
Jayden che dormiva beato tra le braccia di Anne.
“Grazie”,
risposi con un sorriso.
Mi
sedetti sul divanetto del soggiorno e firmai il contratto dando una
veloce occhiata alle clausole. La signora Carrey era una donna molto
onesta.
Pagai
ciò che le dovevo per la casa tutto in contanti e, dopo una
breve chiacchierata, ci salutammo.
“Avete
comprato questa casa? Volete restare qui a lungo?”, chiese
Anne intenta a disfare i bagagli al piano di sopra.
“Si.
Forks mi piace molto. Ah Anne, non ti dispiace dormire qui, con Jayden
vero?”, dissi indicando la stanza con le pareti gialle.
“Nient’affatto
signora”, sorrise.
“Dovremmo
comprare una culla… domani mattina usciremo un po’
in città. Per stanotte il bimbo dormirà nel mio
letto”.
“Come
desiderate signora”.
Due
ore più tardi decisi di uscire per una passeggiata.
“Anne,
mi assento per un po’. Tornerò prima che faccia
buio”.
“Non
impacciatevi signora. Sta per piovere”.
“Tranquilla.
Sarò presto di ritorno”.
Uscii
di casa e camminai non so per quanto tempo prima di entrare nella
foresta. Fu li che sentii un brivido corrermi lungo la schiena, un
bisogno folle ed impellente di correre veloce, di oltrepassare la
barriera del suono, di scaricarmi.
Mi
guardai intorno per accertarmi che nessuno stesse a guardare.
Uno
scatto improvviso, non controllato, senza pensieri.
Cancellai
qualsiasi freno inibitore e corsi più veloce che potevo,
come non avevo mai fatto prima.
In
un paio di minuti mi ritrovai fuori dall’oscurità
della foresta, su una scogliera vicino al mare.
Anne
aveva ragione: il cielo prometteva pioggia e già si
intravedeva qualche fulmine in lontananza.
Ma
il mondo visto da quell’altura sembrava così
incredibilmente grande, quasi immenso.
Mi
sporsi di più, fermandomi sul ciglio dello scoglio
più alto, ad un passo dal vuoto.
Il
mare ruggiva sotto i miei piedi e la voglia di tuffarmi era
forte… invitante.
Esitai
un attimo per assaporare il vento carico di salsedine che si infrangeva
sul mio volto.
Chiusi
gli occhi…
“Ehi,
ehi tu! Ferma! Non ti buttare per carità. Sei impazzita?
Ehi!”
Una
voce maschile alle mie spalle urlava quasi in preda al panico. Mi
supplicava di non buttarmi…
Sentii
un mano forte stringere il mio braccio.
Mi
voltai e vidi dinnanzi a me un ragazzo, giovane, più o meno
sui sedici anni o forse qualcosa in più.
Era
bello, acerbo ma molto bello.
Lineamenti
squadrati, capelli neri, labbra carnose…
“Sei
impazzita?”, mi disse con il fiato corto, “Non sai
che è pericoloso?”
Sorrisi
davanti la sua preoccupazione.
“O
mi dispiace, ma non avevo nessuna intenzione di buttarmi da
qui… per farmi male”
“Ah
no?”, disse lui con aria di sfida.
“E
cosa pensi ti saresti fatta se ti fossi scontrata con quegli scogli
laggiù?”
Indicò
il mare in tempesta.
Non
riuscii a trattenere un una grande risata.
Quel
povero ragazzo mi guardò credendomi pazza. Ignorava cosa
fossi in realtà e che non mi sarei mai fatta nulla
perché la mia pelle, al tatto così morbida e
delicata, era in realtà una dura corazza di diamanti.
“Mi
dispiace”, dissi portando una mano alla bocca.
“Certo
che voi signore di città siete dei bei
tipi…”, commentò lasciando andare il
mio braccio che stingeva ancora. “Cosa porta una giovane
donna come te in bilico su una scogliera in un paesino dimenticato da
Dio?”.
“La
voglia di tranquillità. La città è
talmente caotica… Tu sei del luogo?”, chiesi
allontanandomi dal baratro.
Vidi
il ragazzo rilassarsi a quella mia mossa, prima di rispondere:
“Vivo nella riserva, laggiù”,
indicò un punto alla sua sinistra.
“Sono
un Quileute. Il mio nome è Kevan”.
“Piacere.
Io sono Josephine”.
Un
tuono squarciò l’aria e grosse gocce
d’acqua iniziarono a cadere dal cielo.
“Piove!”,
dissi ma il mio tono non fu quello che il ragazzo si aspettava: ero
divertita.
“Piove
piove piove!! Che meraviglia!”
La
pioggia cadeva sempre più incessantemente, bagnando
interamente il mio abito bianco di raso.
“E’
tutta matta… Vieni via o ti verrà un bel
raffreddore”.
Kevan
si era allontanato per ripararsi sotto gli alberi. “Fifone
vieni qui! Non sai che ti perdi…”
Iniziai
a danzare sotto la pioggia. Finalmente facevo qualcosa al di fuori
dagli schemi che l’etichetta di brava ragazza mi imponeva.
Kevan
si avvicinò prendendomi per mano; per un istante
fissò i suoi occhi nero carbone nei miei e sorridendo
iniziò a correre trascinandomi con lui.
“Dove
mi stai portando?”, domandai seguendolo.
“In
un posto migliore della scogliera bagnata”.
Sentivo
l’euforia e l’adrenalina nella sua voce. Continuavo
a ridere stringendo la sua mano calda al contrario della mia.
Poco
dopo arrivammo nei pressi di una radura al centro della quale vi era
una casetta di legno, piccola, con delle grandi gerbere colorate sui
davanzali delle finestre.
Kevan
aprì la porta ed entrammo.
L’arredamento
era semplice: tutti i mobili erano in legno. L’ambiente era
piccolo, ma accogliente.
“Fai
come se fossi a casa tua. Di là c’è un
bagno con delle asciugamani pulite. Io intanto accendo il
fuoco”.
Andai
in bagno e presi due asciugamani bianche. Quando tornai nella prima
stanza, Kevan aveva già acceso il fuoco.
“Che
velocità. Complimenti, la casa è davvero molto
carina”, commentai porgendogli un asciugamano.
“Grazie.
Non ci crederai ma l’ho costruita io con le mie mani.
E’ da un paio d’anni che ci lavoro…il
piano di sopra è ancora tutto da finire
però… E’ il mio rifugio.”, mi
raccontò.
Passarono
alcuni momenti scanditi dallo scoppiettio del fuoco. Quella nuova vita,
quella possibilità di vita che mi stava aprendo davanti mi
piaceva.
Però,
non comprendeva Edward, ed il solo pensiero mi spezzò
nuovamente il cuore.
“Allora,
Josephine.. in città non piove mai?”, disse Kevan
abbozzando un sorrisetto malizioso.
“Si,
perché?”, chiesi ingenua e sovrappensiero.
“Bè
dalla tua reazione non sembrava”
“Sono
stata eccessiva, eh?”, chiesi sedendomi su una poltroncina di
chintz accanto al fuoco caldo.
Kevan
mi guardò e sorrise.
“Cosa
c’è?”
“Sei
davvero strana tu. Nel senso buono, si intenda”.
“E
quale sarebbe?”, lo stuzzicai.
“Mmmm…”
Un
tuono sibilò molto vicino. Un boato e la pioggia
cessò come d’incanto.
L’orologio
sopra una vecchia credenza segnava le 19.30 passate.
“Devo
andare”, mi alzai di scatto interrompendo i suoi pensieri.
“Di
già?”, Kevan mi imitò.
“E’
molto tardi e Anne sarà preoccupata per
me…”, mi avvicinai alla porta aprendola.
Era
buio pesto.
“Vuoi
che ti accompagni? E’ buio e…
pericoloso..”
“No
grazie. Casa mia è qui vicino.”
“Riuscirai
a trovare la strada?”, chiese apprensivo afferrando
nuovamente il mio braccio.
“Tranquillo.
Ce la farò. Non sono poi tanto indifesa come
sembra”.
“Josephine,
ti rivedrò?”
“La
città è molto piccola…”, fui
molto vaga.
Sorrise.
“Nel
caso voglia aiutare il destino, di chi devo chiedere?”
“Josephine
Heart. Qualcuno in città saprà dirti di
lei”.
“Nel
caso tu voglia aiutare il destino chiedi di Kevan Uley. Qualcuno,
giù in riserva, saprà dirti di lui”.
Uscii
da quella porta riprendendo la corsa da dove l’avevo lasciata
Kevan:
Casa che Josepine
compra a Forks:
Rifugio di Kevan:
Bè le
avete riconosciute le due case???
Sono curiosa di
saperlo!!
Bacioni
Evie
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