Love Shooting di artemide88 (/viewuser.php?uid=71400)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Giorno ***
Capitolo 3: *** 24 ore ***
Capitolo 4: *** Agitazione ***
Capitolo 5: *** Che Dio me la mandi buona ***
Capitolo 6: *** Emh? ***
Capitolo 7: *** Passi ***
Capitolo 8: *** Giochi di forza ***
Capitolo 9: *** Dimostrazioni ***
Capitolo 10: *** Bersaglio mancato? ***
Capitolo 11: *** Jacob ***
Capitolo 12: *** Il ballo ***
Capitolo 13: *** Consiglio imprevisto ***
Capitolo 14: *** Philip ***
Capitolo 15: *** Forse...forse aveva ragione Charlie! ***
Capitolo 16: *** Chi è lei? ***
Capitolo 17: *** Bang, Drin, Toc e Slam ***
Capitolo 18: *** Giorno x, ora x ***
Capitolo 19: *** Neve e fuoco ***
Capitolo 20: *** Natale ***
Capitolo 21: *** Io avevo detto di no ***
Capitolo 22: *** Richiesta ***
Capitolo 23: *** The last step ***
Capitolo 24: *** Il romanticismo fa schifo ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
Nella stanza c’erano due uomini, impegnati a firmare fogli su fogli.
“ancora una firma signori.” Disse l’avvocato passando
loro un altro documento. “ questo è l’ultimo e avete
concluso l’affare.” Rise leggermente come se il suo compito
fosse divertente. Veder scorrere soldi a fiumi è sempre
divertente, per chi li prende, non per chi li lascia andare.
Per uno dei due uomini, quello con l’aria più stanca e
trasandata, firmare quell’ultimo documento era un tormento
interiore, ma non aveva scelta. La penna grattò sulla superficie
porosa del foglio in un’ultima firma nera. Poi appoggiò la
penna sul tavolo, subito seguito dall’uomo in completo grigio
chiaro al suo fianco.
Entrambi si alzarono e si strinsero la mano.
“Hai promesso.” Sospirò l’uomo stanco. L’altro annuì e si congedò.
L’uomo stanco aveva appena venduto all’uomo in completo
grigio chiaro tutta la sua vita, ma almeno aveva avuto in cambio una
promessa. Una promessa che avrebbe cambiato molte vite.
p.s. dell'autrice:
eccomi qui con un'altra storia. =) lo avevo detto che sarei tornata =)
per chi invece non mi conosce, benvenuti nel mio pazzo mondo =)
permettetemi due paroline sulla storia: allora, è nata quasi di
getto ma tutto sommato sono contenta di come sta venendo. questo
è solo il prologo, è un po' miserino, ma è
importante che ci sia =)
inoltre sarà una ff
-spero- divertente e leggera da leggere. il raiting sarà
arancione (e non penso che diventerà rosso, ma mai dire mai con
la mia testolina che va sempre per la sua strada) perchè un
personaggio ha deciso di essere un po' volgare. io ho tentato di
educarlo, ma nulla da fare =)
un grazie speciale va a sweet_ebe per il sostegno e la scelta del titolo.
a presto!!
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Capitolo 2 *** Primo Giorno ***
cap 1
BUONA LETTURA
CAPITOLO 1 – PRIMO GIORNO
Il primo giorno di lavoro è sempre particolare.
È il primo giorno in cui ti presenti a delle persone con cui poi
dovrai lavorare per un determinato periodo di tempo. e si spera, che
sia un lungo periodo soddisfacente sul piano professionale e senza
eccessivi scossoni interpersonali.
Per questo il primo giorno di lavoro è bene fare una bella impressione.
Isabella Marie Swan sapeva quanto fosse importante il primo giorno.
Sarebbe arrivata, magari con qualche minuto d’anticipo, al
grattacielo che ospitava gli uffici della multinazionale per cui
avrebbe lavorato, avrebbe preso l’ascensore fino al trentesimo
piano, si sarebbe presentata a quel capo di cui tutti parlavano, ma che
lei non aveva mai visto, il colloquio d’assunzione lo aveva
svolto con solo con il responsabile dell’ufficio del personale.
Si, la sua prima giornata lavorativa sarebbe andata così, se
Isabella Swan non fosse stata una ritardataria cronica e se al primo
suono della sveglia, lei si fosse alzata bella pimpante e piena di
energie per la nuova avventura, si fosse fatta una doccia rilassante,
si fosse vestita con il tailleur elegante ma comodo che aveva
nell’armadio e si fosse truccata leggermente. Poi avrebbe dovuto
prendere un taxi, guardato con preoccupazione l’orologio ogni tre
secondi per la paura di fare tardi per il troppo traffico, ma sarebbe
arrivata tranquillamente all’appuntamento fissato per le nove in
punto nell’ufficio del capo. Certo, sarebbe arrivata con una
leggera ansia, ma sarebbe arrivata.
E invece Isabella, dopo una notte insonne a causa della tensione, aveva
ignorato la sveglia, per poi svegliarsi all’ultimo minuto e con
panico constatare quanto fosse in ritardo.
Era scesa come un fulmine dal letto, inciampando ovviamente nelle
lenzuola tutte disfatte, aveva afferrato un paio di jeans abbastanza
eleganti, una camicia e poi via, di corsa, non senza aver preso
giubbino e borsa.
L’estate era nell’aria newyorkese da qualche giorno e la
giovane Isabella avrebbe voluto godersela appieno quella mattina.
Invece il buon profumo di estate e di fiori freschi era coperto dalla
pesante cappa di smog che contraddistingue sempre le strade della
città.
Fatto sta che Isabella imprecò contro il traffico e contro il
malcapitato tassista, e imprecò il doppio quando vide la
lancetta dei minuti spostarsi pericolosamente verso il numero sei. Le
nove e mezza...pensò al limite della disperazione.
Era in ritardo, fottutamente in ritardo. Come un razzo entrò
nell’edificio, la borsa di traverso e il giubbino mezzo
giù. Aveva furiosamente schiacciato l’innocente bottone
della chiamata dell’ascensore, come se fosse quel tastino rosso
la causa di tutti i suoi problemi e se continuando a schiacciarlo,
l’ascensore fosse arrivato prima.
In un ascensore pieno di gente dava segni di irrequietezza, battendo
furiosamente il piede per terra. Ogni volta che l’ascensore si
apriva per far scendere o salire qualcuno, Isabella guardava
l’ora.
“devo mettermi l’anima in pace.”
si disse, ormai la lancetta delle ora si era spostata verso le dieci.
Il suo ritardo era mostruoso, come presentazione il primo giorno
era...non c’erano parole per definirla. Si sarebbe stupita se non
fosse stata licenziata non appena avesse messo piede nell’ufficio
del capo. Avrebbe stabilito un nuovo record, licenziata dopo solo pochi
secondi di lavoro.
Trafelata arrivò al piano, deserto. Era scesa solo lei
dall’ascensore, beccandosi occhiatacce perplesse e timorose da
tutti gli altri occupanti. L’atmosfera era un pelo lugubre, tanto
che pensò di aver sbagliato o che fosse uno scherzo di pessimo
gusto, orchestrato da qualche mente malata.
Percorse quasi con timore il lungo corridoio...vuoto. alle pareti solo
qualche quadretto, di poca importanza. Nell’angolo una pianta
rinsecchita. In fondo c’era una scrivania e poco oltre una porta
di vetro smerigliato.
Un altro passo, con lo sguardi fisso alla porta, come se da lì dovesse uscire un mostro.
TOC
Dalla scrivania provenne un colpo secco, il contenuto del portapenne
sussultò e una voce maschile diede libero sfogo al proprio
dolore. Con sollievo Isabella pensò che quanto meno non era
stata mandata in un posto completamente deserto, che un’anima pia
a cui chiedere informazioni c’era.
“scusa, sto cercando l’ufficio di E. Cullen.” disse leggendo il post-it giallo incollato sulle dita.
L’uomo che riemerse da sotto la scrivania la osservò
decisamente contrariato, massaggiandosi la testa dolorante. Pessima
giornata, anche per lui.
“e di grazia chi lo cerca?”
“io.” Rispose lei sicura e un po’ spavalda,
trattenendo una risata. Chi si credeva di essere quel ragazzino davvero
carino? Se lei chiedeva di Cullen, evidentemente era lei a cercarlo.
Isabella sentiva il suo sorriso diventare sempre più tirato,
quel ragazzo dai capelli bronzei le stava facendo perdere tempo, e lei
era già in ritardo. In ritardo per essere licenziata, si
ricordò mentalmente.
“mmm, capisco. tu devi essere la mia sostituta.”
“la tua sostituta? Non mi hanno assunto né per fare la segretaria né per fare la balia ai bambini. Quindi, di grazia, dove posso trovare E. Cullen?”
“forse ti hanno assunta per essere in ritardo e per rispondere
male al tuo capo. Io, Edward Cullen, mi sono dovuto abbassare a fare il
lavoro di segretaria, solo perché Miss Universo qui presente
è in ritardo di un’ora...”
“merda...” Isabella si lasciò sfuggire
un’imprecazione, poi riprese il suo migliore sorriso e tese la
mano. “è stato un piacere conoscerla signor Cullen. A mai
più rivederci, mi licenzio da sola, senza doverla scomodare
più del dovuto.”
Edward Cullen non le strinse la mano, ma si alzò dalla poltroncina girevole e andò verso il suo ufficio.
“mi piacerebbe licenziarla signorina Swan, ma purtroppo ho troppo
bisogno di lei, anche se è scortese e forse incapace. Quindi, di grazia, mi faccia l’onore di accomodarsi nel mio ufficio.”
p. s. dell'autrice: ecco a voi il primo capitolo =) lascio a voi commenti e considerazioni.
grazie a tutti!! a presto!!
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Capitolo 3 *** 24 ore ***
cap 2
Ben ritrovati!! ecco il nuovo capitolo tutto per voi.
Solo una piccola nota sugli
aggiornamenti: per ora riesco a farne due a settimana (giovedì e
domenica). non sarà sempre così (per esempio sarà
difficle che domenica riesca a postare, ma c'è sempre
lunedì!! ù_ù). cercherò di essere sempre
rapida e costante, ma mentre scrivo la ff, devo anche studiare e
scrivere una tesi, quindi portate pazienza se ci saranno ritardi.
grazie!! =)
BUONA LETTURA!!
CAPITOLO 2 – 24 ORE
Ventiquattrore. Passano in fretta se ci pensate.
E per fortuna Isabella meno di ventiquattrore dopo, passate a rodersi
il fegato per la rabbia, si era svegliata in orario e si stava
preparando per andare al lavoro.
Eh, già, per Isabella furono ore infernali. Dopo
quell’incontro non proprio consono, aveva scoperto le sue
mansioni. Portare il caffè, servire il caffè, dire sempre
di si, fare telefonate, rispondere alle mail e fare le fotocopie. Quasi
mi dimenticavo! Il suo compito più importante! Assecondare ogni
capriccio del suo capo. A quella richiesta lo aveva guardato storto e
senza peli sulla lingua aveva risposto che se voleva un pompino gli
avrebbe procurato la migliore squillo di NY. La sua dignità era
già abbastanza frustrata senza dover assecondare i capricci
sessuali di E. Cullen.
Eppure si trattava di lavoro. Lavoro...pensò con amarezza.
L’avevano chiamata per il settore ricerca e sviluppo e si era
ritrovata a fare la semplice segretaria di un pallone gonfiato (durante
la notte aveva sognato di punzecchiarlo più volte con un ago
fino a farlo scoppiare).
“mmm, ricerca e sviluppo...già ricerca e sviluppo del
cervello del signor E. Cullen.” Borbottò mentre sceglieva
dall’armadio il vestiario. Anche su quello aveva avuto delle
restrizioni. Tailleur eleganti, possibilmente gonna, niente jeans e
scarpe del tennis, ma tacchi o al massimo ballerine.
Isabella represse un ennesimo moto di rabbia, aveva bisogno di lavorare.
Tutta la sua vita (venticinque anni , più o meno, non sono poi
molti...) l’aveva trascorsa a ricercare un benessere economico
che le permettesse di vivere dignitosamente. Lei e il suo caro
papà non erano ricchi e si erano sempre barcamenati in mille
difficoltà. ma lei aveva lui e lui aveva lei e soprattutto
avevano la loro dignità. Spesso papà Charlie
l’aveva portata con sé mentre faceva qualche lavoretto e
la piccola Isabella aveva appreso tutto quello che c’era da
sapere, su macchine, motori, bricolage...mentre sulla
femminilità era un po’ carente. Se a scuola avesse avuto
economia domestica, avrebbe guadagnato una serie infinita di quattro.
Il secondo giorno arrivò in orario alla Guns n’Cullen. Si
era resa conto di aver tirato troppo la corda ventiquattrore prima e
che se voleva mantenere il posto doveva agire con scaltrezza. Doveva
solo restare calma, far trascorrere qualche mese in cui il suo conto in
banca si sarebbe rimpinguato a dovere e poi avrebbe cercato un altro
lavoro. Certo, sempre che non le fossero esplosi nervi e cervello prima.
Accese il computer e per poco non distrusse lo schermo con un pugno
secco. Già, doveva proprio fare corsi di femminilità.
Corsi intensivi. Oppure iscriversi a corsi di thai boxe per scaricare
la rabbia repressa.
Lo schermo del pc recitava:
“Buongiorno signorina Swan,
spero che sia arrivata in orario, quest’oggi. Le sue mansioni
prima del mio arrivo, previsto per le dieci e mezza, sono –le
segua nell’ordine indicato, ho calcolato personalmente in tempi.
Se è arrivata in orario, per il mio arrivo avrà
completato tutti i compiti. –
1- Mi ordini allo Starbucks qui di fronte la mia
colazione. Basta chiamare, sanno cosa voglio. Mi raccomando, la faccia
arrivare per le dieci e venticinque minuti precisi.
2- Metta la colazione sulla mia scrivania,
esattamente a cinque centimetri dal bordo superiore destro e a dieci da
quello laterale.
3- Compili gli ultimi moduli per il Governo. Deve
solo inserire alcuni dati che può facilmente trovare nella
casella “info” sul suo desktop.
4- Fotocopi tali documenti e li ponga in
bell’ordine sulla scrivania, vicino (ma non troppo) al computer.
5- ...”
La lista andava avanti per altri cinque o sei punti, per poi
concludersi con un: “cordiali saluti e buon lavoro, E.
Cullen.”
Isabella ben dispose il suo animo a una lunga giornata, ma almeno per
quell’ora e mezza sarebbe stata da sola. Tolse le decolté
che le stavano rovinando i piedi e procedette con le telefonate e la
compilazione dei moduli. Chiamò, fissò appuntamenti e ne
disdisse altri, tutto secondo il maniacale ordine impostole da E.
Cullen. Aveva deciso di seguire i suoi ordini alla lettera per non
farsi più riprendere, lei era competente ed efficace nel suo
lavoro. Dopo un’ora al telefono il suo orecchio destro fumava.
Si alzò dalla sua scrivania stiracchiandosi e prese i fogli da
fotocopiare. Le restava solo quello da fare, poi avrebbe atteso la
colazione del signorino e avrebbe preso il righello per fare i compiti.
Gli avrebbe misurato volentieri anche qualcos’altro...di solito
è inversamente proporzionale all’intelligenza...
Sempre senza scarpe andò nella stanza della fotocopiatrice. I
piedi nudi non fecero rumore sulla moquette morbida e poi chi avrebbe
potuto sentirla? Su quel pieno gli unici esseri viventi (la pianta
nell’angolo vicino all’ascensore non vedeva l’acqua
da secoli) sarebbero stati lei e il suo capo (ancora assente).
Nessun’altro. Che bella situazione di cacca...non avrebbe mai
potuto avere il conforto di una collega con cui prendere in giro
l’egregio signor E. Cullen, direttore della sede newyorkese della
Guns n’ Cullen.
Per alcuni minuti si sentì solo il rumore del macchinario che
scansionava e riproduceva i documenti. Isabella li guardava passare
senza prestare molta attenzione.
Era così persa nel nulla che non sentì la porta della
stanza socchiudersi e due occhi verdi smeraldo posarsi sulla sua
figura. La osservò per parecchi minuti, il piede destro nudo
piegato dietro la gamba sinistra. I capelli castani le scendevano a
boccoli scomposti sulla schiena. e il culetto non era niente male.
Edward Cullen sapeva apprezzare la bellezza femminile e di certo la signorina Swan era un bel bocconcino.
“signorina Swan!” la chiamò facendola sussultare.
“cazzo, è pure in anticipo, Mister sono il capo supremo.”
Pensò mordendosi il labbro per non rispondere male e mandarlo a
quel paese per lo spavento che le aveva fatto prendere. Mister E.
Cullen, sorrise compiaciuto nel vederla così, la giovane
segretaria stava capendo con chi aveva a che fare e sembrava in totale
imbarazzo, quasi timida davanti a lui. Era anche ora che si desse una
regolata, la ragazzina!
“le scarpe le ha lasciate a casa?”
Isabella non rispose e lo superò, andando alla su postazione
perché nel frattempo era arrivato il ragazzo di Starbucks. Presa
in consegna la colazione (e pagata con somma stizza dalla ragazza
stessa...), si rimise le scarpe. Poi andò nell’ufficio,
misurò a spanne le distanze richieste ed infine pose vicino al
computer i documenti.
Erano le dieci e mezza in punto quando Isabella si sedette alla sua
scrivania, guardò Edward, gli sorrise e lo salutò come se
lo vedesse per la prima volta quella mattina. Gli augurò
addirittura una buona giornata, comunicandogli che le sue indicazioni
erano state eseguite alla perfezione e gli ricordò gli
appuntanti del pomeriggio.
Edward la fissò senza parole, si avviò verso
l’ufficio e sbatté di malagrazia la porta, stizzito per il
comportamento. Decise, con estrema soddisfazione, che gliela avrebbe
fatta pagare, le avrebbe fatto rimpiangere la sua impertinenza. Per
prima cosa però avrebbe contattato l’ufficio del
personale, invitandoli a cercargli un’altra segretaria. Eh,
già, non poteva licenziare in tronco la signorina Swan, aveva
disperato bisogno di una Tuttofare ai suoi esclusivi ordini. La ragazza
che lavorava lì fino alla settimana prima era stata trasferita
in un’altra sede della Guns n’ Cullen senza alcun preavviso.
“Swan! Nel mio ufficio.” Sbraitò nell’interfono.
“mi chiami tutti i direttori di settore, tra dieci minuti in sala
riunioni.” Le disse solo prima di congedarla e tornarsi a
concentrare sul computer. Era in arrivo un bel week–end per i
dipendenti. Avrebbe fatto soffrire le pene dell’inferno a
Isabella Swan.
p. s. dell'autrice: uff,
ce l'abbiamo fatta =) anche questo capitolo è concluso. fatemi
sapere che ne pensate!! grazie mille per i commenti, siete fantastici!
grazie ai preferiti, ai ricordati e ai seguiti! mi fate solo aumentare la voglia di scrivere!! =)
per chi volesse
contattarmi...beh, c'è la casella di posta sempre a vostra
disposizione, c'è Facebook (ho aggiunto il link nella pagina
personale dell'autore...) e poi c'è msn sarinaina88@hotmail.com
NB: se mi aggiungete, per favore, scrivetemi il vostro nick di EFP! garzie.
a presto,
Sara
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Capitolo 4 *** Agitazione ***
cap 3
Buona
sera a tutti!! eccomi tornata con un nuovo capitolo!! lo so, lo so, i
capitoli sono corti...mi dispiace, cercherò di compensare con la
rapidità di aggiornamento!!
BUONA LETTURA!!
CAPITOLO 3 – AGITAZIONE
Agitazione. Tutti erano agitati senza un’apparente motivazione.
Isabella aveva imparato a non stupirsi più di niente e a non
fare domande e poi lei non aveva rapporti con i colleghi, sempre
relegata al trentesimo e desertico piano.
Lavorava alla Guns n’ Cullen come semplice segretaria da quasi
tre settimane, tra alti e bassi con il suo capo e un corso intensivo di
thai boxe il giovedì sera.
Era venerdì e il venerdì era a orario ridotto. A
mezzogiorno e mezza avrebbe lasciato quel luogo desolato e il week end
sarebbe finalmente iniziato. Avrebbe fatto la sua settimanale chiamata
la padre e poi...boh, avrebbe fatto quello che le suggeriva
l’istinto.
Stampò l’ultimo foglio e chiese il permesso al capo di entrare nell’ufficio.
“signor Cullen, questo è per lei. Io ora vado, buon fine
settimana.” Disse consegnandogli il foglio. Si girò sui
tacchi ma la voce imperiosa di Edward la costrinse a voltarsi.
“e questo cosa sarebbe?”
“ho calcolato quanto spendo per la sua colazione. Quello è
semplicemente un prospetto mensile e la richiesta di un rimborso
spese.” Gli sorrise cordiale, mentre dentro di sé gioiva
per l’incredulità del capo. Che cazzo credeva? Che gli
pagasse sempre lei i suoi caffè e i suoi muffin ai mirtilli?
Aveva trovato proprio la persona sbagliata...
“d’accordo.” Le tese il foglio. “le rimborserò le spese, mi sembra corretto.”
“grazie signor Cullen.” Oh! Finalmente un segno di civiltà da parte di entrambi!
“oh, signorina Swan, come arriva alla spa domani mattina? Con i
mezzi pubblici è un po’ difficile...le ricordo che il
ritrovo è alle otto in punto.”
Isabella lo guardò senza capire, basita. Spa? Mezzi pubblici? Di che diavolaccio stava parlando?
“mi scusi signore?”
“non le è arrivata la mail? Il suo diretto superiore
avrebbe dovuto girarle la comunicazione!” disse con tono fino
indignato. “oh, ma che sbadato, sono io il suo diretto
superiore!” sorrisetto malvagio. “Qualche settimana fa
abbiamo deciso un week end tra dipendenti in una spa fuori
città. Un posto davvero sublime...”
Isabella ebbe la forza solo di scuotere la testa, è questa che
novità era? Edward, compiaciuto della reazione, proseguì.
“ogni tanto organizziamo questi incontri, migliorano la
collaborazione. In questo caso verranno solo i direttori di sessione e
i loro collaboratori più stretti. Dato che lei è la mia
unica collaboratrice mi aspetto la sua presenza, ovviamente.”
Edward godeva nel vedere la spavalda sicurezza di Isabella sgretolarsi
in un pallido terrore. “ora...”
“signore, mi scusi, ma essendo stata informata solo in questo
momento, devo comunicarle che non potrò esserci perché ho
altri programmi per il week end.” Lei credeva di essersela cavata
in modo diplomatico, ma il sorrisetto del suo capo le disse tutto il
contrario, non aveva scelta.
“mi dispiace ma dovrà disdire, sono appuntamenti
importanti questi per una società come la nostra. È una
tradizione a cui nessuno può sottrarsi, lei meno di tutti
essendo la mia segretaria e dovendomi fare da supporto. Mi capisce
vero? Ho assoluta necessità del suo aiuto insostituibile.”
Prima non le mandava la mail, poi la costringeva ad andare con subdoli
occhi dolci e parole lusinghiere. Isabella strinse i pugni per la
rabbia, la voleva incastrare a tutti i costi. “se lei non
venisse, sarei costretto a cercare qualcun altro per sostituirla e
sarebbe un grandissimo peccato.” Che viscido! Sorrideva
così falsamente che gli augurò una paresi facciale,
almeno sarebbe risultato più naturale. Ma non era ancora finita.
“non le verrebbero rimborsati nemmeno i soldi delle
colazioni.” Disse sventolando il foglio. Quelli sarebbero
arrivati solo nella prima busta paga, tra una settimana esatta. E a lei
non andava già di aver lavorato gratis (anzi in netta perdita)
per quel pallone gonfiato.
Alla ragazza non restò che acconsentire seppur a malincuore, ma
almeno si sarebbe rilassata a spese del suo capo. Uscì
dall’ufficio demoralizzata e aprì la sua casella di posta
elettronica, trovando finalmente la famosa mail con le indicazioni. La
spa si trovava a circa tre ore di macchina da New York, arrivarci per le otto di mattina senza un mezzo proprio era
impensabile.
Isabella iniziava a comprendere l’agitazione che aveva percepito
in quell’ultima settimana tra i dipendenti, la mail era la
soluzione del mistero. Era un misto di ansia e di trepida attesa per
l’evento più cool prima dell’inizio
dell’estate. Le donne avrebbero portato l’intero armadio,
avrebbe sfoggiato i loro abiti più belli e i loro corpi
perfetti, gli uomini avrebbero parlato d’affari e di sport, tutti
coccolati dalle cure termali.
Isabella si mise la mani tra i capelli, la sua era agitazione pura.
Problema uno, come arrivarci? Problema due, cosa mettere in valigia.
Problema tre, avrebbe dovuto contattare un’estetista al
più presto e fare un po’ di shopping, due cose che odiava
con tutta se stessa. Non che fosse una donna delle caverne, ma non
andava d’accordo con le cera calda e con pomeriggi interi in
negozi. Era semplicemente una donna alla mano...forse cresciuta un
po’ troppo come un maschiaccio.
“signorina Swan?” Edward aveva sbirciato la sua reazione
dal buco della serratura e gli era dispiaciuto...forse aveva esagerato.
“mi dispiace essermi dimenticato di avvisarla. Io partirò
stasera verso le ventidue per evitare il traffico, le posso offrire un
passaggio?”
p. s. dell'autrice: che succederà?? si accettano scommesse!! tanto io so che succede =)
ho notato un calo delle recensioni e delle letture. spero sia solo un
caso! se la storia non fila o non appassiona me lo direste, vero??? *-*
cmq GRAZIE a tutti!! alla prossima!! Sara
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Capitolo 5 *** Che Dio me la mandi buona ***
cap4
AVVISO!!!
NOTE PRIMA DI LEGGERE...
Anche i migliori possono sbagliare. così potrebbe iniziare
questo piccolo avviso prima del capitolo...oh, si scusate!!! il
capitolo c'è, è proprio qui sotto =)
ma LEGGETE per favore. nello scorso capitolo avevo scelto come
ubicazione della spa il confine tra gli stati di New York e del New
Jersey . Ebbene, la destinazione dei nostri impavidi eroi è
cambiata. -e il capitolo prima è stato corretto.-
Scusate...lo so, non è molto importante dove vanno....ma mi
sembra giusto dare il massimo della precisione. io ci tengo alla mia
storia! =)
Bando alle ciance...sono già abbastanza in ritardo con questo aggiornamento...ma leggete per favore anche le note finali...sono importanti!!
ora non mi rimane che dirvi: BUONA LETTURA!!
CAPITOLO 4 – CHE DIO ME LA MANDI BUONA
Isabella aveva alzato gli occhi fino ad incontrare quelli verdi
del suo capo. Purtroppo, facendo due conti molto velocemente, si era
vista costretta ad accettare quell’invito.
“che Dio ce la mandi buona. A lui più che a me.” Pensò mentre si accordava per farsi andare a prendere alla ventidue in punto sotto casa sua. “potrei avere istinti omicidi durante il viaggio...”
Più volte in quel pomeriggio ebbe tempo di rimpiangere la sua
decisone. In realtà si era accorta di aver fatto la cazzata del
secolo un secondo dopo aver detto quel maledetto si.
Per esempio quando l’estetista strappò con fin troppa foga
una striscia, facendole trattenere un urlo (tanto da farle meditare di
portare solo pantaloni lunghi). O quando, per esempio, aprì il
suo armadio e lo guardò sconsolata. Oltre ai tailleur che usava
per il lavoro, il resto era una serie di comodi jeans e magliette. Due
sparute gonne erano relegate sul fondo con altrettante camicie. E di
andare a fare shopping proprio non aveva voglia...e il suo conto in
banca era già stremato.
Si sentì senza un briciolo di femminilità, anzi questa
era ai suoi minimi storici, sotto lo zero, ma d’altra parte era
così orgogliosa e determinata che non aveva nessuna intensione
di sfigurare davanti agli altri in quel week end. Non le interessavano
i pettegolezzi ma non aveva nessuna intenzione di farsi parlare alle
spalle per tutto il tempo, senza considerare che le malelingue
l’avrebbero perseguitata anche sul posto di lavoro.
Già i discorsi delle altre donne le rimbombavano nelle orecchie.
Prima di sapere a cosa era dovuta tutta quella agitazione aveva pensato
solo a stupide chiacchiere femminili. Poi, mentre usciva dal lavoro,
era iniziato il suo incubo personale.
Non aveva mai parlato con le sue colleghe ma le orecchie ce le aveva, e
funzionavano bene anche. In ascensore tutti parlavano senza sosta di
quello che avrebbero messo in valigia. Completi intimi raffinati, abiti
eleganti ma anche qualcuno sportivo. Ma soprattutto contavano...come
cosa? Contavano quanti cambi sarebbero riuscite a fare! uno per la
colazione, uno per la mattinata, uno per il pranzo, uno per il
pomeriggio, un altro per la cena e infine uno per il dopocena. A questo
punto Isabella si era chiusa le orecchie, non voleva proprio sapere
come si sarebbero vestite per la notte. Aveva già abbastanza mal
di testa e il disgusto per tutta quella vanità le aveva fatto
venire una leggera nausea.
Erano poi solo due giorni!! Più di dieci cambi per due giorni erano troppi!
Tuttavia, l’agitazione da vestiti delle colleghe non era nulla in
confronto alla sua per il viaggio, chissà che altro le avrebbe
combinato il suo capo.
“fanculo!” disse Isabella, togliendo i vestiti
dall’armadio come una furia e deponendoli sul letto o sul divano
del suo monolocale. Scelse poi dal mucchio qualche maglietta, le
camicie più sportive, una gonna e due paia di jeans,
giudicandoli più che sufficienti. Infine prese il giubbino senza
maniche imbottito. L’estate era alle porte, ma anche le montagne
lo erano. Infatti aveva controllato il sito della spa dove avrebbe
trascorso il week end, era ai piedi delle Catskills Mountains. Prese le
sue fedeli sneakers, e mise tutto in uno zaino da montagna...quella era
la sua unica valigia, non set di borse firmate. Tuttavia la cura non
venne meno, pose le camicie e le gonne al di sopra di tutto, in modo
che non si stropicciassero troppo. Sollevò lo zaino e lo mise su
una spalla, afferrò la tracolla e si avviò alla porta.
“cazzo!” imprecò proprio mentre stava per uscire di
casa. aveva dimenticato felpe e maglioni. Pensa a una cosa e ne
dimentica altre cento!
Posò lo zaino e corse all’armadio, aprì ante e
cassetti per cercare qualcosa di comodo. Nel mentre faceva
l’elenco delle cose che aveva preparato, dopotutto aveva
dimenticato già qualcosa.
“beauty, jeans, scarpe, pigiama e mutande, reggiseni, calzini...”
Ma la sfiga si sa che non va mai in giro da sola. Si accompagna sempre
alla puntualità...degli altri. il signor E. Cullen suonò
al citofono alle ventidue precise. Isabella avrebbe preferito farsi
trovare pronta in strada per non dargli motivo per criticarla. O per
non farlo accomodare nel suo disordinato monolocale...
Scese di corsa le scale, rischiando un paio di volte di cascare, tanto
che una vicina, sentendole fare tutto quel rumore, si affacciò
alla porta.
“manca solo l’impicciona di turno!” borbottò a
denti stretti, figurarsi se avesse visto il signor Cullen! Isabella
sarebbe diventata il pettegolezzo più succulento
dell’intero palazzo! Ma che dico! Dell’intero vicinato!
Fatto sta che la nostra maldestra eroina, con fatica uscì dal
portone (rischiò infatti di incastrarsi tra le ante per via del
voluminoso zaino) e si trovò davanti il suo bello e perfetto
capo. Jeans e camicia sportiva, scarpe del tennis ma aria
sbarazzina...stava appoggiato come un divo del cinema alla sua macchina
tirata a lucido.
Edward sorrise nel vederla uscire trafelata dal portone, aveva
scommesso con se stesso che l’avrebbe trovata già pronta
ad attenderlo, magari seduta sul marciapiede. Comunque il suo ritardo
ammontava a un solo paio di minuti. Quella ragazzina impertinente tutto
sommato si stava dimostrando parecchio attenta e puntuale, svolgeva il
suo lavoro con professionalità e soprattutto non aveva tentato
ancora di saltargli addosso come il resto delle dipendenti (o delle sue
precedenti segretarie).
“il bagagliaio è aperto.” Le disse soltanto per poi salire in macchina.
Quando anche lei lo raggiunse, Edward avviò l’auto e
commentò: “non andiamo in campeggio, sa signorina?”
Isabella, seduta rigida e con la mente vigile, si girò appena verso di lui, senza commentare.
Il silenzio fu il padrone di quel viaggio, nessun tentativo di
conversazione da parte di Edward andava oltre uno sguardo, o una
risposta monosillabica di Isabella che si ripeteva come un mantra, che Dio me la mandi buona...
“si rilassi signorina...non guido così
male...” disse acidamente Edward, incazzato per la postura rigida
e il silenzio del suo compagno di viaggio. Non ottenendo risposta si
voltò verso di lei.
Dormiva. Chissà da quanto poi! Era l’una del mattino e
mancava poco al loro arrivo. Aveva scelto con accuratezza
l’orario di partenza. Oltre ad avere il pomeriggio impegnato in
una riunione con gli azionisti, aveva preferito mettersi in moto quando
il traffico era calato. Molti preferivano trascorrere il week end fuori
città e il flusso in uscita dalla Grande Mela non era
indifferente.
Inoltre così non avrebbe avuto problemi per l’incontro del
giorno dopo, sarebbe stato rilassato e fresco come una rosa, mentre i
suoi dipendenti...sorrise sadico. Da quando aveva in gestione la sede
newyorkese dell’azienda di famiglia, quello era il primo week end
che aveva organizzato. Da tempo circolavano voci sul fatto che quella
sede non avesse abbastanza rigore, per quello era stato mandato lui a
sistemare gli affari. Avrebbe fatto vedere a tutti il nuovo corso della
Guns n’ Cullen, avrebbe dato un nuovo volto di serietà e
professionalità alla sede.
Il piano prevedeva una fase uno, in cui tutti si sarebbero rilassati e
rassicurati, Edward Cullen non era quello squalo come lo descrivevano.
Per attuare il suo piano, avrebbe fatto rilassare tutti (e sadicamente
illudere) alla spa, cercando al tempo stesso di farli sentire
gratificati per creare lo stimolo e l’ambiante adatti al duro
lavoro dei mesi successivi. Se al rientro tutti si fossero mostrati
più motivati e convinti nel lavorare non sarebbe scattata la
fase due. Altrimenti... Insomma, stava pregustando come avrebbe
strapazzato i dipendenti.
Fermò l’auto dopo un’altra mezz’oretta di
viaggio ma non svegliò al sua segretaria, ancora nel mondo dei
sogni. Per quello ci sarebbe stato tempo...
Andò alla reception, sul bancone solo una piccola lampada in
stile liberty che illuminava flebilmente l’aria circostante.
Prima che potesse chiedere alla ragazza mezza assonnata la sua stanza e
una per Isabella, una piccoletta con l’aria decisa gli si
avvicinò.
“Amber!” tuonò facendo sussultare la receptionist. Povera lei...stava sonnecchiando così bene!
la ragazza si riprese in un nanosecondo e sorrise al nuovo arrivato.
“buonasera. Posso aiutarla?” la piccoletta dai capelli corvini scosse la testa.
“Amber, camera 308, vista lago, Edward Cullen. I documenti glieli
faremo firmare domani mattina. Sbrigati.” Poi si voltò
verso Edward.
“scusami, soliti impiegati scansafatiche.” Disse afferrando la chiave che la ragazza ammutolita le passava.
“vedere che non sei cambiata per nulla in questi mesi è un
toccasana per me.” Edward le sorrise. “la mia donnina di
ferro.” Rise e l’abbracciò. “la camera
è quella che ti avevo chiesto, Alice?”
“certo stronzetto.” Sorrise anche lei. “vista lago, ovviamente.”
“si, ecco...non ne avresti una vicina e comunicante? C’è anche la mia segretaria e...”
Alice alzò la mano per interromperlo. “papà mi
aveva detto che avevi una nuova collaboratrice, avevo già
predisposto tutto. Unica regola, niente sesso con lei qui, non voglio
mentire a papà se mi chiede qualcosa sui vostri rapporti.”
Edward alzò gli occhi al cielo. Non aveva mai pensato che Isabella era anche una donna...donna
nel senso di partner, amica, compagna di letto...chi più ne ha,
più ne metta. Per lui era solo la sua segretaria rompipalle ma
utile.
Schioccato un bacio alla sorella andò a svegliare la ragazza. Le
portò addirittura lo zaino per fare il gentile, lei sembrava non
essere molto reattiva.
“sembra che non dorma mai la notte...”
“abito dall’altra parte della città rispetto
all’ufficio. Io mi alzo presto la mattina per essere puntuale
alle nove, non arrivo alle dieci e mezzo...”
“e che cazzo!” Pensò Isabella. “acidità per acidità!”
Prese stizzita il suo zaino dalle spalle del suo capo, non avrebbe mai
permesso di farsi aiutare. Entrò nella immenso hall ma non si
soffermò sui dettagli, voleva solo avere un letto. Alice Cullen
le si parò davanti e la squadrò da capo a piedi, prima di
dirle, con fare critico.
“io e te mia cara, dovremo fare una lunghissima chiacchierata.
Questa intanto è la chiave della tua camera. Buonanotte.”
“Impazzirò in questi due giorni...che Dio me la mandi
buona.” Si disse mentre si coricava tra le bianche lenzuola del
suo letto.
p. s. dell'autrice: allora? che ne pensate?
oggi è il giorno degli avvisi e delle
precisazioni, portate pazienza, le note finali saranno un po'
più lunghe del solito.
1 -avete capito che tipo
di azienda è la Guns n' Cullen? ovviamente nella mia testa
malata c'è il suo perchè e
presto lo scoprirete anche voi. il titolo della ff è rimanda
proprio al genere di attività della famiglia Cullen...e anche
qui se ne vedranno delle belle....
2 -per il calo delle recensioni: grazie mille per avermi donato tempo, parole, sostegno. non mi volevo lamentare nel capitolo
prima, ma tratto la mia ff come se fosse una creaturina, quindi
preferisco sapere in modo diretto se non piace o se non convince, in
modo da farla crescere al meglio. ho sempre sostenuto che sia
più facile avere mille recensioni positive che una negativa, ma
quell'una ti fa crescere più delle altre mille. -fine del Sara
pensiero profondo-
3 -avete mai letto Farfalle Colorate? se no, fatelo, merita davvero, a
mio modesto parere. io l'ho fatto e la location iniziale è in
una spa nella valle dell'Hudson. la mia decisone di ambientare la ff in
una spa nel cuore del Catskills State Park è antecedente la
lettura della ff di Stupid Lamb, ci tengo a precesarlo. io stavo
cercando alcune informazioni e ho trovato delle immagini...ma le
vedrete anche voi, don't worry!
4 -per chi lo ha chiesto, è impossibile scrivere un pov Edward
in questa ff. la terza persona è e rimarrà la voce
narrante. tuttavia spero che con questo capitolo abbiate capito un po'
cosa pensa Edward. ma vi assicuro che prossimamente ne scoprirete delle
belle (ne sono rimasta stupita anche io...)
ora! UN GRAZIE IMMENSO A TUTTI!! alla prossima, Sara
ah...io sono questa QUI se mi aggiungete, ditemi chi siete!! grazie =)
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Capitolo 6 *** Emh? ***
cap5
Hello!! eccomi tornata!!
vi lascio al capitolo e come sempre vi aspetto alla note finali!!
BUONA LETTURA!!
CAPITOLO 5 – EMH?
L’alba era appena sorta e l’aria era frizzante.
Isabella si stava concedendo alcune ora di tranquillità immersa
nella natura; le splendide montagne Catskills offrivano un meraviglioso
panorama, sotto al porticato in legno della spa.
Lontana da tutti, lontana dal suo capo. Soprattutto.
Avrebbe giurato sulla Bibbia di averlo sentito russare quella notte, al
di là della parete. Era rimasta sveglia per un po’, aveva
sentito il suo capo entrare nella propria stanza, lo aveva sentito
mettersi a letto.
Tutta colpa di quello stramaledetto pisolino in macchina, se non aveva
trovato subito Morfeo. Cullata dal movimento placido dell’auto
aveva finito per addormentarsi. Era proprio l’ultima cosa che
voleva fare, cedere davvero al sonno stremata per la giornata intensa.
Aveva solo chiuso gli occhi per un attimo, fingendo di essersi
rilassata e addormentata solo per non dover affrontare quella
conversazione che E. Cullen sembrava ricercare tanto. Era stato un
errore da principiante. Errore più grave, si era fatta vedere
senza difese dal suo capo.
Sospirò stanca, passando una mano sulla fronte. Ancora poche ore
e sarebbe arrivata tutta la marmaglia dei dipendenti della Guns
n’ Cullen e lei non era sicura di non avere delle occhiaie
profonde che le segnassero il viso.
Fece muovere il dondolo su cui era seduta, cullandosi nel movimento
ondulatorio. Come se non bastasse, aveva fatto il solito sogno, la
donna con il volto sfumato che prendeva in braccio una bambina. Quella
era l’immagine che si era sempre creata di sua...
“tutto bene?” sussultò quando sentì la voce femminile alle sue spalle.
La piccola donna dai capelli neri che li aveva accolti la notte prima,
era splendida a quell’ora, come se avesse dormito dieci ore
consecutive, non solo quattro, più o meno. Si sedette al suo
fianco e stette in silenzio per alcuni minuti. La sua presenza
infastidiva moltissimo Isabella, che avrebbe voluto alzarsi e
congedarsi al più presto, il suo disagio era alle stelle. E poi,
dannazione! Aveva scelto il posto più isolato per stare da
sola...
Ma per cortesia annuì solo per non dire: si, prima che arrivasse lei a disturbarmi.
“mi ha sorpreso molto vederti ieri sera con il mio
fratellino.” Alla faccia confusa di Bella, si affrettò a
spiegare. “sono Alice Cullen, sorella maggiore di Edward e
proprietaria di questo posto.” Chissà perché Alice
Cullen era convinta che andassero a letto insieme...andare a
chiacchierare con la ragazza rientrava nel piano per scoprire la
verità.
“Un altro presuntuoso Cullen, questa volta in versione femminile...”
Avrebbe dovuto sfogare la sua acidità su qualcun altro, non
potendo certo mancare di rispetto al suo datore di lavoro o alla
famiglia. Magari avevano una sala con le freccette, avrebbe potuto
lanciarne qualcuna nel bersaglio, immaginando il volto del suo capo. In
caso contrario, avrebbe provveduto a scattare una foto del suo capo con
il cellulare, e una volta tornata a NY, l’avrebbe stampata e
appiccicarla al suo bersaglio personale, quello attaccato dietro
la porta del suo monolocale.
Si, decisamente una prospettiva allettante per riuscire passare quei due giorni.
Proprio mentre stava per alzarsi, comparve quella ragazza
dall’aria svampita che c’era alla reception al loro arrivo,
lei si che non aveva ancora visto un letto. Portò un vassoio di
legno chiaro con delle tazze, una zuccheriera, un piattino di biscotti,
lo posò sul tavolino davanti a loro e se ne andò.
“quanto zucchero?”
“Emh...?” Di sicuro quell’intruglio rosso
chiaro non era caffè, non solo non ne aveva l’aspetto ma
nemmeno il sublime profumo. La sua vicina prese un cucchiaino di
zucchero e lo versò in una tazza, poi ripeté
l’operazione con la tazza di Isabella.
“un infuso calda ai frutti di bosco è salutare la mattina.
Ha proprietà antiossidanti, privo di caffeina è
un’ottima bevanda.” Disse portando alle labbra la sua
tazza. Isabella per non essere scortese e per non mostrare il
gigantesco punto interrogativo che aveva in testa, fece lo stesso. O
meglio, annusò disgustata la bevanda. Di sicuro preferiva il
caffè nero alla mattina, accompagnato da un gustoso muffin al
cioccolato.
“i biscotti sono integrali. Dietetici e ottimi per le regolari
funzioni intestinali.” Isabella spalancò gli occhi.
“ci sarebbe del caffè?” chiese titubante, sicura che la risposta sarebbe stata negativa.
“gestisco questa spa da cinque anni, è il mio capolavoro
personale. Mai un chicco di caffè ha attraversato quella soglia.
I miei clienti vengono qui per rilassarsi e purificarsi. E poi arriva
la telefonata di mio fratello, mi chiede di cedergli per un week end
tutti gli spazi, esigenze dell’azienda di famiglia.” la
guardò negli occhi, penetrandola con il suo sguardo ceruleo.
“ne sai qualcosa?”
“emh? Ho saputo di quella allegra e simpatica gita” scolastica,
si morse la lingua per non dirlo, il tono era già pesantemente
sarcastico “solo ieri. Mi dispiace non poterla aiutare.”
Posò la tazza intatta e si alzò dal dondolo. “devo
andare, signora Cullen, tra poco incomincia il raduno.” Del bestiame... “devo prepar-“
“mettiti qualcosa di elegante. Le dipendenti di Edward possono essere...diciamo, appariscenti.”
“sta insinuando che il mio modo di vestire non va bene?”
Alice Cullen soffocò a mala pensa una risata nella tazza. No, il
modo di vestire di Isabella non andava
affatto bene. erano in una spa, lontano dalla città,
vicino alle montagne, ma l’eleganza e la vanità cittadine
erano dure a morire.
“buona giornata Isabella.” rispose prendendo un altro sorso di tisana, sempre con il sorriso sulle labbra.
***
Isabella era rimasta senza parole a quell’incontro.
Spezzerò una lancia in suo favore, se me lo permettete. Non
pensiate che Isabella fosse una ragazza timida o sprovveduta.
Anzi...aveva gli attributi più
sviluppati di molti uomini di sua conoscenza. Tuttavia Alice Cullen era
una di quelle persone che incuteva davvero un timore reverenziale e
sapeva essere enigmatica a tal punto da scombussolati i pensieri.
Ma torniamo alla nostra protagonista...
Isabella spiò dalle candide tendine della sua stanza
l’arrivo alla spicciolata dei suoi colleghi, tutti entusiasti
come una folla di scolaretti in gita. Respirò a fondo quando
mancarono solo cinque minuti alle otto. Avrebbe dovuto armarsi di
coraggio e scendere quelle scale.
“ma il caffè...”
si lagnò tra sé e sé, si sentiva derubata del suo
caffè mattutino. Sperò solo che il pranzo prevedesse
generose quantità di carne. Non avrebbe sopportato pasti
vegetariani o così dietetici da essere invisibili.
Chiariamo subito un altro punto, Isabella Swan non era una fifona che
scappa come un coniglio e nasconde la testa sotto la sabbia come uno
struzzo. No, lei semplicemente si trovava a disagio con altre persone,
non era per nulla espansiva e aveva enormi difficoltà a
intrattenere rapporti d’amicizia.
Non aveva ascoltato il consiglio di Alice Cullen, non aveva indossato
nulla di elegante o appariscente, una semplice maglietta sopra un
semplice paio di jeans. Era a suo agio vestita così, non avrebbe
cambiato, la tensione era già abbastanza alta. Con un
incredibile coraggio scese nella sala principale, imbandita con molte
leccornie, tante ma nessuna traccia di caffè. Avvilita prese un
piattino e si servì quello che le parve più indicato per
una sostanziosa colazione, preludio a una intensa giornata. Almeno
avevano avuto la brillante idea di iniziare il raduno (di pecorelle
smarrite) con una prima colazione.
Isabella si sedette il più possibile lontano dai colleghi,
cercando un posto defilato e iniziò ad imburrare la sua
focaccina. Sopra lo strato di burro, stese una generosa dose di
marmellata di fragole.
Stava per prendere un sorso della sua tazza di latte al cacao
(dietetico, ovviamente, ma sempre meglio che una tisana in sostituzione
del caffè), quando una donna, giovane, sulla trentina, con
grandi occhiali tondi, le chiese gentilmente se il posto era libero e
di potersi sedere.
“Angela Weber, piacere.” Si presentò tendendo la
mano a Isabella che con un timido sorriso le aveva fatto cenno al posto
libero.
“sei nuova, vero?” continuò Angela, intenzionata a fare conversazione ad ogni costo.
“Emh?” Isabella, sperava di non dover parlare, avrebbe
preferito di gran lunga restare in silenzio. No, non era per nulla
brava a relazionarsi. E suo padre glielo diceva sempre...suo padre...il
ricordo del suo vecchio le fece tendere la mano e con un accenno di
sorriso, dire: “molto lieta, Isabella Swan. E si, sono nuo-”
“Swan?!” un signore sulla cinquantina, con i capelli
brizzolati e un gran vassoio tra le mani, si sedette nell’altro
posto libero, senza invito.
“Eleazar Owen, il nostro legale.” Lo presentò
Angela. “non ti far impressionare, Isabella, non è
scorbutico come sembra.”
L’avvocato ignorò la ragazza, tutta la sua attenzione era
concentrata su Isabella che si sentì improvvisamente sotto esame.
“Swan...il nome non mi è nuovo. qualcuno della tua famiglia ha già lavorato per noi?”
Isabella rimase basita, che diavolo di domanda era? Si impose di non rispondere in modo acido come suo solito.
“mio padre Charlie è l’unico parente che ho e non ha
mai lavorato per una fabbrica d’armi. Credo che lei si stia
confondendo con qualche altro Swan...dopotutto credo che sia un nome
abbastanza diffuso.” Notò con fare ovvio, ma un poco
infastidita per la domanda personale. Addentò con gusto la sua
focaccina, mettendo fine alle domande indiscrete del signor Owen.
“oh non farci caso.” Intervenne ancora una volta Angela.
“lui ha il brutto vizio di cercare parentele ovunque.”
Eleazar rise. “deformazione professionale, belle fanciulle, i particolari fanno sempre la differenza!”
Tutto sommato Isabella non rimpianse quella colazione e quella
compagnia. I due avvocati (infatti si scoprì che anche Angela
lavorava nel settore legale, anzi era proprio l’assistente del
signor Owen) erano alla mano, simpatici e si stuzzicavano a vicenda,
facendola ridere. Più o meno come lei e il signor E. Cullen.
Già...molto meno che più...
Alla domanda su dove lavorasse, in che settore, Isabella sospirò
pesantemente ma prima che potesse rispondere alcunché, Edward
Cullen si alzò richiamando l’attenzione di tutti. Con
sommo disgusto la ragazza vide alcune donne vicino al suo capo
guardarlo adorante, come se fossero in contemplazione di chissà
che Dio. Un leggero applauso accolse addirittura il suo prossimo
discorso e lui come un consumato divo di Hollywood, calmò la
platea.
“oh, il grande capo!” borbottò Isabella facendo
finta di entusiasmarsi, i suoi compagni di tavolo, che l’avevano
sentita, trattennero una risata.
“grazie signori, e signore, per essere qui. Scopo di questi due
giorni in questo incantevole posto, è rinsaldare i legami tra di
noi, creando u gruppo affiatato e competitivo.
Questa giornata è libera, divertitevi con i trattamenti e le
cure che la spa vi offre. Cercate di conoscervi meglio tra un bagno
turco e un fango.” L’uditorio rise.
“come se fosse divertente sudare o inzaccherarsi tutti...” disse Isabella a denti stretti.
“domani invece, sarà dedicata alle dimostrazioni. Il
nostro settore di ricerca e sviluppo ha approntato molti nuovi prodotti
e migliorato altri.” Isabella fu improvvisamente curiosa, aveva
proprio voglia di vedere che cosa erano riusciti a sviluppare.
“tutti voi dovete sapere che cosa produciamo e come, vi
renderà più consapevoli di quello che vendete, promuovete
o altro...insomma, entrerete di più nella mentalità del
gruppo Cullen.
Direi che per ora è tutto. Direi di ritrovarci nella hall tra
un’ora” concluse Edward guardando l’orologio.
“appuntamento alle dieci in punto. La signorina Swan, la mia
nuova segretaria, vi aiuterà con la sistemazione delle camere e
vi darà il programma completo per questi due giorni. Isabella,
mi può portare i fogli?” E. Cullen la indicò e
l’intera sala si girò verso di lei.
p.s. dell'autrice.: ih ih ih...ennesima figuraccia per Isabella....
passiamo oltre. =) la Guns n' Cullen si occupa di armamenti...armi da fuoco. tutto ha un suo perchè, fidatevi.
altro? credo di no... =) alla prossima Sara
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Capitolo 7 *** Passi ***
cap6
Che dire? il tempo è tiranno...e gli impegni troppi. scusate il ritardo.
BUONA LETTURA =)
CAPITOLO 6 – PASSI
Un passo, due passi, tre passi...
Isabella Swan sembrava un marines in piena fase d’addestramento
mentre con passo spedito e marciante scalava il piccolo pendio della
collinetta alle spalle della spa. Niente massaggi, niente trattamenti
per lei. Solo pochi sparuti alberi a farle compagnia. Solo un po’
di esercizio fisico, lontano da tutti...ma soprattutto lontano da lui.
E. Cullen.
“e lui sarebbe un capo? Quell’idiota mi ha fatto fare la
peggior figura di merda del mondo!” pensò. E in effetti
non aveva tutti i torti.
Edward sapeva che lei non aveva tra le mani i fogli del programma,
tantomeno quelle delle camere. Lui si era dileguato mentre lei veniva
presa d’assalto da tutti i suoi colleghi. Isabella avrebbe
giurato di vederlo scappare fuori dalla sala per non ridere davanti a
tutti. Per fortuna la sorella del capo si era dimostrata di
un’altra pasta, chiamandola nella hall e passandole sotto banco i
fogli freschi di stampa. Ma l’irritazione di Isabella, non
diminuiva, anzi aumentava ad ogni passo.
Un passo, due passi, tre passi...
“Ma cosa ha al posto del cervello? Segatura? Sembra un bambino piccolo che si diverte a fare i dispetti!”
continuò a rimuginare sul suo capo mentre con passo spedito
giungeva sulla cima. Si lasciò cadere come un sacco di patate
sull’erba ancora fresca di rugiada e si distese a guardare le
nuvole nel cielo. Il venticello leggero le accarezzava la pelle.
“I miei colleghi?? Ma che vadano tutti a farsi fot...”
Isabella! per favore, è pur sempre una fan fiction questa! Un
po’ di contegno! Scusate lettori...torniamo alla spa e lasciamo
Isabella a rilassarsi un po’ (e magiari a ritrovare un po’
di calma)!
***
“Edward.” Eleazar Owen aveva deciso di concedersi un
massaggio, prima di andare nel bagno turco con il circolo legale e
quello contabile per una piccola riunione su dei contratti delicati che
non potevano aspettare il rientro in ufficio.
“pensavo fossi andato con il gruppo di ricerca alle pozze
d’acqua calda.” Continuò l’avvocato,
distendendosi sul lettino e affidandosi alle mani esperte del
massaggiatore.
“quando i discorsi, da pratici e interessanti al fine degli
affari e della dimostrazione di domani, sono passati alle loro
elucubrazioni mentali, teorie campate in aria, ho deciso che era meglio
distender ei nervi.” disse Edward mentre sospirava di piacere,
non avrebbe mai fatto cambio per nulla al mondo. Quel massaggio era la
cosa migliore che gli potesse capitare.
“la tua nuova assistente...”
“segretaria, Eleazar. Ha solo compiti d’ufficio e non deve
osare mettere becco in qualcosa che non la riguardi.”
L’avvocato Owen rimase sorpreso della veemenza con cui si
espresse Edward, mai lo aveva sentito infervorarsi così per una
semplice segretaria. Eppure lui aveva trovato Isabella Swan una ragazza
alla mano, semplice e tranquilla.
“non ho visionato il suo contratto...” disse Owen,
sorvolando sul tono del suo diretto superiore. Anche se c’era una
certa complicità tra i due (infatti l’avvocato conosceva
Edward da quando questi era poco più che un poppante) il signor
Cullen era pur sempre il capo supremo della sede newyorkese della Guns
n’ Cullen.
“se ne è occupato mio padre.” disse Edward alzandosi
dal lettino soddisfatto e appagato, il suo massaggio era finito.
“ci vediamo dopo, vado a farmi un bagno turco.” Sorrise e
scomparve dalla vista di Eleazar, che invece non si godette per nulla
il massaggio, perso com’era nei suoi pensieri.
Edward Cullen invece si avvisò tranquillamente verso le terme,
cambiando ancora una volta il suo programma. Beh, in realtà il
suo programma era rilassarsi il più possibile.
E poi aveva incrociato di sfuggita (perché si era nascosto
dietro un albero come un bambino piccolo che non vuole farsi trovare a
nascondino) il gruppo di ricerca dirigersi verso la zona dedicata ai
bagni turchi. Così invertì la marcia e andò alle
terme, a quell’ora deserte.
Stava andando contro gli stessi obbiettivi del week end. Evitava i suoi
stessi dipendenti, impedendo di fatto la creazione di un clima sereno
con loro. ma di certo non ne era pentito, lui doveva essere temuto e
non il loro migliore amico.
Prima di arrivare alle terme, fece un altro e molto più gradito
incontro. Isabella stava tornando dalla sua passeggiata. Aveva disceso
la collina dall’altro versante che, leggermente più
ripido, aveva disceso quasi di corsa. Eppure il bosco da quel lato era
fitto e la natura rigogliosa. Aveva trovato anche una cascatella
davvero deliziosa, tanto che sentiva il suo animo molto più
rilassato e in pace rispetto alla sua partenza, la sua gita aveva
sortito l’effetto desiderato. Un’oasi di pace e
tranquillità. Il suo aspetto però, ne aveva fatto le
spese, sembrava stravolta con la tracolla ben aderente al petto per non
essere ingombrante, il viso arrossato e la coda scompigliata, ciuffi di
capelli le ricadevano disordinati sul viso.
“ma che piacere vederla, signorina Swan!” la salutò
ironicamente Edward. la ragazza si maledisse per la sua distrazione,
avrebbe dovuto svoltare l’angolo dopo essersi sincerata che
nessuno stesse passando di lì, per poi fuggire di corsa in
camera a darsi una sistemata prima del pranzo. Avrebbe potuto
tranquillamente competere con Edward a nascondino...
“signor Cullen...” ricambiò il saluto cercando di
oltrepassarlo, ma ovviamente il suo capo non glielo permise.
“signorina Swan...ha trascorso una bella mattinata con qualche
collega? Fatto nuove conoscenze?” Edward era sinceramente
curioso. Aveva progettato quel week end con l’intento di metterla
in imbarazzo, ora voleva sapere se c’era riuscito.
“mmm...no.” ammise dopo un interminabile silenzio lei.
“lo scopo di questi due giorni è creare un gruppo
unito.” Spiegò il signor Cullen mentre, afferratole un
gomito, la trascinava con sé. “voglio che i miei
dipendenti si conoscano e riescano a intrattenere un bel rapporto tra
di loro. non pretendo che lei vada d’amore e d’accordo con
tutti, signorina Swan, ma essendo la mia segretaria, avrà molto
spesso a che fare con il resto dei miei collaboratori. Loro dovranno
trovarla affidabile, certamente, ma se lei si dimostra aperta nei loro
confronti, anche loro saranno più aperti con lei.”
“mi sta dicendo,” sbottò Isabella irritata,
togliendo il suo braccio dalla presa di Edward “che dovrei
trovarmi a dispensare sempre sorrisi a tutti quanti, costantemente,
solo perché sono la sua segretaria?”
“no, Isabella, questo è impossibile, ma vorrei che
provasse a fare conoscenze e amicizie, in questo modo i dissapori
saranno minori e il gruppo lavorerà meglio.” rispose
educato Edward. “ora, prendiamo io e lei per esempio...”
“io e lei? Che c’entriamo io e lei ora?” avrebbe potuto dire noi ma era meglio tenere ben separate le due persone. Già così, facevano scintille, insieme...meglio non pensarci.
“le va di fare un bagno nelle pozze d’acqua calda? Possiamo
parlare...così un passo alla volta potremmo trovare un buon
rapporto.”
“io ecco...non ho il costume...” Isabella era al colmo
dell’imbarazzo. Non avere il costume era la scusa più
patetica che avesse trovato, ma dopotutto era l’unica per
declinare gentilmente l’invito con una scusa pratica e
inattaccabile. Uno scintillio aveva illuminato gli occhi del suo capo e
di nuovo era stata trascinata verso gli spogliatoi.
Mentre si immergeva nell’acqua termale calda, con il sole che
splendeva in un cielo sereno di mezzogiorno, Isabella impresse bene
nella mente un concetto: temere il capo quando ha quel sorrisetto
felice e soddisfatto, più di quando non urla e sbraita il suo
nome.
“ah...si rilassi Isabella.” ecco, il suo capo era
già rilassato nell’acqua, la testa appoggiata
all’indietro su alcuni massi. La ragazza sembrava confondersi
bene con quelle pietre, immobile com’era, le braccia strette
contro il corpo. Si pentì di non avere il suo a disposizione,
quel costume era davvero striminzito. Alice Cullen era quasi impazzita
dalla gioia quando il fratello le aveva chiesto un costume per Isabella.
Passarono minuti di silenzio, mentre Isabella si chiedeva che sarebbe
successo, non riusciva a rilassarsi, scattava per ogni sciabordio
dell’acqua contro il corpo (e che corpo!) del suo capo.
Improvvisamente questi aprì gli occhi e la trafisse con lo
sguardo.
“credo di essere partito con il piede sbagliato con lei.
Potremmo ricostruire il rapporto a piccoli passi, non le pare?
Dopotutto lei è riuscita a sopportare alcune settimane davvero
pensati. Ammetto” ridacchiò nervoso “che anche io
facevo fatica a sopportarmi. Il contratto con la difesa mi fa fatto
penare molto e solo ora che è firmato posso tirare un sospiro di
sollievo.”
“apprezzo il suo sforzo signor Cullen.”
“oh, la prego, mi chiami Edward almeno. Avremo si e no cinque anni di differenza.”
“come preferisce...Edward...ma sarò schietta. La prima
impressione è quella che spesso si rivela esatta, della serie
l’abito fa il monaco. E
il suo abito era sporco e macchiato...si è mostrato subito
antipatico e poco incline a passare sopra alla clamorosa figura
di...alla pessima figura” si corresse al volo, suscitando una
risatina in Edward “che ho fatto con lei. Di cui tra
l’altro mi scuso.”
La ragazza non aveva proprio peli sulla lingua o si stava togliendo
molti sassolini dalle scarpe. Ripreso fiato, Isabella continuò.
“spero tuttavia, che il mio lavoro sia stato apprezzato e che il
rapporto tra di noi migliori. Mi chiami pure Isabella, il diminutivo se
lo deve conquistare.” Concluse aprendosi in un bel sorriso, un
sorriso rilassato che aveva trattenuto per giorni.
“sono d’accordo con lei, Isabella, il suo lavoro è
ottimo e questo è un motivo che mi ha spinto a tenerla con me,
nonostante la sua linguaccia biforcuta.”
Isabella sentì le guance andarle a fuoco, forse aveva davvero esagerato.
“mi dispiace...un po’ sono fatta così, un po’
è stata troppa la delusione...” deglutì
l’imbarazzo insieme alle scuse.
“delusione?” Edward era perplesso.
“beh, si. Ero stata chiamata per il settore di ricerca e sviluppo e mi sono ritrovata a fare la sua segretaria.”
Edward era perplesso. Rimase qualche minuto in silenzio ad osservarla
serio, poi disse. “della sua assunzione e del suo contratto si è occupato mio padre.”
p.s. dell'autrice:
- mmm...qualcosa
si svela, qualcosa no. qualche rapporto migliora, qualcuno no. che
dite? piace l'apertura di Edward verso Isabella (che cmq la lingua a
freno proprio non la sa tenere!!)
- nella foto: West Kill Falls, Catskills, New York
-
posso dirlo? lo dico sottovoce, ok? ho riaperto il file, "io, a Beverly
Hills"...ma non so ancora che ne verrà fuori, sappiatelo.
è già un grande traguardo rileggerla...
- aspetto i vostri pareri e le
vostre supposizioni!! ah, se trovate errori, segnalatemeli. io li
rileggo sempre ma qualcosa può sfuggire, grazie =).
-
e grazie ai preferiti, ai seguiti e ai ricordati =) e soprattutto a chi commenta =)
a presto Sara
|
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Capitolo 8 *** Giochi di forza ***
cap7
Ma buon dì, eccoci qui!! =)
BUONA LETTURA
CAPITOLO 7 – GIOCHI DI FORZA
Non mi attarderò a narrarvi del semplice buffet che la spa
aveva allestito per loro per il pranzo. Non mi attarderò a
narrarvelo perché Isabella, dopo aver riempito un piatto con un
po’ di pasta fredda, si era dileguata nel giardino, incapace di
sostenere lo sguardo perforante del signor Cullen. Sembrava che Edward
la immaginasse ancora con quello striminzito costume addosso...
Passiamo piuttosto alla sera, quando il banchetto allestito era
grandioso e la sala era fantastica. Fiori, luci, tovaglie...tutto era
stato pensato con cura estrema e tutto era pensato nei minimi dettagli.
Non sarebbe stata una serata semplice, ma un vero galà.
Isabella era in camera sua a prepararsi. Aveva visto di sfuggita le
decorazioni nella sala e le era venuto un crampo allo stomaco.
Osservò i suoi abiti, inadatti alla grande occasione, le
semplici gonne che aveva l’avrebbero fatta sfigurare. Eppure
nella mail non c’era scritto che si sarebbe tenuta una serata del
genere...comunque non che avesse un vestito adatto all’occasione
nell’armadio...ma avrebbe potuto procurarsene uno, almeno.
Andò alla scrivania, strappò un foglietto dal bloc-notes
con il logo della spa, scrisse un veloce messaggio indirizzato al
Signor E. Cullen.
Molto educatamente si scusava, ma non si sentiva molto bene, avrebbe
rinunciato a malincuore alla serata. Dopo i cordiali saluti e
l’augurio di trascorrere una piacevole serata, firmò il
foglio.
Si sentiva soddisfatta. Nonostante l’apertura nei suoi confronti,
Edward Cullen era comunque il nemico da sconfiggere. O quanto meno il
capo da cui mai si sarebbe fatta mettere i piedi in testa, per nessun
motivo.
Aveva aperto la porta della sua stanza (aveva deciso infatti in modo
molto maturo e professionale di lasciare il foglietto sotto la porta)
quando si trovò davanti Alice Cullen, il pugno alzato a
mezz’aria. Dietro di lei un facchino con uno di quei carrelli per
trasportare le valigie.
“puoi andare Albert.” Ordinò al facchino che
lasciò il carrello alle spalle della donna. Alice Cullen,
tuttavia, non aveva mai abbandonato gli occhi di Isabella da quando
quest’ultima aveva aperto la porta. la proprietaria della spa la
guardava senza lasciar trasparire nessuna emozione.
“mette i brividi.” Pensò Isabella, ancora ferma impalata alla porta.
“stavi uscendo Isabella?”
“mmm, in effetti...no.” bugia grande come una casa.
Isabella nascose il foglio dietro la schiena, una bambina sorpresa con
il dito nella Nutella sarebbe risultata meno colpevole. “ha
bisogno?”
Alice non rispose, spostandosi al centro della bella stanza, arredata
con colori caldi. Entrò con passo spedito, come se niente e
nessuno potesse anche solo pensare di fermala. Il carrello era dietro
di lei. Appesa all’asta più alta si trovava una busta per
vestiti bianca, sul piano inferiore, invece, una scatola, una di quelle
delle scarpe.
“pensi di andare ad una cena come quella di stasera vestita
così?” domandò sarcastica e con una punta di
cattiveria Alice Cullen, squadrandola da capo a piedi. Infine il suo
sguardo venne catturato della gonne e dalle camicie ben adagiate sul
letto.
“pensavo di non andarci proprio.” il tono di Isabella era
decisamente freddo e glaciale ma mai quanto l’occhiataccia che si
beccò. Anche se piccola e minuta Alice Cullen aveva il potere di
farti sentire un bambino di fronte ad un gigante. Isabella
deglutì a disagio e indietreggiò fino al letto.
“non sapevo che ci sarebbe stata una serata
così...così...” gesticolò alla ricerca delle
parole adatte.
“così elegante?” concluse per lei l’altra
donna. “immagino che Edward abbia tralasciato questo particolare.
E che lo abbia tralasciato di proposito.” Concluse ovvia.
“per Edward è tutto un gioco di forze. Conosco bene mio
fratello, avrà fatto qualche passo nella tua direzione per farti
abbassare la guardia. Sbaglio?” no, non sbagliava. Isabella
abbassò lo sguardo mortificata...aveva davvero ceduto al nemico,
dimenticandosi LA regola di Charlie.
Mai e poi mai abbassare la guardia.
“si può sapere cosa vuole da me?” la rabbia
le bruciava nelle vene e le faceva prudere le mani. Alice ghignò
soddisfatta dentro di sé. “faccio il mio lavoro, e lo
faccio bene. punto. Non mi sono fatta un culo così per laurearmi
con il massimo dei voti al MIT e ritrovarmi a fare la segretaria a un
figlio di papà ed essere trattata come spazzatura!”
Isabella copriva grandi passi lo spazio tra il letto e la finestra, in
preda a una furia incontenibile.
“te l’ho detto, Isabella. è tutto un gioco di
forze.” Riprese serafica Alice che non aveva battuto ciglio al
suo monologo. “ vince chi riesce a schiacciare l’altro.
Edward ha cambiato più volte collaboratori perché questi
non reggevano la pressione psicologica a cui erano sottoposti.
Così ha ottenuto gli elementi migliori. il mercato è
spietato, Isabella. Edward lo è di più e per questo
è il migliore, nonostante la giovane età.”
Le parole di Alice non riuscirono a placare la rabbia della signorina
Swan. Lei avrebbe dimostrato a quel pallone gonfiato chi era il
più forte. Lei non si sarebbe piegata e gli avrebbe restituito
tutto con gli interessi e un bel vaffanculo in allegato.
“ora” riprese Alice, sempre comodamente seduta sul
materasso. “Edward vuole testare le tue capacità
organizzative. Facciamo un esempio: sei in una situazione al
limite...”
“come una cena di gala a cui sono totalmente impreparata, tanto
da non avere nemmeno un vestito adatto?” Isabella l’ironica
alla riscossa. Alice sorrise lievemente e poi ricominciò.
“Sei in una situazione di palese difficoltà e rinunciare
alla serata è impensabile. Sarebbe come fare autogol. Mi
segui?” Isabella annuì. “bene. in questo gioco non
basta mettersi in difesa. Perché sarà proprio allora che
Edward sferrerà il colpo finale, distruggendoti del tutto, come
professionista e come persona. Devi giocare anche tu in attacco.”
Alice concluse la sua arringa battendo le mani sul materasso. “ti
serviranno tutte le tue risorse, la tua intelligenze e le tue
capacità e...” pausa di teatrale effetto. “un
alleato. Me.”
“lei?” Isabella sgranò gli occhi. iniziava a
sospettare che fosse una situazione al limite del paradossale. Tra poco
gli alieni l’avrebbero riportata a casa, sana e salva. “che
ci guadagna? Chiariamo subito una cosa. Io non voglio essere il
burattino di nessuno, per nessuno scopo. Se lei vuole far affondare suo
fratello per prendere il suo posto usando me, si sbaglia di grosso,
chieda a qualcun altro...”
Alice rise. “oh, no, Isabella. io non voglio il suo posto, lo
avevo già e l’ho abbandonato di mia spontanea
volontà. Io non voglio il potere, ho rischiato un esaurimento
nervoso allora e non voglio che si ripeta. Ho lasciato tutto, non
è un mondo che fa per me. questo” allargò le
braccia con fare significativo “questo è il mio
mondo.” Abbassò lo sguardo. “non voglio che mio
fratello si riduca come me cinque anni fa. È uno squalo,
inumano."
Isabella si prese un secondo di riflessione. Una mano poteva anche
dargliela a sconfiggere il comune nemico. Dopotutto lei ci avrebbe
guadagnato in salute mentale. Tuttavia avrebbe preso le sue precauzioni
per non essere al centro di giochi di potere.
“va bene. che devo fare esattamente?”
***
Alice Cullen uscì dalla stanza 307 estremamente soddisfatta. Questo round sarebbe stato suo.
p.s. dell'autrice: comunicazioni di servizio =)
il capitolo è breve ma è denso, credo =) non si accettano
lanci di pomodori o verdure/frutta varie, grazie. come sono simpatica,
scrivo dei grandi capitoli, lasciando tutto in sospeso e vi chiedo di
non prendervela =) ah ah ah....
seconda cosa più importante:
gli aggiornamenti da due, si ridurranno a uno a settimana. gli esami
sono alle porte e ho quasi finito i capitoli che avevo preparato.
chiedo solo pazienza, cercherò di garantirvi un piccolo assaggio
di sti pazzi qui tutte le settimane =)
GRAZIE GRAZIE E ANCORA GRAZIE ai seguiti (137), ai ricordati (14) ai preferiti (33) a chi commenta e a chi mi ha messo tra gli autori preferiti!
mentre aspettate l'aggiornamento, passate di qua se avete voglia e tempo!
Io, a Beverly Hills
My Killer Angel
Plagiarize
|
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Capitolo 9 *** Dimostrazioni ***
cap8
Buongiorno! sono in ritardo, lo so!
scusate, ma essere puntuale
sarà molto difficile, esami e referendum permettendo, il
prossimo capitolo potrebbe arrivare mercoledì 15, ma non
prometto nulla, ho infatti finito i capitoli pronti.
Ora, avevo sperato di scatenare
un po' di confusione con l'ultima frase del precedente
capitolo....invece nulla, per cui ve la ripropongo.
Alice Cullen uscì dalla stanza 307 estremamente soddisfatta. Questo round sarebbe stato suo.
Nessuna idea? ih ih ih...fatemi sapere...
Basta chiacchiere =) vi lascio a questo capitolo....BUONA LETTURA
CAPITOLO 8 –DIMOSTRAZIONI
“Isabella!” Angela Weber, elegante e impacciata allo
stesso tempo, nell’abito lungo e nei tacchi alti, sventolava la
mano in alto e la chiamava a gran voce, per attirare la sua attenzione.
La ragazza, traballante sui tacchi argentati, si diresse subito verso
l’avvocatessa con cui avrebbe potuto trascorrere persino qualche
momento allegro quella serata. Non appena era entrata nella grande sala
imbandita a festa, infatti, si era sentita un pesciolino fuor
d’acqua, vedere un volto conosciuto e quasi amico, non era per
nulla male.
La trovò in compagnia di un giovane uomo e si sentì
catapultata in una situazione imbarazzante, come tra due linee nemiche
in guerra. Tra Angela e l’uomo c’era una strana tensione,
tanto che le sembrò che la donna la stesse usando come ombrello
contro la tempesta sicura che avrebbe altrimenti animato la serata.
“Isabella, lui è Eric Yorkie, della contabilità. Eric, Isabella Swan...”
“la segretaria di Edward Cullen.” Concluse l’uomo mentre stringeva la mano della ragazza.
“direi che non è un mistero, vista la penosa figura di
questa mattina.” Isabella storse il naso e cercò di
ritirare la mano, ma Eric glielo impedì.
“t’ammiro, sai?” le due donne spalancarono gli occhi.
“stai tendendo testa in modo ammirevole a Edward – the
Shark – Cullen. La tua nota spese per la sua colazione...precisa,
dettagliata, corredata addirittura dagli scontrini! In
contabilità l’hanno vista tutti la tua richiesta di
rimborso.”
“emh, grazie...” il silenzio calò tra di loro.
Isabella guardava Angela, pregandola con lo sguardo di liberarla da
quella stretta e da quegli occhi maschili troppo scintillanti
d’ammirazione per lei. Dopotutto non credeva di aver fatto
chissà che cosa.
Ma Angela era impegnata a fulminare Eric, creando un vero e proprio
triangolo di sguardi. L’angolo della sua bocca, congelata in un
sorriso tirato, si sollevava ritmicamente, in preda a un tic nervoso.
Isabella per sfuggire a quel silenzio troppo pesante e teso, decise di romperlo nel peggiore dei modi.
“vi vedrei bene come coppia.” Gli altri due, imbarazzati, si ridestarono dalla loro trance e abbassarono lo sguardo.
Eric fece roteare il ghiaccio nel bicchiere, per poi sospirare.
“scusate signore, io...vado a prendere da bere...”
alzò il bicchiere ancora pieno.
Isabella se avesse potuto si sarebbe sotterrata, ogni volta si scavava
una bella e confortevole fossa con le proprie mani. Si morse la lingua
complimentandosi con se stessa per le pessime uscite. Allora non era
tutta colpa del suo capo se si ritrovava sempre in certe figuracce,
anche lei ci metteva del suo.
“colpa mia, vero? Mi dispiace Angela...”
“ah, no, ti prego.” L’altra donna sorrise lievemente,
rilassando un po’ i nervi. “non è colpa tua. Io e
Eric ci siamo frequentati dal primo giorno di liceo fino
all’ultimo di college. Poi ognuno ha preso la sua strada. Ma
nessuno dei due ha preso bene la separazione...ci siamo lasciati con
molti rancori. E...” fece spallucce “e non immagini la
sorpresa di vedermelo comparire dopo la colazione di questa mattina.
Erano usciti tutti dalla sala, si è avvicinato e mi ha chiesto
di riprovarci...i suoi sentimenti non sono cambiati e bla bla
bla…” concluse e dopo una breve pausa, riprese. “ma
lo vedi? Fa il cascamorto con tutte.” Lo indicò al tavolo
dei liquori, dove in effetti sembrava filtrare con una donna bionda.
“perdonami Isabella.”
“per cosa?”
“ti ho annoiata e...” la ragazza, rassicurò
l’avvocato. Probabilmente Angela doveva solo parlare con
qualcuno, per capire che volesse fare con Eric.
“andrò...vado a parlargli...scusami...”
Isabella sospirò, se l’era cavata meglio del previsto. Suo
padre glielo ripeteva sempre, lei non aveva peli sulla lingua e questo
poteva essere un problema perché non filtrava mai le cose da
dire. Per fortuna l’avvocato Weber non le aveva chiesto un
consiglio! sempre il buon caro vecchio Charlie più di una volta
l’aveva definita il grizzly di Forks, il suo paese natale,
perché faceva concorrenza ad ogni esemplare maschio in
circolazione, facendo scappare a gambe levate chi tentava di
conquistarla. Anche Jacob, l’unico ad aver scalfito la sua
corazza, ad un certo punto si era arreso...
Scansò signore imbellettate e uomini impettiti nei loro completi
scuri e, senza far danno, raggiunse il buffet, colmo di ogni tipo di
stuzzichino.
“mi fa compagnia?” proprio accanto al tavolo, bello e affascinante, con quell’aria da sono tutto io e sono pure un superfigo, c’era il capo. “champagne?”
“un Martini Dry.”
“due” disse lui al barman. “è davvero elegante
questa sera. Sta benissimo e se posso permettermi mi ha sorpreso,
piacevolmente sorpreso.” La osservò attentamente, i
capelli raccolti dietro la nuca, lasciavano libero il viso delicato e
il trucco lieve lo rendeva luminoso. Il corpo era fantastico e
slanciato, in quell’abito blu scuro, con rifiniture argento,
legato dietro il collo. Semplice ma elegante allo stesso tempo.
“e come, se posso permettermi?” Ma Isabella non ottenne altra risposta che un altro sguardo ammirato al suo corpo.
“venga, le voglio mostrare una cosa.”
Si spostarono, con i cocktail in mano, verso le grandi finestre che
davano sul giardino. Edward Cullen prese una tenda di raffinato lino e
coprì alla vita degli invitati se stesso e Isabella.
“ma che fa?” lei lo guardava sorpresa.
“shh...guardi. da qui possiamo vedere gli altri senza essere
visti.” E in effetti aveva ragione. Sembrava di star sospesi su
una nuvoletta ad osservare il mondo sottostante, lontani anni luce
dalla realtà.
“vede l’avvocato Weber? È in crisi d’amore, il
suo ex ragazzo l’è ricomparso davanti dopo quasi cinque
anni di lontananza.” Sorrise lievemente, la prova della giovane
avvocatessa era appena iniziato.
“come...come lo sa?”
La domanda di Isabella venne ignorata. “ora discuteranno. Faranno pace secondo lei?”
“non sono un’analista.” Ribatté la ragazza, facendolo ridacchiare.
“lei lo perdonerà e riproveranno a frequentarsi per poi
capire che non sono più i ragazzini innamorati del liceo. Gli do
tempo fino a lunedì mattina, quando rientreranno in ufficio.
Sarà Angela stessa a lasciarlo.” Isabella era sconvolta
dalla lucida analisi che il suo capo aveva fatto, senza nessuna
indecisione o tentennamento. Non aveva nemmeno mostrato un briciolo di
sentimento nell’anali fredda della situazione.
“sembra che abbiate vivisezionato una rana e ora nel descriviate
le interiora.” Storse il naso per il disgusto. Intanto Edward se
la rideva per l’azzardato paragone.
“una rana? Angela sarebbe una rana? Oh, andiamo avanti. Vede
quelle due? Sono sorelle, si credono le star della situazione ma
l’una è in competizione con l’altra. Tanya e Irina
Denali. Donne affascinanti ma fredde. E soprattutto non
perdonano.” Indicò due donne bionde, una delle quali era
colei con cui Eric filtrava pocanzi. “non perdonano nulla
né a loro stesse né all’altra. Tanya stava
chiacchierando con Eric Yorkie prima, lo ha notato?” Isabella
annuì, a suo modo incantata dall’analisi della nuova rana
prelevata dallo stagno. “Irina li ha separati e ora tiene
sott’occhio la sorella. Probabilmente le verserà anche il
suo Manhattan sul vestito chiaro, macchiandolo e costringendola
così ad allontanarsi.”
Detto, fatto. Irina Denali verso il suo cocktail scuro sul vestito
chiaro della sorella. O Edward Cullen aveva il dono della preveggenza
oppure era davvero uno squalo che sapeva nuotare con destrezza nel
mondo della finanza, per quello era il più bravo. da parte sua,
Edward era soddisfatto, aveva dimostrato, secondo lui, a Isabella Swan
chi comandava e si stava riprendendo la sua rivincita sulla sorella,
che aveva sicuramente dato l’abito di chiffon blu alla ragazza,
rendendola incantevole. Lui invece aveva previsto un primo cedimento
della sua segretaria.
Edward osservava le sue cavie da laboratorio dalle tende quando il
rintocco della pendola nell’angolo della sala batté le
dieci.
“come Cenerentola mi devo ritirare, Isabella. è
l’ora del mio discorso.” Fece un inchino e uscì dal
nascondiglio. Preso un cucchiaino d’argento lo fece tintinnare
sul bicchiere di champagne che un cameriere gli aveva portato,
invitando gli ospiti al silenzio e a munirsi di alcool per un brindisi.
“signori e signore, una magnifica serata!” gli applausi non
si sprecarono. “e mio immenso piacere annunciare che il governo
degli Stati Uniti d’America ha reso noto il vincitore
dell’appalto per gli armamenti. I nostri soldati al fronte,
saranno equipaggiati con i nostri prodotti.” L’applauso di
prima era poca cosa in confronto allo scrosciante battimani di quel
momento. “l’applauso non è per me o la Guns n’
Cullen. È per voi che avete reso possibile questo traguardo,
facendo ogni giorno un ottimo lavoro.”
Ruffiano, pensò Isabella, sbuffando.
“Mi auguro che possiate continuare a lavorare in questo
modo.” L’ultima frase risuonava come una leggera minaccia.
Isabella, dietro il suo nascondiglio, lo osservò attentamente.
Era il capo, era al centro dell’attenzione, si gloriava del
successo che riscuoteva mentre lui analizzava ogni singolo
comportamento dei suoi dipendenti.
Era questo che voleva dimostrare: lui era il più forte. E lo aveva ampiamente dimostrato.
p.s. dell'autrice: qualcuno ci capisce qualcosa? io sinceramente, no!! ah ah ah =)
vediamo che ne pensate voi =)
GRAZIE A TUTTI
abbiate pazienza, tornerò, non vi abbandono di sicuro con così tanti punti interrogativi!!!
Sara
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Capitolo 10 *** Bersaglio mancato? ***
cap9
Emh, emh, rientro dalla porta di servizio.
scusate! sono
in ritardo, avevo promesso aggiornamenti regolari. purtroppo è
stata una settimana proprio piena. e la porssima sarà ancora
così.
Almeno vi ho scritto un lungo e succulento capitolo, vedrete =)
Buona lattura.
p.s.: commenti sono sempre ben accetti xD
CAPITOLO 9 – BERSAGLIO MANCATO?
Una partita a scacchi.
I neri da una parte aspettano compatti la prima mossa dei bianchi. Ansiosi quasi di fare il proprio gioco.
I fratelli Cullen adoravano gli scacchi. Adoravano muovere le pedine,
analizzare come abili strateghi le mosse dell’avversario per poi
contrattaccare per infliggere una sonora sconfitta.
Ora, lettori, immaginate il week end alla spa come un’enorme
scacchiera, ai due lati i due contendenti, Edward e Alice Cullen. E i
dipendenti della Guns n’ Cullen come le pedine dei nostri
inflessibili generali.
Isabella Swan era la pedina perfetta, aveva la sicurezza e la
determinatezza che la rendevano un osso duro, una bella sfida vederla
piegata. La prescelta per questo turno era una scommessa affascinate in
questo gioco perverso, perché i due fratelli Cullen avevano
scommesso sulla sua resistenza come segretaria dello Squalo bianco
della finanza. Da piccoli mettevano in palio piccole cose, caramelle,
giochi o peluche. Ora che erano adulti la posta si era alzata, Alice
voleva una villa costruita a spese di Edward, mentre quest’ultimo
aveva come obbiettivo divertirsi e trovare allo stesso tempo qualcuno
che fosse alla sua altezza. Spremeva i suoi dipendenti per trarre fuori
il loro meglio, lasciandoli però spesso senza forze vitali.
Quello che i fratelli in questa circostanza, sottovalutavano era la
forza di volontà e l’intelligenza della loro pedina, poco
incline farsi manovrare. Avevano trovato di certo pane per i loro
denti. E forse avevano già commesso l’errore più
grande, perché la prima regola è: mai, mai sottovalutare
l’avversario (o la pedina in questo caso).
“hai fatto la tua mossa, fratellino?” Alice Cullen gli si
era avvicinata con noncuranza, prendendo dal buffet uno stuzzichino,
mentre nell’altra mano reggeva un cocktail analcolico.
“certo.” Ridacchiò lui. “tocca a te muovere
ora.” lei annuì e si guardò attorno, notando solo
in quel momento l’assenza della sua pedina. Si congedò
anche lei, non prima di aver fatto i complimenti al fratello per il
contratto firmato con successo. Dopotutto anche lei aveva interesse
perché gli affari di famiglia andassero per il verso giusto.
“ah, Alice, grazie. Era splendida.” La frase di Edward che
richiamò la sua attenzione mentre si stava già
allontanando, la lasciò un attimo interdetta, ma recuperò
il suo sorriso malizioso quando comprese che lo Squalo sarebbe caduto
presto nella sua trappola. E sorrise dolcemente anche felice per il suo
fratellino, l’uomo tutto d’un pezzo a cui però
brillavano gli occhi d’ammirazione di fronte alla semplice
bellezza della sua segretaria. Era un sorriso felice. Era il sorriso
della sorella che vuole bene al proprio fratello minore. In Alice
convivevano le due anime, la giocatrice spietata e la sorella
affettuosa.
***
Dopo la brillante dimostrazione di E. Cullen di chi fosse il capo, di
chi detenesse il potere, ma soprattutto di come funzionassero quei
rapporti interpersonali che lei non aveva mai capito né si era
mia sforzata di capire, Isabella era rimasta nascosta dietro la tenda.
Osservava, protetta dal velo in lino.
Le sembrava il posto più sicuro, isolata dal mondo eppure
così vicino che se avesse allungato la mano lo avrebbe
afferrato.
Quando il suo Martini Dry finì e iniziò a far sentire i
suoi indesiderati effetti sul povero stomaco vuoto di Isabella,
quest’ultima aveva raggiunto il tavolo degli stuzzichini per
mangiare qualcosa, ma si sentita come se fosse ancora dietro quella
tenda, con l’unica differenza di essere anche lei esposta, senza
la protezione fisica del tessuto.
Si sentì esclusa da quelle persone con cui in teoria avrebbe
dovuto stringere almeno cortesi rapporti, ma che la ignoravano mentre
si congratulavano tra di loro per il successo del contratto firmato, a
cui lei non aveva contribuito, essendo stata assunta da poche
settimane. Le era capitato di sentirsi così solo al ballo di
fine anno del liceo, l’unico a cui avesse partecipato su
insistenza del padre, e anche lì era stato un disastro totale.
Jacob, infatti, l’aveva lasciata poche ore prima...
Le uniche persone che conosceva erano Angela, dispersa chissà
dove con il contabile; l’avvocato Owen, che di tanto in tanto la
guardava di sfuggita mentre chiacchierava con Irina Denali (Tanya non
era ancora tornata). L’ultima persona conosciuta era E. Cullen,
ma meglio evitare.
E come quel disastroso ballo di fine anno, uscì dalla sala, senza che nessuno notasse la sua scomparsa.
***
L’aria di quella mattina era troppo nebulosa. O forse erano gli
occhi di Isabella ad essere troppo socchiusi per vedere qualcosa.
Distesasi tra le coltri candide del letto, la sera prima, era subito
piombata in un sonno agitato, popolato da rane gracidanti che balzavano
fuori dallo stagno per scappare dal retino di Edward Cullen, mentre la
risata sadica e assassina di quest’ultimo si spargeva
nell’aria.
Eppure, nonostante gli incubi e gli occhi socchiusi, Isabella si era
svegliata di buonumore., con la gradevole sensazione che qualcosa di
buon sarebbe accaduto.
Si girò pigramente nel letto per guardare la sveglia.
Ah, mio caro lettore!
Isabella non era stata dotata dalla natura di un buon sesto
senso. La bella e positiva sensazione avuta nell’aprire gli
occhi era stata solo una fugace illusione, se l’ora della sveglia
era esatta.
Si alzò di scatto e di corsa scese dal letto, ritrovandosi le
lenzuola aggrovigliate attorno alle gambe. Rischiò di cadere, ma
anni di esperienza di ritardataria le furono utili, perché
riuscì a fiondarsi in bagno senza rompersi l’osso del
collo.
Doveva fare in fretta, la partita a scacchi dei fratelli Cullen, non poteva continuare senza la loro pedina fondamentale!
Alle otto e trenta, si presentò nel salone, tornato ad essere di
nuovo una semplice sala da pranzo, giusto in tempo per afferrare una
tazza di tè (questa volta se la fece piacere) e una brioche,
prima che Edward Cullen invitasse tutti i suoi dipendenti a salire sui
pulmini che li attendevano all’esterno.
Dopo che Isabella salì, qualcuno la salutò con poca
convinzione, gli altri la ignorarono. Mentre l’avvocato Owen, le
diede un caloroso, quanto inatteso, buongiorno.
Alle otto e quarantacinque minuti, precisi come un orologio svizzero, i
pulmini si mossero verso la loro destinazione: il poligono di tiro,
ubicato a qualche chilometro di distanza dalla spa.
L’atmosfera durante il tragitto era rilassata, tanto che
Isabella, si stupì che non partissero alcuni coretti di
canzoncine idiote, stile pulmini di scolaretti. Le chiacchiere
risuonavano allegre nel pulmino.
Dopo una mezzoretta, arrivarono ad una struttura isolata nel verde rigoglioso del bosco.
Una volta riuniti tutti all’interno, Edward prese la parola.
“il gruppo di ricerca e sviluppo, oggi presenterà i nuovi
prodotti della Guns n’ Cullen, che immetteremo sul mercato a
partire dal prossimo settembre.” Quando il breve applauso si
disperse nell’aria, il consumato oratore Edward Cullen, riprese,
facendo loro segno di seguirlo oltre l’ingresso. “ e quel
luogo migliore di un poligono?” chiese
infine retoricamente, indicando le postazioni di tiro. Alcuni bersagli
di carta, con figure umane armate erano già state posizionate
sullo sfondo.
Il capo ingegnere incominciò ad illustrare le caratteristiche
delle nuove armi, decantate come nuove, sotto molti punti di vista.
Precisione, silenziosità, potenza.
Edward, sorridendo sadico e tranquillo, teneva ancora sotto esame le
rane del suo stagno. C’era chi era attento e chi invece
sbadigliava, andato a letto troppo tardi e con troppo alcol in circolo.
Notò con piacere che Isabella era attenta a non perdersi nessuna
parola, ma il sopracciglio inarcato indicava tutta la sua
perplessità.
La ragazza, infatti, non trovava nel nuovo prodotto tutta sta novità. Forse solo qualche miglioria tecnica. Forse.
Il capo ingegnere, un omino grassoccio e sudaticcio, fece scivolare di
poco la pistola tra le mani. Tutti i dipendenti, già
terrorizzati dal suo agitare in aria l’arma, fecero un passo
indietro, sempre più spaventati. Isabella rimase al suo posto.
Come aveva supposto, la pistola non era carica.
“oh, non preoccupatevi. Non ho messo i proiettili.” Rise
l’omino. “anche perché non so come si faccia!”
il faccione si fece rosso rosso per la risata. Poi porse l’arma a
un ragazzo, poco più che trentenne, che la prese con somma
deferenza. Forse nemmeno lui si fidava del suo diretto superiore ed era
pronto ad attendersi di tutto. Con estrema calma la caricò,
porse a tutti delle cuffie protettive e sparò alcuni colpi
contro le sagome sullo sfondo.
Anche se non capivano quello che stava succedendo, data la distanza del
bersaglio, i dipendenti della Guns n’ Cullen applaudirono, certi
che così la tortura sarebbe finita prima e prima sarebbero
tornati a rilassarsi alle terme della spa, per poi rimettersi in
viaggio verso la Grande Mela.
Il signor Cullen, infatti, li congedò e in fretta uscirono
tutti, tranne Isabella, decisa a fare due chiacchiere con il capo
ingegnere.
“secondo me lei è un teorico. Non sa fare nulla di
pratico, tanto che ha bisogno di un assistente per sparare due colpi e
impressionare il suo uditorio. Questa pistola avrà successo,
è vero, ma non perché sia una novità. Ma
perché è una pistola e come tale verrà
usata.” L’omino ora era rosso per la rabbia, quella
ragazzina impertinente stava distruggendo mesi del suo prezioso lavoro.
“si sa” riprese Isabella, senza peli sulla lingua “le
armi esisteranno finchè esisterà l’uomo e con esso
la guerra. Avrei preferito veder un’arma che sparasse fiori dal
gambo avvelenato. Questa si che sarebbe stata una novità
assoluta. E ora con permesso...” si volse, ma alle sue spalle
c’era Edward Cullen in persona che la fissava con uno sguardo
impenetrabile.
“Roger, vada pure. Signorina Swan, noi due dobbiamo
parlare.” il capo ingegnere prese la pistola per riporla nella
valigetta, ma lo squalo lo fermò, che la lasciasse lì.
Quindi si defilò in fretta, prevedendo burrasca.
Edward prese l’arma e con serafica calma la caricò. Prese
la mira e sparò in rapida successione sei colpi su una sagoma
nuova, che poi fece scorrere fino a lui. Intanto parlò.
“il mercato delle armi è saturo, Isabella. anche una sola
miglioria può essere una novità. Non ci saranno mai
sviluppi o novità simili alla polvere da sparo e alle prime
pistole.” Staccò il bersaglio di carta, dove al centro del
cuore c’era un grosso foro, provocato dai sei proiettili, e
mentre lo osservava disse. “è una buona pistola, spara
bene, fa il suo dovere. È precisa e maneggevole. Ora” si
volse per la prima volta verso Isabella. “provi lei.” Le
porse la pistola di nuovo carica.
“come signore?”
“provi lei, Isabella.” ordinò glaciale.
“non so sparare...” disse lei timidamente.
“la prossima volta non giudichi Roger allora. Su, ora prenda la mira e prema il grilletto.”
Isabella, non del tutto convinta, prese la pistola è mirò
alla nuova sagoma integra. Sparò, una, due, tre volte, fino a
svuotare il caricatore, con gli occhi chiusi, sicura di avere i suoi
occhi beffardi puntati addosso.
La sagoma, non presentava nemmeno una imperfezione.
“come puoi pretendere di arrivare da qualche parte, se non miri a
nulla e tieni gli occhi chiusi? È così anche nel lavoro,
Isabella. hai detto di essere stata scelta per il settore sviluppo, ma
come puoi arrivarci, se non ti impegni con tutta te stessa. Sei
fortunata che non ti cacci via per la tua impertinenza con Roger.”
Edward aveva solo mostrato freddezza, mascherando tutta la sua
delusione, la sua rabbia. Aveva davvero sbagliato così tanto nel
giudicare Isabella una ragazza combattiva, con le palle? Si volse verso l’uscita.
“prendi la mira, colpisci e ferisci al cuore, solo così
potrai farti largo nella vita.” questa era da sempre la sua
massima. Fin da quando era fanciullo e Alice gli rubava le caramelle.
“ma non colpirai mai il cuore, se non sarai spietata.”
Uscì, lasciando solo Isabella, con una pistola in mano e una
confezione di proiettili.
La ragazza, si rivolse alla sagoma in carta, la guardò e poi la
spinse oltre la distanza a cui l’aveva posta Edward. Come lui,
però, prese il caricatore e vi spinse all’interno sei
proiettili. Che voleva il suo capo da lei? Sospirando in attesa di una
risposta che non prevedesse una psicoanalisi approfondita da parte di
uno specialista, prese le cuffie e se le rimise.
Prese la mira e sparò, una, due, tre volte, fino a svuotare il
caricatore. Gli occhi ben aperti, le mani ben strette alla pistola,
salda sulle gambe leggermente divaricate. Sul volto nessuna emozione,
nella testa nessun pensiero, solo la sicurezza di chi spara da sempre.
Fece tornare indietro il foglio e contò sei fori. Un bel sorriso spuntava nella pancia del povero uomo armato.
“perfetta.” Sussurrò congratulandosi con se stessa.
Ripose la pistola nella valigetta, sicura di doverla portare al suo
capo, pena una severa e immeritata sgridata...che colpa ne aveva lei se
lui dimenticava in giro il prototipo di quello che sarebbe stato il
loro prodotto di punta?
“eh, già.” Pensò uscendo alla luce del sole. “non colpisco al cuore, ma ti rendo lo stomaco un sorridente colabrodo.”
Salì veloce sul pulmino che aspettava solo lei, la valigetta in
una mano e sagoma ben piegata nella tasca posteriore dei suoi pantaloni.
p. s. dell'autrice: che ne pensate?
precisazioni:
Edward non voleva mettere in imbarazzo Bella (tanto è vero che
manda via anche il capo ingegnere) ma voleva una sua dimostrazione di
carattere. "non sai sparare, bene, ma almeno provaci in modo decente, senza chiudere gli occhi." questo
è più o meno quello che pensa Edward. ah, pensa anche che
se non sei capace di fare una cosa, non puoi criticare gli altri per
non saperla fare. questa cosa sa molto di coerenza.....
dite che come comportamento è comprensibile? o quanto meno in linea con il personaggio?
perchè Bella sbaglia volontariamente i colpi, chiudendo gli occhi? questo lo scoprirete solo vivendo! =)
alla prossima!
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Capitolo 11 *** Jacob ***
cap 10
Saluto veloce perchè sono in ritardo. non ho scuse e quindi non le cerco.
il capitolo è un po' lungo e spero che vi piaccia.
BUONA LETTURA!!!
CAPITOLO 10 – JACOB
Tornarono in un ufficio il lunedì mattina e la vita
lavorativa riprese la sua solita routine, ogni giorno uguale a quello
precedente.
Per Isabella voleva dire, sveglia presto, corsa in ufficio, ritiro
colazione del suo capo e poi...e poi le solite inutili scaramucce con
Edward. quest’ultimo, invece, non faceva nulla per non far
saltare i nervi alla sua segretaria.
Lui si chiedeva spesso, mentre sorseggiava il suo caffè dopo
aver rivolto un saluto distratto a Isabella, impegnata come sempre al
suo arrivo a smistare la posta e a controllare i suoi appuntamenti,
dove fosse mancata la sua incredibile perspicacia.
E come accadeva quasi tutte le mattine, anche quel giorno, la stava
osservando senza che lei se ne accorgesse, appostato appena dietro la
porta di vetro smerigliato che faceva apparire la figura di ragazza,
un’informe macchia colorata. Tornò alla scrivania e si
immerse di nuovo nelle ultime carte riguardanti il contratto con
l’esercito per soddisfare in tutto un così esigente
cliente.
Ma era innegabile, Edward non le aveva ancora perdonato lo sgarro al
poligono. La credeva una ragazza assennata, non una stupida
ragazzina con la lingua lunga. Aveva davvero sbagliato il suo giudizio?
Strano, il suo infallibile fiuto era, appunto, infallibile. E non
poteva ammettere con se stesso di aver sbagliato, era una sconfitta per
se stesso.
Isabella, invece, era talmente presa dal suo lavoro che non badava al
cattivo umore del suo capo. L’episodio del poligono? Per lei era
già stato archiviato nel dimenticatoio del suo cervello, una
scaramuccia tra tante altre.
Il plin dell’ascensore l’avvisò dell’arrivo di
un visitatore. Come sempre, dopo che Edward l’aveva ripresa per
la freddezza con cui accoglieva le persone, rivolse un sorriso, il
più caloroso possibile, verso le porte scorrevoli, pronta ad
annunciare il nuovo arrivato a suo capo.
Peccato che non avesse nessuno da annunciare, il nuovo arrivato non era lì per Edward ma per lei.
“Jacob?” sussurrò sorpresa. Lui le sorrise dal fondo
del corridoio e si avvicinò alla sua scrivania a grandi falcate.
“Isi – Isi!” la salutò lui, chinandosi per
darle un bacio sulla guancia, che lei rifiutò, scostandosi.
“ti ho detto mille volte di non chiamarmi così. ma
aspetta...” Isabella fece finta di pensare, portandosi un dito
sotto al mento. “ti avevo anche detto di non farti mai più
vedere. addio.” Riprese a digitare il rapporto trimestrale sulle
vendite, infierendo sulla tastiera.
“sei sempre bellissima, anzi di più.”
“e tu sei sempre più sgradito, anzi di più.”
Rispose al penoso complimento senza degnarlo di uno sguardo. La sua
attenzione poteva essere solo per una cosa. Quei numeri sullo schermo
che dovevano essere perfetti.
“e dai, Isi – Isi!”
Isabella sospirando, allontanò la tastiera, non voleva
romperla, il suo capo gliela avrebbe fatta ricomprare con i suoi soldi.
Guardò negli occhi Jacob, senza tradire alcuna emozione.
“vuoi parlare con il mio capo? Sei qui per un affare?”
Lui scosse la testa. “sono qui per te, Isi –Isi.”
“lascia stare Jake. Vattene.”
“solo se vieni a cena con me stasera.”
“si può sapere che cazzo vuoi Jacob?” sbottò lei sempre più irritata.
“voglio te, Bella. Ho capito il mio err-“
“il tuo errore?! E quale sarebbe? Sei stato chiarissimo cinque
anni fa, prima del ballo. Per cui vai a farti fottere.”
Isabella si era alzata in piedi,riversando sul ragazzo tutta la sua
rabbia, tanto che sembrava sovrastarlo, nonostante la corporatura
più minuta.
“ho detto cose che non pensavo! Avevi vinto una borsa di studio, presto te ne saresti andata e io...”
“vattene! Hai cinque anni di ritardo. E no, non ti starò a
sentire nemmeno se ti ha chiesto Charlie di convincermi a tornare a
Forks.” La ragazza sospettava infatti che dietro la presenza del
suo ex si nascondesse la mano del padre, l'unico a sapere del suo
trasferimento a New York e di cui non era contento. “vattene
Jacob! Vattene!” Isabella, infuriata come non mai, batté i
pugni sulla scrivania, facendola traballare.
“Isabella..." E. Cullen, era uscito dal suo studio, richiamato
dal baccano. Con classe sfilò gli occhiali da lettura e depose i
fogli che stava esaminando sulla scrivania. “sta per caso urlando
con un cliente?”
“ma che cliente e cliente! É solo...é solo il mio
ex ragazzo che é passato a salutarmi. Ma ora se ne stava
andando, vero Jacob Black? Il discorso é chiuso.”
“é per questo damerino che rifiuti anche un invito a
cena?” Anche Jake, il quale aveva cercato di mantenere un minimo
di sangue freddo, si stava arrabbiando.
“Jacob, ti stai rendendo ridicolo. Non dare ad altri le tue colpe, parole tue, ricordi?”
Intanto Edward aveva afferrato il telefono, pronto ad agire, gli occhiali da lettura riposti nel taschino della camicia.
“signor Black, o se ne va da solo o la sicurezza sarà
così gentile da mostrarle l'uscita.” Il tono del capo era
tranquillo ma deciso e non lasciò molta scelta a Jacob che
dovette cedere e allontanarsi scortato da due uomini in divisa.
Isabella si lasciò cadere sulla sedia girevole e riprese a
battere il rapporto, come se nulla fosse successo e nulla la turbasse.
In realtà dentro di lei sentiva un gran trambusto. Aveva cercato
di essere indifferente, ma le era impossibile, rivedere Jacob dopo
quella sera di cinque anni prima l’aveva sconvolta, facendo
riaffiorare sentimenti che credeva perduti.
“bel tipo il tuo ex.” Commentò sarcastico Edward. Ma
lei lo ignorò, troppo presa a far restare a galla la sua
barchetta nel mare in tempesta dei suoi sentimenti.
“Isabella?!”
“mi dispiace per il disturbo, signore. Non accadrà mai
più.” La segretaria non distolse lo sguardo dal monitor.
“Questo me lo auguro. Stai bene?” Edward fermò il
ticchettio frenetico sui tasti, posando le sue mani su quelle di lei.
“si signore. Devo solo finire di battere la relazione.” Lui
non lasciò le sue mani, ma le avvolse in una calda stretta,
invitandola ad alzarsi.
“aspettami in ufficio.” Le disse solamente e così
lei fece, perplessa, mentre lui prese la direzione del cucinino, dove
si mise a preparare del caffè.
Mentre aspettava che fosse pronto, prese il cellulare.
“James? Si, Edward Cullen. Ho bisogno di un favore. scopra dove alloggia il signor Black.”
Il caffè fece bene a Isabella, aveva ritrovato la calma ed era
riuscita a scrivere senza errori la lettera che il suo capo le aveva
dettato alla cortese attenzione del Segretario della Difesa degli Stati Uniti. Si
stupì enormemente per il gesto carico di umanità, da lui
proprio non se lo aspettava. L'unica cosa di cui aveva bisogno era
concentrarsi sul suo lavoro, chiudendo al di fuori Jacob...e Charlie.
Quando la lancetta delle ore si spostò sulle cinque e mezzo,
Edward Cullen uscì dal suo ufficio e congedò Isabella,
quella giornata per lei era stata pesante. E poi lui aveva appena
ricevuto un messaggio da James, il capo della sicurezza e un vero
segugio.
Mr. Black alloggiava all’Hoyt Hotel, dall’altra parte della città.
***
“signor Black, posso sedermi?” Jacob era seduto a uno degli
sgabelli del bar dell’albergo, i gomiti sul bancone e lo sguardo
perso nel bicchiere.
“ma guarda chi si rivede. Quel damerino che fa il filo alla mia
Bells.” Jake restò concentrato sulla sua birra.
“perché é a New York? Oltre che per Isabella,
ovviamente.” Edward prese posto su uno sgabello vicino,
voltandosi verso il suo interlocutore poco incline, però, alla
conversazione. Edward non era per nulla turbato dall’atteggiamento scontroso dell’uomo.
“e perché mai io dovrei risponderti, damerino dei miei stivali?”
Cullen fece segno al barista di servire altre due birre.
Black sembrò pensarci un minuto, poi prese un sospiro e incominciò a parlare.
“Charlie mi ha detto del lavoro di Bells. Speravo mettesse una
buona parola anche per me...si, sai. Mi trova un buon lavoro e poi
ricominciamo una vita insieme.” Il suo sguardo si perse nelle
bollicine ambrate.
“chi è Charlie?”
“chi è Charlie?!” Jacob ripeté la domanda,
sbiascicando leggermente ma rivolgendogli finalmente un’occhiata.
“è il padre di Bella.”
Nonostante le apparenze Jacob Black era disponibile a parlare, forse
era la birra a renderlo loquace per cui Edward proseguì il suo
questionario, che assomigliava più ad un interrogatorio.
“cosa è successo cinque anni fa?”
“cinque anni, fa...” sospirò. “un
disastro...Charlie la costrinse ad accettare il mio invito al ballo.
Arrivò con un vestitino...ah!” iniziò a ridere.
“Bells con un vestitino! Un’aliena!”
Rise per un po’, finchè Edward non si spazientì e
riottenne la sua attenzione. “e poi? Perché Isabella
è ancora arrabbiata per quel giorno?”
“sono stato uno stronzo...aveva rifiutato il mio invito
all’inizio. La buttò sul ridere e io non capì: non
si sarebbe mai sentita a suo agio in un vestitino che nemmeno aveva! Le
dissi che le sue erano tutte scuse, che il vero problema era lei.
L’accusai di mancare così tanto di sensibilità e
femminilità da non sembrare nemmeno una ragazza. Quella sera,
quando arrivò...rimasi a bocca aperta. Si era vestita
così per me, perché era la mia ragazza e non voleva farmi
sfigurare davanti all’intera scuola. Eppure io...la rifiutai
ancora, avevo persino trovato un’altra accompagnatrice per la
serata, una delle ragazze più desiderate della scuola. Ero
arrabbiato, aveva vinto una borsa di studio per il MIT...e io ero
arrabbiato. Dissi cose che non pensavo ma si offese.”
Edward annuì, Black aveva ferito i sentimenti della sua
segretaria, in fondo ogni donna vuole sentirsi apprezzata, soprattutto
se compie un gesto così carico d’amore verso un uomo.
“Isabella veste sempre in modo elegante al lavoro e l’ho
vista anche in abito da sera. Non si può certo dire che sia
carente da quel punto di vista, è una bellissima donna...anche
sexy devo dire...”
“ehi ehi, damerino! Non fare apprezzamenti sulla mia
Bells!” Jacob gli puntò il dito contro. Poi spinse avanti
il suo bicchiere vuoto. “questo commento inappropriato ti costa
un’altra birra.” Edward fece segno al cameriere di
servirgliela. “stiamo parlando sempre della mia Bells?”
Edward inarcò le sopracciglia sconcertato. “l’ho
vista oggi, in blu. Le dona come colore, ma non era lei. Insomma...non
era lei.” Prese un sorso di birra scuotendo la testa.
“che intende dire?”
“cosa mi dai in cambio Cullen? Questa storia vale molto di
più di una birra.” Sembrava quasi che Jacob si stesse
divertendo. Edward si fece ancora più serio, intenzionato come
non mai a scoprire il passato della sua segretaria, per individuare il
suo errore di valutazione.
“avrà un compenso per le sue risposte, ovviamente. Un
lavoro nella sede della Guns n’ Cullen di Seattle. L’hanno
appena aperta e stanno cercando personale, in qualsiasi settore. Mi
basta una telefonata e domani sarà assunto.” Jacob era
sbalordito.
“ma non è a New York...” l’altro
asserì, lo voleva lontano da Isabella, visto come l’aveva
turbata rivedere il suo ex. “deve essere un bel lavoro e ben
pagato perché ti lasci con la mia Bella...avrai campo
libero.” Edward pensò che campo libero l’avrebbe
avuto lo stesso, con o senza Jacob Black nella Grande Mela.
Asserì e gli porse la mano, che prontamente l’altro
afferrò per suggellare il patto. Black era alla disperata
ricerca di un lavoro, meglio se vicino a Forks.
“le lattine che bevevamo a mensa non le gettavamo, le
conservavamo per il week – end o per il pomeriggio, dopo scuola.
Dietro a casa mia, vicino al bosco, c’era un muretto abbastanza
alto. Posizionavamo le lattine su di esso e sparavamo a turno con il
fucile di mio padre.” prese fiato e ricominciò.
“eravamo un gruppo di soli ragazzi, qualche ragazza, si...ma
occasionale. Tranne Bella, lei era una presenza fissa, forse
perché la consideravamo più maschio che femmina.”
L’uomo era perso nei suoi ricordi, lo sguardo vacuo oltre il bicchiere stretto tra le mani.
“fu uno dei tanti pomeriggi. Mio padre era fuori con Charlie e
aveva lasciato a casa sia il fucile che la pistola. Era il
guardiacaccia di Forks...comunque era fuori. Bella non aveva mia
sparato, ma si vedeva che voleva provare. Così uno della
compagnia la sfidò a farlo. Lei non si perse d’animo,
scelse la pistola e colpì tutte le lattine. Eravamo
sbalorditi!”
Quello sbalordito era Edward. Isabella aveva clamorosamente sbagliato
il bersaglio al poligono. Forse in quel lontano pomeriggio aveva
giocato un ruolo fondamentale la fortuna del principiante? Si chiese lo
stesso se la Bella del racconto fosse davvero la sua segretaria.
“aveva appena abbattuto l’ultima lattina nel silenzio
più totale, quando Charlie iniziò ad urlare. Era appena
arrivato con mio padre, nessuno di noi li aveva notati. Non l’ho
mai visto così arrabbiato. Strappò di mano la pistola
alla figlia e la costrinse a salire sul loro pick up. Lei non venne mai
più ai nostri incontri pomeridiani e iniziò a vestirsi in
modo più femminile anche se sotto sotto era sempre il solito
maschiaccio. A Forks erano comunque tutti intimoriti da Bella Swan, le
cose non erano cambiate. Quando le chiesi il perché, rispose solo Charlie e storse il naso.”
Cullen si alzò al termine del racconto, la sua birra ancora
intatta, lasciò qualche banconota sul bancone e il suo biglietto
da visita.
“domani è venerdì, Isabella fa solo mezza giornata.
L’aspetto nel mio ufficio alle quindici in punto, avrà il
suo lavoro. La voglio su un aereo per Seattle non più tardi di
sabato.”
E con questa velata minaccia lo Squalo, se ne andò.
p.s.: ed ecco l'apparizione come un fulmine di Jacob. che ne dite? vi piace, vi infastidisce? fate sentire la vostra voce!! =)
alcune domande per voi!! =)
vi piacerebbe se il prossimo capitolo fosse un flashback su quel famoso ballo?
preferite che la storia venga sospesa per agosto e ripresa a settembre?
per chi avesse voglia e tempo, ecco una mia nuova, piccola creazione, originale (one shot):
LUCCIOLE
se trovate errori di battitura, sorry =) l'ho letto più volte ma qualcosa può sempre scappare...alla prossima!! =)
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Capitolo 12 *** Il ballo ***
cap 11
trallalì
trallalà =) non ci credete, vero? Questa volta sono stata
bravissima, merito anche delle vostre bellessime recensioni che mi
hanno spinto a scrivere!!
Il prossimo aggiornamento però non so quando verrà. per
questo capitolo ho avuto l'ispirazione nel momento stesso che postavo
il precedente.
Se il capitolo ci sarà, sarà prima del 20 di agosto, poi parto e quindi ci si rivede a settembre.
intanto scrivo, no? =)
BUONA LETTURA!! =)
CAPITOLO 11 – IL BALLO
Il ballo di fine liceo di Isabella? Ve lo racconto subito.
Quando Charlie Swan rientrò a casa quella sera, non fu per nulla
sorpreso di vedere la figlia seduta sul divano, i piedi comodamente
appoggiati sul tavolino, sulla cui superficie in legno gocciolava un
bicchiere di Cola ghiacciata.
“niente ballo, Bells?” Lei sobbalzò nel sentire la
domanda, il rientro del padre era previsto solo in tarda serata. E su
di esso ci contava, per evitare scuse e inutili spiegazioni sul
perché non fosse alla scuola a ballare con il suo ragazzo.
Sempre che Jacob fosse ancora il suo ragazzo.
“ecco...non mi andava.” Tentò di tagliar corto, con
una scrollata di spalle. In realtà dentro di sé sentiva
solo la voce del suo Jacob...quella sera non sarebbe stata gradita come
dama.
“so che hai litigato con Jacob...”
“Charlie, non ti immischiare, non sono affari tuoi.”
Isabella chiuse il libro che stava leggendo con uno scatto secco e
salì le scale diretta nella sua camera.
Charlie Swan si mise le mani nei pochi capelli brizzolati che gli
rimanevano. Bella non era mai stata una ragazza semplice, ma loro due
erano una bella coppia, si bastavano. Qualcosa nel loro rapporto si era
incrinato fino a rompersi da quando l'aveva sorpresa a sparare con i
suoi amici e l'aveva sgridata per la prima volta nella sua vita. Aveva
tutte le ragioni di quel mondo per non volere che sua figlia sapesse
usare una pistola, si sentiva dalla parte del giusto.
L'aveva quindi messa in punizione e le aveva comprato tante camicette
colorate, costringendola a vestire più femminile. Adesso aveva
pure una gonna color cachi nell'armadio e un paio di ballerine nella
scarpiera. Isabella purtroppo non aveva preso bene il cambiamento
imposto. Usava sì i nuovi vestiti, tranne la gonna, ma era
diventata scontrosa e parlava sempre di meno con suo padre.
Charlie andò nella cameretta della figlia. La trovò
distesa sul letto a pancia in giù, il viso affondato nel
cuscino, rivolto verso la finestra.
“Jake ha detto che ho poco tatto e femminilità...”
“Bells...”
“Così poco da non sembrare nemmeno una ragazza...e che
nemmeno i patetici tentativi di questi giorni fatti di camicette
colorate, mi hanno tolto quell'aria da maschiaccio che ho sempre
avuto.”
“Bells...io...”
“tu cosa? Ho provato a darti la colpa di come sono, ad
odiarti...ci ho provato.” La ragazza si alzò a sedere sul
letto, le gambe sotto al sedere, le braccia incrociate al petto.
“mi dispiace Charlie, la verità é che io sono
così perché tu mi hai cresciuto in questo modo. Ogni
tanto da piccola mi sarebbe piaciuto avere una bambola e non una
macchinina per giocare...ma alla fine ti guardavo ed ero felice
così. facevamo tante cose divertenti insieme che le mie compagne
all’asilo non potevano fare. Avevano la gonna e giocavano con le
Barbie.”
“ti avrei comprato la bambola...”
“non è per la bambola, Charlie.” Lei gli sorrise
dolcemente, il volto sereno, senza ombre di tristezza per al sua
condizione di eterno maschiaccio. “ti volevo assomigliare. Volevo
essere forte come il mio papà.”
Charlie, quasi con le lacrime agli occhi, si sporse verso la figlia per abbracciarla.
“non ti odio papà, non potrei mai, mi hai dato tutto in
questi anni, anche di più. Ci sono stati anche dei periodi
difficili, tu c’eri sempre e...Charlie! non piangere! Il mio
papà è un osso duro, non si commuove...” lo prese
in giro. Charlie sciolse l’abbraccio.
“aspetta...ho...aspetta...non ti muovere!” uscì come
un razzo dalla camera di Isabella per entrare nella sua, estrarre un
vestito dall’armadio e ritornare dalla figlia, che lo aspettava
nella stessa posizione di prima. Tenne il vestito dietro la schiena. In
completo imbarazzo, Charlie Swan si grattò la nuca.
“sapevo che non avevi un vestito e che avresti detto a Jacob che
non saresti andata per questo motivo...”
“non è la mancanza di un vestito il motivo per cui non uscirò di casa questa sera...”
Il padre ignorò le sue parole. Anche lei sapeva che era una
bugia, formulata per auto convincersi che a quel ballo non volve
andare...per dimostrarsi che un vestito non fa una persona e che lei
non sarebbe mai scesa a compromessi, indossando uno di quei vestiti da
ballo...
“ti ho fatto un regalo. L’ho comprato al negozio di
Sue...quello di vestiti usati, all’angolo. Mi ha consigliato Sue
questo...” Lo portò in avanti, mostrandole il vestito.
“non è un granché ma spero possa piacerti.”
“Charlie è un pensiero davvero carino, ma non dovevi.
Immagino che ti sia costato...riportalo indietro e prenditi una camicia
che ne hai bisogno.” Isabella gli sorrise, il cuore pieno a
metà di gratitudine per il bel pensiero del padre, un sacrificio
fatto con amore. La tristezza riempiva l’altra metà, avere
un vestito non avrebbe cambiato la situazione con Jacob.
Tuttavia le insistenze di Charlie, il suo sguardo implorante, e un pizzico di vanità, la convinsero almeno a provarlo.
“come...come sto?” Isabella in completo imbarazzo, continuava a stropicciare la gonna che poi lisciava.
“sei bellissima Bells...se ti vedesse tua madre...” Charlie era visibilmente emozionato.
“oh...invece di andare al ballo, potremmo parlare di
mamma...” l’uomo scosse la testa, le lasciò qualche
minuto per pettinare i capelli che all’epoca portava in un
pratico caschetto e la costrinse a scendere le scale. L’argomento
mamma era da sempre tabù in casa Swan.
“non ci provare Bells. Andrai a quel ballo.” La spinse
anche oltre la soglia di casa, con le chiavi del vecchio Pick Up in
mano. “tornata tardi e divertiti.” Le chiuse la porta in
faccia e girò la chiave. Soddisfatto, il sorrisetto che spuntava
da sotto i baffi, si avviò verso la cucina, ma venne fermato dal
campanello impazzito. “no, Bella! non ti apro!” le
gridò.
“apri Charlie o butto giù la porta!” rispose lei di
rimando, leggermente alterata. Charlie, ben sapendo che la figlia ne
sarebbe stata capace, scostò la tendina della porta e vide la
figlia fumante di rabbia. “le scarpe Charlie!”
Nella fretta di spingerla al ballo, il signor Swan si era dimenticato
di far indossare le scarpe alla figlia. Sorridendo come se niente fosse
successo, le aprì la porta e le porse un paio di ballerine rosse
che Isabella indossò prima di andarsene senza salutare.
La serata era decisamente iniziata con il piede sbagliato. E non continuò meglio.
Isabella arrivò nel parcheggio con una grande ansia in corpo.
parcheggiò lontano dall’ingresso, in uno dei pochi posti
liberi. L’intera scolaresca era già arrivata, mancavano
solo pochi ritardatari, come lei.
Tamburellava le dita sul volante e batteva ritmicamente il piede sul tappetino liso, cercando inutilmente di calmarsi.
“è inutile.” Si disse, nessun respiro profondo
avrebbe potuto allontanare la sua tensione. Scese dal pick up e con
passi lenti si diresse verso la palestra, allestita a festa. La musica
si sentiva già nel parco e i festoni annunciano ovunque
l’evento dell’anno. Isabella si sentiva quasi
un’estranea con quel vestitino a pois bianchi. Camminava come un
condannato a morte, stringendosi nel maglioncino rosso che indossava
per raparsi nell’estiva ma comunque fredda sera di Forks.
Sentiva su di sé tutti gli occhi degli studenti non ancora
entrati, in fila per le foto di rito sotto l’arco di palloncini
colorati. Dalla quella stessa fila che aveva gli occhi curiosi puntati
su di lei, uscì Jacob. Stupito della sua presenza, del suo
abbigliamento stranamente elegante, aveva chiesto a Leah, la sua
accompagnatrice per la serata, di scusarlo un attimo. Si era diretto
velocemente verso Isabella e, presala per un braccio, l’aveva
portata lontano da orecchie e occhi indiscreti.
“che ci fai qui?” chiese lui senza tanti preamboli.
“sono qui per il ballo...” il vestito, le scarpe, i capelli
portati all’indietro con le due mollettine che Sue aveva regalato
a suo padre, la facevano sentire fuori luogo, priva di quella sicurezza
e di quella corazza che indossava sempre.
Jacob sospirò. “Bella...io, io sono qui con Leah.”
Sconvolta da quella rivelazione, Isabella si allontanò da lui.
“stai con lei ora?”
“avevi detto che non saresti venuta al ballo.”
“ma ora sono qui.” Sorrise titubante, poco sicura che il
suo ragazzo avrebbe rinunciato alla ragazza più bella e
corteggiata della scuola per lei. Anche se era lei ufficialmente la sua
ragazza. Anche se si era messa un vestitino solo per lui. “ti
piaccio?” fece una mezza giravolta su se stessa per mostrare con
orgoglio il regalo di suo padre.
“smettila Isabella. non è l’abito che cambia ciò che sei.”
“vuoi dire che...che è stato tutto inutile?” lui annuì, serio.
“non cambi perché indossi un vestito elegante. In questo
momento voglio qualcosa di più che stare con un
maschiaccio...”
“non è colpa mia se...”
“non dare ad altri le tue colpe.” Con quell’ultimo
affondo nel cuore di Isabella, lui se ne tornò da Leah che lo
attendeva impaziente di sapere se la ragazza con il vestitino nero e
rosso era proprio Isabella Swan.
***
Due giorni dopo Jacob Black si presentò a casa Swan come se
nulla fosse successo, come se non avesse rifiutato Isabella come sua
dama al ballo.
Il signor Swan non lo fece nemmeno accomodare, Isabella era partita il
pomeriggio prima, anticipando di quasi un mese la sua partenza per
Boston.
Jacob, sentì un dolore nel petto alla notizia, se ne era andata senza salutarlo. Si girò
per percorrere il vialetto fino alla macchina ma la voce di Charlie lo
fermò.
“se ne è andata per colpa tua, Jake. Hai dato a un padre
il dispiacere più grande, vedere la propria ed unica figlia
piangere per un uomo che non la merita. La mia bambina ieri era
stupenda. Sei tu quello che manca così tanto di tatto da non poter essere considereato un uomo.”
Detto ciò Charlie Swan sbatté la porta e per gli anni che
seguirono salutò a malapena Jacob, la causa
dell’allontanamento repentino ed anticipato di sua figlia.
p.s. dell'autrice: l'ho riletto più volte e ogni volta cambiavo
qualcosa. Avrei voluto mettere qualcosa di più sui sentimenti di
Charlie e Bella, ma credo che il capitolo sia usito bene, proprio come
lo volevo. Fatemi sapere che ve ne pare...questa dovrebbe essere
l'ultima apparizione di Jacob (ma mai dire mai...)
GRAZIE per la risposta così positiva allo scorso capitolo!!
bene, aspetto i vostri pareri!! al prossimo capitolo!! =)
intanto potete leggere questo originale, no?? xD
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Capitolo 13 *** Consiglio imprevisto ***
cap 12 ls
Lo so, lo so.
Avevo promesso di ritornare prima o di scrivere tanto.
Non ho fatto nessuna delle due cose, preferisco non scrivere se non mi sento nello stato d'animo giusto.
Ma ora sono qui e c'è un capitolo nuovo tutto per voi.
Sinceramente, non mi sembra un gran capitolo, un po' statico e di passaggio.
Eppure, certi personaggi è meglio introdurli così....in modo soft per il ruolo che avranno poi in seguito.
Buona lettura!!
CAPITOLO 12 – CONSIGLIO IMPREVISTO
Isabella quella mattina, arrivò con le occhiaie e molto
sonno arretrato in ufficio. Fuori era ancora buio, l’inverno
stringeva nella sua morsa fredda tutta la città.
Luci, termostato, caffè. Isabella compì semplici azioni
per rendere quel posto di nuovo vivo dopo la pausa notturna.
Accese il computer e iniziò il solito lavoro di controllo delle
mail. Quella mattina era arrivata prima di tutti, non aveva dormito
granché e alle cinque e mezza aveva deciso di scendere dal
letto, invece che litigare per altre due ore con le coperte.
Si era chiesta perché non lasciasse il suo lavoro e ne cercasse
un altro che le desse maggiori soddisfazioni. Dopotutto i rapporti con
Edward si erano arenati in una fredda cortesia, riscaldata solo da suoi
commenti acidi.
Inoltre era davvero stanca di servire caffè, inviare mail,
rispondere al telefono e fare fotocopie. Aveva bisogno di un
cambiamento e ogni mattina si riproponeva di rassegnare le dimissioni.
Ma poi tra una fotocopia e l’atra le veniva alla mente suo padre,
i suoi probabili te lo avevo detto, e allora continuava a perseverare, stringendo i denti e sfogandosi sempre durante il corso di thai box.
Quando davanti a lei si presentarono i membri del consiglio, le prese
il panico. Erano da pochi minuti passate le otto del mattino e non
aspettava nessuno prima delle dieci, orario in cui Edward la degnava
della sua presenza. Erano tutti lì per un consiglio
d’amministrazione straordinario.
Ma come, la sua segretaria personale non ne era stata informata? E il signor Cullen non era ancora arrivato?
“scusatemi solo un secondo signori.” Isabella in preda
allo sconcerto, si diresse a grandi passi verso l’ufficio del
capo, cercando di guadagnare tempo. forse la mancanza di sonno iniziava
a farsi sentire e lei si era solo addormentata sulla scrivania.
Lisciò la giacca e i pantaloni, le mani le sudavano
perché non aveva la situazione sotto controllo e lei odiava non
avere neanche un minimo di controllo su ciò che la circondava.
Decideva lei se perdere le staffe, se ingannare, se essere gentile.
Aveva sempre un asso nella manica che la portava a capovolgere la
situazione, ma non quella volta e il suo senso di impotenza stava
aumentando, così come il suo respiro.
Mentre componeva il numero del cellulare di Edward Cullen pensò
che forse l’indomani non avrebbe dovuto pensare alla lettera di
dimissioni. Ci avrebbe pensato il suo capo a licenziarla in tronco,
anche solo per avergli telefonato solo alle otto di mattina, quando lei
aveva avuto l’esplicito ordine di non disturbarlo mai prima delle
dieci.
Il principino dorme fino a tardi...
Pensò acidamente, storcendo il naso mentre sentiva il telefono squillare a vuoto.
Lui dorme e io sono nei guai.
Si, l’avrebbe licenziata. Come aveva potuto sbagliare a
mandare la mail e chiamare le segretarie di tutti quegli uomini
là fuori? Era così distratta in quei giorni da commettere
un errore così grossolano. Eppure, rifletté, per quel
giorno non era stato previsto alcun consiglio, nessuna riunione.
Forse E. Cullen le stava solo tirando un brutto tiro per testare le sue
capacità. Se avesse superato anche quella giornata infernale, le
dimissioni le avrebbe lasciate sulla scrivania del capo alla fine del
suo turno, così la mattina dopo lui avrebbe avuto una bella
sorpresa.
In completo imbarazzo, si chiuse nell’ufficio del capo e lo
chiamò, con il cuore in gola. Aveva per caso dimenticato un
consiglio o aveva sbagliato a indicare l’orario alle segretarie?
Così il problema delle dimissioni era risolto, E. Cullen
l’avrebbe licenziata in tronco.
Il tono assonnato di Edward, che rispose solo alla quinta telefonata, non le faceva ben sperare in una conversazione pacifica.
“sa che ore sono?”
“si, signore...ma c’è un’emergenza.”
“le emergenze per cui puoi svegliarmi alle otto e...tredici
minuti si riducono a due. C’è stato un furto o è
scoppiata una fabbrica...”
“non è proprio questo il motivo...” Isabella non
sapeva come continuare. Nervosa, attorcigliava il filo del telefono
attorno al dito. “c’è qui il consiglio
d’amministrazione al completo. La stanno aspettando nella sala
conferenze...”
“COSA?!” Ora si che il signor Cullen era sveglio. “che hai combinato?”
“Io?? E perché deve esse colpa mia! Non ho combinato
proprio nulla. E ora alzi il culo dal letto e venga immediatamente qua
e mandi via quel reparto geriatrico che infesta il piano.”
disse e riagganciò senza nemmeno salutarlo.
Edward Cullen giunse quasi quarantacinque minuti dopo, trafelato. Un
bavero del colletto era ripiegato sotto la cravatta rossa, allentata
e con il nodo pendeva verso destra. L’impeccabile eleganza
di Edward era svanita.
Non appena Isabella lo vide uscire dall’ascensore in quello stato
gli si fece incontro. Edward prese il fascicolo che Isabella gli
porgeva. Gli porse una tazza di il caffè caldo e con poco
zucchero. Ormai imparava a conoscere i suoi gusti. Poi gli
sistemò la cravatta e il colletto, senza commentare. Gli prese
la valigetta e il soprabito tra le mani e si avviò nel
corridoio, fermandosi solo un attimo alla scrivania di Isabella, dove
lei depose ciò che aveva tra le mani.
“ho ordinato caffè e pasticcini per tutti, per tenerli
buoni. Stanno qui a ingozzarsi ridacchiando, li sento dalla mia
scrivania. La puzza dei loro sigari ha appestato l’aria.”
“perché sono qui?” erano giunti davanti alla porta della sala delle conferenze.
Isabella fece un sospiro. “lo chiedo io a lei...non ho commesso
nessun errore. Ho chiamato la segretaria di Milton. Abbiamo fatto
amicizia tra una telefonata e l’altra. Neanche lei sapeva di
questa riunione.”
Edward stava per abbassare la maniglia, quando Isabella prese per un
braccio il suo capo e lo fece voltare verso di lei. “senta, non
sono affari miei, ma credo che qualcuno voglia la sua testa su un
vassoio d’argento.”
La signorina Swan continuò. “qualcuno ha convocato il
consiglio al completo per le otto, ben sapendo che lei le riunioni le
fissa sempre dopo le dieci. Mi sono ritrovata invasa dai consiglieri
che erano pronti per una riunione straordinaria. Non crede che ci sia
qualcosa di strano?”
Edward fece per ribattere, ma lei lo precedette. “e no, non ho commesso alcun errore.”
”Signori.” Edward era entrato in sala riunioni e aveva
gettato di mala grazia i documenti sul tavolo ovale. Quella riunione
imprevista e organizzata alle sue spalle lo irritava parecchio.
”di solito convoco io le riunioni del consiglio. Visto che non
l'ho fatto, qualcuno sarebbe così gentile da espormi il
problema?” allentò il nodo della cravatta appena sistemato
dalla sua segretaria e si sedette al vertice del tavolo.
Peccato per la cravatta, pensò, Isabella è stata davvero gentile...
Prese la parola un tizio, anonimo e piuttosto insulso, con un
parrucchino finto che lo faceva sembrare ancora più brutto e
vecchio di quel che era.
“signor Cullen, vorremmo sapere quale é il suo piano di
investimenti per la sede newyorkese dell'azienda. È la sede
più importante. Ha ottenuto un importante contratto con il
governo mesi fa, e ora? Noi tutti siamo preoccupati per il
futuro...”
Edward lo interruppe bruscamente. “credete che mi sia seduto
sugli allori e abbia dimenticato di continuare il mio lavoro?”
era visibilmente alterato per quelle insinuazioni.
“signor Cullen,” a rispondere fu una persona che avrebbe
volentieri defenestrato, James Stilligan. L’uomo sorrise furbo e
viscido. “nessuno sta mettendo in dubbio la sua
professionalità, ma vorremmo essere più partecipi delle
sue iniziative. Se non ne ha, è un altro discorso...”
insinuò malignamente. “ma i soldi investiti sono i
nostri.”
Brutto vecchio spilorcio arrivista.
James Stilligan era tutto tranne che vecchio. Aveva qualche anno in
più di Edward e aveva risollevato le pessime sorti
dell’azienda di famiglia, investendo cifre da capogiro proprio
nel settore militare. E di sicuro avrebbe volentieri soffiato la
presidenza della Guns ‘n Cullen dalle mani di Edward Cullen.
Screditarlo davanti al consiglio, vederlo rispondere impreparato alle
loro domande, era il primo punto del suo piano.
Principino viziato che non hai mai
mosso un dito in vita tua e che se non fossi il figlio di
Carlisle,saresti in mezzo a una strada a chiedere l’elemosina.
Raccomandato...
Come vedi, caro lettore, i pensieri dei due uomini che si guardavano in
cagnesco pur mantenendo un sorriso d’apparenza, non erano dei
più cordiali.
Con fare teatralmente studiato, Edward passò al
contrattaccò. Mai mettersi in gioco senza un asso nella manica.
O meglio ancora con un asso in ogni manica.
Estrasse dalla cartelletta che aveva portato con sé un progetto.
“prego signori. È un mezzo blindato che può essere
usato sia in zona di guerra data la corazzatura che in città,
viste le ridotte dimensioni e la manovrabilità. Avrei presentato
il progetto tra due settimane. Ci sono solo alcune questioni tecniche
da mettere appunto.”
Mentre i signori facevano finta di studiare i progetti e annuivano
compiaciuti perché vedevano nuovi profitti all’orizzonte e
Stilligan si mangiava le mani perché il suo piano sembrava
fallire, entrò Isabella.
Si avvicinò al capo e gli sussurrò che c’era il
padre al telefono, sembrava una cosa urgente. Edward rispose di
metterlo al corrente della situazione, lui era pur sempre Carlisle
Cullen, il proprietario di tutta la baracca.
La porta si stava chiudendo alle spalle della segretaria, quando il
portavoce dei consiglieri si alzò ed espresse il giudizio
positivo sul nuovo progetto da parte di tutto il consiglio. sembrava
quasi, dato l’orgoglio con cui parlava, che il nuovo mezzo
blindato fosse quasi una sua creatura.
“tuttavia, data la complessità dell’opera, siamo
dell’opinione che debba contattare vero esperto...”
“Isabella, aspetti.” Edward la richiamò nella
stanza. “chieda a mio padre di contattare Philip Dywer.”
“il signor Dywer è in pensione!” protestò qualcuno.
“vedremo.” Sorrise Edward convinto di aver nel sacco ancora una volta l’intero consiglio.
p.s. dell'autrice: lo avevo detto io che non era granchè come capitolo...spero di rifarmi nel prossimo.
grazie a tutti quelli che hanno ancora la pazienza di seguirmi =)
a presto!
Scie Luminose, originale, romantico
Lucciole, originale, romantico
Incontri di fumo, originale, generale
Io, a Beverly Hills, Twilight
Io e te, a Beverly Hills, Twilight
My Killer Angel, Twilight
Plagiarize, Twilight
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Capitolo 14 *** Philip ***
cap 13
CAPITOLO 13 – PHILIP
Due giorni dopo, arrivò alla Guns ‘n Cullen di New
York un signore anziano, alto e distinto. Indossava un completo scuro
molto raffinato e la lieve abbronzatura del volto, non sminuiva il
portamento elegante.
Aveva cercato la segretaria alla sua scrivania, ma questa era vuota.
Bussò quindi direttamente alla porta in fondo al corridoio.
Edward la spalancò all’istante e lo invitò ad
entrare.
“caro Edward” disse Philip stringendogli la mano, prima di
sedersi sulla sedia in pelle davanti alla scrivania. “sei
cresciuto dall’ultima volta che ti ho incontrato.”
“ne è passato di tempo, Philip. Com’è la Costa Rica?”
“una splendida terra. Ma non siamo qui per palare della mia casa, sbaglio?”
Edward sorrise, amava il carattere dell’uomo che gli sedeva di
fronte. Nonostante gli anni e il fatto che si fosse ritirato dagli
affari da tempo, non aveva perso il suo smalto, né tanto meno la
sua schiettezza, andava sempre dritto al punto. Gli raccontò del
consiglio e la sua manovra estrema di salvezza. In realtà,
confessò, il prototipo non era ancora pronto e necessitava di
numerose modifiche prima di essere di nuovo sottoposto all’esame
del consiglio. Edward aveva mentito, sarebbero servite più di
due settimane.
“non ti bastano gli ingeneri che hai?”
“mi servono occhi con più esperienza. Stanno cercando di
risolvere alcuni problemi tecnici, ma ne creano sempre di nuovi.
Sembrano degli incompetenti...dei novellini appena usciti
dell’asilo.” Edward si era alzato dalla poltrona e
osservava lo skyline newyorkese per non mostrare tutta la sua
irritazione verso i suoi dipendenti.
“hai problemi a gestire il tuo personale? Non hai nemmeno una persona fuori dall’ufficio...”
“la mia segretaria è fuori per delle commissioni.”
Rispose secco Edward, stendendo poi davanti ai suoi occhi il progetto
del nuovo blindato. “stanno solo sprecando tempo e denaro.
Può fare qualcosa? mio padre ha sempre detto che lei era il
migliore e non c’è giorno che passi che non la rimpiange
come ingegnere.” Lo adulò leggermente ma con classe.
Philip Dywer lo esaminò con molta cura e poi lo ripiegò. “posso fare qualcosa. per il compenso...”
Edward sorrise, qualsiasi cifra se il prototipo fosse stato funzionante
entro due settimane. Avrebbe avuto a disposizione qualsiasi risorsa e
tutti i loro laboratori.
“stabilisci tu una cifra e fai una donazione
all’associazione R. Dywer.” Continuò come se non
avesse sentito neanche una parola pronunciata da Edward.
Il signor Dywer si alzò dalla sedia e chiese un pass per andare
subito nei laboratori, non aveva voglia di perdere tempo inutilmente.
I due uomini restarono d’accordo per vedersi l’indomani e
aggiornarsi. Si strinsero la mano e poi uno uscì
dall’ufficio, mentre l’altro si mise dietro la scrivania e
compose il numero della sicurezza, che dessero libero accesso a Philip
Dywer, ovunque lui avesse voluto andare. Contattò anche gli
ingegneri, che non si mettessero ora a rivendicare il territorio.
Soddisfatto si concesse un bicchierino di liquore, brindando con se
stesso alla sua vittoria contro quello spocchioso di James Stilligan.
Nel frattempo il signor Dywer stava aspettando l’ascensore.
Quando le porte si aprirono si trovò davanti una ragazza minuta,
ma di sicuro muscolosa, visto tutti i pacchetti e le buste che aveva
tra le mani.
“posso aiutarla?” si offrì gentilmente l’uomo.
“mi tenga solo aperto l’ascensore mentre scendo.”
Isabella scostò dal viso un pacchetto, riuscendo a vedere bene
in faccia l’uomo. “grazie.” Aggiunse.
Scese ma Dywer non salì in ascensore, guardava solo Isabella
scaricare i pacchetti alla ben e meglio sulla scrivania.
Osservò, incantato, ogni sua mossa, quando si tolse il cappotto,
quando depose la borsa sulla sedia e quando da essa estrasse una serie
infinita di scontrini e i guanti, il cappellino e la sciarpa.
Solo quando la sentì sbuffare si riprese. Nello stesso momento
anche Isabella si accorse che quell’anziano signore la stava
ancora fissando, una mano sulle porte dell’ascensore, per
bloccarle.
“signore, si sente bene? Devo chiamare qualcuno?”
Isabella gli si era avvicinata preoccupata. “gradisce
dell’acqua o del caffè?”
Philip non rispose, entrò nell’ascensore e le
riservò solo un’occhiata penetrante mentre le porte si
chiudevano davanti a lui.
Che tipo strano. Pensò.
“oh Isabella!”
Mancava solo lui per la collezione stranezze.
Ecco comparire anche il suo capo dall’ufficio, il sorriso
soddisfatto sulle labbra e quell’aria da primo della classe da
prendere a pugni.
“cancella ogni mio impegno per domani mattina, Philip Dywer mi deve riferire sul prototipo.”
“Philip Dywer?! Quel signore di poco fa era Philip Dywer?” la ragazza era senza parole.
“lo conosci?”
“e chi non lo conosce! Era uno degli ingegneri bellici più
famosi a suo tempo. era nell’esercito e poi ha continuato la sua
carriera nel settore privato, in una delle maggiori fabbriche
d’armi del paese, prima che fallisse, ovviamente.”
Edward sorrise, chiedendosi dove avesse preso tutte queste
informazioni. Poi le chiese che regali di Natale avesse preso per sua
sorella Alice e per i genitori.
Isabella storse il naso, pensando che aveva dovuto fare da Babbo Natale
tutto il giorno, mentre lì, in quell’ufficio, si trovava
una delle persone che ammirava di più e che forse non avrebbe
mai avuto più occasione di incontrare. Iniziò ad elencare
le sue spese folli con la noia nell’animo e nella voce.
“per sua sorella una sciarpa di Hermes. Io non me ne intendo ma
me l’ha consigliata la commessa e costava un patrimonio, quindi
immagino che vada bene. per i suoi genitori invece...”
***
Il telefono squillava nel piccolo monolocale di Isabella. correndo
e inciampando, lei riuscì a prendere la chiamata. Era suo padre.
“ehi, Charlie...” si scambiarono alcuni convenevoli. La
conversazione fu leggera finchè non venne toccato il tasto
lavoro.
“Jake mi ha detto che quel damerino ti sfrutta e ti fa il filo.
È una cosa indecente. Perché non torni a casa? ce la
siamo sempre cavata la meglio...non hai bisogno di lavorare
lì...ti prego Bells...”
“papà...” sospirò. Chiamava Charlie
papà in poche occasioni. Solo quando le sembrava di aver a che
fare con un bambino che non voleva capire un concetto estremamente
semplice e allora lei doveva spiegarlielo con pazienza e dolcezza,
senza alzare la voce, come accadeva spesso tra loro due. “tu odi
Jake. Eppure lo hai mandato qui come se fosse la tua carta migliore per
farmi tornare a Forks.”
“non lo era forse? Ho tentato in tutti i modi di convincerti a
non andare a NY. Io non sono stato abbastanza...ma so quanto hai
sofferto per lui e magari...non lo so...forse il sentimento che vi lega
era nascosto ancora da qualche parte e poteva riemergere...”
Charlie borbottava imbarazzato, non era da lui parlare così
apertamente di sentimenti. Isabella se lo immaginò diventare
completamente bordeaux e non riuscì a trattenere un sorriso,
anche solo per la frase da psicologia spiccia che aveva usato.
“ho chiuso con Jacob Black quella sera di tanti anni fa. Vederlo
ora ha solo rischiato di farmi rompere il computer. Non lo odio ma non
voglio nemmeno averlo tra i piedi. L’unico motivo per cui sarei
tornata sei tu, ma in questo momento voglio lavorare qui. Mi piace lavorare qui.” Isabella si chiese chi stava convincendo, suo padre o se stessa?
“Charlie, scusa, mi sta suonando il cellulare.”
“è qualche ammiratore segreto o è il damerino che
ti chiama per lavoro?” la curiosità di Charlie poteva
risultare molesta in certe situazioni.
“credo la prima. Non conosco il numero. Aspetta.” Tenendo
la cornetta del fisso appoggiata ancora all’orecchio, Isabella
rispose anche al cellulare. “pronto?” chiese titubante.
“sono Philip Dywer. Edward mi ha dato il suo numero di telefono in caso di necessita, spero di non disturbarla.”
“no, si figuri, mi dica.” Isabella stava facendo i salti di
gioia, poteva parlare con una persona che ammirava immensamente e
magari chiedere a lui un consiglio per la sua carriera...o una
raccomandazione!
“domani volevo arrivare un po’ presto in sede, mi farebbe
il piacere di essere la mia guida? Credo che potrei perdermi nel
labirinto dei corridoi.”
“certo signor Dywer, nessun problema.” Isabella era sempre
più entusiasta, forse avrebbe anche potuto vederlo
all’opera, prima di iniziare il turno nell'ufficio del damerino.
“BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!” dal telefono fisso risuonò la voce tonante di Charlie.
“ehi! Stai zitto!”
“come dice prego?”
“no, non a lei, signor Dywer, mi scusi. Ero al telefono con mio
padre e la conversazione era ancora aperta...” Isabella avrebbe
voluto sprofondare per l'imbarazzo, si maledisse per non aver spento
prima la telefonata con Charlie.
“ISABELLA MARIE SWAN. TU PRENDI IL PRIMO AEREO PER SEATTLE DOMANI
STESSO.” Charlie sembrava partito in quarta e se avesse urlato
ancora un po’, Philip avrebbe distinto alla perfezione ogni
parola.
“Charlie, ora calmati. Signor Dywer ci vediamo domani mattina.
Alle sette e mezzo nell’atrio?” salutato l’ingegnere,
Isabella si infuriò con suo padre. “va bene che non ti
piace il mio lavoro, che dici sempre che potrei aspirare a qualcosa di
meglio, ma se quando mi si presenta l’occasione giusta mi fai
fare certe figure di merda! Charlie, cazzo!”
“Isabella, quello...quello ci stava tentando! Stai lontana da lui, hai capito?!”
“sei ridicolo. Se non sai nemmeno che cosa mi ha chiesto?! Devo
aprirgli i laboratori domani mattina presto. La Guns ‘n Cullen
non è famosa per essere operativa di primissima mattina!”
urlò.
Il silenzio che ne seguì fu inquietante. Il signor Swan prese a
parlare, il tono serio e pacato, ma glaciale. Lo stesso che usava
sempre con lei quando era piccola e non ubbidiva. Come allora, anche
adesso faceva venire i brividi a Isabella. “la Guns ‘n
Cullen? Jake si è forse dimenticato di dirmi qualcosa, che per
esempio avevi cambiato lavoro? Fa lo stesso, domani dai le dimissioni e
prenoti il volo per Natale. torni a casa definitivamente e non voglio
discutere su questo.”
“non ho più due anni Charlie. Lavoro lì da sempre,
solo che non te l’ho mai detto, sapendo che non mi vuoi vicino ad
armi da fuoco.” sembrava quasi che lo stesse implorando di
perdonarlo, il tono rassegnato e piatto. “i voli costano
troppo.” Disse, induritasi di colpo e chiudendo la telefonata,
senza lasciargli possibilità di replica. Suo padre non aveva
voce in questo capitolo della sua vita.
p.s. dell'autrice: vi ho fatto spettare più di quanto avrei voluto, ma è un periodo infernale.
il rapporto tra Isabella e Charlie ritorna e ne sono contenta...lui mi piace un sacco =)
imbarazzi, intrusioni e sfuriate a parte, ovviamente...
al prossimo capitolo per sapere che succederà...e forse per sapere il motivo della reazione di Charlie.
a presto (spero)!! ciao!!
Scie Luminose, originale, romantico
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Capitolo 15 *** Forse...forse aveva ragione Charlie! ***
cap 14 sl
Hoilà! eccomi qua!! =)
Ricevuta la benedizione per postare, non perdo tempo!
non mi sono dimenticata di voi, il capitolo è stato difficile da scrivere.
spero ora di avere più tempo, di sciuro non vi abbandono dopo la fine di questo capitolo (ih ih ih....)
quindi non abbandonatemi voi!
il prossimo capitolo arriverà presto, ma datemi un segnale che
ci siete ancora o perderò tempo a domandarmi perchè la
storia non va...
BUONA LETTURA
CAPITOLO 14 – FORSE...FORSE AVEVA RAGIONE CHARLIE!
La mattina dopo arrivò in ufficio alle sette e venti. La
città era spettrale...poche le macchine che correvano sulle
strade libere. Un taxi che si era fermato vicino al bar in cui aveva
fatto colazione, aveva scaricato quattro persone, due ragazze con
rispettivi accompagnatori, al ritorno da una serata di bagordi. Un
caffè nero non avrebbe fatto male a nessuno dei quattro.
Isabella raggiunse il palazzo della multinazionale con un caffelatte in mano e una brioche nell’altra.
La guardia notturna non credeva ai suoi occhi, nessuno entrava
così presto e non la smetteva di controllare il pass della
ragazza.
“posso aspettare qui mentre faccio colazione?” l’uomo
la guardò stranito, ma felice che non avesse chiesto di salire
negli uffici. Se fosse stata una spia e lui avesse permesso di entrare
indisturbata durante la fine del suo turno! Per sua fortuna da
lì a dieci minuti sarebbe arrivata la guardia del mattino, gli
avrebbe dato il cambio alle otto, ma almeno avrebbe potuto confermare
l’identità della sconosciuta.
La guardia del mattino arrivò, si puntuale, ma con lei entrò un altro uomo, più anziano.
“oh, puntuale come un orologio svizzero, signor Dywer.” Si
complimentò Isabella gettando il bicchiere del caffelatte nella
spazzatura. Si salutarono con una stretta di mano. “se vuole
possiamo andare subito o bere un caffè prima.” Fremeva,
voleva conoscere tutto il più possibile di quell’uomo e
scoprire avida, i segreti del suo successo. Lo ammirava molto e lo
stimava professionalmente.
“ehi, dove andate?” la guardia notturna fremeva dalla guardiola. Era palesemente agitato.
“oh Frank rilassati.” Intervenne l’altro. “è la segretaria del capo.”
Il modo con cui lo disse, non piacque per nulla a Isabella, il
sottointeso era palese: essere la segretaria di Edward Cullen
significava essere anche la sua amichetta di sesso.
“se voi gentili signori aveste più palle, le cose le
direste in faccia. Non mi scopo il mio capo, faccio solo il mio lavoro
e sarebbe bello che voi faceste altrettanto, invece di perdere tempo in
inutili pettegolezzi.”
Avrebbe voluto rimangiarsi ogni parola dopo averla detta. Philip Dywer la guardava sconcertato.
“mi scusi. Sono cresciuta solo con mio padre che mi ripeteva ogni
giorno di mettere a tacere le malelingue e di non avere mai peli sulla
lingua. Danno fastidio. e poi odio che si insinuino cose del
genere.” Sbuffò.
Il signor Dywer rimase in silenzio per qualche secondo, prima di
parlare. “immagino di dovermi scusare per averla disturbata ieri
sera. Suo padre non avrà gradito l’intrusione
telefonica.”
“vorrei rassicurarla del contrario, ma mio padre non è un
tipo facile. Burbero direi, ma davvero un ottimo padre.”
“è fortunata.” Isabella sorrise, mentre strisciava
il suo badge per usare l’ascensore privato che portava nel
seminterrato, sede dei laboratori. Presto anche il signor Dywer ne
sarebbe stato dotato. In ascensore rimasero in silenzio, ma una volta
che l’allarme venne disinserito, le luci accese, e si furono
spostati nella sala del prototipo, Dywer riprese a parlare.
“mi racconti qualcosa di lei.” Si era tolto la giacca e si
stava rimboccando le maniche, mentre osservava l’ammasso di
ferraglia davanti a lui. Non portava la cravatta.
“come?”
“ma si, da dove viene, che studi ha fatto, come è finita a
lavorare per Edward...” Isabella lo guardò stranita. Il
suo interesse verso il Philip Dywer era del tutto professionale ma non
sembrava così per l’uomo. “mi racconti, voglio
sapere qualcosa di lei. È una ragazza così
affascinante...”
Ok, forse...forse aveva ragione Charlie. Non era stata una mossa molto
furba acconsentire a fargli da guida nel seminterrato a quell’ora
del mattino.
La ragazza rimaneva in silenzio, così Philip tornò alla
carica. “mi scusi se glielo dico, ma credo che le guardie
avessero ragione. Una segretaria va sempre a letto con il proprio
capo.” Per poco Isabella non gli tirò un ceffone per la
sua cafonaggine.
“non si permetta signore. sono professionale sul lavoro e non ho nessun interesse nei confronti del mio capo.”
“oh, ma cara, non c’è nulla di male. Io mi sono
sposato la mia segretaria!” ride mentre punta un faretto
sull’automezzo blindato. “stando così a stretto
contatto è normale, si hanno certi pruriti e si soddisfano.
Immagino che la sua vita privata non sia troppo attiva, vero? In queste
aziende così grandi, il lavoro è sempre troppo e si resta
in ufficio fino a tardi e...”
Isabella non ascoltava più le parole senza senso
dell’uomo, la sua convinzione era che Charlie avesse ragione. Era
un figlio di puttana che voleva portarla a letto.
Dava così tanto l’idea di una cattiva ragazza, arrivista e basta?
“dannazione, mi servirebbe...ah, non posso farlo da solo. Vede
quella scatola degli attrezzi? Mi dovrebbe passare...si esattamente
questo...” disse sorpreso e ammirato vedendosi porre davanti lo
strumento desiderato. “come faceva a...”
“non ho ascoltato una sola parola di quello che ha detto, ma mi
sono concentrata sul suo lavoro. Preciso e pulito. È fantastico
vederla al lavoro, anche se in azioni così preliminari.”
Spiegò la ragazza, una nota ammirata nella voce e gli occhi che
scintillavano. Finalmente avrebbe potuto imparare davvero qualcosa in
quel lavoro. “concentrazione, precisione e invettiva. Oltre a
poche chiacchiere.”
Il signor Dywer la guardava con un sorrisetto furbo. No, non si era
sbagliato. La sua prima impressione su Isabella era quella giusta e
l’aveva messa alla prova stuzzicandola.
“dove hai studiato Isabella?”
“ho avuto una borsa di studio per MIT. Mi sono laureata con il
massimo dei voti, ma purtroppo non ho avuto molto successo nel trovare
un lavoro. Non conta quanto sei bravo, se sei una donna che ne sa
più di un uomo.” La sua faccia si tinse di profondo
disgusto per tutte le porte sbattute in faccia.
Non era arrivata a fare la segretaria perché era il massimo a
cui poteva aspirare, proprio no. aveva passato sei mesi a cercare un
posto adatto a lei, ma sembrava che tutte le porte per lei fossero
chiuse.
Quando era stata chiamata alla Guns ‘n Cullen, non poteva
crederci. Era alla canna del gas, le bollette si accumulavano e i
risparmi che si assottigliavano sul suo conto in banca. La delusione
era stata tanta quando aveva scoperto che doveva solo fare da
segretaria a quel damerino.
Intanto posso vivere e imparare qualcosa, si disse.
“ma sei brava...molto brava...” le si avvicinò ma
lei istintivamente fece un passo indietro. In quell’esatto
momento entrò anche il capo degli ingegneri, Roger.
“devo tornare al mio lavoro, se ha bisogno chiami pure
l’interno 005 e le risponderò io. Arrivederci.”
Senza aggiungere altro si diresse di gran carriera, sotto lo sguardo
incuriosito di Roger e quello divertito di Philip, verso gli ascensori.
“che ci faceva qua quella ragazzina impertinente?” sbottò Roger, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“credo che la ragazzina
sia molto più in gamba di voi.” Ribatté Dywer,
tornando al suo lavoro. Nonostante l’età, l’uomo era
ancora arzillo e non si stancava facilmente. Analizzava con un occhio i
progetti, srotolati sul tavolo e tenuti fermi negli angoli opposti da
una tazza di caffè e da una chiave inglese, con l’altro
controllava il rottame, come lo aveva soprannominato.
A mezzogiorno in punto, prese il telefono e compose l’interno
005. Quella mattina aveva stuzzicato Isabella, ora voleva delle
risposte serie e concrete.
“posso invitarla a pranzo?” chiese a bruciapelo quando lei sollevò la cornetta.
“signor Dywer? Le passo subito il signor Cullen.” Ignorando
la domanda rivolta a lei, Isabella stava per schiacciare
l’interno di Edward, quando venne fermata dall’arrivo del
capo alla sua scrivania. “il signor Dywer, capo.” Dal
giorno precedente lo chiamava capo,
solo per sottolineare che se si era ridotta a fare da Babbo Natale, era
solo perché lui era, appunto, il suo capo e che non si doveva
allargare dandole incarichi stravaganti.
Edward prese la cornetta e scambiò due chiacchiere sul
prototipo, poi si voltò verso di lei, che fece finta di non
vedere come la stesse fissando, e diceva solo si o no. Isabella doveva
trattenersi per sibilare cattiverie.
“perfetto, Philip, a questo pomeriggio.” Edward C. chiuse
la conversazione. “scendi pure a pranzo, Philip ti sta
aspettando.” Non le diede il tempo di protestare che
continuò. “è il migliore, sta facendo un gran
lavoro e se vuole pranzare in tua compagnia, tu non ti
rifiuterai.” Intanto dentro di sé se la rideva, Isabella
Swan, il maschiaccio, a pranzo con un uomo così raffinato come
Philip Dywer. Chissà cosa ne sarebbe uscito.
“ha sposato la sua segretaria, lo sapeva? Beh, io non
diventerò la sua amante solo perché le sta salvando il
culo con il consiglio, capo.” Prese il cappotto e la borsa e si
avviò per il corridoio.
“torna pure all’ora che vuoi e sii carina con lui!” le urlò Edward ridendo sotto i baffi.
***
Isabella trovava quella sedia stranamente scomoda. In un
ristorante di lusso, come potevano esserci sedie scomode? Ma
soprattutto come poteva essere scomoda una sedia con anche lo schienale
imbottito e rivestito di un morbido tessuto ecru?
Sotto sotto lo sapeva, la compagnia rendeva scomoda persino la sedia.
Charlie aveva dannatamente ragione...quanto mai non gli aveva dato
ascolto...
Il signor Dywer, invece, appariva rilassato e studiava la ragazza. Si
domandava da dove iniziare con le domande, doveva sapere e non voleva
spaventarla prima di aver avuto le risposte che cercava. Ovviamente
avrebbe dovuto far ricorso a tutta la sua delicatezza, Isabella
sembrava già seduta sulle spine.
Ordinò lui per entrambi, un pranzo leggero ma all’insegna della buona tavola.
“l’hai mai assaggiata?” chiese indicando la
forchetta, il loro antipasto, una Caprese. Lei scosse la testa.
“prendi il pomodoro e la mozzarella insieme, o non ne apprezzerai
appiedo il gusto.”
Il gusto da cinquanta dollari solo
per avere delle fettine perfettamente tagliate e disposte con arte su
un piatto o il gusto di te, vecchio marpione scaduto, che tenti di
sedurmi?
Andando avanti con questi pensieri Isabella non si sarebbe mai
gustata il pranzo e se le sarebbe trovato tutto sullo stomaco nel
pomeriggio. Posò la forchetta e prese un bel respiro.
“posso sapere perché mi ha invitata a pranzo?”
“deve esserci per forza un motivo?” ridacchiò
l’altro, ma vedendo la faccia di Isabella, tornò serio.
“voglio conoscerti meglio e provare a instaurare un...”
“il pranzo finisce qui.” la ragazza si alzò per uscire dal ristorante.
“aspetta!” Philip la trattenne per il gomito, impedendole
di andarsene come avrebbe voluto. “lascia che ti spieghi...”
“perché dovrei?” l’uomo senza rispondere alla
domanda scontrosa, estrasse il portafogli e da esso una foto, un
po’ spiegazzata.
Gliela porse e disse: “è mia figlia, Renèe.”
p.s. dell'autrice: la mia opinione? Capitolo palloso con finale con il botto. la vostra, di opinione?
spero di leggerne tante =)
a presto!! ciao!!
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Capitolo 16 *** Chi è lei? ***
cap 14
Holà! Grazie mille per la splendida risposta al capitolo scorso. spero che anche questo susciti altrettanto interesse.
Posto e vado a rispondere alle recensioni, promesso =)
Buona Lettura!
CAPITOLO 15 – CHI È LEI?
Isabella fissò sconcertata il foglietto teso verso di lei.
“cosa c’entrerebbe sua figlia con me?”
Philip Dywer abbassò il capo, tristemente. “siediti Isabella, per favore.”
Il dolore intriso in quella richiesta spinsero la ragazza a riprendere posto al tavolo.
“mia figlia è morta tanti anni fa.”
Isabella si diede della stupida insensibile, per essere stata
così scontrosa all’inizio non avendo capito il dolore e la
tristezza di quell’uomo tutto d’un pezzo ma schiacciato
dalla mancanza. Charlie non aveva mai tenuto un corso di buone maniere.
“mi dispiace. Eppure continuo a non capire.”
Per tutta risposta l’uomo le tese ancora una volta la fotografia
che lei finalmente prese. La guardò e la riguardò, senza
distogliere lo sguardo da quella bella donna sorridente, seduta su
un’altalena in mezzo a un giardino. Una grande casa coloniale
bianca sullo sfondo. Isabella gliela riconsegnò, capendo quello
che Philip tentava di dirle.
“la somiglianza tra te e Renèe è
impressionante.” Commentò lui. “aveva una figlia,
sai? Si chiamava Isabella.” il cuore della ragazza mancò
un colpo. Il signor Dywer che sempre aveva ammirato, cercava in lei una
sostituta della figlia e forse anche della nipote, visto che parlava di
lei al passato. Non era piacevole essere paragonate a una donna morta.
Isabella cercò di far ricorso a tutta la sua umanità e
delicatezza. “signor Dywer, io non sono sua nipote e non posso
esserlo. Il nostro rapporto è prettamente professionale e la
sfera personale non è contemplabile. Mi dispiace
tantissimo.” Isabella questa volta si alzò decisa a porre
fine a quell’imbarazzante pranzo. “ci vediamo in ufficio,
signore.” si voltò verso l’uscita, ma la voce di
Dywer la fermò.
“immagino che Charles non fosse molto felice di sapere che mi hai
conosciuto, l’altro giorno al telefono.” Isabella rimase
immobile per un secondo, la schiena rivolta all’uomo. Un brivido
la percorse e, dandosi della pazza, riprese a camminare. Il fatto che
Charlie fosse un diminutivo abbastanza comune di Charles non
c’entrava nulla. Suo padre si chiamava da sempre Charlie...
Ma certo! Si diede della stupida per non averci pensato prima! Doveva
esserle sfuggito il nome di suo padre al telefono, mentre cerca di
zittirlo, e Dywer doveva aver confuso il nome.
Con il cuore e la mente più leggera, tornò verso
l’ufficio, fermandosi in un bar per prendere qualcosa da
mangiare. Una caprese non riempie lo stomaco. Anche se i discorsi e le
insinuazioni di Philip Dywer lo avevano ristretto sensibilmente.
***
“Isabella? isabella!” Edward Cullen uscì dal suo
ufficio a passo di carica e le si avvicinò scocciato. Il suo
telefono continuava a suonare, cosa che non sarebbe dovuta succedere.
All’inizio aveva pensato che Isabella non fosse ancora rientrata
dal pranzo con il signor Dywer, implicitamente le aveva dato tutto il
pomeriggio libero, ma quando l’uomo aveva telefonato chiedendo
come mai la ragazza non rispondesse al telefono, visto che era
rientrata in ufficio qualche ora prima, Edward si era allarmato. Era
seduta alla sua scrivania eppure non faceva il suo lavoro?!
Inammissibile!
L’irritazione lasciò il posto alla preoccupazione in
Edward che la vide sotto una luce diversa per la prima volta in mesi.
Lei si era sempre dimostrata forte e combattiva, non lasciava mai
trasparire nessuna emozione. Seria e professionale, si era ricreduto
sul suo conto. Aveva fatto un grande affare ad averla in squadra, anche
se non lo avrebbe mai ammesso con la diretta interessata. Preferiva di
gran lunga stuzzicarla e continuare a testarne i nervi, tanto nessuno
dei due avrebbe ceduto. Edward di sicuro non l’avrebbe licenziata.
Già, normalmente Isabella non si lasciva distrarre da nulla.
Normalmente Edward non avrebbe avuto nulla da rimproverarle, anzi
spesso accadeva che lei rimproverasse lui. E i motivi erano vari.
Invece quella vota, la vedeva cupa, lo sguardo perso nel vuoto e le
mani congiunte in grembo, persa in chissà quali oscuri pensieri.
“Isabella? provò di nuovo a chiamarla. “stai
bene?” la scosse leggermente per ottenere una qualche reazione.
Lei si riscosse e in quel momento il telefono suonò. Rispose
professionale comunicando all’interlocutore che gli avrebbe
passato il suo capo al più presto. Stava per schiacciare il
pulsantino per passare la comunicazione nell’ufficio di Edward,
quando lui prese la conversazione.
“Edward Cullen. Buongiorno. No, ora sono occupato, la richiamo io Roger.”
Isabella lo fissò, non si era accorta della sua presenza alla sua scrivania. Sembrava imbambolata.
“ehi.” Edward le sorrise. La ragazza lo trovò un
gesto strano ma rassicurante, non lo aveva mai visto così
attento nei suoi confronti. Il capo si sedette sulla scrivania,
spostando alcuni documenti. “va tutto bene?”
“si, signore, tutto bene, signore.”
“a me non sembra e nemmeno al mio telefono. Non è da te
farti scappare così tante telefonate. Da quanto sei tornata
dalla pausa pranzo? Credevo che fossi ancora fuori...come è che
sei così...distratta?”
“cosa sa lei di Philip Dywer?” Isabella si lasciò
sfuggire la domanda che la tormentava. Chi era quell’uomo? Cosa
voleva davvero da lei?
Aveva deciso di non pensare a lui mai più, ma anche non volendo
rivedeva la foto di Renèe Dywer davanti agli occhi. anche
perché l’aveva cercata su internet e l’aveva fissata
per un tempo indefinito. Non aveva, però, trovato altre notizie
sulla donna.
“ci ha provato con te?” nessuno dei due rispondeva alle
domande dell’altro, come se stessero portando avanti due discorsi
totalmente diversi. Lei interessata alla vita di un signore anziano,
lui interessato solo al fatto che l’uomo avesse messo gli occhi
sulla sua segretaria.
Ma il silenzio di Isabella non si interrompeva. Edward sospirò.
“credevo sapessi tutto di lui, l’altro giorno ne parlavi
ammirata, per questo ti ho costretta ad andare a pranzo con lui.”
Si, se ne era accorto di quanto la ragazza fosse in gamba e avesse le
conoscenza giuste per poter aspirare a qualcosa di meglio e lui sotto
sotto le aveva voluto offrire una possibilità. Philip Dywer era
in pensione ma era ancora il meglio che si potesse trovare in
circolazione.
“professionalmente so tutto di lui. Intendo che cosa sa della sua vita privata...”
“so poco, in realtà. Ha sposato la sua segretaria, credo
che abbia un debole per la categoria...” Edward sorrise e
pensò che capiva benissimo l’uomo. Se la segretaria di
Dywer avesse avuto solo un decimo del fascino che aveva Isabella...la
quale lo invitò gentilmente con la mano di andare avanti.
“lavorava per un’importante azienda di armi. Circa
venticinque anni fa questa azienda fallì e lui lavorò per
un periodo per mio padre, prima di ritirarsi in Costa Rica a godersi la
pensione. Non so altro.”
Isabella fissò lo schermo del computer. “è quello
che so anche io, a grandi linee. Ma poi salta fuori questa.”
Isabella voltò verso il suo capo lo schermo del computer.
“è la figlia, Renèe Dywer. A lei è
intitolata una fondazione per le famiglie di vittime di crimini
violenti, come rapine in banca o stragi nei campus...”
Edward ricollegò il nome della fondazione a cui avrebbe dovuto
devolvere il compenso per la consulenza di Dywer. Ma ciò che lo
lasciò senza fiato fu la straordinaria somiglianza tra Isabella
e la donna nella foto.
“aveva una figlia di nome Isabella...”
Si mise a ridere, improvvisamente colpito da un pensiero.
“non ci trovo nulla da ridere.” Disse la ragazza, ma
sentì la tensione accumulata sin ora stemperarsi un poco, come
se la risata del capo fosse una buona ed efficace medicina.
“è assurdo.”
“per fortuna lo pensa anche lei!”
“tu non puoi essere imparentata con Philip Dywer.”
“e perché?” ora che il nodo allo stomaco la stava lentamente lasciando poteva concedersi un sorriso tirato.
“i suoi genitori!” rispose lui come se fosse ovvio.
Evidentemente dalla faccia di Isabella, non doveva essere così
semplice. “lei ha due genitori e a meno che non l’abbiano
rapita da piccola –e allora non mi spiego perché non
abbiano chiesto un riscatto, visto che i Dywer erano e sono molto
ricchi...”
“sta divagando.” Lo riprese per portarlo sulla retta via.
“ah, si dicevo. È una semplice coincidenza questa
somiglianza, Isabella. chiami sua madre e suo padre, si faccia dire che
è figlia loro e non di questa fantomatica Renèe.”
concluse indicando lo schermo. Isabella ritornò nello stato
tristemente cupo di poco prima.
“mia madre è morta quando ero piccola e mio padre non parla mai di lei.”
Il sorriso del signor Cullen si scongelò e rimase solo uno
spettro di quello che fu. Rivolse uno sguardo allo schermo e uno alla
sua segretaria.
Chi è lei?
p.s.: rieccomi!! sinceramente sono soddisfatta di questo capitolo.
si intravede qualcosa del
mistero e Edward e Bella iniziano ad avvicinarsi. Nel prossimo capitolo
lo faranno ancora di più =)
fatemi sapere la vostra opinione...naturalmente!
a tra una settimana!!! ciao!! =)
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Capitolo 17 *** Bang, Drin, Toc e Slam ***
cap 16
sono in ritardo, quindi vi lascio al capitolo. leggete le note alla fine per favore =)
buona lettura!! =)
CAPITOLO 16 – BANG, DRIN, TOC E SLAM
Il mistero che avvolgeva la vita di Isabella era un peso che aleggiava nell’ufficio.
Spesso Edward, in quella settimana, l’aveva sorpresa a riguardare
la foto di quella fantomatica Renèe. oppure capitava che si
incantasse e che cadesse dalle nuvole quando la chiamava.
Ma non era solo il suo attualmente scarso rendimento sul lavoro che lo
preoccupava. Aveva sempre quel cipiglio pensieroso e a tratti triste
che lo aveva colpito. Era una persona totalmente differente da quella
che aveva conosciuto nei mesi predenti.
“hai fatto la pratica che ti avevo affidato? Doveva arrivare a
Roger il prima possibile.” Edward le si era avvicinato facendola
saltare sulla sedia. Le si rivolse come sempre, con fermezza e
insinuando che non avesse fatto il suo lavoro. Di solito Isabella, con
disappunto, ribatteva che lei non era una scansafatiche (come lui,
aggiungeva sempre mentalmente).
Questa volta, invece, la ragazza prese a cercare la suddetta pratica
sulla scrivania, senza trovarla. Si chinò addirittura per terra
per cercarla, convinta che fosse caduta. Intanto mormorava scuse su
scuse, se ne era dimenticata.
“Isabella,” il capo la richiamò al di sopra del
tavolo. “non c’è nessuna pratica.” Le sorrise
dolcemente.
“ah no?” era stupita, a che pro farla convincere di essere in errore?
“sei strana da quando sei andata a pranzo con Philip D...”
“lo so da quando, signore.” ecco che un po’ della sua grinta tornava allo scoperto. Essere accusata di essere strana
era peggior di essere creduta inaffidabile? Oppure era il riferimento
all’uomo a farla scattare? “sono giorni un po’
difficili per me. so di non essere al meglio.”
“prenditi qualche giorno di ferie.” Le consigliò Edward non facendo più riferimento a Dywer.
Lei scosse la testa e prese la sua borsa. “se non ha bisogno di
altro, capo, io andrei. È venerdì, inizia il week end e
la settimana prossima, sarà una settimana nuova, giusto?”
Isabella lo guardò fisso negli occhi, come implorandolo di avere
il tanto agognato cambiamento.
“dovresti fare qualcosa.” Edward non resistette dal diglielo.
Isabella apprezzò il tentativo del suo capo, che stranamente in
quei giorni si stava mostrando umano, gli sorrise mesta e si diresse
verso l’ascensore.
***
Bang, bang, bang.
Colpo, colpo, colpo.
Destro, sinistro, destro e infine calcio.
Ecco che stava facendo Isabella quella sera. Stava prendendo a pugni il
sacco da boxe che era riuscita a prendersi il mese precedente,
investendo, a malincuore, parte sostanziosa del suo stipendio. Ma ne
valeva davvero la pena.
Quando la sera si sentiva uno straccio e la voglia di distruggere casa
era troppo forte e il corso di thai boxe non c’era, aveva dovuto
arrangiarsi così per sfogarsi. E le faceva davvero bene.
Suonarono alla sua porta, ma per alcuni minuti ignorò il drin drin del campanello.
Toc toc.
Bussarono, e ancora una volta, lei ignorò l’indesiderato visitatore.
“arrivo!” urlò la ragazza esasperata, togliendosi i
guantoni. La stavano disturbando nel momento peggiore, aveva aperto la
sua valvola di sfogo e di sicuro la rabbia che ne stava uscendo non era
ancora finita. Chiunque fosse, era lì a suo rischio e pericolo.
Già, ma chi era?
Un sorridente E. Cullen si presentò a lei con buste del take
away cinese, quello poco distante dalla sede della compagnia.
L’uomo indossava ancora gli abiti di quel giorno, di sicuro era
passato da lei subito dopo essere uscito dall’ufficio.
“spero che il cinese ti piaccia.” Il suo sorriso era fuori
luogo. Isabella era accaldata, le guance in fiamme, e tutta sudata. Il
completino striminzito da palestra che indossava era di quanto
più possibile lontano dall’abbigliamento che aveva di
solito.
D’istinto la ragazza richiuse la porta in faccia al suo capo. Così, con un semplice ma sonoro slam.
Cullen non era di certo uno che si facesse scoraggiare da così
poco, e quindi bussò di nuovo, con maggior impeto e avrebbe
continuato tutta la notte, se Isabella non gli avesse aperto per la
seconda volta la porta, guardandolo furiosa.
“che vuole?”
“ti ho portato la cena, mi fai entrare?” il suo sorriso da
schiaffi era ancora lì e Isabella intuì che non se ne
sarebbe andato tanto facilmente. Con un gesto spazientito della mano lo
fece accomodare nella sua umile dimora. “mi piace...” disse
Edward guardandosi in giro, ma il riferimento non era solo
all’appartamento. Il suo sguardo cadde anche inevitabilmente su
Isabella.
Lei sbuffò semplicemente, passandosi un asciugamano di spugna
sul collo e sul volto sudati. Non credeva a una sola parola. Dopotutto
l’appartamento aveva visto giorni migliori, in cui non sembrava
che una bomba fosse esplosa la suo interno e sfruttava il fine
settimana per rendere quel luogo ancora vivibile, cosa che purtroppo
non poteva fare spesso.
“che vuole, in realtà?” chiese ancora, scortese e acida.
“come sei scontrosa. Peggio che in ufficio.” Il sorriso non si era sciolto in tutto quell’acido cloridrico.
“esatto, non siamo in ufficio. Questa è casa mia e lei non è il benvenuto.”
“Isabella.” Edward la chiamò, lo sguardo serio e il
sorriso scomparso. “voglio solo cenare con te, ti sembra
così strano?” ed ecco di ritorno il sorriso.
Soffre di personalità multipla, di sicuro. Pensò prima di rispondere: “in effetti si. Mi sembra strano.”
Edward sospirò, alzando gli occhi al cielo. Senza dire nulla,
andò verso la credenza, prese due piatti, due bicchieri e le
posate. Li mise sul tavolo e la invitò a sedersi con lui, il
tutto come se fosse a casa sua, a proprio agio tra quelle mura
domestiche non sue.
La ragazza sciolse le bende alle mani, con lentezza ed estrema cura. Le
ripiegò e le mise con i guantoni sul mobiletto vicino alla
finestra. Prese al sua adorata felpa in pile dalla sedia e finalmente
si accomodò a cena. non voleva di certo sembrare felice per
quell’invasione, cosa che di fatto non era per nulla. Aveva la
strana sensazione di sentirsi estranea nella sua stessa casa.
Sbocconcellò appena gli involtini primavera e le chele di
granchio fritte. Prese anche qualche forchettata di gnocchi con le
verdure saltate.
“mangi poco.” Costatò Edward. Isabella
scrollò le spalle, poca fame, poche parole. “lo so che
Philip Dywe...”
“non lo nomini, neppure.” Sibilò Isabella, mentre il
suo capo ghignava soddisfatto, l’aveva fatta reagire. Posò
la forchetta e riprese a parlare. “è venerdì sera e
non voglio pensare a nulla che non sia il mio letto...”
“ma come signorina Swan!” fece lui fintamente
scandalizzato. “ti offro una cena e già mi vuoi nel tuo
letto?!”
Dopo un attimo di silenzio scoppiarono entrambi a ridere. “sa,
non lo avrei mai detto che il signor E. Cullen fosse capace anche di
battute di spirito.” Lo prese in giro Isabella, sorridendo. forse
alla fine non era poi così dispiaciuta nell’averlo in
casa. anche perché era da tanto che non mangiava cinese.
“non esci di solito il venerdì?”
“oh si! Sono così carica dopo una settimana di lavoro che
vado sempre a ballare e a scatenarmi nella movida newyorkese...”
rispose con un sorrisetto ironico. “no, l’unica persona che
ho conosciuto in questi mesi e la signora O’Connors. Una
vecchietta irlandese molto simpatica nonché mia disponibilissima
dirimpettaia.”
Edward era sbalordito. “nessun amico?”
“e come potrei? Lavoro tutta la settimana, abito in un buco che ogni tanto va pulito e non ho un animo festaiolo.”
“si, Jacob me ne ha accennato.” Sembrerà
incredibile, caro lettore, ma al signor Cullen, questo segreto pesava
non poco sulla coscienza. Voleva dirle da tanto tempo che lo aveva
incontrato, ma che reazione avrebbe avuto lei, a sapere che si era
impicciato nei suoi affari. Studiò di sottecchi la ragazza, la
felpa, leggermente cascante dalle spalle e il volto sereno, niente
faceva presupporre che se la fosse presa.
“lei è un dannato impiccione, ma Jake ha fin troppo la
lingua lunga. E comunque credo di dover ringraziare lei se ha trovato
lavoro a Seattle.” Concluse tra l’ironico e l’ovvio.
Edward questa proprio non se l’aspettava, rimase sorpreso. “lo sapevi?”
“la prego, signor E. Cullen, non mi sottovaluti così
tanto. Si, lo sapevo dal giorno dopo la partenza di Jake. Come le
dicevo, il mio ex ha la lingua lunga.”
“hai affrontato il tuo ex, perché non Dywer? Perché
non vuoi scoprire la verità su di lui e la figlia?”
Scocciata Isabella si alzò. “è venuto per questo,
allora?” si diresse al frigorifero e prese dell’acqua
fresca. “per farsi un’altra volta gli affari miei? È
davvero un ficcanaso!”
“ma ti ha sconvolto!”
“ovvio! Ho visto tutta la mia vita sotto un’altra luce. Ha
presente cosa vorrebbe dire se ci fosse un fondo di verità in
tutto ciò? Vorrebbe dire cancellare ciò che sono e
rimettermi in discussione, guardare il mio passato, mio padre, tutto in
modo...”
“e allora preferisci non fare nulla?” Edward si stava
arrabbiando per l’atteggiamento della sua segretaria. Si stava
arrendendo, inammissibile! No, lei non poteva farlo...
“io so chi sono signor Cullen.” Rispose lei addolcendo il
tono e abbassando la voce. “sono la ragazza di provincia che non
ama i balli di fine anno e che passa il venerdì sera a prendere
a pugni un sacco da boxe. E tanto mi basta.”
Edward si prese un attimo per riflettere. “ho capito. Scoprire la verità non cambia chi sei, Isabella.”
“cambia chi sono stata. E indirettamente cambia chi sono.”
Ribatté. “le va un po’ di gelato?” propose,
come offerta di pace. Mentre ne assaporavano il gusto freddo e dolce,
ripensarono entrambi alle parole dell’altro.
Scoprire la verità si o no?
Cambiare si o no?
“cosa proporrebbe? Perché conoscendola non è venuto
qui senza un piano in mente. Lei non fa nulla per caso.” Isabella
si era decisa quanto meno ad ascoltare quanto aveva da dire, poi
avrebbe deciso in un senso o nell’altro. Edward estrasse dalla
tasca un biglietto da visita.
C’era scritto J. Jenks, investigatore privato.
Lei lo prese e lo accartocciò davanti agli occhi
sconvolti di Edward. “non posso permettermelo. Fine della
questione.” Si alzò per buttare il foglietto nella
spazzatura.
“aspetta. L’ho contattato questo pomeriggio. È un
professionista serio e affidabile, di sicuro scoprirà
qualcosa...”
“non posso permettermelo!” ripeté Isabella, il suo
conto in banca era sempre vicinissimo al colore rosso, non aveva
centinaia di dollari da spendere in investigatori privati.
“di questo non devi preoccuparti, lo pago io. Non ti avrei mai fatto pagare, anche se avessi potuto.”
“gentile a venire qui e a sottolineare quanto sia povera.”
Acidità 1 - Scortesia 1
Il suo capo la raggiunse e le prese le mani tra le sue, così
d’istinto. Isabella non se lo aspettava di certo e colta ala
sprovvista, non le ritirò. Era un gesto così intimo!
Nulla del genere era mai successo nella sua vita!
“per favore.” la stava implorando di lasciargli indagare e
sguazzare a suo piacimento nella sua vita privata? Isabella tolse le
mani di scatto.
“lei è un ficcanaso! Un presuntuoso curiosone indiscreto!
Un impiccione!” gli urlò in faccia, trattenendosi dal dire
di peggio. “ma va bene, faccia come vuole, tanto lo farebbe lo
stesso, anche senza il mio consenso. Qualsiasi cosa scopra, io non la
voglio sapere!”
La serata si concluse così, con le dolci urla di Isabella che
anche la gentile signora O’Connors sentì.
L’irlandese gioì nel suo animo, finalmente un po’ di
vita in quell’appartamento e un uomo all’orizzonte nella
vita della ragazza.
***
Erano passate quasi due settimane da quel venerdì sera. Edward
Cullen non si era perso d’animo e aveva incaricato
l’investigatore privato. e finalmente era arrivato il giorno per
sentire cosa avesse da riferire. Avrebbe portato a quell’incontro
anche Isabella, con l’inganno, se necessario.
Era già seduto al tavolino del bar dove aspettava il signor J.
Jenks, sorseggiando un caffè, quando mandò un messaggio
alla sua segretaria, aveva bisogno del suo aiuto per un colloquio di
lavoro. Ripose il suo cellulare proprio mentre una figura si presentava
al suo tavolo, era J. Jenks.
L’investigatore privato aveva iniziato a raccontare del suo
lavoro a Edward, ma per entrare nel merito della questione avevano
preferito attendere l’arrivo di Isabella, la quale arrivò
quasi mezz’ora dopo, trafelata, con il cappotto slacciato e la
sciarpa tra le mani. Si sedette vicino al suo capo, e ascoltò le
presentazioni in silenzio. Poi riprese il cappotto e la borsa, per
andarsene, ma Edward la trattenne, convincendola almeno ad ascoltare
quanto l’uomo avesse da dire.
“ho fatto qualche domanda qua e là a Forks...” J. Jenks iniziò a parlare.
“ma è del tutto impazzito?” Isabella lo
aggredì senza trattenersi, interrompendolo all’istante.
“lei ha fatto qualche domanda a Forks? Dove tutti conoscono me e
mio padre?” si volse verso il suo capo e gli disse, senza curarsi
dell’altro. “e questo sarebbe il meglio?”
“Isabella non puoi sapere che ha scoperto...” tentò di difenderlo lui.
“glielo dico io cosa ha scoperto. E non c’era bisogno di
pagarlo tanto. Forks è un paesino da mille anime o poco
più. Tutti conoscono mio padre e lo stimano. Alle domande
indiscrete, i forksiani si saranno chiusi a riccio. Occhiatacce
sospette e poi il silenzio. E infine una sera, il nostro caro
investigatore sarà andato a bersi una birra all’unico bar
del paese per ascoltare i pettegolezzi su Charlie Swan e la sua figlia
scapestrata.”
Non riprese nemmeno fiato e non lasciò che l’uomo
prendesse la parola. Lo zittì con un’occhiataccia e
continuò. “e così mio padre arriva, avvertito
sicuramente da Quil, il barista, e affronta questo buono a nulla e gli
dice di non impicciarsi di affari di famiglia che non lo
riguardano.” Isabella concluse, le guance rosse e il fiato corto.
Era davvero fuori di sé.
Edward le porse il suo caffè, da cui lei bevve un infuocato sorso, scottandosi la lingua.
Sospirò e si rivolse a Jenks. “ho forse sbagliato?”
L’uomo mortificato scosse il capo.
“e lei sarebbe un buon investigatore privato? ha sbagliato tutto
con mio padre, lo ha sottovalutato ma soprattutto non conosce la
realtà di provincia. Lei lo sa che cosa vuol dire, non poter
muovere un dito, senza che il proprio padre lo sapesse? O venire
ripresa dalla signora Gordon, la moglie del pastore, perché non
andavo a messa, preferendo i boschi ai sermoni del marito?”
“e ovviamente tuo padre lo sapeva.” Concluse Edward con un sorrisetto.
“secondo lei chi mi portava nei boschi?” anche Isabella
rise, ricordando i bei tempi andati. Edward si ordinò un altro
caffè, visto che il suo era ancora nelle mani della ragazza.
“abbiamo solo fatto scattare l’allarme di Charlie. È
capace di piombare qui da un momento all’altro...anzi, strano che
non mi abbia ancora chiamata...”
Isabella non sapeva ancora che non si era del tutto sbagliata...
p.s. dell'autrice: piccole spiegazioni...
motivi del ritardo: ho avuto
una settimana pesantissima, non riuscivo a scrivere per più di
cinque minuti consecutivi e ho dovuto anche valutare delle strorie per
un contest. ora quest'ultimo è finito, i risultati sono sul forum e
io sono molto soddisfatta di come si sia svolto e della bella
esperienza. vi invito a leggere le ff partecipanti non appena saranno
on line (alcune lo sono già, credo).
il secondo e non meno banale
motivo è legato al capitolo stesso. difficile da scrivere e
molto ma molto più lungo del previsto. ci stiamo avvicinando
alla soluzione del mistero...
il titolo del capitolo è
legato alle onomatopee inserite nel capitolo. sono legate tutte
all'incontro tra Edward e Bella a casa di lei. perchè?
perchè mi sembrava un titolo carino e per mettere l'accento su
quello che è successo in quella casa...il loro percorso di
avvicinamento sta andando avanti =)
risponderò alle vostre magnifiche recensioni che mi danno sempre una carica enorme, entro sera =)
fatami sapere che ne pensate di questo capitolo =) grazie a tutti =)
Scie Luminose, originale, romantico
Lucciole, originale, romantico
Incontri di fumo, originale, generale
Io, a Beverly Hills, Twilight
Io e te, a Beverly Hills, Twilight
My Killer Angel, Twilight
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Capitolo 18 *** Giorno x, ora x ***
cap 17
eccomi di nuovo, puntuale al venerdì! gioitene =) ah ah ah =)
bando alle ciance, BUONA LETTURA =)
CAPITOLO 17 – GIORNO X, ORA X
Giorno x, ora x. Edward si annoiava, mancavano pochi giorni alle feste
di Natale e nessuno aveva voglia di lavorare. Tutti erano più
interessati ai regali, alla prossima vacanza, alle decorazioni per la
casa. e non poteva nemmeno parlare con la sua segretaria di J. Jenks.
Non le avrebbe di certo fatto piacere, ma prima o poi avrebbero dovuto
affrontare l’argomento. Quella mattina il problema non si poneva,
Isabella era fuori per commissioni urgenti. Anche se i loro rapporti
erano migliorati, l’incidente dell’investigatore privato
bruciava ancora ad entrambi. Si, avrebbero dovuto chiarire al
più presto. A lui rodeva che chi avesse scelto per un compito
tanto delicato si fosse rivelato un completo incompetente, mentre a
lei...beh, Isabella qualche speranza l’aveva riposta in quella
piccola indagine. Speranza ampiamente delusa.
In quel giorno x, in quell’ora x, tuttavia, Edward sapeva di aver
fatto la cosa giusta. Era giusto che lei sapesse come stavano davvero
le cose. Avrebbe affrontato la questione con serietà e ne
sarebbe uscita più forte. Lui ne era convinto.
Giorno x, ora x. Edward sorseggiava un caffè amaro e decideva
quando partire per andare da sua sorella, forse avrebbe sentito anche i
suoi genitori, per mettersi d’accordo. Era rilassato, ma presto
non lo sarebbe stato più.
Quel giorno x, quell’ora x, se li sarebbe ricordati per tanto tempo.
***
Giorno x, ora x. Le strade di New York erano affollate di gente con grandi pacchetti in mano.
Giorno x, ora x. Isabella si aggirava per le vie, una valigetta in una
mano, un caffè caldo nell’altra, per scaldarsi. Aveva
avuto l’incarico di portare alcuni documenti al Comune.
Non sia mai che manchi qualche
autorizzazione indispensabile! Se vogliono costruire un nuovo
padiglione nella zona industriale, serve qualche firma importante e
qualche incentivo sonante qua e là. E tante grazie, la responsabilità ricadeva sulle sue spalle.
Giorno x, ora x. Tutte le strade sembravano uguali a Isabella. Non
trovava quello spirito di festa che invadeva le narici altrui. Tutti i
volti che incontrava, in quel pomeriggio in cui la fioca luce diurna
era ulteriormente attenuata dalle nuvole scure, erano sorridenti.
Beati loro...
Non le davano sui nervi, non si sentiva sola, solo un po’
asociale, visto che non riusciva a condividere la gioia che aleggiava
nell’aria che sapeva di neve.
È lo spirito del Natale,
pensò. Già quello spirito che in quel giorno x, in
quell’ora x mancava a lei. Non che lo avesse mai sentito
particolarmente, ma essere lontano da casa, con quel peso sullo
stomaco, lo annullava del tutto. Se continuava così nella
prossima Vigilia sarebbero arrivati gli Spiriti del Natale che fecero
visita al vecchio Scrooge.
Giorno x, ora x. Si rituffò nella folla, dopo aver parlato con
la segretaria del sindaco, si era fatta due chiacchiere e un paio di
risate, tutto nella norma. Se non mostrava il suo lato aggressivo,
sapeva essere anche simpatica. Peccato che non si sentiva proprio se
stessa e a suo agio in quelle vesti. I documenti, consegnati, approvati
in tempi record, erano stati rimessi nella valigetta.
Giorno x, ora x. Nelle strade newyorkesi illuminate a festa tutti si
affrettavano in cerca dei regali mancanti. Il regalo per Charlie?
Doveva farglielo e poi spedirglielo? Aveva visto su un catalogo una
canna da pesca che sarebbe potuta piacere a suo padre, l’uomo pesce.
Forse se la sarebbe cavata così, senza essere costretta a
chiamare a casa per fare gli auguri, un regalo e un bigliettino erano
meno costosi...e impegnativi per il cuore. Ah no. Di andare a casa non
se ne parlava proprio. Il gelo che sentiva dentro di sé, non si
era ancora sciolto, anche se era tornata al lavoro con la solita grinta
che era parte di lei.
Giorno x, ora x. Ecco che i pensieri tornavano come sempre
all’incontro con quell’imbranato di investigatore. Aveva
promesso di far un altro tentativo negli archivi statali, forse avrebbe
trovato qualche certificato utile...forse il suo di nascita completo,
con il nome della madre, forse il certificato di matrimonio dei suoi
genitori. Lei non aveva molte speranze, però, non gli sembrava
una grande idea...
E dulcis in fundo ecco che arrivò in quel pomeriggio di un
giorno x, a quell’ora x, la telefonata della persona che non
avrebbe voluto sentire prima del tempo. E. Cullen.
“non è ancora tornata??”
“no.” rispose secca mentre pensava: non sono io quella a dover tornare, ma il tuo cervello dalle Hawaii. Un investigatore, uff...
Non gliel’aveva ancora perdonata, era un conto in sospeso tra
loro due. Se Charlie fosse comparso all’improvviso, da un momento
all’altro, gliel’avrebbe fatta pagare.
“sono quasi sotto il palaz-“
“si, si ho capito, si sbrighi!” come era insopportabile,
prima la mandava dall’altra parte della città e poi le
faceva fretta perché rientrasse. E le sbatteva pure il telefono
in faccia! Maleducato! Tuttavia Isabella aveva notato una certa ansia
nella sua voce, una sorta di incredulità e di nervosismo.
***
Che era successo nell’ufficio durante l0assenza di Isabella?
credo che quanto leggerai, lettore, sarà sufficiente a spiegare
l’impazienza di E. Cullen.
“papà!”
“Carlisle!” esclamarono insieme i due uomini.
Di male in peggio. Prima era
arrivato il padre di Isabella a sorpresa, poi il suo di padre, sempre a
sorpresa. Si erano messi d’accordo per una simpatica
visita non annunciata ai figli? Edward voleva mettersi le mani nei
capelli e strapparseli tutti. Aveva sperato in una conclusione
tranquilla di quell’anno. Brindisi, canapè, regali, la
piccola festicciola organizzata negli uffici a cui aveva promesso di
fare un salto. E invece ora, il signor Swan e Carlisle Cullen si
abbracciavano come amici di vecchia data, ignorandolo completamente,
come se non ci fosse nemmeno lui, lì con loro.
“come stai Charles? E la piccola?”
“si tira avanti e la piccola...beh non è più tanto
piccola...” ridacchiarono insieme, con quella risata roca e
grossa. Charlie tirò fuori un sigaro e lo accese.
“non si potrebbe...” la voce di Edward era resa sottile
sottile dalla presenza del padre, sembrava quella di uno scolaretto.
Beh, caro lettore, Edward in quel momento si sentiva un bambino, come
sempre di fronte a suo padre. Dopotutto Carlisle Cullen,
l’inarrivabile Carlisle Cullen, era sempre stato il suo mito.
Aveva costruito un immenso impero finanziario dal nulla e il figlio
doveva solo accontentarsi
di amministrarlo. Per quante novità o successi Edward avesse
riportato, sarebbero stati sempre di gran lunga inferiori a quelli del
padre.
“andiamo in ufficio, così mi racconti tutto.” Cullen
senior condusse in ufficio quello che sembrave l’amico di una
vita, lasciando Edward alla scrivania di Isabella, chiedendosi se il
mondo avesse attraversato qualche dimensione extratemporale o se fosse
caduto un meteorite cambiando gli equilibri.
E così senza una parola in più ma solo l’odore di
sigaro nell’aria, i due presero possesso dell’ufficio, con
sommo scoramento di Edward. avrebbe voluto sentire...origliare era poco
elegante? Prima però chiamò Isabella, doveva arrivare al
più presto. Lui già faceva fatica a gestire suo padre,
figuriamoci anche quello di qualcun altro!
Si mise dietro la porta, l’orecchio ben teso a captare qualche
suono, ma oltre a rumore di sedie spostate e di bicchieri che
tintinnavano si udiva ben poco.
Dei discorsi seri appena iniziati nell’ufficio, non avrebbe potuto che sentire un indistinto mormorio.
“allora Charles, che posso fare per te?”
“Carlisle, ho paura di aver sottovalutato la mia bambina.”
Allo sguardo interrogativo dell’altro si spiegò meglio.
“prima la passione per armi da fuoco” chiuse gli occhi e
sembrò rabbrividire al solo pensiero di sua figlia con una
pistola in mano, “poi il MIT...le ho lasciato fare tutto,
contando sul fatto che prima o poi le sarebbero passati tutti i grilli
che aveva in testa. Ho cercato di essere un buon padre per lei e invece
è diventata un maschiaccio. Ho fatto tutto quello che potevo
essendo solo. Quando inizio a sperare che le cose per lei qui a New
York possano andare bene, vengo a sapere dove lavora. Questo non me lo
dovevi fare, non erano questi gli accordi.” Agitò il
sigaro in aria, dispiaciuto e alterato.
“ho pagato la sua università, come stabilito e le ho trovato un lavoro...”
“Carlisle! Dannazione! Non dovevi trovarglielo qui, in questo
stesso palazzo! Avevi promesso che sarebbe stato in un’azienda
secondaria, in un altro settore, non alla Guns!” ora si che
l’uomo si stava arrabbiando. Si alzò in piedi e si diresse
verso la vetrata, il sigaro all’angolo della bocca.
“Charlie, non avevo idea!” esclamò il signor Cullen
sorpreso. “ho lasciato la pratica in mano alla mia
segretaria...”
“lavora in questo ufficio, a quella scrivania. Fa la segretaria
per tuo figlio...” il tono di Charlie era amareggiato, si sentiva
tradito dal suo amico. Aveva riposto in lui la sua fiducia e la vedeva
calpestata. Proprio a lui che si considerava un uomo d’onore!
E così Carlisle capì, ricollegò tutti i tasselli.
Quando il curriculum di Isabella Marie Swan era arrivato nel suo
ufficio, inviato dal padre premuroso secondo gli accordi, lui aveva
girato la pratica a Vanessa dicendole di trovarle un posto. Era stato
prima dell’estate, un periodo massacrante e pieno di grane, lui
proprio non aveva avuto il tempo di occuparsene, anche se avrebbe tanto
voluto. Aveva una promessa da mantenere e un amico a cui doveva
un favore. un enorme favore.
La segretaria doveva aver pensato che Isabella sarebbe andata bene come
segretaria per Edward. Dopotutto, Carlisle gli aveva tolto la sua
ultima collaboratrice, lei, per portarla a Seattle, nella nuova sede
appena aperta.
“oh.” Esclamò Carlisle. “Qualche settimana fa,
Edward mi ha chiesto il suo aiuto...era indietro con un progetto
e...”
“si, ha conosciuto Philip. Non so che le abbia detto quel pezzo
di merda, ma alla fine è arrivato un investigatore privato da
New York a fare domande indiscrete su me e la mia piccina...”
Cullen senior raggiunse l’amico alla vetrata e insieme videro i primi fiocchi di neve scendere sulla città.
“forse è giunto il momento di dirle la verità,
Charlie. Non puoi continuare a tenerla allo scuro di tutto. È
cresciuta, non è più una bambina...”
“lei è la mia bambina!” urlò l’altro
rubicondo! Il sigaro gli cadette dalla mani, tanta era stata la
veemenza delle parole. il silenzio che seguì, fu interrotto da
una voce femminile.
“io non sono più una bambina, Charlie.” Isabella era
rientrata dalle sue commissioni, trovando Edward Cullen con un orecchio
posato su un bicchiere di vetro, intento a cercare di capire al
conversazione che si svolgeva nel suo ufficio. Era davvero buffo, aveva
pensato. Il volto concentrato, una ruga che solcava la fronte, la
lingua che spuntava dalle labbra...si era quasi messa a ridere.
Quando aveva saputo che i loro padri stavano parlando, forse di lei,
anzi di sicuro di lei, nell’ufficio principale, non ci aveva
pensato due volte, a spalancare la porta e ad entrare.
“non sono una bambina Charlie.” Ripeté. “non trattarmi come tale.”
Carlisle Cullen la osservava curioso. “la piccola Isabella...” mormorò.
Alle spalle della ragazza si affacciò anche Edward, incapace,
come al solito, di trattenere la sua curiosità al di fuori di
questioni che non lo riguardavano.
“vi spiacerebbe spiegare anche a noi che sta succedendo? Papà, come fai a conoscere Isabella?”
“non sono affari tuoi, ragazzo. E stai lontano da lei.”
Charlie, recuperato il sigaro e masticatolo con ferocia, era davvero
minaccioso. Isabella per tutta risposta sbuffò, mentre Edward in
qualche modo sortì l’effetto della minaccia. “ho
prenotato due posti sul volo per Seattle che parte tra un paio
d’ore, signorina. Preparati, il resto ce lo faremo spedire.”
Il volto di Isabella passò in un nanosecondo
dall’incredulità alla rabbia. Come si permetteva suo padre
di venire nel suo posto di lavoro e trascinarla a casa, come se fosse
stata davvero una bambina indisciplinata?
“te l’ho già detto un milione di volte, papà,
resta fuori dalla mia vita.” detto ciò si rivolse al suo
capo. “tra qualche giorno iniziano le vacanze. Mi prenderei il
resto della giornata libera e da domani sarò in ferie, se lei
è d’accordo.” Non appena Edward annuì lei
sparì dalla loro vista, fulminea.
“Isabella!” il signor Swan si era lanciato al suo
inseguimento, ma aveva trovato Edward Cullen a sbarragli la strada.
In quel giorno x, in quell’ora x, il mondo di Isabella aveva ricevuto un primo scossone. Ma la terra, era destinata a tremare ancora, in un altro giorno x, in un’altra ora x.
p.s. dell'autrice:
allora? che ne pensate? ve lo avevo detto che qualcosa avrebbe iniziato
ad intrevadersi. che nasconde davvero Charlie? forse è un
pallosetto come capitolo, ma meglio certe cose non riuscivo a dirle =)
se ci sono errori di battiura, segnalateli pure, ho avuto poco tempo per rivedere il tutto, scusate.
credo che ringraziarvi per la
risposta positiva alla storia e per le recensioni sempre magnifiche,
sia ben poca cosa. ma lo farò lo stesso =) GRAZIE A TUTTI!
vi ricordo le altre mie storie (se avete voglia e tempo, sono sempre lì =))
Scie Luminose, originale, romantico
Lucciole, originale, romantico
Incontri di fumo, originale, generale
Io, a Beverly Hills, Twilight
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Capitolo 19 *** Neve e fuoco ***
cap18
ecco il nuovo capitolo. buona lettura.
CAPITOLO 18 – NEVE E FUOCO
Se la neve cade, imbianca tutto. Gli alberi, le strade, i tetti dei palazzi.
Quel giorno a New York aveva iniziato a nevicare ma la vera tempesta era nel cuore di Isabella.
Si aggirava come una animale in gabbia per il suo appartamento. Charlie
era in città e lei lo conosceva bene, non si sarebbe arreso
finchè non fosse riuscito a riportarla a casa con lui. Aveva
già tentato con Jacob di convincerla a tornare a Forks. Eppure
lei sentiva che quella non era più la sua vita. Aveva trovato
una certa stabilità economica nella nuova città e il
lavoro le piaceva e il suo capo pure...
Alt! Urlò nella sua testa, prendendosi le tempie tra le mani. Che stava pensando? Al suo capo? No, no, no!
Concentrazione. Serviva concentrazione. I suoi pensieri erano peggio di
una matassa aggrovigliata. Prendeva un filo, lo tirava, si formava
inevitabilmente un nodo che le faceva aumentare il mal di testa. Non
riusciva proprio a ragionare in quella situazione. La sua testa
sembrava una bomba in procinto di scoppiare, sentiva pure il tic tac del timer...
Non chiedeva molto, in fondo. Voleva solo un po’ di chiarezza e una soluzione veloce ed indolore. Semplice, no?
E poi perché si trovava in quella situazione? Di solito non si
faceva scrupoli a prendere la vita di petto. Lei i problemi non li
affrontava, li spaventava e li faceva scappare a gambe levate. Ma
quello era troppo anche per il suo amino forte. Il segreto che suo
padre costruiva così gelosamente la stava schiacciando
perché la prospettiva di mettere in discussione la sua intera
esistenza non la esaltava...anzi no. La terrorizzava proprio.
Continuò a misurare a grandi falcate il poco spazio tra la
cucina e il bagno, avanti e indietro, aventi e indietro, otto passi in
tutto. Instancabile, falcata dopo falcata.
Di nuovo cercò di far entrare una luce nel buio dentro di
sé. La soluzione migliore non era forse affrontare suo padre?
Chiedere informazioni su sua madre e Philip Dywer, esigere spiegazioni
sul suo assurdo comportamento...
“no no! è tutto sbagliato!” la disperazione si
faceva largo in lei e le gelava il cuore, proprio come un’ondata
imprevista di neve che ti coglieva impreparata in mezzo alla strada,
raffreddandoti e congelandoti le mani non riparare da guanti.
Ecco! Guanti! La sarebbero serviti per ripararsi, per tutelarsi da tutto quel trambusto.
Se lei provava freddo, di sicuro Charlie era sul piede di guerra e
stava mettendo a ferro e fuoco la città per cercarla, oltre
all’ufficio del suo capo per avere il suo indirizzo. Era
decisamente un tipo...infuocato. Si infervorava con poco e nulla lo
faceva andare in escandescenza come sua figlia. Si, era fuoco puro. E
si sa che il fuoco scioglie la neve.
Con questo ragionamento complesso e che, sinceramente lettore io non
capisco del tutto, Isabella si convinse che doveva fuggire. Prima
avrebbe dovuto far sciogliere piano piano la neve dentro di sé,
scaldandosi lentamente. Un fuoco troppo intenso l’avrebbe solo
ferita e ustionata. Si, doveva provvedere a trovarsi una bella corazza
ignifuga.
“ma si! In questo stato non combinerei nulla di buono e
fallirei!” si disse per auto convincersi mentre riesumava dalla
montagna di carte poste sotto il tavolino del telefono un depliant. Era
della spa di Alice Cullen. La donna, poco prima che lei tornasse a New
York, le aveva dato i suoi contatti, in caso di bisogno. Forse
l’altra parlava di bisogno
con suo fratello, nel caso fosse ammattita per stare dietro a quel
damerino, ma quella le sembrò l’occasione perfetta per
approfittare dell’offerta.
Fuggire era da vili, essere in debito con una Cullen le provocava un
nodo allo stomaco, come se un filo della matassa avesse preso la strada
del suo esofago.
Già era in debito con un altro Cullen. Il suo capo aveva
trattenuto suo padre, impedendogli di seguirla, un gesto davvero
premuroso che probabilmente lo aveva messo nei guai con il gran capo
Carlisle. Gesto che lei avrebbe dovuto ripagare a vita per sentirsi a
posto con la coscienza.
Il suo orgoglio venne schiacciato ancora di più. Edward Cullen
l’aveva aiutata a scappare da suo padre, quando lei era stata
troppo scossa o troppo codarda...
La brochure la chiamava a gran voce dal letto su cui l’aveva
aperta, il numero personale di Alice scritto a penna in un angolo.
Mentre le sembrava di impazzire del tutto, dilaniata dalle
possibilità, bussarono alla sua porta. Si immobilizzò in
mezzo alla stanza, il cuore che rischiava di saltarle fuori dalla cassa
toracica. Era già lì Charlie? Non era ancora pronta,
aveva fatto in fretta...magari era stato lo stesso Edward a dirgli dove
vivesse.
Bastardo traditore! Prima l’aiuta e poi la pugnala alle spalle. Imperdonabile anche se era stato costretto da suo padre...
“Isabella apri!” era lui, era Edward che bussava alla sua
porta, insistente come qualche giorno prima. Decisamente da condannare,
anche solo per disturbo della sua quiete. “sono solo e so che sei
lì!” lui attese qualche secondo e poi scaricò un
altro pugno sulla porta. “La signora O’Connors ti ha vista
rientrare, quindi apri, dannazione!”
Attese un segno di vita dall'altro lato del legno ma non ricevendone continuò.
“Sono solo, te lo giuro. I nostri genitori sono rimasti in
sede...” Concluse, la voce che piano piano scemò.
“ho chiesto ad Angela e a Eleazar di ritardare il più
possibile la ricerca del tuo indirizzo.” Stava perdendo la
speranza che Isabella gli aprisse la porta che invece si socchiuse. Il
catenaccio era teso nello stretto spazio d’apertura, il volto
della ragazza sbucava dalla fessura. Lei guardò a destra e a
sinistra, sincerandosi della lealtà del suo capo, poi lo fece
entrare.
Lui, senza attende un attimo o perdersi in chiacchiere, aprì
l’armadio e i cassetti e ne estrasse tutto il contenuto.
“è impazzito? Ma che fa?” Isabella tentava invano di
fermarlo. Ci mancava solo un altro schizzato in
quell’appartamento, bastava lei che ripeteva all’infinito
gli otto passi tra il bagno e la cucina. Tentò anche di
scostarlo dal suo intento, invano. “signor Cullen!”
urlò facendolo finalmente desistere dal disordinarle la stanza.
“che c’è?” si rialzò con il viso rosso
e stravolto dalla rabbia. “mi fai finire? Dobbiamo andarcene il
prima possibile!”
“andarcene? Lei dove va?” chiese stupita e un po’ ingenuamente la ragazza.
“Pensavi di farti un giretto da mia sorella?” Edward
riprese un attimo la calma e quasi ridacchiando prese dal letto
l’opuscolo della spa. “non te lo consiglio, è una
spia eccellente se ha una contropartita adeguata.”
“sono affari miei!” disse lei, strappandogli
l’opuscolo di mano. Di certo erano una bella coppia di scimmie
urlatrici e rabbiose. Isabella attese un secondo per calmarsi e
riprese.“ho...ho bisogno...” trasse un profondo respiro.
“vede? Ho bisogno di respirare e reprimere al rabbia. Se affrontassi ora mio padre ora...”
“sarebbe un completo disastro?” concluse per lei Edward,
ricevendo un segno d’assenso. Il suo sorriso si fece sincero e si
allargò. “bene. Allora è deciso, si parte!”
***
Isabella trasse dal bagagliaio il suo zaino. Non era sicura di che ore
fossero, né di quanto confini avessero attraversato. Aveva
cercato di restare sveglia, ma appena dopo aver lasciato lo stato di
New York aveva ceduto al sonno che prepotentemente bussava alla porta
della sua coscienza.
Tutto sommato non era andata così male come credeva. Certo, il
primo momento era stato imbarazzante, si sentiva un’adolescente
in fuga d’amore. Peccato che l’amore non avesse spazio per
attecchire nel suo cuore innevato.
“perché fa tutto questo?” gli aveva domandato, senza riuscire a trattenere la curiosità.
“te lo dico solo se mi dai del tu.”
Isabella rimase zitta fino
all’autogrill dove si fermarono per sgranchirsi le ossa e mettere
qualcosa nello stomaco, oltre che approfittare del bagno. Si
zittì per principio, non per altro. A lei non cambiava molto
chiamarlo Edward o signor Cullen o damerino, ma odiava essere messa
alle strette. Già non sapeva come comportarsi con lui al di
fuori dell’ufficio, e lui ci metteva del suo per complicare tutto.
“ok.” Sbottò non
appena ripartirono dopo la sosta. “capo. Perché fai tutto
questo? Nessuno ti costringe a..a...” agitò le mani
indicando la strada scura davanti a sé.
“a fuggire con te?” ancora una volta, lui le venne in soccorso concludendo la sua frase.
“esatto!”
“hai mai pensato che mi potesse far piacere aiutarti?”
Lei scosse la testa. “hai fatto
di tutto per farmi ammattire al lavoro. Mi hai preso in giro davanti a
tutti e mi reputi una stupida inetta...” lo accusò, senza
risparmiarsi nulla. Dopotutto non avrebbe mai potuto lasciarla sul
ciglio della strada. E tanto meno non era abituata a tenere a freno la
lingua.
“il lavoro è lavoro,
signorina Swan. Devi essere sempre pronta e preparata, in ogni
evenienza. Ho testato le tue capacità per vedere fin dove
potesse spingerti...” lei gli riservò un’occhiata
scettica.” Ok, ok, un po’ mi sono divertito a
torturarti.” Ammise infine lui con un sorriso. “ma ne sono
estremamente soddisfatto, sei la migliore collaboratrice che abbia mai
avuto.”
“cosa è cambiato
adesso?” Isabella sperò con tutta se stessa che non la
vedesse come una fanciulla in difficoltà. Era l’ultima
cosa di cui aveva bisogno, un damerino che si credeva un cavaliere
senza macchia né paura.
Edward tolse un attimo la mano dal
volante per ravvivarsi i capelli, già di per sé
scompigliati. Isabella, avendolo osservato a lungo, sapeva che era un
segno di nervosismo.
“hai subito un colpo enorme
oggi e forse ne arriveranno altri. Ho capito solo ora quello che volevi
dire l’altra sera e hai bisogno di staccare un attimo così
come ne ho bisogno io. Anche se in misura minore è successo
anche a me, credevo di conoscere tutto di mio padre e invece...beh per
esempio, scopro che è molto amico del tuo e ci sono tante altre
cosette poco chiare...basta come spiegazione?” lei non era per
nulla convinta ma lasciò cadere il discorso. Non si era
professato cavaliere in suo aiuto ma ci era andato vicino.
Senza accorgersene si era addormentata.
Edward l’aveva svegliata solo
al loro arrivo nel Vermont, porgendole un bicchiere di caffè
caldo e con un goccio di latte, come piaceva a lei. Isabella se ne
stupì, poche volte aveva preso il caffè con lui nella
stessa stanza, voleva dire che l’aveva osservata più di
quanto credesse.
E ora stava per entrare nello chalet di proprietà del suo capo.
Le aveva assicurato che nessuno della sua famiglia conosceva quel posto
che quindi era sicuro al cento per cento che non sarebbero stati
trovati per i giorni a venire.
“che spettacolo indecente.” Borbottò tra sé e
sé la ragazza, guardando il suo riflesso nel vetro della porta.
I capelli erano in completo disordine, la felpa chiara che indossava
era tutta spiegazzata e il volto recava i segni dello scomodo
sonnellino, con quelle occhiaie enormi. Il freddo dell’aria
invernale, invece, le stava facendo arrossare le guancie. “sono
perfetta per Halloween. Peccato che sia stato il mese scorso.” Il
suo umore era proprio pessimo e il mal di schiena per essere stata
raggomitolata sul sedile per tutto il viaggio lo migliorava di certo.
Si era quasi, e dico quasi,
dimenticata del suo compagno d’avventura, quando dalla stanza
principale dello chalet sentì provenire delle urla e dei colpi
di tosse. Aprì la porta e si ritrovò avvolta da un denso
fumo scuro che inevitabilmente la fece tossire.
“che sta facendo?” chiese quando era ancora sulla soglia
tra una tossita e l’altra. Con tutto quel fumo nemmeno lo vedeva
il suo capo. Sembrava un soggiorno e quello in cui era sdraiato Edward
sembrava un camino. “sta lottando contro un drago sputa
fuoco?” lo prese in giro, non trattenendosi affatto dal ridere.
Edward evidentemente voleva accendere il camino per riscaldare
l’ambiente, peccato che fosse poco pratico. “lasci fare a
me.” disse lei e lo trascinò fuori dalla bocca del drago.
“di nuovo quel maledetto lei?”
chiese Edward senza commentare oltre. Aveva fatto una pessima figura,
facendosi ripescare dal camino coperto di fuliggine e lo sapeva bene.
Aveva sbagliato qualcosa nell’accenderlo, questo era sicuro, ma
cosa? Ci teneva a farle trovare la casa con un bel fuocherello acceso
per farla sentire in una casa accogliente e non in un freddo chalet di
montagna, impersonale. Invece aveva fallito miseramente.
“si si come vuoi.” Ribatté lei distratta mentre
apriva le finestre per far uscire il fumo e entrare aria pulita.
“faccio io. Vai a fare la spesa, converrà riempire il
frigorifero se dobbiamo rimanere qua.” Gli levò di mano i
fiammiferi e con lo sguardo eloquente lo spinse ad andare al paese
più vicino, distante circa una mezzoretta.
Isabella aveva osservato a lungo il cielo prima di entrare in casa. Era
all’incirca l’alba e la neve caduta nella notte riluceva
nella tenue luce. Sapeva benissimo che quando il cielo aveva quel
colore, così strano, tra il bianco, il giallo e il grigio,
presto sarebbe nevicato ancora. Il termostato appeso vicino allo
stipite della porta d’ingresso le aveva dato ragione, era
vicinissimo allo zero. Era meglio correre ai ripari e fare provviste,
nel peggiore dei casi sarebbero rimasti bloccati lì, da soli, a
causa della neve.
“morirai congelata se non accendo il camino prima.” Se le
occhiate non bastavano più, doveva passare alle maniere forti.
Sbuffando, Isabella lo spinse malamente fuori casa. Odiava quando non
la stava a sentire e quando non credeva nelle sue immense
capacità, anche se era stato estremamente premuroso nei suoi
confronti. Ma lei aveva una certa esperienza, avendo acceso camini (e
fuochi) sin da quando era piccola...glielo aveva insegnato Charlie.
Scacciando il pensiero molesto di suo padre, controllò che la
presa d’aria fosse aperta o si sarebbe trovata la casa invasa dal
fumo, come era successo poco prima.
Accese il fiammifero e rimase ad osservarlo mentre la fiamma bruciava e
raggiungeva rapida le sue dita. Prima di scottarsi lo agitò in
aria, facendolo spegnere. Ripeté l’operazione ma questa
volta gettò il cerino del camino all’istante, in modo che
il fuoco finalmente le riscaldasse le ossa. Dapprima la timida
fiammella consumò le pagine di giornale, poi si propagò
ai ceppi di legno. Piano piano, lentamente, iniziò a trasformare
in cenere il legno.
Restò a fissare la fiamma che mano mano cresceva con gli occhi
fissi. Il fuoco esercitò ancora una volta il suo potere ipnotico
su di lei e lei aveva davvero bisogno di riscaldare il suo corpo.
Ma chi avrebbe riscaldato il suo cuore?
p.s dell'autrice: siete giunti in
fondo? che ne pensate? si lo so...sono in ritardo ma il capitolo non si
scriveva. la prima versione era uno schifo, questa mi soddisfa
parecchio (e se lo dico io che sono sempre molto critica con i miei
capitoli...) il ritardo è dovuto anche al fatto che lo schermo
del mio pc sta morendo e non avendo uno schermo (e relativa tastiera e
mouse) a disposizione era un po' difficile scrivere.
grazie per la pazienza che avete e per
l'affetto che dimostrate a questa storia. non smetterò mai di
dirvi che sono le vostre parole che mi spingono sempre a continuare!!
allla prossima! ciao!
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Capitolo 20 *** Natale ***
cap 19
Buongiorno!
no, non è un'illusione, sono proprio io =)
Ecco il nuovo capitolo...beh, che dire? Capitolo super natalizio...
BUONA LETTURA!
CAPITOLO 19 – NATALE
Erano passati alcuni giorni dal loro arrivo e, come previsto,
aveva nevicato abbastanza da bloccarli lì, da soli ed isolati.
Isabella non si era ancora abituata a svegliarsi in quella baita di
montagna, era così diversa dal suo caotico appartamento
newyorkese. Lì il silenzio faceva quasi rumore. Niente di
più distante dalla Grande Mela, dove il frastuono era un
sottofondo così costante che quasi non ci si badava più.
Anche se la vita aveva ritmi diversi, la ragazza non volle rinunciare
alla sue abitudini e, come ogni mattina al sorgere del sole,
scese diretta in cucina per la colazione. Come passare il resto
della giornata era, invece, un bel grattacapo. Di solito imboccava
l’entrata della metropolitana e andava in ufficio a lavorare e
litigare con il suo capo.
Mentre lì...lì poteva permettersi di evitare con
accuratezza Edward e si rifugiava nella sua stanza, a leggere uno dei
libri trovati nel piccolo studio, ben attrezzato anche se in una casa
di montagna. L’importante era distrarsi e cercare di non pensare.
Non erano forse lì anche per quello?
Quel giorno il sole aveva fatto capolino tra le coltri di nubi che
offuscavano il cielo dal giorno del loro arrivo e lei ne
approfittò. Ignorò la presenza dell’altro abitante
della baita e trascorse la maggior parte del suo tempo
all’esterno.
Poco distante dalla casa c’era un piccolo ponticello coperto che
consentiva di attraversare il fiumiciattolo ghiacciato. Si spinse
ad esplorare il boschetto dall’altro lato del torrente,
passeggiando nel bosco innevato, fino a giungere oltre la collinetta.
Non aveva mai notato quanto la casa fosse in alto. Da quel punto
poté osservare la vallata sottostante e il paesino che avevano
attraversato prima di arrivare alla baita, era un insieme piccolissimo
di tetti dalle tegole rosse che spuntava oltre la coltre di neve.
Rimase a contemplare il paesaggio finchè il freddo intenso non
la costrinse a trovare riparo al caldo del fuoco. Tornando si
divertì a far scricchiolare gli scarponcini sulla neve
imprimendo con forza le orme nel terreno, come aveva fatto tante volte
quando era piccola.
Aprì la porta della casa e il profumo di legna bruciata e di
calore era mischiato a quello di cibo e spezie. Si addentrò nel
soggiorno, curiosa di sapere che stesse succedendo. Trovò Edward
indaffarato in cucina.
“Oh Isabella.” la salutò allegro mentre provava con
un cucchiaio il sugo rosso. “devi provarlo, fa resuscitare anche
i morti. È una ricetta italiana.” Parlava con entusiasmo
del suo sugo, come un bambino che parla del suo gioco nuovo. Isabella
scosse il capo, declinando l’offerta di assaggio. “poco
male, lo proverai stasera.”
“Stasera?” domandò lei perplessa.
“ma certo!”
“se lo dice lei...” Isabella uscì dalla cucina
ancora più perplessa. Che succedeva quella sera? Ma soprattutto
da quando E. Cullen sapeva cucinare e cercava di essere simpatico?
Oh, si. Isabella aveva notato e sotto sotto apprezzato il cambiamento
del suo capo. Da stronzo inumano dedito solo ai soldi e al guadagno a
ragazzo simpatico e sensibile. Era vero che cercava di evitarlo il
più possibile, ma quando era inevitabile, non trovava
così odioso farci due chiacchiere.
Ma aveva il bisogno di restare la maggior parte del tempo da sola,
chiusa nella sua bolla in cui il mondo esterno non poteva entrare. Si,
ancora un po’ da sola...
Trascorse il resto della giornata chiusa nella sua stanza a leggere.
***
“Isabella?” le ombre della sera era già calate
quando sentì bussare alla sua porta. Edward chiedeva gentilmente
di entrare. “ti aspetto in salotto, quando sei pronta...”
La ragazza incuriosita dalla voce tra l’imbarazzato e
l’eccitato del suo capo, scattò sul letto e, dopo una
veloce sistemata agli abiti sgualciti per essere stata sdraiata, si
dirette al piano inferiore.
La luce del camino illuminava debolmente la stanza. Edward stava
accendendo alcune candele qua e là, eppure a lei non sembrava
che fosse saltata la corrente. Con passo incerto fece gli ultimi
gradini.
Quando Edward la vide arrivare le sorrise. “buon Natale.”
Natale? era già il venticinque dicembre e lei non se ne era
accorta? Si diede della stupida. Aveva passato quei giorni a
dimenticarsi del mondo esterno e ci era riuscita, se non ricordava
nemmeno che era un giorno di festa.
“o meglio, buona Vigilia.” Edward sorrise ancora e la
invitò a sedersi al tavolino basso, accanto al fuoco, che aveva
approntato. Sopra era stato apparecchiato per due con estrema cura. Due
candele facevano brillare i calici di cristallo e le posate
d’argento. I piatti erano in fine porcellana. Quella casa, anche
se disabitata per la maggior parte dell’anno era attrezzata per
ogni evenienza con un servizio di prim’ordine.
Attorno al tavolino erano disposti dei cuscini. Avrebbero mangiato seduti su di essi, in tipico stile giapponese.
Edward versò, da vero gentiluomo, del vino bianco molto fresco alla ragazza e le passò il bicchiere.
“direi di fare un brindisi per iniziare.”
“A cosa, signor Cullen? Siamo in mezzo al nulla, ho litigato con
l’unico mio famigliare e, senza offesa, non mi sarei mai
aspettato di festeggiare il Natale con lei.”
“Isabella...hai sempre mostrato un carattere forte e ti ammiro
sinceramente perché la tua non è solo una facciata. Sei
davvero una ragazza piena di qualità e con una volontà di
ferro. A questo dovresti brindare.” Edward la fissava serio, il
calice levato verso di lei. “dovresti brindare perché
anche se è un periodo difficile, io sono qui con te.”
concluse sdrammatizzando e riuscendo a strappare a Isabella un sorriso.
“l’importante è non essere soli, giusto?”
La ragazza annuì, prese un sorso di vino e sedette. Il tepore
del fuoco le arrivava in faccia ma anche al cuore. La situazione era di
quelle più strane in assoluto, eppure sentiva che la fiammella
che guizzava nel camino stava entrando anche nella sua anima. Edward
scomparve oltre la porta della cucina per tornare poi con un vassoio di
tartine e altri stuzzichini, ideali da gustare con il vino fresco e
frizzante.
“siamo bloccati qua eppure c’è tutto
questo...” mormorò Isabella sbalordita per poi puntare il
suo sguardo in quello di Edward. “come ci è
riuscito?”
“ho i miei assi nella manica.” Ridacchiò. “ho
comprato tutto quando mi mandasti a fare la spesa.” Lei rimase
davvero impressionata per l’efficienza del suo capo e per la
perfetta organizzazione. Ne era stupita...a New York lui non sapeva
ordinarsi nemmeno la colazione da solo! “ma Isabella.”
disse serio, posando il bicchiere. “tu non lo dire a
nessuno.” Concluse con un sorriso.
Chiacchierarono mangiando un po’ delle tartine. Isabella presto
ne diventò golosissima, ma non voleva esagerare o si sarebbe
rovinata l’appetito. Se quello era l’antipasto
chissà cosa le avrebbero riservato le doti culinarie di E.
Cullen.
“sa cucinare davvero in modo magnifico.” Si
complimentò, addentando un ennesimo volauvent ripieno di una
delicata crema al salmone.
“quando mi darai per più di dieci minuti del tu,
Isabella?” lei per poco non si strozzò, aveva già
dimenticato la richiesta del suo capo di chiamarlo con il nome di
battesimo.
“hai ragione...ma vorrei che mi chiamassi Bella, allora.”
“affare fatto.” Le tese la mano che lei prontamente
afferrò, stringendola e sorridendo. si, il suo capo non era per
nulla male e di sicuro era qualcosa di molto vicino ad un amico.
Trascorsero la cena ridendo e con i calici sempre pieni e tintinnanti.
Era una cena di Vigilia molto particolare ed intima. Loro due, le
candele, il buon cibo in uno chalet di montagna. Tutto faceva pensare a
una situazione romantica, ma nessuno dei due la vedeva così.
Stavano scoprendo lati di loro stessi e dell’altro che non
conoscevano. Si scoprirono propensi a chiacchierare in
tranquillità, ad aprirsi e a raccontare episodi del loro passato
recente e della loro infanzia.
Così Isabella si ritrovò completamente rapita
nell’ascolto delle scorribande e delle continue scommesse tra
Edward e sua sorella Alice, mentre Edward scoprì una
Isabella in miniatura che si era fatta largo nel piccolo paesino dove
viveva a suon di spallate e di lotte con i ragazzi più grandi di
lei. Dotata di un gran senso di giustizia, prendeva a pungi i compagni
che rubavano le merende ai più deboli della scuola. Quante volte
si era ritrovata in presidenza perché i compagni erano in
infermeria!
Isabella ad un tratto lo pregò di aspettarla un attimo, si
alzò e corse su per le scale. Ne discese quasi subito, con un
foglietto in mano.
“devo confessarti una cosa, Edward.” gli porse il foglietto
ripiegato tantissime volte che aveva dimenticato nello zaino da quella
volta alla spa. “è...risale alla gita al poligono della
spa.”
Edward lo prese e lo disfece. Lo stomaco traforato sorrideva sulla
sagoma di carta. Al contrario delle aspettative di Bella, lui non ne
rimase troppo sorpreso.
“sapevo che avevi barato, anche se non mi riesco a spiegare il perché.”
Lei fece un sorriso triste e iniziò a spiegare. “avevo
promesso a mio padre che non avrei mai più sparato, che non
avrei più tenuto in mano una pistola, perché troppo
pericoloso o puoi fare male a te stessa o a qualcuno. Lui anche senza
una pistola mi ha fatto del male.”
Edward le prese la mano fredda tra le sue e la condusse al divano.
Sparì anche lui per poco tempo dietro la porta della cucina.
Quando tornò aveva tra le mani due tazze di cioccolata fumante.
Quello era il perfetto dolce a conclusione di una così atipica
cena di Natale. Nel mentre Isabella si era semi sdraiata tra i cuscini
del divano, la schiena appoggiata al bracciolo.
“i padri agiscono pensando che quello che fanno sia il meglio per noi.” le disse lui saggiamente.
“quando mi hai messo in mano la pistola, ho risentito la sua voce
che mi chiedeva, anzi mi implorava di non sparare. Ma poi quando sei
uscito il mio orgoglio ha chiesto vendetta.” Isabella concluse la
confessione guardando nella tazza il liquido denso e profumato che
stava formando una patina in superficie.
“quindi è il mio turno per confessare.” Prese la
parola Edward, sistemandosi comodamente i cuscini sotto la schiena.
“ho sempre avuto la passione per la cucina.” Le rise e lo
guardò male, come a dire e ora che c’entra questo?
“ammiro così tanto mio padre e quello che è che ho
deciso di lasciare che la cucina fosse una passione invece che una
professione e di seguire le sue orme. Credo che in quel momento
Carlisle sia stato orgoglioso di me.”
“e oggi è la Vigilia e nessuno dei due parla con la
propria famiglia. abbiamo guadagnato tanto a dare ascolto a
loro.” Commentò amaramente Bella.
“io invece sono felice. Ho dimostrato che posso essere uno Squalo
della finanza, posso ritenermi soddisfatto e diventare un cuoco.”
“non offenderti Edward, come cuoco sei bravo, ma sei meglio come
capo.” Lo prese in giro lei, ma non trovò la reazione che
si aspettava. “Edward, va tutto bene?”
“anche volendo non posso tornare alla Guns ‘n Cullen. Mio padre mi ha licenziato.”
“cosa? Licenziato? Ma non può!”
“oh si che può Bella, lui è il capo dei capi.”
“e il mio lavoro?” non voleva sembrare insensibile, ma fu
la prima cosa che le venne in mente. Riflettendoci bene, avrebbe voluto
davvero tornare a lavorare alla Guns ‘n Cullen senza Edward?
“per quello non c’è problema, tu sei la figlia del
suo amico Charlie e un posto te lo trova di certo.” Edward
rispose alla domanda che frullava nella testa della ragazza prima che
lei la esprimesse. “quando te ne sei andata, hanno voluto sapere
subito il tuo indirizzo, ma mi sono rifiutato di darglielo. Inoltre
volevo delle spiegazioni ma non erano disposti a darmele. Più
insistevo, più mio padre si arrabbiava e così mi ha
minacciato che o collaboravo e stavo zitto per più di dieci
minuti o potevo anche sgomberare la scrivania. E così ho
fatto.”
“mi dispiace Edward.” mormorò mesta Isabella. Non si
sarebbe mai aspettata una tale prova di lealtà d parte sua. Era
lei stessa quella in errore: sempre così sulla difensiva non
riusciva ad ammettere che persone gentili e generose come Edward
potessero esistere. Dava infatti per scontato che prima o poi le
persone le avrebbero giocato qualche brutto scherzo. “ti ho messo
nei guai.”
“a me non dispiace.” Le sorrise e posò una mano sui
suoi piedi freddi nonostante il calore del camino e dei calzettoni di
lana pesante. “troverò qualcos’altro da fare. o
posso sempre vivere di rendita...”
Rimasero qualche minuto in silenzio, guardandosi negli occhi, illuminati dal riverbero del fuoco.
“ho una cosa per te.” disse Edward. “volevo dartela
prima della vacanze, ma la situazione c’è sfuggita un
po’ di meno, così l’ho portata con me e posso
dartela. Ormai è mezzanotte.” A conferma della sua parole
il pendolo fece sentire i suoi dodici rintocchi. Isabella tese la mano
per afferrare il pacchetto rettangolare e voluminoso, curiosa di sapere
cosa contenesse ma anche imbarazzata per non aver pensato a un regalo
per Edward.
“io...io non ti ho fatto nulla.” Disse ma a lui non
importava. Gli bastava che lei fosse lì perché era un
regalo prezioso. Come era prezioso quello che sentiva nascere dentro di
lui. Con nessun altro avrebbe mai ammesso che suo padre lo credeva
inadatto al suo ruolo o avrebbe confessato tutte le sconfitte subite da
Alice.
Edward fece un gesto con la mano per dire di scartare il regalo senza
indugi. Isabella si dedicò all’apertura del pacchetto con
scrupolosità. Le dispiaceva rovinare la carta rossa e natalizia,
per cui faceva attenzione a staccare lo scotch con molta cura.
“puoi anche rompere la carta.” Le suggerì lui.
Uomini. Pensò Isabella
scuotendo la testa. Un uomo avrebbe distrutto la carta, mentre una
donna sapeva apprezzare anche come il dono veniva presentato. Dalla
carta emerse una coperta patchwork rossa e bianca. La fece scorrere tra
le mani, sentendone la morbidezza e il calore.
“perché?”
“mi stai domandando il motivo del regalo? oh, beh...quando sono
stato a casa tua, ho pensato che mancasse del colore. Ho chiamato Alice
mi ha fatto da consulente a distanza. Mi ha mandato nel negozio giusto
ed è rimasta al telefono mentre sceglievo. Ah, ovviamente ha
voluto avere una foto in diretta di ogni modello che esaminavo.”
“grazie. Davvero, è bellissima.”
“sono contento che ti piaccia.”
Parlarono ancora un po’, il fuoco che moriva piano piano nel camino ma che diffondeva ancora il suo calore nella stanza.
Edward a un certo punto si accorse di star parlando da solo, Isabella
si era addormentata. Decise di non rischiare di svegliarla, portandola
nel suo letto, ma la coprì solo con la sua nuova coperta in
patchwork e le diede un bacio in fronte.
Buonanotte Bella...dormi bene, per i problemi c’è tempo domani.
Dopo un ultimo sguardo alla ragazza, salì con passo stanco verso la sua stanza.
p.s. dell'autrice: scusarsi per il
ritardo mi sembra il minimo. Purtroppo oltre agli impegni, questo
capitolo mi ha fatto penare e non poco. Questi due sono a un punto di
svolta e volevo renderlo al meglio. spero di esserci riuscita. fatemi
sapere che ne pensate!! =)
grazie a tutti per la pazienza!!
a presto!!! ciao =)
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Capitolo 21 *** Io avevo detto di no ***
cap nuovo
Buonasera!
Capitolo dedicato a marco che ringrazio ancora tanto per
l'interessamento. ah anche a sweet_ebe, la mia semi beta che faccio
sempre impazzire. grazie a entrambi.
BUONA LETTURA.
CAPITOLO 20 – IO AVEVO DI NO
“no! ho detto di no!”
“ma Bella!”
“Edward non insistere!” si voltò verso di lui con
uno sguardo infuocato che metteva davvero paura. Poi come se non gli
avesse gridato contro fino ad un attimo prima, gli chiese gentilmente
un aiuto per stendere la sua nuova coperta sul letto.
La guardò a lungo, in silenzio. Prima di fronte, poi da sinistra
e infine da destra. Era inutile girarci intorno, aveva avuto ragione il
suo capo...in casa sua mancava un tocco di colore che rendeva tutto
più vivo ed accogliente. Lo avrebbe dovuto ringraziare meglio...
“Isabella, per favore, possiamo almeno parlarne?” lui la
interruppe nel mezzo dei suoi pensieri. Se continuava così non
lo avrebbe ringraziato di certo. Tutto il bene che le aveva fatto
durante quei giorni si stava sciogliendo come neve al sole da quando le
aveva fatto quella proposta...indecente.
“zitto. Sto cercando di trovare un buon motivo per non cacciarti.”
“un buon motivo?!” chiese lui incredulo. “sai che ho
ragione e vorresti che io avessi torto per sentirti la coscienza
più pulita e così sarebbe più facile liberarti di
me.” Spiegò Edward con logica infallibile.
Purtroppo Isabella non era per nulla d’accordo e andò ad
aprirgli la porta per farlo accomodare oltre la soglia di casa, sul
pianerottolo.
“credi davvero che basti una porta aperta e i tuoi no
a farmi desistere? Dannazione Bella.” Si avvicinò a lei
e le chiuse la porta alle spalle. Non era di certo il tipo che si
arrendeva per dei semplici no. “volevi sapere la verità e
ora che finalmente ne hai la possibilità, ti tiri
indietro.”
“la verità doveva arrivare quando l’ho chiesta, non
quando vogliono loro. Questa cena a casa dei tuoi genitori mi sa tanto
di farsa. Avranno preparato una loro versione dei fatti...”
Isabella era consapevole che il suo ragionamento aveva un che di
infantile ma ammettere la dura realtà era anche peggio. Quei
giorni lontano da New York l’avevano fatta riflettere. Si era
calmata e preparata mentalmente a tutto ciò che suo padre le
avrebbe detto.
Se non le fosse piaciuto? E se la sua vita fosse sconvolta ancora di più di quanto già non fosse?
Forse suo padre l’aveva solo protetta da una verità troppo scomoda e dolorosa.
Dannazione! Lei voleva bene a quell’uomo burbero. Non voleva che
la sua opinione su di lui cambiasse. Era già sufficientemente
arrabbiata con lui per il segreto, ma cosa sarebbe accaduto una volta
svelato? Sicuramente era qualcosa di grosso e terribile se la minaccia
che venisse scoperto aveva fatto precipitare a New York Charlie Swan.
Isabella aveva deciso che vivere nell’incertezza. Era meglio che sapere.
Edward assottigliò lo sguardo. “tu hai solo paura. Non
è l’orgoglio che ti frena, ma la paura.” Dannazione
doppia a lui che aveva imparato a conoscerla!
Isabella distolse lo sguardo sentendosi così in colpa che la sua unica risposta fu il silenzio, incapace di dissentire.
Aveva sempre tenuto la testa alta di fronte a tutto e a tutti, non si
era mai piegata anche quando sembrava che le sue capacità non
fossero sufficienti. Eppure questa volta, la paura le faceva chinare il
capo e girare dall’altra parte. La cena con i genitori di Edward
e suo padre le sembrava uno scoglio insormontabile, una sfida troppo
impegnativa per il suo cervello e per il suo cuore in fase di
scongelamento.
Preferiva guadagnarsi il titolo di coniglio dell’anno e restare
rintanata nel suo appartamento con la sua nuova calda coperta e
nell’ignoranza.
Philip Dywer era suo nonno? Charlie che segreto aveva nel cuore? Chi era sua madre?
Su queste domande aveva preferito metterci una pietra bella pesante e
lasciarle lì, facendo restare tutto esattamente come era.
Bussarono alla porta, spezzando la tensione che si era creata tra i
due. Era la signora O’Connors giunta con una torta al limone e la
tacita domanda su cosa stesse accadendo in quell’appartamento.
Tutto il palazzo stava sentendo le loro urla. Quella torta sembrava un
ramoscello d’olivo per far fare pace ai due litiganti.
“sa signora O’Connors, questa torta è davvero
deliziosa.” Si complimentò Edward ma poi non trattenne la
frecciatina. “anche mia madre prepara un dolce buonissimo e di
sicuro questa sera lo preparerà in onore di Bella. Purtroppo lei
si rifiuta di accettare l’invito a cena.”
La ragazza non se la prese più di tanto e rispose a tono.
“è vero, la torta è davvero superba ma il limone
rende ancora più acido chi acido lo è già per
natura.” Replicò guardano l’altro negli occhi e
sorridendogli con aria di sfida. Avrebbe potuto andare avanti
così per sempre.
“su su ragazzi, non c’è bisogno di litigare.”
L’anziana signora intervenne. “so che incontrare i genitori
del proprio fidanzato può essere uno shock, ma è un passo
necessario prima di convolare a giuste nozze. Sinceramente non pensavo
che foste già a questo punto. La vacanza...” finalmente
l’anziana donna si interruppe, notando solo allora il grave
silenzio sceso attorno al tavolo e le facce sconcertate dei due giovani.
“noi...noi non stiamo insieme, signora.” Chiarì
Isabella con un groppo alla gola. Odiava dare impressioni sbagliate,
nascevano sempre piccoli e spiacevoli fraintendimenti che dovevano poi
essere, con sommo imbarazzo, smentiti. Lei e il suo capo? Ok che il
loro rapporto si era trasformato in una bella amicizia...ma da
lì all’altare ce ne era di strada. Strada che non aveva la
minima intenzione di percorrere.
“oh beh, sembrava proprio il contrario.” Rispose la signora
tranquillamente sorseggiando il suo tè caldo. “litigate
come una coppia collaudata. Fanny concorda con me.” Isabella fece
un sorriso stentato. Le signore O’Connors e Oliver, che abitava
al secondo piano, erano le pettegole del palazzo. Bastava rivolgersi a
una delle due amiche per scoprire cosa succedeva. Erano anziane, erano
sole e non avevano altro da fare nelle loro vite da pensionate che
ficcanasare nelle altrui vite private. “abbiamo visto questo bel
giovane venire a cena spesso dalla fine dell’anno scorso. E poi
c’è stato la vacanza a Natale. In più ora
litigate per una cena con i genitori, non vi sembra sufficiente?”
Edward rise apertamente delle congetture ma dentro di lui avrebbe
preferito di gran lunga che fosse così, viste le ultime notizie
dall’investigatore privato. Meglio che Isabella fosse riluttante
a conoscere i futuri suoceri, piuttosto che sapere che Charlie Swan da
Forks non esisteva in nessun registro ufficiale, nemmeno
all’anagrafe, né aveva un numero di previdenza sociale.
Niente.
Avevano bisogno di risposte e la loro ultima possibilità era
quell’invito a cena arrivato a sorpresa qualche giorno dopo il
loro rientro dal Vermont. Lui sperava inoltre di poter appianare le
divergenze con suo padre e poter così riottene il suo posto di
lavoro. Dopotutto non si sentiva ancora pronto ad aprire un ristorante.
Dopo aver mangiato la torta e salutato la signora O’Connors, i
due giovani finti – promessi – sposi tornarono a discutere,
questa volta mantenendo i toni della discussione più bassi non
volendo alimentare altre strampalate congetture.
“immagina che sia una cena tra vecchi amici.”
“oh si vecchi amici che ci hanno messo al mondo e ci hanno
nascosto una qualche verità. E io non voglio essere amica di mio
padre.”
“fallo allora per me, ripagami così i giorni di vacanza.
Volevi contribuire ai costi, no? Ti chiedo come pagamento questa cena.
Se verrai non sarai più in debito con me.”
Era un ricatto bell’e buono. Isabella si sentiva in debito con
lui per quanto aveva fatto in quei giorni, per la vacanza,
l’investigatore privato e perché le era rimasto
vicino...sopratutto perché le era rimasto vicino. Partecipare
alle spese le era sembrato il minimo, ma odiava cedere.
“un ricatto? Molto maturo.”
“io la chiamo ricompensa. Su Bella smettila di lamentarti ed
avere paura.” Le si avvicinò, le posò le mani sulle
spalle e la guardò fisso negli occhi. “andrà tutto
bene. Ci sarò io con te.”
***
“io lo avevo detto che era una pessima idea. Una pessima,
stupidissima idea.” Isabella non smetteva di brontolare mentre
lei e Edward viaggiavano verso casa Cullen posta in una tranquilla zona
residenziale alle porte di New York.
Isabella non riusciva proprio a non lamentarsi e a non sfogare il
nervosismo sulla cintura di sicurezza. La tirava, la lasciava tornare
al suo posto contro il suo petto e poi l’attorcigliava attorno
alle dita.
Edward, invece, appariva tranquillo e sicuro di sé. Sapeva che
poteva solo cercare di mantenere il sangue freddo per non impazzire
come la ragazza al suo fianco. Perché il passo verso la follia
era davvero breve.
All’ingresso della villetta, oltre il viale acciottolato e il giardino, li attendevano i signori Cullen.
Prima di scendere dall’auto, Edward le prese le mani della
ragazza tra le sue e, guardandola negli occhi, le disse di fidarsi di
lui, che sarebbe andato tutto bene.
“oh Isabella, è un piacere conoscerti. Grazie per aver
accettato l’invito.” Esme Cullen sorrideva con garbo ed
eleganza. Isabella si sentiva a disagio, era imbronciata e non faceva
nulla per nasconderlo.
Mentre oltrepassava la soglia, preceduta dalla madre di Edward,
mugugnò: “sono venuta solo per la sua famosa torta,
signora Cullen.”
Nella sala da pranzo li attendeva un irrequieto Charlie. La figlia lo
aveva visto solo due volte tanto agitato, il giorno del suo diploma e
quello della sua laurea. Ma allora Charlie era felice. Quella sera,
invece, aveva un’espressione abbattuta e sconfortata, tanto da
sembrare un condannato a morte.
Al loro ingresso, Charlie Swan si arrestò vicino al camino e
fissò, quasi con meraviglia, la figlia. Non aveva creduto che si
sarebbe davvero presentata.
“tesoro...”
“sia chiaro a tutti.”
Edward alzò gli occhi al cielo. Ecco che parte in quarta, pensò.
“sono qui solo per avere risposte, se non siete disposti a darmele posso anche tornare da dove sono venuta.”
“Bella hai sempre la tua maledetta lingua lunga. Qui non siamo a
Forks e ti pregherei di essere più gentile verso Carlisle ed
Esme che hanno organizzato tutto e...”
“e smettila di farmi la predica. Hai ragione, non siamo a Forks
ma non sono più nemmeno una bambina. Quello con la coscienza
sporca per aver mentito un quarto di secolo sei tu, non io
perché chiedo sincerità per una dannatissima volta!”
Isabella non accettava un simile comportamento da suo padre. Era
ingiusto nei suoi confronti, non dopo quanto aveva sofferto in quei
mesi. Si sentiva le guance in fiamme, mentre restava con il dito
puntato contro Charlie e gli occhi gli lanciavano saette. Sentiva il
cuore battere a mille e il respiro sempre più affannoso.
“Bella...calma...” Edward le si era avvicinato da dietro e
le aveva posto le mani sulle braccia per poter raggiungere il suo
orecchio e sussurrarle quelle parole. La ragazza sotto il suo tocco si
rilassò un poco, mentre la padrona di casa interveniva con
prontezza e pregava i suoi ospiti di accomodarsi e di godersi la cena.
Per gli argomenti più seri ci sarebbe stato tutto il tempo
mentre prendevano il caffè e mangiavano una fetta di torta. Con
la pancia piena si era meno irascibili, disse sorridendo.
Il dolce era una stupenda torta di cioccolato e lamponi, decorata qua e
là con ciuffetti di panna montata, deliziosamente soffice e
zuccherata. Isabella fissava con insistenza suo padre, il piatto ancora
integro, sfidandolo a parlare. I Cullen restarono in assoluto silenzio,
spettatori in attesa dello spettacolo.
“Bells, non è semplice raccontare cosa è successo.
È tutto così doloroso. Ho scelto di tenerti
all’oscuro per non condizionarti e farti soffrire
inutilmente.”
“mi fa soffrire la tua reticenza. Sembra che tu abbia qualcosa da
nascondere e fai apparire la situazione ben più grave di quel
che è...”
“cerca di capire il tuo vecchio...”
“ho capito.” Isabella scostò la sedia dal tavolo, si
alzò con molta calma e lisciò la gonna nera. “era
la tua ultima possibilità, Charlie. L’hai sprecata. Non
volevi condizionarmi la vita? lo hai appena fatto, visto che non ti
rivolgerò più la parola.”
L’unico suono che aveva nelle orecchie mentre usciva, era il suo
cuore che batteva forte tanto era in tumulto. Giunta all’ingresso
si mise a correre, i tacchi che rimbombavano sul marmo rosa.
Afferrò il cappotto dall’appendiabiti e, senza voltarsi
indietro, uscì.
Si ricordò solo quando fu di fronte all’auto, che quella
era del suo capo e che lei non aveva le chiavi per poterla usare.
Sfogò la rabbia e la frustrazione prendendo a calci la
carrozzeria. Si appoggiò alla portiera e lasciò che le
lacrime prendessero la via della guance, lasciandosi scivolare con la
schiena contro il metallo ma si riprese subito vedendo arrivare Edward.
Asciugò in fretta le lacrime e chiese, anzi pretese, le chiavi.
“tuo padre è disperato.”
“eppure ci sei tu qui, non lui.” Fece notare lei.
“hanno notato che ho un certo effetto positivo su di te. Lo hanno chiamato un formidabile ascendente.
Sono riuscito a convincerti a venire alla cena, posso convincerti anche
a tornare sui tuoi passi e dare il tempo a tuo padre di parlare.”
“gliel’ho dato.”
Edward scosse la testa. “non deve essere qualcosa che gli piace
raccontare e tu non hai saputo capire il suo dolore, troppo accecata
dal tuo. Sei l’unica persona che ha al mondo e gli hai negato il
tuo affetto. Questa volta devi essere tu a fare ammenda, Bella.”
Edward stava dimostrando più saggezza e buon senso di lei.
“e lui non capisce che sto soffrendo anche io per il suo silenzio? Ho bisogno di risposte e lui non vuole darmele.”
L’uomo all’improvviso la prese tra le braccia e la strinse
in un caldo abbraccio. “le chiavi non te le do.”
“va bene, rientro. Però, capo, ricordati che io avevo detto di no.”
p.s. dell'autrice: Non ho nessuna scusa per l'assenza se non una tesi da completare e discutere a breve.
Piccola rassicurazione: credo che non ci saranno più ritardi del
genere (ma mai dire mai). E anche se ci saranno avete la mia parola che MAI e poi mai abbandonerò
la storia. saprete come andrà a finire e quali segreti nasconde
Charlie....anche perchè ormai manca poi a svelare il mistero...
Bene, grazie mille a tutti quelli che
avrennop avuto la pazienza di leggere e magari di lasciare un
commentino per farmi sapere che ci sono ancora nonostante i miei
ritardi.
Ultima cosa prima di salutare e andarmene...a chi di voi leggeva "Io, a Beverly Hills" forse potrà interessare una piccola shot su Erik e Andrew, per una bella iniziativa contro l'omofobia. oppure se avete voglia ancora un po' della magia del Natale...
Alla prossima Sara
|
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Capitolo 22 *** Richiesta ***
cap 21
Ciao!
Manco da molto e me ne dispiaccio. Ho scritto questo capitolo
più e più volte e solo oggi ho trovato una forma che mi
soddisfi.
Sono molto curiosa di sapere che ne pensate voi...Buona letture!!!
CAPITOLO 21 – RICHIESTA
Isabella si sdraiò sul letto, esausta. Quella cena
l’aveva sfiancata psicologicamente e fisicamente. Lo sapeva che
sarebbe stata la prova più dura che avrebbe dovuto affrontare
nella sua vita...e invece era stata più che dura, era stata
titanica.
Aveva rifiutato l’invito dei signori Cullen di occupare una delle
stanze degli ospiti di quella magnifica villetta e di restare lì
per la notte. No, doveva star sola nel silenzio rumoroso del suo
appartamento e della sua mente a rielaborare tutto quello che era stato
detto.
Edward, non appena vide i suoi occhi gonfi e arrossati dal pianto
chiudersi piano piano, la coprì con il plaid che le aveva
regalato e silenziosamente scivolò oltre la soglia, capendo alla
perfezione il suo stato d’animo. Le lasciò solo un
biglietto per quando si sarebbe svegliata: la salutava e le diceva di
prendersi l’intera settimana di riposo per stare con suo padre;
in ufficio se la sarebbe cavata da solo.
Ovviamente quella per Bella non fu una nottata semplice, anche se la
stanchezza fu un'incredibile alleata per smorzare gli incubi. Come
sempre le venne in sogno quella donna senza volto che cercava di
abbracciare una lei più piccola, ma questa volta un colpo di
arma da fuoco faceva cadere a terra sua madre in una pozza di sangue
prima che lei raggiungesse il porto sicuro delle sue braccia.
Cosa accadde nei giorni successivi è presto detto, caro lettore.
Isabella ignorò completamente il biglietto di Edward e il
lunedì puntualmente si presentò al suo posto in ufficio,
pronta come sempre a ricevere la colazione del suo capo e a
mettergliela sulla scrivania prima di controllare la sua agenda.
Tuttavia in quel week – end aveva fatto i compiti. Aveva cercato
informazioni su quel fatto di venticinque anni prima. Aveva cercato e
ricercato il nome di quell’assassino che le aveva strappato la
madre davanti ai suoi innocenti occhi di neonata. Lo aveva cercato ma
non lo aveva trovato e suo padre non aveva voluto dirglielo quella
sera. Quindi aveva solo un’ultima possibilità.
“Cosa ci fai qui? Ti avevo lasciato la settimana libera. Torna a
casa da tuo padre.” Edward fu categorico quando la vide comparire
con la sua colazione. Quel lunedì mattina si era presentato
presto in ufficio. Doveva sistemare parecchia burocrazia arretrata,
visto che suo padre a fine anno lo aveva licenziato e riassunto solo la
sera della cena. La sua segretaria non si perse d’animo. Gli
consegnò il suo caffè e il suo muffin al cioccolato e
andò dritta al punto.
“Capo...tu...” tuttavia Isabella era in imbarazzo, si
guardava i piedi. Non aveva mai cercato l’appoggio di qualcuno
con una posizione per i propri fini e avrebbe presto chiesto un favore
del tutto personale a Edward Cullen, uno che un nome importante ce lo
aveva eccome. All'improvviso la ragazza sembrò ritrovare il suo
solito piglio orgoglioso e coraggioso. “Capo...ho bisogno di un
favore. Devi scoprire quel nome...sapere che è vivo...insomma
voglio incontrarlo.”
Edward rimase perplesso anche se in qualche modo si aspettava una
sparata del genere. Dopo averci dormito su Bella doveva aver deciso
qualcosa di assolutamente folle e incredibile, esattamente come era
lei. Lui aveva imparato a conoscerla tanto da non rimanere più
stupito come il primo giorno in cui l’aveva incontrata. Allo
stesso modo sapeva che la sua richiesta era insieme legittima e
stupida. Incontrare l`assassino di sua madre poteva aiutarla a capire
meglio, ma a che prezzo? Il racconto del padre non l'aveva
destabilizzata a sufficienza?
La osservò per un secondo. I suoi occhi marroni dal cioccolato
fuso dalle lacrime e dall’insonnia, ma imploranti, non lo
facevano pensare lucidamente.
“Ti prego capo...sei l'unico a cui posso chiederlo. L'unico di
cui mi fidi e che mi direbbe di si.” Ovvio nessuno di sarebbe
messo contro il duo Carlisle Cullen – Charlie Swan se sapeva con
chi avessero avuto a che fare. Nessuno sano di mente o nessuno che non
avesse sentito la preghiera di Isabella.
Edward provò a procrastinare il suo si. “Hai provato con tuo padre?”
Isabella ridacchiò. “Stai scherzando, vero, capo? Ti
sembra che possa chiederlo a lui dopo che ha tentato per anni di
tenermi lontana dalla verità e che non voleva nemmeno dirmi il
nome? Non capirebbe il mio bisogno...”
“Bisogno di sentire la controparte? Di vedere se quell'uomo
é pentito del suo delitto? Hai pensato alle conseguenze? Tuo
padre vuole solo proteggerti e ha ragione.”
“Etiche e morali? Emotive? Mio padre? Lui? Ho pensato a tutto in questi giorni. Tutto. E questa mi sembra la soluzione migliore. Anche se forse insensata.”
Inutile dirlo, caro lettore, Edward non seppe dire di no e
accettò. Era convinto che lei non si sarebbe fermata e sarebbe
andata lo stesso avanti anche senza di lui. Quindi meglio con lui che
da sola.
Nel primo pomeriggio convocò Eleazar Owen nel suo ufficio
chiedendogli di essere discreto, essendo una questione privata. Forse
l’uomo ricordava qualcosa di quella triste vicenda avendola
vissuta da vicino. Lui d’altro canto aveva promesso a Isabella di
impegnarsi al massimo per aiutarla, di non lasciare nulla di intentato
e non poteva deluderla.
Non voleva deluderla.
Le aveva chiesto qualche giorno, poi l’avrebbe portata con
sé a Washington da quel suo amico procuratore per poter accedere
a tutti quei documenti che sembravano essere stati secretati.
“Credo di sapere cosa vuoi chiedermi.” Esordì
l’avvocato, una volta appoggiata a terra la sua valigetta in
pelle.
“Credi di sapere?” Edward aveva quel sorrisetto beffardo che da sempre era il suo marchio. L'altro annuì.
“Da quando quella ragazza é entrata in questa azienda qualcosa é cambiato. Tu sei cambiato.”
“Non ho bisogno di paternali o discorsi moralistici. Mi basta mia
sorella che é un genitore più presente di quello
vero.” Il grande capo non seppe trattenere l’irritazione
sentendosi colpito nel suo punto debole, Isabella, e l’avvocato
rise.
“Come ti dicevo, tu sei cambiato e io ho riportato solo un dato
di fatto. Sei più umano e qualsiasi favore personale devi
chiedermi riguarda sicuramente lei. Sarò anche prossimo alla
pensione, Cullen, ma non sono stupido.”
“Lasciamo perdere le considerazioni sulla tua presunta età e dimmi quello che voglio sapere.”
Eleazar lo tenne sulle spine per un po’. Voleva che ammettesse il
suo coinvolgimento personale. Solo quando lo squalo della finanza
confessò che per la sua segretaria provava un sincera amicizia
(non sarebbe mai andato oltre quella dichiarazione) l'altro uomo
tirò fuori dalla sua valigetta una cartelletta.
“Questo é tutto ciò che so e che ho recuperato
dall'archivio di mio padre. É da quando ho incontrato la giovane
Swan alla spa di tua sorella che qualche cosa mi frullava in testa. Il
suo viso e il suo cognome mi ricordavano dei documenti che avevo
redatto per un contratto di cessione delle Shot Industries quando ero
solo un apprendista nello studio di mio padre. Era un ricordo legato a
qualcuno che avevo conosciuto un lontano giorno di quasi venticinque
anni fa. Era una neonata con una fasciatura ad un braccino. Era piccola
ma già curiosa e con un'immensa vitalità. Non sapeva cosa
stesse succedendo attorno a lei e guardava tutto con interesse.”
Fece una pausa. “Ti dirò quello che so, solo a una
condizione.” Tese i documenti a un Edward già proteso ad
afferrarli. “Quella ragazza ha già sofferto troppo quando
non ne aveva neppure coscienza. Cerca di non farle rivivere tutto in
modo brutale.”
“Dimentichi ciò che tu stesso mi hai appena fatto
confessare. Voglio bene a Isabella. Non potrei mai farle del
male.” Disse Edward con un leggero tono beffardo. “ed
è stata lei a chiedermi di intervenire in questa faccenda.”
“Non vuoi ferirla intenzionalmente, certo. Ma sarai tu a darle
queste carte che ripercorrono i giorni travagliati dopo la morte di
Renèe Swan. Giorni in cui suo padre era totalmente devastato dal
dolore. Sarai tu a dirle quanto dolore ha provato suo padre.”
Edward si appoggiò allo schienale della sua poltrona, valutando
la situazione. La verità era un passo da lui e lui non aveva
avuto il coraggio di afferrarla. In quello Bella era stata di sicuro
migliore di lui. Aveva affrontato tutto con più maturità.
Per lui era diverso. Non era la verità su sua madre che presto
avrebbe scoperto ma su quella di Isabella e lui sentiva nel cuore di
dover proteggere la ragazza da altro inutile dolore.
“Devo farlo.” Disse lapidario afferrando il malloppo di
fogli. “Mi ha chiesto lei di fare di tutto per scoprire il nome
dell’uomo che le ha tolto la madre. Sa che è vivo e vuole
incontrarlo.”
“L’uomo? Edward ma cosa sapete di questa storia di
preciso?” L’avvocato Owen si protese come un rapace che
annusa la preda.
“Perché?”
“La donna. La donna che le ha tolto la madre è ancora viva e sta scontando una condanna all’ergastolo.”
p.s. dell'autrice: forse vi
aspettavate più risposte alle molte domande che questa storia
potrebbe aver suscitato. Me le aspettavo anche io in questo capitolo ma
raccontare per filo e per segno cosa era successo appesantiva solo il
capitolo, rendendolo ai miei occhi proprio brutto. Quindi si procede
piano piano alla scoperta di dettagli capitolo per capitolo. Questa mi
sembra la scelta più sensata.
Grazie mille a chi leggerà e a
chi non ha perso la speranza di vedere un nuovo capitolo di questa ff.
Grazie e scusate ancora il ritardo! a presto.
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Capitolo 23 *** The last step ***
cap22
Ciao!! capitolissimo-issimo, quindi vi dico solo Buona lettura!!
CAPITOLO 22 – THE LAST STEP
Edward Cullen era nel suo ufficio a
compilare scartoffie per i test sull’ultimo prodotto di punta
della Guns’n Cullen.
Philip Dywer si era superato questa volta. Aveva creato un piccolo
capolavoro di ingegneria in pochissimo tempo, riuscendo a rispettare i
termini posti da consiglio. Edward ne era ovviamente soddisfatto.
Quando il vecchio signore era entrato nel suo ufficio per dargli le
chiavi della camionetta, lui e Edward avevano avuto una lunga
conversazione su Isabella. Philip non l’aveva più
vista negli ultimi due mesi e al suo posto c’era un’altra
ragazza.
“si è presa un periodo di pausa. Le serviva.”
“che è successo dopo che ha scoperto tutta la
verità? Ah, io lo avevo detto a Charlie che era una pessima idea
vendere l’azienda di famiglia e rintanarsi come un coniglio
braccato in quel paesino sperduto.”
Edward non sapeva come rispondere. Era stato lui ad accompagnare
Isabella in carcere per incontrare la donna che le aveva tolto la
madre. L’aveva accompagnata ma lei aveva voluto che non entrasse
nella stanza. Era rimasto ad aspettarla fuori quasi un’ora in
compagnia del procuratore suo amico.
Fu salvato in extremis dal telefono che squillava: era un socio anziano
che voleva notizie. Promise a Dywer di riferirgli un giorno tutto
quello che sapeva, se prima non si faceva viva con lui la nipote.
Perché Edward Cullen sapeva molto più di quanto avrebbe voluto confessare.
Sapeva quando Isabella era scossa dopo l’incontro con
l’assassina, anche se non aveva mai saputo cosa la donna le
avesse detto in privato.
Sapeva quanto dolore la sua segretaria stava provando e come stava
provando a ricostruire quella che per quasi venticinque anni era stata
la sua vita e il suo mondo. Isabella stava ricostruendo tutti i
tasselli della sua identità.
Guardò per l’ennesima volta la sua cartella di posta
elettronica. Fece ricaricare la pagina e finalmente il numerino della
casella “posta in arrivo” si aggiornò: un messaggio nuovo non letto.
Edward si fiondò come un falco, il suo contatto quotidiano con
Bella era arrivato. Da quando se ne era andata, si scrivevano mail
dettagliate sulle loro giornate e di come si sentivano. Erano lontani
ma vicini...Ormai era tardi per affermare da parte di entrambi che
quello che avevano vissuto li avesse fatti rimanere due estranei.
Di sicuro erano amici...
Lettore tu sai come vanno queste cose. Dai tempo al tempo e forse
vedrei che anche Edward e Bella capiranno che ci sono cose che vanno
oltre l’amicizia e che per non morire nella perfetta indifferenza
devono evolvere in amore.
Caro Edward,
ogni volta che ricevo una
tua mail, la stampo e la rileggo più volte perché ogni
volta mi sembra che la mia vita sia ancora quella di inizio settembre,
quando ancora ti conoscevo solo come il mio capo ed eri un presuntuoso.
Ora ti do del tu e siamo amici. Non sei più il mio capo, quello
che mi faceva infuriare una mattina si e una no. Riesco a non essere
aggressiva come mio solito.
È bello e allo stesso tempo strano scriverti.
Ok, lo ammetto. Sto davvero lavorando sul mio caratteraccio. E sono contenta che tu in qualche modo sia riuscito a sopportarlo.
Edward sorrise. Lui adorava il suo caratteraccio e in molte mail
emergeva ma non questa volta. Sembrava una lettera molto più
intima rispetto alle altre. Continuò a leggere.
Confesso di portare i fogli
con le tue lettere nel piccolo zainetto da trekking con cui vado a fare
le mie escursioni; sono stropicciati da una bottiglietta d’acqua
e da barrette di cioccolato e ti verrebbe l’orticaria a vederli
ridotti in quello stato, maniaco dell’ordine come sei.
Essere a Forks non è
poi così male. Avevi ragione, mi serviva ritornare dove ero
cresciuta per ricordare chi sono veramente, chi sono dentro.
Stare con mio padre all’inizio è stato difficile, per non dire tremendo.
Ora in alcune occasioni mi
accompagna per i boschi, come se non conoscessi a memoria tutti i
sentieri. Pensavo che non lo avrei sopportato, non dopo tutte le bugie
e invece è stato quasi naturale.
Certo, inizialmente non gli ho rivolto la parola, come ben sai. Neanche per i boschi gli rivolgevo la parola.
Oh Edward lo sapeva. Anche se stava dal padre che l’aveva accolta
a braccia aperte, Bella non gli aveva riservato niente più di “buongiorno” e “buonanotte”. Isabella era terribilmente stronza quando voleva.
Aveva anche temuto che Charlie lo contattasse per sapere che cosa
passasse nella testa della figlia. Se lo immaginava con le mani nei
pochi capelli bianchi che gli erano rimasti.
Neanche per i boschi gli rivolgevo la parola e lui è stato
capace di rispettare i miei silenzi e di non pretendere troppo.
Sì, è stato davvero tenace, gliene do atto.
Camminavo e basta, come se fossi stata sola. È quello che faccio ogni giorno. Cammino, cammino e cammino.
L’altra sera mi ha sorpreso. Se ne è uscito con una
proposta assurda a cena. Voleva che incontrassi un prete o uno
psicologo, qualcuno che mi potesse aiutare a elaborare il mio lutto.
Un lutto di ben venticinque anni fa. Che differenza fa se ho scoperto
solo ora tutta la verità? Io ho sofferto a non avere una
madre...so come è morta. Mi ha protetto con il suo corpo.
Gli ho detto dell’incontro con Rosalie McCarty, è
sbiancato e ho temuto che svenisse. Tranquillo, non sa del tuo
coinvolgimento in quella visita in carcere.
Non mi serve nessun aiuto. Bastano i miei pensieri per farmi riflettere.
Non voglio alle costole un prete come quello che ci ha accolto in
carcere. Non voglio sapere che il perdono di Dio arriva dovunque per
cui anche io devo darle il mio perdono.
Non sono ancora pronta a farlo, ammesso che io sappia come si fa. Sono una persona molto rancorosa.
Sai cosa mi disse quel prete e che confermò anche il direttore?
Rosalie McCarty non aveva mai mostrato pentimento per il suo gesto.
Anzi, il suo unico rimorso è stato di aver ucciso mia madre e
non me. Il vero obbiettivo ero io e questo credo non lo sappia nemmeno
mio padre.
Forse l’unico motivo per cui volevo vederla, era leggere nei suoi
occhi che le dispiaceva, che quello che aveva fatto la tormentava
ancora la notte.
Questo forse mi avrebbe in qualche modo consolato.
Non è stata una gita di piacere e non mi ha accolto bene. Anzi.
Stava davvero per ripercorrere l’incontro con Rosalie McCarty,
colei che le aveva ucciso la madre in un vicolo sudicio di Seattle,
mentre Isabella era presente, addormentata nella carrozzina? Isabella
non ne aveva parlato, mai. Era rimasta per tutto il viaggio di ritorno
a New York in silenzio. Il giorno dopo aveva chiesto
un’aspettativa ed era partita per Forks.
Le sigarette che aveva
chiesto non erano di suo gradimento. Eppure era stata la sua unica
condizione per accettare l’incontro. Sapevo che mi stava
provocando, che voleva farmi saltare i nervi. E ci stava riuscendo con
quel sorrisetto sereno.
Quel sorrisetto non lo ha mai abbandonato. Lo ha tenuto per tutto il tempo del colloquio.
Come puoi essere sereno in carcere?
Devi essere in pace con la
tua coscienza se sorridi...e se lei è felice vuol dire che non
si è mai pentita di aver ucciso una donna.
Mi ha chiesto chi fossi, come se non glielo avesse detto il suo avvocato e non sapesse del mio arrivo.
Mi ha chiesto come stavo.
Mi ha chiesto come mi
sentivo ad essere la figlia di Charles Menton (ti ricordo che Swan era
il cognome della mia nonna paterna e che Charlie lo ha assunto quando
ha deciso di sparire).
Io non so ancora come ho fatto a guardarla in faccia e a chiederle la sua verità.
“la mia
verità?!” mi ha sbeffeggiato. “tuo padre non ti ha
indottrinato per bene su quanto successe? Io non sono il mostro che ti
ha tolto la mamma...”
Ha fatto apparire Charlie
come un uomo senza cuore che lavorava solo e che lo faceva per
guadagnare, senza curarsi di chi rovinava e mandava sul lastrico.
Niente di più lontano da quanto mio padre è stato ed
è per me. Ma se fosse stato davvero un uomo tanto insensibile
prima della morte di mia madre?
Ricordi cosa disse alla cena dai tuoi?
Il giorno della tragedia
lavorò attento come sempre solo a guadagnare più soldi
possibili. Era così concentrato che non si fermò nemmeno
a pranzo così sarebbe potuto tornare a casa prima quella sera,
dalla sua famiglia.
Ammettiamo pure che mio
padre non fosse un padre modello da premio dell’anno. Mia madre
quel premio, però, lo avrebbe vinto di sicuro se mi ha fatto
scudo con il suo corpo e a me è rimasta solo la cicatrice di un
colpo di striscio.
“perché?” le ho quindi chiesto soltanto.
Perché? Ora se lo chiedeva Edward. Perché
l’aveva lasciata sola ad affrontare quell’arpia? Edward si
stava maledicendo. Avrebbe dovuto proteggerla meglio. Avrebbe voluto
entrare con lei ma non glielo aveva permesso. Era una questione che
doveva risolvere da sola, disse.
“occhio per occhio.” Ha risposto solo.
Ha ucciso mia madre solo
perché Charlie l’aveva licenziata. Era un’impiegata
nella Shot Industries e rubava regolarmente ogni mese consistenti somme
di denaro.
Quando se ne accorsero,
Charlie la licenziò. O meglio lo fece qualcuno per lui...nemmeno
tu sai chi licenzi. L’amministratore delegato, nonché
proprietario di maggioranza, di una società con le SI (hai
notato che sono anche le mie iniziali?) ha altri pensieri che sapere
perché manda a casa la gente.
Comunque a quella donna poteva andare peggio, poteva essere denunciata e incarcerata visto che di prove ce ne erano.
Sai per chi rubava tutti
quei soldi, Edward? Li prendeva per il marito Emmett, gravemente malato
e bisognoso di cure. Charlie lo ha saputo solo al processo, non gliene
faccio una colpa.
Quando lui, la sua unica ragione di vita, morì, lei decise di rifarsi sulla mia famiglia.
È semplicemente impazzita, credo.
Si può impazzire
così per amore? Non lo so. Dopotutto credo di non aver mai
provato un amore del genere, ammesso che sia possibile visto che non ha
nulla di razionale e l’uomo è un essere senziente.
Tornando a noi e a quella
donna, credo che non sia riuscita ancora ad accettare la morte di
Emmett. Solo nel momento in cui nominò il marito, i suoi occhi
si riempirono di tristezza e di un qualche sentimento d’amore.
Per il resto fu un pezzo di
ghiaccio dal sorriso falso. Freddo e duro, impossibile da riscaldare
nemmeno con il fumo delle sigarette che fumava in continuazione.
Alla fine del suo racconto, mi sono alzata e l’ho ringraziata.
Ti rendi conto? Ho
ringraziato l’assassina di mia madre per avermi raccontato di
quel giorno, del perché lo ha fatto.
Vorrei odiarla con tutto il mio cuore e invece provo solo pena. Sono vicina al perdono allora?
In attesa di una risposta
continuo a camminare per i boschi di Forks. Mi danno un senso di pace e
di tranquillità che sicuramente mi manca. Così la notte
dormo, ripensando al profumo dei pini e della loro resina. Dormo
pensando ai prati e ai fiori.
Oh no. Non sto diventando un’hippy figlia dei fiori.
Sto solo cercando un modo
per non impazzire e non lasciarmi andare del tutto. Il sacco da boxe
che ho lasciato nel mio appartamento mi manca qui e non posso prendere
a pungi le querce secolari.
La mia partenza da NY
è un fatto grave anche se tu non lo ammetti. Ho lasciato te e il
lavoro come solo una persona poco seria può fare.
L’ultima frase fece ben sperare a Edward. Isabella sarebbe
tornata presto. La conclusione della mail invece fu una doccia fredda.
Ghiacciata.
Devo ancora mettere insieme alcuni tasselli della mia vita.
So di essere Isabella Swan, di essere cresciuta a Forks. Ho completato solo la prima parte del mio percorso.
Ci sono ancora ombre. Non su quello che sono stata a New York, infatti intrattengo ancora rapporti con te.
Ci sono ancora ombre su mia madre, vorrei poterla conoscere meglio ma mio padre si trincera dietro scontrosi silenzi.
Grazie di tutto, Edward. Ho
imparato che dopo Jacob potevo essere di nuovo felice anche con un uomo
vicino (dovresti aver capito ormai che voglio sempre bastare a me
stessa e che non sono mai a mio agio con gli altri, di qualsiasi sesso
siano).
Questa sarà la mia
ultima e-mail. Sei un vero amico, non ti preoccupare, non
sparirò nel nulla cosmico. Ho un viaggio lungo da intraprendere
e questa volta devo essere davvero sola.
A presto,
Isabella
Fu una doccia fredda anche se per
tutti i giorni che Isabella era stata lontana aveva temuto di leggere
“questa sarà la mia ultima lettera.” Sempre. E quel
giorno era arrivato. Conosceva Bella ed era cosciente che lei doveva
prendersi il suo tempo, anche se questo voleva dire che lei sarebbe
stata lontano da lui per un periodo non definito. Tuttavia si
sentì triste alla prospettiva di non sentirla per giorni.
Lo faceva stare meglio il pensiero che un giorno, sarebbe arrivata una
nuova mail in cui lei gli avrebbe chiesto di andare a prenderla. Ne era
assolutamente certo.
Edward stampò la lettera e la mise insieme alle altre nella
cartelletta nel cassetto della scrivania. Solo lui aveva la chiave di
quel cassetto e la conservava nel portafogli. Sfogliò il
contenuto di quella cartella senza nome. Isabella non era solo un nome
qualsiasi, era qualcuno che sentiva vicino al cuore.
Rilesse tutte le lettere che lui e Isabella si erano scambiati, le
copie del contratto d’assunzione di lei, firmato in calce da suo
padre e alcuni appunti che la sua solerte segretaria gli aveva lasciato
nei mesi in cui aveva lavorato per lui.
Il suo preferito era quello del rimborso spese per la sua colazione. La
signorina Swan aveva preso tanto del carattere forte e autoritario del
padre e lei forse nemmeno se ne rendeva conto.
Aveva raccolto più documenti possibili su quella vicenda e
Edward si ritrovò tra le mani anche il contratto firmato da
Charles Menton e Carlisle Cullen per la vendita a quest’ultimo a
un prezzo minimo della quota di maggioranza delle Shot Industries.
Edward dovette ammettere che il progetto era stato ben studiato. Le SI
sarebbero state fuse con la Guns’n Cullen che all’epoca era
una piccola società che produceva principalmente equipaggiamento
bellico e per la polizia.
Padre e figlia sarebbero potuti sparire lasciandosi tutto il passato
alle spalle. Charlie aveva depositato i soldi della transazione, della
vendita della casa e i risparmi su un conto da cui però
raramente attingeva soldi. Aveva scelto do cambiare radicalmente la sua
vita. La sua famiglia era stata da sempre una delle più
importanti di Seattle e dell’intero stato. Aveva scelto per sua
figlia una vita differente, fatta di sacrificio ma anche di amore,
lontano dall’odio che solo i soldi e l’avidità
possono causare.
Credeva di sapere perché il signor Menton aveva deciso di
abbandonare tutto. Non solo per lasciarsi quella tragedia alle spalle.
Charlie si sentiva come se a premere quel grilletto fosse stato lui e
non Rosalie McCarty. Era stato lui a uccidere la sua amata Renèe
perché aveva licenziato una persona bisognosa e ne aveva armato
la mano. Charlie Swan si sentiva ancora, dopo venticinque anni, ancora
in colpa e responsabile di quella tragedia.
Edward aveva trovato anche i documenti sull’università di
Bella e sulla borsa di studio con cui aveva potuto frequentare. Si
diede dello stupido per non averci pensato prima. Suo padre aveva
mantenuto la promessa e aveva aiutato Isabella a realizzarsi.
Una promessa che continuava ad assolvere da quando aveva dato la sua
parola, ovvero al cospetto degli avvocati per la cessione delle SI.
Aveva promesso di aiutare prima negli studi e poi nel lavoro la giovane
figlia dell’amico, ma senza fare favoritismi. Lei avrebbe dovuto
dimostrare di meritarsi tutto.
Il signor E. Cullen riprese in mano i documenti per quei test.
p.s dell'autrice: allora che ne
pensate? direi che i fili sono stati tirati. se ci sono alcuni fili
ancora pendenti, domandate, domandate, domandate e otterrete risposta!
=)
per le recensioni...risponderò il prima possibile.
vi lascio anche questa one-shot da leggere...ci tengo molto
perchè è stata creata una settimana fa per la giornata
mondiale contro l'omofobia: Che differenza c'è.
ciao!!!!
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Capitolo 24 *** Il romanticismo fa schifo ***
cap23
Hola!!
eccomi con il capitolo nuovo =) questa volta sono stata velocissima =)
(è solo per convincere la mia coscienza -.-")
BUONA LETTURA!!
CAPITOLO 23 – IL ROMANTICISMO FA SCHIFO
“Sapere
di avere una famiglia, oltre mio padre, non mi ha cambiato: non mi
sento né meglio né peggio di prima. Aver fatto luce sul
mio passato è stato, però, liberatorio. Non ho più
scheletri nell’armadio che non mi fanno dormire la notte o mi
provocano incubi con sconosciute.
Mi serviva. Mi serviva scoprire come era morta mia madre perché così ho potuto finalmente chiudere quel capitolo.
So che mi amava al punto di dare la sua vita per la mia.
So che mio padre mi ama, nel
suo modo burbero e a volte scontroso, ma mi ama. Ho riscoperto il suo
amore che è arrivato anche a fargli rinunciare ai soldi e al
potere solo per vedermi crescere felice. Orgoglioso com’è,
deve essergli costato un grande sforzo farsi promettere da tuo padre di
darmi un lavoro quando fosse arrivato il momento. Ma lo ha fatto sempre
per il mio bene.
Sono pronta per andare avanti e farmi una vita.
Guardo l’oceano e non fa per me.
Vieni a prendermi.”
Isabella era sulla veranda della casa californiana di Philip Dywer e
guardava l’oceano quando Edward arrivò. L’ultima
mail della ragazza lo aveva riempito di una tale gioia che non aveva
aspettato una sola ora per contattare il pilota del suo jet e dirgli di
tenersi pronto: destinazione Los Angeles.
Edward aveva parcheggiato l’auto presa a noleggio a un centinaio
di metri dalla spiaggia e aveva proseguito a piedi. Era quasi sera.
“tutto ciò è stucchevolmente romantico. Il tramonto
sul mare calmo, io che guardo l’orizzonte in attesa di una
qualche rivelazione pseudo filosofica e tu che mi compari davanti
vestito sportivamente per riportarmi a casa.”
Edward non disse nulla e le tese solo la mano, invitandola ad andare
con lui a fare una passeggiata proprio in riva a quel mare tanto
stucchevole quanto incantevole.
“ecco. Ora il quadretto da romanzetto rosa di terza categoria
è completo. L’uomo affascinate che si crede un principe
azzurro vuole salvare la giovane donzella...”
Edward non aveva ancora ritratto la mano e l’ironia della ragazza
non aveva scalfito il suo intento. La guardava con quegli occhi verdi,
profondi e magnetici. Isabella sbuffò ma alla fine
afferrò la sua mano.
Lo so, lettore, questa storia è proprio degna di uno di quei
romanzetti citati dalla nostra protagonista, ma il mio animo è
troppo romantico per non dare anche spazio ai sentimenti di Edward e
Isabella. Non posso tirami indietro ora che la scoperta della
verità su Renèe Dywer li ha fatti uscire allo scoperto,
anche se non intenzionalmente, su ben altre verità.
“dovrò cercare un altro lavoro, temo.” Isabella
ruppe il silenzio per prima. Le onde davano solo un dolce sottofondo ai
loro passi che affondavano nella sabbia.
“immagino che con questa decisione c’entri il fatto che tuo
padre non ha mai visto di buon occhio il tuo lavoro.”
Lei scossa la testa e sentì le guance surriscaldarsi.
Sperò che l’aumento di temperatura fosse stato causato dal
sole morente e che non si notasse all’esterno. O che quanto meno
il rossore fosse coperto dalla leggera abbronzatura.
“sei un grande amico, Edward. E solo per questo, il nostro rapporto di lavoro potrebbe essere compromesso.”
Il signor Cullen, sempre composto e con anni di esperienza su come
mantenere la migliore faccia di bronzo, non batté ciglio, ma
accusò il colpo tutto all’interno del corpo. La delusione
alla parola amico era enorme.
“solo per questo non dovremmo più lavorare insieme.” Riprese Bella senza accorgersi del malessere del suo amico.
“non è essere amici il problema. È questo.”
Alzò le mani intrecciate. “non so cosa significhi per te,
ma per me ha un preciso significato, anche se sono poco sentimentale e
non capisco un accidenti di relazioni tra uomo e donna.”
Edward si fermò costringendola a una brusca frenata.
“sulla mia scrivania c’è già il documento per il tuo trasferimento in Ricerca e Sviluppo,
sempre che tu lo voglia. Devi solo firmarlo e il posto è tuo. Mi
piacerebbe tenerti al mio fianco ma ci sono regole anche per il capo.
Devo dare il buon esempio e questo,” alzò alche lui le
loro mani “significa troppo anche per me.”
Isabella sentì il cuore scoppiare per la gioia. Non aveva mai
provato qualcosa di così forte e temette che il cuore le uscisse
dal petto. Che diavolo le era saltato in mente di stare con Jacob
quando il suo sentimento per lui era solo una debole fiammella, non il
potente vulcano in eruzione di quel momento? E non era il sole a
scaldarla dentro.
“però ora basta con questi discorsi. Il romanticismo non
fa per me e oggi ne ho avuto una dose eccessiva. Il romanticismo fa
schifo.”
Edward l’abbracciò e le depositò un tenero bacio sulla fronte. Si erano quasi dichiarati
e voleva andarci piano ancora per un po’ (ma non troppo visto che
aveva in testa anche un’altra proposta di trasferimento). Si
sorprese così tanto quando Isabella lo baciò sulle labbra
che quasi non rispose al bacio.
“parliamo delle condizioni per il tuo trasferimento.”
“perché?” Lei si staccò dall’abbraccio
sorpresa. “ci sono condizioni? Non sono solo troppo brava e
troppo qualificata per fare la tua segretaria? E poi credevo che essere
la ragazza del capo avesse dei vantaggi...” gli sorrise dolcemente nel pronunciare l’ultima frase.
“ovvio.” Edward era suo complice e compagno di scherzi. La
attirò di nuovo a sé nell’abbraccio. “devi
solo aiutarmi a trovare una tua degna sostituta. Anche se sarà
difficile.”
“sarà un piacere sceglierla femminile e bellissima...il
mio esatto opposto. Così non ti attrarrà.”
“gelosa, signorina Swan?” Edward la sollevò e la
fece girare. Quando, ridendo, la mise a terra, le scostò i
capelli dal volto. “ti sei bellissima e sei speciale. Per cui
ecco la mia seconda condizione. Ora vai a fare le valigie, saluti i
tuoi nonni promettendogli che li chiamerai presto e torniamo a New
York.”
“altro signor Cullen?”
“oh si, non ho ancora finito. Ti trasferisci immediatamente da me.”
Ora, gentile lettore, non è il caso di riferire, a mio modesto
parere, la discussione che seguì questa proposta. Ti basti
sapere che Bella avanzò molte obbiezioni, prime tra tutte che
lei adorava la sua indipendenza e che voleva andarci piano per non
rovinare tutto. Edward fu più testardo di lei e non volle sentir
ragioni. Vinse lui, promettendole che avrebbe avuto i suoi spazi e le
sue libertà, sacco da boxe incluso.
Bisogna invece tirare le somme di questa avventura.
Proseguirono la loro passeggiata mentre il sole scendeva oltre
l’orizzonte, centimetro dopo centimetro fino a scomparire
nell’oceano.
Sembrava che quei mesi non li avessero passati lontani. Niente nel loro
rapporto era mutato. C’era ancora quella complicità e
simpatia che li aveva fatti avvicinare e diventare amici.
Scherzarono, risero e fecero discorsi seri (ogni tanto Bella tentava ancora di rifiutare il trasferimento da Edward).
Tutta questa storia qui narrata aveva avuto un effetto positivo su
entrambi. Erano più consapevoli di loro stessi e
dell’altro e così riuscivano ad aprirsi ai loro
sentimenti, al dolore e alla gioia che bussavano insistenti alla porta
del cuore.
Avevano scoperto entrambi che poter fare affidamento su qualcun altro
non era segno di debolezza ma dell’umanità che aveva
scalfito la loro dura corazza di freddezza e indifferenza che li
proteggi ava dal mondo.
Isabella che era rimasta scottata da Jacob, aveva trovato in Edward una
persona che non era innamorata della sua immagine ideale ma che
l’accettava anche quando era al poligono e lo batteva in faccende
tipicamente maschili.
Edward, invece, aveva imparato che la vita non si riduceva a una sfida;
che amare qualcuno era la scommessa più grande e impegnativa che
potesse affrontare ma allo stesso tempo anche la più stimolante
e soddisfacente se, come nel suo caso, era ampiamente ricambiato.
Insomma, caro lettore, avevano scoperto a piccoli passi d’amarsi
e quello che venne dopo è tutta un’altra storia (epilogo
escluso).
P.s. dell'autrice:
ho visto che le recensioni sono un po' calate e mi dispiace, anche se
capisco che i miei tempi lunghi d'aggiornamento abbiano influito
negativamente. di questi ritardi non mi scuserò mai abbastanza.
Ora, credo abbiate notato come il
narratore oggi non sia riuscito a restare troppo zitto, ma dopotutto
lui non conorda troppo con Bella; per lui il romanticismo non fa poi
così schifo. ù_ù
Contrariamente al mio solito vi
annuncio che questo è l'ultimo capitolo prima dell'epilogo vero
e proprio che è già in cantiere. Spero di postarlo presto
e di leggere tanti vostri commenti =)
Ciao!! =)
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Capitolo 25 *** Epilogo ***
cap 24
Ciao!! Visto che è l'epilogo non vi ho fatto aspettare troppo.
Avevo in mente questa scena sin dal primo capitolo e spero di averla resa come l'avevo pensata.
Ditemi voi se rende bene l'idea....BUONA LETTURA!!
EPILOGO
Il plin
dell’ascensore annunciò l’arrivo di una persona e
dalle porte scorrevoli, uscì una ragazza. La giovane si guardava
attorno chiedendosi se fosse capitata nel posto giusto.
Il lungo corridoio, che si
concludeva con una porta in vetro smerigliato, sembrava un ingresso
costruito appositamente per intimidire e mettere in soggezione il
povero malcapitato. Afferrò la valigetta un attimo prima che
questa toccasse terra. Deglutì a disagio e si sistemò
meglio gli occhiali sul naso per darsi tono e contegno.
La povera pianta disidratata
nell’angolo era l’unico elemento tetro dell’ambiente,
ma era la prospettiva quella che contata. E l’unica cosa che la
ragazza vedeva nella suo campo visivo era la porta di vetro smerigliato
che la metteva parecchio a disagio.
Si guardò attorno, insicura,
e pregando che quella della reception non le avesse tirato un brutto
scherzo mandandola chissà dove. La tizia preposta
all’accoglienza era tutto tranne accogliente. Forse lo avrebbe
detto al suo nuovo capo. Forse.
Per il momento si accontentò
di percorre il corridoio con la tremarella alle gambe e fissando solo
la porta in fondo, il suo obbiettivo.
TOC
La ragazza interruppe il suo percorso, guardando dietro la scrivania che credeva vuota.
Dal tavolo prima era arrivato un
colpo secco, il contenuto del portapenne era sussultato e una voce
femminile diede libero sfogo al proprio dolore.
La ragazza fu felice che la donna
che stava riemergendo massaggiandosi la testa fosse lì e si
fosse palesata anche se con una testata al legno della scrivania. Non
era stata mandata in un posto completamente deserto, un’anima pia
a cui chiedere informazioni c’era. Si avvicinò a lei con
un gran sorriso.
“scusa non volevo farti spaventare e picchiare la testa.” Disse la giovane credendosi la causa della capocciata.
“oh non ti preoccupare.
L’angolo della moquette si è scollato e si incastra nelle
ruote di questa maledetta sedia girevole. Ogni volta devo chinarmi per
disincastrarla...Sarà così da un anno, se non di
più ma mi dimentico sempre di chiamare la manutenzione. Ti serve
qualcosa?”
“sì sto cercando
l’ufficio di E. Cullen.” disse leggendo il post-it giallo
incollato sulle dita. Isabella trattenne una risata. Anche a lei il suo
primo giorno di lavoro era stato consegnato un biglietto simile, al
piano terra dovevano avere una passione per i nomi puntati e per i
foglietti gialli.
“e chi lo cerca?”
La giovane non era preparata a
incontrare una segretaria. Le avevano detto che avrebbe incontrato
direttamente il signor E. Cullen. La giovane si riprese, non poteva
fare brutta figura nella sua prima ora in quel tempio sacro. La
sicurezza non era una delle sue doti principali, ma cavolo! Era
riuscita a varcare la soglia della Guns n’ Cullen, qualcosa
doveva pur voler dire!
La donna non attesa la risposta
della giovane e si alzò dalla sedia, mettendo in mostra il suo
bel pancione di quasi sette mesi.
“mmm, capisco. Tu devi essere la mia sostituta.”
“la tua sostituta?” la ragazza stava per chiedere quali mansioni dove svolgere quando un ennesimo plin annunciò l’arrivo di un altro visitatore.
“merda...” Isabella si
lasciò sfuggire un’imprecazione sottovoce non proprio
fine, poi riprese il suo migliore sorriso ad uso e consumo di un Edward
decisamente imbufalito.
“Isabella Marie Swan!”
“ecco il grande capo signorina...”
“Kate Lancaster.
Piacere.” Le due donne fecero solo in tempo a stringersi la mano
che Edward si mise tra di loro con uno sguardo assassino ignorando
completamente la giovane Kate.
“dovresti essere a casa, non in ufficio.”
“un secondo solo
Edward.” Alzò la cornetta del telefono che squillava e
rispose con tono professionale. “qui ufficio di Edward Cullen.
Sono Isabella, con chi ho il piacere di...” Edward si era sporto
oltre il tavolo e aveva interrotto la chiamata.
“ma sei impazzito?”
Isabella gli sventolò sotto il naso la cornetta prima di
sbatterla sul telefono. Era decimante arrabbiata e presto gli animi si
sarebbero riscaldati ancora di più.
“tu sei impazzita non io!”
“poteva essere una cosa
importante.” Bella decise che aveva ragione. Ignorando ancora una
volta il suo compagno chiamò lo Starbucks da cui era solita
ordinare la colazione al suo capo. Stava appunto ordinando il
caffè, il muffin e una tazza di tè per sé,
accarezzandosi il ventre gonfio, quando Edward fece la sua contromossa.
“perfetto, se la metti
così, io chiamo tuo padre.” Isabella sbiancò per un
solo secondo. Charlie era stato decisamente troppo euforico e troppo
eccitato per l’arrivo del nipotino. Immaginava un’intera
squadra di calcetto. Decisamente troppo, troppo eccitato per i gusti
della figlia. Per trattenere il suo spirito di nonno felice, aveva
accettato con sollievo l’idea di Edward di fargli dirigere la
sede di Seattle. Dopotutto era pur sempre Charles Menton.
Isabella completò il suo ordine con incredibile no calanche e prese anche lei il suo cellulare.
“e io chiamo tua
sorella.” Alice Cullen era sempre pronta a strigliare il fratello
se avesse fatto qualcosa che dispiaceva alla sua nuova cognata. Lei
sì che era sempre dalla sua parte, anche quando Isabella faceva
di testa sua. Forse perché per ora Alice voleva tenere nascosta
la sua relazione con un capitano dei marine e l’unica a
conoscenza della storia appena iniziata era proprio la quasi cognata.
Ciò che seguì le
dichiarazioni di alleanza fu un vero inferno. La povera Kate Lancaster
che assisteva ignorata, incredula e sbalordita al litigio, non sapeva
più cosa pensare. Credé di essere nel bel mezzo a una
battaglia.
O a un litigio tra innamorati.
Beh, lettore, noi sappiamo che era
la seconda opzione. Erano passati alcuni anni da quel giorno sulla
spiaggia dove si erano dichiarati, ma Edward e Isabella non erano
cambiati molto.
Lei lavorava al reparto di Ricerca e Sviluppo,
aiutava Edward a trovare una segretaria all’incirca ogni sei mesi
(più o meno abbandonavano tutte per l’esaurimento nervoso
che il signor E. Cullen provocava loro. Edward aveva standard molto
alti e sotto sotto voleva ancora Bella al suo fianco) ed era incinta.
Lui era sempre il temutissimo Squalo Cullen, lavorava come un pazzo ed era sempre più innamorato.
“tutto ciò con cambia le cose, Bella! Tu non dovresti essere qui.”
“sto solo rispettando le tue
condizioni. Ti sto aiutando a trovare una nuova segretaria!”
Isabella indicò la ragazza rimasta silenziosa spettatrice di
quel quadretto.
“scusate...” per la prima volta Kate tentò d i intervenire, ma Edward l’anticipò.
“me la cavo benissimo da solo.”
“oh, si vede.”
Ribatté lei ironica. “La tua programmazione settimanale
è uno schifo.” Bella alzò teatralmente un lato
dell’agenda per poi farla sonoramente ricadere sul legno.
“se non facevi scappare l’ennesima assistente che ti avevo
trovato, non saremmo qui!”
“tu non capisci che devi
riposare?!” il signor Cullen si stava per mettere le mani nei
capelli. Isabella era diventata decisamente più testarda da
quando era in dolce attesa.
“sto mantenendo la mia parte
di condizioni, ricordi? Devo aiutarti a trovare la persona adatta. Non
è colpa mia se tu le fai scappare tutte! Se lei sarà
adatta...”
“scusate!” Kate era stanca che parlassero come se lei non fosse presente.
“che c’è?”
entrambi si voltarono urlando contro Kate che indietreggiò di un
passo. Isabella si sedette sulla sedia mentre Edward prese
elegantemente posto sulla scrivania, una gamba a penzoloni e
l’altra a terra, le braccia incrociate. Dedicarono tutta la loro
attenzione alla malcapitata.
“io non sono qui per il posto di segretaria.” Sussurrò la signorina Lancaster.
Edward e Isabella si guardarono sorpresi.
“ecco...” Kate estrasse
una lettera dalla valigetta che aveva con sé. “è
del professore Dywer e...”
“ma certo! Devo avere anche
da qualche parte il suo curriculum.” Bella batté la mano
sulla scrivania e si alzò, sgridandosi mentalmente per essersi
dimenticata il nome della sua futura apprendista. “Edward ti
accontento e me ne vado. Lei invece venga con me, le faccio vedere dove
lavorerà.”
“ehi, ferma!” Edward
non era stato avvisato che Philip Dywer, divenuto insegnante al MIT di
Boston, aveva preso accordi con la nipote perché i suoi studenti
più brillanti facessero un periodo di stage presso la Guns
n’ Cullen dopo la laurea. “accompagnala e poi affidala a
Roger. Tu vai a casa. Non costringermi a toglierti il badge o a dire
alla sorveglianza che non ti facciano più entrare.”
Isabella schiumava dalla rabbia.
Sapeva che tutti facevano quello che Edward voleva, solo lei gli poteva
tenere testa. Stava per ribattere quando l’ascensore si
aprì di nuovo. Sembrava che il tempo quel giorno fosse scandito
dal suo plin.
Angela Weber stava accompagnando un
giovane e riccio biondino ridacchiando e chiacchierando. Sembrava
esserci del feeling tra i due.
“oh, signor Cullen...”
Angela arrossì vistosamente mentre Edward la guardava
sconcertato. “lui...lui è...”
“signor Cullen, è un
piacere conoscerla. Ben Cheney.” Il giovane tese la mano e tolse
d’impiccio l’avvocatessa. “mi aveva fissato un
appuntamento per il posto come suo assistente questa mattina. La
signorina Weber è stata così gentile da mostrarmi la
strada.” Sorrise in direzione della signorina, sempre più
imbarazzata.
“bene,”trillò
Bella con eccessiva gioia per spezzare l’odioso silenzio
creatosi. “signor Cheney le auguro buon lavoro e tenga duro, mi
raccomando. Edward fa in modo che non si licenzi tra una settimana e
torna a casa presto. Kate, Angela, voi scendete con me?”
Isabella prese la via dell’ascensore ma poco prima che vi entrasse, Edward la fermò.
“ti amo pazza
sconsiderata.” Le sussurrò in orecchio, sapeva che lei
odiava le sue esternazioni sentimentali, ma in quel momento doveva
dirglielo, soprattutto dopo l’acceso scambio di opinioni.
“minaccia ancora di chiamare
mio padre e dormi sul divano.” Gli rispose lei, tirandolo per la
cravatta. Era il suo modo per dirgli ti amo.
“e tu vai a casa.” Isabella scosse la testa. Non si arrendeva proprio...
Si lasciarono con un sorriso.
Nell’ascensore, Bella
spiegò brevemente alla nuova ragazza cosa avrebbe dovuto fare.
In poche parole sarebbe dovuta essere la sua assistente. Suo nonno
aveva pensato di mandargliela prima del previsto, un aiuto per la
gravidanza. Anche lui era decisamente esaltato perché diventava
bisnonno.
Lasciò la giovane a firmare
il contratto con Garrett, l’apprendista di Angela. Invece lei si
dedicò a interrogare quella che era diventata dal lontano giorno
della spa, una cara amica. L’avvocatesse aveva lasciato Eric
Yorkie, quello della contabilità che faceva il filo a Bella, il
lunedì dopo, al rientro a New York, esattamente come predetto
dallo Squalo.
“che è successo con il giovane signor Cheney?”
“niente. Alla reception il suo nome non risultava, quindi l’ho salvato. Sono degli incompetenti.”
“intendevo in ascensore, Angela.” Ribatté Bella con un sorrisetto malizioso.
L’altra negò qualsiasi
cosa sempre arrossendo, ma poi chiese se andava troppo contro le regole
aver accettato un drink da Ben.
“in teoria quando l’ho
accettato lui non era ancora l’assistente del capo...” si
difese. “solo un drink di ringraziamento...”
“se il grande capo Edward vi
crea del problemi mettendo in mezzo politiche aziendali e regole di
comportamento, tu vieni da me e dimmelo. Poi sì che dorme sul
divano. Lui le ha infrante tutte.”
Isabella Swan, ragazza arrivata con
un grande sogno a New York, aveva scoperto ingombranti verità
sul suo passato ma aveva trovato anche qualcosa di ben più
prezioso. Era restia ad ammettere i suoi sentimenti, ma al suo compagno
non interessava molto perché lei sapeva dimostrargli ogni giorno
la portata del suo amore.
Apparve dal nulla Edward con una tazza di Starbuks in mano.
Isabella lo vide e gioì, le
aveva portato il suo tè. Prima che lui raggiungesse le due
donne, lei si mise una mano sulla pancia e sorrise all’amica.
“ci sposiamo.”
FINE
p.s dell'autrice
(che in questo momento non è del tutto in sè, vista la
parolina che c'è lì sopra): ebbene siamo giunti alla fine
di questa storia.
Dopo 23 capitoli, un prologo, un epilogo e 85 pagine word, Love Shoting si chiude qui.
Non ci sarà un seguito. Mi sembra che la storia sia bella
conclusa in questo modo (e io sono una frana con i sequel
ù_ù)
Tornerò a pubblicare storie a settembre (credo. a meno che ci sia l'occasione per qualche one shot), prendendomi questa
estate di pausa. Forse continuerò il seguito di Io, a Beverly
Hills oppure ne nascerà una nuova in onore della seconda parte
di Breaking Dawn oppure che ne so...una storia totalmente ooc e au come piace a me, condita con un pizzico di storia...
Per ora posso solo dire un immenso
GRAZIE a tutti voi che mi avete sostenuto nonostante i tempi biblici di aggiornamento.
GRAZIE per gli 86 PREFERITI
GRAZIE per i 314 SEGUITI
GRAZIE per i 26 RICORDATI
GRAZIE per le quasi 300 recensioni.
un GRAZIE speciale a sweet_ebe che sempre consiglia e sopporta.
A presto, Sara.
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