Second Sight.

di velocity girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ••• ***
Capitolo 2: *** Sometimes ***
Capitolo 3: *** I ***
Capitolo 4: *** Almost ***
Capitolo 5: *** Feel ***
Capitolo 6: *** Just ***
Capitolo 7: *** Like ***
Capitolo 8: *** A ***
Capitolo 9: *** Human ***
Capitolo 10: *** Being ***



Capitolo 1
*** ••• ***


Second Sight.


Prologo.



Sono le undici, più o meno, le undici e qualcosa al massimo. Camminare per quelle strade non è particolarmente sicuro, considerando chi si può incontrare da quelle parti, ma questa sera non gli interessa visto che ha già affrontato il peggio.
Vuole solo arrivare alla sua destinazione, senza altri casini.

Quando ci arriva davvero si sorprende: per una volta è stato fortunato.
Il portone è aperto, come sempre, quindi si limita a salire le scale frettolosamente, senza badare a fare silenzio. Dalle porte dei vari appartamenti proviene di tutto: musica, schiamazzi, litigate, chiacchiere - sembra quasi che i vari abitanti si siano dimenticati che è notte e che esistono persone che, magari, vogliono anche dormire.
Ma questi non sono suoi problemi.

Bussa quando è arrivato di fronte ad una porta del terzo piano.
Bussa di nuovo, incerto se suonare o meno.
Questa si apre poco dopo ed è proprio Jude ad apparire sulla soglia, dimostrazione che per questa giornate le cose hanno smesso di andare male.

«Oh,» si limita a dire l'inglese quando riesce a guardarlo in faccia, a rendersi conto dei lividi, «vieni.» Continua mentre si fa da parte, invitandolo ad entrare in quel piccolo appartamento, quello dove vive con altri studenti e che appare sempre troppo disordinato o troppo pieno di cose o troppo pieno di persone o... troppo, insomma, gonfio di quella vita studentesca che Robert invidia perché ne vorrebbe fare parte.

Si dirige verso la cucina, stranamente vuota per questa volta, e una volta arrivato torna a guardarlo.

«Posso prepararti qualcosa?»
«Uhm...» Mormora in risposta, pentendosi di non aver ancora detto una parola. In effetti, non è riuscito nemmeno a salutarlo.
Non che questo offenda l'altro, «Un toast, magari?»
«No, non serve.»

Ma Jude non lo sta ascoltando, non lo fa mai. Si limita a prendere un po' di pane e ad adoperarsi in quella che crede essere una cenetta notturna, fatta alle undici di sera. L'altro lo fermerebbe anche, visto che un semplice caffè basterebbe per farlo sentire meglio, ma continua ad avere quel blocco alla gola, nessuna voglia di parlare; sicuramente è ancora un po' scosso per gli ultimi avvenimenti.

«Sai,» si sforza, mentre è lui a guardarlo, «non è stata esattamente colpa mia. Non me la sono cercata, questa volta.»
«Qualche teppista?» Chiede.

Vorrebbe dire "Hooligan" ma non può perché probabilmente questi sono in salotto.

«Direi più... Artisti di strada
«Esistono?»
«Certo che esiston-» e si ferma. Sa per certo che ci sono ancora questo genere di musicisti ed è proprio per colpa di uno di questi se altri di loro hanno deciso di sfasciare mezzo centro, compreso il posto dove lavorava; è proprio questa consapevolezza a farlo fermare di nuovo.

Dicono che l'Inghilterra sia fredda e grigia, sempre bagnata e sempre troppo stanca, ma Robert vive nella periferia da anni ed ancora non ha trovato niente di tutto questo. Il sole non spacca le pietre, né riscalda come fa a New York, ma non ha ancora sentito il gelo. Ci si può vivere, nonostante tutte le differenze culturali e sociali alle quali è andato incontro - e che solo recentemente ha imparato ad apprezzare.

«A che cosa stai pensando?»
«Ad una storia.» Ed è la sua vita. Vorrebbe aprire il proprio cuore e comunicare che cosa c'è dentro, confessare tutti i suoi sentimenti.
«Me la racconti?»
«No, tanto non la ascolteresti.»

Ed è davvero così: Jude non ha mai sentito una sola parola di ciò che ha detto fino ad ora, e di cose gliene ha dette tante.

Prende una sigaretta dal pacchetto un po' ammaccato che porta sempre in tasca, «Non avevi smesso?» Chiede subito l'altro, mentre posa il toast finalmente pronto davanti a lui - e dentro ha messo del formaggio, solo quello, cosa che a Robert farebbe anche ridere se non fosse che deve mangiarlo in ogni caso - e si siede su un'altra sedia, per niente turbato dalle sue parole, forse perché non le ha colte, «avevi detto che quel musicista ti aveva convinto...»

Già.
Si domanda dove si può trovare adesso e si risponde che, probabilmente, è in qualche locale a suonare il suo jazz poco commerciale ma venduto ma ascoltato ma.
«Sono nervoso.» Giustifica.
«Mah, certe volte mi viene in testa che sono io a farti agitare.»

Certo che è lui. Tra le tante caratteristiche che ha, fra le prime c'è sicuramente la capacità di scombussolargli la testa - incasinarla, sconfiggerla, piegarla alla sua presenza.
Ed è fumo: nella sua mente, nella stanza, nel momento, in quella notte; è la cenere che non sa dove buttare, ricordo di giorni meno sereni e prospettiva di un futuro incerto.

Lo licenzieranno di certo, se vedono com'è ridotto, perderà il lavoro se il locale è irrimediabilmente distrutto.

«Puoi dormire qui se ti va.»
«C'è spazio?» Si limita a domandare. E per quanto non lo stia mostrando, il suo cuore sta battendo e battendo, perché dormire qui significa dormire con Jude, stargli accanto, sfiorarlo, il tutto fingendo di non adorarlo.
I suoi sogni si infrangono subito, immediatamente, non appena lo stesso inglese fa: «Abbiamo una stanza vuota... puoi dormirci tu o-» e continua a dire qualcosa, mentre Robert si sforza di mangiare il toast.

Per nascondere la propria espressione, se non altro, per non fare il solito malinconico misterioso.
«Sì, va bene.»
E sorride, dopo un attimo di incertezza, per calcare un po' il concetto. Il ché fa scattare Jude come una molla mentre - oramai in piedi - aggira il tavolo e corre verso la stanza in questione, probabilmente per mettere delle coperte sul letto.
Lo sente canticchiare da lontano - I used to wake up in the morning - e riconosce i The Who che ascolta dalla mattina alla sera; stonato, stonatissimo, praticamente inascoltabile.

Per la seconda volta non scoppia a ridere, ma sospira. Come se si fosse rassegnato.
Forse dovrebbe capire bene che cosa pensa, cosa gira per la sua testa. Forse sta tutto nella logica delle ultime settimane. Ed anche messa così... non sono altro che belle frasi, nulla di concreto, per quanto sia stato un cammino pieno di musica, rumori e bisbigli.





Note:
Uno svampito disordinato che ha come motivo di vita i The Who? So cosa state pensando: non sono io travestita da Jude; lasciatemi un paio di capitoli e ve lo dimostrerò.

Quindi sì: ecco la long che avevo promesso. È una AU ed è anche abbastanza corta: solo nove capitoli.
È ambientata a Bristol, precisamente nel borgo di Redland. Avevo bisogno di un posto che stesse nella "periferia" - quindi lontano da Londra - e ho scelto Redland perché è quello che più di tutti corrisponde alla mia idea di "Quartiere Studentesco".
Ma è solo per dare un po' di precisione alla fanfic, non serve immaginarla o averla vista (e va beh, i personaggi studiano ai veri indirizzi dell'università di Redland, ma ne parleremo quando sarà il momento... x'D)

Qualche nota "tecnica":
Ho praticamente azzerato la differenza di età: Jude ha 20 anni, Robert uno e mezzo di più. Il primo è uno studente, il secondo lavora ed ha una strana tendenza a mettersi nei guai.
Jude è vegetariano, quindi anche il mio lo è (e mangia i toast proprio come piacciono a me, lol).
Robert è nato a NY, ma in effetti è cresciuto a Londra... va beh, è una AU, quindi si può far finta che sia cresciuto lì dov'è nato xD

E questa fanfic meriterebbe talmente tante dediche che non so da dove iniziare. Quindi la dedico a tutte quelle meravigliose persone che hanno letto, commentato, preferito e ricordato la mia oneshot: vi adoro
Ma in particolare a Manu & Barbara che mi sono sempre state accanto durante la stesura di questa fic e che mi hanno aiutata in una maniera indicibile, tenendomi la mano anche quando vagavo nel delirio più puro. mi ha persino aiutata a postare, consolandomi quando blateravo di cestinare tutto (cosa che avrei seriamente fatto senza di lei), quando - invece - avrebbe dovuto staccarmi la testa dal collo, semplicemente & senza troppi complimenti. Ed anche a Roberta, che ci teneva davvero molto a leggere qualcos'altro di mio. Grazie donne! ♥

Il titolo viene dalla canzone dei Placebo ovviamente e, vi avviso fin da ora, non c'entra proprio niente con la fic in sé xD

Au revoir~

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Capitolo 2
*** Sometimes ***


Primo capitolo:
Sometimes.


Uno dei clienti si alza, quindi Robert ne approfitta per avvicinarsi al tavolo e pulire velocemente. In questi momenti si sente una macchina: non importa che filo stiano seguendo i suoi pensieri, deve abbandonare tutto per riordinare in fretta.
Ed è una stupidaggine, perché effettivamente l'affluenza non è molta. Affatto, c'è spazio per tutti, non deve mica sparecchiare immediatamente... forse oggi non lo farebbe nemmeno, se non fosse per Jimmy appostato al bancone.

E quando c'è lui significa che si deve fare secondo le regole: lavorare e basta, anche quando questo vuol dire eliminare le briciole.
Ma va bene così, non si lamenta nemmeno: dal momento che fare il cameriere e l'inserviente - ma più inserviente che cameriere - è il suo unico lavoro, può accettarlo con umiltà. Almeno lo tiene lontano da casa sua, il ché non fa assolutamente male.

Poi, considerando che si trova a Redland - che come borgo non offre chissà quanti posti dove adoperarsi, anzi - deve ammettere che è stato fortunato a trovarlo.

In realtà Bristol è una città molto grande, diversissima dai villaggi che la circondano: è stato lui a volere un lavoro a Redland, fra i tanti quartieri, impuntato per stare proprio in quel posto così universitario e studentesco, diverso dal nulla che sopporta stando in Inghilterra da troppo tempo.

Sistemate le cose esce fuori dalla porta del piccolo Fish and Chips. Si guarda intorno con un movimento un po' distratto, giusto per rendersi conto che il centro è sgombro: pochissime persone, per lo più dirette nei vari negozi intorno.
La libreria, la lavanderia, la videoteca, i pub chiusi; persino loro hanno più attrattiva del ristorantino, nonostante siano spenti e vuoti.

Accende una sigaretta e, una volta aspirato il primo tiro, si rende conto che qualcuno c'è e sta suonando proprio lì vicino: sente le note fuse nell'aria, ben sistemate, di un genere che non ascolta e di uno strumento che, dal vivo, non ha mai visto.
Questi particolari attirano la sua attenzione, perché si ritrova a guardare, senza essere davvero curioso sull'esibizione - non una delle poche, considerando che l'indirizzo musicale dell'Università non è distante da lì: sono molti gli studenti che adorano farsi vedere ed ascoltare, solitamente in quest'ordine - pubblicamente.

Perché alcuni si reinventano quando hanno chi li guarda.
Altri semplicemente smettono di essere loro stessi.

E questo qui, che di certo deve essere uno di loro, ha con sé una tromba, Regina d'ottone dal suono non troppo simpatico. Robert non ne capisce molto, ma ad orecchio inesperto pare anche abbastanza bravo, strano che ai suoi piedi la custodia dello strumento non sia aperta: potrebbe ricevere non pochi soldi.

Preso da questi pensieri, non si accorge che il musicista ha intercettato il suo sguardo, smettendo di suonare per accettarsi che stesse guardando proprio lui; il riscontro è positivo, non vale la pena negare.

«Ciao!» Lo saluta cordiale, allontanando il bocchino della tromba dalla sua bocca.
«Ciao...» Borbotta Robert in risposta, imbarazzatissimo. Di tutte le figure che poteva fare, questa suona come una delle peggiori...

«Sei uno dei pochi che oggi si è accorto di me.»
«Sì?» Tenta. Si sente un po' in soggezione, lì fuori, a parlare con uno sconosciuto che probabilmente vuole pure qualcosa.

Ma l'altro ha l'aria simpatica - lo deve ammettere - e subito prende a parlare, quasi a spiegarsi: «È strano: suono nel Jazz Club ogni venerdì e qualche volta il sabato, riuscendo a riempire il locale,» sorride mentre lo dice, segno che è davvero molto socievole come sembra, per niente spocchioso in confronto a quello che ci si immagina da un tipo che suona la tromba e suona jazz: il suo modo di fare sembra stranamente vero, «invece di giorno nessuno mi riconosce. E sì, sono le stesse persone, te lo posso garantire...»
«Che peccato.»

A dispetto dalle prime impressioni, si può dire che Robert non è né timido né troppo riservato; il suo unico problema è quello di non riuscire a dare troppa confidenza alle persone che non conosce molto ma, passati quei primi passaggi, si scopre davvero diverso. Molto più sereno di quello che appare all'esterno.
Il problema sta appunto nell'arrivare a capirlo.

«Ti sono piaciuto?»
«Come?»
«La musica. Ti piace?»
«Beh, cred-»
«Molti mi criticano perché tendo ad essere piuttosto leggero, un po' alla Terence Blanchard, quando invece dovrei ispirarmi-» continua a parlare mentre, naturalmente, il suo interlocutore non ha la minima idea di che cosa stia dicendo; si sente anche tremendamente ignorante al confronto, non conosce nessuno di quei nomi, e non saprebbe nemmeno capire la differenza tra Cool Jazz e Smooth Jazz o via così.

Lo interrompe, preso - ed anche un po' bruciato - da questa considerazione, «Non lo so... sono più per il rock. Anni ottanta. Mi piacciono gli anni ottanta.»
«Aaaah, quindi sai davvero apprezzare la buona musica!»

Lo sa fare? Magari ha dei bei gusti, ma è diverso da intendersene.

«Non saprei.»
«Beh,» si avvicina finalmente l'altro, tendendogli la mano che non tiene la tromba, «io sono Val. Piacere.»
Stringergli la mano, stringergli la mano, stringergli la - «Robert.» - e naturalmente non si muove di un passo, visto che il suo scheletro non collabora con i nervi e con la carne, impedendogli di eseguire un semplice comando dettato per il codice sociale.
Si domanda quanto possa sembrare imbecille in questo momento, quanto disadattato può apparire agli occhi del ragazzo che ora sta abbassando il braccio che aveva teso.

«Quiiindi... lavori qui?»
«Purtroppo.»
«Non mi sembra molto frequentato...»
«No, infatti,» e si concede di ridacchiare, finalmente un po' sciolto, «anzi è praticamente vuoto.»
«Bene, allora: sembra che avete un nuovo cliente.»

Sorride, mentre lo dice, perché non fa altro.


*


E cliente è stato: ha voluto pagare anche le poche cose che ha preso, rifiutando qualsiasi tipo di offerta da parte del cameriere - per fortuna sua, visto che non può fare una cosa del genere, soprattutto se c'è Jimmy intento a controllare la situazione.
Già tanto che gli ha concesso una breve pausa!

Hanno parlato seduti ad uno dei tanti tavoli, nonostante non si conoscano proprio, e scoperto di avere qualche punto in comune. Potrebbero diventare amici e almeno il trombettista sembra deciso ad arrivare a questa conclusione.
Chissà perché ci tiene così tanto, poi.

«Studi musica?» Gli chiede Robert, quando sono arrivati ad aver finito un intero cartoccio di patatine, decisamente più a suo agio nel porre con le domande e varie curiosità.
«No,» risponde prontamente l'altro, smontando per un secondo la sua espressione contenta, «Economia.»
«Economia?» E questo fa davvero ridere, non riesce ad immaginare un indirizzo più sbagliato per la persona che ha di fronte.
«Mio padre ha scelto per me e mi stava bene, credimi, fino a quando lei mi ha detto che non potevo lasciar correre via il mio talento...»
«Lei? La tua tromba?» Ed ovviamente la sua espressione è ridicola per quanto è perplesso, «parli con una tromba?»

Val torna a ridere, «No, Joanne è una ragazza normale.»
«La tua fidanzata ti preferisce musicista, quindi?»
«Non è la mia fidanzata!» Replica, questa volta imbarazzato - ed è bello vedere che non è il solo a star facendo figure orribili - e un po' turbato. Dirlo sembra costargli molto, non perché riservato - anzi, sembra proprio quel genere di persona che da' confidenza a tutti - ma perché probabilmente infatuato di questa ragazza.

«Scusa.» Risponde solo, rendendosi conto di aver toccato una ferita. Forse doveva aspettarsene una così esposta, visto che gli artisti ne hanno sempre, ma comunque gli spiace di esser stato indiscreto.

«Suona il pianoforte al Jazz Club. Io la accompagno, diciamo che faccio parte del suo "gruppo"...» pare rifletterci sopra per qualche secondo, poi calca: «somiglia un po' a Diana Krall quando suona, mi piace molto.»
«Ma ha un fidanzato, vero?»
«Non che io sappia!» Esclama con un tono piuttosto stizzito, ma ride pochi secondi dopo.

Ridono insieme, in effetti. Cosa strana: pare quasi che Robert si sia dimenticato quanto è difficile sorridere.
E ha scordato anche perché era arrivato a questa conclusione.

«E tu? Qualche paranoia amorosa da condividere?»
«Mh, nessuna al momento.» Ci pensa, perché teme di esser stato un po' troppo brusco, «comunque è un discorso un po' complicato»

Dove complicato vuol dire che non si conoscono abbastanza per sapere che i suoi segreti restano tali a lungo.

Il suo problema è che non fa caso alle persone come dovrebbe: quando mette di mezzo i sentimenti, perde le cognizioni. Non si interessa di età, sesso, colori, passioni o qualsiasi altra caratteristica: si innamora perdutamente per le ragioni più varie, ne soffre come soffre per poche cose, e finisce per scordarsene.
Non c'è neanche una via di mezzo.

La cosa strana è che adesso il ciclo sembra essere fermo: non c'è nessuno che attiri la sua attenzione o che lo spinga a notti insonni. Quindi sì: non ha paranoie amorose da condividere, ma come spiegare la sua situazione al musicista appena incontrato?
Sono bisessuale ma romantico, anche se i miei amori non vanno mai a buon fine perché a stento iniziano, quindi escludo che possano andare bene, quindi sono cinico. Non funzionerebbe.
E correrebbe il rischio di inquietarlo.

Val sembra leggere fra le righe e lo comprende anche se forse fa un po' male.

«Me lo dirai un'altra volta, allora.» Si limita a fare, accondiscendente.
«Hai intenzione di tornare?»
«Voglio farmi notare da questi ascoltatori distratti... quindi sì, sarò in zona. E tu sei il mio primo vero fan.»
«Ma non avevi detto che la sera riempivi locali?»
«Se non mi riconoscono di giorno, che razza di fan sono?» Domanda per risposta, poi aggiunge: «Sei l'unico che si è interessato a me come persona, sei un po' importante.»

«E già ti stai montando la testa.» Scherza, per nascondere quanto in realtà contino quelle parole. Un po' ne ha bisogno: sentire che la propria esistenza inizia ad avere un peso per quella di un'altra.
Pare che siano le situazioni di questo genere a nutrire l'anima.

Val si alza, prende la custodia dove aveva riposto la tromba, e mormora: «Lo so, è vero.»

Fa finta di non aver sentito: è troppo presto per ascoltare le ansie di un musicista demoralizzato, non è attirato dall'idea di consolarlo proprio oggi che lo ha conosciuto - ed è anche certo che non è questo che l'altro sta cercando.
Si sforza di fare l'indifferente e lo accompagna alla porta - un gesto grottesco: con questo atteggiamento pare quasi che il posto dove lavora e casa sua coincidano.

Il senso di oppressione è più o meno lo stesso.

Per eliminare questa sensazione esce fuori con lui, «Visto che sono il tuo unico vero fan, fammi sentire qualcos'altro.» Mente, per poi accendersi una sigaretta e fingersi disinteressato.

«Non dovresti,» lo riprende invece l'altro, senza fare ciò che gli ha chiesto, «fa male.»
«Sì.» Replica semplicemente; non è infastidito dalla rimbeccata, anzi, quasi gli fa piacere: si rende conto che non è un musicista e che se glielo dice è perché deve preservare il fiato, ma la sensazione istintiva che prova è quella di essersi fatto un amico nella troppo pallida Redland.

«Perché non smetti quindi?»
«Ci penserò,» ridacchia, sentendo che ha di fronte a sé una grande possibilità, «lo farò sicuramente se tu... ti dichiari a quella tipa.»
«Scordatelo.»
«Oh, ma per favore!»

Val lo osserva, mentre chiaramente sta meditando sul da farsi, poi sembra avere un'idea particolarmente brillante: «Va bene, ci proverò. Se in cambio tu, oh Cameriere del centro, ti dichiarerai alla prima persona che anche solo sarà capace di affascinarti.»
«È una cosa troppo stupida.»
«E dovrai anche smettere con quella roba.» Aggiunge, guardando la mano che stringe la sigaretta.
«Persino pretestuoso.»

Nonostante tutto si stanno divertendo entrambi, come se si conoscessero da anni, rendendosi conto di non star facendo altro da quando hanno preso a parlarsi.
Alla fine, pensa Robert, non ho proprio nulla da perdere.

Sa che tende ad innamorarsi in fretta, cosa che in una situazione del genere va incredibilmente a svantaggio, ma il fatto che il musicista abbia detto "Persona" e non "Donna" lo stuzzica; gli viene istintivo chiedersi fin quanto l'altro ha capito del discorso che non ha fatto.

«Va bene, Trombettista,» acconsente, senza rinunciare a stuzzicarlo, «accetto. Ma voglio prove e sviluppi delle tue azioni.»
«Lo stesso vale per me. E, visto che mi troverai qui quattro pomeriggi a settimana, credo che avrai tutti gli aggiornamenti che desideri.»
«Perfetto. Non so nemmeno perché mi fido.»

E Val ride forte, mostrando tutti i denti, «Pare che io sia una persona piuttosto carismatica ed affidabile,» spiega.
Non sa se può credere in quell'affidabile, ma di certo è carismatico quanto dice, visto che è riuscito a "conquistarlo" in un solo pomeriggio, facendo praticamente niente. Gli è bastato aprirsi un po' e subito lo ha convinto.

Robert guarda il cielo - mentre pensa che una parte di sé vorrebbe avere la stessa scioltezza - e nota che si sta oscurando. Dentro sente che sta andando tutto bene e che, fin quando riesce ad aiutare un semi-sconosciuto nel conquistare la ragazza che pare amare tutto va perfettamente: le conseguenze possono anche aspettare, non hanno importanza.

Loro non contano quando appaiono le nuvole e scivolano sulla pelle.





Note:
Strappo immediatamente il cerotto: non ne capisco molto di Jazz né soprattutto ho idea di come si suoni una tromba. Se Val - che ovviamente è Val Kilmer - suona questo strumento è solo perché lo faceva un suo personaggio in The Salton Sea. Se il suo modo di suonare somiglia a quello di Terence Blanchard, invece, è perché era il vero compositore/musicista nascosto dietro il personaggio.
Perché Val? Perché io e Manu siamo due fangirl della peggiore specie, non avete idea di quanti film abbiamo visto insieme solo per la sua presenza. TROPPI, anche certe schifezze innominabili (che appunto non nominerò qui).

Joanne è Joanne Whalley. E il suo modo di suonare ricorda Diana Krall perché Diana Krall è una jazzista che adoro (e che stava anche in At First Sight, altro film con Val)~

Val studia Economics, Finance and Management (che ho tradotto in Economia, visto che suona meglio) ed è davvero uno degli indirizzi dell'Università di Bristol, così come Musica.
...Lo so perché ho passato più di mezzora sul sito dell'Università xD
Sì, sono praticamente pazza.

Vi informo solo che questo è l'ultimo dei capitoli corti. Dal prossimo in poi saranno molto più corposi, comunque lo scoprirete fra cinque giorni. E questo è quanto ♥

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Capitolo 3
*** I ***


Secondo capitolo:
I.


Val è tornato davvero gli altri tre giorni della settimana; è tornato ancora per altre due settimane tanto che - oramai - è diventato una specie di appuntamento fisso.

Lavoro, pausa, sigaretta più Val, lavoro. Con il passare dei giorni ha anche preso a fumare di meno, giusto per non dargli troppo fastidio durante le loro chiacchierate.

Si rende perfettamente conto che si sta aggrappando al musicista con tutte le sue forze per sfuggire alla noia di Redland, per sentirsi un po' importante e meno socialmente incapace, ma con il passare dei giorni ha persino imparato ad apprezzare i loro discorsi.
Perché tolto il jazz - del quale davvero non capisce niente - Val si intende anche di altri generi, compresa la sua amata anni ottanta. E parlare di queste cose con un musicista è liberatorio, sembra di confrontarsi con un esperto.

Che non è: si tratta di un semplice trombettista troppo giovane ma già un po' depresso, che si espone alla piazza distratta perché sente di non avere un pubblico sincero. Probabilmente per sfuggire dall'ombra di Joanne, chissà.

«Stai smettendo davvero, quindi.» Ha notato un giorno, dopo due settimane che si incontrano in quella maniera.
«Le intenzioni ci sono, anche se tu non stai rispettando il nostro patto.»

L'altro sbuffa, poi ne ride.

Robert non ha mai visto Joanne, eppure sa quasi tutto di lei, dei suoi capelli quando piega la testa ed accenna una nota, delle luci blu del club quando il suo viso ne è accarezzato, della sua voce un po' roca quando seduce gli ascoltatori. Ha imparato a conoscerla attraverso gli occhi di un jazzista innamorato ma troppo timido per aprirsi con lei: una forma di amore contenuta.
E naturalmente gli ha chiesto come fa a contenere i suoi sentimenti, se suona con lei: la musica è rivelatrice, come può passarci sopra.

«Basta non guardarla.» Ha risposto, breve ed enigmatico.

Ma lui non lo capisce: nel suo animo romantico, l'amore dovrebbe essere plateale, espresso a tutti di fronte a tutti, anche solo con gli occhi.
Così non sopravvivi, gli ha detto una volta sua madre, donna che di esperienze ne ha avute tante - sicuramente più del figlio - anche se i suoi consigli non vengono mai ascoltati.

Si può dire che detesta non comprendere subito le persone e ciò che intendono: si sente un po' diverso, un po' bloccato dal suo non concepire un'idea diversa dalla propria. Sarà perché ha una mentalità fin troppo aperta e flessibile, che crede di poter intendere ogni cosa come dovrebbe essere intesa.
La presunzione dei più ingenui.
Quelli che non sopportano di avere domande per la testa.

E che non hanno niente di meglio da fare che chiarire i propri dubbi, cosa che lui fa il lunedì non appena rivede Val:
«Come mai fra tutti gli strumenti hai scelto la tromba?»
«Ma... che domanda è? L'hai sentita?»
«L'ho sentita, mi chiedevo perché lei fra tutti quelli che esistono...»
«È quella che più somiglia al mio modo di vedere le cose.»
«Non so, io probabilmente avrei scelto... la chitarra. O il basso. Più attrattiva,» più vicini alla loro età, «il jazz ci si fa comunque, no?»

Il musicista ci pensa un po', come se stesse calibrando la risposta da dare.
«Non so dirti il perché,» dice infine, «suppongo di essere io...»

«Una tromba?»
«Rob,» ride di fronte alla sua chiara perplessità, «sai che le tue domande sono davvero ridicole? Ma davvero tanto!»
«Contento di divertirti,» ribatte piccato, «intanto tu suoni la tromba.»

Si fa improvvisamente serio, mentre comincia: «E brucio tutti gli stereotipi...»
«No!» Tenta di fermarlo, «Non lo dire-»
«...Perché sono bianco.»

«Ecco, sapevo che ad un certo punto ci saresti arrivato. Non ha nemmeno senso!»
«Ascolta: la musica è ancora un terreno di guerra, il progresso non conta niente. È tutta divisa in quartieri, che sarebbero i generi, e gli artisti litigano ancora per chi è il migliore, compresi - e soprattutto - quelli nelle stesse fazioni,» è maledettamente serio quando lo spiega, «quindi non importa se il jazz ha fatto grandi passi avanti, bruciando tante tappe.»

E Robert prende a ridere, non gli interessa nemmeno conoscere il resto del discorso, ride come non ha mai riso in vita sua. Non è la prima volta che Val tira fuori un discorso su questa linea, la cosa che lo fa scoppiare è il tono profetico con il quale lo dice.
Come se fosse una vera battaglia e lui un soldato da arruolare.

Gli piacerebbe credere in qualcosa con questa stessa intensità, ma in tutti questi anni non è ancora riuscito a trovare un vero interesse al quale dedicarsi interamente - considerando che non ha nemmeno saputo scegliere quale indirizzo prendere per l'Università, visto che non ha ancora nessuna idea per quanto riguarda il suo futuro.

Di fronte ai discorsi del trombettista si diverte, lui che non saprebbe dividere in stanze nemmeno una casa arredata.

«Venerdì verrai al Jazz Club e capirai che cosa intendo.»
«Come?»

L'altro si permette di guardarlo come se fosse un alieno. Ma non è una risposta particolarmente bizzarra: non ne hanno mai parlato, del resto.

«Ma certo che verrai. Già è troppo strano che non sei venuto la settimana scorsa.»
Ci pensa giusto qualche secondo, per poi rispondere tranquillo: «D'accordo.»

Chiede dov'è esattamente il posto e a che ora inizia questo famoso concerto, deciso a rimanere nel ruolo del Primo Vero Fan, ma in realtà un po' preoccupato sulle poche possibilità di andare davvero a vederlo. Potrebbe chiedere in prestito la macchina, magari, se sua madre non è troppo impegnata.

«Potrei chiederglielo...»
«Cosa? A chi?»
«A Joanne, se vieni anche tu.»
«Ma sai, davvero non capisco perché mi dai così importanza...»
«Oltre perché mi ascolti? Perché sei una delle poche persone che conosco ad intendersi di musica. Uno dei pochi amici, insomma»

Ma lui non se ne intende!
Ed "Amico" è una parola forse un po' grossa per descrivere il loro rapporto, contando che - guardando bene - non si conoscono affatto e non sanno nemmeno i rispettivi cognomi. Riesce ad individuarne il senso però: Robert conosce la musica - non bene come pensa lui, ma tant'è - quindi riesce a comprendere i sentimenti che si celano dietro le note.
A dare il suo "Okay" dal tavolo.

«Almeno la vedrò...»
«Così sarai costretto a dichiararti al primo ragazzo che-»
«Guarda che non sono gay...» Lo interrompe, osservando un po' stranito il tono di voce quasi malizioso che ha assunto.

«No,» ed adesso la sua espressione pare sconvolta, come se trovasse quella svolta come la più orripilante mai sentita, «questa deve essere una delle figure peggiori mai fatte in tutta la mia vita, e ne ho fatte molte, una volta ero persino convinto che mia mamma fosse incinta e che mi stesse per annunciare la nascita di un fratellino ma non era vero, voleva solo dirmi che dovevamo venire qui in Ing-»
«Val, calmati.»
«Lo pensavo perché sei ambiguo! Fin dal primo momento, e...!»
«Sì, lo so, me ne rendo con-»
«Non volevo offenderti!» Continua, sentendosi terribilmente in colpa e non badando al fatto che Robert non è indispettito, anzi, sorride come se si stesse godendo tutto quel proliferare di scuse.

«Val, in realtà credo di essere bisessuale. Non l'ho capito, ecco.»
«Sì?» E a giudicare dalla sua faccia sembra sollevatissimo, come se si fosse appena salvato da chissà quale pericolo, «Meno male... cioè, non che faccia differenza, è per la figuraccia che...»
«Ti stai incartando di nuovo,» ride, «e la tua reazione è insolita, non molti l'avrebbero presa così bene. Sai, pare che ci sia una cosa chiamata omofobia, invece... grazie.»
«Chiaro che lo accetto. Sono bianco e suono jazz, non posso giudicare gli altri diversi, conosco come si sentono.»
«Eccetto che il tuo è uno stereotipo che non esiste.»

Ma la liberazione della sincerità fa bene all'anima.
Se Val è pronto a convivere con ogni sua caratteristica, comprese le più insolite, allora vale davvero la pena essere suo amico e sentirsi tale. Era chi cercava.


*


«A che cosa stai pensando?» Lo riporta alla realtà sua mamma, appena rientrata da lavoro, mentre abbandona l'aria di donna in carriera per indossare i panni della madre di casa - come faccia così velocemente non si sa, è una questione di abitudine forse.

I suoi genitori sono divorziati da anni, tanto che il ricordo non lo ferisce più nemmeno. Hanno vissuto insieme e mantenuto i contatti a lungo, almeno fin quando suo padre non si è risposato e creato una nuova vita - a quel punto la situazione è diventata insostenibile per sua madre, presa dal bisogno impellente di cambiare "zona".
Dove con "zona" si intende continente.
Trascinando con sé i figli, maggiorenni e consenzienti. A conti fatti, lì per lì non si è nemmeno lamentato di quanto stava accadendo...

"Possiamo rivederci quest'estate," aveva detto suo padre a sua sorella, "potete venire a casa mia per tutti e tre i mesi."
Ma ovviamente non è successo, non si sono rivisti affatto. Tutti inghiottiti dalle nuove vite: le telefonate continuano, ma a volte non sanno proprio che cosa dirsi.

Quindi eccolo a Bristol, rinchiuso in una casetta nemmeno così brutta, abbastanza tipica da trovare nella periferia Inglese, costretto a vivere con sua madre - donna professionalmente impegnata, eppure ancora così maledettamente presente da essere soffocante - e sua sorella Allyson - troppo presa dagli isterismi universitari.

Il problema più grande, si può anche dire, è che le due non riescono ad andare d'accordo da anni - soprattutto per la presunta propensione di Allyson nel cambiare un fidanzato al mese, anziché pensare allo studio, e all'ancora più odiosa abitudine di sua madre di non riuscire a farsi i fatti propri.

Capita, ogni tanto, che la sentano lagnarsi per come li sta crescendo male, per come sta fallendo nel suo ruolo di Genitore. Altre volte - invece - la trovano mentre urla al telefono con loro padre sulla sua gravissima e lunghissima assenza.
Ma sono momenti di debolezza commessi quando non si sente osservata o ascoltata, solitamente notturni, che spariscono immediatamente con il sole.
Quando torna ad essere una donna forte ed una madre amorevole, con l'unico difetto di non essersi ancora resa conto che i suoi bambini sono cresciuti, non sono più così piccoli, e soffocandoli con le sue attenzioni premurose, talvolta inopportune.

Come il frugare tra le loro cose, i loro vestiti, i loro portafogli. Leggere le lettere, gli scontrini, i fatti loro in ogni forma.
Come il controllare la loro vita costantemente.

«Che sono un visionario.»
«Oh, certo.» Replica lei distratta, mentre sistema le cose si è fermata a comprare al centro commerciale mentre tornava verso casa.

«Posso prendere la macchina venerdì sera?»
«Uhm...» Temporeggia lei, «Perché? A che ti serve? Devi andare da qualche parte?»
«Un mio amico mi ha invitato ad un locale dove suona.»
«Un tuo amico? Chi è, lo conosco?»
«No, non lo hai mai visto. L'ho conosciuto a lavoro...» Mente, ben sapendo che è meglio preparare l'immagine di un ragazzo affidabile, piuttosto che quella di un artista di strada.

La cosa sembra convincerla.
«Strano... tu non sei affatto socievole...» Si limita a sussurrare, tuttavia restando perfettamente udibile, «Va bene tesoro, almeno esci. Per una volta. Sei sempre chiuso qui dentro!»

Senza misure, chiaramente, come tutti i genitori: uscire poco significa non abbandonare mai la casa, uscire spesso corrisponde a non esserci mai.

«Quindi posso?» Domanda ancora, ignorando la predica che sta continuando a fare; ha capito tempo fa che è molto meglio così, anziché ribattere alle frecciatine continue.
E sì, una parte di sé si vergogna di ciò che sta facendo. Chiedere alla propria mamma di poter prendere in prestito la macchina a questa maniera e a quasi ventidue anni è ridicolo, ma lo stipendio che riceve lavorando al Fishs and Chips non è abbastanza per comprare una macchina.
Non la vuole nemmeno, in effetti: non ha molti posti dove andare.

«Sì, tesoro, anche se ne dovresti discutere con tua sorella.»

Allyson.
Ed eccola, apparsa in cucina come per magia, probabilmente evocata dalla sua menzione.

«Devo uscire venerdì.» Sbotta, per niente contenta di come si stanno mettendo le cose: non è abituata a dividere le cose, nonostante abbia un fratello.
«Ti può portare Robert.»
«Ma sì, certo,» replica acida lei, «e poi come torno a casa?»
«Può anche passare a riportarti, sai?»
«E come lo dico a Keith! Sai che figura mi farai fare?»
«Beh, Signorina, non mi interessa di cosa-»
«Certo che non ti interessa! Quando mai-»
«Non ti azzardare a parlarmi così! Sono tua madre, non la tua serva!»

Ed il litigo - cominciato dal nulla e per pretese stupide - va avanti, fin quando Robert non decide che ne ha avuto abbastanza e si alza dalla sedia dov'è rimasto seduto fino a quel momento, stabilendo ancora una votla che queste situazioni sono assurde. Che le urla e le pressioni sono diventate intollerabili ma che - tutto sommato - se le cose sono messe così avrà la macchina.
Persino Allyson sarà capace di arrendersi.

E ridacchia fra sé e sé, mentre si dirige in camera, pensando che dovrebbe dirlo a Val: che le vere guerre non sono musicali, ma domestiche.

Le battaglie più pericolose sono neuronali e nascono da situazioni quotidiane.

Ma magari è davvero un visionario, perché riesce ad immaginare la faccia di Val mentre glielo dice - tenendo quel tono amaro che riesce sempre a colpire - e il suo sguardo perplesso, mentre lo ascolta, con gli occhi verdi fermi dall'intento.
Riesce a vedere se stesso mentre smonta le sue teorie.
Ed è, appunto, una semplice fantasia.


*


Il terzo cliente della giornata abbandona il tavolo che occupava. Tre, pensa sarcastico Robert mentre pulisce ciò che ha lasciato, praticamente un record.
Una volta finito, visto che il locale è vuoto - e Jimmy non è presente oggi - esce fuori per ascoltare il suo trombettista preferito.

«Ehi,» si ferma Val.
«Caspita, stai proprio creando una folla intorno a te.» Lo prende in giro sorridendo.
«Venerdì vedrai,» risponde l'altro, per nulla scomposto, quasi abituato allo strano senso dell'umorismo di Robert, «A proposito... hai deciso che vieni?»
«Sì, alla fine credo proprio che ci sarò.» Risponde, fingendosi indifferente.

Non parla del litigo successivo a quel "sì", né dell'interrogatorio di sua madre a proposito di questo misterioso suo amico, quello che ha fatto per capire chi è, se è affidabile, che tipo di musica suona. E sono ancora al martedì.

Gli nasconde che ha mentito a sua madre pur di renderlo presentabile, lui che invece è tutto amichevole, gentile e simpatico; il suo esatto contrario.

«Meno male,» risponde cordiale, «ti ricordi gli orari?»
«Certo.»
«Bene, se c'è qualche cambio ti faccio sap-»

E si ferma, troncando a metà la sua stessa frase.
Robert si gira automaticamente per seguire la direzione del suo sguardo e capire che cos'è stato ad averlo paralizzato.

Poco distante si vede una ragazza, seguita da quelli che - a conti fatti - sono il vero stereotipo del ragazzo inglese: hooligan e chav.
Tipico taglio di capelli, tipici vestiti di marca ma stranamente di pessimo gusto, soprattutto maledettissima tipica parlata: accento inglese e dialetto di Bristol praticamente incomprensibile, ingoiato e storpiato, poi risputato in frasi dal sentore aggressivo.

Rapporto causa-effetto: se Val ha smesso di parlare e sta guardando quella tipa come se fosse una specie di Dea, significa che quella deve essere Joanne.

Carina, nonostante tutto, capelli occhi viso esattamente come li aveva immaginati, forse è solo un po' più grande di lui, ma non ha l'aria matura che ci si potrebbe aspettare da una jazzista: tutto di lei suggerisce sicurezza, ma nulla fa pensare all'eleganza - probabilmente quando suona mostra la vera se stessa, abbassando la maschera che sta indossando in questo momento, coperta dalle mille marche e dal troppo trucco sugli occhi.

Il fascino deve stare da qualche parte, comunque, se il suo amico ha perso la testa a questi livelli; forse si manifesta in tutta la sua interezza quando ha un pianoforte sotto le dita e canta della sua voce un po' roca - che ha conosciuto attraverso i racconti.

«Ciao Val!» Urla quando si accorge della loro presenza. Si avvicina velocemente - subito seguita dalla sua strana scorta - e sorride, un po' com'è abituato a fare il suo amico.

«Joanne...» Borbotta lui.
«Ti ho mai presentato David?» Chiede, più tranquilla, facendo cenno all'unico ragazzo vestito un po' diversamente - quello che sulle prime non aveva notato - probabilmente perché non inglese, «È in erasmus da noi, viene dal Canada!» Aggiunge, palesemente emozionata.
«Piacere...» Fa Val  a bassa voce, nella sua direzione.

E quello nemmeno risponde.

«Suona il violino. Pensavo di integrarlo, sai? Ha un modo di suonare molto diverso dal nostro ma-» e si volta per calcare il concetto, «conto già che saremo in grado di organizzarci.»

Robert smette di ascoltare questo teatrino del finto. Non è stato né interpellato né presentato, quindi non si disturba nemmeno di salutare: si limita a rientrare dentro. Sa perché Val si è dimenticato della sua esistenza: si è appena reso conto che la ragazza per la quale stravede è cotta di un prestante violinista canadese.
Sicuramente al momento è troppo preso dal non vedere la competizione, nella sua timidezza.

Prende una pezzetta umida ed inizia a pulire il bancone - non che ci sia il bisogno di farlo - solo quando ha finito guarda fuori dalla grande vetrata per registrare qualche cambiamento.

Il trombettista è rimasto da solo ed è tornato a suonare, questa volta con un'aria decisamente malinconica. Non gliel'ha mai visto quello sguardo abbattuto, istintivamente gli dispiace per quel suo amico.
Decide quindi di riuscire per consolarlo con la sua presenza, che tanto tre clienti in un pomeriggio suonano già come troppi.

«Non ci riuscirò mai,» borbotta quando lo ha raggiunto, guardando a terra, «non studio con loro e...»

Ed è talmente evidente che ha una cotta per lei che, se fino ad ora lo ha ignorato, significa che non è interessata. A giudicare dalla persona che pare e da quella che frequenta, il suo "tipo" è completamente diverso.
Ma questo non può dirglielo, perché preferisce fare l'amico - ovvero quello neutro - piuttosto che ferirlo: «Non lo saprai mai se non le parli.»

«Non ci riesco! Tu mi hai visto, no? Quando devo dirle qualcosa o semplicemente c'è lei in giro mi trasformo in un vero cretino!» Si agita, evidentemente furioso con se stesso, «Divento persino più timido di te e, credimi, tu sei uno dei casi più disperati che io conosca.»

Vero, solo che non è timido. È chiuso nei primi tempi, poi lo conosci e semplicemente si fa silenzioso.
Ma è diverso: è una sua scelta caratteriale.

«Dedicale una canzone.» Dice, deciso che non vale la pena né di offendersi né di puntualizzare.
«Non sono un solista, sto solo provando a diventarlo...»

Sbuffa, «Allora trova un modo per parlarle. Non puoi tirarti indietro, ricordi il patto?»

Val ci pensa, costernato, «Sai, hai perfettamente ragione,» mormora in risposta mentre ripone frettolosamente la sua tromba nella custodia, «non posso lasciare che l'ultimo venuto si metta in mezzo così!» Pare determinato finalmente, magari ha trovato finalmente tutta la sicurezza che - ne è sicuro - possiede, «Ci vediamo domani, Robert. Grazie.»

E prende a camminare, immerso nei suoi pensieri.

«Certo.» Sospira, per poi fare un semplice cenno che l'altro non vede.

Situazioni sentimentali, musica, stili di vita, studenti, piazze e centri e club e...
in un mesetto ha avuto tutto questo, come sceso dal cielo, respira le novità e decide che - per quanto siano cattive - non gli dispiacciono: lo fanno sentire più vivo. Come non si è mai sentito, direbbe.

È a quel punto che qualcosa lo scuote, leggero quanto improvviso - I used to wake up in the morning - mentre lui riesce solo a voltarsi per guardare che cos'è.




Note:
Ridete con me di questo Val che è il deus ex machina più PALESE della storia x'D e non avete ancora visto niente, cioè, amo questo personaggio per quante cose è riuscito a farmi fare.

Comunque:
Il monologo di Val sull'oppressione è un frammento di un discorso che mi fece la mia compagna di classe Chiara al liceo, lei che si sentiva OPPRESSA per il suo essere una donna bianca suonatrice di sax. Btw, Chiara, ovunque tu sia, spero che le persecuzioni alla tua persona siano finite xD
(E nel mentre stavo ascoltando The Suburbs degli Arcade Fire, cosa che mi ha ispirata come mi ispira praticamente tutto di questo gruppo)

Ehi, ho sentito mica i The Who in sottofondo? *wink wink*

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Capitolo 4
*** Almost ***


Terzo capitolo:
Almost.



È nei guai.
Irrimediabilmente nei guai.

Quando quasi un mese fa ha fatto quel patto con Val non c'era nessun problema, tanto che - fino al giorno prima - non aveva proprio preso in considerazione il particolare del "primo", visto che non gli piaceva nessuno e non era proprio affascinato da niente.
Ma adesso le cose sono decisamente cambiate.
Ha promesso di dichiararsi alla prima persona capace di catturare la sua attenzione, in pratica la prima a passargli davanti per strada, senza porsi particolari dilemmi morali visto che sul momento non ne esistevano.

Ora quella persona c'è, però.

E sarà forse per il suo passo, o per il suo sguardo distratto, o per la canzone un po' ambigua che stava canticchiando, o il modo in cui portava una maglietta quasi rovinata, o semplicemente perché si trattava di un ragazzo dalla non scarsa bellezza... forse per uno qualsiasi di questi motivi, fatto sta che ne è rimasto colpito.
Tanto da seguirlo con gli occhi fino a quando non è scomparso, inghiottito in una delle vie che partono dal centro, probabilmente diretto verso uno dei semipalazzi studenteschi.

E forse ancora è perché fino ad un attimo prima si stava concentrando sui sentimenti, ma il passaggio di quel tipo gli è sembrata più un'apparizione. Quasi profetica: una sorta di segno del destino.
A lui che non crede nemmeno in queste cose.

Ma che cosa deve fare? Non ha idea di come comportarsi. Deve ammettere che è interessato ad un ragazzo, che quindi la scommessa ha preso a valere anche per lui, o fare finta di niente, visto che probabilmente non lo rivedrà mai più?
Opta per la seconda.

Per questo, durante la sua pausa di martedì pomeriggio, si trova ad ascoltare Val con un'espressione un po' diversa dal solito.
Decisamente sospetto, ma nemmeno troppo.

«Che c'è?» Chiede infatti il musicista, fermandosi.
«Come?»
«Hai uno sguardo tutto particolare,» nota osservandolo, «sei felice?»
«Perché dovrei?»
«Perché...» e improvvisamente, come preso da un'illuminazione divina, cambia completamente registro: «Stai cercando di barare!»

Maledizione.
Non lo si direbbe, ma Val è davvero una persona perspicace. Persino troppo, come in questi casi: non è certo la prima volta che "becca" a questo modo un suo stato d'animo o una verità non detta.
Magari ha davvero l'arte dentro, anche se non la studia.

«Ieri ho visto un tizio...» Ammette, ma a bassa voce, quasi fosse una sconfitta.
«Bene! Chi era?»
«Mai visto prima, non ne ho idea.»
«Ah...»
«Non ha importanza, sai? Dubito ripasserà.»

E gli spiace - gli spiace sinceramente ed immensamente - perché questa è davvero un'occasione persa.

«Era uno studente? Descrivimelo, magari lo conosco.»
«Biondo sul castano, cuffie nelle orecchie, alto.»
«Particolareggiato.» Commenta sarcastico, mentre alza un solo sopracciglio.

«Canticchiava...» Si sforza di aggiungere, ma sentendosi in imbarazzo.
«Oh!» Esclama, «E che cosa?»
«Non so che canzone fosse... magari vecchia, faceva tipo... Lily oh Lily... qualcosa del genere»
«Aaaah! Forse ho capito.»

«Sai chi è?» Sgrana gli occhi, sorpreso. Bene: questo è sicuramente un segno del destino, non è possibile altrimenti, magari Val lo conosce e sa il suo nome e glielo può presentare e potranno passare pomeriggi innamorati come-
I suoi pensieri vengono interrotti dallo stesso musicista: «Lo vedo passare di qua tutti i giorni, credo abiti lì in fondo,» ed indica la via dove lo ha visto sparire il giorno prima, «non so chi sia, ma ha davvero l'aria di chi ha la testa tra le nuvole.»

Decisamente è lui.

«Però non lo conosci. Quindi non serve a nulla...» Mormora, ma sta più pensando a com'è possibile che non lo ha mai notato prima, anziché al patto in sé.

«Appena passa lo fermo.»
«Cosa?!» Strepita, forse con un tono di voce troppo alto, «Ma proprio no!»
«Dimentichi i termini della nostra scommessa?»
«Non sappiamo chi è!»
«Useremo la tromba come scusa.» E sorride, luminoso, come se avesse appena detto una grandissima rivelazione: ha l'aspetto di uno che può risolvere i problemi del mondo.

Robert quasi trema di fronte quello sguardo, così sospetto. Poi si rende conto che se lo asseconda non solo ha una qualche possibilità con il Ragazzo-Apparizione, ma può dare una mano più concreta al suo amico.
Può dimostrargli che è possibile dichiararsi, anche quando non si hanno le basi. Magari così facendo riuscirà a dargli un po' di ispirazione per parlarne con Joanne - e questo gli interessa sicuramente più di una brutta figura con uno sconosciuto.

Quindi via, «Vediamo se ci riesci.»

Tanto vale dare una mano.

*


Ha passato il resto della giornata praticamente in ansia, guadando fuori dalla grande vetrata anziché pensare al bancone o ai tavoli - divorato dalla preoccupazione.
Sì: ha detto che poteva provarci, che aveva dato la sua parola e via dicendo, che tanto non c'è proprio niente da perdere.

Ma la verità è che si sente stranamente agitato, come se stesse per affrontare un esame o una prova particolarmente importante. Forse ciò che prova non è nemmeno paragonabile alle sensazioni di cui sopra, ma non ci si concentra troppo.
Che comunque sono emozioni che non servono, perché il ragazzo non si fa vedere. E non passa nemmeno il giorno dopo, mercoledì, altra giornata che ha passato intento a fissare fuori piuttosto che guardando le macchie lasciate dai clienti.

Sta per chiudere il locale quando, con un'occhiata veloce, si rende conto che Val è ancora lì. Non capita molto spesso che rimanga fino alla chiusura, solo poche volte, e non riesce a capire che cosa ci faccia a suonare le sue melodie con il suo strumento.

Ci mette un paio di minuti per rendersi conto che non è solo: con lui c'è anche chi stava aspettando.
Proprio lì, distratto e fermo.
Tangibile.

Vorrebbe correre da lui.
O stare fermo in silenzio.

Sono entrambe sbagliate - lo capisce subito - ciò che gli conviene è fare un misto fra le due cose. Non rimanere fermo né correre, basa muoversi piano piano - anzi: con un passo normale - verso l'uscita, in modo casuale.
Quando finalmente apre la porta, per osservare la scena in tutta la sua concretezza, ha il cuore in gola.

Guarda la scena come se non si trattasse della sua vita. Rimane lì, immobile, rapito dall'atmosfera, finalmente domandandosi che cos'è che dovrebbe fare.

Val si accorge del suo arrivo ma continua a suonare, mentre con lo sguardo sembra voler dire: non avrei mai creduto che avresti trovato il coraggio.
Qualche ultima nota e si interrompe, dando vita al silenzio imbarazzato.

«Sei bravo.» Dice allora la sua Occasione-Non-Più-Persa.
«Te lo avevo detto, no?» Risponde il musicista, con un sorriso suadente; per un attimo inganna persino Robert, che si ritrova a credere di aver giudicato male il proprio amico.

Ma il fascino non sembra attaccare sul ragazzo che, come se fosse stato appena svegliato da un sogno, mormora un banale: «Uhm?»

«Niente, a proposito: io sono Val,» si presenta mentre gli porge la mano per stringerla, cosa che l'altro fa solo dopo averla osservata perplesso, «suono al Jazz Club tutti i venerdì, ci sei mai stato?» Aggiunge poi compiaciuto.
Di certo suonare lì è uno dei suoi maggiori vanti.

L'altro scuote la testa e, fortuna profonda, pare vivere in un mondo tutto suo, perché nemmeno bada al sorriso furbo che è appena venuto al trombettista mentre, con un cenno del capo e un tono quasi suadente, presenta: «Lui invece è Robert.»

Se fosse meno distratto, si renderebbe subito conto che stanno cercando di adescarlo.

«Jude.» Risponde brevemente.

Si guardano, ma non si stringono la mano. Robert è praticamente paralizzato mentre si ripete il suo nome nella testa - Jude, Jude, Jude - mentre l'altro pare non troppo abituato a farlo. Ma si direbbe che lo trova simpatico.

«Ti abbiamo visto passare un paio di volte,» torna all'attacco il musicista, che adesso pare avere un qualche scopo preciso in testa, «quindi mi chiedevo se volevi un invito ad una mia serata.»
«In realtà non mi intendo di questa musica...»
«Allora siete proprio anime gemelle!» Esclama Val, improvvisamente deciso a morire.

A questo punto diventa importante fare finta di nulla, sorridere indifferente, aggiungere una battuta scherzosa e sperare che vada tutto bene, ma i suoi muscoli facciali non lo aiutano, essendo tutti bloccati in quella che pare un'espressione di puro terrore. Come se avesse appena visto l'Orrore personificato - cosa che in effetti ha fatto, sotto le mentite spoglie del suo amico.

«Anime gemelle?» Ride invece quello, tranquillissimo, «Solo se ti piacciono i The Who!»

Grazie. Grazie, grazie, grazie.

«Pochino,» mente spudoratamente: appena torna a casa recupera la discografia completa dei The Who, anche a scopo di correre nel primo negozio di cd che trova, se quelli sono un modo per conquistarlo, allora vale decisamente la pena provare, «vorrei sempre ascoltare più cose.»

«Gh,» dice l'altro, con un sorriso che fa intendere quanto effettivamente li ami, «sono i miei preferiti.» Spiega ancora, estatico.

Ok: sarà anche stupido, ma al tempo stesso è adorabile, bello, e soprattutto il centro di una scommessa che deve portare a termine. E non pare così scocciato dall'idea di essere l'anima gemella di uno sconosciuto praticamente a caso né che due tizi particolarmente inquietanti lo stiano invitando ad un concerto che suona tanto come un appuntamento al buio.

«Allora ci vediamo venerdì?» Domanda.
«Sì.»

E sorridono insieme, mentre Robert prende a dimenticare ogni proposito di malinconia, deciso a tenere nel cuore solo questo sorriso.
Almeno per una giornata, come se fosse suo.
Almeno per una notte.

*


Il giovedì è lento. Di una lentezza allucinante, praticamente non passa, il tempo sembra addormentato per quanto impiega a far spostare le lancette.

Il venerdì è forse peggio.
Non è strano: quando hai delle aspettative devi ingannare i minuti come puoi, ma non basta lavorare per riuscire in questo scopo. Nel suo caso è tutto ancora più amplificato: praticamente si tratta di uno dei suoi primi appuntamenti "al buio" e - contemporaneamente, come se non bastasse - della prima volta in cui vede Val nel suo vero ambiente. Che vede tutto il gruppo suonare... insomma, è emozionato da tante di quelle cose che non sa nemmeno elencarle in ordine.
Di certo ha delle aspettative altissime.

Quando venerdì sera finalmente arriva, sente come se non si fosse preparato a sufficienza, nonostante non abbia fatto altro che preoccuparsi di queste cose. In effetti non è certo che jeans e felpa siano il modo corretto di presentarsi ad un Jazz Club, ma non ha voglia di preoccuparsi per questo dettaglio, tanto Jude non gli è parso troppo elegante e Val di certo non è uno spocchioso. Magari riceverà qualche occhiataccia dai clienti sicuramente più sofisticati, ma non sarà troppo concentrato su quelle.

Sua madre gli ha definitivamente dato la macchina e sua sorella, benedetta lei, ha deciso di chiedere un favore a quell'adorabile persona che è il suo nuovo ragazzo. Quindi ha un trasporto tutto per sé, una meta ed un accompagnatore.
Beh, in effetti quello non c'è, ma è carino immaginare che ci sia.

E questi sono i suoi pensieri quando, finalmente sceso dalla macchina, paga per l'ingresso del locale e varca la soglia. Prima di immergersi nel mondo che tanto stava aspettando.

Blu.
Tutto così perfettamente blu. Rimane affascinato, riempito da quelle luci - così sottili, così leggere, così colorate - quasi commosso nel vedere che tutto somiglia all'immagine che si era fatto.
Sul palco non si sta ancora esibendo nessuno, ma probabilmente manca poco, almeno a giudicare dal fatto che non proviene musica dagli altoparlanti.

Non ha idea di dove sistemarsi: non conosce proprio nessuno, nemmeno di vista - strano a dirsi, non credeva di poter trovare così tanti sconosciuti - e guardarsi intorno non aiuta: più osserva più si rende conto che non si trova nel suo ambiente. Non c'entra niente lì dentro.
Eppure c'è e, per sua fortuna, ha visto abbastanza film per rendersi conto che in queste situazioni è meglio occupare un tavolino un po' appartato - non troppo vicino alla folla, ma nemmeno troppo distante dal palchetto - e far finta di niente.

Blu.
È tutto così blu che per un attimo si domanda se i suoi occhi sapranno reggere i colori per tutta la nottata, se una birra - quella che ha appena ordinato al cameriere più vicino - basterà per tranquillizzare il suo animo inquieto, lo stesso che si sta muovendo oppresso dalle pareti della carne. Dai muri del Jazz Club.

Joanne, Val, il violinista e la band dell'altra volta salgono per mettersi ai loro posti. Non guardando i clienti se non con brevi sguardi, probabilmente troppo occupati ad organizzare lo spettacolo.
In questo momento, il tempo si riprende: inizia a correre velocemente, confuso, seguendo le note che i musicisti producono.

Robert si fa prendere da due considerazioni improvvise: la prima è che si rende conto di non capire affatto il jazz, gli pare solo melodia da "sottofondo" per quanto è ignorante del genere. La seconda è capire quanto sia facile innamorarsi di una ragazza dalla voce così suadente.
La sua voce suona malinconica, sensuale, sussurrata al microfono e accompagnata dal piano che lei stessa suona. Joanne è perfetta.

E con quest'immagine di lei tutto combacia: Val che la insegue, innamorato e disperato, disposto a passare interi pomeriggi ad esercitarsi di fronte una folla sorda, violinisti disposti a riscrivere la loro ispirazione pur di accontentare i suoi capricci, un'intera band messa in secondo piano pur di darle il ruolo da protagonista.

Mentre lei, che è così bella sul palco e così finta quando cammina per strada, si prende gioco - ma senza troppa malizia - di tutte le persone sedute ai tavoli, un futuro assicurato nel genere che suona e forse compone anche. Chissà se è tutta un'idea sua, chissà se c'è qualcuno alle sue spalle che la aiuta a gestire tutto questo.

E improvvisamente trova tutto orribile, tutto schifoso.
La musica è una bugiarda, i clienti talmente assenti che probabilmente non stanno nemmeno ascoltando, la birra che è arrivata da un po' senza che lui se ne accorgesse. Quel blu infinito: tutto un orrore senza fine.

Si alza di scatto, stremato da tutti quei rumori nella sua testa, comprendendo che deve scappare via; esce fuori dalla porta chiedendo mentalmente scusa al suo trombettista - fra tre giorni, quando li rivedrà, glielo dirà anche a voce.
Inventerà qualche emergenza, un problema a casa, o in famiglia, o cosa.

Respira, adesso, sentendosi quasi purificato da questo gesto: come se stesse eliminando i pensieri negativi riempiendosi i polmoni di ossigeno.
Fumerebbe anche, ma questa è la nottata del musicista al quale ha promesso di smettere: almeno questo glielo deve, a lui e alla sua personale salute.

Fa qualche passo in direzione della macchina, deciso ad andarsene, quando lo vede.
Jude.
Si era persino dimenticato di lui, del fatto che avevano un appuntamento - no, non lo avevano - ed ora eccolo arrivare. Quasi buttato via dal cielo.

Una sorta di apparizione, ma con le cuffiette nelle orecchie.

«Ehi!» Lo saluta, il tono di voce stranamente emozionato.
«Ehi...» Risponde l'altro, decisamente più tranquillo, mentre sorride lievemente e spegne il proprio mp3, «Sono in ritardo, sì, ma non avevo dimenticato.»
«Davvero?» Scherza.
«Mh, beh. Lo avevo dimenticato.»
«Ma la noia ti ha spinto a ricordare?»
«Qualcosa del genere.»

Ok.
Se è riuscito a fare amicizia con Val in così poco tempo, nonostante non sia assolutamente nel suo carattere, chi dice che non può provare a replicare? Questa volta c'è anche una possibilità di avere più che un amico, visto che si è presentato senza problemi al loro appuntamento - che non è un appuntamento.

«Come mai non sei dentro?» Ed indica con un'occhiata la porta del Club.
«Credo di odiare il jazz.» Replica semplicemente, «ma se vuoi ti accompagno!» Aggiunge subito, rendendosi conto di non poter sfuggire nessuna occasione.

«Sai... credo di odiarlo anch'io.»
«E allora perché ti sei ricordato?» Chiede, speranzoso. Nemmeno si rende conto che potrebbe suonare offensivo con questa domanda, perché non è abbastanza loquace per rendersi conto di come le persone reagiscono solitamente a scortesie come questa. Fortuna che Jude non sembra prendersela.

In un mondo tutto suo, completamente.
Dove le parole non possono turbarlo.
E se adesso non vede i mille difetti che questa caratteristica può portare - e porterà sicuramente - è solo perché infatuato.

Tanto vale approfittare di questa predisposizione, si dice.

«Non avevo molto da fare. E lui sembrava tenerci proprio tanto.»
«Sì, è vero: ci tiene molto.» Sensi di colpa.
«Anche tu mi davi la stessa impressione, però.»

Ma Robert non attendeva il concerto, non era contento per quello. Ora come non mai gli appare chiaro.

«Ci tenevo perché credevo mi sarebbe piaciuto.» Mente.
«Invece no? Peccato.»
«Senti,» tanto vale provare, tanto vale provare, tanto vale provare, «visto che odiamo entrambi questo genere... possiamo andare da qualche altra parte.»

Negli occhi di Jude passa un pensiero che scurisce le iridi, si illumina di un sentimento, ma accetta ugualmente come se niente fosse, basta voltarsi verso la via per la quale è venuto e iniziare a camminare.

Vorrebbe chiedergli di nuovo perché è venuto, come mai si è presentato così in ritardo, ma sente di aver già domandato troppo. Finalmente si rende conto di quanto è imbarazzante il tutto, della portata del casino che sta andando a creare tutto da solo.
«In genere sono un tipo abbastanza solitario...» Mormora, senza prestarci particolare attenzione.

«Sicuramente lo sei più del tuo amico,» ridacchia Jude, «lui ha praticamente tentato di rapirmi, sai?»
«Lo stava facendo...» per me, stava per dire, ma non può, «per convincermi ad andare.»
«Sì? Pensavo ci volesse fidanzati o cose del genere.» E ride questa volta.
E se ride è perché non ha preso sul serio l'idea, no?

Non ne ha idea. Così come non sa che dire.

«Tranquillo,» lo tranquillizza, voltandosi per guardarlo un po' meglio, «stavo scherzando. Ho capito che era un modo come un altro per attirare gente al concerto.»
No, non hai capito niente. Fortunatamente.

«Ma non è proprio un concerto, sai?»
«No?»
«No. Più che altro mi voleva mostrare la ragazza di cui è innamorato. Mentre suona.»
«L'hai vista?»
«Sì, certo,» e si è quasi sentito male per il disgusto, «ma comunque l'avevo già conosciuta, anche se non ci ha presentati.»
«Mi è simpatico: non fa che presentare le persone, come una specie di cupido.»

E tu non fai che dire ambiguità senza rendertene conto.

Ed uscire da questa situazione è più difficile del previsto. Di più: è di una complessità superiore, di quel tipo di complessità che non ti ritrovi a gestire quotidianamente così che, quando arriva, sei praticamente impreparato.
Cerca disperatamente una risposta dentro la propria testa ma non c'è niente che sembra arrivare a quel punto.

Una panchina.
Potrebbero sedersi e commentare qualcosa come: come siamo pigri, anche se siamo giovani, o qualcosa del genere; ma sarebbe un po' troppo triste e Jude non pare tipo da fare questi discorsi. Comunque prende lo stesso l'iniziativa, indicando con un cenno del capo un posto dove sedersi.
«Allora...» Nella sua testa girano tutti gli argomenti di cui le persone della loro età discutono normalmente, naturalmente tenendo Val come punto di riferimento: ragazze, musica, università... università!

«Quindi... sei uno studente?»
«Sì, studio qui.»
«Ma non sei di queste parti.»
«No, infatti,» sorride, come se la risposta fosse ovvia, per nulla sorpreso del fatto che l'altro abbia indovinato, «Londra.»
«Ah. E come ci sei finito a Bristol?»
«Troppo caotica. Mi andava di cambiare... anche di ricominciare da capo.»

A differenza sua, non pare troppo riservato, ma nemmeno un chiacchierone come Val. Una specie di via di mezzo, confinata in continue distrazioni. Si chiede se sarà mai possibile fare qualcosa, se si sta illudendo, se la musica che sentiva nella sua testa...
Si chiede troppe cose, al momento.

Ma Jude è lì, e sta parlando della strada che ha intenzione di prendere, illustra progetti, gli racconta velocemente dei suoi coinquilini e del fatto che ultimamente non vanno più così d'accordo, perché questi tendono a diventare confusionari e rumorosi quando danno le partite in tv, e lui che viene da Londra è abituato a peggio ma, insomma, sono comunque studenti insopportabili, senza controllo. Parla del fatto che la sua ultima ragazza lo ha lasciato perché non le dava mai considerazione, con il tono leggermente amareggiato come se soffrisse di questo difetto, lo stesso che Robert sta ringraziando da mercoledì quando si sono conosciuti.

E sta ancora parlando quando l'altro, preso da una illuminazione improvvisa, non sa fermarsi e chiede: «Non c'è nessuno adesso?»
«A casa mia?»
«No,» corregge, una determinazione nella voce che suona del tutto inaspettata, «intendo dire se sei fidanzato o no, se frequenti qualcuno.»
«Sono con me stesso, al momento.»
«Come me, allora.»

Ma potremmo stare insieme, pensa. Lo immagina anche, nella sua retina, lo immagina e lo vede quasi realizzabile.
Stare insieme.
Un piano praticamente perfetto, va solo attuato.

E nemmeno le promesse a Val hanno più importanza quando si trova in una situazione simile. Non c'è niente che conti più dello sguardo dell'altro, puntato sulle sue scarpe, e sul fatto che probabilmente sta per riprendere a parlare. Per raccontargli qualcosa di nuovo, magari.
Non c'è niente.




Note:
Cigarettes and chocolate milk, these are just a couple of my cravings~♪♫

Salve! Allora, mi sono resa conto di aver dimenticato un paio di cose, quindi passo subito a queste:

La prima è che nelle ultime due settimane non ho creditato nulla e non so come mai questa mancanza. Quindi - per fare un po' di ordine&giustizia - vi dico che Jimmy sarebbe Jimmy Rich, nella "vita reale" l'assistente personale/schiavo di Robert. Qui è il suo "capo" ma, oltre questo, non è importante né appare attivamente: mi serviva un qualcuno ed ho scelto lui perché mi divertiva nel contesto.
David è David Sutcliffe, volto trovato grazie a Manu una sera mentre disperavo perché avevo bisogno di un francocanadese e lei era lì pronta a sputare attori a macchinetta.
Il fidanzato di Allyson è un nome a caso, invece x'D
La "canzone di Jude" è Pictures of Lily~ parla di masturbazione ō_ō chissà se Jude lo sa o no (secondo me sì).

La seconda è che Robert, Jude, Val, Joanne, i The Who stessi... tutti loro insomma... ecco, non vi ho detto che non mi appartengono D: so che siete sorprese, ma purtroppo è così: non sono miei. La caratterizzazione sì, però, quella è decisamente uscita dalla mia testa e ne sono colpevole da sola.

Poi... non vi ho mai ringraziati come si deve per tutto il supporto e per i meravigliosi commenti, così come non ho ringraziato degnamente chi segue, chi preferisce, chi legge solamente~ insomma, grazie a tutti. Non sapete quanto mi fate felice!

Infine - e poi scompaio davvero - i ringraziamenti per questo capitolo vanno a perché è stata ad ascoltarmi per circa un'ora mentre blateravo su QUANTO non mi piacesse e quanto questo Jude non fosse stordito come lo volevo io. E questa ragazza sa sempre come sorprendermi, mi tollera anche quando sarei da ammazzare (ed io sono da ammazzare molto spesso) xD grazie Bà! E scusami se questa dedica è proprio scialbetta... sappi che se posto - perché ho cambiato idea - è merito tuo!

Ed ora sparisco.
A presto~ ♥

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Capitolo 5
*** Feel ***


Quarto capitolo:
Feel.



Lui e Jude hanno fatto tardissimo per stare insieme a discutere, toccando più argomenti, lasciandosi quasi cullare dalla notte e dal modo in cui questa getta ombre sulle loro frasi. È stato più forte di loro: un discorso ha tirato fuori un altro, fin quando non sono rimasti senza parole, completamente svelati l'uno all'altro.

Conoscendosi, finalmente, con Robert che - lo ha visto - si sente una sua anima gemella, si sente nato per amarlo, si sente già pieno di tutti questi sentimenti.
Starebbe già strillando al vento quanto sono perfetti insieme, se dipendesse da lui. Meravigliosi.
A fermarlo solo il fatto che non sono nemmeno una coppia - quindi c'è proprio poco per strepitare.

Ha provato a pensare - un po', giusto il necessario - a come dichiararsi, visto che è determinato a farlo, ma non è riuscito a trovare un modo adatto per dirlo: la sua testa non lo vuole aiutare in questo, anzi, lo abbandona al silenzio.
Nel ricordo di ciò che si sono detti, di come sono stati bene nel chiacchierare notturno.

Alla fine lo ha anche accompagnato a casa, nonostante fosse lontana da dove aveva parcheggiato la macchina, camminando al suo fianco con un passo piuttosto mesto, senza alcuna voglia di lasciarlo.

Ed andare via così.

Si è fatto strappare la promessa di rivedersi il sabato dopo - anzi, nel pomeriggio di quel sabato - al Fish and Chips, per farsi portare qualcosa dei The Who, perché tanto vale ascoltarli se sono così bravi. Non gli ha detto che è interessato solo perché vuole integrarsi nella sua vita e quella sembra la via più semplice.
Vuole vivere il suo mondo, sapere come lo si affronta, ascoltando ciò che sente lui giornalmente.

Jude in questo lo stupisce: si presenta davvero il giorno dopo, ed anche abbastanza presto, sorridendo con il suo modo distratto.
«Compilation.» Dice dopo essersi avvicinato abbastanza da porgergli un cd che teneva in mano. Non ha uno zaino né una borsa: solo i suoi vestiti scuri, le cuffie nelle orecchie, con il cavo che finisce in una tasca dei suoi pantaloni.

Lo ha accettato, ovviamente, con la più vera delle smorfie; mentre la sua mano stringe la custodia con forza - sicuramente derivata dalla possessività inconscia - e si fa promettere, usando una delle sue esclamazioni più gioiose, un terzo "appuntamento". Giusto per dirgli che cosa ne pensa del suo mondo.
«Sì,» risponde Jude, «ma arriverò sul tardi.»
Poi sparisce, inghiottito in chissà quale impegno del fine settimana.

E Robert ancora non riesce a smettere di ragionarci, di trastullarsi, quasi adagiandosi in queste fantasie nemmeno troppo delineate.
Jude: il suo pensiero primario sopra ogni azione, da quando torna a casa - dopo aver finalmente staccato dal lavoro - e converte al computer le tracce del cd, per poi sistemarle nel suo mp3, a quando si stende sul letto ed ascolta.
Deciso a passare così almeno due giorni, per capirlo, per aumentare le somiglianze che ci sono fra loro, per ingigantire le speranze; e non è nemmeno difficile farsi piacere queste canzoni.

That's a real good looking boy,
That's a real good looking boy,
Wise men say:
only fools, only fools rush in,
but I - I can't help
falling in love, in love with you.
You arrived in my life like a fragrance and,
you help me find a way to laugh,
now I know how so-called beauty lies.
God gave him a face,
then he gave me something above.
That's a real good looking boy,

That's a real goo-
«Robert?»
«Eh?»
«Certo che sei mille volte più strano di quello che sembravi.» Val scuote la testa perplesso mentre fa questa rivelazione, parlando più con se stesso che con lui, forse un po' irritato. In effetti ha molti motivi per esserlo...

«Scusami.» Sta diventando distratto. Si chiede se questo è un qualche tipo di "effetto-Who" o semplicemente sta passivamente subendo l'influenza di Jude; normalmente vedrebbe questa cosa come negativa, visto che non tende a far girare il suo carattere per qualcun'altro, ma in questo caso sta anche bene: almeno può prendersi una pausa dalla solita malinconia, spostare la propria mente dai pensieri cupi che ha di solito.
Per non essere pesante come lo è in genere.

«Sei persino sparito venerdì scorso.» Commenta il musicista, guardando solo la sua tromba.
«Lo so, non è stata colpa mia ma...» e visto che non si è inventato nessuna scusa, nonostante i propositi, pensa a cosa ha fatto quella sera, «Jude.»

«Oh!» Mentre l'espressione di Val cambia, piena di stupore, «Non mi dire che quel ragazzo per il quale ti sei preso la più fulminea delle cotte si è rivelato davvero omosessuale e compiacente!»
In effetti no.
«No,» ammette quindi a malincuore, «ma non arrivava, ero in ansia per mille motivi diversi, sono uscito fuori dal locale per cercarlo e l'ho visto... a lui non piace il jazz e, ad essere sincero, nemmeno a me, così siamo stati insieme. Ci siamo conosciuti.»
«E?»
«E niente.»
«Non ti sei dichiarato come avevi detto? Mi pari davvero innamorato...» Ed è un eufemismo: non ha mai visto in tutta la sua vita un'altra persona perdere la testa con questa velocità, senza apparentemente motivo.
«Non posso, per ora, ci conosciamo ancora poco...» si giustifica Robert, come se questa fosse una grandissima colpa, «ma ci proverò.»
«Fantastico...»
«Tu hai fatto la stessa cosa, comunque! Non puoi parlare»
«Vero,» replica amaro, «ma se non è successo niente fra voi... beh, potevate anche tornare dentro ad ascol-»
«Val.»

«Sì, lo so, sto diventando insistente.» Sospira l'altro. Poi si fa un po' più serio, cambiando completamente registro: «C'è stato qualcosa di strano venerdì. Qualcosa non andava. Hai sentito?»
«Sì, devo ammetterlo, ho notato che qualcosa non suonava bene. Tu sei stato bravissimo, come al solito, e Joanne è davvero fantastica ma...»
«Ma. Non tornava
«Già.» Ci pensa, perché non sa bene come esprimersi, perché non ha capito che cosa è successo esattamente a spingerlo fuori dal locale. Dire che si tratta del destino è forse un po' troppo superficiale, anche se è stata quella fuga apparentemente immotivata a fargli incontrare Jude, «Qualcosa suonava finto.» Sceglie di dire infine.

«Il violinista.»
No: Joanne. Lei suonava incredibilmente falsa.
Ma Val non può ascoltare i suoi pensieri, «Credo che mi detestino, sai? Non fanno che guardarmi male o proprio non considerarmi.»
«Pensi...» e gli fa male dirlo proprio a lui, «che ti vogliano fuori dal gruppo?»

Negli occhi del trombettista c'è la conferma: c'è che voleva sentirsi dire proprio questo, magari per liberarsi dalla sensazione di avere solo delle paranoie per la testa, ma non proferisce nessuna parola.
Riprende la sua tromba, che effettivamente non ha mai lasciato, per ricominciare a suonare con più impegno; la determinazione di non rimanere mai indietro, di essere così bravo da fare invidia.
E Robert lo lascia così, per tornare dentro e riprendere il solito lavoro di inserviente barra cameriere, ad aspettare chi deve venire.
Lasciandolo alla sua musica, sperando che serva.

*


Il tempo di sistemare, di riordinare, ed è tutto come prima. Potrebbe uscire di nuovo fuori, se non fosse che ha paura di disturbare Val ed i suoi tentativi di rivalsa verso nemici immaginari.
E rimane dentro anche quando gli altri due dipendenti se ne sono andati, intenzionato a chiudere tutto e ricordarsene il giorno dopo.

«Rob.» Si sente chiamare, per la seconda volta nella giornata svegliato da una fantasia ad occhi aperti, da un pensiero quasi tangibile. Si gira per ritrovarsi di fronte Jude - e non sa quando sia entrato effettivamente! - che mostra un'aria insolitamente preoccupata, «Ti ho portato il cd con le mie canzoni preferite?» Domanda poco dopo, il tono piuttosto innocente.

«Sì.»
«Oh!» Risponde, chiaramente sollevato, perdendo l'espressione delusa ed un po' persa, «Non riuscivo proprio a ricordare...» improvvisa una spiegazione, per poi interrompersi, come se non volesse fargli sapere qualcosa, «Ti è piaciuto?»
«Molto.» Ed è vero: non sta mentendo, visto che a prescindere non gli è difficile farsi piacere un gruppo del genere, anche un po' simile alla musica che ascolta di solito.
«Bene, sono contento! Qual è la tua canzone preferita?»

Lo fissa negli occhi, prima di rispondere, una preghiera nella testa: Dai, fai che capisca.
«Real good looking boy.»
Ma non capisce, ovviamente.

«La amo anch'io, sì!»
«Come mai ti piacciono così tanto?»

Sebbene il tono della sua domanda non sia né cattivo né curioso, Jude lo guarda con un po' di sospetto, dopodiché rivolge un'occhiata al locale - come se non lo avesse mai visto prima, come possibile - e risponde vago: «Ero triste.»

Non insiste: è chiaro che si tratta di una domanda forse un po' troppo personale, ma l'idea che si fa è che Jude, per qualche motivo ignoto che si impegnerà a scoprire con il tempo, ha preso un po' della gioia musicale che ha trovato in quel gruppo.
Probabilmente ci ha costruito una fissazione sopra, probabilmente gli hanno salvato la vita.
E già questo basta per farglielo adorare ancora di più.

«Devo chiudere...» Ragiona, guardandosi intorno anche lui, «...ma, se vuoi, possiamo rimanere qui e cenare.»
«Davvero?»
«No, il massimo che possiamo fare è prendere qualcosa e mangiarla da qualche altra parte.»

L'inglese arriccia il naso, «Patatine per me,» dice infine, «niente pesce fritto o chissà cosa.»
Salutista o vegetariano, non importa e non chiede nulla, che per queste cose si finisce sempre con il litigare.

Inizia a friggere, anche se di solito non pensa a queste cose, «Possiamo andare in piazza,» suggerisce senza badare davvero all'altro ragazzo: si concentra solo sulla prospettiva di tornare nello stesso posto dell'altra volta, magari ricreando la stessa atmosfera.
«O a casa mia.»

Ecco, .
Casa sua: praticamente un sogno, praticamente potrà dire in giro che sono amici e poi... casa sua, perfetto.
«Bene, così vedrò com'è vivere fra gli inglesi.» Scherza.

E preso nella sua battuta non si rende conto che il tempo passa, il cibo è pronto, e loro sono già in strada. Si accorge che le sue distrazioni sono dovute alla sua fantasia, si chiede che cosa c'è nella testa di Jude da prenderlo così tanto... non può trovare una risposta, non adesso almeno. Deve concentrarsi solo su ciò che sa per certo.

Ed una cosa che ora sa è che Jude abita davvero per la via che Val lo vedeva percorrere, in una palazzina piuttosto insolita per trovarsi a Bristol, piccola, stretta, con tantissimi ragazzi al suo interno. A vederle si sente il cuore montato di rabbia e frustrazione, com'è possibile che delle persone così grezze - e non si riferisce solo all'aspetto esteriore - stiano lì a studiare, mentre lui non sta facendo assolutamente niente? Non è possibile che non sia ancora riuscito a capire che cosa fare della sua maledetta vita.
E ci resterebbe davvero male, se non fosse che l'altro ha aperto la porta di uno degli appartamenti, per poi entrare subito al suo interno - in uno scatto quasi veloce - e fargli cenno di seguirlo.

Dai, vieni.
Lo fa: si intrufola in quel posto minuscolo, tentando da subito di analizzare e ricordare ogni dettaglio, per sentirsi meno spaesato almeno.

«Andiamo in camera.» Mormora Jude quando si accorge la cucina è già occupata: è piena dei suoi coinquilini, il loro vociare è forte e quasi li insegue mentre entrano in una delle cinque stanze che danno sul corridoio.

Robert tenta di non far troppo caso al fatto che già sta entrando in camera sua, che quasi non ci contava, si concentra solo su ciò che vede, accorgendosi che non c'è niente di diverso da ciò che si aspettava: porta marrone, pareti bianche ma un po' rovinate, un poster gigantesco dei The Who. Letto, piccolo con coperte blu scuro, comodino con sopra tanta roba, armadio quasi scompagnato dal resto dei mobili, aperto, qualche vestito visibile. Non ci sono colori troppo accesi. La scrivania: computer, penne di ogni tipo, libri universitari, appunti, cd, posacenere pieno, tazze di caffè - o tè? - vecchie e finite.

I suoi vent'anni in uno spazio ristretto: Robert per tre secondi si sente a casa sua.
E lì dentro non c'è niente che gli appartiene.

«Sì, lo so, è un casino.»
«No,» commenta lui, ancora intento a cogliere tutti i dettagli, «immagino che hai un tuo ordine e non perdi mai niente per questo.»
«In realtà no,» lo corregge Jude, intento a spostare e fare un po' di spazio sulla scrivania, «proprio no.»

Lo adora. Gli viene difficile immaginare una persona che adora di più al mondo, ed è un sentimento che gli fa quasi male per quanto è intenso, per quanto è improvviso, per quanto è nuovo.
Probabilmente è così preso da questa sensazione mai provata, che sta esagerando ogni cosa: non ci mette molto a capire anche questo, che presto la sua infatuazione si affievolirà, come tutte le cose che arrivano così in fretta.

Come le scoperte.

Ma il presente è una cosa diversa e, in questo, Jude comanda come non ha mai regnato nessuno nella sua testa. Non semplicemente un Re, ma un Imperatore del suo cuore, padrone dei suoi pensieri.

«Rob,» abbrevia il ragazzo, non considerando il fatto che non gli ha mai dato il permesso di chiamarlo così, non che glielo impedirebbe, ovvio, «non lo trovi un po' strano?»
«Cosa?»
«Che tu sia qui.»
«Solo perché fino ad una settimana fa ero un completo estraneo?» Scherza.
«Quello, sì. Esatto.»

«Sto cominciando a credere nel Destino.» Spiega, quasi per giustificare il fatto che non la trova una circostanza così particolare.
«E perché il nostro incontro dovrebbe essere frutto del Destino?»

Perché ci ameremo.

«Non ne ho idea, ma ci sono troppe coincidenze di mezzo.»
«Lo avevo notato.» E se lo ha visto persino lui, pensa Robert, ancora più convinto della sua teoria, allora non è davvero una sensazione solamente mia.
«Chissà,» dice, nel tentativo di smorzare la tensione creatasi fra lui ed il nulla, «magari sei solo l'emissario del Destino per farmi scoprire i The Who.»
«Sono un culto, in effetti. Vedrai da solo.»

E ridono, ma di risate diverse da quelle che sono abituati ad avere con le poche amicizie che hanno.
Forse più sincere, perché le loro parole sanno mischiarsi negli animi.

«Val ha dei problemi,» si confida Robert alla fine, quando è certo che - messa da parte la sua infatuazione - si possono capire, che può dire qualsiasi cosa e venir compreso tranquillamente, «è innamorato di una ragazza, ma il futuro fidanzato di lei si sta mettendo nel mezzo.»
«Che la lasci perdere.»
«Suona per lei. Con lei, il venerdì.»
«Ahhh, sì. Ho capito: mi ha già detto questo...» fa, perplesso, con l'aria di chi sta cercando dentro la propria testa significati e discussioni recondite, «credo.» Cede infine.
«Comunque,» ridacchia, per poi tornare subito serio, «ho paura che faranno in modo di cacciarlo da quel gruppo.»
«Non puoi dirglielo?»

La soluzione più logica, effettivamente: parlarne con l'interessato. Dovrebbe parlare con molti interessati, ora che ci pensa, ma non è una regola così semplice da applicare.

«Non lo conosco abbastanza,» ammette, nonostante questo gli faccia un po' male, «gliel'ho accennato, ma non ho tutta questa confidenza per blaterare le mie paranoie.»
«Scusa, è che sembravate tanto amici...»
«Jude,» anche noi lo sembriamo, «ne abbiamo già parlato.»
«Possibile...»

Fa vago, di nuovo imbarazzato da qualcosa. Camuffa la sua espressione riempiendosi la bocca di patatine ma, sotto lo sguardo curioso di Robert, si arrende alla decisione finale: «Rob,» inizia titubante, «forse non te ne sei accorto ma...»

Sì, ti prego. Dillo. Che sei omosessuale, bisessuale, confuso, attratto da me, dì qualsiasi cosa che potrebbe farmi tremare il cuore.
Ed attende, con gli occhi quasi sgranati, le mani che tremano per l'emozione, non cerca nemmeno di mascherare il turbinio di sentimenti - e pensieri irrazionali - che gli vaga per la testa, attende solamente.

«...io tendo ad essere distratto.»
«Lo so.»
«Quindi inaffidabile.»
«Immaginavo.»
«Bene, questo.»
«Questo?!» Esclama, praticamente sconvolto. Si sente come se avesse perso tutte le speranze - che in effetti aveva solo per metà - in un secondo solo; non sa fare niente se non guardarlo, quasi sconvolto.

«Non ci sono molte persone che lo sopportano, tipo la mia ex. Lei non lo sopportava affatto.»

Bene, deve arrendersi definitivamente all'idea che non sentirà nessuna verità scottante, ma solo una massa di sciocchezze - probabilmente anche fondate - che di dichiarazione non hanno nemmeno il sapore.

«Non importa,» finge, perché in realtà è deluso, senza poter mostrare il vero motivo, «nemmeno io ho un carattere semplicissimo. Né tanti amici.»
«Strano, sei uno che fa amicizia subito... tipo al primo sguardo, no? Un'occhiata e dai confidenza.»

Magari ad una Seconda possiamo diventare qualcosa di più.

*


Le serate passate insieme moltiplicano, come va avanti il tempo: quasi non concepiscono più di non potersi vedere un giorno - anche se probabilmente questo riguarda più Robert che Jude - o di cenare da soli.
In realtà non parlano di cose profonde, né si scambiano pensieri, ma si divertono non facendo nulla insieme. A volte bisticciano, ma in modo amichevole.

Per Robert queste ore passate con lui paiono un'intera distrazione della sua solita malinconia; oramai lo conosce molto più di quanto conosce Val ma, nonostante questo, c'è qualcosa che gli impedisce di considerarlo un amico nella sua completezza.
I suoi sentimenti non sono così sinceri, ecco tutto.

E non vuole essere suo amico, preferisce avere qualcosa in più.

Ma ha paura di non poterlo avere, quindi continua a fare finta di niente. Ci sono delle giornate in cui si deve sforzare per questo, per non accennare nessuna mossa, per non contraddirsi o fargli capire che cosa prova davvero nei suoi confronti.

Ci sono dei giorni in cui porta una specie di maschera e si sente in colpa per questa. E ci sono dei giorni in cui i pensieri sono troppi, semplicemente.

Naturalmente soffre per questa situazione: Jude non coglie niente, nemmeno le maldestre battute a sfondo sessuale che Val ha consigliato di fare di tanto in tanto, così come non si accorge dei flirt o delle occhiate palesi che ogni tanto gli sfuggono, più forti della sua volontà. Non guarda e questa sua caratteristica sa essere una tortura, come del resto aveva già annunciato.

E - come se non bastasse tutto questo - c'è quella maledetta scommessa di mezzo: quella di dichiararsi alla "prima persona". Ma non ci riesce ed è il solo motivo per cui il musicista con il quale ha stretto il patto chiude gli occhi: perché lo sa, lo capisce, si rende conto perché lo vive sulla propria pelle.
Non è facile aprire il proprio cuore ad una persona che non recepisce nessun messaggio o che forse li ignora volutamente, facendosi scudo della nota stupidità.

Robert si chiede sempre più spesso se è così anche per l'altro: se Joanne ascolta la sue parole e si rende conto che i suoi sforzi - tutti quei pomeriggi, tutte quelle volontà, tutto - siano in realtà un modo per far contenta lei...
Un modo come un altro, forse quello che li accomuna di più, per lasciarle detto che la adora.

Se lo sta chiedendo anche adesso, mentre chiude il piccolo Fish and Chips dove lavora, constatando che Val se n'è andato ancora una volta prima del tempo, senza lasciargli modo di domandare nulla di ciò che gli è passato nella testa negli ultimi minuti.

Ma c'è qualcosa della quale si accorge, perché cattura inevitabilmente la sua attenzione: di fronte ad uno dei pub ora aperti, quelli che ornano il centro e che hanno sicuramente più attrattiva del piccolo ristorantino dove sta lui, si trova il resto della band che Joanne gli ha presentato quando si sono visti la prima volta.
Quel violinista, come si chiamava.

David, ecco, il sicuro futuro fidanzato.

E sente l'istinto di fermarsi, giusto tre secondi, per sentire che cosa stanno dicendo, perché si sono accorti di lui e lo stanno guardando così male. Certo, non dovrebbe, già solo per una questione di privacy altrui, ma ha la sensazione che deve fregarsene. Che il suo musicista preferito merita una cosa del genere, visto tutte le casualità che ha fatto correre in suo favore.

Così ascolta.




Note:
Bene, un paio di scuse prima di parlare del capitolo.
Lo avrete notato da sole (forse): non ho commentato nessuno in queste ultime due settimane! Avevo un esame importante - tipo importantissimo - e mi sono concentrata sullo studio anziché sulle vostre (o anche la mia) storie... anzi, diciamo pure che EFP non l'ho proprio considerato. Ma ho superato la mia prova con bellissimi voti e, una volta tornata dalla mia parentesi lesbochic con Barbara, ho preso a recuperare tutto ciò che avevo lasciato indietro. 
Donne, aspettatevi recensioni se non le avete già ricevute ù___ù ♥

Detto questo:
Capitolo di passaggio, sì. Così di passaggio che non mi vergogno nemmeno di ammetterlo D: era necessario, però, questi due si dovevano iniziare a conoscere seriamente ed un capitolo andava sacrificato per lo scopo.
Se non altro, sono riuscita a creare un cliffhanger!

Robert ama Real good looking boy dei The Who, ed è un po' un errore perché si tratta di una delle canzoni più recenti del gruppo, strano che piaccia proprio a lui che è un fanatico degli anni ottanta... beh, poco importa, stava così bene ed è troppo carina~

Come sempre, un enorme GRAZIE a chi commenta, segue, preferisce, legge, e a chi solo perde un po' di tempo per me e questa fic.
A presto! ♥

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Capitolo 6
*** Just ***


Quinto capitolo:
Just.



«Secondo me non erano lì con buone intenzioni.»
Robert è seduto per terra, gli occhi rivolti verso il poster dei The Who che copre gran parte della parete che ha di fronte, l'aria perplessa. Si sta riferendo ai musicisti che ha visto la settimana prima, ovviamente, ma il suo interlocutore non pare interessato a quanto ha da dire.

«Dovresti parlarne con lui, Rob.» Dice infatti, mentre tenta di studiare su un grosso tomo di chissà che cosa.

«Vero.. Ma ancora non so che cosa dirgli di preciso, che devo fargli sapere?»
«Quello che hai sentito.» Riprova Jude paziente, decidendosi a dargli un po' di attenzione.
«Non ho sentito niente, in realtà... non stavano parlando di lui, ecco.»
«Allora...»
«Stavano davanti a quel pub di fronte al Fish and Chips, mi guardavano male.»
«Non capisco-»
«Sì, Jude, lo so.»
«Non mi trattare come uno stupido,» lo ferma, quasi offeso, per la prima volta da quando si conoscono con un tono di voce un po' autoritario, «sei tu che ti stai facendo tantissime paranoie inutili.»

«Avresti dovuto vederli,» ed il solo ripensarci lo rende ancora più nervoso di quanto non sia già di suo, «ma forse non lo avresti notato comunque...»
«Sto per tirarti questo libro in testa.»
«Il loro modo di comportarsi non mi piaceva per niente, come se stessero pianificando qualcosa.»
«Tipo? Hai idea di cosa?»

Sbuffa, «Secondo me lo vogliono cacciare dal gruppo, ed è un timore che ha anche lui. Te l'ho già detto un'infinità di volte, sai?»
«Dimenticato.»
«Sì, figurarsi.»
«Rob?» Chiede, quasi tentennando.
«Che c'è?»
«Posso fare qualcosa per farti tornare contento?»

Oh, ecco.
Il problema di Jude quando si comporta in questo modo è che non riesce a capire se stia scherzando, se stia proponendo qualcosa di anche vagamente erotico o semplicemente se è così stupido da non rendersi conto delle quantità enorme di cavolate che dice.

«Ad esempio?» Decide di provare, sforzandosi per suonare - almeno lui - un po' malizioso.
«Non lo so. Che cosa vorresti?»
«Meglio se non chiedi.» Mormora, fissandolo.

Per un secondo c'è questa atmosfera strana, nella quale Jude - sdraiato a pancia in giù sul letto, con tutti i libri di fronte - si accorge del suo sguardo particolare e dove Robert - seduto per terra, affianco al letto - si chiede se sta davvero succedendo qualcosa. Che tanto vale resistere ed andare fino in fondo.

«Perché?»

Non sa nemmeno che cosa rispondere, che cosa dire per giustificarsi.
Ma non importa, pensa, mentre si avvicina a lui, deciso ad eliminare completamente la distanza tra le loro bocche. Al diavolo la sua reazione: non gli interessa se è consenziente o meno, lo può far diventare lui a forza con quel gesto.
No?
No, perché subito dopo averlo pensato subentra il terrore... ed è profondo, simile ad una vocina nella testa che suggerisce un rifiuto categorico, troppo forte da battere perché così radicato da non fargli notare che Jude è ancora lì, non si è spostato di un millimetro da quando ha preso ad avvicinarsi, non è affatto turbato dal silenzio appena sceso.

Ma questo non conta quando c'è il peso storico di una fidanzata, quando non si hanno certezze di nessun tipo.

Eppure - buttando al vento il timore, la paura, il disagio - continua ad avvicinarsi.
«Jude...»
Vicino, vicino, vicino.
Così vicino che può contare le poche lentiggini che si trovano sul suo naso.

«Un caffè, magari?»

Ed ecco che la tensione sparisce, ingoiata da una semplice domanda, con Robert che - stupefatto e colto di sorpresa - si tira indietro in uno scatto nervoso, deciso ad usare tutte le sue forze per fingere un'indifferenza che in realtà non esiste.

«Caffè?» Commenta per coprire l'imbarazzo, fingendosi acido pur di riuscire, «un mod mancato come te che non beve il tè alle cinque?»
«Non sono le cinque. E non mi piace il tè: lo dimentico sempre quando è in infusione, per poi ritrovarlo ore dopo...» sminuisce, frettoloso, oramai arreso all'idea che non potrà studiare fin quando il suo amico è lì presente, «lo vuoi?»
«Il tè?»
«Hai detto così.»
«No, non è vero.»
«Mi era sembrato. Ma... quindi lo vuoi?»

«Non si arriva mai da nessuna parte con te,» scuote la testa, simulando chissà quale sconfitta morale, «ovvio che non lo voglio, comunque, sicuramente non dopo aver saputo che fine fanno i tuoi!»
«Peccato, avrei potuto - e anche voluto - ucciderti con degli scones avvelenati.»
«Scones? Vedi che sei tutto fatto di cliché inglesi? Praticamente un luogo comune vivente.»

«Oh! Ma sei incontentabile!» Sbuffa, per niente turbato da tutte quelle frecciatine: oramai si è abituato al modo di fare che Robert tiene nei suoi confronti, non si sorprende più di tanto, «caffè?» Si limita a riproporre disinvolto.
«Vada per quello. Tanto lo faresti in ogni caso, no?»
«Ovvio che sì!»

E salta letteralmente in piedi, improvvisamente felicissimo, mentre si dirige in cucina canticchiando quella che sembra una canzone storpiata - Coffeeeeee... reign o'er me!!! - intento a rincorrere la caffeina con una gioia tutta sua.

Robert non lo segue, non ci riesce: è come paralizzato da tutti i sentimenti che prova, le sensazioni che si agitano dentro il suo cuore. Da una parte è sicuro - se ne rende conto, non può ignorare i suoi stessi pensieri - che la sua adorazione per Jude ha raggiunto livelli incomprensibili, ma dall'altra ha paura di star immaginando tutto, che non è ricambiato.
E in quel caso non può permettersi di perdere tutto questo.

No, assolutamente.
E non tanto per le battute - ha preso l'abitudine di stuzzicare anche Val, in effetti, anche se il musicista ha un carattere differente, molto più vivace, e reagisce in un altro modo per questo - ma quanto più per la serenità che sente.

Lui è un ragazzo malinconico, lo è sempre stato, eppure non lo si direbbe con la stessa sicurezza quando c'è Jude lì intorno.


*


Dopo una canzone, un caffè a testa, una sigaretta fumata perché si è dimenticato della scommessa che ha fatto, Robert si rende conto di dover andare al lavoro, motivo per il quale trascina con sé Jude, ignorando ogni protesta su quello che - a dire dell'Inglese - è un rapimento vero e proprio.

In effetti è ciò che ha fatto, non ha torto: lo ha costretto. Praticamente lo ha trascinato di peso - tirandolo per un polso - dandogli giusto il tempo di afferrare il suo mp3 e uno dei tanti quaderni pieni di appunti che lascia ovunque per la propria stanza, senza manco curarsi del suo piano originale, ovvero quello di studiare.

Nel cuore la speranza di non emozionarsi oltre il normale solo perché stanno avendo un contatto così fisico, tentando di ignorare la sensazione concentrandosi solo sulla strada da prendere:
diretto verso la sua meta con passo speditissimo.

Non ha mai percorso un tratto di strada così lungo in così poco tempo, gli pare di essere arrivato al Fish and Chips teletrasportandosi nonostante il ritardo di mezzora; entra dentro frettolosamente senza lasciare Jude alla propria libertà - giusto il tempo di fare un cenno a Val che, amico da quattro soldi, ammicca subito di rimando - e rendersi conto che oggi, fortuna sua, Jimmy non c'è.

Non evita la predica di chi lo sostituisce, ovviamente, ma almeno non rischia il posto; si limita ad ascoltare, annuendo di tanto in tanto e borbottando qualche scusa che nemmeno si preoccupa di far suonare verosimile. Ha la netta, strana e tangibile sensazione di star uscendo fuori di testa, altrimenti non è possibile l'accettazione passiva con la quale prende tutto, non è comprensibile che sia così meccanico in ogni movimento. Che tutto questo - ovvero il suo lavoro, unica cosa che ha e che somiglia ad un futuro - non gli importi.

Ma, come al solito, gli basta guardare Jude per scacciare via tutte queste negatività.

Tutte?
Non proprio, in effetti, c'è ancora il suo musicista preferito che lo preoccupa e che in questo momento sta provando a migliorarsi per un gruppo - un maledetto gruppo - di cui forse non farà parte ancora a lungo. C'è quel musicista che si sta mettendo nei guai, trascinandolo con lui, perché non si accorge di quanto dovrebbe temere.

Jude gli ha consigliato di parlargliene - l'ha fatto più di una volta, in realtà - e lui si è ritrovato a rispondere che non ha abbastanza confidenza. Ma chi lo ha deciso? Quando si trova a considerare bene la questione si rende conto che non ha il minimo senso: Val non si è mai fatto problemi nell'intromettersi nella sua vita, anzi, gli ha persino presentato un ragazzo che aveva solo e solamente notato.
E che adesso non è più un Apparizione.
Quindi, seguendo questa logica, può permettersi di dare qualche consiglio.

Passa l'ora seguente domandandosi cosa fare, tormentandosi con questo dubbio, senza nemmeno curarsi di Jude - che ha occupato uno dei tavoli e ha preso a studiare come se fosse a casa sua, senza manco ordinare niente - o delle briciole sui tavoli.
Quando finalmente prende una decisione è talmente concentrato per questa che non si accorge di dirla ad alta voce, «Glielo devo dire.»

Per poi uscire fuori dal locale senza più indugiare, diretto verso Val e la sua melodia.

«Che c'è?» Chiede il trombettista quando si accorge del suo improvviso arrivo; probabilmente sta per fare qualche battuta, ma non aggiunge altro quando si rende conto del suo sguardo stranamente determinato.
«I tuoi colleghi... gli altri che suonano con Joanne...»
«Il gruppo?»
«Loro,» sminuisce, non capendo perché questa definizione deve avere così tanta importanza, «li ho visti la settimana scorsa... ed erano stranamente minacciosi.»
«Vero, ogni tanto lo fanno.» Sminuisce l'altro, guardando lo strumento che stringe fra le mani: sta fingendo noncuranza, appare evidente così come traspare chiaramente che il discorso lo preoccupa ancora moltissimo.

«Non hai capito,» finge di non accorgersene Robert, giusto per semplificargli la situazione, «erano minacciosi perché mi guardavano male. E secondo me è perché sono tuo amico...»
«Mi odiano.»
«Sì.»
«Non è un problema, comunque, non possono fare niente.»
«Ma a Joanne piace il francese...»

A questa dichiarazione Val alza lo sguardo verso di lui, evidentemente ferito, per poi rispondere con un confuso: «Canadese, è un canadese.»

Il suo amore è a senso unico - lo sospettavano entrambi - ma adesso paiono aver scoperto le altre carte in tavola: Joanne sa che il suo trombettista è infatuato di lei e preferisce ignorare questo fatto perché considera il violinista più attraente. E più talentuoso, visto che ha riscritto delle composizioni per poterlo incorporare nella sua band.
Non è nemmeno uno scontro.

«Lei non mi caccerebbe,» inizia allora, la voce tremula tipica dei potenziali amanti, quelli rifiutati ma che vogliono difendere la loro amata ad ogni costo, «o allontanerebbe, o licenzierebbe, o qualsiasi parola ci vuoi mettere. Non ci posso credere perché è semplicemente assurdo...»

«Secondo me dovresti,» interviene Jude, uscito silenziosamente dal Fish and Chips qualche minuto fa senza che nessuno dei due se ne accorgesse - meno male che non abbiamo detto niente di compromettente - ed improvvisamente deciso ad unirsi alla conversazione, «perché le ragazze tendono sempre a scegliere con il cuore.»
«Suona un po' misogino...» Borbotta Robert, mentre la sua mente divaga sul fatto che non solo le ragazze dovrebbero ragionare così, ma proprio tutto il mondo, in nome di quel sentimento che anima le cose.
«Dici?»
«Sì,» ed accompagna quest'ultima affermazione con una risata, «sei proprio biondo.»
«Non sono biondo, sono castano.»

«Io sono biondo,» interviene Val, con quello che sembra - sembra, perché non è - buon'umore; ha ritrovato il sorriso, anche se non ha il solito aspetto e non trasmette la stessa energia, «e mi rendo conto che le tue intenzioni sono buone, ma la adoro troppo per non fidarmi.»
«Almeno parlale...»
«Penso che lo farò, sì, anche se so già che non mi volterebbe mai le spalle per uno qualsiasi.»

Robert deve fermare ogni suoi pensiero - ma certo che lo farebbe, Val, guarda come cambia quando suona, quant'è finta - per non dire nulla di offensivo, e replicare con un tirato: «Ma certo, anche se ti consiglio di farlo quanto prima...»
«Sì,» annuisce breve Val, mentre sistema la sua tromba nella custodia, tipico gesto che fa quando ha intenzione di andarsene, «vado adesso,» dice infatti.

E si incammina velocemente, un breve cenno diretto ad entrambi i ragazzi rimasti, giusto per evitare le domande - come fai a saperlo? Mica la segui di nascosto? - e non far notare troppo che sente la sconfitta dentro le ossa.

Robert si volta di lato, verso Jude, con la speranza di trovare nel suo sguardo un po' della serenità che adora. In effetti il ragazzo lo sta osservando di rimando, ma non c'è molta tranquillità nei suoi occhi... forse si  è affezionato anche lui al musicista. Oppure si sente a disagio.

«Secondo te non andrà bene, vero?» Domanda dopo un paio di secondi passati senza dirsi niente.
«No, infatti.»
«Se va male...» inizia allora, guardandosi le scarpe con l'intenzione di trovare una qualche soluzione, «...possiamo presentargli la mia ex fidanzata!» Esclama quando sembra esserci arrivato.

«Sai...»
Ma non fa in tempo ad iniziare il suo discorso che Jude lo ha già interrotto ridendo, «Stavo scherzando!», precisa infatti, apparentemente felicissimo per averlo fregato, «E comunque era grassa.»
«Buono a sapersi.»
«Stavo scherzando di nuovo! Non lo era, almeno credo.»
«Lo credi? Non ne sei sicuro?» Si fa trascinare anche lui dalla risata, quasi dimentico che ha appena mandato il suo migliore amico ad affrontare la donna che adora, «mi chiedo se tu sia davvero un maschilista o se questa ragazza non è mai esistita!»
«Ti assicuro che c'era.»

E che ora non c'è più.

Rientrano dentro il locale, senza aspettare nient'altro.

*


Ma Robert dovrebbe fidarsi dei presentimenti, soprattutto se così profondi e così radicati, soprattutto se durano nel tempo e se confermati dagli sguardi dei suoi amici.

Se ne rende pienamente conto qualche giorno dopo aver avvisato Val, dopo un periodo di tempo nel quale non si sono visti, conferma muta del fatto che al musicista non tutto sta andando bene. E sarebbe anche il minimo o, comunque, il problema minore.

Perché è quando esce fuori dal suo Fish and Chips - sempre per ultimo come da copione - che li vede poco lontani... ed è in questo momento che ha le percezione esatta e completa di trovarsi in un bel guaio e di essercisi cacciato da solo.

Rapporto causa-effetto: ha detto a Val di stare attento perché aveva visto i suoi colleghi intenti a parlottare al Centro, anche se non ha capito di cosa, lo ha spinto a parlarne con Joanne, ovvero la stessa ragazza che ha una cotta abbastanza evidente - almeno ai suoi occhi - per il violinista che adesso pare muovere il gruppo; ed ecco che lei riferisce a tale ragazzo, ritenuto colpevole, che cosa ha saputo.
Così si scopre concretamente chi è davvero il colpevole di tutte quelle macchinazioni fatte alle loro spalle.

Val. Robert. Persino Jude se vogliono scavare a fondo e trovare davvero qualcosa. Sono loro i colpevoli: una gerarchia del potere non indifferente - ma dove loro non sono alla base - comandata da pezzi molto più alti, più potenzi, lì dove la forza è rappresentata dalla violenza.

Ed ha davvero il coraggio di perdersi in questi discorsi, nonostante quelli si siano accorti di lui e si stiano dirigendo verso la sua direzione: è evidente che hanno intenzione di parlargli, probabilmente su ciò che ha sentito... magari gli chiederanno una spiegazione, sicuramente pretenderanno un confronto, ma lui si sente tremare al solo pensiero.
Non si sente capace di farlo. Non di tenere un discorso, no, i nervi precedono tutto e non riuscirebbe a stare calmo.

Certo, nemmeno posso tirarmi indietro, pensa quando oramai sono così vicini che lo stanno salutando.

«Sai dov'è?» Chiede il violinista, del quale Robert ha già dimenticato il nome. David? Può essere? Magari è quello davvero.
«Chi?»
«Kilmer.»
«Chi?» Ripete, ma il tono di voce è davvero sorpreso e la sua espressione stupefatta, cosa che probabilmente lo salva da un possibile attacco di quelli lì. L'ultima cosa che vuole è far credere di voler fare lo spiritoso.
Non solo perché al momento non ha proprio voglia di scherzare.

«Il tuo amico. Sta sempre qui.» Risponde tranquillo e mentre spiega assume una specie di smorfia: è chiaro che si sente superiore al trombettista, non potrebbe esprimerlo in una maniera migliore.

Oh, Val Kilmer.

«Suona qui, ma non lo vedo da molti giorni.» Dice, utilizzando tutte le sue forze per nascondere la tensione; preferisce concentrarsi sulla stranezza di star dicendo la verità proprio a questi tizi, anziché rimanere fermo e tacere in nome della sua amicizia.
In un certo senso, sembra quasi che si stia scoprendo un codardo.
...Rimane turbato dalla cosa perché non si era mai considerato tale.

«D'accordo.»
Il suo accento graffia le orecchie. Le ferisce per quanto suona diverso, lo sente quasi sbagliato nella sua intonazione... e al tempo stesso fa nascere - e subito crescere - la voglia di parlargli, di dirgli che sa che cosa significa stare in un paese così diverso, che l'Inghilterra non sarà fredda e grigia ma è comunque poco ospitale in confronto alla sua New York. Che non dovrebbero essere nemici, visto che tutti e tre vengono da lontano.

Ma non riesce, perché gli amici che il Canadese ha con sé lo salutano - «Ciao.» - con un atteggiamento ridicolo per quanto esagerato nel suo volere essere sbruffone. Non viene naturale a questi qui, non hanno la superiorità nelle vene: sono un branco fatto per essere comandato da una persona più furba.

Decide di andarsene, comunque, sente di aver già dato grande prova di sé. Certo, per farlo deve ignorare una vocina nella testa che lo insulta, che gli fa notare quanto sia sbagliato voltare le spalle ad un nemico, che questi sicuramente lo attaccheranno mentre non guarda e lui non sa di certo difendersi da così tante persone tutte insieme.

La vocina nella sua testa viene smentita - ovviamente - ma solo quando sente un rumore assordante e si rende conto che la vetrina del locale è appena stata sfondata. Perfetto.
Perfetto.
Perfetto.
Perfetto.
No, sente la rabbia quasi esplodere ed ha la forte tentazione di mettersi a correre nella loro direzione, distruggere tutto, sfasciare loro e quello che il Fish and Chips rappresentava: lavoro, il suo unico lavoro lì a Redland dove non prendono chissà quanto ma lui ci teneva a starci perché è la zona studentesca di Bristol. La stessa zona studentesca che odia, che desidera, che sbeffeggia e dalla quale viene sbeffeggiato indietro, la condizione voluta per quanto detestata.
 
La furia è fortissima, brucia la sua mente e le sue possibilità. Da qui in poi agisce di istinto: quasi si avventa contro uno di quelli, prende a colpirlo alla cieca con tutto il nervoso ed il rancore che non si era ancora reso conto di provare nei confronti di ogni cosa.
Colpisce, viene colpito di rimando, crede di sentire il sapore del sangue in bocca scendere verso la gola.

Dopo minuti interi di confusione e di baruffa, nemmeno troppo seria, si sente spingere via. Il contatto con il terreno gli fa capire che non c'è assolutamente battaglia: non esiste uno scontro tra lui e loro.  

Li vede già, mentre lo malmenano, cerca di concentrarsi sul proprio ideale di amicizia - giusto per convincersi che ne è valsa la pena e che l'altro farebbe lo stesso se incavolato quanto lui - che il violinista cambia completamente registro, usando un tono misteriosamente calmo, e dice: «Devo parlare con Kilmer, diglielo.»

Come se non fosse successo nulla.
Digli che lo cacciamo.

E lo vede mentre si trascina gli altri dietro, li sente urlare in lontananza, insulti e imprecazioni e quante altre cose che ad un tratto smette di ascoltare; ha appena scoperto di non essere così debole come pensava e non gli interessa.

Passa interi minuti poggiato lì per terra, tentando di decidere qualcosa. Una cosa a caso, non importa. Ha più di una scelta: può far finta di niente e dire che la vetrata è stata rotta dagli stessi tipi che stavano facendo una rissa - perché sicuramente correrà voce di una rissa - lì nel centro, roba tra chav, hoolingans, studenti, persone che hanno motivi di litigare per sciocchezze e che troppo spesso si abbandonano alla pura violenza.

Potrebbe. Ma a giudicare da quanto male sente sulla faccia, avrà tantissimi segni a dimostrare il contrario.

Quindi c'è una seconda scelta: spacciarsi per un paladino, per un eroe, per un qualcuno o qualcosa del genere; dire che ha salvato il Fish and Chips dai ladri che volevano derubarlo. Potrebbe inventare che indossavano maschere o dei passamontagna e che in effetti non ha visto nulla, che i rumori sentiti poi erano tutti di difesa.

Vigliacco, si ripete, incapace di credere alla sua incapacità di mettersi un'armatura addosso per salvare la propria faccia.

Dovrebbe parlarne con Val. Sono fatti suoi, del resto, lui ci è capitato solo per sbaglio in questo enorme casino.
Certo, si può dire che la colpa di tutto sia in realtà sua, gli eventi lo dimostrano chiaramente, ma comunque deve risolvere con qualcosa.

Jude. Jude ha la testa vuota e sicuramente non saprà che fare, ma quando è con lui si tranquillizza, vive in un po' nel suo mondo separato. Jude che probabilmente non lo ascolterà come non ascolta quasi mai quando gli si parla, che tenterà comunque di aiutarlo come può.

Si rialza lentamente, così tanto che pare metterci delle ore intere, si guarda intorno solo per stupirsi dell'assenza di persone: non è ancora passato nessuno.
E solo dopo quest'ultima nota decide di incamminarsi per quelle vie buie.

Sono le undici, più o meno, le undici e qualcosa al massimo. Camminare per quelle strade non è particolarmente sicuro, considerando chi si può incontrare da quelle parti, ma questa sera non gli interessa visto che ha già incontrato il peggio.
Vuole solo arrivare alla sua destinazione, senza altri casini.

Quando ci arriva davvero si sorprende: per una volta è stato fortunato.
Il portone è aperto, come sempre, quindi si limita a salire le scale frettolosamente, senza badare a fare silenzio. Dalle porte dei vari appartamenti proviene di tutto: musica, schiamazzi, litigate, chiacchiere - sembra quasi che i vari abitanti si siano dimenticati che è notte e che esistono persone che, magari, vogliono anche dormire.
Ma questi non sono suoi problemi.



Note:
Bene, dopo questo capitolo potete andare a rileggere il prologo che - se ricordate - iniziava proprio così. E si può dire che la prima parte della fic è finita! Ora inizia la seconda e, con questa, i veri casini: Robert dorme a casa di Jude? OMG, muahahah ♥

Scusate xD
Ammetto che scrivere questo capitolo è stato divertentissimo per la parte iniziale, complesso per quella finale: si è rivelato piuttosto problematico perché avevo paura di stroncare in una mossa sola il tipo di narrazione - che ho sempre provato a rendere/fare come armonioso - con delle scene di violenza o, come in questo caso, botte. Solo dopo diversi giorni di paranoie per questo motivo mi è venuta la soluzione; stavo studiando tutto il programma di filosofia e... woooah! Ispirazione! Ho dovuto scribacchiare l'idea sul quaderno degli appunti per la paura di farla sfuggire via.

Detto questo, mi prendo un piccolo spazio per me.
Avrei dovuto scriverlo due capitoli fa e non ricordo perché non l'ho fatto, ma... Ocean of Noise è tra le Storie Scelte. Si tratta di un traguardo enorme per me - che sinceramente (come sapete) non mi aspettavo di raggiungere - non posso fare altro che ringraziare tutti voi. In particolare quelle due persone che l'hanno segnalata e che avranno il mio amore eterno... grazie! ♥

Ma torniamo al capitolo. Gli Scones sono le briochine scozzesi che in UK prendono con il tè, non sono nemmeno dolci e a me non piacciono (vi interessava saperlo? xD).

Robert chiama Jude "Mod mancato"... perché? Perché i mod sono stati un movimento culturale inglese nato a fine anni cinquanta, seguitissimo nei sessanta. Era la ribellione giovanile di quel tempo, primo spacco tra adolescenti e genitori, dove i segni distintivi si trovavano nella voglia (la volontà, anzi) di cose nuove, moderne o insolite, il look curatissimo e... musica! Tra i rappresentati di questo movimento chiaramente anche i The Who.
Ma solo negli anni sessanta, prima di scoprire (e darsi) al rock and roll... comunque, la canzone di Jude è Pictures of Lily, che fa parte del The Who Sell Out, terzo album del 1967 (ovvero quando ancora rientravano in questa categoria) che ha una grandissima importanza per me, visto che è stato il primo loro che ho ascoltato interamente *_*
"Coffeeeeee... reign o'er me!!!" è chiaramente la canzone Love reign 'er me che chiude Quadrophenia. Credo tornerà perché la amo tantissimo... comunque, la storpiatura viene da una chat delirante su msn con Manu (per la quale la ringrazio) ed è finita anche qui ♥

Sì, ora la smetto di blaterare. Vi ringrazio di nuovo per i commenti e per tutte le cose carine che fate per me, grazie!, a presto!~

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Capitolo 7
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Sesto capitolo:
Like.



Ha finito con il dormire in una stanza che non ha l'odore di Jude sulle pareti. Vuota, fredda, abbandonata: un po' come si sente lui stesso in questo momento, anche triste nella sua voglia di... cosa? Di amore, tenerezza, sesso, chiacchiere? Non riesce nemmeno a definire di cosa ha bisogno effettivamente, il ché conferma ciò che temeva da tempo: si sta avvicinando al limite - o confine - della follia.

Decisamente arrivato.

Cerca di considerare le cose dalla giusta ottica. Dunque: la sua faccia, le sue mani e le sue ginocchia bruciano, il ché vuol dire che ha un ricordo fisico di quanto è successo ieri sera e non può far finta di nulla come voleva.
Se fanno così tanto male significa che ha dei lividi, che si è sbucciato, che - in pratica - si porterà questo lieve dolore per dei giorni interi.

Poi c'è il fatto che questo non è il suo letto, il ché è terribile. Dalla finestra entra qualche raggio di sole piuttosto debole e, grazie a questi, riesce a distinguere i mobili che arredano la camera e qualche oggetto in giro.

Non gli appartiene nulla e Jude - probabilmente - non ha mai toccato niente di tutto ciò; si rattristerebbe per questa considerazione, se non fosse che non riesce a trovare una sveglia o un orologio stando lì sdraiato.
Questa è una delle sensazioni peggiori: il sapersi solo e perso in una stanza sconosciuta di una casa non sua.

Si concentra un po' - e deve essere davvero intontito per fare tutto con questa lentezza - giusto per sforzarsi di ascoltare qualcosa oltre la porta chiusa; sente solo il silenzio, forse per la prima volta da quando è stato lì la prima volta, cosa che non lo confonde troppo.
Almeno, non rischia incontri indesiderati.

Nell'epoca moderna - riflette - esistono i cellulari e fortunatamente anch'io ne ho uno con me. Lo ha davvero, solo che ieri notte non pensava gli sarebbe servito così urgentemente e lo ha lasciato di conseguenza sulla scrivania.
La sola idea di abbandonare le coperte lo costringe ed immergersi ancora di più.

E questi non sono nemmeno i problemi più gravi: come deve fare per avvisare Jude del suo risveglio? Deve andare nella sua stanza? E se sta dormendo? Magari la prende male, non pare un tipo troppo mattutino. Possibile che non ne abbiano mai parlato, con tutte le sciocchezze che si sono detti? Beh, in effetti, non ci sarebbe stato alcun motivo per discutere di come sono nelle prime ore del giorno - sempre che siano le prime ore del giorno - e non credeva nemmeno sarebbe mai servito a qualcosa.

Magari deve aspettare che sia lui a svegliarlo. Ma potrebbero passare delle ore, potrebbe decidere che ha bisogno di riposare, che succede se arriva mezzogiorno e lui è ancora lì, a far finta di dormire? Non è il tipo che si riaddormenta una volta svegliato.
Potrebbe aspettare di sentire qualche rumore proveniente della cucina ed andare... certo, se poi non trova Jude è un bel casino, come la giustifica la sua presenza ad uno sconosciuto?

La cosa migliore è aspettare un po' per vedere se gli eventi si muovono da soli.
Aspetta, dunque, sdraiato lì nel letto. Secondi, minuti, ore o attimi.

Proprio quando crede di aver atteso abbastanza, vede la porta socchiudersi e subito sente un: «Rob?»

Meno male!

«Mmmh,» risponde, fingendosi assonnato - in effetti lo è, ma meglio esagerarlo - e non apparire troppo patetico, «'giorno.»
«Buongiorno.»

Jude entra nella stanza, tranquillamente, senza ciondolare come uno zombie e probabilmente accompagnando il movimento con un sorriso. Bene, adesso sa che è un tipo mattutino a dispetto di ciò che pensava.

«Vuoi qualcosa per colazione?» Chiede, avvicinandosi ancora un po' al letto, «...Fai colazione?»
«Non prop-»
«Ok, va bene del caffè? O preferisci del tè?»
«Il tuo tè non lo voglio,» risponde lievemente, ricordando che l'altro tende a dimenticarsi tutto durante l'infusione, «E ti odio.» Aggiunge poi, che intanto Jude è già sparito lungo il piccolo corridoio, diretto verso la cucina.

Ora sa che deve davvero alzarsi - perfetto - e mentre lo fa sente una sensazione strana al petto, come una sorta di liberazione, non ricorda nemmeno perché si stava facendo quei problemi. E non vuole ricordarlo, ragiona, mentre cammina lentamente.

«Hai dormito tantissimo.» Lo accoglie Jude. Gli sta' dando le spalle, intento a trafficare con qualcosa che dovrebbe far parte della loro colazione.

«Che ore sono?» Domanda semplicemente, ancora rilassato, mentre si siede allo stesso posto che occupava ieri; le sigarette sono ancora dove le ha lasciate, nota, nessuno si è avvicinato per toccarle o prenderne qualcuna.
«Le dieci. Ne ho approfittato per studiare un po', che quando sei sveglio non me lo permetti.»
«Solo perché sei un pessimo padrone di casa.» Lo prende in giro, mentre sorride amaro fra sé.
«Sei tu che hai l'abitudine di presentarti quando ti fa comodo senza chiedere a nessuno.»
«Ti da' fastidio?»
«No,» risponde, palesemente sorpreso da quella domanda seria ed improvvisa, «in effetti no.»

E Robert si emoziona, sorride ampiamente, considera che questa potrebbe benissimo essere una delle situazioni romantiche che tanto vorrebbe vivere se non fosse per il fatto che sono entrambi scompigliati ed arruffati per la notte... questa è pura sfortuna: il momento più dolce con il ragazzo che adora lo sta passando vestito con un pigiama non suo!

Sta quasi per rispondere con una delle sue solite - quanto nuove - allusioni, ma il suono del caffè interrompe ogni proposito.

«Ci vuoi del latte?»
«Ti stai confondendo con il tè.»
«Come? No, no, lo mettono davvero il latte dentro il caffè!»
«Ah, sì? E come lo chiamano?» Sa perfettamente come lo chiamano, sa che esiste, l'unico motivo per il quale pone la domanda è sentire la sua risposta seccata - «Caffèlatte.» - e riderci di rimando, accompagnando il tutto con un bel: «Ovvio!»

Sì: ha scoperto di divertirsi così, che far uscire quel lato scherzoso di sé è piuttosto rilassante, ma non quanto ignorare Jude con le sue lievi proteste. Continua a sorridere mentre lo sente borbottare qualcosa come: te lo dovrei versare addosso, e lo vede sedersi al tavolo.

«Ti ho ringraziato?» Si decide a chiedere infine, guardandolo negli occhi; non è particolarmente bravo con queste cose, ma non ha voglia di lasciar perdere una tale occasione solo per la gioia di prenderlo in giro.
«No.»
«...Grazie.»
«Ti avrei ospitato comunque. Cioè, anche senza lividi.»
«Perché?»
«Perché...» e mentre cerca le parole diventa pallido, improvvisamente sembra non sapere che cosa dire. Ed è una speranza che si accende: ogni secondo di ritardo che impiega per rispondere è una luce nel suo cuore.

Magari ciò che prova non è a senso unico come pensava, magari sono reciprocamente attratti e sono nati per stare insieme come crede da quando si sono conosciuti. No?

«Sei tu.» Risponde Jude dopo vari tentennamenti. Ed una persona normale avrebbe accompagnato questa affermazione - quasi tenera - con un lieve rossore sulle guancie, ma lui non si smentisce - visto che fa un po' tutto al contrario - e reagisce perdendo ogni colore, diventando bianco come un lenzuolo.

«Ti voglio bene anch'io,» replica, provando ad usare il solito tono antipatico, «ma te lo dico solo perché ti sei rivelato gay.» Naturalmente spera di assistere ad una reazione rivelatrice con questa affermazione, cosa che non arriva, «Stai per vomitare, Jude?»

«Sto benissimo!» Ribatte, per poi nascondere la faccia dentro la tazza di caffè, con Robert che si sorprende perché non ha mai visto una persona scomparire a questo modo.

Potrebbe prendere tutto questo - nello specifico la sua reazione e la sua faccia infilata dentro la tazza - per una conferma ed iniziarci a provare seriamente.
Peccato che non ci riesca, c'è sempre qualcosa a bloccarlo.

«Senti...» Mormora, cambiando argomento, «...ho un favore da chiederti.»

«Un altro?» Scherza, recuperata la solita tranquillità che lo contraddistingue ed un po' di colore, «Di che cosa si tratta?» Domanda poi, mostrandosi disponibile.
«Ti va di accompagnarmi al lavoro?»
«Perché?»
«Credo mi licenzieranno...»
«Oh. Sicuro di non esserti messo nei guai?»
«Jude...»
«Sì, ok, a che ora dobbiamo andare?»

E potrebbero andare all'ora che vogliono, perché l'importante è solo questo: che ci sia, nel suo essere così sbadato, che appaia quando si ha bisogno di lui, che sia lo sfogo di cui Robert aveva bisogno a prescindere.

Per questo potrebbero davvero andare quando vogliono.

*


Si preparano talmente lentamente che per quando sono in strada è già primo pomeriggio, e si può dire che sono in anticipo di pochissimo.

Non hanno parlato molto durante la giornata, né mentre percorrono il corto tragitto, perché Robert è praticamente divorato dalla malinconia e Jude stranamente sembra capirlo, lo comprende e tace di conseguenza.
Quando arrivano di fronte il Fish and Chips sono praticamente chiusi nella loro rispettiva tristezza.

«Downey!» Si sente chiamare da Jimmy che, maledizione, è già lì accompagnato da dei tizi che paiono della polizia o cose del genere, «Downey! È successo un disastro!»
È chiaramente agitatissimo, mentre praticamente gli corre incontro.
Jimmy è il suo capo ma, a sua volta, è anche dipendente di qualcuno più in alto e sta reagendo in questa maniera perché pure lui ha qualcosa da temere, anche se pare una buffa caricatura nel suo nervosismo. Soprattutto se si conta che non c'era quando è successo, non ne ha motivo.

«Adesso ci hanno chiusi,» perfetto, almeno questo!, «e non possiamo lavorare per almeno due giorni!» Una vera tragedia, pensa Robert cinicamente, «Ma... che cosa hai fatto?» Domanda infine, quando si rende conto delle condizioni della sua faccia, «Mica c'entri qualcosa?»

Sta per rispondere con una qualsiasi delle sue scuse, pronto a dire che li ha salvati, che se non hanno rubato niente non è perché non c'è niente da prendere ma perché lui lo ha impedito, che ha fatto il supereroe e cose del genere, una qualsiasi di queste scuse inverosimili prima che Jude lo preceda - interrompendo i suoi pensieri - con un semplice: «Siamo caduti dalla mia Vespa.»

Jude, il suo Mod Mancato.
Non può nemmeno spiegare l'adorazione che prova per lui.

«Oh!» Risponde Jimmy, la reazione di non crede ad una sola parola di ciò che gli viene detto.
«Sì. Di solito non la porto male, ma mi sono distratto...» E se Robert non stesse tremando, si renderebbe conto di quanto quella scusa sa di reale, di quanto sia verosimile nella sua facilità, di quanto Jude sarebbe da temere alla guida di qualsiasi cosa, che esiste un motivo se non lo ha mai visto con nessun mezzo di trasporto ma sempre a piedi. E noterebbe tutte queste cose di certo, se solo non fosse divorato dall'agitazione.

Di fatto il miracolo avviene, con Jimmy - il suo capo Jimmy - che si rilassa improvvisamente, brillando di una propria conclusione, decidendo di lasciarli perdere: di stare dalla loro parte.
«Hanno sentito dei rumori, c'è stata una rissa. Non si sa tra chi,» spiega, «noi per almeno due giorni dobbiamo stare chiusi, vedremo poi che cosa fare.»
«Sì.» Risponde, senza manco nascondere il sollievo che sente; improvvisamente è euforico, talmente contento che non ascolta ciò che il suo capo ha da dire, si limita ad osservare Jude con tutta la gratitudine che merita.

Solo dopo qualche minuto si rende conto che dovrebbe concentrarsi - visto che il suo salvatore non ha il buon vizio di ricordarsi le cose e rischia di perdere tutte le informazioni che Jimmy sta spiegando - ma viene nuovamente distratto da Val che, come ogni mercoledì, sta arrivando per mettersi a suonare.
Cosa che non può fare, chiaramente, e se ne accorge guardando la vetrata infranta, osservando i presenti, fissando la polizia o quello che è intenta a fare domande in giro e parlottare fra di loro.

Si congedano da Jimmy velocemente, scusandosi, dicendo che Robert tornerà e che comunque rimarrà nei dintorni, per poi praticamente correre verso il musicista un po' spaesato.

«Che hai fatto in faccia? Che è successo?» Chiede lui, apprensivo, non appena sono abbastanza vicini. Si vede la sua preoccupazione, la si sente anche nel tono di voce.

«Siamo caduti dalla mia Ves-» Fa per dire Jude, pronto a riproporre la stessa scusa, prima che Robert stesso lo interrompa: «Tu lo sai che suoni con un branco di pazzi, sì?»
Ok, forse è stato solo un po' brusco. Ma il concetto è quello, finalmente lo può esprimere.

«Come? Sono stati loro?!»
«Sì,» annuisce, «anche se immagino di averli un po' provocati...»
«Robert!» Esclama, ridicolamente paterno, per poi calmarsi e chiedere dispiaciuto: «Che cosa volevano?»
«Parlarti.»
«Immagino... ho detto qualcosa a Joanne, forse loro hanno saputo.»
«Forse?»
«Lo hanno saputo.» Si intromette Jude, che effettivamente non ha mai chiesto di venir messo in mezzo, ma che pare sempre felice di dire la sua. Chissà perché, poi.
...Ora che ci pensa non hanno mai preteso un suo parere!

Ma non è il momento per porsi domande come questa, non può concentrarsi sulla sua cotta e su quanto vorrebbe chiarire le cose una volta per tutte, deve tornare con i piedi per terra e parlare con il suo amico.

«Val...» inizia, non proprio convinto del discorso che vuole fare.

«Sentite...» lo interrompe subito - ed inaspettatamente -  il trombettista, visibilmente dispiaciuto per quanto successo, «non so come scusarmi.»
«Non è colpa tua,» fa Robert, sorridendo nervoso e chiedendosi contemporaneamente perché si scusa con entrambi, visto che - suo malgrado - non sono una coppia, «ma è una situazione che va chiarita, visto che torneranno.»

Lo faranno, di questo ne è certo.

«Sì... ok, va bene,» Risponde lui, improvvisamente deciso... ha davvero l'aria di chi sta per prendere le redini della propria vita per la prima volta, senza che nemmeno sia questa fatidica prima volta, «venerdì voi due venite al Jazz Club,» e non li lascia dire che non hanno voglia di ascoltare Jazz o assistere a chissà quale spettacolo, «so che l'ultima volta siete fuggiti entrambi ma... ho deciso di dichiararmi.»
«Davvero?»
«Davvero. Dopo l'esibizione.»
«Fantastico...»
«Esatto.» Calca il concetto, per poi sorridere, quasi commosso da se stesso: «Lo prometto: mi dichiaro.»

E loro ci credono, perché già solo questa è una dichiarazione a metà.

*


Rimangono ancora lì a parlare, fino a quando Jude non dice che deve tornare a casa, accenna a degli altri impegni e che non c'è più bisogno di lui, per poi sparire lungo la sua via del ritorno, il solito passo tranquillo.
Li lascia soli, come soli volevano stare da un po'.

«Val...» fa Robert, tentando di iniziare un discorso per la seconda volta, ma nemmeno questa riesce.
«Dovrai dichiararti anche tu, sì.» Lo interrompe infatti il suo amico, sicuro della domanda che sarebbe arrivata; non ha torto, in effetti, questa era sicuramente una delle questioni che gli vorticano in testa da quando l'altro ha dichiarato la sua decisione.  

«Ecco...» balbetta, «...per questo...» e vorrebbe lanciarsi nella descrizione di tutte le sue paranoie, se non fosse che oramai non sa manco da dove cominciare.

Il trombettista sorride, malefico: «La nostra scommessa era questa. Hai tempo fino a sabato.»
«Ma!»
«Niente "ma", i patti erano questi: chiarissimi. Io lo faccio, tu lo fai.»
«Non va ben-»
«Rob, per favore! Praticamente siete già una coppia! E...» Aggiunge, fingendosi cattivo, impostando la frase sembra voler dire anche qualcos'altro.
«Che c'è?» Lo esorta Robert, cogliendo quel silenzio improvviso come una minaccia.
«C'è che non sto scherzando, siete carini e sembrate due fidanzati. Vi mancano solo quelle cose omosessuali vostre...»
«Come?!»
«Ma sì, hai capito. Il punto è che tu sei tardo per queste cose, lui peggio, quindi siete ancora qui ad aver bisogno di un vero aiuto esterno.»
«E come mai proprio tu?»

L'altro non risponde, guardando la custodia della propria tromba, ancora chiusa e stretta nella sua mano.

«Ah,» comprende quindi, ragionando brevemente che ultimamente incontra solo persone imbarazzate ad aprirsi, «è mica il tuo modo per ringraziarmi?»
«Per spronarti.»
«Sì, certo. Grazie.»
«Prego. Più o meno.»

E di fronte a questo scambio di battute, Robert si sente ancora più perplesso e - al tempo stesso - tranquillo; capisce che è arrivato il momento di condividere un paio di dubbi, sente che Val li può ascoltare ora come ora, che ha bisogno di distrarsi con qualcosa.

«Jude... mi lancia dei messaggi contrastanti.»
«Ha una cotta per te.»
«No.»
«Fidati: sono un musicista.»
«E dovrei fidarmi per questo?» Ride apertamente, «Mi spiace ma non ne sono così sicuro.»
«Beh, è una persona egoista, no?»
«Vive nel suo mondo.»
«Però tenta sempre di aiutarti come può.»

Perplessità.
Quello che Val ha appena detto è vero, verissimo, lui stesso lo aveva notato poco prima: nessuno ha chiesto a Jude di dare una mano in questa storia, eppure lui si è sforzato di rimanere concentrato su un discorso e dire la sua. Lo ha aiutato. Lo ha lasciato dormire a casa sua. Lo fa stare anche quando dovrebbe studiare.
Jude non sa dirgli di no, non ci prova nemmeno, ed impallidisce improvvisamente quando si parla di sentimenti o cose del genere.

«Ho dormito da lui, questa notte...» Si ritrova a mormorare, senza usare un tono troppo convinto.
«Lo avete fatto?!» Strepita allora il musicista, sconvolto ed emozionato al tempo stesso. Sembra una bambina nel giorno del suo compleanno, si ritrova a pensare Robert, sghignazzando un'altra volta.
«Non ho detto "nel suo letto".»
«Oh, ma lo avresti voluto,» poco ma sicuro, «come lui del resto!»
«Ti ho detto che non ne sono certo.»
«Io invece lo sono.»
«Credi che l-»
«Sì.»

Ed ha i dubbi anche lui, perché tutto torna, perché vuole sperarci, perché la sua anima romantica si sta dibattendo dentro il suo stesso corpo ed ha voglia di saltare in aria e correre da Jude e... e rimane fermo, paralizzato, fissando Val con l'aria del perfetto cretino.
Non sa che dire.

«Allora...»
«Diglielo.»
«Ma quando? Non c'è un momento...»
«Adesso. Strappa il cerotto, su che sei pronto!» Lo esorta, continuando a sorridere, convinto di quello che sta dicendo. Perché sì, lui è sicuro che andrà tutto bene e se ci crede Val - che è un jazzista e, in quanto tale, ne sa qualcosa di sentimenti - può fidarsi anche lui.

«Non lo sono affatto...» Tenta ancora, ma è chiaro che sta tentennando. Il punto è che ora è pieno di dubbi - in positivo - e che le parole dell'altro servono davvero a dare una certa spinta, sente che potrebbe davvero andare a casa di Jude e chiedergli a bruciapelo che cosa sono.
Se sono una coppia alla quale mancano solo le loro cose omosessuali.

«Vai.» Comanda ancora Val, senza cedere nemmeno un secondo.

E lui lo fa.
Lo saluta brevemente, la voce quasi tremante, mentre si incammina verso casa di Jude. Il suo passo è veloce, perché sente quasi la voglia di mettersi a correre per l'improvvisa frenesia che avverte dentro. La convinzione di poter andare avanti, di poter arrivare di fronte alla sua infatuazione e dirle tutto ciò che prova, che pensa, che ha sempre voluto.

Arriva in fretta, questa volta avvertendo qualcosa al cuore, animato da sentimenti completamente differenti da quelli che lo avevano spinto a fare le stesse scale la sera prima.
I rumori provenienti dagli appartamenti suonano persino diversi, più ovattati, meno fastidiosi del solito; si sono calmati durante il giorno ed ora appaiono tranquilli anche loro.

Silenzio, velocità, cuore in gola. Sai, mi piaci, so che probabilmente non provi lo stesso ma questa mattina hai perso ogni colore quando ne parlavamo e, insomma, ti dico che- magari non prova lo stesso. Amicizia finita per sempre. Oppure può comportarsi come uno di quei principi dei cartoni animati che Allyson lo costringeva a vedere quando erano piccoli. O magari no, insomma, Jude sicuramente non è una principessa.
Non ne ha nemmeno l'aspetto e-

Quando Jude apre la porta, ogni singolo pensiero ammutolisce. Prima li sentiva tutti accavallarsi, ora non ha in testa nulla che non sia il suo Mod Mancato, il suo Ragazzo Apparizione, la sua Infatuazione Improvvisa.

«È successo altro? Stai bene?» Gli chiede, preoccupato e colto di sorpresa. Di certo non si aspettava un suo ritorno così presto.
Di certo non si aspetta ciò che vuole dirgli.

Ma che cosa vuole dirgli? Che cosa può dirgli, considerando che non riesce più a formulare un pensiero che sia uno?

«Niente.»
«Oh! Sei qui... perché ti mancavo?»
«Mi mancavi.»
«Bene,» fa lui, stranamente più imbarazzato di Robert stesso, «ora sei qui. Quindi... non ti manco più.»
«Se ci sei non mi manchi, no.»
«Infatti. Perché puoi parlarmi, puoi guardarmi, puoi vedermi dimenticare ciò che ti ho detto.»
«Quello preferirei non saperlo, ma...»

Ma questo discorso è addirittura più inconcludente del solito, non si arriva da nessuna parte con loro due messi insieme. Il punto è che lui è nervoso - nervosissimo - e al tempo stesso si sente svuotato dalla fretta che lo aveva portato lì... e Jude avverte tutto questo, si rende conto della strana tensione che si è creata, ben diversa da quella che c'era fra di loro la mattina.
Ancora più carica, più sentita, più profonda.

«Magari posso entrare...»
«Ah, sì,» e si dirige senza aggiungere altro nella sua camera, «vieni.» Specifica una volta arrivati. Lascia a Robert il compito di chiudere le porte, limitandosi a tacere.

Quando sono soli nella piccola stanza disordinata, cosa che è capitata già molto spesso, si limitano a guardarsi negli occhi.

«Non hai ancora detto niente...»
«Sapevo che cosa dirti,» solo che non si è preparato un discorso, «ma è più difficile del previsto.»
«Ah,» mormora, «mi vuoi dire che... non so, stai male?» E dal suo tono si intuisce che quasi ci spera.
Che sarebbe anche meglio.

«Sto benissimo!» Risponde, imitando il suo atteggiamento di quella stessa mattina.
«Sì? Non sembra...»
«Devo dirti...»

Ti stai comportando come una ragazzina, pensa disperato, altro che Val: una vera mocciosa.
Lo sente che sta sbagliando, che non c'è questo da dire, che qualcosa la deve pur fare. Non se la caverà tanto facilmente perché non può più cambiare discorso.
Qualcosa gliela deve pure dire, no?

Eppure non sente le parole sulla lingua, non ha niente da raccontare.

«...devo dirti...» Riprova, a bassa voce, segno che si è praticamente arreso alla sua incapacità di esprimersi. Anche perché, che cosa dovrebbe fare? Lui non sa nemmeno stringere le mani quando ci si presenta!

Ma Jude lo sta fissando ed ha quegli occhi e quell'aspetto ed è un segno del destino. Quindi si muove verso di lui in uno scatto - straordinariamente veloce - e cerca di baciarlo.
Cerca.
Poi lo bacia davvero.




Note:
La prima parte di questo capitolo è PESANTEMENTE AUTOBIOGRAFICA. Cioè, avete mai dormito a casa di qualcuno per poi rimanere ore - non minuti: proprio ore - svegli, perché non sapete se la persona che vi ospita sta dormendo o no? Gh, che situazioni tremende D: il bello è che quando Barbara è venuta a casa mia... le è capitata la stessa cosa! Ha tipo aspettato che io mi svegliassi e quando me lo ha detto, ovviamente, ho pensato alla mia fic e a come sono stata Jude in quel frangente.
Tipo principessa, sigh.

Non che Jude sia una principessa. E nemmeno io, in effetti, checché ne dica mia mamma, che oramai mi chiama la Principessa s--- perché sto raccontando tutto questo? E dire che ci sono cose più importanti da dire su questo capitolo!

Duuuunque. Si baciano! O lo bacia e basta? Mi sa che dovrete aspettare il prossimo capitolo e, visto che ci siete, scusatemi se questo è uscito fuori effettivamente "lungo"... non era mia piena intenzione, diciamo che mi è sfuggita di mano la parte centrale. Non lo volevo nemmeno postare, è stata Barbara a costringermi in quella che sembrava una vendetta per tutte le minacce che le ho fatto.
Quindi dedico il capitolo a lei, a Manu che ha supportato la sua idea e ai The Cure nel caso leggano queste note.
Gh, mi fa schifissimo come capitolo ed infatti deliro nelle note per distrarvi da tutto questo orrore ♥

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Capitolo 8
*** A ***


Settimo capitolo:
A.



Il primo tentativo è un cozzare di labbra, duro, sente persino i denti di Jude.
Ed in realtà sarebbe il secondo tentativo, perché durante il Vero Primo ha beccato quel punto del suo viso tra il naso e la bocca, a metà, in una imitazione confusa di espressione passionale.

Quindi durante il primo tentativo ha sbagliato punto, nel secondo c'è stato uno scontro, ed il terzo? Nel terzo mira bene e bacia dolcemente. Quasi accarezzando, senza curarsi nemmeno di una possibile reazione - non può concentrarsi anche su questo, impegnato com'è a trattenere in superficie il coraggio.

In effetti - si rende conto poi - Jude non sta facendo niente: non lo ha fermato, il ché è un bene, ma non lo ha nemmeno incitato ad approfondire o continuare ciò che sta facendo. Non è coinvolto, rimane fermo - fermissimo - come se stesse cercando di capire o di trattenere una crisi isterica.

Si arrende, abbandona le sue labbra, attende una reazione qualsiasi; di certo questo è uno dei modi più chiari che poteva trovare per esternare i propri sentimenti, per quanto poco romantico.
Non che abbia ricevuto qualcosa di romantico da tutta questa storia...
Ma ancora sente solo gelo e questo universalmente non è considerato come un bene.

Si allontana ancora un po' per osservare di persona, per guardare negli occhi la delusione o l'odio o la rabbia o la furia o il disgusto o qualsiasi sentimento Jude stia provando così forte da spingerlo a rimanere immobile.

E a giudicare dal colorito che ha completamente perso - più che dall'espressione - si rende conto che ha fatto benissimo a staccarsi, anche se non può fare a meno di chiedersi perché questo inglese viene sempre preso dalla nausea in queste situazioni.

«Che significa?» Domanda finalmente, stralunato e confuso.
«Jude,» inizia Robert, tentando di non ridacchiare perché si è reso conto di aver finalmente la sua piena, quanto totale, attenzione, «significa che-» siamo innamorati «-ci piacciamo.»

«Sì,» conferma inaspettatamente lui, «tu mi piaci in modo strano.»
«Strano?»

Meglio di niente in ogni caso.

«Non dovresti piacermi.»
«Il destino-»
«Non ricominciare,» quindi ha ascoltato!, «tu non mi piaci come dovresti e non c'entrano niente le tue teorie buffe.»
«Ma...»
«Ora mi baci anche.»
«L'ho fatto. Ti dispiace?» Che domanda idiota. Peccato che la sua mente sia partita e che questa sia stata una delle poche cose che è riuscita a formulare... la sensazione che prova è strana: come se non ci fosse alcuna possibilità di recupero, dopo tutto questo, ed è una situazione così complessa che pare irreale.
Come non credere alla realtà delle cose.

Ed ora che ha svelato ciò che prova, quasi si sente nudo.

«No.»
«No?»
«No.»
«Ok.» Il cielo con un dito, sta toccando il cielo con un dito, lo sente sotto le mani praticamente. La consistenza leggera della felicità - perché è sempre così che ha immaginato le nuvole - e si metterebbe quasi a piangere dalla gioia se non sentisse concretamente che già si è reso fin troppo ridicolo.
Imbarazzante, decisamente.

«Posso farlo di nuovo.» Prova invece, cercando di dimostrare la dignità perduta mostrando la solita sicurezza che non esiste.
Tentativo immediatamente distrutto dalla risposta di Jude - «Non lo so...» - che ha la duplice funzione di mandarlo nel panico, eliminare ogni traccia di certezza e fargli rispondere con lo sconnesso: «Sì, giusto. È strano, la tua ex ragazza. Insomma, sì, ecco. Hai ragione.»

Un imbecille probabilmente avrebbe trovato qualcosa di più sensato da dire, ma fortunatamente Jude sembra star affrontando le stesse difficoltà.

«E tu mi piaci in modo strano.» Ripete infatti, come per esser certo di aver fatto entrare il concetto nella testa del moro.
«Ok.»
«Non lo so. Non è che mi trovo a mio agio...»
«Lo posso capire.» No, non è vero: non lo comprende affatto. Per quando riguarda la sua parte irrazionale dovrebbero già amarsi, già baciarsi e già scappare verso chissà quale paese più caldo, mentre quella razionale sta ringraziando ogni divinità che conosce perché Jude non lo sta prendendo a calci.

«Tu invece?»
«Io?» Panico! «Sì, insomma,» deve inventare qualcosa senza far capire che è stato lì tutti quei giorni intento a sognare ad occhi aperti possibili scenari futuri, «come ti ho detto: ci piacciamo.»
«In modo strano.»
È strano per te, «In modo strano.»
«Ed ora...»

Fidanziamoci! Matrimonio! Figli!
La sua mente sta sfuggendo completamente al controllo, in quella che pare - di nuovo! - l'imitazione di una ragazzina, e la cosa peggiore non è lo scoprire questa assenza di virilità che non aveva mai nemmeno sospettato, ma quanto più il fatto che le sue emozioni si stanno espandendo su tutto il suo corpo e in particolare nella sua espressione, visto il suo Non Proprio Furbo sorriso.
«Possiamo provarci.» Asserisce, sperando di distrarre l'altro con questo attacco di diplomazia.

«Non credo che sia una buona idea.»
«Oh, perché!» Nemmeno è una domanda, ma proprio un'esclamazione, uscita dalla sua bocca con tutta la rabbia possibile; non si stupisce troppo: ha portato pazienza ed ha sopportato, ha tollerato e si è dovuto davvero impegnare per arrivare a questo punto. Per riuscire ad aprire il suo cuore.
Non può certo permettere a lui di distruggere le sue speranze.
Improvvisamente ha voglia di tornare indietro nel tempo, oppure semplicemente da Val, dargli uno schiaffo - o un pugno, ha scoperto di essere bravo con quelli - e punirlo per il consiglio più crudele che abbia mai ricevuto in vita sua.

«Perché è troppo-»
«Non dire strano! O buffo. O qualsiasi aggettivo del genere, non dire proprio niente.»
«Me lo hai chiesto tu.»
«Lo so! Ma cavolo. Tu mi piaci, io ti piaccio, fidanziamoci.»
«Cosa?!»
«Va bene,» concede, «proviamoci,» che cosa ha detto Val? Ah, sì, «tanto sembriamo già una coppia, siamo carini, tu ti comporti diversamente quando sei con me, cosa che si nota chiaramente, e non è perché sono tuo amico. Io non sono un tuo amico, non voglio essere un tuo amico.»
«Lo so.» Ammette imbarazzato l'altro. Sta fissando qualsiasi cosa che non sia lui: le sue scarpe, il pavimento, la parete, il letto, le pieghe delle lenzuola. Tutto quello che i suoi occhi riescono a raggiungere, tranne Robert.
Ma stranamente il suo turbamento ha senso: sta praticamente ammettendo che non ci è, ci fa.

«Lo sai?» Domanda incredulo.
«È evidente, anche se non da sempre,» specifica, «io mi sentivo solo, volevo qualche amico e... sei capitato tu, praticamente fatto apposta. Inizialmente non credevo di piacerti o come lo chiami, ma poi hai preso con tutte quelle battutine...»
«Non hai mai risposto...»
«Beh, non le capivo davvero. Alcune non le ho capite manco adesso.» Risponde tranquillo, come se fosse una spiegazione logica.
 
«In pratica sei un cretino che, per qualche motivo, si atteggia ad ancora più cretino?»

Jude lo fissa per qualche secondo, sorpreso per tutta quella cattiveria, «Sì,» risponde infine, «sì, un cretino.»
«Ma io ti piaccio!»
«Non so come sia possibile, nel piano originale dovevo ignorarti!»
«Piano originale?!»
«Di amicizia: volevo un amico, ignoravo le barzellette incomprensibili-»
«Non erano barzellet-»
«-e restavamo amici.»
«Dove stai cercando di arrivare? Che mi hai sempre preso in giro?»
«Tu hai fatto la stessa ed identica cosa: mi hai baciato e non vuoi essere mio amico, in pratica mi frequenti solo per questo.»

Ha ragione, si ritrova a pensare, ha perfettamente ragione. Si è avvicinato a lui per una scommessa fatta con Val, per convincerlo ad andare avanti con Joanne, si è appassionato ai The Who solo perché voleva conquistarlo. Si è reso conto di adorarlo, di avere un'infatuazione delle più forti, ma questo non vuol dire che non l'abbia preso in giro da quando si sono conosciuti.
Così come Jude ha probabilmente preso in giro lui, fingendosi più stupido di quanto non sia realmente. E - comunque - è una sorta di sollievo sapere di non essere completamente perso per uno dei peggiori cretini di Bristol.

Anzi, paradossalmente sono cretini in due.
E si piacciono.
Il ché è la conferma di ciò che ha sempre pensato fin dal primo minuto, «Il destino ci ha mes-»
«Rob.»
«Vero, niente destino o cose strane.»  
«Rob...»
«Che c'è?»
«Mi dispiace.»
«Anche a me.» Risponde, anche se non capisce dove vuole arrivare con tutti questi giri di parole; si rende solo conto che ha sbagliato momento, che probabilmente avrebbe dovuto aspettare qualche altro giorno o settimana e allora la mente di ciascuno sarebbe stata più libera, più chiara, le intenzioni più sicure.

«Jude...» Non ha intenzione di pregarlo. Negli ultimi istanti i suoi stati d'animo hanno subito un twist decisamente inaspettato e veloce: è passato dalla speranza, alla frenesia, alla delusione, all'eccitazione, alla rabbia, alla frustrazione, per poi tornare alla speranza iniziale. Si sente quasi sfinito per tutto questo.
«Possiamo riprovarci.» Aggiunge quindi, tenendo lo stesso tono di voce calmo, rilassato, eppure concitante. Vuole molto bene a Jude, si è affezionato troppo per arrendersi davvero.

«Possiamo?» Chiede lui, avvicinandosi di nuovo, guardandolo negli occhi come se stesse cercando tutte le risposte ai mille interrogativi che ha nascosto in questa semplice domanda.

«Io ti-» amo «-adoro.»
«Oh.»
«Oh.»
«Rob?»
«Sì?»

Adorami anche tu
.

Gli da' un bacio davvero leggero sulle labbra che, per un attimo, nemmeno ci fa caso... eppure sono morbide, sono vere, sono sue.
Hanno lo stesso sapore dei sogni, pur essendo così terrene.

*


Non chiariscono niente, né quel giorno né i due seguenti: non vanno oltre quel bacetto di Jude. Certo, si sforzano per comportarsi come al solito, ovvero passando la mattina - o la sera - a casa dell'Inglese, solo per rompergli un po' le scatole in attesa di questi esami che non arrivano mai.
Fingendo che non sia cambiato proprio nulla. Ci riescono persino bene - ma oramai paiono bravissimi in questo - visto che le uniche volte in cui si abbandonano è quando si scoprono a fissarsi a vicenda.

Sono sguardi carichi di troppe cose: di tensione, sottintesi, persino desiderio; in questi momenti si rendono conto - con orrore, persino - che se non sono fidanzati è solo perché manca pochissimo. Perché si tratta proprio di quel tipo di tensione carico di riscoperta.

Venerdì arriva che non hanno ancora chiarito nulla, li trova ancora intenti ad ignorare qualsiasi sensazione positiva o negativa che sia.

Robert si è dovuto impegnare anche questa volta per avere la macchina, visto che si trattava dello stesso amico della volta precedente e - come se non bastasse - sarebbe stato presente anche Jude del quale parla interrottamente. Sua madre non ha avuto modo di fermarlo, questa volta, e nemmeno le sue accuse mute lo hanno intimorito come - invece - avrebbero dovuto.

Potrebbe andare tutto bene, perché al momento si trovano di fronte al locale.
Potrebbe andare tutto bene, ma potrebbe solamente, perché entrambi provano la voglia profonda di sparire.

Val li sta aspettando fuori la porta del locale questa volta ed è nervoso come non lo hanno mai visto - non che l'abbiano visto tantissime volte, ma insomma... - visibilmente preoccupato per quello che sarà l'esito della serata. L'intero atteggiamento non si adatta affatto al suo essere un trombettista così bravo - almeno ad orecchio inesperto suona proprio così - visto che sulla carta sarà un'esibizione come un'altra.

Il punto è che per lui tutto questo è di più. Suona da quando si è trasferito a Bristol, costretto al trasferimento dai propri genitori quando erano alla ricerca di non ha mai capito cosa, trasferimento forse un po' pesante da sopportare ma che lo ha aiutato a conoscere l'idea del mutamento.
Mentale, fisico, spirituale: il cambiamento.
E da lì ha provato a cercarlo ancora, senza mai riuscirci veramente. In forma di viaggio non funziona particolarmente, non per lui almeno, che dopo una sola estate si è reso conto che quel tipo di movimento, per quanto intenso, non è adatto alla vita di uno studente.

Non è mai stato un lettore accanito o uno spettatore infervorato, ha sempre creduto che c'è altro tempo per dedicarsi a queste cose, visto che i vent'anni si vivono una volta sola.
Una volta sola, un anno che non torna se lo richiami indietro.
Tanto vale subirli per il meglio, viverli come andrebbero vissuti: non può lasciarli a prendere polvere finché non si esauriranno.

Il bisogno di musica è nato da questo: un gesto che ha vita in sé, la produce e la crea, che porta a mutare gli animi. Ed è stata questa necessità a portarlo verso la sua tromba, verso Joanne, verso il jazz, verso le nottate più fiere, tra guerre con i propri famigliari e combattimenti con altri jazzisti. Musicisti, artisti, persone.

Stava andando tutto bene, almeno per i suoi gusti, fin quando non è arrivato David con il suo essere canadese. Andava tutto bene prima che Lei si dimenticasse delle loro sonorità già sperimentate, tentando di adattarle a quelle più swing di Lui e dei suoi ispiratori francesi.

Ed è per questo che deve lottare: per il suo ruolo dentro quella che è la sua vita. Perché la ama visto ciò che rappresenta - la sua Joanne che è anche la sua musa - e non può permettersi di rinunciarci così dopo tutti questi anni.

Ma nel farlo è nervoso, come possono notare Robert e Jude.
Ed anche loro sono nervosi, come può notare Val.

Fulmina il proprio amico con il più infervorato degli sguardi, tentando di trasmettere più informazioni possibili, emozionato come un ragazzino: «Ma-» inizia, gioioso eppure troppo euforico per suonare veramente rilassato.

«No,» lo ferma Robert, prevedendo ciò che sta per dire, «niente "Ma".»
«Sicuri?»
«Sicuri di cosa?»
«Niente Jude, lascia stare.»
«Eppure mi sembrate sospetti...» Indaga furbo: ha visto tantissime persone in tutta la sua breve carriera, ha visto la gente, ne ha scritto, sa riconoscere i sentimenti chiariti o meno quando li vede.
«Eppure non lo siamo,» lo riprende per la seconda volta Robert, stizzito, «e tu che cosa ci fai qui fuori?» Domanda per cambiare argomento.
«Sono nervoso.»
«Molto?»
«No...»
«Moltissimo, quindi.»

Sorride, ammettendo a se stesso che questa volta è stato scoperto lui, «Moltissimo. Ma mi tranquillizza che si può dire lo stesso anche di voi due.»
E prima che Robert possa esplodere con un "Non è vero!" degno della miglior primadonna, Jude li sorprende con un distratto: «Io sono stato così nervoso.»

«Sì?» Chiedono entrambi, incuriositi: sono arrivati al punto che basta un piccolo accenno del biondo ma più sul castano e drizzano entrambi le antenne.

«Sì.» Risponde, per poi rendersi conto che deve una piccola spiegazione, «Una delle prime volte che io e la mia ragazza... sì, insomma, una delle prime volte che ci ritrovavamo a farlo non abbiamo usato nessuna precauzione.»   
«Stai ancora parlando di l-»
«Ed andava anche bene, perché era notte, ma poi lei si fece prendere dalla follia e mi trascinò nel primo ambulatorio aperto che trovò. E mentre si faceva prescrivere non so quale pillola io ero nervoso, avevo proprio paurissima, sai, perché sono giovane e cose così.»
«Soprattutto non sei maturo. Tu sai che questo non c'entra niente, vero?»
«Il punto è che ero davvero ad un passo dalla morte. Ma lei non era incinta!»

Val annuisce, comprendendo il discorso a grandi linee, e mentre sta riflettendo sul fatto che questa potrebbe benissimo essere paura immotivata, Robert si accorge che: «Sei andato via da Londra per non vederla più?»

Il trombettista si ritrova a ridacchiare di fronte alla conferma di ciò che aveva a malapena chiesto, ma al tempo stesso percepisce di essere di troppo, di non avere più un ruolo in quel discorso: la sua informazione l'ha avuta, così come il consiglio contorto, può trovare il coraggio nel proprio cuore. Dopo un veloce saluto - «Grazie Jude. Immagino non sarà poi così difficile come nel tuo caso.» - fa per entrare dentro il locale.

Robert, alle sue spalle, si limita a sorridere nervosamente, nuovamente preso dai suoi problemi.

«Mi ero stancato di amarla così tanto.» Sente come risposta, che gli arriva fin troppo ovattata, ma non ha tempo di pensare a che cosa significa.

*


Tutta l'ansia, l'agitazione, il cuore in gola e lo stomaco contratto che ha sentito fino ad ora spariscono nel momento in cui la trova, seduta nella stanza che quelli del Jazz Club riservano ai musicisti, intenta a scrivere un sms o qualcosa del genere.

Persa nel suo mondo, a metà fra la musica e la modernità, bellissima come lo è sempre. Non si ferma a guardarla: deve andare da lei e trovare la soluzione che sta cercando, confessare ciò che prova, sentirsi vivo nei suoi sentimenti almeno per una volta.

«Joanne?» Chiede, per sembrare cortese. O semplicemente per non apparire come il tipo inquietante che ti segue di nascosto e rimane a fissarti giusto quei minuti.

«Ciao,» risponde lei senza neanche alzare lo sguardo dal telefono. Digita qualche tasto, poi finalmente gli dona un po' di attenzione, «sei pronto?»
«Un po' nervoso...» Ammette, più tranquillo: sa che con lei può dire qualsiasi cosa, che capirà nella sua maniera schietta.
«Anch'io.» Risponde infatti, alzando lo sguardo e sorridendo sinceramente. In questi momenti non appare nemmeno come la ragazza che è, sembra più matura, nonostante l'accento impostato che si sente in ogni frase.

Per anni è stata proprio questa sua capacità di rasserenarlo che lo ha colpito, lo ha vinto, lo ha costretto ad arrendersi alla musica che compongono: quando lei torna ad essere la Joanne che ha conosciuto.
«Tu non dovresti esserlo...» Le dice, cercando di imprimere in quelle poche parole tutta la stima e tutto l'affetto che prova nei suoi confronti.
«Neanche tu.»
«Io non sono bravo-» non lo sarò mai «-come te.»
«Sei carinissimo Val,» sghignazza, visibilmente contenta, «ma sono agitata per tutte quelle cose che sono accadute ultimamente.»

Ed improvvisamente passa tutto, l'atmosfera si rompe come se niente fosse, lui ricorda tutti i dubbi che lo hanno portato fino a lì: velocemente si accorge che il suo modo di comportarsi è palese, che lei se n'è accorta, deve essersene accorta, che lo sta ignorando di proposito e soprattutto che preferisce David.
Che è andata a riferirgli i suoi dubbi, quindi non è più la ragazza di cui si può fidare. Si infurierebbe se non fosse che la ama così tanto.

«Joanne...»
«Sì?»
«Credo che sia diventata una questione di parti.»
«Lo penso anch'io.»   
«E temo che tu non stia dalla mia.»

Solo dirlo fa malissimo, perché rende tutto reale.
Solo guardarla mentre lo dice fa malissimo, perché rende reale anche la sua reazione, il suo sguardo quasi indifferente.
Si sta ammazzando da solo, nemmeno nel modo più dolce.

«Val, tu sei bravissimo...» fa Joanne, senza guardarlo negli occhi, «...ma anche David lo è, lui è davvero meraviglioso, suona benissimo e...»
E lei è infatuata quanto lo è Robert di Jude.

«Ma se dovessi scegliere?» Tenta, rendendosi conto che buttarsi non è così semplice quando non c'è una melodia a coprire il tonfo.

«Basta, non dire così anche tu!»   
Anche tu.
«Che cosa sceglieresti, Joanne?»
«Basandomi su cosa? Musicalmente o personalmente?» E magari rispondendo a questo modo crede di spiazzarlo, pensa di essere stata brava per tutto questo tempo. Ma non lo è stata: a questo modo ha solo confermato una delle tante domande.
«Scegli solamente.»
«Tu sei un musicista eccezionale, Val.»

Ma nient'altro.
Niente.

«Bene.»   
«E... sei bravissimo. Mi sei sempre stato accanto, mi hai aiutata quando ero disperata, mi hai sopportato sempre, tu...»
«Lo so.»
«Rimani nel gruppo,» lo prega debolmente, «non voglio perderti.»   
«Come Trombettista.»
«Hai una tecn-»
«Come persona?»
«Ti voglio bene,» risponde lei usando una voce flebile, quasi ferita, completamente diversa dal tono che stava usando prima: ha preso a preoccuparsi seriamente, ha davvero paura di perderlo ed è sincera in questo - lui lo sa - ma non sta ammettendo proprio niente, «ti voglio bene.» Ripete.   
«Lo so.»      
«E...»

«Ti amo,» butta infine, per non stare ad ascoltare un altro monologo su quanto sia stato caro durante la loro amicizia, «e so che tu non provi la stessa cosa. Lo so, lo so, che ti piace lui. Lo capisco. Così come capisco che è corrisposto e che vi fidanzerete tra breve e tanti figli tra qualche anno,» continua tutto d'un fiato, senza preoccuparsi se suona troppo cattivo o meno, «lo vedo dal modo in cui tentate di compiacervi a vicenda per qualsiasi cosa. Ma lui è aggressivo come lo sei tu ed ha paura della mia presenza.»  

Joanne non risponde, non dice niente, si limita a fissarlo stupefatta. Difficile capire che cosa sta pensando, se è contenta di ciò che gli sta dicendo Val, perché mantiene solo quella maschera di stupore.
Ignora che Val si sta impegnando - quasi si morde la lingua - per mantenere la dignità e non mettersi ad urlare, ignora che questo discorso così maturo è la cosa più finta che lui le abbia mai detto.

«Sono un buon musicista, so anche questo. Però non è abbastanza: perderai uno dei due, dovrai rinunciarci, e tu preferisci lui.»   
«Io...»      
«Me ne vado per non complicarti le cose, ok? Questo è il nostro ultimo concerto insieme.»
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto...»
«Lo so.» Ma non posso restare.
«Non-»
«Non è un addio.»   
«E non era quello che volevo dirti.»

Ed è Joanne nei due ruoli che interpreta ogni giorno: è Joanne la ragazza un po' cafona, esaltata e genuinamente contenta, è Joanne la musicista in pace con la propria tristezza. È la Joanne che si è innamorata, alla fine, ma non di lui.
Questo serve a renderla un'estranea.

Si chiede se quella ragazza lì sia la stessa che lo ha esortato con la musica, lo ha invitato - quasi costretto - a suonare per il suo gruppo e a continuare nel suo sogno jazzistico, il motivo principale per il quale si impegna così tanto. Si domanda se ha mai provato qualcosa per questa ragazza così diversa, perché nel suo cuore non sente più nulla.

Non si tratta di un sacrificio, l'abbandono del gruppo non è stata una scelta dettata dalla sua volontà di andarsene o di rimanere, né tantomeno una questione di orgoglio. Sapeva già che sarebbe andata male, sapeva che non era corrisposto, sapeva tutte queste cose: lo ha fatto comunque perché era arrivato il momento.
Di dire addio a lei, al gruppo, ai suoi sentimenti.

E tutto questo - pensa con una nota di cupa ironia - aiuterà molto al suo essere jazzista: alla sua carriera farà bene, no? Altro dolore, altra solitudine come se non bastasse quella che già sentiva prima.

«Tutto okay?» Domanda lei, finalmente in piedi ed accanto a lui.

Non risponde, semplicemente perché la percepisce come retorica.

Preferisce salutarla neutro, per poi allontanarsi.

Va verso la sala principale e sale sul palco, lentamente, senza fretta, non vuole rischiare di imporsi di fronte alla folla ignara di tutto ciò che è successo - e sta succedendo - ma preferisce stare lì in silenzio ad osservarla, guardando i pochi clienti seduti ai tavoli si rende conto che per loro tutto questo - lui, Joanne, la loro unione, il gruppo - non ha nessuna importanza.
Nemmeno per i musicisti, per gli amici, per le persone: non importa a nessuno.

Dal suo tavolo Robert si distrae da Jude per qualche secondo, alza la testa e si accorge della sua presenza; non si muove, ma pare sorpreso, domandando con i propri occhi. E Val gli sorride come se fosse un vincitore, mentre nel suo cuore è solo contento che il suo amico sia riuscito, al contrario suo.
Non importa quanto il loro chiarimento non sia stato tale, infatti, almeno sono lì insieme: hanno resistito.

Ed improvvisamente realizza - anche se con una certa freddezza - che questo sarà il suo ultimo concerto per e con Joanne. Dopodiché sarà - resterà - solo, con tutte le sfumature annesse e concesse dal suo nuovo stato di cuore infranto, solo.
E da solo ritornerà a suonare.





Note:
Sto passando un momento orribile ed immagino che questo si rifletta davvero tantissimo nella scrittura. Voglio solo approfittarne per scusarmi se in questo periodo sono stata intrattabile ed odiosa con praticamente tutte voi, mi rendo conto che non mi si sopporta più e mi spiace - ma credo proprio di essere arrivata al mio limite.
Comunque, lasciando da parte queste scemenze che non hanno nulla a che fare con la storia o con il fandom in generale, spero che il capitolo vi piaccia lo stesso :D

Vi informo che è interamente e totalmente dedicato a Vane. Tutto quanto, in ogni parola, lei riconoscerà anche delle piccole citazioni alla sua persona :D il fatto è che quando sei stata qui abbiamo parlato molto anche di questa fic - e dei tuoi progetti futuri, naturalmente - cosa che mi ha aiutata a plasmare alcune idee che non avevo il coraggio di buttare fuori. Un grazie enorme, sperando che il capitolo ti piaccia. Ed auguri per il tuo onomastico di ieri!
Ed auguri ancora perché domani vengo a casa tua e dovrai sopportarmi per taaaaanti giorni. Buona fortuna, insomma. Ti lovvo è_é

E gente~ so che questo capitolo nella sua interezza è abbastanza angst. Nel prossimo - LO PROMETTO! - mi farò perdonare. Ghghgh.

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Capitolo 9
*** Human ***


Ottavo capitolo:
Human.



Sono rimasti al Jazz Club fino alla fine, anche sforzandosi per restare. Questa volta ad aiutarli c'è anche la curiosità che li divora, nata quando hanno visto Val sparire in una delle stanzette del locale per poi uscire prima degli altri con un sorriso strano. Sincero ma ambiguo, quel tipo di espressione che ti terrorizza per quanto poco chiara.

Val è la differenza di quello spettacolo.
Concerto che si muove sulle solite note basse, calme, quasi viola nel contrasto del blu. Il concerto si muove ed ognuno è perfettamente capace di fare la propria parte: da Joanne che con la sua voce tenta di accompagnare gli altri musicisti e tutti i clienti attenti, a David con il suo impegno quasi isterico, a Val con le sue note profonde.
Ed in quelle sta sistemando il suo addio.
Gli altri sono scomparsi di fronte alla sua determinazione, alla sua volontà di passare un messaggio individuale fregandosene del suono collettivo. Il piano lo ha di certo aiutato in questo scopo, ma gli occhi di Joanne non hanno fatto altro che pregarlo.

Cambia idea. Resta. Non andare. Torna con noi.
Ma questo non è nel suo stato d'animo.

Una volta finito non si è fermato a ringraziare, come fa di solito, né si è girato per sorridere alla sua cantante. No, è andato direttamente verso il tavolo dei suoi amici, sedendosi con loro come se niente fosse, per niente stanco da tutta l'interpretazione, deciso a spiegare che ha lasciato tutto.
Che da adesso si può considerare un solista.

Ed è così contento della sua scelta! Sorride, scherza, fa qualche battuta, pare quasi ubriaco da tutte le possibilità che gli si pongono davanti. Al tempo stesso è così triste che non vuole cambiare posto per andare a festeggiare.
Se n'è andato dopo poco, continuando ad elencare qualche progetto, nel tentativo di non pensarci troppo, di lasciar perdere, di concentrarsi solo sulle future melodie e sulle persone alle quali potrebbe chiedere un po' di aiuto. Che sa suonare da solo di fronte una folla si sa, lo hanno visto tutti, quindi la notizia non dovrebbe provocare troppo scalpore fra chi conosce.

Se n'è andato.
E loro sono rimasti. Dopo tutti quei giorni senza nemmeno parlarsi o confrontarsi, carichi di una nuova consapevolezza.

«Mi piaci in un modo strano,» gli ripete Jude, «quindi non dare di testa come ha fatto lui.»
«Certo.» Risponde, ancora vagamente preoccupato per il suo trombettista. In realtà crede di essere già impazzito, ma se l'altro non lo ha notato può tranquillamente continuare a fingere. Fingere: come ha fatto fin'ora, come ha fatto anche Jude.
Magari è il caso di smetterla: «Sono già pazzo.»

«Perfetto.»
«E... beh, non è uscita come volevo.»
«Cosa?»
«No, niente, lascia stare. O stai fingendo?»
«Fingendo?»
«Sì, insomma, di non capire.»
«Non ti seguo proprio... di non capire? Che cosa dovrei capire?»
«Che sono pazzo.»
«Va bene,» annuisce, come se la rivelazione non costituisse un problema per lui, «ma perché dovrei fingere di non capire che sei pazzo?»
«...Mi confondi!»
«Sì, anch'io mi confondo spesso. C'è da dire che di solito sono da solo in questo.»
«Siamo soli insieme, come sempre,» sospira, «Jude... proviamoci, ok?»
«A stare insieme?»
«Vedi? Sei molto meglio quando non fingi di avere la testa completamente vuota: sei sempre lì che non capisci, ma almeno sei più naturale.»
«Mi sto impegnando molto.» Ride l'altro, cogliendo il tentativo di alleggerire la strana tensione creatasi fra loro due.

«Ti prego...?» Prova a chiedere. Di nuovo, di nuovo, di nuovo. Sente che ad un certo punto cederà, si arrenderà e gli dirà tutto il problema; così magari capirà interamente perché secondo la sua testa questa cosa non può funzionare.

Jude cede, infatti: boccheggia per qualche secondo, chiaramente senza nessuna idea su che cosa dire, per poi buttare un isterico: «Non so nemmeno da dove iniziare! O che cosa fare, ecco. Mio padre parla sempre male di queste cose e da ciò che dice lui pare qualcosa di davvero terribile... non che lui lo abbia mai fatto, credo, ma sì. Terribile.»
«Non è che devi prendere tutto ciò che dice tuo padr-»
«Terribile.»
«Ok,» prova a ragionare, «la tua amata ex fidanzata. Conta che si tratta della stessa cosa, solo al maschile.»
«No, non è la stessa cosa. Lei era più carina di te ed era tutte curve. Morbida. E quando volevo dormire la potevo usare come cuscino, infat-»
«Smettila.»
«Tu sei anche americano! Chissà come lo fate voi in America. Fate sesso - sesso! - per poi bere birra? Con la partita in sottofondo? O tutto insieme nello stesso momento?»

«No, tu non fingi di essere un cretino,» sospira Robert, sconsolato, «ma sono felice che iniziano a spuntare fuori luoghi comuni stupidi anche su di me, vuol dire che stai entrando nell'ottica di avermi come fidanzato.» Lo stuzzica.
«In minima parte, ti ho detto.»
«Ti darebbe così fastidio?»
«Non ne ho idea. Non lo avevo proprio considerato...»
«E cosa c'è di diverso?» Domanda amaro, più a se stesso che a Jude.

Si alza, paga il conto per entrambi senza chiedere niente, poi si dirige verso la porta con fare deciso. Sarebbe una bellissima uscita epica se non fosse che l'inglese lo sta seguendo passo dopo passo, come se fosse il suo nuovo cagnolino.
Questo è il muto segno che effettivamente ci tiene, che ha paura di perderlo, che è tentato dalle sue parole. Jude è bloccato dalla sua paura, non ci vuole un genio a capirlo.

«Ti accompagno a casa?» Gli chiede, quando oramai sono all'aria aperta ed il freddo ha preso a ricoprirli.
«Grazie.»

I discorsi si sono fatti freddi mentre, camminando piano piano, si rendono conto che a tutto c'è un limite. Che potrà anche salire quelle scale per l'ennesima volta, attraversare quel corridoio, chiudersi in una stanza qualsiasi con Jude.
Ma il problema rimane e rimarrà sempre: non potranno andare avanti così.

E mentre fa quel percorso - quello stesso che ha fatto fino ad adesso, che continuerà a fare, che non potrà mai smettere di compiere qualsiasi cosa pensi - Robert formula un lieve discorso nella testa: se avrà abbastanza coraggio da rischiare glielo farà.
Sì, ha intenzione di parlare.
Come cosa, da sola, potrebbe bastare - no?

Val si è dichiarato con una semplice intenzione. Lui lo ha fatto con un bacio, ma non ci ha ottenuto ancora niente.

Così sono tornati a casa di Jude, salendo piano le scale che portano al suo appartamento condiviso, strisciando lungo le pareti dei corridoi pur di arrivare silenziosamente nella sua stanza, il teatro di tutta la loro storia.
Il palco dove si sono esibiti.
Una volta arrivati, si rendono conto che il silenzio che hanno portato fino ad ora va spezzato.

«Credo davvero che potremmo provarci. Che dovresti provarci, ecco.» Dice il primo attore in scena.
«Non so.» Risponde il secondo, non preoccupandosi troppo dell'intonazione: tanto conoscono entrambi il copione, sanno che cosa dirsi e come rispondersi senza modulare troppo la voce.
«Potresti.»
«Ma...»
«Lo sai anche tu, non c'è nessun problema e non fa schifo, ricordi?»
«Sì.»
«Non era un addio, Jude.»
«No, infatti.»

E qui il sipario potrebbe anche calare, far scendere gli attori dai rispettivi posti. Solo che non succede: tutto rimane fermo come si trova. Statico. Finché Robert si avvicina, non troppo invasivo, la volontà di replicare il gesto compiuto da Jude il mercoledì precedente.

Gli lascia un bacio sulle labbra, leggero, poi un altro.
Ed un altro ancora.
Delicati, poco decisi, quasi pallidi per la loro assenza di tempo. Ognuno di loro dovrebbe essere l'ultimo anche se, semplicemente, non riesce a smettere.

Continua.
Fin quando Jude non si arrende.

Ed il bacio diventa davvero un bacio.
Mentre loro diventano una vera coppia.

*


«In pratica l'unica differenza è che adesso tu puoi baciarmi quando ti pare?»

Lunedì, primo pomeriggio, prima di andare al Fish and Chips che finalmente ha riaperto - cosa sia poi successo di quella vicenda non lo sa, in effetti, pare quasi passata inosservata - e prendere così a lavorare.
Stanno ancora parlottando, vicinissimi, come se si trattasse di un segreto di stato, un qualcosa di tutto loro.

«Puoi farlo anche tu, sai?»
«Oh, è vero,» ed in effetti lo bacia, per poi separarsi un attimo e guardargli le labbra. «E...»
Tenta di aggiungere, prima che l'altro lo interrompa con un: «Jude, è impossibile che tu abbia altre domande. Le hai chieste tutte, più volte, e non so perché ti rivolgi a me come se me ne intendessi!»
«Ma sì, sarai pratico.»
«Eh?»
«Di queste cose. No?»
«In effetti no...»
«Ah!» Esclama, come se gli avesse appena fatto un regalo, «Davvero?»
«Sì.» Sbuffa.
«Sono il primo? Il primo-primo?»
«Sì.»
«Che bello!» Continua, visibilmente felicissimo.

La cosa diverte Robert, per qualche motivo che non sa bene come spiegarsi: sarà che l'atmosfera che sente non è pesante, ma gioiosa, ed il tono di Jude non è di presa in giro. Lo si direbbe davvero così emozionato da poter improvvisare un balletto.
«Perché sei contento?» Chiede quando la curiosità si fa troppa.

Lui cambia espressione, sembra imporsi una specie di tranquillità, «Così.» Sminuisce, mentre scrolla leggermente le spalle.
«Non vale come risposta, sai?»
«L'ho dimenticato.»
«Non vale nemmeno questa.»
«Aaaah, va bene,» si arrende, «perché così non sarò l'unico imbranato.»
«Stai dicendo che son-»
«Lo sei.»
«Ovviamente!» Risponde acido ed in risposta riceve un casto bacio sulla guancia, quasi frettoloso nella sua semplicità.
«Sono perdonato?»
«Perdonato? Il mi-» e si ferma. Si interrompe quando si rende conto che stava per dire "mio ragazzo" quando l'altro non ha ancora accettato in quel senso: non ha mai avanzato una richiesta specifica da quando si sono chiariti, in effetti.

Jude nota il tentennamento ma non riesce ad individuarne la causa esatta, così domanda: «Dai, non fare così. Non è il caso.»
«Non è questo...»
«Stavi per dire qualcosa di osceno?» Prova allora, l'angolo sinistro delle sue labbra leggermente sollevato in alto, in un sorrisetto malizioso che non si sarebbe mai aspettato di vedergli addosso.
«Nemmeno. È che...» Si mordicchia le labbra, «...noi.»
«Cosa?»
«No, niente.»
«Dillo, non mi scandalizzo. Prometto.»
«Eh? Ma che cosa hai capito?»
«Ben poco. Pensavo mi volessi chiedere del sesso. O delle pratiche che fate voi.»
«"Pratiche che facciamo noi?" E tu? Guarda che devi cominciare ad includerti nella categoria,» lo stuzzica, sperando così di distrarlo, «e non sei per niente romantico. Un caso disperato.»
«Ci sei tu per quello.»
«Come fai a saper-»
«Ti conosco.»

Maledettamente vero, probabilmente lo conosce meglio di quanto Robert stesso crede.

«Volevo chiederti,» fa un profondo respiro, realizzando che è anche stupido tentennare così tanto ora, «se ci hai riflettuto. Se stiamo insieme.»
«Vedi che ci pensi tu? Strano che non mi hai portato un mazzo di rose.»
«Rispondi.»
«Sì.»
«Sicuro?»
«Sì, adesso sì.»
«Persino sulle nostre pratiche o come le chiami tu?»
«Mh,» questa volta è lui a mordicchiarsi le labbra, «diciamo che per quelle aspettiamo un po'.»
«Ovvio! Quando vuoi!»
«Mi disp-»
«No, non serve. Facciamo tutto lentamente, ok?» Lo rassicura, per poi scherzare: «Mi dispiace solo per le rose. Te le avrei portate, se sapevo.»
«Se sapevi? Guarda che non le volevo. Ti prendevo in giro.»
«Niente,» ride, «ti prendevo in giro anch'io. Sono piuttosto contento.»
«Lo sono anch'io.» Risponde l'Inglese, mentre ride con lui.

Sono felici - è vero - nessuno dei due sta mentendo: sono davvero rilassati nella loro gioia quando oramai è ora di andare. Quando Robert pensa che il tempo dovrebbe fermarsi con il solo scopo di aiutarli a far crescere quella relazione.

*


Morbido, caldo, gioia, affetto, Jude, Robert, lenzuola, I've had enough dei The Who in sottofondo e la consapevolezza di avere fra le braccia ciò che desiderava. Perché sì: non sono mai stati così contenti insieme.

Val aveva ragione, alla fine: la differenza tra il loro essere una coppia di amici ed il loro essere una vera coppia è sottile, si può tranquillamente ignorare il fatto che fino a due settimane prima erano ancora nel loro limbo di confusione e scelte ancora non prese.

Sembrano fatti per stare in questa maniera, stretti. Ma era una sensazione che già provava, una verità che ha sentito nel primo secondo.

Praticamente si impedisce da solo di commentare qualcosa sul destino, cosa che farebbe, se non fosse che si sta impegnando per tacere questa voce - nella sua testa e nella sua gola - e fare qualche piccolo cambiamento al suo modo di vedere le cose.
Migliorare un po', giusto per la vita di coppia.

Jude lo sta facendo: non si è più lamentato di possibili dubbi, non ha più fatto finta di non capire, non ha ancora mosso nessun passo falso; si sta comportando straordinariamente bene, anche se certe volte sente una qualche resistenza da parte sua - probabilmente dovuta al suo essere straordinariamente appiccicoso quando ci si impegna - ma indipendentemente da questo ci sta provando come Robert gli aveva chiesto di fare.
Riuscendoci.

Non ha pretese, non chiede, non si impone: lascia che sia Robert a fare tutto, che si presenti alla sua porta e che lo trascini nei suoi discorsi, nella sua vita, più o meno come hanno sempre fatto da quando si frequentano.

Si può dire che le loro dinamiche non sono cambiate, in un certo senso.
Che forse manca ancora qualcosa.

Ma sono passate solo due settimane ed oramai è chiaro che le cose meritano il giusto tempo fra di loro. A Robert sta anche bene, mentre è praticamente stretto al suo corpo e sdraiato sul suo letto - quando finalmente riesce ad annusare il suo odore - perché una parte di lui sa che facendo così non bruceranno troppe tappe tutte insieme.
L'altra parte fa notare che di tappe non ne hanno proprio bruciate.

Tuttavia non può chiedere tutto e subito, no?
Una sua mano scivola sotto la maglietta di Jude.

«Robert?»
«Che c'è?»
«Ma come "che c'è". Cosa stai facendo?»
«Niente,» le cose nostre omosessuali, «sta tranquillo.»
«Ok.»
«Ok? Vuoi dire che ti fidi?»
«Sì.»
«Bene,» replica emozionato, «benissimo!»
«Ora mi spaventi, però.»
«Eh?»
«Quando sei contento fai una faccia strana, tipo-» e lo imita «-così. Mi preoccupavi all'inizio.»
«Ed adesso?»
«Ed adesso pure. Che stai facendo?»
«La stessa cosa di prima.»

Jude sbuffa, forse scocciato, poi assume un'aria un po' più seria, «Mi fido davvero.» Dice, cercando il suo sguardo - come per confermare che sì, davvero, non ci sono dubbi e lui è pronto a fare qualsiasi cosa.

Robert rimane qualche secondo senza rispondere, la mano ancora poggiata sotto la sua maglietta, sopra le pelle calda, «Grazie,» mormora quando il silenzio si fa un po' pesante, tuttavia senza sapere se va bene risponder così brevemente, «sono contento.» Aggiunge, incerto ma sincero.

«Mi facevo tanti problemi, ma mi sono sempre fidato,» continua lui senza nemmeno badare alla sua scarna risposta, «credo sia solo un po' strano.»
«Cosa?»
«Che non sia così brutto stare così. Sai, si pensa sempre peggio.»
«Te lo avevo detto.» Sorride.
«Lo so,» gli ruba un bacio leggero, quasi sbarazzino, «colpa mia.»

Potrebbe aggiungere mille parole. Mille ancora, ancora discorsi, potrebbe stringersi ancora di più, continuare a scherzare, battibeccare per le minime sciocchezze, potrebbe fare tutto questo ed eppure non fa nulla. Non ne ha bisogno.
Con la mano continua ad accarezzare, a tastare, rendendo vero il fatto di stare lì. Perché se lo può toccare significa che non lo sta più solo immaginando, che va tutto bene, che si può tranquillamente fare, che se volesse potrebbe spingersi oltre quelle lievi carezze.

Lascia un bacio sulla stoffa.

Love reign o'er me.
Love reign o'er me.
Love.


Sente dire la canzone, sempre la stessa.

Amore - perché di quello si tratta - e nella sua testa torna ciò che un tempo rappresentava quel sentimento: che coinvolge tutto, la mente, i pensieri, i sensi, le parole, il sesso.

Amore e sesso. Interessante, pensa, forse persino da provare.

Improvvisamente la sua carezza si fa più insistente, più ruvida, pretende qualcosa, improvvisamente anche l'altra sua mano si muove verso Jude, su Jude, per tenerlo fermo nel caso voglia scappare - ed ha davvero paura che lo faccia, che si tiri indietro proprio ora che sta andando tutto bene, nonostante la sua promessa di fidarsi.
Di sicuro non vuole spaventarlo, ma come potrebbe? Nemmeno lui ha idea di come cominciare, da dove iniziare, come provarci solamente. Avverte solo l'istinto di andare avanti e già l'idea - che comunque lo ha toccato più volte nelle ultime settimane - basta per fargli sentire qualcosa al basso ventre.

Had enough of living, continua ad ascoltare, mentre si avvicina anche con il resto del corpo, Had enough of dying, poggia la testa sul suo petto quando oramai gli è addosso, con il naso riesce a cogliere ogni suo odore, con le orecchie sente i suoi respiri accelerati, quasi più intensi della canzone che continua a suonare in sottofondo, Had enough of smiling, had enough of crying, ed è probabilmente così perché è nervoso, perché sicuramente nemmeno lui sa che cosa fare. Forse è addirittura più perso di lui.

Si sistema fra le sue gambe quando è sicuro di non ottenere resistenza, aderendo perfettamente al suo corpo.

E non c'è niente di strano nel Jude che - forse - resiste un po', chiaramente a disagio in quella posizione, probabilmente pensando che se proprio deve succedere è sicuramente meglio per lui invertire le parti. Se lo aspetta persino, Robert, lo vede che sta considerando l'idea.

A sorprenderlo c'è invece il fatto che Jude non si tira indietro né lo spinge via.
Lo sente muoversi, lo sente stringerlo, lo sente cercare qualcosa, lo sente lamentarsi per gli stimoli - ma non con il tono scocciato che stava usando prima.

Taken all the high roads, e quello che si danno è un bacio dal sapore diverso, un contatto che sa di saliva e frustrazione, una carezza sicuramente più dolce di quella che stanno dando le sue mani. Le sue mani, ragiona, mentre scende un po' verso il basso.
Piano piano - I've squandered and I've saved - per arrivare ai suoi pantaloni, ottenere un consenso nel tempo che impiega per scendere; lo trova sulle labbra, lo sente quando la sua lingua va a stuzzicare l'altra.

I've had enough of childhood, mentre gli sbottona i pantaloni, I've had enough of grades, mentre fa scendere la lampo, I've had enough of dancehalls, mentre Jude tenta di sfilargli la maglia e lui stesso provvede a togliersi i vestiti. Ha appena scoperto di non vergognarsi, se non altro, si sente perfettamente a suo agio in quella condizione.
Ma non con il fatto che i pantaloni di Jude siano ancora lì.

I've had enough of streetfights, e li fa scendere insieme ai boxer, osservandolo, guardandolo mentre lui imbarazzato annuisce - a cosa poi? - con la testa e posa le sue mani sul suo intimo. Una manciata di secondi che nessuno dei due sa quantificare, un'altra maglietta viene abbandonata sul pavimento, e sono nudi.
Completamente.

Guardandosi in questo modo capiscono che va bene. Che avevano tutti ragione, si può fare, non sembra sbagliato - per quanto diverso - e quello strano che Jude ama ripetere ha una connotazione più positiva di quanto sperava.

Ed è Jude stesso a tirarselo addosso, a cercare un contatto più intimo, sorprendendo entrambi.

Quando finalmente questo contatto arriva, l'unico pensiero che Robert riesce a formulare è il caldo. Caldo, caldo e qualcosa che non capisce, piacere probabilmente, senso di appartenenza e gioia, dolcezza in quei momenti lenti - languidi, soffocanti, pesanti.
Ci sono solo loro due adesso, niente finzioni di mezzo.

I've seen my share of kills, parlano i The Who per lui, mentre le mani di Jude prendono a toccarlo, tastarlo come prima stava facendo lui, arrivando ovunque con quasi più malizia. Esplorazione. Fino a quando non si fermano proprio lì - proprio lì, sì! - e lo stuzzicano, come se stesse semplicemente curiosando, come se stesse riscoprendo qualcosa. Non è vergine come lui, Jude, ma in questo momento non lo si direbbe.

I'm finished with the fashions, quando ad un certo punto il movimento dell'Inglese si fa più deciso, certo, ancora confuso, ma comunque più determinato contro la sua pelle. Più veloce. E Robert non può che abbandonarsi a quella velocità, cedere, decidendo che va bene così, che i sentimenti possono aspettare, nella sua testa non c'è tempo per quelli.

Prende a muovere i fianchi - and acting like I'm tough - seguendo il movimento di Jude, spostandosi, strusciandosi addosso di rimando. Non importa se non ha idea di che cosa sta facendo, il suo movimento pare quasi mimare un atto che, in sé, non esiste.

Resta la voglia, l'incapacità di pensare ad altro che non sia lo spingere, il bisogno di baciare ed i morsi - piuttosto deboli, in verità - che tenta di imprimere dove arriva, giusto per liberarsi di quella sensazione, giusto perché ha bisogno di sfogare tutta l'eccitazione che prova e che ora è raccolta in un punto unico del suo corpo.

Tutto intorno non c'è più nulla che non sia Jude, Jude che ha preso a strusciarsi di rimando, che tenta quasi di fondersi con lui per quanto lo sta assecondando, che non smette un secondo di muovere la sua - benedetta, oh, sì - mano e che adesso sta sospirando per tutta quella frizione, immerso nei rumori di un gesto combinato e scoordinato che stona con la canzone, I'm bored with hate and passion.

Fino a quando non diventa semplicemente troppo.
E lì, nel suo orgasmo, sente la liberazione mischiata alla consapevolezza di avercela fatta. Lì Robert si sente amato. Spinto da questo anche i suoi gesti si fanno più risoluti: non ha importanza se non lo ha avuto o non è stato suo, la soddisfazione la proverebbe comunque nel sentirlo venire - non è per questione fisica, ragiona - ed è questo che sta cercando.

Una contrazione sotto di lui - nel ragazzo sotto di lui - ed un sospiro molto più intenso dei precedenti lo portano a capire che è riuscito. Che è una sorta di vittoria, quasi, almeno per lui. No? No, se solo ad averlo pensato si sente meschino.

Si sposta, cercando di ignorare il fatto che sia umido fra di loro, si avvicina di nuovo al suo volto e lo bacia, giusto per regalargli un po' di tenerezza.
I've had enough of trying to love.
Lo guarda come guarderebbe una Dèa, con la stessa ammirazione negli occhi, ne riceve in cambio il più splendente dei sorrisi.

Non ha finito di provarci, no, assolutamente.





Note:
Che imbranati, questi due ŏ_o
Comunque: ho tenuto il rating Arancione. In sé non c'è una vera scena di sesso e comunque non si tratta di qualcosa di particolarmente descrittivo... però sono aperta a consigli, visto che non sono molto sicura di questa scelta. Ditemi voi, devo alzare?

I've had enough non c'entra niente né con l'atmosfera né con i tempi della scena in sé, lo so, ed infatti l'ho scelta per il testo nella sua interezza e perché in questo c'è anche un riferimento a Love reign o'er me (che era già apparsa qualche capitolo fa, storpiata da Jude, e che apparirà ancora). Nella mia testa suona molto bene, lo ammetto~

I ringraziamenti per questo capitolo (non sono contenta se non ne faccio qualcuno, LOL) vanno a Barbara - che continua a sopportarmi quando mi lagno ed è sempre disposta a leggere questa fic prima del tempo pur di farmi stare zitta - e Giada - che mi ha assillata su msn per avere questo aggiornamento - entrambe carinissime. Ve lo dico, se non fosse stato per queste due donnine non avrei postato oggi. Ed invece!

Il solito ringraziamento anche a chi legge, segue, commenta, perde un po' del proprio tempo con me. Se vi mostrate vi dono un cuoricino - ok? So che lo volete. La vostra vita non è completa senza un mio cuoricino.

Bene, dette queste scemenze posso pure andare.
A presto!

ps: ♥

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Capitolo 10
*** Being ***


Ottavo capitolo:
Being.



Il Fish and Chips sfoggia finalmente una nuova vetrata, della quale Jimmy si vanta come se fosse sua o creata da lui stesso e, nonostante questo, i clienti continuano ad essere pochi. Jude è ancora fra questi - anche se in genere non paga - cosa che permette a Robert di parlargli di argomenti che, per qualche motivo non molto chiaro, non hanno saputo affrontare la sera prima.

«Credi che sia stato un fallimento?»
«Non ho detto questo,» risponde, alzando un po' la voce, «è che non capisc-»
«Non ci credo!»
«Va bene, non fidarti mai più, resta che tu sei ancora vergine. Ed anch'io sono vergine in quel senso e...»

Robert non sa cosa rispondere: è ancora lì, in piedi di fronte al suo tavolino, mentre strofina ossessivamente una macchia immaginaria con il doppio scopo di - uno - far credere a Jimmy che esiste un motivo se sosta lì da dieci minuti e - due - per poter pensare di star strofinando la sua testa.
 
«Stai dicendo che non è stato importante?» Sbotta dopo un paio di secondi, senza neanche ascoltare la fine di ciò che Jude gli stava dicendo.
«No.»
«E allora cosa?»
«Che... che non si può considerare come prima volta! Non lo abbiamo fatto!»
«Sì, la possiamo considerare,» risponde, chiuso ad ogni visuale, «ed abbassa la voce.»
«Robert.»
«Non capisci. Lo so. Basta che ci pensi: è stata la cosa più romant-»
«Non lo è stata.»
«Sei una capra.»
«Tu sei un verginello!»

Ridacchiano per la svolta infantile del loro discorso, dopodiché si guardano negli occhi, e lì riesce ad aprire un po' il suo cuore - ma a bassa voce, che non vuole essere ascoltato da chiunque: «Non ti è piaciuto?»
«Mi è piaciuto, lo sai, mai fatto niente di simile prima. Mio padre ha ragione: sono cose strane.»
«Ti ammazzerei.» Fa con tono sereno: dentro di sé non accusa Jude se preferisce seguire ed assecondare così tanto le idee della sua famiglia. O, in generale, di chi parla per parlare senza avere nessuna prova ma comunque la presunzione di essere nel giusto - perché lo pensano tutti.
Non fa la stessa cosa, ma lo comprende.

«So che lo faresti. Dico solo che dobbiamo provarci di più.»

«Hai ragione,» ammette, arrendendosi e perdendosi per qualche secondo nei suoi stessi pensieri, «possiamo avere tante Prime volte. Una per ogni cosa.» E prima che l'altro possa interromperlo con una qualsiasi frecciatina aggiunge: «Non è un problema vero.»

«Meno male che lo hai capito,» mormora Jude sottovoce, poi cambia persino sguardo mentre invita: «questa sera? Appena stacchi? Vieni da me. Stiamo insieme.»
«Devo tornare a casa ma...»
«Oh.»
«Ma... puoi, insomma...»
«Cosa?»
«Vuoi venire anche tu? Così conosci mia mamma. Ti rendi conto di che tipo è.»
«Suona spaventoso.»
«Già.»

E lo è, almeno per lui. Lo è davvero.
Si fermerebbe qualche secondo per riflettere anche su questo, su quanti vantaggi e svantaggi ci sono nel presentare Jude alla sua famiglia - o quel che ne rimane - quando si accorge della presenza di qualcuno di fronte la vetrata.
Ma non una persona a caso.

Il tempo di riconoscerlo ed è già diretto verso di lui, un sorriso stampato sulle labbra.

«Val!» Esclama una volta fuori, verso il trombettista appena arrivato.
«Robert.» Risponde pacato quello, senza neanche voltarsi, preferendo sistemare per bene la propria tromba.
«Che ci fai qui fuori?»
«Oh, io vengo sempre qui, sai.»
«Lo so, ho avuto tempo per rendermene conto. Ma che ci fai qui fuori ora
«Al solito orario?»
«Sì, ma che c-»
Il trombettista scoppia finalmente a ridere, del resto ha sempre trovato esageratamente divertente il prendersi gioco di quel cameriere - ma più inserviente - e neanche questa volta ha saputo trattenersi. Alza la testa per guardarlo in faccia, dopodiché sorride: «Sono tornato. Festeggiami pure.»

Robert lo farebbe, certamente, non può negare che gli sia mancato, ma al momento nella sua testa c'è un'altra priorità: «E dove sei stato?»
«Cercavo ispirazione. O meglio, cercavo di liberarmi dalle idee che mi venivano. Non puoi immaginare quanti pezzi ho composto chiamati "Cuore infranto", "Ballata del cuore spezzato" o "Jazz del povero scemo". Volevo anche suonarle, poi ho preferito rinominarle.»
«Fortunatamente.» Ridacchia, cogliendo il sarcasmo che ha sempre delineato un po' del suo umorismo.
«Vuoi sentire qualcosa?»
«Mh, che proponi?»
«Questa qui ora si chiama "Vittoria", non chiedermi quale fosse il nome precedente, ed è un pezzo sulla rabbia,» presenta, per poi suonare qualche nota distratto, senza trovarci pace, «te lo devo proprio chiedere,» dice quando si ferma, osservandogli la base destra del collo che spunta fuori dalla maglia, «hai un livido buffo.»
«Jimmy mi ha picchiato.»
«Ha fatto bene.» E riprende, questa volta tranquillo, con uno stile un po' diverso, forse più suo di quanto non lo sia mai stato prima.

Robert lo ascolta rapito e al tempo stesso disinteressato, come nei primi tempi, osserva e si rende conto di quanto tempo sia passato e di quante cose siano cambiate da quando si sono presentati la prima volta. Fra i cambiamenti principali, sicuramente il fatto che adesso c'è qualcuno ad aspettarlo dentro il locale.
Dove il locale ha inquietamente il sapore di casa, perché non ha mai smesso - così come lui non ha mai smesso di farci caso.

«Devo rientrare,» mormora interrompendolo, «vuoi qualcosa?»
«Sai che non sono bravo a rifiutare.»
«Allora vieni, jazzista.»

Val lo segue, chiaramente, si prende solo qualche secondo per riporre la tromba nella solita custodia; nessuno dei suoi gesti tradisce la probabile malinconia che - forse - porta dentro.

Entra tranquillamente ed azzarda qualche passo, prima di notare Jude seduto al solito tavolo - ed immediatamente si chiede che cosa stesse facendo lì da solo.
Si volta verso Robert, tentando di trattenere un qualsiasi ghigno ammiccante che potrebbe rovinare ciò che vuole chiedere, «Senti,» annuncia fingendosi serissimo, «prendimi pure per pazzo ma voi du-»
«Sì.»
«Sì? Bene, mi pareva,» annuisce compiaciuto, senza abbandonare il tono che si è costruito, «un livido, eh? Mi ringrazierai dopo.»
«Ma non sei stato tu a farmelo...» Tenta di ribattere, mentre l'altro è già scappato ridacchiando.

Pericolo.

Si avvicina frettolosamente ai due, quasi temendo una loro accoppiata, preoccupazione dovuta anche all'occhiolino decisamente sinistro di Val, «Jude,» dice nel tentativo di fermare qualsiasi possibile iniziativa, «vai a prendere qualcosa per lui. Anche solo le patatine, se vuoi.»
«Guarda che sei tu il cameriere.»
Ah, già, «Sì. Ma tu ordina comunque, poi ve lo porto.»
«Robert-» inizia, probabilmente perché vuole fargli notare che sono solo in tre per tutto il locale, esclusi gli altri due dietro il bancone
«Io non posso.»
«Ma se lo hai sempre fatto!»
«Jude!»
«Che spettacolo che siete...» li prende in giro Val.
«Jude!»
«Oh, va bene.»

Il tempo di alzarsi per andare a fare le ordinazioni ed il suo posto è già occupato da Robert, deciso a fare un bel discorso - il più esauriente possibile - nel poco tempo a disposizione.
«Ehi,» inizia con tono carico di disappunto, «non so che hai intenzione di f-»
«Guarda che sei stato tu ad invitarmi.» Risponde il suo amico, rilassatissimo.
«Lo so. Ultimamente ogni iniziativa pensabile tende a ritorcersi contro di me.»
«Non direi, sai? A proposito: tu dovresti ringraziarmi.»
«Lo so.»
«Lo sai, perfetto. Dunque fallo.»
«Grazie per aver scommesso con me Val.»
«Figurati, Robert. Chi se lo sarebbe mai aspettato, eh?»
«Tu, Val.»
«Bravo,» commenta, fingendo un tono seccato, «tienilo sempre in mente: io ti ho aiutato nell'impresa difficilissima di trovarti un fidanzato, quindi ora posso prenderti in giro per questo.»
«Si tratta di una qualche regola non scritta che ho sempre ignorato?»
«Una cosa del genere, s-» e si ferma, notando che Jude sta per tornare indietro. Ne approfitta per abbandonare il registro che ha usato fino ad ora e riprendere quello più scherzoso di sempre.
Rimonta anche il sorriso ammiccante: «Jude, hai mica qualcosa da raccontarmi?»

Jude si siede fra loro due, tranquillamente, raduna un po' delle cose che aveva sparpagliato quando era ancora solo. «Come?» Si limita a chiedere, evidentemente più concentrato su ciò che sta facendo.
«Insomma,» occhiolino patetico, «lo capisci.»
«Ma è serio?» Domanda invece lui, che più volte ha dimostrato di capire davvero poco quando si parla di queste cose; nella sua confusione si volta persino verso Robert, forse convinto che lui abbia la risposta. Chissà perché, è sempre convinto che Robert abbia la risposta.
«Purtroppo sì.»
«Ah,» torna a guardare il trombettista, «non so. Che cosa vuoi sapere?»
«Com'è Robert?»
«Molto carino. Molto acido. A volte è sim-»
«Sì, certo, fai il finto tonto. Ma so che hai capito.»
«È carino anche lì.»

Ed il suddetto - che fino a tre secondi prima si stava beando per i lievi complimenti appena ricevuti, nei quali Jude raramente si prodiga - perde ogni colore. L'unica cosa che riesce a dire è un misero quanto ridicolo: «Eh?»

«A che domanda hai risposto?!» Esclama invece Val, apparentemente indeciso fra l'essere sconvolto o l'essere divertito.
«Jude!»
«Non era quello che volevi sapere?»
«No!» Risponde ancora il trombettista, alzando la voce, quasi più isterico di Robert, «Ero solo interessato al sesso!»
«Ti interessa Robert che fa sesso?»
«Con te, non certo con me.»
«Nel senso che vuoi guardare? Non so, non credo mi sentirei particolarmente a mio agio. Inoltre non è che lo abbiamo prop-»
«Oh, ti prego!» lo ferma Val, per voltarsi praticamente sconvolto verso il proprio amico, oramai sprofondato nella sedia per il troppo imbarazzo.

Maledetto Jude.
Lui ed il suo essere così perversamente ingenuo.

«Che c'è?»
«Niente. Dalle parole del tuo ammirevole nuovo ragazzo, qui, deduco che qualcuno è ancora...»
«Zitto!»
«Come vuoi. Jude, parla al posto suo.»
«Jude, stai zitto pure tu! Non rispondere per nessun motivo!»
«Ok.» Annuisce lui distratto e se non fa spallucce è solo perché non è mai stato un tipo troppo teatrale.

Val non si da' peso del gesto, continua a scherzare. Decisamente pericoloso - pensa Robert - questi due vanno fin troppo d'accordo perché credo si capiscano. Eppure il musicista non continua: è di nuovo preso dai suoi racconti, da ciò che ha fatto, parla delle sue canzoni e dei significati che ha deciso di dare ad ognuna di loro. Dice di aver trovato una conclusione ed è felice che lo abbiano fatto anche loro, nonostante non sia così certa come la sua, nonostante sia diversa. «Avevate bisogno di trovarvi.» Chiude il discorso, enigmatico.  
«Non capisco di che parli.» Sminuisce Jude mentre le loro voci si perdono, Robert smette di ascoltarli per abbandonarsi ad un sorriso - si rende conto che non importa se lo prenderanno in giro per sempre, che queste cose non possono intaccare ciò che ha ottenuto: c'è un vero equilibrio adesso, lo vede dentro i suoi amici. Nelle loro parole apparentemente spensierate.

Pesano meno quando sono coperte di risate.

*


Gira la chiave, apre la porta di casa.
Sa che sua madre non è ancora tornata ma il gesto esce comunque lento, tanto che Jude - alle sue spalle - riesce ad interpretarlo come una sorta di azione solenne.
Non lo spiega, anche perché non saprebbe che cosa dire, si limita ad attraversare casa senza dire niente per arrivare in camera sua. Sembra quasi una sorta di imitazione della solita camminata che fanno nell'appartamento di Jude.

Ed in effetti è la prima volta che lo porta a casa sua, rendendosi conto solo superficialmente che - magari, forse, probabilmente - deve mostrargli la casa, descrivergli le stanze e cose del genere. La sola idea basta per renderlo ancora più nervoso, quindi la scarta.

«Eccoci.» Dice, sorridendo lievemente.
Jude non si preoccupa, deve essersi abituato ai suoi sbalzi di umore, e si limita a curiosare con lo guardo. È curioso della sua stanza, probabilmente si domanda quante altre cose può scoprire solo osservandola - e rimarrebbe sorpreso della risposta.

«Vado a vedere se c'è mia sorella...» Ed in effetti ha bisogno di sapere se è in casa, non può rilassarsi senza scoprirlo.
Non attende risposta, quindi, e sguscia via frettolosamente.

La chiama per il corridoio, sbircia nella sua stanza, realizza che non c'è; esultare in silenzio è il minimo: casa sua è vuota, non c'è proprio nessuno. E questo non sarebbe neanche strano, se non fosse che non si aspettava una simile fortuna.
Non quando Jude è lì per la prima volta.
Torna in camera con il cuore più tranquillo, il resto di sé continua a restare teso.

«I used to wake up in the morning,» viene accolto, «I used to feel so baaaad-»
«Non la cantavi da una vita.» Si limita a commentare, sedendosi poi per terra - e Jude sul letto, come se non fosse cambiato nulla e la stanza fosse sempre la stessa che occupano tutti i giorni.
«No, infatti,» risponde dalla sua postazione, ancora intento a guardarsi intorno, «ti ricordi della mia ex fidanzata?»
«Non potrei dimenticarla neanche volendolo. Parli sempre di lei.»
«Non sempre. E cosa diresti se me la fossi inventata?»
«Direi che volevi tirare fuori il discorso e poi te ne sei pentito ed hai preso a mentire. Ti conosco: non scendi nel dettaglio quando devi nascondere qualcosa e lei è tutto un dettaglio.»
«Oh, ok. Hai capito. Lascia stare.»

Ma Robert non è mai stato in grado di lasciare stare.
«Mi preoccupa.» Ammette.
«Cosa?»
«Il tuo amore per lei. L'amavi tantissimo, eppure l'hai lasciata. Sei andato via da Londra per sfuggire da lei.»
«Ma no...»
«Lo so. Non ha senso. Sì, vero. Solo... cerca di capire, mi sono affezionato ai nostri trascorsi ed ai nostri possibili futuri. Il nostro futuro. Vedi? Parlo persino sdoppiandoci, quasi do per scontato che mi lascerai - quasi do per scontato che mi amerai così tanto.»
«Sulla base di uno sbaglio, però.»
«L'hai lasciata per sbaglio? Oh, bene, sono fortunatissimo allora!»
«Mi ha lasciato lei. Te l'ho anche detto, sai?»
«Non lo avevi fatto.»
«Ero convinto di sì. Ma il punto è che sbagli.»

Robert non risponde, non sa che cosa dire. In realtà avrebbe mille pensieri, mille teorie, mille sensazioni diverse ma non riesce a decidere fra nessuna di queste: rimane lì, fermo, bocca lievemente aperte ed occhi pieni di stupore.
Ok, non se lo aspettava.
Da una parte si sente persino felice, da un'altra ha voglia di abbracciarlo e stringerlo più forte che può, da una terza sente che deve dirgli qualcosa. Tipo rassicurarlo. Smetterla con le sue angosce, giusto per un secondo, che Jude deve averne mille di più nella testa.

«Perché?» Domanda, sapendo che a questo modo può suonare crudele. Ma la curiosità ha sempre la meglio, deve scoprire, capire che cos'è che non funzionava.
«Questo te l'ho detto.» Arriccia il naso l'inglese, per poi aggiungere mestamente: «A lei non andava bene che fossi menefreghista. Manco fossi stato distratto.»
«Se fossi stato distratto sarebbe andata meglio? O diversamente?»
«No.»
«Sai... mi dispiace.»
«Non è vero!»
«Ovvio, ora stai co-»
«Sei un bel po' egoista, Rob.»

Ma sta ridacchiando mentre lo dice. Il segno che questo era un argomento che lo feriva, lo faceva davvero soffrire, ma che con lui può affrontarlo quasi divertendosi - che si sta rimarginando piano piano. Jude parla spesso di lei, è vero, ma non dice mai il suo nome. Non parla del suo carattere. Non parla della sua personalità ma solo di cosa adorava di lei.
Per dire che Robert è diverso.
C'è da sperare in questa differenza.

«Ma sai... devi considerare che le scuse non sono mai vere: nessuno si scusa sul serio. Lo facciamo solo per sentirci meglio, ma a nessuno dispiace davvero per la persona alla quale si è fatto un torto.»
«Bugia.»
«Jude...»
«Bugia, bugia, bugia. Stai filosofeggiando perché non sai che cosa dire. E quando mi scuso lo faccio con il cuore in mano! Mi segno che non è così per te, però.»
«Juuude. Non mettere il broncio, non fa per te,» e in effetti l'altro sta già sorridendo, «è che abbiamo deciso di essere sinceri - no?»
«Sì.»
«Appunto. Sinceramente sono contento che tu sia qui.»
«Sinceramente ho paura che sia tu a lasciarmi, Robert.»
«Ti pare possibile?»
«Sì! Quando ti passerà l'immensa cotta che hai per me. Ti stuferai e nel frattempo io sarò tutto convertito.»
«Impossibile.»
«Scommetti? Su questo, dai, anziché sui nostri futuri insieme.»

Per risposta Robert si sposta, si mette in ginocchio, si pone verso di lui per avere le sue labbra. E Jude lo capisce, forse perché questa volta ne ha quasi bisogno, si avvicina a sua volta. Sono terribilmente scomodi nella strana posizione assunta, ma non possono curarsi anche di questo - hanno più bisogno di sfogare le ansie in un bacio quasi casto.

«Non preoccupiamoci, allora, niente scommesse.» Dice infine, sorprendendosi persino che sia stato proprio lui a dire una frase del genere.
Lo ribacia per sigillare la decisione presa, mentre tentano di avvicinarsi ancora di più, le mani di entrambi già pronte per esplorarsi.

La porta di casa di apre. Si chiude. Rumori, qualcuno che chiama, forse annuncia il proprio ritorno.

«Mia madre è appena tornata.» Spiega Robert, allontanandosi senza fretta dalle sue labbra. Lo guarda negli occhi, constata che raramente si è sentito così preso e così rilassato, che al momento non è neanche preoccupato per come li potrebbe trovare.
Va tutto bene, si dice.

E la donna entra.
Si voltano entrambi verso di lei, sorridenti. Lei sulla soglia li fissa, poi guarda solo Jude  e per un secondo pare credere che sia un alieno.

«Ciao mamma, lui è Jude.» Presenta sbrigativo. Gliene ha parlato talmente tanto che - almeno di nome - lo conosce: del resto negli ultimi mesi è stato sempre a casa sua. Strano che già non sospetti qualcosa, da lui che è sempre stato chiuso ed ambiguo.
Ma sa che cosa sta pensando - "Ah, ecco il famoso Jude, allora esiste sul serio!" - e non crede di doversi preoccupare.

Non ora comunque.
Non per questo.

«Ciao.» Saluta tranquillamente lui.
«Ciao!» Risponde lei ma, per qualche motivo, pare agitata, «Sono appena tornata... comunque... non vi preoccupate: starò di là.»
«D'accordo.»
«Voi fate come volete, vi porto qualcosa?»
«No, non serve.»
«Ma...»
«Forse dopo.»
«Va bene.» Sorride lei, per poi voltarsi ed andarsene. Robert la conosce, sa che tornerà per farsi notare e fare bella impressione con Jude - o anche solo per presentarsi, cosa che ha stranamente dimenticato di fare.
Quasi come se non fosse abituata ad avere persone in casa o amici suoi - cosa che comunque è vera, non si può dire che sia un tipo socievole - o come se lo credesse un disadattato tale da non conoscere davvero nessuno.
Se non altro le ha provato di non avere amici immaginari.

«Non farci caso.» Si limita a spiegare, girandosi finalmente verso l'altro ragazzo.
«A cosa?»
«A lei. Tornerà, ecco.»
«Non importa... sembra gentile.»
«Lo è.» Anche se viverci insieme è un vero inferno.

Ed è buffo come al momento siano spariti tutti i problemi che sentiva di avere quando ha aperto la porta. L'unico suo bisogno al momento è quello di stringersi a lui, dimenticare il posto dove si trovano ed abbracciarsi fino a sembrare una cosa sola. Magari diventarlo davvero, poi.
Del resto glielo deve, quando invece riesce solo a dire: «Non è semplice.»

«Cosa?»
«Far funzionare i rapporti. C'è sempre troppa storia dietro.»
«Lo so, almeno nel mio caso. Tu mi stupisci però... non me ne avevi mai parlato! Non sapevo che tu avessi delle storie!»

Ne ho mille sullo stare da solo.

Non risponde, di nuovo non dice quello che sta pensando, questa volta perché non ne sente il bisogno. Si limita a salire vicino a lui sul letto, per poi stringerlo finalmente fra le sue braccia, ridacchiando contento per quei gesti così naturali.
Lo bacia nella solita maniera, rendendosi conto che è il primo ad imporsi certi pensieri negativi.
Lo stringe e si fa stringere, nel mentre ripensa al loro discorso, alle sensazioni provate, alla gioia che sente nel cuore. Si rende conto che non l'ha ancora esplorato del tutto e che ha tempo per farlo.

Questa sua felicità lo riporta a Val. Inevitabilmente, lo sa. Lo riporta a lui ed alle sue canzoni, le stesse che ha sentito poco prima, dove il musicista ha cercato di nascondere un significato sotto un altro significato - avendo comunque un pubblico che non recepirà nessuno dei due. Si domanda se il musicista si renda conto che nessuno dei suoi soliti ascoltatori coglierà qualche tipo di spirito nella sua arte.
Ma con questi pensieri, che un tempo avrebbero caratterizzato la sua malinconia, si aggiunge la gioia - forse spinta dalla situazione nella quale si trova, forse dal lieve profumo di Jude ancora aggrappato a lui - e la volontà di essere un po' più superficiale. Pensare di conseguenza, ad esempio sul fatto che quelle stesse canzoni potrebbero essere un sottofondo musicale perfetto per loro due come coppia.

Perché quelle canzoni parlano di solitudine, dolore, fallimento ed infine di liberazione. Quello che erano prima di conoscersi, quello che sono diventati conoscendosi.

Ed accompagnerebbero benissimo, con quelle melodie amare, i silenzi ed i respiri dei pomeriggi come questo.
Accompagnerebbero i sospiri degli amanti, i sussurri dei vincitori, nel mentre che Jude è lì tangibile ed insicuro, forse impaurito, e Robert lo stringe godendosi per una volta il torpore della compagnia.
Il calore dello stare bene.

Forse - poi, tra qualche secondo, minuto od ora - arriverà sua madre, li troverà così, si sconvolgerà perché non ci saranno spiegazioni. Forse.
Ma non c'è più spazio per le paranoie o i problemi, non importa adesso. Può solo limitarsi a considerare che la fine è un loro inizio. O un inizio consiste in una fine.





Note:
Ci sono dei motivi molto profondi per questo ritardo, tipo questo. Quindi, tra una valigia fatta virtualmente con Vane e il cavoleggimento al massimo delle mie possibilità per concerti/serate, ho avuto persino il tempo di scrivere tutto questo e poi avere una reazione del genere. Il capitolo lo dedico alla mia icona di Jude su Twitter (che dovevo mostrarvi per forza): non avete idea di quanti minuti abbiamo passato a fissarci negli occhi. ♥
Sì, questo è delirio, ora la smetto e passo alle cose "serie".

In teoria questo capitolo è l'ultimo.
In teoria.
Perché ne mancano altri due - che sono più epiloghi che altro - in quanto la trama si è un po' allungata in fase di stesura e un solo epilogo non mi basta per concludere tutto. Ve lo dirò meglio nel prossimo capitolo, per ora vi basti sapere che siamo quasi alla fine e già sono triste é_e
A consolarmi c'è il fatto che tra meno di una settimana farò 20 anni! Non sarò più una teen, certo, ma almeno gioirò per un motivo più sensato di Sight.

Notizia: i titoli dei capitoli - e qualcuno se n'è accorto - compongono una frase:
Sometimes I Almost Feel Just Like A Human Being.
Viene da Lipstick Vogue di Elvis Costello, in fase originale doveva essere (anzi: era) il titolo della fic, poi ho deciso di arrangiarla in altro modo. Ed ora l'ho composta del tutto, che emozione!

Detto questo, vi saluto. Un bacione enorme a chiunque sia qui a leggere questa fic (e queste note), a chi preferisce, chi segue, chi commenta, chi passa solamente, chi non mi ha ancora presa a sassate come dovrebbe. Siete tutti carinissimi ed io vi adoro per la pazienza ♥

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