Second Sight. di velocity girl (/viewuser.php?uid=108448)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ••• ***
Capitolo 2: *** Sometimes ***
Capitolo 3: *** I ***
Capitolo 4: *** Almost ***
Capitolo 5: *** Feel ***
Capitolo 6: *** Just ***
Capitolo 7: *** Like ***
Capitolo 8: *** A ***
Capitolo 9: *** Human ***
Capitolo 10: *** Being ***
Capitolo 1 *** ••• ***
Second
Sight.
Prologo.
Sono le undici, più o meno, le undici e qualcosa al massimo.
Camminare per quelle strade non è particolarmente sicuro,
considerando chi si può incontrare da quelle parti, ma
questa sera non gli interessa visto che ha già affrontato il
peggio.
Vuole solo arrivare alla sua destinazione, senza altri casini.
Quando ci arriva davvero si sorprende: per una volta è stato
fortunato.
Il portone è aperto, come sempre, quindi si limita a salire
le scale frettolosamente, senza badare a fare silenzio. Dalle porte dei
vari appartamenti proviene di tutto: musica, schiamazzi, litigate,
chiacchiere - sembra quasi che i vari abitanti si siano dimenticati che
è notte e che esistono persone che, magari, vogliono anche
dormire.
Ma questi non sono suoi problemi.
Bussa quando è arrivato di fronte ad una porta del terzo
piano.
Bussa di nuovo, incerto se suonare o meno.
Questa si apre poco dopo ed è proprio Jude ad apparire sulla
soglia, dimostrazione che per questa giornate le cose hanno smesso di
andare male.
«Oh,» si limita a dire l'inglese quando riesce a
guardarlo in faccia, a rendersi conto dei lividi,
«vieni.» Continua mentre si fa da parte,
invitandolo ad entrare in quel piccolo appartamento, quello dove vive
con altri studenti e che appare sempre troppo disordinato o troppo
pieno di cose o troppo pieno di persone o... troppo,
insomma, gonfio di
quella vita studentesca che Robert invidia perché ne
vorrebbe fare parte.
Si dirige verso la cucina, stranamente vuota per questa volta, e una
volta arrivato torna a guardarlo.
«Posso prepararti qualcosa?»
«Uhm...» Mormora in risposta, pentendosi di
non aver ancora detto una parola. In effetti, non è riuscito
nemmeno a salutarlo.
Non che questo offenda l'altro, «Un toast, magari?»
«No, non serve.»
Ma Jude non lo sta ascoltando, non lo fa mai. Si limita a prendere un
po' di pane e ad adoperarsi in quella che crede essere una cenetta
notturna, fatta alle undici di sera. L'altro lo fermerebbe anche, visto
che un semplice caffè basterebbe per farlo sentire meglio,
ma continua ad avere quel blocco alla gola, nessuna voglia di parlare;
sicuramente è ancora un po' scosso per gli ultimi
avvenimenti.
«Sai,» si sforza, mentre è lui a
guardarlo, «non è stata esattamente colpa mia. Non
me la sono cercata, questa volta.»
«Qualche teppista?» Chiede.
Vorrebbe dire "Hooligan" ma non può
perché
probabilmente questi sono in salotto.
«Direi più... Artisti di strada.»
«Esistono?»
«Certo che esiston-» e si ferma. Sa per certo che
ci sono ancora questo genere di musicisti ed è proprio per
colpa di uno di questi se altri di loro hanno deciso di sfasciare mezzo
centro, compreso il posto dove lavorava;
è proprio questa consapevolezza a farlo fermare di nuovo.
Dicono che l'Inghilterra sia fredda e grigia, sempre bagnata e sempre
troppo stanca, ma Robert vive nella periferia da anni ed ancora non ha
trovato niente di tutto questo. Il sole non spacca le pietre,
né riscalda come
fa a New York, ma non ha ancora sentito il gelo. Ci si
può vivere, nonostante tutte le differenze culturali e
sociali alle quali è andato incontro - e che solo
recentemente ha imparato ad apprezzare.
«A che cosa stai pensando?»
«Ad una storia.» Ed è la sua vita.
Vorrebbe aprire il proprio cuore e comunicare che cosa c'è
dentro, confessare tutti i suoi sentimenti.
«Me la racconti?»
«No, tanto non la ascolteresti.»
Ed è davvero così: Jude non ha mai sentito una
sola parola di ciò che ha detto fino ad ora, e di cose
gliene ha dette tante.
Prende una sigaretta dal pacchetto un po' ammaccato che porta sempre in
tasca, «Non avevi smesso?» Chiede subito l'altro,
mentre posa il toast finalmente pronto davanti a lui - e dentro ha
messo del formaggio, solo quello, cosa che a Robert farebbe anche
ridere se non fosse che deve mangiarlo in ogni caso - e si siede su
un'altra
sedia, per niente turbato dalle sue parole, forse perché non
le ha colte, «avevi detto che quel musicista ti aveva
convinto...»
Già.
Si domanda dove si può trovare adesso e si risponde che,
probabilmente,
è in qualche locale a suonare il suo jazz poco commerciale
ma venduto ma ascoltato ma.
«Sono nervoso.» Giustifica.
«Mah, certe volte mi viene in testa che sono io a farti
agitare.»
Certo che è lui. Tra le tante caratteristiche che ha, fra le
prime c'è sicuramente la capacità di
scombussolargli la testa - incasinarla, sconfiggerla, piegarla alla sua
presenza.
Ed è fumo: nella sua mente, nella stanza, nel momento, in
quella notte; è la cenere che non sa dove buttare, ricordo
di giorni meno sereni e prospettiva di un futuro incerto.
Lo licenzieranno di certo, se vedono com'è ridotto,
perderà il lavoro se il locale è
irrimediabilmente distrutto.
«Puoi dormire qui se ti va.»
«C'è spazio?» Si limita a domandare. E
per quanto non lo stia mostrando, il suo cuore sta battendo e battendo,
perché dormire qui significa dormire con
Jude, stargli
accanto, sfiorarlo, il tutto fingendo di non adorarlo.
I suoi sogni si infrangono subito, immediatamente, non appena lo stesso
inglese fa: «Abbiamo una stanza vuota... puoi dormirci tu
o-» e continua a dire qualcosa, mentre Robert si sforza di
mangiare il toast.
Per nascondere la propria espressione, se non altro, per non fare il
solito malinconico misterioso.
«Sì, va bene.»
E sorride, dopo un attimo di incertezza, per calcare un po' il
concetto. Il ché fa scattare Jude come una molla mentre -
oramai in piedi - aggira il tavolo e corre verso la stanza in
questione, probabilmente per mettere delle coperte sul letto.
Lo sente canticchiare da lontano - I used to wake up
in the morning - e riconosce i The Who che ascolta
dalla mattina alla sera; stonato, stonatissimo, praticamente
inascoltabile.
Per la seconda volta non scoppia a ridere, ma sospira. Come se si fosse
rassegnato.
Forse dovrebbe capire bene che cosa pensa, cosa gira per la sua testa.
Forse sta tutto nella
logica delle ultime settimane. Ed anche messa così... non
sono altro che belle frasi, nulla di concreto, per
quanto sia stato un cammino pieno di musica, rumori e bisbigli.
♦
Note:
Uno svampito disordinato che ha come motivo di vita i The Who? So cosa
state pensando: non sono io travestita da Jude; lasciatemi un paio di
capitoli e ve lo dimostrerò.
Quindi sì: ecco la long che avevo
promesso. È una
AU ed è anche abbastanza corta: solo nove capitoli.
È ambientata a Bristol, precisamente nel borgo di Redland.
Avevo bisogno di un posto che stesse nella "periferia" - quindi lontano
da Londra - e ho scelto Redland perché è quello
che più di tutti corrisponde alla mia idea di "Quartiere
Studentesco".
Ma è solo per dare un po' di precisione alla fanfic, non
serve immaginarla o averla vista (e va beh, i personaggi studiano ai
veri indirizzi dell'università di Redland, ma ne parleremo
quando sarà il momento... x'D)
Qualche nota "tecnica":
Ho praticamente azzerato la differenza di età: Jude ha 20
anni, Robert uno e mezzo di più. Il primo è uno
studente, il secondo lavora ed ha una
strana tendenza a mettersi nei guai.
Jude è vegetariano, quindi anche il mio lo è (e
mangia i toast proprio come piacciono a me, lol).
Robert è nato a NY, ma in effetti è cresciuto a
Londra... va beh, è una AU, quindi si può far
finta che sia cresciuto lì dov'è nato xD
E questa fanfic meriterebbe talmente tante dediche che non so da dove
iniziare. Quindi la dedico a tutte quelle meravigliose persone che
hanno letto, commentato, preferito e ricordato la mia oneshot: vi
adoro ♥
Ma in particolare a Manu
& Barbara
che mi sono
sempre state accanto durante la
stesura di questa fic e che mi hanno aiutata in una maniera indicibile,
tenendomi la mano anche quando vagavo nel delirio più puro. Bà
mi ha persino aiutata a postare, consolandomi quando blateravo di
cestinare tutto (cosa che avrei seriamente fatto senza di lei), quando - invece - avrebbe dovuto staccarmi la
testa dal
collo, semplicemente & senza troppi complimenti.
Ed anche a
Roberta,
che ci teneva davvero molto a leggere qualcos'altro di mio.
Grazie donne! ♥
Il titolo viene dalla canzone dei Placebo ovviamente e, vi avviso fin
da ora, non c'entra proprio niente con la fic in sé xD
Au revoir~
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Capitolo 2 *** Sometimes ***
Primo
capitolo:
Sometimes.
Uno dei clienti si
alza, quindi Robert ne approfitta per avvicinarsi al
tavolo e pulire velocemente. In questi momenti si sente una macchina:
non importa che filo stiano seguendo i suoi pensieri, deve abbandonare
tutto per riordinare in fretta.
Ed è una stupidaggine, perché effettivamente
l'affluenza non è molta. Affatto, c'è spazio per
tutti, non
deve mica sparecchiare immediatamente... forse oggi non lo farebbe
nemmeno, se non fosse per Jimmy appostato al bancone.
E quando c'è lui significa che si deve fare secondo le
regole: lavorare e basta, anche quando questo vuol dire eliminare le
briciole.
Ma va bene così, non si lamenta nemmeno: dal momento che
fare il cameriere e l'inserviente - ma più inserviente che
cameriere - è il suo unico lavoro, può accettarlo
con umiltà. Almeno lo tiene lontano da casa sua, il
ché non fa assolutamente male.
Poi, considerando che si trova a Redland - che come borgo non offre
chissà quanti posti dove adoperarsi, anzi - deve
ammettere che è stato fortunato a trovarlo.
In realtà Bristol è una città molto
grande, diversissima dai villaggi che la circondano: è stato
lui a volere un lavoro a Redland, fra i tanti quartieri, impuntato per
stare proprio in quel posto così universitario e
studentesco, diverso dal nulla che sopporta stando in Inghilterra da
troppo tempo.
Sistemate le cose esce fuori dalla porta del piccolo Fish and
Chips. Si
guarda intorno con un movimento un po' distratto, giusto per rendersi
conto che il centro è sgombro: pochissime persone, per lo
più dirette nei vari negozi intorno.
La libreria, la lavanderia, la videoteca, i pub chiusi; persino loro
hanno più attrattiva del ristorantino, nonostante siano
spenti e vuoti.
Accende una sigaretta e, una volta aspirato il primo tiro, si rende
conto che qualcuno c'è e sta suonando proprio lì
vicino: sente le note fuse nell'aria, ben sistemate, di un genere che
non ascolta e di uno strumento che, dal vivo, non ha mai visto.
Questi particolari attirano la sua attenzione, perché si
ritrova a guardare, senza essere davvero curioso sull'esibizione - non
una delle poche, considerando che l'indirizzo musicale
dell'Università non è distante da lì:
sono molti gli studenti che adorano farsi vedere ed ascoltare,
solitamente in quest'ordine - pubblicamente.
Perché alcuni si reinventano quando hanno chi li guarda.
Altri semplicemente smettono di essere loro stessi.
E questo qui, che di certo deve essere uno di loro, ha con
sé una tromba, Regina d'ottone dal suono non troppo
simpatico. Robert non ne capisce molto, ma ad orecchio inesperto pare
anche abbastanza bravo, strano che ai suoi piedi la custodia dello
strumento non sia aperta: potrebbe ricevere non pochi soldi.
Preso da questi pensieri, non si accorge che il musicista ha
intercettato il suo sguardo, smettendo di suonare per accettarsi che
stesse guardando proprio lui; il riscontro è positivo, non
vale la pena negare.
«Ciao!» Lo saluta cordiale, allontanando il
bocchino della tromba dalla sua bocca.
«Ciao...» Borbotta Robert in risposta,
imbarazzatissimo. Di tutte le figure che poteva fare, questa suona come
una delle peggiori...
«Sei uno dei pochi che oggi si è accorto di
me.»
«Sì?» Tenta. Si sente un po' in
soggezione, lì fuori, a parlare con uno sconosciuto che
probabilmente vuole pure qualcosa.
Ma l'altro ha l'aria simpatica - lo deve ammettere - e subito prende a
parlare, quasi a spiegarsi: «È strano: suono nel
Jazz Club ogni venerdì e qualche volta il sabato, riuscendo
a riempire il locale,» sorride mentre lo dice, segno che
è davvero molto socievole come sembra, per niente spocchioso
in confronto a quello che ci si immagina da un tipo che suona la tromba
e suona jazz: il suo modo di fare sembra stranamente vero,
«invece di giorno nessuno mi riconosce. E sì, sono
le stesse persone, te lo posso garantire...»
«Che peccato.»
A dispetto dalle prime impressioni, si può dire che Robert
non è né timido né troppo riservato;
il suo unico problema è quello di non riuscire a dare troppa
confidenza alle persone che non conosce molto ma, passati quei primi
passaggi, si scopre davvero diverso. Molto più sereno di
quello che appare all'esterno.
Il problema sta appunto nell'arrivare a capirlo.
«Ti sono piaciuto?»
«Come?»
«La musica. Ti piace?»
«Beh, cred-»
«Molti mi criticano perché tendo ad essere
piuttosto leggero, un po' alla Terence Blanchard, quando invece dovrei
ispirarmi-» continua a parlare mentre, naturalmente, il suo
interlocutore non ha la minima idea di che cosa stia dicendo; si sente
anche tremendamente ignorante al confronto, non conosce nessuno di quei
nomi, e non saprebbe nemmeno capire la differenza tra Cool Jazz e
Smooth Jazz o via così.
Lo interrompe, preso - ed anche un po' bruciato - da questa
considerazione, «Non lo so... sono più per il
rock. Anni ottanta. Mi piacciono gli anni ottanta.»
«Aaaah, quindi sai davvero apprezzare la buona
musica!»
Lo sa fare? Magari ha dei bei gusti, ma è diverso da
intendersene.
«Non saprei.»
«Beh,» si avvicina finalmente l'altro, tendendogli
la mano che non tiene la tromba, «io sono Val.
Piacere.»
Stringergli la mano, stringergli la mano, stringergli la -
«Robert.» - e naturalmente non si muove di un
passo, visto che il suo scheletro non collabora con i nervi e con la
carne, impedendogli di eseguire un semplice comando dettato per il
codice sociale.
Si domanda quanto possa sembrare imbecille in questo momento, quanto
disadattato può apparire agli occhi del ragazzo che ora sta
abbassando il braccio che aveva teso.
«Quiiindi... lavori qui?»
«Purtroppo.»
«Non mi sembra molto frequentato...»
«No, infatti,» e si concede di ridacchiare,
finalmente un po' sciolto, «anzi è praticamente
vuoto.»
«Bene, allora: sembra che avete un nuovo cliente.»
Sorride, mentre lo dice, perché non fa altro.
*
E cliente è stato: ha voluto pagare anche le poche cose che
ha preso, rifiutando qualsiasi tipo di offerta da parte del cameriere -
per fortuna sua, visto che non può fare una cosa del genere,
soprattutto se c'è Jimmy intento a controllare la situazione.
Già tanto che gli ha concesso una breve pausa!
Hanno parlato seduti ad uno dei tanti tavoli, nonostante non si
conoscano proprio, e scoperto di avere qualche punto in comune.
Potrebbero diventare amici e almeno il trombettista sembra
deciso ad arrivare a questa conclusione.
Chissà perché ci tiene così tanto, poi.
«Studi musica?» Gli chiede Robert, quando sono
arrivati ad aver finito un intero cartoccio di patatine, decisamente
più a suo agio nel porre con le domande e varie
curiosità.
«No,» risponde prontamente l'altro, smontando per
un secondo la sua espressione contenta, «Economia.»
«Economia?» E questo fa davvero ridere, non riesce
ad immaginare un indirizzo più sbagliato per la persona che
ha di fronte.
«Mio padre ha scelto per me e mi stava bene, credimi, fino a
quando lei mi ha detto che non potevo lasciar
correre via il mio
talento...»
«Lei? La tua tromba?» Ed
ovviamente la sua
espressione è ridicola per quanto è perplesso,
«parli con una tromba?»
Val torna a ridere, «No, Joanne è una ragazza
normale.»
«La tua fidanzata ti preferisce musicista, quindi?»
«Non è la mia fidanzata!» Replica,
questa volta imbarazzato - ed è bello vedere che non
è il solo a star facendo figure orribili - e un po' turbato.
Dirlo sembra costargli molto, non perché riservato - anzi,
sembra proprio quel genere di persona che da' confidenza a tutti - ma
perché probabilmente infatuato di questa ragazza.
«Scusa.» Risponde solo, rendendosi conto di aver
toccato una ferita. Forse doveva aspettarsene una così
esposta, visto che gli artisti ne hanno sempre, ma comunque gli spiace
di esser stato indiscreto.
«Suona il pianoforte al Jazz Club. Io la accompagno, diciamo
che faccio parte del suo "gruppo"...» pare rifletterci sopra
per qualche secondo, poi calca: «somiglia un po' a Diana
Krall quando suona, mi piace molto.»
«Ma ha un fidanzato, vero?»
«Non che io sappia!» Esclama con un tono piuttosto
stizzito, ma ride pochi secondi dopo.
Ridono insieme, in effetti. Cosa strana: pare quasi che Robert si sia
dimenticato quanto è difficile sorridere.
E ha scordato anche perché era arrivato a questa conclusione.
«E tu? Qualche paranoia amorosa da condividere?»
«Mh, nessuna al momento.» Ci pensa,
perché teme di esser stato un po' troppo brusco,
«comunque è un discorso un po'
complicato»
Dove complicato vuol dire che non si conoscono
abbastanza per sapere
che i suoi segreti restano tali a lungo.
Il suo problema è che non fa caso alle persone come
dovrebbe: quando mette di mezzo i sentimenti, perde le cognizioni. Non
si interessa di età, sesso, colori, passioni o qualsiasi
altra caratteristica: si innamora perdutamente per le ragioni
più varie, ne soffre come soffre per poche cose, e finisce
per scordarsene.
Non c'è neanche una via di mezzo.
La cosa strana è che adesso il ciclo sembra essere fermo:
non c'è nessuno che attiri la sua attenzione o che lo spinga
a notti insonni. Quindi sì: non ha paranoie amorose da
condividere, ma come spiegare la sua situazione al musicista appena
incontrato?
Sono bisessuale ma romantico, anche se i miei amori non vanno
mai a
buon fine perché a stento iniziano, quindi escludo che
possano andare bene, quindi sono cinico. Non funzionerebbe.
E correrebbe il rischio di inquietarlo.
Val sembra leggere fra le righe e lo comprende anche se forse fa un po'
male.
«Me lo dirai un'altra volta, allora.» Si limita a
fare, accondiscendente.
«Hai intenzione di tornare?»
«Voglio farmi notare da questi ascoltatori distratti...
quindi sì, sarò in zona. E tu sei il mio primo
vero fan.»
«Ma non avevi detto che la sera riempivi locali?»
«Se non mi riconoscono di giorno, che razza di fan
sono?» Domanda per risposta, poi aggiunge: «Sei
l'unico che si è interessato a me come persona, sei un po'
importante.»
«E già ti stai montando la testa.»
Scherza, per
nascondere quanto in realtà contino quelle parole. Un po' ne
ha bisogno: sentire che la propria esistenza inizia ad avere un peso
per quella di un'altra.
Pare che siano le situazioni di questo genere a nutrire l'anima.
Val si alza, prende la custodia dove aveva riposto la tromba, e
mormora: «Lo so, è vero.»
Fa finta di non aver sentito: è troppo presto per ascoltare
le ansie di un musicista demoralizzato, non è attirato
dall'idea di consolarlo proprio oggi che lo ha conosciuto - ed
è anche certo che non è questo che l'altro sta
cercando.
Si sforza di fare l'indifferente e lo accompagna alla porta - un gesto
grottesco: con questo atteggiamento pare quasi che il posto dove lavora
e casa sua coincidano.
Il senso di oppressione è più o meno lo stesso.
Per eliminare questa sensazione esce fuori con lui, «Visto
che sono il tuo unico vero fan, fammi sentire qualcos'altro.»
Mente, per poi accendersi una sigaretta e fingersi disinteressato.
«Non dovresti,» lo riprende invece l'altro, senza
fare ciò che gli ha chiesto, «fa
male.»
«Sì.» Replica semplicemente; non
è infastidito dalla rimbeccata, anzi, quasi gli fa piacere:
si rende conto che non è un musicista e che se glielo dice
è perché deve preservare il fiato, ma la
sensazione istintiva che prova è quella di essersi fatto un
amico nella troppo pallida Redland.
«Perché non smetti quindi?»
«Ci penserò,» ridacchia, sentendo che ha
di fronte a sé una grande possibilità,
«lo farò sicuramente se tu... ti dichiari a quella
tipa.»
«Scordatelo.»
«Oh, ma per favore!»
Val lo osserva, mentre chiaramente sta meditando sul da farsi, poi
sembra avere un'idea particolarmente brillante: «Va bene, ci
proverò. Se in cambio tu, oh Cameriere del centro,
ti dichiarerai alla
prima persona che anche solo sarà capace di
affascinarti.»
«È una cosa troppo stupida.»
«E dovrai anche smettere con quella roba.»
Aggiunge, guardando la mano che stringe la sigaretta.
«Persino pretestuoso.»
Nonostante tutto si stanno divertendo entrambi, come se si conoscessero
da anni, rendendosi conto di non star facendo altro da quando hanno
preso a parlarsi.
Alla fine, pensa Robert, non ho proprio
nulla da perdere.
Sa che tende ad innamorarsi in fretta, cosa che in una situazione del
genere va incredibilmente a svantaggio, ma il fatto che il musicista
abbia detto "Persona" e non "Donna" lo stuzzica; gli viene istintivo
chiedersi fin quanto l'altro ha capito del discorso che non ha fatto.
«Va bene, Trombettista,» acconsente, senza
rinunciare a stuzzicarlo, «accetto. Ma voglio prove e
sviluppi delle tue azioni.»
«Lo stesso vale per me. E, visto che mi troverai qui quattro
pomeriggi a settimana, credo che avrai tutti gli aggiornamenti che
desideri.»
«Perfetto. Non so nemmeno perché mi
fido.»
E Val ride forte, mostrando tutti i denti, «Pare che io sia
una persona piuttosto carismatica ed affidabile,» spiega.
Non sa se può credere in quell'affidabile,
ma di certo
è carismatico quanto dice, visto che è riuscito a
"conquistarlo" in un solo pomeriggio, facendo praticamente niente. Gli
è bastato aprirsi un po' e subito lo ha convinto.
Robert guarda il cielo - mentre pensa che una parte di sé
vorrebbe avere la stessa scioltezza - e nota che si sta oscurando.
Dentro sente che sta andando tutto bene e che, fin quando riesce ad
aiutare un semi-sconosciuto nel conquistare la ragazza che pare amare
tutto va perfettamente: le conseguenze possono anche aspettare, non
hanno importanza.
Loro non contano quando appaiono le nuvole e scivolano sulla pelle.
♦
Note:
Strappo immediatamente il cerotto: non ne capisco molto di Jazz
né soprattutto ho idea di come si suoni una tromba. Se Val -
che ovviamente è Val Kilmer - suona questo strumento
è solo perché lo faceva un suo personaggio in The
Salton Sea. Se il suo modo di suonare somiglia a quello di Terence
Blanchard, invece, è perché era il vero
compositore/musicista nascosto dietro il personaggio.
Perché Val? Perché io e Manu siamo due fangirl
della peggiore specie, non avete idea di quanti film abbiamo visto
insieme solo per la sua presenza. TROPPI, anche certe schifezze
innominabili (che appunto non nominerò qui).
Joanne è Joanne Whalley. E il suo modo di suonare ricorda
Diana Krall perché Diana Krall è una jazzista che
adoro (e che stava anche in At First Sight, altro film con Val)~
Val studia Economics, Finance and Management (che ho tradotto in Economia, visto che suona meglio) ed è davvero uno degli
indirizzi dell'Università di Bristol, così come
Musica.
...Lo so perché ho passato più di mezzora sul
sito dell'Università xD
Sì, sono praticamente pazza.
Vi informo solo che questo è l'ultimo dei capitoli corti.
Dal prossimo in poi saranno molto più corposi, comunque lo
scoprirete fra cinque giorni.
E questo è quanto ♥
|
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Capitolo 3 *** I ***
Secondo
capitolo:
I.
Val è
tornato davvero gli altri tre giorni della settimana;
è tornato ancora per altre due settimane tanto che - oramai
- è diventato una specie di appuntamento fisso.
Lavoro, pausa, sigaretta più Val,
lavoro. Con il passare dei
giorni ha anche preso a fumare di meno, giusto per non dargli troppo
fastidio durante le loro chiacchierate.
Si rende perfettamente conto che si sta aggrappando al musicista con
tutte le sue forze per sfuggire alla noia di Redland, per sentirsi un
po' importante e meno socialmente incapace, ma con
il passare dei
giorni ha persino imparato ad apprezzare i loro discorsi.
Perché tolto il jazz - del quale davvero non capisce niente
- Val si intende anche di altri generi, compresa la sua amata anni
ottanta. E parlare di queste cose con un musicista è
liberatorio, sembra di confrontarsi con un esperto.
Che non è: si tratta di un semplice trombettista troppo
giovane ma già un po' depresso, che si espone alla piazza
distratta perché sente di non avere un pubblico sincero.
Probabilmente per sfuggire dall'ombra di Joanne, chissà.
«Stai smettendo davvero, quindi.» Ha notato un
giorno, dopo due settimane che si incontrano in quella maniera.
«Le intenzioni ci sono, anche se tu non stai rispettando il
nostro patto.»
L'altro sbuffa, poi ne ride.
Robert non ha mai visto Joanne, eppure sa quasi tutto di lei, dei suoi
capelli quando piega la testa ed accenna una nota, delle luci blu del
club quando il suo viso ne è accarezzato, della sua voce un
po' roca quando seduce gli ascoltatori. Ha imparato a conoscerla
attraverso gli occhi di un jazzista innamorato ma troppo timido per
aprirsi con lei: una forma di amore contenuta.
E naturalmente gli ha chiesto come fa a contenere i suoi sentimenti, se
suona con lei: la musica è rivelatrice, come può
passarci sopra.
«Basta non guardarla.» Ha risposto, breve ed
enigmatico.
Ma lui non lo capisce: nel suo animo romantico, l'amore dovrebbe essere
plateale, espresso a tutti di fronte a tutti, anche solo con gli occhi.
Così non sopravvivi, gli ha detto una
volta sua madre, donna
che di esperienze ne ha avute tante - sicuramente più del
figlio - anche se i suoi consigli non vengono mai ascoltati.
Si può dire che detesta non comprendere subito le persone e
ciò che intendono: si sente un po' diverso, un po' bloccato
dal suo non concepire un'idea diversa dalla propria. Sarà
perché ha una mentalità fin troppo aperta e
flessibile, che crede di poter intendere ogni cosa come dovrebbe essere
intesa.
La presunzione dei più ingenui.
Quelli che non sopportano di avere domande per la testa.
E che non hanno niente di meglio da fare che chiarire i propri dubbi,
cosa che lui fa il lunedì non appena rivede Val:
«Come mai fra tutti gli strumenti hai scelto la
tromba?»
«Ma... che domanda è? L'hai sentita?»
«L'ho sentita, mi chiedevo perché lei fra tutti
quelli che esistono...»
«È quella che più somiglia al mio modo
di vedere le cose.»
«Non so, io probabilmente avrei scelto... la chitarra. O il
basso. Più attrattiva,» più vicini alla
loro età, «il jazz ci si fa comunque,
no?»
Il musicista ci pensa un po', come se stesse calibrando la risposta da
dare.
«Non so dirti il perché,» dice infine,
«suppongo di essere io...»
«Una tromba?»
«Rob,» ride di fronte alla sua chiara
perplessità, «sai che le tue domande sono davvero
ridicole? Ma davvero tanto!»
«Contento di divertirti,» ribatte piccato,
«intanto tu suoni la tromba.»
Si fa improvvisamente serio, mentre comincia: «E brucio tutti
gli stereotipi...»
«No!» Tenta di fermarlo, «Non lo
dire-»
«...Perché sono bianco.»
«Ecco, sapevo che ad un certo punto ci saresti arrivato. Non
ha nemmeno senso!»
«Ascolta: la musica è ancora un terreno di guerra,
il progresso non conta niente. È tutta divisa in quartieri,
che sarebbero i generi, e gli artisti litigano ancora per chi
è il migliore, compresi - e soprattutto - quelli nelle
stesse fazioni,» è maledettamente serio quando lo
spiega, «quindi non importa se il jazz ha fatto grandi passi
avanti, bruciando tante tappe.»
E Robert prende a ridere, non gli interessa nemmeno conoscere il resto
del discorso, ride come non ha mai riso in vita sua. Non è
la prima volta che Val tira fuori un discorso su questa linea, la cosa
che lo fa scoppiare è il tono profetico con il quale lo
dice.
Come se fosse una vera battaglia e lui un soldato da arruolare.
Gli piacerebbe credere in qualcosa con questa stessa
intensità, ma in tutti questi anni non è ancora
riuscito a trovare un vero interesse al quale dedicarsi interamente -
considerando che non ha nemmeno saputo scegliere quale indirizzo
prendere per l'Università, visto che non ha ancora nessuna
idea per quanto riguarda il suo futuro.
Di fronte ai discorsi del trombettista si diverte, lui che non saprebbe
dividere in stanze nemmeno una casa arredata.
«Venerdì verrai al Jazz Club e capirai che cosa
intendo.»
«Come?»
L'altro si permette di guardarlo come se fosse un alieno. Ma non
è una risposta particolarmente bizzarra: non ne hanno mai
parlato, del resto.
«Ma certo che verrai. Già è troppo
strano che non sei venuto la settimana scorsa.»
Ci pensa giusto qualche secondo, per poi rispondere tranquillo:
«D'accordo.»
Chiede dov'è esattamente il posto e a che ora inizia questo
famoso concerto, deciso a rimanere nel ruolo del Primo Vero
Fan, ma in
realtà un po' preoccupato sulle poche possibilità
di andare davvero a vederlo. Potrebbe chiedere in
prestito la macchina,
magari, se sua madre non è troppo impegnata.
«Potrei chiederglielo...»
«Cosa? A chi?»
«A Joanne, se vieni anche tu.»
«Ma sai, davvero non capisco perché mi dai
così importanza...»
«Oltre perché mi ascolti? Perché sei
una delle poche persone che conosco ad intendersi di musica. Uno dei
pochi amici, insomma»
Ma lui non se ne intende!
Ed "Amico" è una parola forse un po' grossa per descrivere
il loro rapporto, contando che - guardando bene - non si conoscono
affatto e non sanno nemmeno i rispettivi cognomi. Riesce ad
individuarne il senso però: Robert conosce la musica - non
bene come pensa lui, ma tant'è - quindi riesce a comprendere
i sentimenti che si celano dietro le note.
A dare il suo "Okay" dal tavolo.
«Almeno la vedrò...»
«Così sarai costretto a dichiararti al primo
ragazzo che-»
«Guarda che non sono gay...» Lo interrompe,
osservando un po' stranito il tono di voce quasi malizioso che ha
assunto.
«No,» ed adesso la sua espressione pare sconvolta,
come se trovasse quella svolta come la più orripilante mai
sentita, «questa deve essere una delle figure peggiori mai
fatte in tutta la mia vita, e ne ho fatte molte, una volta ero persino
convinto che mia mamma fosse incinta e che mi stesse per annunciare la
nascita di un fratellino ma non era vero, voleva solo dirmi che
dovevamo venire qui in Ing-»
«Val, calmati.»
«Lo pensavo perché sei ambiguo! Fin dal primo
momento, e...!»
«Sì, lo so, me ne rendo con-»
«Non volevo offenderti!» Continua, sentendosi
terribilmente in colpa e non badando al fatto che Robert non
è indispettito, anzi, sorride come se si stesse godendo
tutto quel proliferare di scuse.
«Val, in realtà credo di essere bisessuale. Non
l'ho capito, ecco.»
«Sì?» E a giudicare dalla sua faccia
sembra sollevatissimo, come se si fosse appena salvato da
chissà quale pericolo, «Meno male...
cioè, non che faccia differenza, è per la
figuraccia che...»
«Ti stai incartando di nuovo,» ride, «e
la tua reazione è insolita, non molti l'avrebbero presa
così bene. Sai, pare che ci sia una cosa chiamata omofobia,
invece... grazie.»
«Chiaro che lo accetto. Sono bianco e suono jazz, non posso
giudicare gli altri diversi, conosco come si sentono.»
«Eccetto che il tuo è uno stereotipo che non
esiste.»
Ma la liberazione della sincerità fa bene all'anima.
Se Val è pronto a convivere con ogni sua caratteristica,
comprese le più insolite, allora vale davvero la pena essere
suo amico e sentirsi tale. Era chi cercava.
*
«A che cosa stai pensando?» Lo riporta alla
realtà sua mamma, appena rientrata da lavoro, mentre
abbandona l'aria di donna in carriera per indossare i panni della madre
di casa - come faccia così velocemente non si sa,
è una questione di abitudine forse.
I suoi genitori sono divorziati da anni, tanto che il ricordo non lo
ferisce più nemmeno. Hanno vissuto insieme e mantenuto i
contatti a lungo, almeno fin quando suo padre non si è
risposato e creato una nuova vita - a quel punto la situazione
è diventata insostenibile per sua madre, presa dal bisogno
impellente di cambiare "zona".
Dove con "zona" si intende continente.
Trascinando con sé i figli, maggiorenni e consenzienti. A
conti fatti, lì per lì non si è
nemmeno lamentato di quanto stava accadendo...
"Possiamo rivederci quest'estate," aveva detto suo
padre a sua sorella,
"potete venire a casa mia per tutti e tre i mesi."
Ma ovviamente non è successo, non si sono rivisti affatto.
Tutti inghiottiti dalle nuove vite: le telefonate continuano, ma a
volte non sanno proprio che cosa dirsi.
Quindi eccolo a Bristol, rinchiuso in una casetta nemmeno
così brutta, abbastanza tipica da trovare nella periferia
Inglese, costretto a vivere con sua madre - donna professionalmente
impegnata, eppure ancora così maledettamente presente da
essere soffocante - e sua sorella Allyson - troppo presa dagli
isterismi universitari.
Il problema più grande, si può anche dire,
è che le due non riescono ad andare d'accordo da anni -
soprattutto per la presunta propensione di Allyson nel cambiare un
fidanzato al mese, anziché pensare allo studio, e all'ancora
più odiosa abitudine di sua madre di non riuscire a farsi i
fatti propri.
Capita, ogni tanto, che la sentano lagnarsi per come li sta crescendo
male, per come sta fallendo nel suo ruolo di Genitore. Altre volte -
invece - la trovano mentre urla al telefono con loro padre sulla sua
gravissima e lunghissima assenza.
Ma sono momenti di debolezza commessi quando non si sente osservata o
ascoltata, solitamente notturni, che spariscono immediatamente con il
sole.
Quando torna ad essere una donna forte ed una madre amorevole, con
l'unico difetto di non essersi ancora resa conto che i suoi bambini
sono cresciuti, non sono più così piccoli, e
soffocandoli con le sue attenzioni premurose, talvolta inopportune.
Come il frugare tra le loro cose, i loro vestiti, i loro portafogli.
Leggere le lettere, gli scontrini, i fatti loro in ogni forma.
Come il controllare la loro vita costantemente.
«Che sono un visionario.»
«Oh, certo.» Replica lei distratta, mentre sistema
le cose si è fermata a comprare al centro commerciale mentre
tornava verso casa.
«Posso prendere la macchina venerdì
sera?»
«Uhm...» Temporeggia lei,
«Perché? A che ti serve? Devi andare da qualche
parte?»
«Un mio amico mi ha invitato ad un locale dove
suona.»
«Un tuo amico? Chi è, lo conosco?»
«No, non lo hai mai visto. L'ho conosciuto a
lavoro...» Mente, ben sapendo che è meglio
preparare l'immagine di un ragazzo affidabile, piuttosto che quella di
un artista di strada.
La cosa sembra convincerla.
«Strano... tu non sei affatto socievole...» Si
limita a sussurrare, tuttavia restando perfettamente udibile,
«Va bene tesoro, almeno esci. Per una volta. Sei sempre
chiuso qui dentro!»
Senza misure, chiaramente, come tutti i genitori: uscire poco significa
non abbandonare mai la casa, uscire spesso corrisponde a non esserci
mai.
«Quindi posso?» Domanda ancora, ignorando la
predica che sta continuando a fare; ha capito tempo fa che è
molto meglio così, anziché ribattere alle
frecciatine continue.
E sì, una parte di sé si vergogna di
ciò che sta facendo. Chiedere alla propria mamma di poter
prendere in prestito la macchina a questa maniera e a quasi ventidue
anni è ridicolo, ma lo stipendio che riceve lavorando al
Fishs and Chips non è abbastanza per comprare una macchina.
Non la vuole nemmeno, in effetti: non ha molti posti dove andare.
«Sì, tesoro, anche se ne dovresti discutere con
tua sorella.»
Allyson.
Ed eccola, apparsa in cucina come per magia, probabilmente evocata
dalla sua menzione.
«Devo uscire venerdì.» Sbotta, per
niente contenta di come si stanno mettendo le cose: non è
abituata a dividere le cose, nonostante abbia un fratello.
«Ti può portare Robert.»
«Ma sì, certo,» replica acida lei,
«e poi come torno a casa?»
«Può anche passare a riportarti, sai?»
«E come lo dico a Keith! Sai che figura mi farai
fare?»
«Beh, Signorina, non mi interessa di cosa-»
«Certo che non ti interessa! Quando mai-»
«Non ti azzardare a parlarmi così! Sono tua madre,
non la tua serva!»
Ed il litigo - cominciato dal nulla e per pretese stupide - va avanti,
fin quando Robert non decide che ne ha avuto abbastanza e si alza dalla
sedia dov'è rimasto seduto fino a quel momento, stabilendo
ancora una votla che queste situazioni sono assurde. Che le urla e le
pressioni sono diventate intollerabili ma che - tutto sommato - se le
cose sono messe così avrà la macchina.
Persino Allyson sarà capace di arrendersi.
E ridacchia fra sé e sé, mentre si dirige in
camera, pensando che dovrebbe dirlo a Val: che le vere guerre non sono
musicali, ma domestiche.
Le battaglie più pericolose sono neuronali e nascono da
situazioni quotidiane.
Ma magari è davvero un visionario, perché riesce
ad immaginare la faccia di Val mentre glielo dice - tenendo quel tono
amaro che riesce sempre a colpire - e il suo sguardo perplesso, mentre
lo ascolta, con gli occhi verdi fermi dall'intento.
Riesce a vedere se stesso mentre smonta le sue teorie.
Ed è, appunto, una semplice fantasia.
*
Il terzo cliente della giornata abbandona il tavolo che occupava. Tre,
pensa sarcastico Robert mentre pulisce ciò che ha lasciato,
praticamente un record.
Una volta finito, visto che il locale è vuoto - e Jimmy non
è presente oggi - esce fuori per ascoltare il suo
trombettista preferito.
«Ehi,» si ferma Val.
«Caspita, stai proprio creando una folla intorno a
te.» Lo prende in giro sorridendo.
«Venerdì vedrai,» risponde l'altro, per
nulla scomposto, quasi abituato allo strano senso dell'umorismo di
Robert, «A proposito... hai deciso che vieni?»
«Sì, alla fine credo proprio che ci
sarò.» Risponde, fingendosi indifferente.
Non parla del litigo successivo a quel "sì", né
dell'interrogatorio di sua madre a proposito di questo misterioso suo
amico, quello che ha fatto per capire chi è, se è
affidabile, che tipo di musica suona. E sono ancora al
martedì.
Gli nasconde che ha mentito a sua madre pur di renderlo presentabile,
lui che invece è tutto amichevole, gentile e simpatico; il
suo esatto contrario.
«Meno male,» risponde cordiale, «ti
ricordi gli orari?»
«Certo.»
«Bene, se c'è qualche cambio ti faccio
sap-»
E si ferma, troncando a metà la sua stessa frase.
Robert si gira automaticamente per seguire la direzione del suo sguardo
e capire che cos'è stato ad averlo paralizzato.
Poco distante si vede una ragazza, seguita da quelli che - a conti
fatti - sono il vero stereotipo del ragazzo inglese: hooligan e chav.
Tipico taglio di capelli, tipici vestiti di marca ma stranamente di
pessimo gusto, soprattutto maledettissima tipica parlata: accento
inglese e dialetto di Bristol praticamente incomprensibile, ingoiato e
storpiato, poi risputato in frasi dal sentore aggressivo.
Rapporto causa-effetto: se Val ha smesso di parlare e sta guardando
quella tipa come se fosse una specie di Dea, significa che quella deve
essere Joanne.
Carina, nonostante tutto, capelli occhi viso
esattamente come li aveva
immaginati, forse è solo un po' più grande di
lui, ma non ha l'aria matura che ci si potrebbe aspettare da una
jazzista: tutto di lei suggerisce sicurezza, ma nulla fa pensare
all'eleganza - probabilmente quando suona mostra la vera se stessa,
abbassando la maschera che sta indossando in questo momento, coperta
dalle mille marche e dal troppo trucco sugli occhi.
Il fascino deve stare da qualche parte, comunque, se il suo amico ha
perso la testa a questi livelli; forse si manifesta in tutta la sua
interezza quando ha un pianoforte sotto le dita e canta della sua voce
un po' roca - che ha conosciuto attraverso i racconti.
«Ciao Val!» Urla quando si accorge della loro
presenza. Si avvicina velocemente - subito seguita dalla sua strana
scorta - e sorride, un po' com'è abituato a fare il suo
amico.
«Joanne...» Borbotta lui.
«Ti ho mai presentato David?» Chiede,
più tranquilla, facendo cenno all'unico ragazzo vestito un
po' diversamente - quello che sulle prime non aveva notato -
probabilmente perché non inglese, «È in
erasmus da noi, viene dal Canada!» Aggiunge, palesemente
emozionata.
«Piacere...» Fa Val a bassa voce, nella
sua direzione.
E quello nemmeno risponde.
«Suona il violino. Pensavo di integrarlo, sai? Ha un modo di
suonare molto diverso dal nostro ma-» e si volta per calcare
il concetto, «conto già che saremo in grado di
organizzarci.»
Robert smette di ascoltare questo teatrino del finto. Non è
stato né interpellato né presentato, quindi non
si disturba nemmeno di salutare: si limita a rientrare dentro. Sa
perché Val si è dimenticato della sua esistenza:
si è appena reso conto che la ragazza per la quale stravede
è cotta di un prestante violinista canadese.
Sicuramente al momento è troppo preso dal non vedere la
competizione, nella sua timidezza.
Prende una pezzetta umida ed inizia a pulire il bancone - non che ci
sia il bisogno di farlo - solo quando ha finito guarda fuori dalla
grande vetrata per registrare qualche cambiamento.
Il trombettista è rimasto da solo ed è tornato a
suonare, questa volta con un'aria decisamente malinconica. Non gliel'ha
mai visto quello sguardo abbattuto, istintivamente gli dispiace per
quel suo amico.
Decide quindi di riuscire per consolarlo con la sua presenza, che tanto
tre clienti in un pomeriggio suonano già come troppi.
«Non ci riuscirò mai,» borbotta quando
lo ha raggiunto, guardando a terra, «non studio con loro
e...»
Ed è talmente evidente che ha una cotta per lei che, se fino
ad ora lo ha ignorato, significa che non è interessata. A
giudicare dalla persona che pare e da quella che frequenta, il suo
"tipo" è completamente diverso.
Ma questo non può dirglielo, perché preferisce
fare l'amico - ovvero quello neutro - piuttosto che ferirlo:
«Non lo saprai mai se non le parli.»
«Non ci riesco! Tu mi hai visto, no? Quando devo dirle
qualcosa o semplicemente c'è lei in giro mi trasformo in un
vero cretino!» Si agita, evidentemente furioso con se stesso,
«Divento persino più timido di te e, credimi, tu
sei uno dei casi più disperati che io conosca.»
Vero, solo che non è timido. È chiuso nei primi
tempi, poi lo conosci e semplicemente si fa silenzioso.
Ma è diverso: è una sua scelta
caratteriale.
«Dedicale una canzone.» Dice, deciso che non vale
la pena né di offendersi né di puntualizzare.
«Non sono un solista, sto solo provando a
diventarlo...»
Sbuffa, «Allora trova un modo per parlarle. Non puoi tirarti
indietro, ricordi il patto?»
Val ci pensa, costernato, «Sai, hai perfettamente
ragione,» mormora in risposta mentre ripone frettolosamente
la sua tromba nella custodia, «non posso lasciare che
l'ultimo venuto si metta in mezzo così!» Pare
determinato finalmente, magari ha trovato finalmente tutta la sicurezza
che - ne è sicuro - possiede, «Ci vediamo domani,
Robert. Grazie.»
E prende a camminare, immerso nei suoi pensieri.
«Certo.» Sospira, per poi fare un semplice cenno
che l'altro non vede.
Situazioni sentimentali, musica, stili di vita, studenti, piazze e
centri e club e...
in un mesetto ha avuto tutto questo, come sceso dal cielo, respira le
novità e decide che - per quanto siano cattive - non gli
dispiacciono: lo fanno sentire più vivo. Come non si
è mai sentito, direbbe.
È a quel punto che qualcosa lo scuote, leggero quanto
improvviso - I used to wake up in the morning -
mentre lui riesce solo a
voltarsi per guardare che cos'è.
♦
Note:
Ridete con me di questo Val che è il deus ex machina
più PALESE della storia x'D e non avete ancora visto niente,
cioè, amo questo personaggio per quante cose è
riuscito a farmi fare.
Comunque:
Il monologo di Val sull'oppressione è un frammento di un
discorso che mi fece la mia compagna di classe Chiara al liceo, lei che
si sentiva OPPRESSA per il suo essere una donna bianca suonatrice di
sax. Btw, Chiara, ovunque tu sia, spero che le persecuzioni alla tua
persona siano finite xD
(E nel mentre stavo ascoltando The Suburbs degli Arcade Fire, cosa che
mi ha ispirata come mi ispira praticamente tutto di questo gruppo)
Ehi, ho sentito mica i The Who in sottofondo? *wink wink*
|
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Capitolo 4 *** Almost ***
Terzo
capitolo:
Almost.
È nei guai.
Irrimediabilmente nei guai.
Quando quasi un mese fa ha fatto quel patto con Val non c'era nessun
problema, tanto che - fino al giorno prima - non aveva proprio preso in
considerazione il particolare del "primo", visto che non gli piaceva
nessuno e non era proprio affascinato da niente.
Ma adesso le cose sono decisamente cambiate.
Ha promesso di dichiararsi alla prima persona capace di catturare la
sua attenzione, in pratica la prima a passargli davanti per strada,
senza porsi particolari dilemmi morali visto che sul momento non ne
esistevano.
Ora quella persona c'è, però.
E sarà forse per il suo passo, o per il suo sguardo
distratto, o per la canzone
un po' ambigua che stava canticchiando, o il modo in cui portava una
maglietta quasi rovinata, o semplicemente perché si trattava
di un ragazzo dalla non scarsa bellezza... forse
per uno qualsiasi di
questi motivi, fatto sta che ne è rimasto colpito.
Tanto da seguirlo con gli occhi fino a quando non è
scomparso, inghiottito in una delle vie che partono dal centro,
probabilmente diretto verso uno dei semipalazzi
studenteschi.
E forse ancora è perché fino ad un attimo prima
si stava concentrando sui sentimenti, ma il passaggio di quel tipo gli
è sembrata più un'apparizione. Quasi profetica:
una sorta di segno del destino.
A lui che non crede nemmeno in queste cose.
Ma che cosa deve fare? Non ha idea di come comportarsi. Deve ammettere
che è interessato ad un ragazzo, che quindi la scommessa ha
preso a valere anche per lui, o fare finta di niente, visto che
probabilmente non lo rivedrà mai più?
Opta per la seconda.
Per questo, durante la sua pausa di martedì pomeriggio, si
trova ad ascoltare Val con un'espressione un po' diversa dal solito.
Decisamente sospetto, ma nemmeno troppo.
«Che c'è?» Chiede infatti il musicista,
fermandosi.
«Come?»
«Hai uno sguardo tutto particolare,» nota
osservandolo, «sei felice?»
«Perché dovrei?»
«Perché...» e improvvisamente, come
preso da un'illuminazione divina, cambia completamente registro:
«Stai cercando di barare!»
Maledizione.
Non lo si direbbe, ma Val è davvero una persona perspicace.
Persino troppo, come in questi casi: non è certo la prima
volta che "becca" a questo modo un suo stato d'animo o una
verità non detta.
Magari ha davvero l'arte dentro, anche se non la studia.
«Ieri ho visto un tizio...» Ammette, ma a bassa
voce, quasi fosse una sconfitta.
«Bene! Chi era?»
«Mai visto prima, non ne ho idea.»
«Ah...»
«Non ha importanza, sai? Dubito
ripasserà.»
E gli spiace - gli spiace sinceramente ed immensamente -
perché questa è davvero un'occasione persa.
«Era uno studente? Descrivimelo, magari lo conosco.»
«Biondo sul castano, cuffie nelle orecchie, alto.»
«Particolareggiato.» Commenta sarcastico, mentre
alza un solo sopracciglio.
«Canticchiava...» Si sforza di aggiungere, ma
sentendosi in imbarazzo.
«Oh!» Esclama, «E che cosa?»
«Non so che canzone fosse... magari vecchia, faceva tipo...
Lily oh Lily... qualcosa del genere»
«Aaaah! Forse ho capito.»
«Sai chi è?» Sgrana gli occhi, sorpreso.
Bene: questo è sicuramente un segno del destino, non
è possibile altrimenti, magari Val lo conosce e sa
il suo
nome e glielo può presentare e potranno passare pomeriggi
innamorati come-
I suoi pensieri vengono interrotti dallo stesso musicista:
«Lo vedo passare di qua tutti i giorni, credo abiti
lì in fondo,» ed indica la via dove lo ha visto
sparire il giorno prima, «non so chi sia, ma ha davvero
l'aria di chi ha la testa tra le nuvole.»
Decisamente è lui.
«Però non lo conosci. Quindi non serve a
nulla...» Mormora, ma sta più pensando a
com'è possibile che non lo ha mai notato prima,
anziché al patto in sé.
«Appena passa lo fermo.»
«Cosa?!» Strepita, forse con un tono di voce troppo
alto, «Ma proprio no!»
«Dimentichi i termini della nostra scommessa?»
«Non sappiamo chi è!»
«Useremo la tromba come scusa.» E sorride,
luminoso, come se avesse appena detto una grandissima rivelazione: ha
l'aspetto di uno che può risolvere i problemi del mondo.
Robert quasi trema di fronte quello sguardo, così sospetto.
Poi si rende conto che se lo asseconda non solo ha una qualche
possibilità con il Ragazzo-Apparizione, ma può
dare una mano più concreta al suo amico.
Può dimostrargli che è possibile dichiararsi,
anche quando non si hanno le basi. Magari così facendo
riuscirà a dargli un po' di ispirazione per parlarne con
Joanne - e questo gli interessa sicuramente più di una
brutta figura con uno sconosciuto.
Quindi via, «Vediamo se ci riesci.»
Tanto vale dare una mano.
*
Ha passato il resto della giornata praticamente in ansia, guadando
fuori dalla grande vetrata anziché pensare al bancone o ai
tavoli - divorato dalla preoccupazione.
Sì: ha detto che poteva provarci, che aveva dato la sua
parola e via dicendo, che tanto non c'è proprio niente da
perdere.
Ma la verità è che si sente stranamente agitato,
come se stesse per affrontare un esame o una prova particolarmente
importante. Forse ciò che prova non è nemmeno
paragonabile alle sensazioni di cui sopra, ma non ci si concentra
troppo.
Che comunque sono emozioni che non servono, perché il
ragazzo non si fa vedere. E non passa nemmeno il giorno dopo,
mercoledì, altra giornata che ha passato intento a fissare
fuori piuttosto che guardando le macchie lasciate dai clienti.
Sta per chiudere il locale quando, con un'occhiata veloce, si rende
conto che Val è ancora lì. Non capita molto
spesso che rimanga fino alla chiusura, solo poche volte, e non riesce a
capire che cosa ci faccia a suonare le sue melodie con il suo
strumento.
Ci mette un paio di minuti per rendersi conto che non è
solo: con lui c'è anche chi stava aspettando.
Proprio lì, distratto e fermo.
Tangibile.
Vorrebbe correre da lui.
O stare fermo in silenzio.
Sono entrambe sbagliate - lo capisce subito - ciò che gli
conviene è fare un misto fra le due cose. Non rimanere fermo
né correre, basa muoversi piano piano - anzi: con un passo
normale - verso l'uscita, in modo casuale.
Quando finalmente apre la porta, per osservare la scena in tutta la sua
concretezza, ha il cuore in gola.
Guarda la scena come se non si trattasse della sua vita. Rimane
lì, immobile, rapito dall'atmosfera, finalmente domandandosi
che cos'è che dovrebbe fare.
Val si accorge del suo arrivo ma continua a suonare, mentre con lo
sguardo sembra voler dire: non avrei mai creduto che avresti
trovato il
coraggio.
Qualche ultima nota e si interrompe, dando vita al silenzio imbarazzato.
«Sei bravo.» Dice allora la sua
Occasione-Non-Più-Persa.
«Te lo avevo detto, no?» Risponde il musicista, con
un sorriso suadente; per un attimo inganna persino Robert, che si
ritrova a credere di aver giudicato male il proprio amico.
Ma il fascino non sembra attaccare sul ragazzo che, come se fosse stato
appena svegliato da un sogno, mormora un banale:
«Uhm?»
«Niente, a proposito: io sono Val,» si presenta
mentre gli porge la mano per stringerla, cosa che l'altro fa solo dopo
averla osservata perplesso, «suono al Jazz Club tutti i
venerdì, ci sei mai stato?» Aggiunge poi
compiaciuto.
Di certo suonare lì è uno dei suoi maggiori vanti.
L'altro scuote la testa e, fortuna profonda, pare vivere in un mondo
tutto suo, perché nemmeno bada al sorriso furbo che
è appena venuto al trombettista mentre, con un cenno del
capo e un tono quasi suadente, presenta: «Lui invece
è Robert.»
Se fosse meno distratto, si renderebbe subito conto che stanno cercando
di adescarlo.
«Jude.» Risponde brevemente.
Si guardano, ma non si stringono la mano. Robert è
praticamente paralizzato mentre si ripete il suo nome nella testa -
Jude, Jude, Jude - mentre l'altro pare non troppo
abituato a farlo. Ma
si direbbe che lo trova simpatico.
«Ti abbiamo visto passare un paio di volte,» torna
all'attacco il musicista, che adesso pare avere un qualche scopo
preciso in testa, «quindi mi chiedevo se volevi un invito ad
una mia serata.»
«In realtà non mi intendo di questa
musica...»
«Allora siete proprio anime gemelle!» Esclama Val,
improvvisamente deciso a morire.
A questo punto diventa importante fare finta di nulla, sorridere
indifferente, aggiungere una battuta scherzosa e sperare che vada tutto
bene, ma i suoi muscoli facciali non lo aiutano, essendo tutti bloccati
in quella che pare un'espressione di puro terrore. Come se avesse
appena visto l'Orrore personificato - cosa che in effetti ha fatto,
sotto le mentite spoglie del suo amico.
«Anime gemelle?» Ride invece quello,
tranquillissimo, «Solo se ti piacciono i The Who!»
Grazie. Grazie, grazie, grazie.
«Pochino,» mente spudoratamente: appena torna a
casa recupera la discografia completa dei The Who, anche a scopo di
correre nel primo negozio di cd che trova, se quelli sono un modo per
conquistarlo, allora vale decisamente la pena provare,
«vorrei sempre ascoltare più cose.»
«Gh,» dice l'altro, con un sorriso che fa intendere
quanto effettivamente li ami, «sono i miei
preferiti.» Spiega ancora, estatico.
Ok: sarà anche stupido, ma al tempo stesso è
adorabile, bello, e soprattutto il centro di una scommessa che deve
portare a termine. E non pare così scocciato dall'idea di
essere l'anima gemella di uno sconosciuto praticamente a caso
né che due tizi particolarmente inquietanti lo stiano
invitando ad un concerto che suona tanto come un appuntamento al buio.
«Allora ci vediamo venerdì?» Domanda.
«Sì.»
E sorridono insieme, mentre Robert prende a dimenticare ogni proposito
di malinconia, deciso a tenere nel cuore solo questo sorriso.
Almeno per una giornata, come se fosse suo.
Almeno per una notte.
*
Il giovedì è lento. Di una lentezza allucinante,
praticamente non passa, il tempo sembra addormentato per quanto impiega
a far spostare le lancette.
Il venerdì è forse peggio.
Non è strano: quando hai delle aspettative devi ingannare i
minuti come puoi, ma non basta lavorare per riuscire in questo scopo.
Nel suo caso è tutto ancora più amplificato:
praticamente si tratta di uno dei suoi primi appuntamenti "al buio" e -
contemporaneamente, come se non bastasse - della prima volta in cui
vede Val nel suo vero ambiente. Che vede tutto il
gruppo suonare...
insomma, è emozionato da tante di quelle cose che non sa
nemmeno elencarle in ordine.
Di certo ha delle aspettative altissime.
Quando venerdì sera finalmente arriva, sente come se non si
fosse preparato a sufficienza, nonostante non abbia fatto altro che
preoccuparsi di queste cose. In effetti non è certo che
jeans e felpa siano il modo corretto di presentarsi ad un Jazz Club, ma
non ha voglia di preoccuparsi per questo dettaglio, tanto Jude non gli
è parso troppo elegante e Val di certo non è uno
spocchioso. Magari riceverà qualche occhiataccia dai clienti
sicuramente più sofisticati, ma non sarà troppo
concentrato su quelle.
Sua madre gli ha definitivamente dato la macchina e sua sorella,
benedetta lei, ha deciso di chiedere un favore a quell'adorabile
persona che è il suo nuovo ragazzo. Quindi ha un trasporto
tutto per sé, una meta ed un accompagnatore.
Beh, in effetti quello non c'è, ma è carino
immaginare che ci sia.
E questi sono i suoi pensieri quando, finalmente sceso dalla macchina,
paga per l'ingresso del locale e varca la soglia. Prima di immergersi
nel mondo che tanto stava aspettando.
Blu.
Tutto così perfettamente blu. Rimane affascinato, riempito
da quelle luci - così sottili, così leggere,
così colorate - quasi commosso nel vedere che tutto somiglia
all'immagine che si era fatto.
Sul palco non si sta ancora esibendo nessuno, ma probabilmente manca
poco, almeno a giudicare dal fatto che non proviene musica dagli
altoparlanti.
Non ha idea di dove sistemarsi: non conosce proprio nessuno, nemmeno di
vista - strano a dirsi, non credeva di poter trovare così
tanti sconosciuti - e guardarsi intorno non aiuta: più
osserva più si rende conto che non si trova nel suo
ambiente. Non c'entra niente lì dentro.
Eppure c'è e, per sua fortuna, ha visto abbastanza film per
rendersi conto che in queste situazioni è meglio occupare un
tavolino un po' appartato - non troppo vicino alla folla, ma nemmeno
troppo distante dal palchetto - e far finta di niente.
Blu.
È tutto così blu che per un attimo si domanda se
i suoi occhi sapranno reggere i colori per tutta la nottata, se una
birra - quella che ha appena ordinato al cameriere più
vicino - basterà per tranquillizzare il suo animo inquieto,
lo stesso che si sta muovendo oppresso dalle pareti della carne. Dai
muri del Jazz Club.
Joanne, Val, il violinista e la band dell'altra volta salgono per
mettersi ai loro posti. Non guardando i clienti se non con brevi
sguardi, probabilmente troppo occupati ad organizzare lo spettacolo.
In questo momento, il tempo si riprende: inizia a correre velocemente,
confuso, seguendo le note che i musicisti producono.
Robert si fa prendere da due considerazioni improvvise: la prima
è che si rende conto di non capire affatto il jazz, gli pare
solo melodia da "sottofondo" per quanto è ignorante del
genere. La seconda è capire quanto sia facile innamorarsi di
una ragazza dalla voce così suadente.
La sua voce suona malinconica, sensuale, sussurrata al microfono e
accompagnata dal piano che lei stessa suona. Joanne è
perfetta.
E con quest'immagine di lei tutto combacia: Val che la insegue,
innamorato e disperato, disposto a passare interi pomeriggi ad
esercitarsi di fronte una folla sorda, violinisti disposti a riscrivere
la loro ispirazione pur di accontentare i suoi capricci, un'intera band
messa in secondo piano pur di darle il ruolo da protagonista.
Mentre lei, che è così bella sul palco e
così finta quando cammina per strada, si prende gioco - ma
senza troppa malizia - di tutte le persone sedute ai tavoli, un futuro
assicurato nel genere che suona e forse compone anche.
Chissà se è tutta un'idea sua, chissà
se c'è qualcuno alle sue spalle che la aiuta a gestire tutto
questo.
E improvvisamente trova tutto orribile, tutto schifoso.
La musica è una bugiarda, i clienti talmente assenti che
probabilmente non stanno nemmeno ascoltando, la birra che è
arrivata da un po' senza che lui se ne accorgesse. Quel blu infinito:
tutto un orrore senza fine.
Si alza di scatto, stremato da tutti quei rumori nella sua testa,
comprendendo che deve scappare via; esce fuori dalla porta chiedendo
mentalmente scusa al suo trombettista - fra tre giorni, quando li
rivedrà, glielo dirà anche a voce.
Inventerà qualche emergenza, un problema a casa, o in
famiglia, o cosa.
Respira, adesso, sentendosi quasi purificato da questo gesto: come se
stesse eliminando i pensieri negativi riempiendosi i polmoni di
ossigeno.
Fumerebbe anche, ma questa è la nottata del musicista al
quale ha promesso di smettere: almeno questo glielo deve, a lui e alla
sua personale salute.
Fa qualche passo in direzione della macchina, deciso ad andarsene,
quando lo vede.
Jude.
Si era persino dimenticato di lui, del fatto che avevano un
appuntamento - no, non lo avevano - ed ora eccolo arrivare. Quasi
buttato via dal cielo.
Una sorta di apparizione, ma con le cuffiette nelle orecchie.
«Ehi!» Lo saluta, il tono di voce stranamente
emozionato.
«Ehi...» Risponde l'altro, decisamente
più tranquillo, mentre sorride lievemente e spegne il
proprio mp3, «Sono in ritardo, sì, ma non avevo
dimenticato.»
«Davvero?» Scherza.
«Mh, beh. Lo avevo dimenticato.»
«Ma la noia ti ha spinto a ricordare?»
«Qualcosa del genere.»
Ok.
Se è riuscito a fare amicizia con Val in così
poco tempo, nonostante non sia assolutamente nel suo carattere, chi
dice che non può provare a replicare? Questa volta
c'è anche una possibilità di avere più
che un amico, visto che si è presentato senza problemi al
loro appuntamento - che non è un appuntamento.
«Come mai non sei dentro?» Ed indica con
un'occhiata la porta del Club.
«Credo di odiare il jazz.» Replica semplicemente,
«ma se vuoi ti accompagno!» Aggiunge subito,
rendendosi conto di non poter sfuggire nessuna occasione.
«Sai... credo di odiarlo anch'io.»
«E allora perché ti sei ricordato?»
Chiede, speranzoso. Nemmeno si rende conto che potrebbe suonare
offensivo con questa domanda, perché non è
abbastanza loquace per rendersi conto di come le persone reagiscono
solitamente a scortesie come questa. Fortuna che Jude non sembra
prendersela.
In un mondo tutto suo, completamente.
Dove le parole non possono turbarlo.
E se adesso non vede i mille difetti che questa caratteristica
può portare - e porterà sicuramente -
è solo perché infatuato.
Tanto vale approfittare di questa predisposizione,
si dice.
«Non avevo molto da fare. E lui sembrava tenerci proprio
tanto.»
«Sì, è vero: ci tiene molto.»
Sensi di colpa.
«Anche tu mi davi la stessa impressione,
però.»
Ma Robert non attendeva il concerto, non era contento per quello. Ora
come non mai gli appare chiaro.
«Ci tenevo perché credevo mi sarebbe
piaciuto.» Mente.
«Invece no? Peccato.»
«Senti,» tanto vale provare, tanto vale provare,
tanto vale provare, «visto che odiamo entrambi questo
genere... possiamo andare da qualche altra parte.»
Negli occhi di Jude passa un pensiero che scurisce le iridi, si
illumina di un sentimento, ma accetta ugualmente come se niente fosse,
basta voltarsi verso la via per la quale è venuto e iniziare
a camminare.
Vorrebbe chiedergli di nuovo perché è venuto,
come mai si è presentato così in ritardo, ma
sente di aver già domandato troppo. Finalmente si rende
conto di quanto è imbarazzante il tutto, della portata del
casino che sta andando a creare tutto da solo.
«In genere sono un tipo abbastanza solitario...»
Mormora, senza prestarci particolare attenzione.
«Sicuramente lo sei più del tuo amico,»
ridacchia Jude, «lui ha praticamente tentato di rapirmi,
sai?»
«Lo stava facendo...» per me,
stava per dire, ma
non può, «per convincermi ad andare.»
«Sì? Pensavo ci volesse fidanzati o cose del
genere.» E ride questa volta.
E se ride è perché non ha preso sul serio l'idea,
no?
Non ne ha idea. Così come non sa che dire.
«Tranquillo,» lo tranquillizza, voltandosi per
guardarlo un po' meglio, «stavo scherzando. Ho capito che era
un modo come un altro per attirare gente al concerto.»
No, non hai capito niente. Fortunatamente.
«Ma non è proprio un concerto, sai?»
«No?»
«No. Più che altro mi voleva mostrare la ragazza
di cui è innamorato. Mentre suona.»
«L'hai vista?»
«Sì, certo,» e si è quasi
sentito male per il disgusto, «ma comunque l'avevo
già conosciuta, anche se non ci ha presentati.»
«Mi è simpatico: non fa che presentare le persone,
come una specie di cupido.»
E tu non fai che dire ambiguità senza rendertene
conto.
Ed uscire da questa situazione è più difficile
del previsto. Di più: è di una
complessità superiore, di quel tipo di
complessità che non ti ritrovi a gestire quotidianamente
così che, quando arriva, sei praticamente impreparato.
Cerca disperatamente una risposta dentro la propria testa ma non
c'è niente che sembra arrivare a quel punto.
Una panchina.
Potrebbero sedersi e commentare qualcosa come: come siamo pigri, anche
se siamo giovani, o qualcosa del genere; ma sarebbe un po' troppo
triste e Jude non pare tipo da fare questi discorsi. Comunque prende lo
stesso l'iniziativa, indicando con un cenno del capo un posto dove
sedersi.
«Allora...» Nella sua testa girano tutti gli
argomenti di cui le persone della loro età discutono
normalmente, naturalmente tenendo Val come punto di riferimento:
ragazze, musica, università... università!
«Quindi... sei uno studente?»
«Sì, studio qui.»
«Ma non sei di queste parti.»
«No, infatti,» sorride, come se la risposta fosse
ovvia, per nulla sorpreso del fatto che l'altro abbia indovinato,
«Londra.»
«Ah. E come ci sei finito a Bristol?»
«Troppo caotica. Mi andava di cambiare... anche di
ricominciare da capo.»
A differenza sua, non pare troppo riservato, ma nemmeno un
chiacchierone come Val. Una specie di via di mezzo, confinata in
continue distrazioni. Si chiede se sarà mai possibile fare
qualcosa, se si sta illudendo, se la musica che sentiva nella sua
testa...
Si chiede troppe cose, al momento.
Ma Jude è lì, e sta parlando della strada che ha
intenzione di prendere, illustra progetti, gli racconta velocemente dei
suoi coinquilini e del fatto che ultimamente non vanno più
così d'accordo, perché questi tendono a diventare
confusionari e rumorosi quando danno le partite in tv, e lui che viene
da Londra è abituato a peggio ma, insomma, sono comunque
studenti insopportabili, senza controllo. Parla del fatto che la sua
ultima ragazza lo ha lasciato perché non le dava mai
considerazione, con il tono leggermente amareggiato come se soffrisse
di questo difetto, lo stesso che Robert sta ringraziando da
mercoledì quando si sono conosciuti.
E sta ancora parlando quando l'altro, preso da una illuminazione
improvvisa, non sa fermarsi e chiede: «Non c'è
nessuno adesso?»
«A casa mia?»
«No,» corregge, una determinazione nella voce che
suona del tutto inaspettata, «intendo dire se sei fidanzato o
no, se frequenti qualcuno.»
«Sono con me stesso, al momento.»
«Come me, allora.»
Ma potremmo stare insieme, pensa. Lo immagina anche,
nella sua retina,
lo immagina e lo vede quasi realizzabile.
Stare insieme.
Un piano praticamente perfetto, va solo attuato.
E nemmeno le promesse a Val hanno più importanza quando si
trova in una situazione simile. Non c'è niente che conti
più dello sguardo dell'altro, puntato sulle sue scarpe, e
sul fatto che probabilmente sta per riprendere a parlare. Per
raccontargli qualcosa di nuovo, magari.
Non c'è niente.
♦
Note:
Cigarettes and chocolate milk, these are just a couple of my
cravings~♪♫
Salve! Allora, mi sono resa conto di aver dimenticato un paio di cose,
quindi passo subito a queste:
La prima è che nelle ultime due settimane non ho creditato
nulla e non so come mai questa mancanza. Quindi - per fare un po' di
ordine&giustizia - vi dico che Jimmy sarebbe Jimmy
Rich, nella "vita reale"
l'assistente personale/schiavo di Robert. Qui è il suo
"capo" ma, oltre questo, non è importante
né appare attivamente: mi serviva un qualcuno ed ho scelto
lui perché
mi
divertiva nel contesto.
David è David Sutcliffe, volto trovato
grazie a Manu
una
sera mentre
disperavo perché avevo bisogno di un francocanadese e lei
era lì pronta a sputare attori a macchinetta.
Il fidanzato di Allyson è un nome a caso, invece x'D
La "canzone di Jude" è Pictures of Lily~
parla di
masturbazione ō_ō chissà se Jude lo sa o no (secondo
me sì).
La seconda è che Robert, Jude, Val, Joanne, i The Who
stessi... tutti loro insomma... ecco, non vi ho detto che non mi
appartengono D: so che siete sorprese, ma purtroppo è
così: non sono miei. La caratterizzazione sì,
però, quella è decisamente uscita dalla mia testa
e ne sono colpevole da sola.
Poi... non vi ho mai ringraziati
come si deve per tutto il
supporto e per i meravigliosi commenti, così come non ho
ringraziato degnamente chi segue, chi preferisce, chi legge
solamente~ insomma, grazie
a tutti. Non sapete quanto mi fate felice!
Infine - e poi scompaio davvero - i ringraziamenti per questo capitolo
vanno a Bà
perché è stata ad ascoltarmi per circa un'ora
mentre blateravo
su QUANTO non mi piacesse e quanto questo Jude non fosse stordito come
lo volevo io. E questa ragazza sa sempre come
sorprendermi, mi
tollera anche quando sarei da ammazzare (ed io sono da
ammazzare molto spesso) xD grazie Bà! E scusami se
questa dedica è proprio scialbetta... sappi che se posto -
perché ho cambiato idea - è merito tuo!
Ed ora sparisco.
A presto~ ♥
|
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Capitolo 5 *** Feel ***
Quarto
capitolo:
Feel.
Lui e Jude hanno
fatto tardissimo per stare insieme a discutere,
toccando più argomenti, lasciandosi quasi cullare dalla
notte e dal modo in cui questa getta ombre sulle loro frasi.
È stato più forte di loro: un discorso ha tirato
fuori un altro, fin quando non sono rimasti senza parole, completamente
svelati l'uno all'altro.
Conoscendosi, finalmente, con Robert che - lo ha
visto - si sente una
sua anima gemella, si sente nato per amarlo, si sente già
pieno di tutti questi sentimenti.
Starebbe già strillando al vento quanto
sono perfetti insieme, se dipendesse da lui. Meravigliosi.
A fermarlo
solo il fatto che non
sono nemmeno una coppia - quindi c'è proprio poco per
strepitare.
Ha provato a pensare - un po', giusto il necessario - a come
dichiararsi, visto che è determinato a farlo, ma non
è riuscito a trovare un modo adatto per dirlo: la sua testa
non lo vuole aiutare in questo, anzi, lo abbandona al silenzio.
Nel ricordo di ciò che si sono detti, di come sono stati
bene nel chiacchierare notturno.
Alla fine lo ha anche accompagnato a casa, nonostante fosse lontana da
dove aveva parcheggiato la macchina, camminando al suo fianco con un
passo piuttosto mesto, senza alcuna voglia di lasciarlo.
Ed andare via così.
Si è fatto strappare la promessa di rivedersi il sabato dopo
- anzi, nel pomeriggio di quel sabato - al Fish and Chips, per farsi
portare qualcosa dei The Who, perché tanto vale
ascoltarli
se sono così bravi. Non gli ha detto che
è
interessato solo perché vuole integrarsi nella sua vita e
quella sembra la via più semplice.
Vuole vivere il suo mondo, sapere come lo si affronta, ascoltando
ciò che sente lui giornalmente.
Jude in questo lo stupisce: si presenta davvero il giorno dopo, ed
anche abbastanza presto, sorridendo con il suo modo distratto.
«Compilation.» Dice dopo essersi avvicinato
abbastanza da porgergli un cd che teneva in mano. Non ha uno zaino
né una borsa: solo i suoi vestiti scuri, le cuffie nelle
orecchie, con il cavo che finisce in una tasca dei suoi pantaloni.
Lo ha accettato, ovviamente, con la più vera delle smorfie;
mentre la sua mano
stringe la custodia con forza - sicuramente derivata dalla
possessività inconscia - e si fa promettere, usando una
delle
sue esclamazioni più gioiose, un terzo
"appuntamento". Giusto per dirgli che cosa ne pensa del suo mondo.
«Sì,» risponde Jude, «ma
arriverò sul tardi.»
Poi sparisce, inghiottito in chissà quale impegno del fine
settimana.
E Robert ancora non riesce a smettere di ragionarci, di trastullarsi,
quasi adagiandosi in queste fantasie nemmeno troppo delineate.
Jude: il suo pensiero primario sopra ogni azione, da quando torna a
casa - dopo aver finalmente staccato dal lavoro - e converte al
computer le tracce del cd, per poi sistemarle nel suo mp3, a quando si
stende sul letto ed ascolta.
Deciso a passare così almeno due giorni, per capirlo, per
aumentare le somiglianze che ci sono fra loro, per ingigantire le
speranze; e non è nemmeno difficile farsi piacere queste
canzoni.
That's a real good looking boy,
That's a real good looking boy,
Wise men say:
only fools, only fools rush in,
but I - I can't help
falling in love, in love with you.
You arrived in my life like a fragrance and,
you help me find a way to laugh,
now I know how so-called beauty lies.
God gave him a face,
then he gave me something above.
That's a real good looking boy,
That's a real goo- «Robert?»
«Eh?»
«Certo che sei mille volte più strano di quello
che sembravi.» Val scuote la testa perplesso mentre fa questa
rivelazione, parlando più con se stesso che con lui, forse
un po' irritato. In effetti ha molti motivi per esserlo...
«Scusami.» Sta diventando distratto. Si chiede se
questo è un qualche tipo di "effetto-Who" o semplicemente
sta
passivamente subendo l'influenza di Jude; normalmente vedrebbe questa
cosa come negativa, visto che non tende a far girare il suo carattere
per qualcun'altro, ma in questo caso sta anche bene: almeno
può prendersi una pausa dalla solita malinconia, spostare la
propria mente dai pensieri cupi che ha di solito.
Per non essere pesante come lo è in genere.
«Sei persino sparito venerdì scorso.»
Commenta il musicista, guardando solo la sua tromba.
«Lo so, non è stata colpa mia ma...» e
visto che non si è inventato nessuna scusa, nonostante i
propositi, pensa a cosa ha fatto quella
sera, «Jude.»
«Oh!» Mentre l'espressione di Val cambia, piena di
stupore, «Non mi dire che quel ragazzo per il quale ti sei
preso
la più fulminea delle cotte si è rivelato davvero
omosessuale e compiacente!»
In effetti no.
«No,» ammette quindi a malincuore, «ma
non arrivava,
ero in ansia per mille motivi diversi, sono uscito fuori dal locale per
cercarlo e l'ho visto... a lui non piace il jazz e, ad essere sincero,
nemmeno a me, così siamo stati insieme. Ci siamo
conosciuti.»
«E?»
«E niente.»
«Non ti sei dichiarato come avevi detto? Mi pari davvero
innamorato...» Ed è un eufemismo: non ha mai visto
in tutta la sua vita un'altra persona perdere la testa con questa
velocità, senza apparentemente motivo.
«Non posso, per ora, ci conosciamo ancora poco...»
si giustifica Robert, come se questa fosse una grandissima colpa,
«ma ci proverò.»
«Fantastico...»
«Tu hai fatto la stessa cosa, comunque! Non puoi
parlare»
«Vero,» replica amaro, «ma se non
è successo niente fra voi... beh, potevate anche tornare
dentro ad ascol-»
«Val.»
«Sì, lo so, sto diventando insistente.»
Sospira l'altro. Poi si fa un po' più serio, cambiando
completamente registro: «C'è stato qualcosa di
strano venerdì. Qualcosa non andava. Hai sentito?»
«Sì, devo ammetterlo, ho notato che qualcosa non
suonava
bene. Tu sei stato bravissimo, come al solito, e Joanne è
davvero fantastica ma...»
«Ma. Non tornava.»
«Già.» Ci pensa, perché non
sa bene come esprimersi, perché non ha capito che cosa
è successo esattamente a spingerlo fuori dal locale. Dire
che si tratta del destino è forse un po' troppo
superficiale, anche
se è stata quella fuga apparentemente immotivata a fargli
incontrare Jude,
«Qualcosa suonava finto.» Sceglie di dire infine.
«Il violinista.»
No: Joanne. Lei suonava incredibilmente falsa.
Ma Val non può ascoltare i suoi pensieri, «Credo
che mi detestino, sai? Non fanno che guardarmi male o proprio non
considerarmi.»
«Pensi...» e gli fa male dirlo proprio a lui,
«che ti vogliano fuori dal gruppo?»
Negli occhi del trombettista c'è la conferma: c'è
che voleva sentirsi dire proprio questo, magari per liberarsi dalla
sensazione di avere solo delle paranoie per la testa, ma non proferisce
nessuna parola.
Riprende la sua tromba, che effettivamente non ha mai lasciato, per
ricominciare a suonare con più impegno; la determinazione di
non rimanere mai indietro, di essere così bravo da fare
invidia.
E Robert lo lascia così, per tornare dentro e riprendere il
solito lavoro di inserviente barra cameriere, ad aspettare chi deve
venire.
Lasciandolo alla sua musica, sperando che serva.
*
Il tempo di sistemare, di riordinare, ed è tutto come prima.
Potrebbe uscire di nuovo fuori, se non fosse che ha paura di disturbare
Val ed i suoi tentativi di rivalsa verso nemici immaginari.
E rimane dentro anche quando gli altri due dipendenti se ne sono
andati, intenzionato a chiudere tutto e ricordarsene il giorno dopo.
«Rob.» Si sente chiamare, per la seconda volta
nella giornata svegliato da una fantasia ad occhi aperti, da un
pensiero quasi tangibile. Si gira per ritrovarsi di fronte Jude - e non
sa quando sia entrato effettivamente! - che mostra un'aria
insolitamente preoccupata, «Ti ho portato il cd con le mie
canzoni preferite?» Domanda poco dopo, il tono piuttosto
innocente.
«Sì.»
«Oh!» Risponde, chiaramente sollevato, perdendo
l'espressione delusa ed un po' persa, «Non riuscivo proprio a
ricordare...» improvvisa una spiegazione, per poi
interrompersi, come se non volesse fargli sapere qualcosa,
«Ti è piaciuto?»
«Molto.» Ed è vero: non sta mentendo,
visto che a prescindere non gli è difficile farsi piacere un
gruppo del genere, anche un po' simile alla musica che ascolta di
solito.
«Bene, sono contento! Qual è la tua canzone
preferita?»
Lo fissa negli occhi, prima di rispondere, una preghiera nella testa:
Dai, fai che capisca.
«Real good looking boy.»
Ma non capisce, ovviamente.
«La amo anch'io, sì!»
«Come mai ti piacciono così tanto?»
Sebbene il tono della sua domanda non sia né cattivo
né curioso, Jude lo guarda con un po' di sospetto,
dopodiché rivolge un'occhiata al locale - come se non lo
avesse
mai visto prima, come possibile - e risponde vago: «Ero
triste.»
Non insiste: è chiaro che si tratta di una domanda forse un
po' troppo personale, ma l'idea che si fa è che Jude, per
qualche motivo ignoto che si impegnerà a scoprire con il
tempo, ha preso un po' della gioia musicale che ha trovato in quel
gruppo.
Probabilmente ci ha costruito una fissazione sopra, probabilmente gli
hanno salvato la vita.
E già questo basta per farglielo adorare ancora di
più.
«Devo chiudere...» Ragiona, guardandosi intorno
anche lui, «...ma, se vuoi, possiamo rimanere qui e
cenare.»
«Davvero?»
«No, il massimo che possiamo fare è prendere
qualcosa e mangiarla da qualche altra parte.»
L'inglese arriccia il naso, «Patatine per me,» dice
infine, «niente pesce fritto o chissà
cosa.»
Salutista o vegetariano, non importa e non chiede nulla, che per queste
cose si finisce sempre con il litigare.
Inizia a friggere, anche se di solito non pensa a queste cose,
«Possiamo andare in piazza,» suggerisce senza
badare davvero all'altro ragazzo: si concentra solo sulla prospettiva
di tornare nello stesso posto dell'altra volta, magari ricreando la
stessa atmosfera.
«O a casa mia.»
Ecco, sì.
Casa sua: praticamente un sogno, praticamente potrà dire in
giro che sono amici e poi... casa sua, perfetto.
«Bene, così vedrò com'è
vivere fra gli inglesi.» Scherza.
E preso nella sua battuta non si rende conto che il tempo passa, il
cibo è pronto, e loro sono già in strada. Si
accorge che le sue distrazioni sono dovute alla sua fantasia, si chiede
che cosa c'è nella testa di Jude da prenderlo
così tanto... non può trovare una risposta, non
adesso almeno.
Deve concentrarsi solo su ciò che sa per certo.
Ed una cosa che ora sa è che Jude abita davvero
per la via che Val lo vedeva percorrere, in una palazzina piuttosto
insolita per trovarsi a Bristol, piccola, stretta, con tantissimi
ragazzi
al suo interno. A vederle si sente il cuore montato di rabbia e
frustrazione, com'è possibile che delle persone
così grezze - e non si riferisce solo all'aspetto esteriore
- stiano lì a studiare, mentre lui non sta facendo
assolutamente niente? Non è possibile che non sia ancora
riuscito a capire che cosa fare della sua maledetta vita.
E ci resterebbe davvero male, se non fosse che l'altro ha aperto la
porta di uno degli appartamenti, per poi entrare subito al suo interno
- in uno scatto quasi veloce - e fargli cenno di seguirlo.
Dai, vieni.
Lo fa: si intrufola in quel posto minuscolo, tentando da subito di
analizzare e ricordare ogni dettaglio, per sentirsi meno spaesato
almeno.
«Andiamo in camera.» Mormora Jude quando si accorge
la cucina è già occupata: è piena dei
suoi coinquilini, il loro vociare è forte e quasi li insegue
mentre entrano in una delle cinque stanze che danno sul corridoio.
Robert tenta di non far troppo caso al fatto che già sta
entrando in camera sua, che quasi non ci contava, si concentra solo su
ciò che vede, accorgendosi che non c'è niente di
diverso da ciò che si aspettava: porta marrone, pareti
bianche ma un po' rovinate, un poster gigantesco dei The Who. Letto,
piccolo con coperte blu scuro, comodino con sopra tanta roba, armadio
quasi scompagnato dal resto dei mobili, aperto, qualche vestito
visibile. Non ci sono colori troppo accesi. La scrivania: computer,
penne di ogni tipo, libri universitari, appunti, cd, posacenere pieno,
tazze di caffè - o tè? - vecchie e finite.
I suoi vent'anni in uno spazio ristretto: Robert per tre secondi si
sente a casa sua.
E lì dentro non c'è niente che gli appartiene.
«Sì, lo so, è un casino.»
«No,» commenta lui, ancora intento a cogliere tutti
i dettagli, «immagino che hai un tuo ordine e non
perdi mai niente per questo.»
«In realtà no,» lo corregge Jude,
intento a spostare e fare un po' di spazio sulla scrivania,
«proprio no.»
Lo adora. Gli viene difficile immaginare una persona che adora di
più al mondo, ed è un sentimento che gli fa quasi
male per quanto è intenso, per quanto è
improvviso, per quanto è nuovo.
Probabilmente è così preso da questa sensazione
mai provata, che sta esagerando ogni cosa: non ci mette molto a capire
anche questo, che presto la sua infatuazione si affievolirà,
come tutte le cose che arrivano così in fretta.
Come le scoperte.
Ma il presente è una cosa diversa e, in questo, Jude comanda
come non ha mai regnato nessuno nella sua testa. Non semplicemente un
Re, ma un
Imperatore del suo cuore, padrone dei suoi pensieri.
«Rob,» abbrevia il ragazzo, non considerando il
fatto che non gli ha mai dato il permesso di chiamarlo così,
non che
glielo impedirebbe, ovvio, «non lo trovi un po'
strano?»
«Cosa?»
«Che tu sia qui.»
«Solo perché fino ad una settimana fa ero un
completo estraneo?» Scherza.
«Quello, sì. Esatto.»
«Sto cominciando a credere nel Destino.» Spiega,
quasi per giustificare il fatto che non la trova una circostanza
così particolare.
«E perché il nostro incontro dovrebbe essere
frutto del
Destino?»
Perché ci ameremo.
«Non ne ho idea, ma ci sono troppe coincidenze di
mezzo.»
«Lo avevo notato.» E se lo ha visto
persino lui,
pensa Robert, ancora più convinto della sua teoria, allora
non è davvero una sensazione solamente mia.
«Chissà,» dice, nel tentativo di
smorzare la tensione
creatasi fra lui ed il nulla, «magari sei solo l'emissario
del Destino per farmi scoprire i The Who.»
«Sono un culto, in effetti. Vedrai da solo.»
E ridono, ma di risate diverse da quelle che sono abituati ad avere con
le poche amicizie che hanno.
Forse più sincere, perché le loro parole sanno
mischiarsi negli animi.
«Val ha dei problemi,» si confida Robert alla fine,
quando è certo che - messa da parte la sua infatuazione - si
possono capire, che può dire qualsiasi cosa e venir compreso
tranquillamente, «è innamorato di una ragazza, ma
il futuro fidanzato di lei si sta mettendo nel mezzo.»
«Che la lasci perdere.»
«Suona per lei. Con lei, il venerdì.»
«Ahhh, sì. Ho capito: mi ha già detto
questo...» fa, perplesso, con l'aria di chi sta cercando
dentro la propria testa significati e discussioni recondite,
«credo.» Cede infine.
«Comunque,» ridacchia, per poi tornare subito
serio, «ho paura che faranno in modo di cacciarlo da quel
gruppo.»
«Non puoi dirglielo?»
La soluzione più logica, effettivamente: parlarne con
l'interessato. Dovrebbe parlare con molti interessati, ora che ci
pensa, ma non è una regola così semplice da
applicare.
«Non lo conosco abbastanza,» ammette, nonostante
questo gli faccia un po' male, «gliel'ho accennato, ma non ho
tutta questa confidenza per blaterare le mie paranoie.»
«Scusa, è che sembravate tanto amici...»
«Jude,» anche noi lo sembriamo,
«ne
abbiamo già parlato.»
«Possibile...»
Fa vago, di nuovo imbarazzato da qualcosa. Camuffa la sua espressione
riempiendosi la bocca di patatine ma, sotto lo sguardo curioso di
Robert, si arrende alla decisione finale: «Rob,»
inizia titubante, «forse non te ne sei accorto
ma...»
Sì, ti prego. Dillo. Che sei omosessuale,
bisessuale,
confuso, attratto da me, dì qualsiasi cosa che potrebbe
farmi tremare il cuore.
Ed attende, con gli occhi quasi sgranati, le mani che tremano per
l'emozione, non cerca nemmeno di mascherare il turbinio di sentimenti -
e pensieri irrazionali - che gli vaga per la testa, attende solamente.
«...io tendo ad essere distratto.»
«Lo so.»
«Quindi inaffidabile.»
«Immaginavo.»
«Bene, questo.»
«Questo?!» Esclama, praticamente sconvolto. Si
sente come se avesse perso tutte le speranze - che in effetti aveva
solo per metà - in un secondo solo; non sa fare niente se
non guardarlo, quasi sconvolto.
«Non ci sono molte persone che lo sopportano, tipo la mia ex.
Lei non lo sopportava affatto.»
Bene, deve arrendersi definitivamente all'idea che non
sentirà nessuna verità scottante, ma solo una
massa di sciocchezze - probabilmente anche fondate - che di
dichiarazione non hanno nemmeno il sapore.
«Non importa,» finge, perché in
realtà è deluso, senza poter mostrare il vero
motivo, «nemmeno io ho un carattere
semplicissimo. Né tanti amici.»
«Strano, sei uno che fa amicizia subito... tipo al primo
sguardo, no? Un'occhiata e dai confidenza.»
Magari ad una Seconda possiamo diventare qualcosa di
più.
*
Le serate passate insieme moltiplicano, come va avanti il tempo: quasi
non concepiscono più di non potersi vedere un giorno - anche
se probabilmente questo riguarda più Robert che Jude - o di
cenare da soli.
In realtà non parlano di cose profonde, né si
scambiano pensieri, ma si divertono non facendo nulla insieme. A volte
bisticciano, ma in modo amichevole.
Per Robert queste ore passate con lui paiono un'intera distrazione
della sua solita malinconia; oramai lo conosce molto più di
quanto conosce Val ma, nonostante questo, c'è qualcosa che
gli impedisce di considerarlo un amico nella sua completezza.
I suoi sentimenti non sono così sinceri, ecco tutto.
E non vuole essere suo amico, preferisce avere
qualcosa in
più.
Ma ha paura di non poterlo avere, quindi continua a fare finta di
niente. Ci sono delle giornate in cui si deve sforzare per questo, per
non accennare nessuna mossa, per non contraddirsi o fargli capire che
cosa prova davvero nei suoi confronti.
Ci sono dei giorni in cui porta una specie di maschera e si sente in
colpa per questa. E ci sono dei giorni in cui i pensieri sono troppi,
semplicemente.
Naturalmente soffre per questa situazione: Jude non coglie niente,
nemmeno le maldestre battute a sfondo sessuale che Val ha consigliato
di fare di tanto in tanto, così come non si accorge dei
flirt o delle occhiate palesi che ogni tanto gli sfuggono,
più forti della sua volontà. Non guarda e questa
sua caratteristica sa essere una tortura, come del resto aveva
già annunciato.
E - come se non bastasse tutto questo - c'è quella
maledetta scommessa di mezzo: quella di dichiararsi alla "prima
persona".
Ma non ci riesce ed è il solo motivo per cui il musicista
con il quale ha stretto il patto chiude gli occhi: perché lo
sa, lo capisce, si rende conto perché lo vive sulla propria
pelle.
Non è facile aprire il proprio cuore ad una persona che non
recepisce nessun messaggio o che forse li ignora volutamente, facendosi
scudo della nota stupidità.
Robert si chiede sempre più spesso se è
così anche per l'altro: se Joanne ascolta la sue parole e si
rende conto che i suoi sforzi - tutti quei pomeriggi, tutte quelle
volontà, tutto - siano in
realtà un modo per far
contenta lei...
Un modo come un altro, forse quello che li accomuna di più,
per lasciarle detto che la adora.
Se lo sta chiedendo anche adesso, mentre chiude il piccolo Fish and
Chips dove lavora, constatando che Val se n'è andato ancora
una volta prima del tempo, senza lasciargli modo di domandare nulla di
ciò che gli è passato nella testa negli ultimi
minuti.
Ma c'è qualcosa della quale si accorge, perché
cattura inevitabilmente la sua attenzione: di fronte ad uno dei
pub ora aperti, quelli che ornano il centro e che hanno sicuramente
più attrattiva del piccolo ristorantino dove sta lui,
si trova il resto della band che Joanne gli ha presentato quando si
sono visti la prima volta.
Quel violinista, come si chiamava.
David, ecco, il sicuro futuro fidanzato.
E sente l'istinto di fermarsi, giusto tre secondi, per sentire che cosa
stanno dicendo, perché si sono accorti di lui e lo stanno
guardando
così male. Certo, non dovrebbe, già solo per una
questione di privacy altrui, ma ha la sensazione che deve fregarsene.
Che il suo musicista preferito merita una cosa del genere, visto tutte
le casualità che ha fatto correre in suo favore.
Così ascolta.
♦
Note:
Bene, un paio di scuse prima di parlare del capitolo.
Lo avrete notato da sole (forse): non ho commentato
nessuno in queste ultime due settimane! Avevo un esame importante -
tipo importantissimo - e mi sono
concentrata sullo studio anziché sulle vostre (o anche la
mia) storie... anzi, diciamo pure che EFP non l'ho proprio considerato.
Ma ho superato la mia prova con bellissimi voti e, una volta tornata
dalla mia
parentesi lesbochic con Barbara,
ho preso a recuperare tutto
ciò che avevo lasciato indietro.
Donne, aspettatevi recensioni se non le avete già ricevute
ù___ù
♥
Detto questo:
Capitolo di passaggio, sì. Così di passaggio che
non mi vergogno nemmeno di ammetterlo D: era necessario,
però, questi due si dovevano iniziare a conoscere seriamente
ed un capitolo andava sacrificato per lo scopo.
Se non altro, sono riuscita a creare un cliffhanger!
Robert ama Real good looking boy dei The Who, ed
è un po'
un errore perché si tratta di una delle canzoni
più recenti del gruppo, strano che piaccia proprio a lui che
è un fanatico degli anni ottanta... beh, poco importa, stava
così bene ed è troppo carina~
Come sempre, un enorme GRAZIE a chi commenta, segue, preferisce, legge,
e a chi solo perde un po' di tempo per me e questa fic.
A presto! ♥
|
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Capitolo 6 *** Just ***
Quinto
capitolo:
Just.
«Secondo me
non erano lì con buone
intenzioni.»
Robert è seduto per terra, gli occhi rivolti verso il poster
dei The Who che copre gran parte della parete che ha di fronte, l'aria
perplessa. Si sta riferendo ai musicisti che ha visto la settimana
prima, ovviamente, ma il suo interlocutore non pare interessato a
quanto ha da dire.
«Dovresti parlarne con lui, Rob.» Dice infatti,
mentre tenta di studiare su un grosso tomo di
chissà che cosa.
«Vero.. Ma ancora non so che cosa dirgli di preciso, che devo
fargli sapere?»
«Quello che hai sentito.» Riprova Jude paziente,
decidendosi a dargli un po' di attenzione.
«Non ho sentito niente, in realtà... non stavano
parlando di lui, ecco.»
«Allora...»
«Stavano davanti a quel pub di fronte al Fish and Chips, mi
guardavano male.»
«Non capisco-»
«Sì, Jude, lo so.»
«Non mi trattare come uno stupido,» lo ferma, quasi
offeso, per la prima volta da quando si conoscono con un tono di voce
un po' autoritario, «sei tu che ti stai facendo tantissime
paranoie inutili.»
«Avresti dovuto vederli,» ed il solo ripensarci lo
rende ancora più nervoso di quanto non sia già di
suo, «ma forse non lo avresti notato comunque...»
«Sto per tirarti questo libro in testa.»
«Il loro modo di comportarsi non mi piaceva per niente, come
se stessero pianificando qualcosa.»
«Tipo? Hai idea di cosa?»
Sbuffa, «Secondo me lo vogliono cacciare dal gruppo, ed
è un timore che ha anche lui. Te l'ho già detto
un'infinità di volte, sai?»
«Dimenticato.»
«Sì, figurarsi.»
«Rob?» Chiede, quasi tentennando.
«Che c'è?»
«Posso fare qualcosa per farti tornare contento?»
Oh, ecco.
Il problema di Jude quando si comporta in questo modo è che
non riesce a capire se stia scherzando, se stia proponendo qualcosa di
anche vagamente erotico o semplicemente se è così
stupido da non
rendersi conto delle quantità enorme di cavolate che dice.
«Ad esempio?» Decide di provare, sforzandosi per
suonare - almeno lui - un po' malizioso.
«Non lo so. Che cosa vorresti?»
«Meglio se non chiedi.» Mormora, fissandolo.
Per
un secondo c'è questa atmosfera strana, nella quale Jude -
sdraiato a pancia in giù sul letto, con tutti i libri di
fronte - si accorge del suo sguardo particolare e dove Robert - seduto
per terra, affianco al letto - si chiede se sta davvero succedendo
qualcosa. Che tanto vale resistere ed andare fino in fondo.
«Perché?»
Non sa nemmeno che cosa rispondere, che cosa dire per giustificarsi.
Ma non importa, pensa, mentre si avvicina a lui,
deciso ad eliminare
completamente la distanza tra le loro bocche. Al diavolo la sua
reazione: non gli interessa se è consenziente o meno, lo
può far diventare lui a forza con quel gesto.
No?
No, perché subito dopo averlo pensato subentra il terrore...
ed è profondo, simile ad una vocina nella testa che
suggerisce un rifiuto categorico, troppo forte da battere
perché così radicato da non fargli notare che
Jude è ancora lì, non si è spostato di
un millimetro da quando ha preso ad avvicinarsi, non è
affatto turbato dal silenzio appena sceso.
Ma questo non conta quando c'è il peso storico di una
fidanzata, quando non si hanno certezze di nessun tipo.
Eppure - buttando al vento il timore, la paura, il disagio - continua
ad avvicinarsi.
«Jude...»
Vicino, vicino, vicino.
Così vicino che può contare le poche lentiggini
che si trovano sul suo naso.
«Un caffè, magari?»
Ed ecco che la tensione sparisce, ingoiata da una semplice domanda, con
Robert che - stupefatto e colto di sorpresa - si tira indietro in uno
scatto nervoso, deciso ad usare tutte le sue forze per fingere
un'indifferenza che in realtà non esiste.
«Caffè?» Commenta per coprire
l'imbarazzo, fingendosi acido pur di riuscire, «un mod
mancato come te che non beve il tè alle cinque?»
«Non sono le cinque. E non mi piace il tè: lo
dimentico sempre quando è in infusione, per poi ritrovarlo
ore dopo...» sminuisce, frettoloso, oramai arreso all'idea
che
non potrà studiare fin quando il suo amico
è lì presente, «lo vuoi?»
«Il tè?»
«Hai detto così.»
«No, non è vero.»
«Mi era sembrato. Ma... quindi lo vuoi?»
«Non si arriva mai da nessuna parte con te,» scuote
la testa, simulando chissà quale sconfitta morale,
«ovvio che non lo voglio, comunque,
sicuramente non dopo aver
saputo che fine fanno i tuoi!»
«Peccato, avrei potuto - e anche voluto - ucciderti con degli
scones avvelenati.»
«Scones? Vedi che sei tutto fatto di cliché
inglesi? Praticamente un luogo comune vivente.»
«Oh! Ma sei incontentabile!» Sbuffa, per niente
turbato da tutte quelle frecciatine: oramai si è abituato al
modo di fare che Robert tiene nei suoi confronti, non si sorprende
più di tanto, «caffè?» Si
limita a riproporre disinvolto.
«Vada per quello. Tanto lo faresti in ogni caso,
no?»
«Ovvio che sì!»
E salta letteralmente in piedi, improvvisamente felicissimo, mentre si
dirige in cucina canticchiando quella che sembra una canzone storpiata
- Coffeeeeee... reign o'er me!!! - intento a
rincorrere la caffeina con
una gioia tutta sua.
Robert non lo segue, non ci riesce: è come paralizzato da
tutti i sentimenti che prova, le sensazioni che si agitano dentro il
suo cuore. Da una parte è sicuro - se ne rende conto, non
può ignorare i suoi stessi pensieri - che la sua adorazione
per Jude ha raggiunto livelli incomprensibili, ma dall'altra ha paura
di star immaginando tutto, che non è ricambiato.
E in quel caso non può permettersi di perdere tutto questo.
No, assolutamente.
E non tanto per le battute - ha preso l'abitudine di stuzzicare anche
Val, in effetti, anche se il musicista ha un carattere differente,
molto più vivace, e reagisce in un altro modo per questo -
ma
quanto più per la serenità che sente.
Lui è un ragazzo malinconico, lo è sempre stato,
eppure non lo si direbbe con la stessa sicurezza quando c'è
Jude lì intorno.
*
Dopo una canzone, un caffè a testa, una sigaretta fumata
perché si è dimenticato della scommessa che ha
fatto, Robert si rende conto di dover andare al lavoro, motivo per il
quale trascina con sé Jude, ignorando ogni protesta su
quello che - a dire dell'Inglese - è un rapimento vero e
proprio.
In effetti è ciò che ha fatto, non ha torto: lo
ha costretto.
Praticamente lo
ha trascinato di peso - tirandolo per un polso - dandogli giusto il
tempo di afferrare il suo mp3 e uno dei tanti quaderni pieni di appunti
che lascia ovunque per la propria stanza, senza manco curarsi del suo
piano originale, ovvero quello di studiare.
Nel cuore la speranza di non emozionarsi oltre il normale solo
perché stanno avendo un contatto così fisico,
tentando di ignorare la sensazione concentrandosi solo
sulla strada da prendere: diretto verso la sua meta con passo speditissimo.
Non ha mai percorso un tratto di strada così lungo in
così poco tempo, gli pare di essere arrivato al Fish and
Chips teletrasportandosi nonostante il ritardo di mezzora; entra dentro
frettolosamente senza lasciare Jude alla propria libertà -
giusto il
tempo di fare un cenno a Val che, amico da quattro soldi, ammicca
subito di rimando - e rendersi conto che oggi, fortuna sua,
Jimmy non c'è.
Non evita la predica di chi lo sostituisce, ovviamente, ma almeno non
rischia il posto; si limita ad ascoltare, annuendo di tanto in tanto e
borbottando qualche scusa che nemmeno si preoccupa di far suonare
verosimile. Ha la netta, strana e tangibile sensazione di star uscendo
fuori di testa, altrimenti non è possibile l'accettazione
passiva con la quale prende tutto, non è
comprensibile che sia
così meccanico in ogni movimento. Che tutto questo - ovvero
il suo lavoro, unica cosa che ha e che somiglia ad un futuro - non gli
importi.
Ma, come al solito, gli basta guardare Jude per scacciare via tutte
queste negatività.
Tutte?
Non proprio, in effetti, c'è ancora il suo musicista
preferito che lo preoccupa e che in questo momento sta provando a
migliorarsi per un gruppo - un maledetto gruppo -
di cui forse non
farà parte ancora a lungo. C'è quel musicista che
si sta mettendo nei guai, trascinandolo con lui, perché non
si accorge di quanto dovrebbe temere.
Jude gli ha consigliato di parlargliene - l'ha fatto più di
una volta, in realtà - e lui si è ritrovato a
rispondere che non ha abbastanza confidenza. Ma chi lo ha deciso?
Quando si trova a considerare bene la questione si rende conto che non
ha il minimo
senso: Val non si è mai fatto problemi nell'intromettersi
nella sua vita, anzi, gli ha persino presentato un ragazzo che aveva
solo e solamente notato.
E che adesso non è più un Apparizione.
Quindi, seguendo questa logica, può permettersi di dare
qualche consiglio.
Passa l'ora seguente domandandosi cosa fare, tormentandosi con questo
dubbio, senza nemmeno curarsi di Jude - che ha occupato uno dei tavoli
e ha preso a studiare come se fosse a casa sua, senza manco ordinare
niente - o delle briciole sui tavoli.
Quando finalmente prende una decisione è talmente
concentrato per
questa che non si accorge di dirla ad alta voce, «Glielo devo
dire.»
Per poi uscire fuori dal locale senza più indugiare, diretto
verso Val e la sua melodia.
«Che c'è?» Chiede il trombettista quando
si accorge del suo improvviso arrivo; probabilmente sta per fare
qualche battuta, ma non aggiunge altro quando si rende conto del suo
sguardo stranamente determinato.
«I tuoi colleghi... gli altri che suonano con
Joanne...»
«Il gruppo?»
«Loro,» sminuisce, non capendo perché
questa definizione deve avere così tanta importanza,
«li ho visti la settimana scorsa... ed erano stranamente
minacciosi.»
«Vero, ogni tanto lo fanno.» Sminuisce l'altro,
guardando lo strumento che stringe fra le mani: sta fingendo
noncuranza, appare evidente così come traspare chiaramente
che il discorso lo preoccupa ancora moltissimo.
«Non hai capito,» finge di non accorgersene Robert,
giusto per semplificargli la situazione, «erano minacciosi
perché mi guardavano male. E secondo me è
perché sono tuo amico...»
«Mi odiano.»
«Sì.»
«Non è un problema, comunque, non possono fare
niente.»
«Ma a Joanne piace il francese...»
A questa dichiarazione Val alza lo sguardo verso di lui, evidentemente
ferito, per poi rispondere con un confuso: «Canadese,
è un canadese.»
Il suo amore è a senso unico - lo sospettavano entrambi - ma
adesso paiono aver scoperto le altre carte in tavola: Joanne sa che il
suo
trombettista è infatuato di lei e preferisce ignorare
questo fatto perché considera il violinista più
attraente. E più talentuoso, visto che ha riscritto delle
composizioni per poterlo incorporare nella sua band.
Non è nemmeno uno scontro.
«Lei non mi caccerebbe,» inizia
allora, la voce
tremula tipica dei potenziali amanti, quelli rifiutati ma che vogliono
difendere la loro amata ad ogni costo, «o allontanerebbe, o
licenzierebbe, o qualsiasi parola ci vuoi mettere. Non ci posso credere
perché è semplicemente assurdo...»
«Secondo me dovresti,» interviene Jude, uscito
silenziosamente dal
Fish and Chips qualche minuto fa senza che nessuno dei due se ne
accorgesse - meno male che non abbiamo detto niente di
compromettente -
ed improvvisamente deciso ad unirsi alla conversazione,
«perché le ragazze tendono sempre a scegliere con
il cuore.»
«Suona un po' misogino...» Borbotta Robert, mentre
la sua mente divaga sul fatto che non solo le ragazze dovrebbero
ragionare così, ma proprio tutto il mondo, in nome di quel
sentimento che anima le cose.
«Dici?»
«Sì,» ed accompagna quest'ultima
affermazione con una risata, «sei proprio biondo.»
«Non sono biondo, sono castano.»
«Io sono biondo,» interviene Val, con quello che
sembra - sembra, perché non è
- buon'umore; ha
ritrovato il sorriso, anche se non ha il solito aspetto e non trasmette
la stessa energia, «e mi rendo conto che le tue intenzioni
sono buone, ma la adoro troppo per non fidarmi.»
«Almeno parlale...»
«Penso che lo farò, sì, anche se so
già che non mi volterebbe mai le spalle per uno
qualsiasi.»
Robert deve fermare ogni suoi pensiero - ma certo che lo
farebbe, Val,
guarda come cambia quando suona, quant'è finta -
per non
dire nulla di offensivo, e replicare con un tirato: «Ma
certo, anche se ti
consiglio di farlo quanto prima...»
«Sì,» annuisce breve Val, mentre sistema
la sua tromba nella custodia, tipico gesto che fa quando ha intenzione
di andarsene, «vado adesso,» dice infatti.
E si incammina velocemente, un breve cenno diretto ad entrambi i
ragazzi rimasti, giusto per evitare le domande - come fai a
saperlo?
Mica la segui di nascosto? - e non far notare troppo che
sente la
sconfitta dentro le ossa.
Robert si volta di lato, verso Jude, con la speranza di trovare nel suo
sguardo un po' della serenità che adora. In effetti il
ragazzo lo sta osservando di rimando, ma non c'è molta
tranquillità nei suoi occhi... forse si
è affezionato anche lui al musicista. Oppure si sente a
disagio.
«Secondo te non andrà bene, vero?»
Domanda dopo un paio di secondi passati senza dirsi niente.
«No, infatti.»
«Se va male...» inizia allora, guardandosi le
scarpe con l'intenzione di trovare una qualche soluzione,
«...possiamo presentargli la mia ex fidanzata!»
Esclama quando sembra esserci arrivato.
«Sai...»
Ma non fa in tempo ad iniziare il suo discorso che Jude lo ha
già interrotto ridendo, «Stavo
scherzando!», precisa infatti, apparentemente felicissimo per
averlo fregato, «E comunque era grassa.»
«Buono a sapersi.»
«Stavo scherzando di nuovo! Non lo era, almeno
credo.»
«Lo credi? Non ne sei sicuro?» Si fa trascinare
anche lui dalla risata, quasi dimentico che ha appena mandato il suo
migliore amico ad affrontare la donna che adora, «mi chiedo
se tu sia davvero un maschilista o se questa ragazza non è
mai
esistita!»
«Ti assicuro che c'era.»
E che ora non c'è più.
Rientrano dentro il locale, senza aspettare nient'altro.
*
Ma Robert dovrebbe fidarsi dei presentimenti, soprattutto se
così profondi e così radicati, soprattutto se
durano nel tempo e se confermati dagli sguardi dei suoi amici.
Se ne rende pienamente conto qualche giorno dopo aver avvisato Val,
dopo un
periodo di tempo nel quale non si sono visti, conferma muta del fatto
che al musicista non tutto sta andando bene. E sarebbe anche il minimo
o, comunque, il problema minore.
Perché è quando esce fuori dal suo Fish and Chips - sempre per ultimo come da copione - che li vede poco lontani...
ed
è in questo momento che ha le percezione esatta e completa
di trovarsi in un bel guaio e di essercisi cacciato da solo.
Rapporto causa-effetto: ha detto a Val di stare attento
perché aveva visto i suoi colleghi intenti a parlottare al
Centro, anche se non ha capito di cosa, lo ha spinto a parlarne con
Joanne, ovvero la stessa ragazza che ha una cotta abbastanza evidente -
almeno ai suoi occhi - per il violinista che adesso pare muovere il
gruppo; ed ecco che lei riferisce a tale ragazzo, ritenuto colpevole,
che cosa ha saputo.
Così si scopre concretamente chi è davvero il
colpevole di tutte quelle macchinazioni fatte alle loro spalle.
Val. Robert. Persino Jude se vogliono scavare a fondo e trovare
davvero qualcosa. Sono loro i colpevoli: una gerarchia del potere non
indifferente - ma dove loro non sono alla base - comandata da pezzi
molto più alti, più potenzi, lì dove
la forza è rappresentata dalla violenza.
Ed ha davvero il coraggio di perdersi in questi discorsi, nonostante
quelli si siano accorti di lui e si stiano dirigendo verso la sua
direzione: è evidente che hanno intenzione di parlargli,
probabilmente su ciò che ha sentito... magari gli
chiederanno una spiegazione, sicuramente pretenderanno un confronto, ma
lui si sente tremare al solo pensiero.
Non si sente capace di farlo. Non di tenere un discorso, no, i nervi
precedono tutto e non riuscirebbe a stare calmo.
Certo, nemmeno posso tirarmi indietro,
pensa quando oramai
sono così vicini che lo stanno salutando.
«Sai dov'è?» Chiede il violinista, del
quale Robert ha già dimenticato il nome. David?
Può essere? Magari è quello davvero.
«Chi?»
«Kilmer.»
«Chi?» Ripete, ma il tono di voce è
davvero sorpreso e la sua espressione stupefatta, cosa che
probabilmente lo salva da un possibile attacco di quelli lì.
L'ultima cosa che vuole è far credere di voler fare lo
spiritoso.
Non solo perché al momento non ha proprio voglia di
scherzare.
«Il tuo amico. Sta sempre qui.» Risponde
tranquillo e mentre spiega assume una specie di smorfia: è
chiaro che si sente superiore al trombettista, non potrebbe esprimerlo
in una maniera migliore.
Oh, Val Kilmer.
«Suona qui, ma non lo vedo da molti giorni.» Dice,
utilizzando tutte le sue forze per nascondere la tensione;
preferisce concentrarsi sulla stranezza di star dicendo la
verità proprio a questi tizi, anziché rimanere
fermo e tacere in nome della sua amicizia.
In un certo senso, sembra quasi che si stia scoprendo un codardo.
...Rimane turbato dalla cosa perché non si era mai
considerato
tale.
«D'accordo.»
Il suo accento graffia le orecchie. Le ferisce per quanto suona
diverso, lo sente quasi sbagliato nella sua intonazione... e al tempo
stesso fa nascere - e subito crescere - la voglia di parlargli, di
dirgli che sa che cosa
significa stare in un paese così diverso, che l'Inghilterra
non sarà fredda e grigia ma è comunque poco
ospitale in confronto alla sua New York. Che non dovrebbero essere
nemici, visto che tutti e tre vengono da lontano.
Ma non riesce, perché gli amici che il Canadese ha con
sé lo salutano - «Ciao.» - con un
atteggiamento ridicolo per quanto esagerato nel suo volere essere
sbruffone. Non viene naturale a questi qui, non hanno la
superiorità nelle vene: sono un branco fatto per essere
comandato da una persona più furba.
Decide di andarsene, comunque, sente di aver già dato grande
prova di
sé. Certo, per farlo deve ignorare una vocina nella testa
che lo insulta, che gli fa notare quanto sia sbagliato voltare le
spalle ad un nemico, che questi sicuramente lo attaccheranno mentre non
guarda e lui non sa di certo difendersi da così tante
persone tutte insieme.
La vocina nella sua testa viene smentita - ovviamente - ma solo quando
sente
un rumore assordante e si rende conto che la vetrina del locale
è appena stata sfondata. Perfetto.
Perfetto.
Perfetto.
Perfetto.
No, sente la rabbia quasi esplodere ed ha la forte tentazione di
mettersi a correre nella loro direzione, distruggere tutto, sfasciare
loro e quello che il Fish and Chips rappresentava: lavoro, il suo unico
lavoro lì a Redland dove non prendono chissà
quanto ma lui ci teneva a starci perché è la zona
studentesca di Bristol. La stessa zona studentesca che odia, che
desidera, che sbeffeggia e dalla quale viene sbeffeggiato indietro, la
condizione voluta per quanto detestata.
La furia è fortissima, brucia la sua mente e le sue
possibilità. Da qui in poi agisce di istinto: quasi si
avventa contro uno di quelli, prende a colpirlo alla cieca con tutto il
nervoso ed il rancore che non si era ancora reso conto di provare nei
confronti di ogni cosa.
Colpisce, viene colpito di rimando, crede di sentire il sapore del
sangue in bocca scendere verso la gola.
Dopo minuti interi di confusione e di baruffa, nemmeno troppo seria, si
sente spingere via. Il contatto con il terreno gli fa capire che non
c'è assolutamente battaglia: non esiste uno scontro tra lui
e loro.
Li vede già, mentre lo malmenano, cerca di concentrarsi sul
proprio ideale di amicizia - giusto per convincersi che ne è
valsa la pena e che l'altro farebbe lo stesso se incavolato
quanto lui - che il violinista cambia completamente registro, usando un
tono misteriosamente calmo, e dice: «Devo parlare con Kilmer,
diglielo.»
Come se non fosse successo nulla.
Digli che lo cacciamo.
E lo vede mentre si trascina gli altri dietro, li sente urlare in
lontananza, insulti e imprecazioni e quante altre cose che ad un tratto
smette di ascoltare; ha appena scoperto di non essere così
debole come pensava e non gli interessa.
Passa interi minuti poggiato lì per terra, tentando di
decidere qualcosa. Una cosa a caso, non importa. Ha più di
una scelta: può far finta di niente e dire che la vetrata
è stata rotta dagli stessi tipi che stavano facendo una
rissa - perché sicuramente correrà voce di una
rissa - lì nel centro, roba tra chav, hoolingans, studenti,
persone che hanno motivi di litigare per sciocchezze e che troppo
spesso si abbandonano alla pura violenza.
Potrebbe. Ma a giudicare da quanto male sente sulla faccia,
avrà tantissimi segni a dimostrare il contrario.
Quindi c'è una seconda scelta: spacciarsi per un paladino,
per un eroe, per un qualcuno o qualcosa del genere; dire che ha salvato
il Fish and Chips dai ladri che volevano derubarlo. Potrebbe inventare
che indossavano maschere o dei passamontagna e che in effetti non ha
visto nulla, che i rumori sentiti poi erano tutti di difesa.
Vigliacco, si ripete, incapace di credere alla sua
incapacità di mettersi un'armatura addosso per salvare la
propria faccia.
Dovrebbe parlarne con Val. Sono fatti suoi, del resto, lui ci
è capitato solo per sbaglio in questo enorme casino.
Certo,
si può dire che la colpa di tutto sia in realtà
sua, gli eventi lo dimostrano chiaramente, ma comunque deve risolvere
con qualcosa.
Jude. Jude ha la testa vuota e sicuramente non
saprà che
fare, ma quando è con lui si tranquillizza, vive in un po'
nel suo mondo separato. Jude che probabilmente non lo
ascolterà come non ascolta quasi mai quando gli si parla,
che tenterà comunque di aiutarlo come può.
Si rialza lentamente, così tanto che pare metterci delle ore
intere, si guarda intorno solo per stupirsi dell'assenza di persone:
non è ancora passato nessuno.
E solo dopo quest'ultima nota decide di incamminarsi per quelle vie
buie.
Sono le undici, più o meno, le undici e qualcosa al massimo.
Camminare per quelle strade non è particolarmente sicuro,
considerando chi si può incontrare da quelle parti, ma
questa sera non gli interessa visto che ha già incontrato il
peggio.
Vuole solo arrivare alla sua destinazione, senza altri casini.
Quando ci arriva davvero si sorprende: per una volta è stato
fortunato.
Il portone è aperto, come sempre, quindi si limita a salire
le scale frettolosamente, senza badare a fare silenzio. Dalle porte dei
vari appartamenti proviene di tutto: musica, schiamazzi, litigate,
chiacchiere - sembra quasi che i vari abitanti si siano dimenticati che
è notte e che esistono persone che, magari, vogliono anche
dormire.
Ma questi non sono suoi problemi.
♦
Note:
Bene, dopo questo capitolo potete andare a rileggere il prologo che -
se ricordate - iniziava proprio così. E si può
dire che la prima parte della fic è finita! Ora inizia la
seconda e, con questa, i veri casini: Robert dorme a casa di Jude? OMG,
muahahah ♥
Scusate xD
Ammetto che scrivere questo capitolo è stato divertentissimo
per la parte iniziale, complesso per quella finale: si è
rivelato piuttosto problematico perché avevo paura di
stroncare in una mossa sola il tipo di narrazione - che ho sempre
provato a rendere/fare come armonioso - con delle scene di violenza o,
come in questo caso, botte. Solo dopo diversi giorni di paranoie per
questo motivo mi è
venuta la soluzione; stavo studiando tutto il programma di filosofia
e... woooah! Ispirazione! Ho dovuto scribacchiare
l'idea
sul quaderno degli appunti per la paura di farla sfuggire via.
Detto questo, mi prendo un piccolo spazio per me.
Avrei dovuto scriverlo due capitoli fa e non ricordo perché
non l'ho fatto, ma... Ocean
of Noise è tra le Storie Scelte. Si tratta di un
traguardo enorme per me - che
sinceramente (come sapete) non mi aspettavo di raggiungere
- non posso fare altro
che ringraziare tutti voi. In particolare quelle due persone che
l'hanno segnalata e che avranno il mio amore eterno...
grazie! ♥
Ma torniamo al capitolo. Gli Scones sono le
briochine scozzesi che in UK prendono con il tè, non sono
nemmeno dolci e a me non piacciono (vi interessava saperlo? xD).
Robert chiama Jude "Mod mancato"...
perché? Perché i mod sono
stati un movimento culturale inglese nato a fine anni cinquanta,
seguitissimo nei sessanta. Era la
ribellione giovanile di quel tempo, primo spacco tra adolescenti e
genitori, dove i segni distintivi si trovavano nella
voglia (la volontà, anzi) di cose nuove, moderne o insolite,
il look curatissimo e... musica! Tra i rappresentati di
questo movimento chiaramente anche
i The Who.
Ma solo negli anni sessanta, prima di scoprire (e darsi) al rock
and roll... comunque, la canzone di Jude
è Pictures of
Lily, che fa parte del The Who Sell Out, terzo
album del 1967 (ovvero quando ancora rientravano in questa categoria)
che ha una grandissima importanza per me, visto che
è stato il primo loro che ho ascoltato interamente *_*
"Coffeeeeee... reign o'er me!!!" è
chiaramente la canzone Love reign 'er me che chiude
Quadrophenia. Credo tornerà
perché la amo
tantissimo... comunque, la storpiatura viene da una chat delirante su
msn con Manu
(per la quale la ringrazio) ed è finita anche qui
♥
Sì, ora la smetto di blaterare. Vi ringrazio di nuovo per i
commenti e per tutte le cose carine che fate per me, grazie!,
a presto!~
|
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Capitolo 7 *** Like ***
Sesto
capitolo:
Like.
Ha finito con il dormire in una stanza che non ha l'odore di Jude sulle
pareti. Vuota, fredda, abbandonata: un po' come si sente lui stesso in
questo momento, anche triste nella sua voglia di... cosa? Di amore,
tenerezza, sesso, chiacchiere? Non riesce nemmeno a definire di cosa ha
bisogno effettivamente, il ché conferma ciò che
temeva da tempo: si sta avvicinando al limite - o confine - della
follia.
Decisamente arrivato.
Cerca di considerare le cose dalla giusta ottica. Dunque: la sua
faccia, le sue mani e le sue ginocchia bruciano, il ché vuol
dire che ha un
ricordo fisico di quanto è successo ieri sera e non
può far finta di nulla come voleva.
Se fanno così tanto male significa che ha dei lividi, che si
è sbucciato, che - in pratica - si porterà questo
lieve dolore per dei giorni interi.
Poi c'è il fatto che questo non è il suo letto,
il ché è terribile. Dalla finestra entra qualche
raggio di sole piuttosto debole e, grazie a questi, riesce a
distinguere i mobili che arredano la camera e qualche oggetto in giro.
Non gli appartiene nulla e Jude - probabilmente - non ha mai toccato
niente di tutto ciò; si rattristerebbe per questa
considerazione, se non fosse che non riesce a trovare una sveglia o un
orologio stando lì sdraiato.
Questa è una delle sensazioni peggiori: il sapersi solo e
perso in una stanza sconosciuta di una casa non sua.
Si concentra un po' - e deve essere davvero intontito per fare tutto
con questa lentezza - giusto per sforzarsi di ascoltare qualcosa oltre
la porta chiusa; sente
solo il silenzio, forse per la prima volta da quando è stato
lì la prima volta, cosa che non lo confonde troppo.
Almeno, non rischia incontri indesiderati.
Nell'epoca moderna - riflette - esistono i
cellulari e fortunatamente
anch'io ne ho uno con me. Lo ha davvero, solo che ieri notte
non
pensava gli sarebbe servito così urgentemente e lo ha
lasciato di conseguenza sulla scrivania.
La sola idea di abbandonare le coperte lo costringe ed immergersi
ancora di più.
E questi non sono nemmeno i problemi più gravi: come deve
fare per avvisare Jude del suo risveglio? Deve andare nella sua stanza?
E se sta dormendo? Magari la prende male, non pare un tipo troppo
mattutino. Possibile che non ne abbiano mai parlato, con tutte le
sciocchezze che si sono detti? Beh, in effetti, non ci sarebbe stato
alcun
motivo per discutere di come sono nelle prime ore del giorno - sempre
che siano le prime ore del giorno - e non credeva nemmeno sarebbe mai
servito a qualcosa.
Magari deve aspettare che sia lui a svegliarlo. Ma potrebbero passare
delle ore, potrebbe decidere che ha bisogno di riposare, che succede se
arriva mezzogiorno e lui è ancora lì, a far finta
di dormire? Non è il tipo che si riaddormenta una volta
svegliato.
Potrebbe aspettare di sentire qualche rumore proveniente della cucina
ed andare... certo, se poi non trova Jude è un bel casino,
come la giustifica la sua presenza ad uno sconosciuto?
La cosa migliore è aspettare un po' per vedere se gli eventi
si muovono da soli.
Aspetta, dunque, sdraiato lì nel letto. Secondi, minuti, ore
o attimi.
Proprio quando crede di aver atteso abbastanza, vede la porta
socchiudersi e subito sente un:
«Rob?»
Meno male!
«Mmmh,» risponde, fingendosi assonnato - in
effetti lo è, ma meglio esagerarlo - e non apparire troppo
patetico, «'giorno.»
«Buongiorno.»
Jude entra nella stanza, tranquillamente, senza ciondolare come uno
zombie e
probabilmente accompagnando il movimento con un sorriso. Bene, adesso
sa che è un tipo
mattutino a dispetto di ciò che pensava.
«Vuoi qualcosa per colazione?» Chiede,
avvicinandosi ancora un po' al letto, «...Fai
colazione?»
«Non prop-»
«Ok, va bene del caffè? O preferisci del
tè?»
«Il tuo tè non lo voglio,» risponde
lievemente, ricordando che l'altro tende a dimenticarsi tutto durante
l'infusione, «E ti odio.» Aggiunge poi, che intanto
Jude è già sparito lungo il piccolo corridoio,
diretto verso la cucina.
Ora sa che deve davvero alzarsi - perfetto - e mentre lo fa sente una
sensazione strana al petto, come una sorta di liberazione, non ricorda
nemmeno perché si stava facendo quei problemi. E
non vuole ricordarlo, ragiona, mentre cammina lentamente.
«Hai dormito tantissimo.» Lo accoglie Jude. Gli
sta' dando le spalle, intento a trafficare con qualcosa che dovrebbe
far parte della loro colazione.
«Che ore sono?» Domanda semplicemente, ancora
rilassato,
mentre si siede allo stesso posto che occupava ieri; le sigarette sono
ancora dove le ha lasciate, nota, nessuno si è avvicinato
per toccarle o prenderne qualcuna.
«Le dieci. Ne ho approfittato per studiare un po', che quando
sei sveglio non me lo permetti.»
«Solo perché sei un pessimo padrone di
casa.» Lo prende in giro, mentre sorride amaro fra
sé.
«Sei tu che hai l'abitudine di presentarti quando ti fa
comodo senza chiedere a nessuno.»
«Ti da' fastidio?»
«No,» risponde, palesemente sorpreso da quella
domanda seria ed improvvisa, «in effetti no.»
E Robert si emoziona, sorride ampiamente, considera che questa potrebbe
benissimo essere una delle situazioni romantiche che tanto vorrebbe
vivere se non fosse per il fatto che sono entrambi scompigliati ed
arruffati per la notte... questa è pura sfortuna: il momento
più dolce con il ragazzo che adora lo sta passando vestito
con un pigiama non suo!
Sta quasi per rispondere con una delle sue solite - quanto nuove -
allusioni, ma il suono del
caffè interrompe ogni proposito.
«Ci vuoi del latte?»
«Ti stai confondendo con il tè.»
«Come? No, no, lo mettono davvero il latte dentro il
caffè!»
«Ah, sì? E come lo chiamano?» Sa
perfettamente come lo chiamano, sa che esiste, l'unico motivo per il
quale pone la domanda è sentire la sua risposta seccata -
«Caffèlatte.» - e
riderci di rimando,
accompagnando il tutto con un bel: «Ovvio!»
Sì: ha scoperto di divertirsi così, che far
uscire quel lato scherzoso di sé è piuttosto
rilassante, ma non quanto ignorare Jude con le sue lievi proteste.
Continua a sorridere mentre lo sente borbottare qualcosa come: te
lo dovrei versare addosso, e lo vede sedersi al tavolo.
«Ti ho ringraziato?» Si decide a chiedere infine,
guardandolo negli occhi; non è particolarmente bravo con
queste cose, ma non ha voglia di lasciar perdere una tale occasione
solo per la gioia di prenderlo in giro.
«No.»
«...Grazie.»
«Ti avrei ospitato comunque. Cioè, anche senza
lividi.»
«Perché?»
«Perché...» e mentre cerca le parole
diventa pallido, improvvisamente sembra non sapere che cosa dire. Ed
è una speranza che si accende: ogni secondo di ritardo che
impiega per rispondere è una luce nel suo cuore.
Magari ciò che prova non è a senso unico come
pensava, magari sono reciprocamente attratti e sono nati per stare
insieme come crede da quando si sono conosciuti. No?
«Sei tu.» Risponde Jude dopo vari tentennamenti. Ed
una persona normale avrebbe accompagnato questa affermazione - quasi
tenera - con un lieve rossore sulle guancie, ma lui non si smentisce -
visto che fa un po'
tutto al contrario - e reagisce perdendo ogni colore, diventando bianco
come un lenzuolo.
«Ti voglio bene anch'io,» replica, provando
ad usare il solito tono antipatico, «ma te lo dico solo
perché ti sei rivelato gay.» Naturalmente spera di
assistere ad una reazione rivelatrice con questa affermazione, cosa che
non
arriva, «Stai per vomitare, Jude?»
«Sto benissimo!» Ribatte, per poi nascondere la
faccia
dentro la tazza di caffè, con Robert che
si sorprende
perché non ha mai visto una persona scomparire a questo
modo.
Potrebbe prendere tutto questo - nello specifico la sua reazione e la
sua faccia infilata dentro la tazza - per una conferma ed iniziarci a
provare seriamente.
Peccato che non ci riesca, c'è sempre qualcosa a bloccarlo.
«Senti...» Mormora, cambiando argomento,
«...ho un favore da chiederti.»
«Un altro?» Scherza, recuperata la solita
tranquillità che lo contraddistingue ed un po' di colore,
«Di che cosa si tratta?» Domanda poi, mostrandosi
disponibile.
«Ti va di accompagnarmi al lavoro?»
«Perché?»
«Credo mi licenzieranno...»
«Oh. Sicuro di non esserti messo nei guai?»
«Jude...»
«Sì, ok, a che ora dobbiamo andare?»
E potrebbero andare all'ora che vogliono, perché
l'importante è solo questo: che ci sia, nel suo essere
così sbadato, che appaia quando si ha bisogno di lui, che
sia lo sfogo di cui Robert aveva bisogno a prescindere.
Per questo potrebbero davvero andare quando vogliono.
*
Si preparano talmente lentamente che per quando sono in strada
è già primo pomeriggio, e si può dire
che sono in anticipo di pochissimo.
Non hanno parlato molto durante la giornata, né mentre
percorrono il corto tragitto, perché Robert è
praticamente divorato dalla malinconia e Jude stranamente sembra
capirlo, lo comprende e tace di conseguenza.
Quando arrivano di fronte
il Fish and Chips sono praticamente chiusi nella loro rispettiva
tristezza.
«Downey!» Si sente chiamare da Jimmy che,
maledizione, è già
lì accompagnato da
dei tizi che paiono della polizia o cose del genere, «Downey!
È successo un disastro!»
È chiaramente agitatissimo, mentre praticamente gli corre
incontro.
Jimmy è il suo capo ma, a sua volta, è anche
dipendente di qualcuno più in alto e sta reagendo in questa
maniera perché pure lui ha qualcosa da temere, anche se
pare una buffa caricatura nel suo nervosismo. Soprattutto se si conta
che non c'era quando è successo, non ne ha motivo.
«Adesso ci hanno chiusi,» perfetto, almeno questo!,
«e non possiamo lavorare per almeno due giorni!»
Una vera tragedia, pensa Robert cinicamente,
«Ma... che cosa
hai fatto?» Domanda infine, quando si rende conto delle
condizioni della sua faccia, «Mica c'entri
qualcosa?»
Sta per rispondere con una qualsiasi delle sue scuse, pronto a dire che
li ha salvati, che se non hanno rubato niente non è
perché non c'è niente da prendere ma
perché lui lo ha impedito, che ha fatto il supereroe e cose
del genere, una qualsiasi di queste scuse inverosimili prima che Jude
lo preceda - interrompendo i suoi pensieri -
con un semplice: «Siamo caduti dalla mia Vespa.»
Jude, il suo Mod Mancato.
Non può nemmeno spiegare l'adorazione che prova per lui.
«Oh!» Risponde Jimmy, la reazione di non crede ad
una sola parola di ciò che gli viene detto.
«Sì. Di solito non la porto male, ma mi sono
distratto...» E se Robert non stesse tremando, si renderebbe
conto di quanto quella scusa sa di reale, di quanto sia
verosimile nella sua facilità, di quanto Jude sarebbe da
temere alla guida di qualsiasi cosa, che esiste un motivo se
non lo ha mai visto con nessun mezzo di trasporto ma sempre a piedi. E
noterebbe
tutte queste cose di certo, se solo non fosse divorato dall'agitazione.
Di fatto il miracolo avviene, con Jimmy - il suo capo Jimmy - che si
rilassa improvvisamente,
brillando di una propria conclusione, decidendo di lasciarli perdere:
di
stare dalla loro parte.
«Hanno sentito dei rumori, c'è stata una rissa.
Non si sa tra chi,» spiega, «noi per almeno due
giorni dobbiamo stare chiusi, vedremo poi che cosa fare.»
«Sì.» Risponde, senza manco nascondere
il sollievo che sente; improvvisamente è euforico, talmente
contento che non ascolta ciò che il suo capo ha da dire, si
limita ad osservare Jude con tutta la gratitudine che merita.
Solo dopo qualche minuto si rende conto che dovrebbe concentrarsi -
visto che il suo salvatore non ha il buon vizio di ricordarsi le cose e
rischia di perdere tutte le informazioni che Jimmy sta spiegando - ma
viene nuovamente distratto da Val che, come ogni mercoledì,
sta arrivando per mettersi a suonare.
Cosa che non può fare, chiaramente, e se ne accorge
guardando la vetrata infranta, osservando i presenti, fissando la
polizia o quello che è intenta a fare
domande in giro e
parlottare fra di loro.
Si congedano da Jimmy velocemente, scusandosi, dicendo che Robert
tornerà e che comunque rimarrà nei dintorni, per
poi praticamente correre verso il musicista un po' spaesato.
«Che hai fatto in faccia? Che è
successo?» Chiede lui, apprensivo, non appena sono
abbastanza vicini. Si vede la sua preoccupazione, la si sente anche nel
tono di voce.
«Siamo caduti dalla mia Ves-» Fa per dire Jude,
pronto a riproporre la stessa scusa, prima che Robert stesso lo
interrompa: «Tu lo sai che suoni con un branco di pazzi,
sì?»
Ok, forse è stato solo un po' brusco. Ma il concetto
è quello, finalmente lo può esprimere.
«Come? Sono stati loro?!»
«Sì,» annuisce, «anche se
immagino di averli un po' provocati...»
«Robert!» Esclama, ridicolamente paterno, per poi
calmarsi e chiedere dispiaciuto: «Che cosa
volevano?»
«Parlarti.»
«Immagino... ho detto qualcosa a Joanne, forse loro hanno
saputo.»
«Forse?»
«Lo hanno saputo.» Si intromette Jude, che
effettivamente non ha mai chiesto di venir messo in mezzo, ma che pare
sempre felice di dire la sua. Chissà perché, poi.
...Ora che ci pensa non hanno mai preteso un suo parere!
Ma non è il momento per porsi domande come questa, non
può concentrarsi sulla sua cotta e su quanto vorrebbe
chiarire le cose una volta per tutte, deve tornare con i piedi per
terra e parlare con il suo amico.
«Val...» inizia, non proprio convinto del discorso
che vuole fare.
«Sentite...» lo interrompe subito - ed
inaspettatamente - il trombettista, visibilmente dispiaciuto
per quanto successo, «non so come scusarmi.»
«Non è colpa tua,» fa Robert, sorridendo
nervoso e chiedendosi contemporaneamente perché si scusa con
entrambi, visto che - suo malgrado - non sono una coppia, «ma
è una situazione che va chiarita, visto che
torneranno.»
Lo faranno, di questo ne è certo.
«Sì... ok, va bene,» Risponde lui,
improvvisamente deciso... ha davvero l'aria di chi sta per prendere le
redini della propria vita per la prima volta, senza che nemmeno sia
questa fatidica prima volta, «venerdì voi due
venite al Jazz Club,» e non li lascia dire che non hanno
voglia di ascoltare Jazz o assistere a chissà quale
spettacolo, «so che l'ultima volta siete fuggiti entrambi
ma... ho deciso di dichiararmi.»
«Davvero?»
«Davvero. Dopo l'esibizione.»
«Fantastico...»
«Esatto.» Calca il concetto, per poi sorridere,
quasi commosso da se stesso: «Lo prometto: mi
dichiaro.»
E loro ci credono, perché già solo questa
è una dichiarazione a metà.
*
Rimangono ancora lì a parlare, fino a quando Jude non dice
che deve tornare a casa, accenna a degli altri impegni e che non
c'è più bisogno di lui, per poi sparire lungo la
sua via del ritorno, il solito passo tranquillo.
Li lascia soli, come soli volevano stare da un po'.
«Val...» fa Robert, tentando di iniziare un
discorso per la seconda volta, ma nemmeno questa riesce.
«Dovrai dichiararti anche tu, sì.» Lo
interrompe infatti il suo amico, sicuro della domanda che sarebbe
arrivata; non ha torto, in effetti, questa era sicuramente una delle
questioni che gli vorticano in testa da quando l'altro ha dichiarato la
sua decisione.
«Ecco...» balbetta, «...per
questo...» e vorrebbe lanciarsi nella descrizione di tutte le
sue paranoie, se non fosse che oramai non sa manco da dove cominciare.
Il trombettista sorride, malefico: «La nostra scommessa era
questa. Hai tempo fino a sabato.»
«Ma!»
«Niente "ma", i patti erano questi: chiarissimi. Io lo
faccio, tu lo fai.»
«Non va ben-»
«Rob, per favore! Praticamente siete già una
coppia! E...» Aggiunge, fingendosi cattivo, impostando la
frase sembra voler dire anche qualcos'altro.
«Che c'è?» Lo esorta Robert, cogliendo
quel silenzio improvviso come una minaccia.
«C'è che non sto scherzando, siete carini e
sembrate due fidanzati. Vi mancano solo quelle cose omosessuali
vostre...»
«Come?!»
«Ma sì, hai capito. Il punto è che tu
sei tardo per queste cose, lui peggio, quindi siete ancora qui ad aver
bisogno di un vero aiuto esterno.»
«E come mai proprio tu?»
L'altro non risponde, guardando la custodia della propria tromba,
ancora chiusa e stretta nella sua mano.
«Ah,» comprende quindi, ragionando brevemente che
ultimamente incontra solo persone imbarazzate ad aprirsi,
«è mica il tuo modo per ringraziarmi?»
«Per spronarti.»
«Sì, certo. Grazie.»
«Prego. Più o meno.»
E di fronte a questo scambio di battute, Robert si sente ancora
più perplesso e - al tempo stesso - tranquillo; capisce che
è arrivato il momento di condividere un paio di dubbi, sente
che Val li può ascoltare ora come ora, che ha bisogno di
distrarsi con qualcosa.
«Jude... mi lancia dei messaggi contrastanti.»
«Ha una cotta per te.»
«No.»
«Fidati: sono un musicista.»
«E dovrei fidarmi per questo?» Ride apertamente,
«Mi spiace ma non ne sono così sicuro.»
«Beh, è una persona egoista, no?»
«Vive nel suo mondo.»
«Però tenta sempre di aiutarti come
può.»
Perplessità.
Quello che Val ha appena detto è vero, verissimo, lui stesso
lo aveva notato poco prima: nessuno ha chiesto a Jude di dare una mano
in questa storia, eppure lui si è sforzato di rimanere
concentrato su un discorso e dire la sua. Lo ha aiutato. Lo ha lasciato
dormire a casa sua. Lo fa stare anche quando dovrebbe studiare.
Jude non sa dirgli di no, non ci prova nemmeno, ed impallidisce
improvvisamente quando si parla di sentimenti o cose del genere.
«Ho dormito da lui, questa notte...» Si ritrova a
mormorare, senza usare un tono troppo convinto.
«Lo avete fatto?!» Strepita allora il musicista,
sconvolto ed emozionato al tempo stesso. Sembra una bambina
nel giorno
del suo compleanno, si ritrova a pensare Robert,
sghignazzando un'altra
volta.
«Non ho detto "nel suo letto".»
«Oh, ma lo avresti voluto,» poco ma sicuro,
«come lui del resto!»
«Ti ho detto che non ne sono certo.»
«Io invece lo sono.»
«Credi che l-»
«Sì.»
Ed ha i dubbi anche lui, perché tutto torna,
perché vuole sperarci, perché la sua anima
romantica si sta dibattendo dentro il suo stesso corpo ed ha voglia di
saltare in aria e correre da Jude e... e rimane fermo, paralizzato,
fissando Val con l'aria del perfetto cretino.
Non sa che dire.
«Allora...»
«Diglielo.»
«Ma quando? Non c'è un momento...»
«Adesso. Strappa il cerotto, su che sei pronto!» Lo
esorta, continuando a sorridere, convinto di quello che sta dicendo.
Perché sì, lui è sicuro che
andrà tutto bene e se ci crede Val - che è un
jazzista e, in quanto tale, ne sa qualcosa di sentimenti -
può fidarsi anche lui.
«Non lo sono affatto...» Tenta ancora, ma
è chiaro che sta tentennando. Il punto è che ora
è pieno di dubbi - in positivo - e che le parole dell'altro
servono davvero a dare una certa spinta, sente che potrebbe davvero
andare a casa di Jude e chiedergli a bruciapelo che cosa sono.
Se sono una coppia alla quale mancano solo le loro cose
omosessuali.
«Vai.» Comanda ancora Val, senza cedere nemmeno un
secondo.
E lui lo fa.
Lo saluta brevemente, la voce quasi tremante, mentre si incammina verso
casa di Jude. Il suo passo è veloce, perché sente
quasi la voglia di mettersi a correre per l'improvvisa frenesia che
avverte dentro. La convinzione di poter andare avanti, di poter
arrivare di fronte alla sua infatuazione e dirle tutto ciò
che prova, che pensa, che ha sempre voluto.
Arriva in fretta, questa volta avvertendo qualcosa al cuore, animato da
sentimenti completamente differenti da quelli che lo avevano spinto a
fare le stesse scale la sera prima.
I rumori provenienti dagli appartamenti suonano persino diversi,
più ovattati, meno fastidiosi del solito; si sono calmati
durante il giorno ed ora appaiono tranquilli anche loro.
Silenzio, velocità, cuore in gola. Sai, mi piaci,
so che
probabilmente non provi lo stesso ma questa mattina hai perso ogni
colore quando ne parlavamo e, insomma, ti dico che- magari
non prova lo
stesso. Amicizia finita per sempre. Oppure può comportarsi
come uno di quei principi dei cartoni animati che Allyson lo
costringeva a vedere quando erano piccoli. O magari no, insomma, Jude
sicuramente non è una principessa.
Non ne ha nemmeno l'aspetto e-
Quando Jude apre la porta, ogni singolo pensiero ammutolisce. Prima li
sentiva tutti accavallarsi, ora non ha in testa nulla che non sia il
suo Mod Mancato, il suo Ragazzo Apparizione, la sua Infatuazione
Improvvisa.
«È successo altro? Stai bene?» Gli
chiede, preoccupato e colto di sorpresa. Di certo non si aspettava un
suo ritorno così presto.
Di certo non si aspetta ciò che vuole dirgli.
Ma che cosa vuole dirgli? Che cosa può
dirgli, considerando
che non riesce più a formulare un pensiero che sia uno?
«Niente.»
«Oh! Sei qui... perché ti mancavo?»
«Mi mancavi.»
«Bene,» fa lui, stranamente più
imbarazzato di Robert stesso, «ora sei qui. Quindi... non ti
manco più.»
«Se ci sei non mi manchi, no.»
«Infatti. Perché puoi parlarmi, puoi guardarmi,
puoi vedermi dimenticare ciò che ti ho detto.»
«Quello preferirei non saperlo, ma...»
Ma questo discorso è addirittura più
inconcludente del solito, non si arriva da nessuna parte con
loro due
messi insieme. Il punto è che lui è
nervoso -
nervosissimo - e al tempo stesso si sente svuotato dalla fretta che lo
aveva portato lì... e Jude avverte tutto questo, si rende
conto della strana tensione che si è creata, ben diversa da
quella che c'era fra di loro la mattina.
Ancora più carica, più sentita, più
profonda.
«Magari posso entrare...»
«Ah, sì,» e si dirige senza aggiungere
altro nella sua camera, «vieni.» Specifica una
volta arrivati. Lascia a Robert il compito di chiudere le porte,
limitandosi a tacere.
Quando sono soli nella piccola stanza disordinata, cosa che
è capitata già molto spesso, si limitano a
guardarsi negli occhi.
«Non hai ancora detto niente...»
«Sapevo che cosa dirti,» solo che non si
è preparato un discorso, «ma
è
più difficile del previsto.»
«Ah,» mormora, «mi vuoi dire che... non
so, stai male?» E dal suo tono si intuisce che quasi ci
spera.
Che sarebbe anche meglio.
«Sto benissimo!» Risponde, imitando il suo
atteggiamento di quella stessa mattina.
«Sì? Non sembra...»
«Devo dirti...»
Ti stai comportando come una ragazzina, pensa
disperato, altro che Val:
una vera mocciosa.
Lo sente che sta sbagliando, che non c'è questo da dire, che
qualcosa la deve pur fare. Non se la caverà tanto facilmente
perché non può più cambiare discorso.
Qualcosa gliela deve pure dire, no?
Eppure non sente le parole sulla lingua, non ha niente da raccontare.
«...devo dirti...» Riprova, a bassa voce, segno che
si è praticamente arreso alla sua incapacità di
esprimersi. Anche perché, che cosa dovrebbe fare? Lui non sa
nemmeno stringere le mani quando ci si presenta!
Ma Jude lo sta fissando ed ha quegli occhi e quell'aspetto ed
è un segno del destino. Quindi si muove verso di lui in uno
scatto - straordinariamente veloce - e cerca di baciarlo.
Cerca.
Poi lo bacia davvero.
♦
Note:
La prima parte di questo capitolo è PESANTEMENTE
AUTOBIOGRAFICA. Cioè, avete mai dormito a casa di qualcuno
per poi rimanere ore - non minuti: proprio ore - svegli,
perché non sapete se la persona che vi ospita sta dormendo o
no? Gh, che situazioni tremende D: il bello è che quando
Barbara
è venuta a casa mia... le è capitata la
stessa cosa! Ha tipo aspettato che io mi svegliassi e quando me lo ha
detto, ovviamente, ho pensato alla mia fic e a come sono stata Jude in
quel frangente.
Tipo principessa, sigh.
Non che Jude sia una principessa. E nemmeno io, in effetti,
checché ne dica mia mamma, che oramai mi chiama la
Principessa s--- perché sto raccontando tutto questo? E dire
che ci sono cose più importanti da dire su questo capitolo!
Duuuunque. Si baciano! O lo bacia e basta? Mi sa che dovrete aspettare
il prossimo capitolo e, visto che ci siete, scusatemi se questo
è uscito fuori effettivamente "lungo"... non era mia piena
intenzione, diciamo che mi è sfuggita di mano la parte
centrale. Non lo volevo nemmeno postare, è stata Barbara
a
costringermi in quella che sembrava una vendetta per tutte le minacce
che le ho fatto.
Quindi dedico il capitolo a lei, a Manu
che ha supportato la sua idea e ai The Cure nel
caso leggano queste note.
Gh, mi fa schifissimo come capitolo ed infatti deliro nelle note per
distrarvi da tutto questo orrore ♥
|
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Capitolo 8 *** A ***
Settimo
capitolo:
A.
Il primo tentativo è un cozzare di labbra, duro, sente
persino i denti di Jude.
Ed in realtà sarebbe il secondo tentativo, perché
durante il Vero Primo ha beccato quel punto del suo
viso tra il naso e
la bocca, a metà, in una imitazione confusa di espressione
passionale.
Quindi durante il primo tentativo ha sbagliato punto, nel secondo
c'è stato uno scontro, ed il terzo? Nel terzo mira bene e
bacia dolcemente. Quasi accarezzando, senza curarsi nemmeno di una
possibile reazione - non può concentrarsi anche su questo,
impegnato com'è a trattenere in superficie il coraggio.
In effetti - si rende conto poi - Jude non sta facendo niente: non lo
ha fermato, il ché è un bene, ma non lo ha
nemmeno incitato ad approfondire o continuare ciò che sta
facendo. Non è coinvolto, rimane fermo - fermissimo - come
se stesse cercando di capire o di trattenere una crisi isterica.
Si arrende, abbandona le sue labbra, attende una reazione qualsiasi; di
certo questo è uno dei modi più chiari che poteva
trovare per esternare i propri sentimenti, per quanto poco romantico.
Non che abbia ricevuto qualcosa di romantico da tutta questa storia...
Ma ancora sente solo gelo e questo universalmente non è
considerato come un bene.
Si allontana ancora un po' per osservare di persona, per guardare negli
occhi la delusione o l'odio o la rabbia o la furia o il disgusto o
qualsiasi sentimento Jude stia provando così forte da
spingerlo a rimanere immobile.
E a giudicare dal colorito che ha completamente perso - più
che dall'espressione - si rende conto che ha fatto benissimo a
staccarsi, anche se non può fare a meno di chiedersi
perché questo inglese viene sempre preso dalla nausea in
queste situazioni.
«Che significa?» Domanda finalmente, stralunato e
confuso.
«Jude,» inizia Robert, tentando di non ridacchiare
perché si è reso conto di aver finalmente la sua
piena, quanto totale, attenzione, «significa che-»
siamo innamorati «-ci
piacciamo.»
«Sì,» conferma inaspettatamente lui,
«tu mi piaci in modo strano.»
«Strano?»
Meglio di niente in ogni caso.
«Non dovresti piacermi.»
«Il destino-»
«Non ricominciare,» quindi ha ascoltato!,
«tu non mi piaci come dovresti e non c'entrano niente le tue
teorie buffe.»
«Ma...»
«Ora mi baci anche.»
«L'ho fatto. Ti dispiace?» Che domanda idiota.
Peccato che la sua mente sia partita e che questa sia stata una delle
poche cose che è riuscita a formulare... la sensazione che
prova è strana: come se non ci fosse alcuna
possibilità di recupero, dopo tutto questo, ed è
una situazione così complessa che pare irreale.
Come non credere alla realtà delle cose.
Ed ora che ha svelato ciò che prova, quasi si sente nudo.
«No.»
«No?»
«No.»
«Ok.» Il cielo con un dito, sta toccando il cielo
con un dito, lo sente sotto le mani praticamente. La consistenza
leggera della felicità - perché è
sempre così che ha immaginato le nuvole - e si metterebbe
quasi a piangere dalla gioia se non sentisse concretamente che
già si è reso fin troppo ridicolo.
Imbarazzante, decisamente.
«Posso farlo di nuovo.» Prova invece, cercando di
dimostrare la dignità perduta mostrando la solita sicurezza
che non esiste.
Tentativo immediatamente distrutto dalla risposta di Jude -
«Non lo so...» - che ha la duplice funzione di
mandarlo nel panico, eliminare ogni traccia di certezza e fargli
rispondere con lo sconnesso: «Sì, giusto.
È strano, la tua ex ragazza. Insomma, sì, ecco.
Hai ragione.»
Un imbecille probabilmente avrebbe trovato qualcosa di più
sensato da dire, ma fortunatamente Jude sembra star affrontando le
stesse difficoltà.
«E tu mi piaci in modo strano.» Ripete infatti,
come per esser certo di aver fatto entrare il concetto nella testa del
moro.
«Ok.»
«Non lo so. Non è che mi trovo a mio
agio...»
«Lo posso capire.» No, non è vero: non
lo comprende affatto. Per quando riguarda la sua parte irrazionale
dovrebbero già amarsi, già baciarsi e
già scappare verso chissà quale paese
più caldo, mentre quella razionale sta ringraziando ogni
divinità che conosce perché Jude non lo sta
prendendo a calci.
«Tu invece?»
«Io?» Panico!
«Sì,
insomma,» deve inventare qualcosa senza far capire che
è stato lì tutti quei giorni intento a sognare ad
occhi aperti possibili scenari futuri, «come ti ho detto: ci
piacciamo.»
«In modo strano.»
È strano per te, «In modo
strano.»
«Ed ora...»
Fidanziamoci! Matrimonio! Figli!
La sua mente sta sfuggendo completamente al controllo, in quella che
pare - di nuovo! - l'imitazione di una ragazzina, e la cosa peggiore
non è lo scoprire questa assenza di virilità che
non aveva mai nemmeno sospettato, ma quanto più il fatto che
le sue emozioni si stanno espandendo su tutto il suo corpo e in
particolare nella sua espressione, visto il suo Non Proprio
Furbo
sorriso.
«Possiamo provarci.» Asserisce, sperando di
distrarre l'altro con questo attacco di diplomazia.
«Non credo che sia una buona idea.»
«Oh, perché!» Nemmeno è una
domanda, ma proprio un'esclamazione, uscita dalla sua bocca con tutta
la rabbia possibile; non si stupisce troppo: ha portato pazienza ed ha
sopportato, ha tollerato e si è dovuto davvero impegnare per
arrivare a questo punto. Per riuscire ad aprire il suo cuore.
Non può certo permettere a lui di distruggere le sue
speranze.
Improvvisamente ha voglia di tornare indietro nel tempo, oppure
semplicemente da Val, dargli uno schiaffo - o un pugno, ha scoperto di
essere bravo con quelli - e punirlo per il consiglio più
crudele che abbia mai ricevuto in vita sua.
«Perché è troppo-»
«Non dire strano! O buffo. O qualsiasi aggettivo del genere,
non dire proprio niente.»
«Me lo hai chiesto tu.»
«Lo so! Ma cavolo. Tu mi piaci, io ti piaccio,
fidanziamoci.»
«Cosa?!»
«Va bene,» concede,
«proviamoci,» che cosa ha detto Val? Ah,
sì, «tanto sembriamo già una coppia,
siamo carini, tu ti comporti diversamente quando sei con me, cosa che
si nota chiaramente, e non è perché sono tuo
amico. Io non sono un tuo amico, non voglio essere un tuo
amico.»
«Lo so.» Ammette imbarazzato l'altro. Sta fissando
qualsiasi cosa che non sia lui: le sue scarpe, il pavimento, la parete,
il letto, le pieghe delle lenzuola. Tutto quello che i suoi occhi
riescono a raggiungere, tranne Robert.
Ma stranamente il suo turbamento ha senso: sta praticamente ammettendo
che non ci è, ci fa.
«Lo sai?» Domanda incredulo.
«È evidente, anche se non da sempre,»
specifica, «io mi sentivo solo, volevo qualche amico e... sei
capitato tu, praticamente fatto apposta. Inizialmente non credevo di
piacerti o come lo chiami, ma poi hai preso con tutte quelle
battutine...»
«Non hai mai risposto...»
«Beh, non le capivo davvero. Alcune non le ho capite manco
adesso.» Risponde tranquillo, come se fosse una spiegazione
logica.
«In pratica sei un cretino che, per qualche motivo, si
atteggia ad ancora più cretino?»
Jude lo fissa per qualche secondo, sorpreso per tutta quella
cattiveria, «Sì,» risponde
infine, «sì, un cretino.»
«Ma io ti piaccio!»
«Non so come sia possibile, nel piano originale dovevo
ignorarti!»
«Piano originale?!»
«Di amicizia: volevo un amico, ignoravo le barzellette
incomprensibili-»
«Non erano barzellet-»
«-e restavamo amici.»
«Dove stai cercando di arrivare? Che mi hai sempre preso in
giro?»
«Tu hai fatto la stessa ed identica cosa: mi hai baciato
e non vuoi essere mio amico, in pratica mi frequenti solo per
questo.»
Ha ragione, si ritrova a pensare, ha
perfettamente ragione. Si
è avvicinato a lui per una scommessa fatta con Val, per
convincerlo ad andare avanti con Joanne, si è appassionato
ai The Who solo perché voleva conquistarlo. Si è
reso conto di adorarlo, di avere un'infatuazione delle più
forti, ma questo non vuol dire che non l'abbia preso in giro da quando
si sono conosciuti.
Così come Jude ha probabilmente preso in giro lui,
fingendosi più stupido di quanto non sia realmente. E -
comunque - è una sorta di sollievo sapere di non essere
completamente perso per uno dei peggiori cretini di Bristol.
Anzi, paradossalmente sono cretini in due.
E si piacciono.
Il ché è la conferma di ciò che ha
sempre pensato fin dal primo minuto, «Il destino ci ha
mes-»
«Rob.»
«Vero, niente destino o cose strane.»
«Rob...»
«Che c'è?»
«Mi dispiace.»
«Anche a me.» Risponde, anche se non capisce dove
vuole arrivare con tutti questi giri di parole; si rende solo conto che
ha sbagliato momento, che probabilmente avrebbe dovuto aspettare
qualche altro giorno o settimana e allora la mente di ciascuno sarebbe
stata più libera, più chiara, le intenzioni
più sicure.
«Jude...» Non ha intenzione di pregarlo. Negli
ultimi istanti i suoi stati d'animo hanno subito un twist decisamente
inaspettato e veloce: è passato dalla speranza, alla
frenesia, alla delusione, all'eccitazione, alla rabbia, alla
frustrazione, per poi tornare alla speranza iniziale. Si sente quasi
sfinito per tutto questo.
«Possiamo riprovarci.» Aggiunge quindi, tenendo lo
stesso tono di voce calmo, rilassato, eppure concitante. Vuole molto
bene a Jude, si è affezionato troppo per arrendersi davvero.
«Possiamo?» Chiede lui, avvicinandosi di nuovo,
guardandolo negli occhi come se stesse cercando tutte le risposte ai
mille interrogativi che ha nascosto in questa semplice domanda.
«Io ti-» amo «-adoro.»
«Oh.»
«Oh.»
«Rob?»
«Sì?»
Adorami anche tu.
Gli da' un bacio davvero leggero sulle labbra che, per un attimo,
nemmeno ci fa caso... eppure sono morbide, sono vere, sono sue.
Hanno lo stesso sapore dei sogni, pur essendo così
terrene.
*
Non chiariscono niente, né quel giorno né i due
seguenti: non vanno oltre quel bacetto di Jude. Certo, si sforzano per
comportarsi come al solito, ovvero passando la mattina - o la sera - a
casa dell'Inglese, solo per rompergli un po' le scatole in attesa di
questi esami che non arrivano mai.
Fingendo che non sia cambiato proprio nulla. Ci riescono persino bene -
ma oramai paiono bravissimi in questo - visto che le uniche volte in
cui si abbandonano è quando si scoprono a fissarsi a vicenda.
Sono sguardi carichi di troppe cose: di tensione, sottintesi, persino
desiderio; in questi momenti si rendono conto - con orrore, persino -
che se non sono fidanzati è solo perché manca
pochissimo. Perché si tratta proprio di quel tipo di
tensione carico di riscoperta.
Venerdì arriva che non hanno ancora chiarito nulla, li trova
ancora intenti ad ignorare qualsiasi sensazione positiva o negativa che
sia.
Robert si è dovuto impegnare anche questa volta per avere la
macchina, visto che si trattava dello stesso amico della volta
precedente e - come se non bastasse - sarebbe stato presente anche Jude
del quale parla interrottamente. Sua madre non ha avuto modo di
fermarlo, questa volta, e nemmeno le sue accuse mute lo hanno
intimorito come - invece - avrebbero dovuto.
Potrebbe andare tutto bene, perché al momento si trovano di
fronte al locale.
Potrebbe andare tutto bene, ma potrebbe solamente, perché
entrambi provano la voglia profonda di sparire.
Val li sta aspettando fuori la porta del locale questa volta ed
è nervoso come non lo hanno mai visto - non che l'abbiano
visto tantissime volte, ma insomma... - visibilmente preoccupato per
quello che sarà l'esito della serata. L'intero atteggiamento
non si adatta affatto al suo essere un trombettista così
bravo - almeno ad orecchio inesperto suona proprio
così -
visto che sulla carta sarà un'esibizione come un'altra.
Il punto è che per lui tutto questo è di
più. Suona da quando si è trasferito a Bristol,
costretto al trasferimento dai propri genitori quando erano alla
ricerca di non
ha
mai capito cosa, trasferimento forse un po' pesante da
sopportare ma
che lo ha aiutato a conoscere l'idea del mutamento.
Mentale, fisico, spirituale: il cambiamento.
E da lì ha provato a cercarlo ancora, senza mai riuscirci
veramente. In forma di viaggio non funziona particolarmente, non per
lui almeno, che dopo una sola estate si è reso conto che
quel tipo di movimento, per quanto intenso, non è adatto
alla vita di uno studente.
Non è mai stato un lettore accanito o uno spettatore
infervorato,
ha sempre creduto che c'è altro tempo per dedicarsi a queste
cose, visto che i
vent'anni si vivono una volta sola.
Una volta sola, un anno che non torna se lo richiami indietro.
Tanto vale subirli per il meglio, viverli come andrebbero vissuti: non
può lasciarli a prendere polvere finché non si
esauriranno.
Il bisogno di musica è nato da questo: un gesto che ha vita
in sé, la produce e la crea, che porta a mutare gli animi.
Ed è stata
questa necessità a portarlo verso la sua tromba, verso
Joanne, verso il jazz, verso le nottate più fiere, tra
guerre con i propri famigliari e combattimenti con altri jazzisti.
Musicisti, artisti, persone.
Stava andando tutto bene, almeno per i suoi gusti, fin quando non
è arrivato David con il suo essere canadese. Andava tutto
bene prima che Lei si dimenticasse delle loro sonorità
già sperimentate, tentando di adattarle a quelle
più swing di Lui e dei suoi ispiratori francesi.
Ed è per questo che deve lottare: per il suo ruolo dentro
quella che è la sua vita. Perché la ama visto
ciò che rappresenta - la sua Joanne che è anche
la sua musa - e non può permettersi di rinunciarci
così dopo tutti questi anni.
Ma nel farlo è nervoso, come possono notare Robert e Jude.
Ed anche loro sono nervosi, come può notare Val.
Fulmina il proprio amico con il più infervorato degli
sguardi, tentando di trasmettere più informazioni possibili,
emozionato come un ragazzino: «Ma-» inizia, gioioso
eppure troppo euforico per suonare veramente rilassato.
«No,» lo ferma Robert, prevedendo ciò
che sta per dire,
«niente "Ma".»
«Sicuri?»
«Sicuri di cosa?»
«Niente Jude, lascia stare.»
«Eppure mi sembrate sospetti...» Indaga furbo: ha
visto tantissime persone in tutta la sua breve carriera, ha visto la
gente, ne ha scritto, sa riconoscere i sentimenti chiariti o meno
quando li vede.
«Eppure non lo siamo,» lo riprende per la seconda
volta Robert, stizzito, «e tu che cosa ci fai qui
fuori?» Domanda per cambiare argomento.
«Sono nervoso.»
«Molto?»
«No...»
«Moltissimo, quindi.»
Sorride, ammettendo a se stesso che questa volta è stato
scoperto lui, «Moltissimo. Ma mi tranquillizza che si
può dire lo stesso anche di voi due.»
E prima che Robert possa esplodere con un "Non è
vero!"
degno della miglior primadonna, Jude li sorprende con un distratto:
«Io sono stato così nervoso.»
«Sì?» Chiedono entrambi, incuriositi:
sono arrivati al punto che basta un piccolo accenno del biondo
ma
più sul castano e drizzano entrambi le antenne.
«Sì.» Risponde, per poi rendersi conto
che deve una piccola spiegazione, «Una delle prime volte che
io e la mia ragazza... sì, insomma, una delle prime volte
che ci ritrovavamo a farlo non abbiamo usato
nessuna
precauzione.»
«Stai ancora parlando di l-»
«Ed andava anche bene, perché era notte, ma poi
lei si fece prendere dalla follia e mi trascinò nel primo
ambulatorio aperto che trovò. E mentre si faceva prescrivere
non so quale pillola io ero nervoso, avevo proprio paurissima, sai,
perché sono giovane e cose così.»
«Soprattutto non sei maturo. Tu sai che questo non c'entra
niente, vero?»
«Il punto è che ero davvero ad un passo dalla
morte. Ma lei non era incinta!»
Val annuisce, comprendendo il discorso a grandi linee, e mentre sta
riflettendo sul fatto che questa potrebbe benissimo essere paura
immotivata, Robert si accorge che: «Sei andato via da Londra
per non vederla più?»
Il trombettista si ritrova a ridacchiare di fronte alla conferma di
ciò che aveva a malapena chiesto, ma al tempo stesso
percepisce di essere di troppo, di non avere più un ruolo in
quel discorso: la sua informazione l'ha avuta, così come il
consiglio contorto, può trovare il coraggio nel proprio
cuore. Dopo un veloce saluto - «Grazie Jude. Immagino non
sarà poi così difficile come nel tuo
caso.» - fa per entrare dentro il locale.
Robert, alle sue spalle, si limita a sorridere nervosamente, nuovamente
preso dai suoi problemi.
«Mi ero stancato di amarla così tanto.»
Sente come risposta, che gli arriva fin troppo ovattata, ma non ha
tempo di pensare a che cosa significa.
*
Tutta l'ansia, l'agitazione, il cuore in gola e lo stomaco contratto
che ha sentito fino ad ora spariscono nel momento in cui la trova,
seduta nella stanza che quelli del Jazz Club riservano ai musicisti,
intenta a scrivere un sms o qualcosa del genere.
Persa nel suo mondo, a metà fra la musica e la
modernità, bellissima come lo è sempre. Non si
ferma a guardarla: deve andare da lei e trovare la soluzione che sta
cercando, confessare ciò che prova, sentirsi vivo nei suoi
sentimenti almeno per una volta.
«Joanne?» Chiede, per sembrare cortese. O
semplicemente per non apparire come il tipo inquietante che ti segue di
nascosto e rimane a fissarti giusto quei minuti.
«Ciao,» risponde lei senza neanche alzare lo
sguardo dal telefono. Digita qualche tasto, poi finalmente gli dona un
po' di attenzione, «sei pronto?»
«Un po' nervoso...» Ammette, più
tranquillo: sa che con lei può dire qualsiasi cosa, che
capirà nella sua maniera schietta.
«Anch'io.» Risponde infatti, alzando lo sguardo e
sorridendo sinceramente. In questi momenti non appare nemmeno come la
ragazza che è, sembra più matura, nonostante
l'accento impostato che si sente in ogni frase.
Per anni è stata proprio questa sua capacità di
rasserenarlo che lo ha colpito, lo ha vinto, lo ha costretto ad
arrendersi alla musica che compongono: quando lei torna ad essere la
Joanne che ha conosciuto.
«Tu non dovresti esserlo...» Le dice, cercando di
imprimere in quelle poche parole tutta la stima e tutto l'affetto che
prova nei suoi confronti.
«Neanche tu.»
«Io non sono bravo-» non lo
sarò mai
«-come te.»
«Sei carinissimo Val,» sghignazza, visibilmente
contenta, «ma sono agitata per tutte quelle cose che sono
accadute ultimamente.»
Ed improvvisamente passa tutto, l'atmosfera si rompe come se niente
fosse, lui ricorda tutti i dubbi che lo hanno portato fino a
lì: velocemente si accorge che il suo modo di comportarsi
è palese, che lei se n'è accorta, deve essersene
accorta, che lo sta ignorando di proposito e soprattutto che preferisce
David.
Che è andata a riferirgli i suoi dubbi, quindi non
è più la ragazza di cui si può fidare.
Si infurierebbe se non fosse che la ama così tanto.
«Joanne...»
«Sì?»
«Credo che sia diventata una questione di parti.»
«Lo penso anch'io.»
«E temo che tu non stia dalla mia.»
Solo dirlo fa malissimo, perché rende tutto reale.
Solo guardarla mentre lo dice fa malissimo, perché rende
reale anche la sua reazione, il suo sguardo quasi indifferente.
Si sta ammazzando da solo, nemmeno nel modo più dolce.
«Val, tu sei bravissimo...» fa Joanne, senza
guardarlo negli occhi, «...ma anche David lo è,
lui è davvero meraviglioso, suona benissimo e...»
E lei è infatuata quanto lo è Robert di
Jude.
«Ma se dovessi scegliere?» Tenta, rendendosi conto
che buttarsi non è così semplice quando non
c'è una melodia a coprire il tonfo.
«Basta, non dire così anche
tu!»
Anche tu.
«Che cosa sceglieresti, Joanne?»
«Basandomi su cosa? Musicalmente o personalmente?»
E magari rispondendo a questo modo crede di spiazzarlo, pensa di essere
stata brava per tutto questo tempo. Ma non lo è stata: a
questo modo ha solo confermato una delle tante domande.
«Scegli solamente.»
«Tu sei un musicista eccezionale, Val.»
Ma nient'altro.
Niente.
«Bene.»
«E... sei bravissimo. Mi sei sempre stato accanto, mi hai
aiutata quando ero disperata, mi hai sopportato sempre,
tu...»
«Lo so.»
«Rimani nel gruppo,» lo prega debolmente,
«non voglio perderti.»
«Come Trombettista.»
«Hai una tecn-»
«Come persona?»
«Ti voglio bene,» risponde lei usando una voce
flebile, quasi ferita, completamente diversa dal tono che stava usando
prima: ha preso a preoccuparsi seriamente, ha davvero paura di perderlo
ed è sincera in questo - lui lo sa - ma non sta ammettendo
proprio niente, «ti voglio bene.» Ripete.
«Lo so.»
«E...»
«Ti amo,» butta infine, per non stare ad ascoltare
un altro monologo su quanto sia stato caro durante la loro amicizia,
«e so che tu non provi la stessa cosa. Lo so, lo so,
che ti
piace lui. Lo capisco. Così come capisco che è
corrisposto e che vi fidanzerete tra breve e tanti figli tra qualche
anno,» continua tutto d'un fiato, senza preoccuparsi se suona
troppo cattivo o meno, «lo vedo dal modo in cui tentate di
compiacervi a vicenda per qualsiasi cosa. Ma lui è
aggressivo come lo sei tu ed ha paura della mia presenza.»
Joanne non risponde, non dice niente, si limita a fissarlo stupefatta.
Difficile capire che cosa sta pensando, se è contenta di
ciò che gli sta dicendo Val, perché mantiene solo
quella maschera di stupore.
Ignora che Val si sta impegnando - quasi si morde la lingua - per
mantenere la dignità e non mettersi ad urlare, ignora che
questo discorso così maturo è la cosa
più finta che lui le abbia mai detto.
«Sono un buon musicista, so anche questo. Però non
è abbastanza: perderai uno dei due, dovrai rinunciarci, e tu
preferisci lui.»
«Io...»
«Me ne vado per non complicarti le cose, ok? Questo
è il nostro ultimo concerto insieme.»
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto...»
«Lo so.» Ma non posso restare.
«Non-»
«Non è un addio.»
«E non era quello che volevo dirti.»
Ed è Joanne nei due ruoli che interpreta ogni giorno:
è Joanne la ragazza un po' cafona, esaltata e genuinamente
contenta, è Joanne la musicista in pace con la propria
tristezza. È la Joanne che si è innamorata, alla
fine, ma non di lui.
Questo serve a renderla un'estranea.
Si chiede se quella ragazza lì sia la stessa che lo ha
esortato con la musica, lo ha invitato - quasi costretto - a suonare
per il suo gruppo e a continuare nel suo sogno jazzistico, il motivo
principale per il quale si impegna così tanto. Si domanda se
ha mai provato qualcosa per questa ragazza così diversa,
perché nel suo cuore non sente più nulla.
Non si tratta di un sacrificio, l'abbandono del gruppo non è
stata una scelta dettata dalla sua volontà di andarsene o di
rimanere, né tantomeno una questione di orgoglio. Sapeva
già che sarebbe andata male, sapeva che non era corrisposto,
sapeva tutte queste cose: lo ha fatto comunque perché era
arrivato il momento.
Di dire addio a lei, al gruppo, ai suoi sentimenti.
E tutto questo - pensa con una nota di cupa ironia - aiuterà
molto al suo essere jazzista: alla sua carriera
farà bene,
no? Altro dolore, altra solitudine come se non bastasse
quella che
già sentiva prima.
«Tutto okay?» Domanda lei, finalmente in piedi ed
accanto a lui.
Non risponde, semplicemente perché la percepisce come
retorica.
Preferisce salutarla neutro, per poi allontanarsi.
Va verso la sala
principale e sale sul palco, lentamente, senza fretta, non vuole
rischiare di imporsi di fronte alla folla ignara di tutto
ciò che è successo - e sta succedendo - ma
preferisce stare
lì in silenzio ad osservarla, guardando i pochi clienti
seduti
ai tavoli si rende conto che per loro tutto questo - lui, Joanne, la
loro unione, il gruppo - non ha nessuna importanza.
Nemmeno per i musicisti, per gli amici, per le persone: non importa a
nessuno.
Dal suo tavolo Robert si distrae da Jude per qualche secondo, alza la
testa e si accorge della sua presenza; non si muove, ma pare sorpreso,
domandando con i propri occhi. E Val gli sorride come se fosse un
vincitore, mentre nel suo cuore è solo contento che il suo
amico sia riuscito, al contrario suo.
Non importa quanto il loro chiarimento non sia stato tale, infatti,
almeno sono lì insieme: hanno resistito.
Ed improvvisamente realizza - anche se con una certa freddezza - che
questo sarà il suo ultimo concerto per e
con Joanne.
Dopodiché sarà - resterà - solo, con
tutte le sfumature annesse e concesse dal suo nuovo stato di cuore
infranto, solo.
E da solo ritornerà a suonare.
♦
Note:
Sto passando un momento orribile ed immagino che questo si rifletta
davvero tantissimo nella scrittura. Voglio solo approfittarne per
scusarmi se in questo periodo sono stata intrattabile ed odiosa con praticamente
tutte voi, mi rendo conto che non mi si sopporta più e mi
spiace - ma credo proprio di essere arrivata al mio limite.
Comunque, lasciando da parte queste scemenze che non hanno nulla a che
fare con la storia o con il fandom in generale, spero che il capitolo
vi
piaccia lo stesso :D
Vi informo che è interamente e totalmente dedicato a Vane.
Tutto quanto, in ogni parola, lei riconoscerà anche delle
piccole citazioni alla sua persona :D il fatto è che quando
sei stata qui abbiamo parlato molto anche di questa fic - e dei tuoi
progetti futuri, naturalmente - cosa che mi ha aiutata a plasmare
alcune idee che non avevo il coraggio di buttare fuori.
Un grazie enorme, sperando che il capitolo ti piaccia. Ed auguri per il
tuo onomastico di ieri!
Ed auguri ancora perché domani vengo a casa tua e dovrai
sopportarmi per taaaaanti giorni. Buona fortuna, insomma. Ti lovvo
è_é
E gente~ so che questo capitolo nella sua interezza è
abbastanza angst. Nel prossimo - LO PROMETTO! - mi farò
perdonare.
Ghghgh.
|
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Capitolo 9 *** Human ***
Ottavo
capitolo:
Human.
Sono rimasti al Jazz Club fino alla fine, anche sforzandosi per
restare. Questa volta ad aiutarli c'è anche la
curiosità che li divora, nata quando hanno visto Val sparire
in una delle stanzette del locale per poi uscire prima degli altri con
un sorriso strano. Sincero ma ambiguo, quel tipo di espressione che ti
terrorizza per quanto poco chiara.
Val è la differenza di quello spettacolo.
Concerto che si muove sulle solite note basse, calme, quasi viola nel
contrasto del blu. Il concerto si muove ed ognuno è
perfettamente capace di fare la propria parte: da Joanne che con la sua
voce tenta di accompagnare gli altri musicisti e tutti i clienti
attenti, a David con il suo impegno quasi isterico, a Val con le sue
note profonde.
Ed in quelle sta sistemando il suo addio.
Gli altri sono scomparsi di fronte alla sua determinazione, alla sua
volontà di passare un messaggio individuale fregandosene del
suono collettivo. Il piano lo ha di certo aiutato in questo scopo, ma
gli occhi di Joanne non hanno fatto altro che pregarlo.
Cambia idea. Resta. Non andare. Torna con noi.
Ma questo non è nel suo stato d'animo.
Una volta finito non si è fermato a ringraziare, come fa di
solito, né si è girato per sorridere alla sua
cantante. No, è andato direttamente verso il tavolo dei suoi
amici, sedendosi con loro come se niente fosse, per niente stanco da
tutta l'interpretazione, deciso a spiegare che ha lasciato tutto.
Che da adesso si può considerare un solista.
Ed è così contento della sua scelta! Sorride,
scherza, fa qualche battuta, pare quasi ubriaco da tutte le
possibilità che gli si pongono davanti. Al tempo stesso
è così triste che non vuole cambiare posto per
andare a festeggiare.
Se n'è andato dopo poco, continuando ad elencare qualche
progetto, nel tentativo di non pensarci troppo, di lasciar perdere, di
concentrarsi solo sulle future melodie e sulle persone alle quali
potrebbe chiedere un po' di aiuto. Che sa suonare da solo di fronte una
folla si sa, lo hanno visto tutti, quindi la notizia non dovrebbe
provocare troppo scalpore fra chi conosce.
Se n'è andato.
E loro sono rimasti. Dopo tutti quei giorni senza nemmeno parlarsi o
confrontarsi, carichi di una nuova consapevolezza.
«Mi piaci in un modo strano,» gli ripete Jude,
«quindi non dare di testa come ha fatto lui.»
«Certo.» Risponde, ancora vagamente preoccupato per
il suo trombettista. In realtà crede di essere
già impazzito, ma se l'altro non lo ha notato può
tranquillamente continuare a fingere. Fingere: come ha fatto fin'ora,
come ha fatto anche Jude.
Magari è il caso di smetterla: «Sono
già pazzo.»
«Perfetto.»
«E... beh, non è uscita come volevo.»
«Cosa?»
«No, niente, lascia stare. O stai fingendo?»
«Fingendo?»
«Sì, insomma, di non capire.»
«Non ti seguo proprio... di non capire? Che cosa dovrei
capire?»
«Che sono pazzo.»
«Va bene,» annuisce, come se la rivelazione non
costituisse un problema per lui, «ma perché dovrei
fingere di non capire che sei pazzo?»
«...Mi confondi!»
«Sì, anch'io mi confondo spesso. C'è da
dire che di solito sono da solo in questo.»
«Siamo soli insieme, come sempre,» sospira,
«Jude... proviamoci, ok?»
«A stare insieme?»
«Vedi? Sei molto meglio quando non fingi di avere la testa
completamente vuota: sei sempre lì che non capisci, ma
almeno sei più naturale.»
«Mi sto impegnando molto.» Ride l'altro, cogliendo
il tentativo di alleggerire la strana tensione creatasi fra loro due.
«Ti prego...?» Prova a chiedere. Di nuovo, di
nuovo, di nuovo. Sente che ad un certo punto cederà, si
arrenderà e gli dirà tutto il problema;
così magari capirà interamente perché
secondo la sua testa questa cosa non può funzionare.
Jude cede, infatti: boccheggia per qualche secondo, chiaramente senza
nessuna idea su che cosa dire, per poi buttare un isterico:
«Non so nemmeno da dove iniziare! O che cosa fare, ecco. Mio
padre parla sempre male di queste cose e da ciò che dice lui
pare qualcosa di davvero terribile... non che lui lo abbia mai fatto,
credo, ma sì. Terribile.»
«Non è che devi prendere tutto ciò che
dice tuo padr-»
«Terribile.»
«Ok,» prova a ragionare, «la tua amata ex
fidanzata. Conta che si tratta della stessa cosa, solo al
maschile.»
«No, non è la stessa cosa. Lei era più
carina di te ed era tutte curve. Morbida. E quando volevo dormire la
potevo usare come cuscino, infat-»
«Smettila.»
«Tu sei anche americano! Chissà come lo fate voi
in America. Fate sesso - sesso! - per poi bere birra? Con la partita in
sottofondo? O tutto insieme nello stesso momento?»
«No, tu non fingi di essere un cretino,» sospira
Robert, sconsolato, «ma sono felice che iniziano a spuntare
fuori luoghi comuni stupidi anche su di me, vuol dire che stai entrando
nell'ottica di avermi come fidanzato.» Lo stuzzica.
«In minima parte, ti ho detto.»
«Ti darebbe così fastidio?»
«Non ne ho idea. Non lo avevo proprio
considerato...»
«E cosa c'è di diverso?» Domanda amaro,
più a se stesso che a Jude.
Si alza, paga il conto per entrambi senza chiedere niente, poi si
dirige verso la porta con fare deciso. Sarebbe una bellissima uscita
epica se non fosse che l'inglese lo sta seguendo passo dopo passo, come
se fosse il suo nuovo cagnolino.
Questo è il muto segno che effettivamente ci tiene, che ha
paura di perderlo, che è tentato dalle sue parole. Jude
è bloccato dalla sua paura, non ci vuole un genio a capirlo.
«Ti accompagno a casa?» Gli chiede, quando oramai
sono all'aria aperta ed il freddo ha preso a ricoprirli.
«Grazie.»
I discorsi si sono fatti freddi mentre, camminando piano piano, si
rendono conto che a tutto c'è un limite. Che
potrà anche salire quelle scale per l'ennesima volta,
attraversare quel corridoio, chiudersi in una stanza qualsiasi con Jude.
Ma il problema rimane e rimarrà sempre: non potranno andare
avanti così.
E mentre fa quel percorso - quello stesso che ha fatto fino ad adesso,
che continuerà a fare, che non potrà mai smettere
di compiere qualsiasi cosa pensi - Robert formula un lieve discorso
nella testa: se avrà abbastanza coraggio da rischiare glielo
farà.
Sì, ha intenzione di parlare.
Come cosa, da sola, potrebbe bastare - no?
Val si è dichiarato con una semplice intenzione. Lui lo ha
fatto con un bacio, ma non ci ha ottenuto ancora niente.
Così sono tornati a casa di Jude, salendo piano le scale che
portano al suo appartamento condiviso, strisciando lungo le pareti dei
corridoi pur di arrivare silenziosamente nella sua stanza, il teatro di
tutta la loro storia.
Il palco dove si sono esibiti.
Una volta arrivati, si rendono conto che il silenzio che hanno portato
fino ad ora va spezzato.
«Credo davvero che potremmo provarci. Che dovresti provarci,
ecco.» Dice il primo attore in scena.
«Non so.» Risponde il secondo, non preoccupandosi
troppo dell'intonazione: tanto conoscono entrambi il copione, sanno che
cosa dirsi e come rispondersi senza modulare troppo la voce.
«Potresti.»
«Ma...»
«Lo sai anche tu, non c'è nessun problema e non fa
schifo, ricordi?»
«Sì.»
«Non era un addio, Jude.»
«No, infatti.»
E qui il sipario potrebbe anche calare, far scendere gli attori dai
rispettivi posti. Solo che non succede: tutto rimane fermo come si
trova. Statico. Finché Robert si avvicina, non troppo
invasivo, la volontà di replicare il gesto compiuto da Jude
il mercoledì precedente.
Gli lascia un bacio sulle labbra, leggero, poi un altro.
Ed un altro ancora.
Delicati, poco decisi, quasi pallidi per la loro assenza di tempo.
Ognuno di loro dovrebbe essere l'ultimo anche se, semplicemente, non
riesce a smettere.
Continua.
Fin quando Jude non si arrende.
Ed il bacio diventa davvero un bacio.
Mentre loro diventano una vera coppia.
*
«In pratica l'unica differenza è che adesso tu
puoi baciarmi quando ti pare?»
Lunedì, primo pomeriggio, prima di andare al Fish and Chips
che finalmente ha riaperto - cosa sia poi successo di quella vicenda
non lo sa, in effetti, pare quasi passata inosservata - e prendere
così a lavorare.
Stanno ancora parlottando, vicinissimi, come se si trattasse di un
segreto di stato, un qualcosa di tutto loro.
«Puoi farlo anche tu, sai?»
«Oh, è vero,» ed in effetti lo bacia,
per poi separarsi un attimo e guardargli le labbra.
«E...»
Tenta di aggiungere, prima che l'altro lo interrompa con un:
«Jude, è impossibile che tu abbia altre domande.
Le hai chieste tutte, più volte, e non so perché
ti rivolgi a me come se me ne intendessi!»
«Ma sì, sarai pratico.»
«Eh?»
«Di queste cose. No?»
«In effetti no...»
«Ah!» Esclama, come se gli avesse appena fatto un
regalo, «Davvero?»
«Sì.» Sbuffa.
«Sono il primo? Il primo-primo?»
«Sì.»
«Che bello!» Continua, visibilmente felicissimo.
La cosa diverte Robert, per qualche motivo che non sa bene come
spiegarsi: sarà che l'atmosfera che sente non è
pesante, ma gioiosa, ed il tono di Jude non è di presa in
giro. Lo si direbbe davvero così emozionato da poter
improvvisare un balletto.
«Perché sei contento?» Chiede quando la
curiosità si fa troppa.
Lui cambia espressione, sembra imporsi una specie di
tranquillità, «Così.»
Sminuisce, mentre scrolla leggermente le spalle.
«Non vale come risposta, sai?»
«L'ho dimenticato.»
«Non vale nemmeno questa.»
«Aaaah, va bene,» si arrende,
«perché così non sarò
l'unico imbranato.»
«Stai dicendo che son-»
«Lo sei.»
«Ovviamente!» Risponde acido ed in risposta riceve
un casto bacio sulla guancia, quasi frettoloso nella sua
semplicità.
«Sono perdonato?»
«Perdonato? Il mi-» e si ferma. Si interrompe
quando si rende conto che stava per dire "mio ragazzo" quando l'altro
non ha ancora accettato in quel senso: non ha mai avanzato una
richiesta specifica da quando si sono chiariti, in effetti.
Jude nota il tentennamento ma non riesce ad individuarne la causa
esatta, così domanda: «Dai, non fare
così. Non è il caso.»
«Non è questo...»
«Stavi per dire qualcosa di osceno?» Prova allora,
l'angolo sinistro delle sue labbra leggermente sollevato in alto, in un
sorrisetto malizioso che non si sarebbe mai aspettato di vedergli
addosso.
«Nemmeno. È che...» Si mordicchia le
labbra, «...noi.»
«Cosa?»
«No, niente.»
«Dillo, non mi scandalizzo. Prometto.»
«Eh? Ma che cosa hai capito?»
«Ben poco. Pensavo mi volessi chiedere del sesso. O delle
pratiche che fate voi.»
«"Pratiche che facciamo noi?" E tu? Guarda che devi
cominciare ad includerti nella categoria,» lo stuzzica,
sperando così di distrarlo, «e non sei per niente
romantico. Un caso disperato.»
«Ci sei tu per quello.»
«Come fai a saper-»
«Ti conosco.»
Maledettamente vero, probabilmente lo conosce meglio di quanto Robert
stesso crede.
«Volevo chiederti,» fa un profondo respiro,
realizzando che è anche stupido tentennare così
tanto ora, «se ci hai riflettuto. Se stiamo
insieme.»
«Vedi che ci pensi tu? Strano che non mi hai portato un mazzo
di rose.»
«Rispondi.»
«Sì.»
«Sicuro?»
«Sì, adesso sì.»
«Persino sulle nostre pratiche o come le chiami tu?»
«Mh,» questa volta è lui a mordicchiarsi
le labbra, «diciamo che per quelle aspettiamo un
po'.»
«Ovvio! Quando vuoi!»
«Mi disp-»
«No, non serve. Facciamo tutto lentamente, ok?» Lo
rassicura, per poi scherzare: «Mi dispiace solo per le rose.
Te le avrei portate, se sapevo.»
«Se sapevi? Guarda che non le volevo. Ti prendevo in
giro.»
«Niente,» ride, «ti prendevo in giro
anch'io. Sono piuttosto contento.»
«Lo sono anch'io.» Risponde l'Inglese, mentre ride
con lui.
Sono felici - è vero - nessuno dei due sta mentendo: sono
davvero rilassati nella loro gioia quando oramai è ora di
andare. Quando Robert pensa che il tempo dovrebbe fermarsi con il solo
scopo di aiutarli a far crescere quella relazione.
*
Morbido, caldo, gioia, affetto, Jude, Robert, lenzuola, I've
had
enough dei The Who in sottofondo e la consapevolezza di
avere fra le
braccia ciò che desiderava. Perché sì:
non sono mai stati così contenti insieme.
Val aveva ragione, alla fine: la differenza tra il loro essere una
coppia di amici ed il loro essere una vera coppia è sottile,
si può tranquillamente ignorare il fatto che fino a due
settimane prima erano ancora nel loro limbo di confusione e scelte
ancora non prese.
Sembrano fatti per stare in questa maniera, stretti. Ma era una
sensazione che già provava, una verità che ha
sentito nel primo secondo.
Praticamente si impedisce da solo di commentare qualcosa sul destino,
cosa che farebbe, se non fosse che si sta impegnando per tacere questa
voce - nella sua testa e nella sua gola - e fare qualche piccolo
cambiamento al suo modo di vedere le cose.
Migliorare un po', giusto per la vita di coppia.
Jude lo sta facendo: non si è più lamentato di
possibili dubbi, non ha più fatto finta di non capire, non
ha ancora mosso nessun passo falso; si sta comportando
straordinariamente bene, anche se certe volte sente una qualche
resistenza da parte sua - probabilmente dovuta al suo essere
straordinariamente appiccicoso quando ci si impegna - ma
indipendentemente da questo ci sta provando come Robert gli aveva
chiesto di fare.
Riuscendoci.
Non ha pretese, non chiede, non si impone: lascia che sia Robert a fare
tutto, che si presenti alla sua porta e che lo trascini nei suoi
discorsi, nella sua vita, più o meno come hanno sempre fatto
da quando si frequentano.
Si può dire che le loro dinamiche non sono cambiate, in un
certo senso.
Che forse manca ancora qualcosa.
Ma sono passate solo due settimane ed oramai è chiaro che le
cose meritano il giusto tempo fra di loro. A Robert sta anche bene,
mentre è praticamente stretto al suo corpo e sdraiato sul
suo letto - quando finalmente riesce ad annusare il suo odore -
perché una parte di lui sa che facendo così non
bruceranno troppe tappe tutte insieme.
L'altra parte fa notare che di tappe non ne hanno proprio bruciate.
Tuttavia non può chiedere tutto e subito, no?
Una sua mano scivola sotto la maglietta di Jude.
«Robert?»
«Che c'è?»
«Ma come "che c'è". Cosa stai facendo?»
«Niente,» le cose nostre omosessuali,
«sta tranquillo.»
«Ok.»
«Ok? Vuoi dire che ti fidi?»
«Sì.»
«Bene,» replica emozionato,
«benissimo!»
«Ora mi spaventi, però.»
«Eh?»
«Quando sei contento fai una faccia strana, tipo-»
e lo imita «-così. Mi preoccupavi
all'inizio.»
«Ed adesso?»
«Ed adesso pure. Che stai facendo?»
«La stessa cosa di prima.»
Jude sbuffa, forse scocciato, poi assume un'aria un po' più
seria, «Mi fido davvero.» Dice, cercando il suo
sguardo - come per confermare che sì, davvero, non ci sono
dubbi e lui è pronto a fare qualsiasi cosa.
Robert rimane qualche secondo senza rispondere, la mano ancora poggiata
sotto la sua maglietta, sopra le pelle calda,
«Grazie,» mormora quando il silenzio si fa un po'
pesante, tuttavia senza sapere se va bene risponder così
brevemente, «sono contento.» Aggiunge, incerto ma
sincero.
«Mi facevo tanti problemi, ma mi sono sempre
fidato,» continua lui senza nemmeno badare alla sua scarna
risposta, «credo sia solo un po' strano.»
«Cosa?»
«Che non sia così brutto stare così.
Sai, si pensa sempre peggio.»
«Te lo avevo detto.» Sorride.
«Lo so,» gli ruba un bacio leggero, quasi
sbarazzino, «colpa mia.»
Potrebbe aggiungere mille parole. Mille ancora, ancora discorsi,
potrebbe stringersi ancora di più, continuare a scherzare,
battibeccare per le minime sciocchezze, potrebbe fare tutto questo ed
eppure non fa nulla. Non ne ha bisogno.
Con la mano continua ad accarezzare, a tastare, rendendo vero il fatto
di stare lì. Perché se lo può toccare
significa che non lo sta più solo immaginando, che va tutto
bene, che si può tranquillamente fare, che se volesse
potrebbe spingersi oltre quelle lievi carezze.
Lascia un bacio sulla stoffa.
Love reign o'er me.
Love reign o'er me.
Love.
Sente dire la canzone, sempre la stessa.
Amore - perché di quello si tratta - e nella sua testa torna
ciò che un tempo rappresentava quel sentimento: che
coinvolge tutto, la mente, i pensieri, i sensi, le parole, il sesso.
Amore e sesso. Interessante, pensa, forse
persino da provare.
Improvvisamente la sua carezza si fa più insistente,
più ruvida, pretende qualcosa, improvvisamente anche l'altra
sua mano si muove verso Jude, su Jude, per tenerlo fermo nel caso
voglia scappare - ed ha davvero paura che lo faccia, che si tiri
indietro proprio ora che sta andando tutto bene, nonostante la sua
promessa di fidarsi.
Di sicuro non vuole spaventarlo, ma come potrebbe? Nemmeno lui ha idea
di come cominciare, da dove iniziare, come provarci solamente. Avverte
solo l'istinto di andare avanti e già l'idea - che comunque
lo ha toccato più volte nelle ultime settimane - basta per
fargli sentire qualcosa al basso ventre.
Had enough of living, continua ad ascoltare, mentre
si avvicina anche
con il resto del corpo, Had enough of dying, poggia
la testa sul suo
petto quando oramai gli è addosso, con il naso riesce a
cogliere ogni suo odore, con le orecchie sente i suoi respiri
accelerati, quasi più intensi della canzone che continua a
suonare in sottofondo, Had enough of smiling, had
enough of crying, ed
è probabilmente così perché
è nervoso, perché sicuramente nemmeno lui sa che
cosa fare. Forse è addirittura più perso di lui.
Si sistema fra le sue gambe quando è sicuro di non ottenere
resistenza, aderendo perfettamente al suo corpo.
E non c'è niente di strano nel Jude che - forse - resiste un
po', chiaramente a disagio in quella posizione, probabilmente pensando
che se proprio deve succedere è sicuramente meglio per lui
invertire le parti. Se lo aspetta persino, Robert, lo vede che sta
considerando l'idea.
A sorprenderlo c'è invece il fatto che Jude non si tira
indietro né lo spinge via.
Lo sente muoversi, lo sente stringerlo, lo sente cercare qualcosa, lo
sente lamentarsi per gli stimoli - ma non con il tono scocciato che
stava usando prima.
Taken all the high roads, e quello che si danno
è un bacio
dal sapore diverso, un contatto che sa di saliva e frustrazione, una
carezza sicuramente più dolce di quella che stanno dando le
sue mani. Le sue mani, ragiona, mentre scende un po' verso il basso.
Piano piano - I've squandered and I've saved - per
arrivare ai suoi
pantaloni, ottenere un consenso nel tempo che impiega per scendere; lo
trova sulle labbra, lo sente quando la sua lingua va a stuzzicare
l'altra.
I've had enough of childhood, mentre gli sbottona i
pantaloni, I've had
enough of grades, mentre fa scendere la lampo, I've
had enough of
dancehalls, mentre Jude tenta di sfilargli la maglia e lui
stesso
provvede a togliersi i vestiti. Ha appena scoperto di non vergognarsi,
se non altro, si sente perfettamente a suo agio in quella condizione.
Ma non con il fatto che i pantaloni di Jude siano ancora lì.
I've had enough of streetfights, e li fa scendere
insieme ai boxer,
osservandolo, guardandolo mentre lui imbarazzato annuisce - a cosa poi?
- con la testa e posa le sue mani sul suo intimo. Una manciata di
secondi che nessuno dei due sa quantificare, un'altra maglietta viene
abbandonata sul pavimento, e sono nudi.
Completamente.
Guardandosi in questo modo capiscono che va bene. Che avevano tutti
ragione, si può fare, non sembra sbagliato - per quanto
diverso - e quello strano che Jude ama ripetere ha una connotazione
più positiva di quanto sperava.
Ed è Jude stesso a tirarselo addosso, a cercare un contatto
più intimo, sorprendendo entrambi.
Quando finalmente questo contatto arriva, l'unico pensiero che Robert
riesce a formulare è il caldo. Caldo, caldo e qualcosa che
non capisce, piacere probabilmente, senso di appartenenza e gioia,
dolcezza in quei momenti lenti - languidi, soffocanti,
pesanti.
Ci sono solo loro due adesso, niente finzioni di mezzo.
I've seen my share of kills, parlano
i The Who per lui, mentre le mani
di Jude prendono a toccarlo, tastarlo come prima stava facendo lui,
arrivando ovunque con quasi più malizia. Esplorazione. Fino
a quando non si fermano proprio lì - proprio lì,
sì! - e lo stuzzicano, come se stesse semplicemente
curiosando, come se stesse riscoprendo qualcosa. Non è
vergine come lui, Jude, ma in questo momento non lo si direbbe.
I'm finished with the fashions,
quando ad un certo punto il movimento
dell'Inglese si fa più deciso, certo, ancora confuso, ma
comunque più determinato contro la sua pelle. Più
veloce. E Robert non può che abbandonarsi a quella
velocità, cedere, decidendo che va bene così, che
i sentimenti possono aspettare, nella sua testa non c'è
tempo per quelli.
Prende a muovere i fianchi - and acting like I'm
tough - seguendo il
movimento di Jude, spostandosi, strusciandosi addosso di rimando. Non
importa se non ha idea di che cosa sta facendo, il suo movimento pare
quasi mimare un atto che, in sé, non esiste.
Resta la voglia, l'incapacità di pensare ad altro che non
sia lo spingere, il bisogno di baciare ed i morsi - piuttosto deboli,
in verità - che tenta di imprimere dove arriva, giusto per
liberarsi di quella sensazione, giusto perché ha bisogno di
sfogare tutta l'eccitazione che prova e che ora è raccolta
in un punto unico del suo corpo.
Tutto intorno non c'è più nulla che non sia Jude,
Jude che ha preso a strusciarsi di rimando, che tenta quasi di fondersi
con lui per quanto lo sta assecondando, che non smette un secondo di
muovere la sua - benedetta, oh, sì - mano e che adesso sta
sospirando per tutta quella frizione, immerso nei rumori di un gesto
combinato e scoordinato che stona con la canzone, I'm bored
with hate
and passion.
Fino a quando non diventa semplicemente troppo.
E lì, nel suo orgasmo, sente la liberazione mischiata alla
consapevolezza di avercela fatta. Lì Robert si sente amato.
Spinto da questo anche i suoi gesti si fanno più risoluti:
non ha importanza se non lo ha avuto o non è stato suo, la
soddisfazione la proverebbe comunque nel sentirlo venire - non
è per questione fisica, ragiona - ed è questo che
sta cercando.
Una contrazione sotto di lui - nel ragazzo sotto di lui - ed un sospiro
molto più intenso dei precedenti lo portano a capire che
è riuscito. Che è una sorta di vittoria, quasi,
almeno per lui. No? No, se solo ad averlo pensato si sente meschino.
Si sposta, cercando di ignorare il fatto che sia umido
fra di loro, si
avvicina di nuovo al suo volto e lo bacia, giusto per regalargli un po'
di tenerezza.
I've had enough of trying to love.
Lo guarda come guarderebbe una Dèa, con la stessa
ammirazione negli occhi, ne riceve in cambio il più
splendente dei sorrisi.
Non ha finito di provarci, no, assolutamente.
♦
Note:
Che imbranati, questi due ŏ_o
Comunque: ho tenuto il rating Arancione. In sé non
c'è una vera scena di sesso e comunque non si tratta di
qualcosa di particolarmente descrittivo... però sono aperta
a consigli, visto che non sono molto sicura di questa scelta. Ditemi
voi, devo alzare?
I've had enough non c'entra niente né
con l'atmosfera
né con i tempi della scena in sé, lo so, ed
infatti l'ho scelta per il testo nella sua interezza e
perché in questo c'è anche un riferimento a Love
reign o'er me (che era già apparsa qualche
capitolo fa,
storpiata da Jude, e che apparirà ancora). Nella mia
testa suona molto bene, lo ammetto~
I ringraziamenti per questo capitolo (non sono contenta se non ne
faccio qualcuno, LOL) vanno a Barbara
- che continua a sopportarmi
quando mi lagno ed è sempre disposta a leggere questa fic
prima del tempo pur di farmi stare zitta - e Giada
- che mi ha
assillata su msn per avere questo aggiornamento - entrambe carinissime.
Ve lo dico, se non fosse stato per queste due donnine non avrei postato
oggi. Ed invece!
Il solito ringraziamento anche a chi legge, segue, commenta, perde un
po' del proprio tempo con me. Se vi mostrate vi dono un cuoricino - ok?
So che lo volete. La vostra vita non è completa senza un mio
cuoricino.
Bene, dette queste scemenze posso pure andare.
A presto!
ps: ♥
|
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Capitolo 10 *** Being ***
Ottavo
capitolo:
Being.
Il Fish and Chips sfoggia finalmente una nuova vetrata, della quale
Jimmy si vanta come se fosse sua o creata da lui stesso e, nonostante
questo, i clienti continuano ad essere pochi. Jude è ancora
fra questi - anche se in genere non paga - cosa che permette a Robert
di parlargli di argomenti che, per qualche motivo non molto chiaro, non
hanno saputo affrontare la sera prima.
«Credi che sia stato un fallimento?»
«Non ho detto questo,» risponde, alzando un po' la
voce, «è che non capisc-»
«Non ci credo!»
«Va bene, non fidarti mai più, resta che tu sei
ancora vergine. Ed anch'io sono vergine in quel senso
e...»
Robert non sa cosa rispondere: è ancora lì, in
piedi di fronte al suo tavolino, mentre strofina ossessivamente una
macchia immaginaria con il doppio scopo di - uno - far credere a Jimmy
che esiste un motivo se sosta lì da dieci minuti e - due -
per poter pensare di star strofinando la sua testa.
«Stai dicendo che non è stato
importante?» Sbotta dopo un paio di secondi, senza neanche
ascoltare la fine di ciò che Jude gli stava dicendo.
«No.»
«E allora cosa?»
«Che... che non si può considerare come prima
volta! Non lo abbiamo fatto!»
«Sì, la possiamo considerare,» risponde,
chiuso ad ogni visuale, «ed abbassa la voce.»
«Robert.»
«Non capisci. Lo so. Basta che ci pensi: è stata
la cosa più romant-»
«Non lo è stata.»
«Sei una capra.»
«Tu sei un verginello!»
Ridacchiano per la svolta infantile del loro discorso,
dopodiché si guardano negli occhi, e lì riesce ad
aprire un po' il suo cuore - ma a bassa voce, che non vuole essere
ascoltato da chiunque: «Non ti è
piaciuto?»
«Mi è piaciuto, lo sai, mai fatto niente di simile
prima. Mio padre ha ragione: sono cose strane.»
«Ti ammazzerei.» Fa con tono sereno: dentro di
sé non accusa Jude se preferisce seguire ed assecondare
così tanto le idee della sua famiglia. O, in generale, di
chi parla per
parlare senza avere nessuna prova ma comunque la presunzione di essere
nel giusto - perché lo pensano tutti.
Non fa la stessa cosa, ma lo comprende.
«So che lo faresti. Dico solo che dobbiamo provarci di
più.»
«Hai ragione,» ammette, arrendendosi e perdendosi
per qualche secondo nei suoi stessi pensieri, «possiamo avere
tante Prime volte. Una per ogni cosa.» E prima che l'altro
possa interromperlo con una qualsiasi frecciatina aggiunge:
«Non è un problema vero.»
«Meno male che lo hai capito,» mormora Jude
sottovoce, poi cambia persino sguardo mentre invita: «questa
sera? Appena stacchi? Vieni da me. Stiamo insieme.»
«Devo tornare a casa ma...»
«Oh.»
«Ma... puoi, insomma...»
«Cosa?»
«Vuoi venire anche tu? Così conosci mia mamma. Ti
rendi conto di che tipo è.»
«Suona spaventoso.»
«Già.»
E lo è, almeno per lui. Lo è davvero.
Si fermerebbe qualche secondo per riflettere anche su questo, su quanti
vantaggi e svantaggi ci sono nel presentare Jude alla sua famiglia - o
quel che ne rimane - quando si accorge della presenza di qualcuno di
fronte la vetrata.
Ma non una persona a caso.
Il tempo di riconoscerlo ed è già diretto verso
di lui, un sorriso stampato sulle labbra.
«Val!» Esclama una volta fuori, verso il
trombettista appena arrivato.
«Robert.» Risponde pacato quello, senza neanche
voltarsi, preferendo sistemare per bene la propria tromba.
«Che ci fai qui fuori?»
«Oh, io vengo sempre qui, sai.»
«Lo so, ho avuto tempo per rendermene conto. Ma che ci fai
qui fuori ora?»
«Al solito orario?»
«Sì, ma che c-»
Il trombettista scoppia finalmente a ridere, del resto ha sempre
trovato esageratamente divertente il prendersi gioco di quel cameriere
- ma più inserviente - e neanche questa volta ha saputo
trattenersi. Alza la testa per guardarlo in faccia,
dopodiché sorride:
«Sono tornato. Festeggiami pure.»
Robert lo farebbe, certamente, non può negare che gli sia
mancato, ma al momento nella sua testa c'è un'altra
priorità: «E dove sei stato?»
«Cercavo ispirazione. O meglio, cercavo di liberarmi dalle
idee che mi venivano. Non puoi immaginare quanti pezzi ho composto
chiamati
"Cuore infranto", "Ballata del cuore spezzato" o "Jazz del povero
scemo". Volevo anche suonarle, poi ho preferito rinominarle.»
«Fortunatamente.» Ridacchia, cogliendo il sarcasmo
che ha sempre delineato un po' del suo umorismo.
«Vuoi sentire qualcosa?»
«Mh, che proponi?»
«Questa qui ora si chiama "Vittoria", non chiedermi quale
fosse il nome precedente, ed è un pezzo sulla
rabbia,» presenta, per poi suonare qualche nota distratto,
senza trovarci pace, «te lo devo proprio chiedere,»
dice quando si ferma, osservandogli la base destra del collo che spunta
fuori dalla maglia, «hai un livido buffo.»
«Jimmy mi ha picchiato.»
«Ha fatto bene.» E riprende, questa volta
tranquillo, con uno stile un po' diverso, forse più suo di
quanto non lo sia mai stato prima.
Robert lo ascolta rapito e al tempo stesso disinteressato, come nei
primi tempi, osserva e si rende conto di quanto tempo sia passato e di
quante cose siano cambiate da quando si sono presentati la prima volta.
Fra i cambiamenti principali, sicuramente il fatto che adesso
c'è qualcuno ad aspettarlo dentro il locale.
Dove il locale ha inquietamente il sapore di casa, perché
non ha mai smesso - così come lui non ha mai smesso di farci
caso.
«Devo rientrare,» mormora interrompendolo,
«vuoi qualcosa?»
«Sai che non sono bravo a rifiutare.»
«Allora vieni, jazzista.»
Val lo segue, chiaramente, si prende solo qualche secondo per riporre
la tromba nella solita custodia; nessuno dei suoi gesti tradisce la
probabile malinconia che -
forse - porta dentro.
Entra tranquillamente ed azzarda qualche passo, prima di notare Jude
seduto al solito tavolo - ed immediatamente si chiede che cosa stesse
facendo lì da solo.
Si volta verso Robert, tentando di trattenere un qualsiasi ghigno
ammiccante che potrebbe rovinare ciò che vuole chiedere,
«Senti,» annuncia fingendosi serissimo,
«prendimi pure per pazzo ma voi du-»
«Sì.»
«Sì? Bene, mi pareva,» annuisce
compiaciuto, senza abbandonare il tono che si è costruito,
«un livido, eh? Mi ringrazierai dopo.»
«Ma non sei stato tu a farmelo...» Tenta di
ribattere, mentre l'altro è già scappato
ridacchiando.
Pericolo.
Si avvicina frettolosamente ai due, quasi temendo una loro accoppiata,
preoccupazione dovuta anche all'occhiolino decisamente sinistro di Val,
«Jude,» dice nel tentativo di fermare qualsiasi
possibile iniziativa, «vai a prendere qualcosa per lui. Anche
solo le patatine, se vuoi.»
«Guarda che sei tu il cameriere.»
Ah, già,
«Sì. Ma tu ordina comunque,
poi ve lo porto.»
«Robert-» inizia, probabilmente perché
vuole fargli notare che sono solo in tre per tutto il locale, esclusi
gli altri due dietro il bancone
«Io non posso.»
«Ma se lo hai sempre fatto!»
«Jude!»
«Che spettacolo che siete...» li prende in giro Val.
«Jude!»
«Oh, va bene.»
Il tempo di alzarsi per andare a fare le ordinazioni ed il suo posto
è già occupato da Robert, deciso a fare un bel
discorso - il più esauriente possibile - nel poco tempo a
disposizione.
«Ehi,» inizia con tono carico di disappunto,
«non so che hai intenzione di f-»
«Guarda che sei stato tu ad invitarmi.» Risponde il
suo amico, rilassatissimo.
«Lo so. Ultimamente ogni iniziativa pensabile tende a
ritorcersi contro di me.»
«Non direi, sai? A proposito: tu dovresti
ringraziarmi.»
«Lo so.»
«Lo sai, perfetto. Dunque fallo.»
«Grazie per aver scommesso con me Val.»
«Figurati, Robert. Chi se lo sarebbe mai aspettato,
eh?»
«Tu, Val.»
«Bravo,» commenta, fingendo un tono seccato,
«tienilo sempre in mente: io ti ho aiutato nell'impresa
difficilissima di trovarti un fidanzato, quindi ora posso prenderti in
giro per questo.»
«Si tratta di una qualche regola non scritta che ho sempre
ignorato?»
«Una cosa del genere, s-» e si ferma, notando che
Jude sta per tornare indietro. Ne approfitta per abbandonare il
registro che ha usato fino ad ora e riprendere quello più
scherzoso di sempre.
Rimonta anche il sorriso ammiccante:
«Jude, hai mica qualcosa da raccontarmi?»
Jude si siede fra loro due, tranquillamente, raduna un po' delle cose
che aveva sparpagliato quando era ancora solo.
«Come?» Si limita a chiedere, evidentemente
più concentrato su ciò che sta facendo.
«Insomma,» occhiolino patetico, «lo
capisci.»
«Ma è serio?» Domanda invece lui, che
più volte ha dimostrato di capire davvero poco quando si
parla di queste cose; nella sua confusione si volta persino verso
Robert, forse convinto che lui abbia la risposta. Chissà
perché, è sempre convinto che Robert abbia la
risposta.
«Purtroppo sì.»
«Ah,» torna a guardare il trombettista,
«non so. Che cosa vuoi sapere?»
«Com'è Robert?»
«Molto carino. Molto acido. A volte è
sim-»
«Sì, certo, fai il finto tonto. Ma so che hai
capito.»
«È carino anche lì.»
Ed il suddetto - che fino a tre secondi prima si stava beando per i
lievi complimenti appena ricevuti, nei quali Jude raramente si prodiga
- perde
ogni colore. L'unica cosa che riesce a dire è un misero
quanto ridicolo: «Eh?»
«A che domanda hai risposto?!» Esclama invece Val,
apparentemente indeciso fra l'essere sconvolto o l'essere divertito.
«Jude!»
«Non era quello che volevi sapere?»
«No!» Risponde ancora il trombettista, alzando la
voce, quasi più isterico di Robert, «Ero solo
interessato al sesso!»
«Ti interessa Robert che fa sesso?»
«Con te, non certo con me.»
«Nel senso che vuoi guardare? Non so, non credo mi sentirei
particolarmente a mio agio. Inoltre non è che lo abbiamo
prop-»
«Oh, ti prego!» lo ferma Val, per voltarsi
praticamente sconvolto verso il proprio amico, oramai sprofondato nella
sedia per il troppo imbarazzo.
Maledetto Jude.
Lui ed il suo essere così perversamente ingenuo.
«Che c'è?»
«Niente. Dalle parole del tuo ammirevole nuovo ragazzo, qui,
deduco che qualcuno è ancora...»
«Zitto!»
«Come vuoi. Jude, parla al posto suo.»
«Jude, stai zitto pure tu! Non rispondere per nessun
motivo!»
«Ok.» Annuisce lui distratto e se non fa spallucce
è solo perché non è mai stato un tipo
troppo teatrale.
Val non si da' peso del gesto, continua a scherzare. Decisamente
pericoloso
- pensa
Robert - questi due vanno fin troppo d'accordo
perché credo
si capiscano. Eppure il musicista non continua: è
di nuovo
preso dai suoi racconti, da ciò che ha fatto, parla delle
sue canzoni e dei significati che ha deciso di dare ad ognuna di loro.
Dice di aver trovato una conclusione ed è felice che lo
abbiano fatto anche loro, nonostante non sia così certa come
la sua, nonostante sia diversa. «Avevate bisogno di
trovarvi.» Chiude il discorso, enigmatico.
«Non capisco di che parli.» Sminuisce Jude mentre
le loro voci si perdono, Robert smette di ascoltarli per abbandonarsi
ad un sorriso - si rende conto che non importa se lo prenderanno in
giro per sempre, che queste cose non possono intaccare ciò
che ha ottenuto: c'è un vero equilibrio adesso, lo vede
dentro i suoi amici. Nelle loro parole apparentemente spensierate.
Pesano meno quando sono coperte di risate.
*
Gira la chiave, apre la porta di casa.
Sa che sua madre non è ancora tornata ma il gesto esce
comunque lento, tanto che Jude - alle sue spalle - riesce ad
interpretarlo come una sorta di azione solenne.
Non lo spiega, anche perché non saprebbe che cosa dire, si
limita ad attraversare casa senza dire niente per arrivare in camera
sua. Sembra quasi una sorta di imitazione della solita camminata che
fanno nell'appartamento di Jude.
Ed in effetti è la prima volta che lo porta a casa sua,
rendendosi conto solo superficialmente che - magari, forse,
probabilmente - deve mostrargli la casa, descrivergli le stanze e cose
del genere. La sola idea basta per renderlo ancora più
nervoso, quindi la scarta.
«Eccoci.» Dice, sorridendo lievemente.
Jude non si preoccupa, deve essersi abituato ai suoi sbalzi di umore, e
si limita a curiosare con lo guardo. È curioso della
sua
stanza, probabilmente si domanda quante altre cose può
scoprire solo osservandola - e rimarrebbe sorpreso della risposta.
«Vado a vedere se c'è mia sorella...» Ed
in effetti ha bisogno di sapere se è in casa, non
può rilassarsi senza scoprirlo.
Non attende risposta, quindi, e sguscia via frettolosamente.
La chiama per il corridoio, sbircia nella sua stanza, realizza che non
c'è; esultare in silenzio è il minimo: casa sua
è vuota, non c'è proprio nessuno. E questo non
sarebbe neanche strano, se non fosse che non si aspettava una simile
fortuna.
Non quando Jude è lì per la prima volta.
Torna in camera con il cuore più tranquillo, il resto di
sé continua a restare teso.
«I used to wake up in the morning,»
viene accolto,
«I used to feel so baaaad-»
«Non la cantavi da una vita.» Si limita a
commentare, sedendosi poi per terra - e Jude sul letto, come se non
fosse cambiato nulla e la stanza fosse sempre la stessa che occupano
tutti i giorni.
«No, infatti,» risponde dalla sua postazione,
ancora intento a guardarsi intorno, «ti ricordi della mia ex
fidanzata?»
«Non potrei dimenticarla neanche volendolo. Parli sempre di
lei.»
«Non sempre. E cosa diresti se me la fossi
inventata?»
«Direi che volevi tirare fuori il discorso e poi te ne sei
pentito ed hai preso a mentire. Ti conosco: non scendi nel dettaglio
quando devi nascondere qualcosa e lei è tutto
un
dettaglio.»
«Oh, ok. Hai capito. Lascia stare.»
Ma Robert non è mai stato in grado di lasciare stare.
«Mi preoccupa.» Ammette.
«Cosa?»
«Il tuo amore per lei. L'amavi tantissimo, eppure l'hai
lasciata. Sei andato via da Londra per sfuggire da lei.»
«Ma no...»
«Lo so. Non ha senso. Sì, vero. Solo... cerca di
capire, mi sono affezionato ai nostri trascorsi ed ai nostri possibili
futuri. Il nostro futuro. Vedi? Parlo persino sdoppiandoci, quasi do
per scontato che mi lascerai - quasi do per scontato che mi amerai
così tanto.»
«Sulla base di uno sbaglio, però.»
«L'hai lasciata per sbaglio? Oh, bene, sono fortunatissimo
allora!»
«Mi ha lasciato lei. Te l'ho anche detto, sai?»
«Non lo avevi fatto.»
«Ero convinto di sì. Ma il punto è che
sbagli.»
Robert non risponde, non sa che cosa dire. In realtà avrebbe
mille pensieri, mille teorie, mille sensazioni diverse ma non riesce a
decidere fra nessuna di queste: rimane lì, fermo, bocca
lievemente aperte ed occhi pieni di stupore.
Ok, non se lo aspettava.
Da una parte si sente persino felice, da un'altra ha voglia di
abbracciarlo e stringerlo più forte che può, da
una terza sente che deve dirgli qualcosa. Tipo rassicurarlo. Smetterla
con le sue angosce, giusto per un secondo, che Jude deve averne mille
di più nella testa.
«Perché?» Domanda, sapendo che a questo
modo può suonare crudele. Ma la curiosità ha
sempre la meglio, deve scoprire, capire che cos'è che non
funzionava.
«Questo te l'ho detto.» Arriccia il naso l'inglese,
per poi aggiungere mestamente: «A lei non andava bene che
fossi menefreghista. Manco fossi stato distratto.»
«Se fossi stato distratto sarebbe andata meglio? O
diversamente?»
«No.»
«Sai... mi dispiace.»
«Non è vero!»
«Ovvio, ora stai co-»
«Sei un bel po' egoista, Rob.»
Ma sta ridacchiando mentre lo dice. Il segno che questo era un
argomento che lo feriva, lo faceva davvero soffrire, ma che con lui
può affrontarlo quasi divertendosi - che si sta rimarginando
piano piano. Jude parla spesso di lei, è vero, ma non dice
mai il suo nome. Non parla del suo carattere. Non parla della sua
personalità ma solo di cosa adorava di lei.
Per dire che Robert è diverso.
C'è da sperare in questa differenza.
«Ma sai... devi considerare che le scuse non sono mai vere:
nessuno si scusa sul serio. Lo facciamo solo per sentirci meglio, ma a
nessuno dispiace davvero per la persona alla quale si è
fatto un torto.»
«Bugia.»
«Jude...»
«Bugia, bugia, bugia. Stai filosofeggiando perché
non sai che cosa dire. E quando mi scuso lo faccio con il cuore in
mano! Mi segno che non è così per te,
però.»
«Juuude. Non mettere il broncio, non fa
per te,» e
in effetti l'altro sta già sorridendo,
«è che abbiamo deciso di essere sinceri -
no?»
«Sì.»
«Appunto. Sinceramente sono contento che tu sia
qui.»
«Sinceramente ho paura che sia tu a lasciarmi,
Robert.»
«Ti pare possibile?»
«Sì! Quando ti passerà l'immensa cotta
che hai per me. Ti stuferai e nel frattempo io sarò tutto
convertito.»
«Impossibile.»
«Scommetti? Su questo, dai, anziché sui nostri
futuri insieme.»
Per risposta Robert si sposta, si mette in ginocchio, si pone verso di
lui per avere le sue labbra. E Jude lo capisce, forse perché
questa volta ne ha quasi bisogno, si avvicina a sua volta. Sono
terribilmente scomodi nella strana posizione assunta, ma non possono
curarsi anche di questo - hanno più bisogno di sfogare le
ansie in un bacio quasi casto.
«Non preoccupiamoci, allora, niente scommesse.»
Dice infine, sorprendendosi persino che sia stato proprio lui a dire
una frase del genere.
Lo ribacia per sigillare la decisione presa, mentre tentano di
avvicinarsi ancora di più, le mani di entrambi
già pronte per esplorarsi.
La porta di casa di apre. Si chiude. Rumori, qualcuno che chiama, forse
annuncia il proprio ritorno.
«Mia madre è appena tornata.» Spiega
Robert, allontanandosi senza fretta dalle sue labbra. Lo guarda negli
occhi, constata che raramente si è sentito così
preso e così rilassato, che al momento non è
neanche preoccupato per come li potrebbe trovare.
Va tutto bene, si dice.
E la donna entra.
Si voltano entrambi verso di lei, sorridenti. Lei sulla soglia li
fissa, poi guarda solo Jude e per un secondo pare credere che
sia un alieno.
«Ciao mamma, lui è Jude.» Presenta
sbrigativo. Gliene ha parlato talmente tanto che - almeno di nome - lo
conosce: del resto negli ultimi mesi è stato sempre a casa
sua. Strano che già non sospetti qualcosa, da lui che
è sempre stato chiuso ed ambiguo.
Ma sa che cosa sta pensando - "Ah, ecco il famoso Jude, allora esiste
sul serio!" - e non crede di doversi preoccupare.
Non ora comunque.
Non per questo.
«Ciao.» Saluta tranquillamente lui.
«Ciao!» Risponde lei ma, per qualche motivo, pare
agitata, «Sono appena tornata... comunque... non vi
preoccupate: starò di là.»
«D'accordo.»
«Voi fate come volete, vi porto qualcosa?»
«No, non serve.»
«Ma...»
«Forse dopo.»
«Va bene.» Sorride lei, per poi voltarsi ed
andarsene. Robert la conosce, sa che tornerà per farsi
notare e fare bella impressione con Jude - o anche solo per
presentarsi, cosa che ha stranamente dimenticato di fare.
Quasi come se non fosse abituata ad avere persone in casa o amici suoi
- cosa che comunque è vera, non si può dire che
sia un tipo socievole - o come se lo credesse un disadattato tale da
non conoscere davvero nessuno.
Se non altro le ha provato di non avere amici immaginari.
«Non farci caso.» Si limita a spiegare, girandosi
finalmente verso l'altro ragazzo.
«A cosa?»
«A lei. Tornerà, ecco.»
«Non importa... sembra gentile.»
«Lo è.» Anche se viverci
insieme
è un vero inferno.
Ed è buffo come al momento siano spariti tutti i problemi
che sentiva di avere quando ha aperto la porta. L'unico suo bisogno al
momento è quello di stringersi a lui, dimenticare il posto
dove si trovano ed abbracciarsi fino a sembrare una cosa sola. Magari
diventarlo davvero, poi.
Del resto glielo deve, quando invece riesce solo a dire: «Non
è semplice.»
«Cosa?»
«Far funzionare i rapporti. C'è sempre troppa
storia dietro.»
«Lo so, almeno nel mio caso. Tu mi stupisci
però... non me ne avevi mai parlato! Non sapevo che tu
avessi delle storie!»
Ne ho mille sullo stare da solo.
Non risponde, di nuovo non dice quello che sta pensando, questa volta
perché non ne sente il bisogno. Si limita a salire vicino a
lui sul letto, per poi stringerlo finalmente fra le sue braccia,
ridacchiando contento per quei gesti così naturali.
Lo bacia nella solita maniera, rendendosi conto che è il
primo ad imporsi certi pensieri negativi.
Lo stringe e si fa stringere, nel mentre ripensa al loro discorso, alle
sensazioni provate, alla gioia che sente nel cuore. Si rende conto che
non l'ha ancora esplorato del tutto e che ha tempo per farlo.
Questa sua felicità lo riporta a Val. Inevitabilmente, lo
sa. Lo riporta a lui ed alle sue canzoni, le stesse che ha sentito poco
prima, dove il musicista ha cercato di nascondere un significato sotto
un altro significato - avendo comunque un pubblico che non
recepirà nessuno dei due. Si domanda se il musicista si
renda conto che nessuno dei suoi soliti ascoltatori
coglierà qualche tipo di spirito nella sua arte.
Ma con questi pensieri, che un tempo avrebbero caratterizzato la sua
malinconia, si aggiunge la gioia - forse spinta dalla situazione nella
quale si trova, forse dal lieve profumo di Jude ancora aggrappato a lui
- e la volontà di essere un po' più superficiale.
Pensare di conseguenza, ad esempio sul fatto che quelle stesse canzoni
potrebbero essere un sottofondo musicale perfetto per loro due come
coppia.
Perché quelle canzoni parlano di solitudine, dolore,
fallimento ed infine di liberazione. Quello che erano prima di
conoscersi, quello che sono diventati conoscendosi.
Ed accompagnerebbero benissimo, con quelle melodie amare, i silenzi ed
i respiri dei pomeriggi come questo.
Accompagnerebbero i sospiri degli amanti, i sussurri dei vincitori, nel
mentre che Jude è lì tangibile ed insicuro, forse
impaurito, e Robert lo stringe godendosi per una volta il torpore della
compagnia.
Il calore dello stare bene.
Forse - poi, tra qualche secondo, minuto od ora - arriverà
sua madre, li troverà così, si
sconvolgerà perché non ci saranno spiegazioni.
Forse.
Ma non c'è più spazio per le paranoie o i
problemi, non importa adesso. Può solo limitarsi a
considerare che la fine è un loro inizio. O un inizio
consiste in una fine.
♦
Note:
Ci sono dei motivi molto profondi per questo ritardo, tipo questo.
Quindi, tra una valigia fatta virtualmente con Vane
e il cavoleggimento al massimo delle mie possibilità per
concerti/serate, ho avuto persino il tempo di scrivere tutto questo e
poi avere una reazione del genere.
Il capitolo lo dedico alla mia icona di Jude su Twitter (che dovevo
mostrarvi per forza): non avete idea di quanti minuti abbiamo passato a
fissarci negli occhi. ♥
Sì, questo è delirio, ora la smetto e
passo alle cose "serie".
In teoria questo capitolo è l'ultimo.
In teoria.
Perché ne mancano altri due - che sono più
epiloghi che altro - in quanto la trama si è un po'
allungata in fase di stesura e
un solo epilogo non mi basta per concludere tutto. Ve lo
dirò meglio nel prossimo capitolo, per ora vi basti sapere
che siamo quasi alla
fine e già sono triste é_e
A consolarmi c'è il fatto che tra meno di una settimana
farò 20 anni! Non sarò più una teen,
certo, ma
almeno gioirò per un motivo più sensato di
Sight.
Notizia: i titoli dei capitoli - e qualcuno se
n'è accorto -
compongono una frase:
Sometimes I Almost Feel Just Like A Human Being.
Viene da Lipstick Vogue di Elvis Costello, in fase
originale doveva
essere (anzi: era) il titolo della fic, poi ho deciso di arrangiarla in
altro modo. Ed ora l'ho composta del tutto, che emozione!
Detto questo, vi saluto. Un bacione enorme a chiunque sia qui a leggere
questa fic (e queste note), a chi preferisce, chi segue, chi commenta,
chi passa solamente, chi non mi ha ancora presa a sassate come
dovrebbe. Siete tutti carinissimi ed io vi adoro per la pazienza
♥
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