Rosso come il Destino

di Deilantha
(/viewuser.php?uid=133509)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Bonus Track ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***









“In Giappone si dice che ogni persona quando nasce porta un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra.

Seguendo questo filo, si potrà trovare la persona che ne porta l'altra estremità legata al proprio mignolo:

essa è la persona cui siamo destinati, il nostro unico e vero amore, la nostra anima gemella.

Le due persone così unite, prima o poi, nel corso della loro vita, saranno destinate ad incontrarsi,

e non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che ciò avvenga, o la distanza che le separa,

perché quel filo che le unisce non si spezzerà mai,

e nessun evento o azione potrà impedire loro di ritrovarsi, conoscersi, innamorarsi.”





Capitolo 1









Era una strana creatura Emile. Ma l’amavo. L’amavo con tutta me stessa.

E amavo il suo nome francese, unico lascito di una madre che si era arresa tropo presto alla depressione, dimenticandosi di tutto e di tutti, vivendo un’esistenza grigia  dove il figlio e il marito erano ombre ai margini della sua coscienza. Ma pur vedendola così assente, Emile amava immensamente sua madre: in passato era stata una cantante di discreto successo, poi si era innamorata ed era fuggita via col suo uomo, abbandonando “momentaneamente” la carriera, convinta di poterla  recuperare. Invece la casa discografica non gradendo questa fuga, le rescisse il contratto, lei rimase incinta e d’un tratto il suo mondo cambiò. Pensò di potersi dedicare anima e corpo alla nuova vita che cresceva dentro di lei, già si vedeva madre felice ricolma d’amore e già pensava ad un rilancio della sua carriera… ma la depressione post partum l’aveva travolta e non ne era più uscita.

Emile era cresciuto ascoltando la voce di sua madre: aveva la musica nel sangue e prima ancora di saper parlare, già cantava. Perciò non c’era da stupirsi se a 22 anni era un prodigio nel canto e un polistrumentista talentuoso che nel suo piccolo faceva parlare di sé.

 

 

Lo conobbi durante un concerto: ero con i miei amici, felice come una Pasqua perché eravamo riusciti a portarci tutto il nostro gruppo (cosa molto rara!),  persino quella gran poltrona di Sofia che non si schiodava mai da casa propria e dal suo mondo interiore. Io amo circondarmi delle persone care, amo riempirmi la vita di emozioni condivise, di dolori vissuti in gruppo e di gioie amplificate e questo era il concerto di uno dei miei gruppi preferiti, i TresneT: ascoltare dal vivo la loro musica era già un’esperienza travolgente per me, ma riuscire a condividerla con tutti i miei amici più cari, cantare insieme le loro canzoni, sarebbe stato indimenticabile!

E in effetti fu così… ma non nel senso che immaginavo! Mentre facevamo la fila per accedere al luogo in cui si sarebbe tenuto il concerto, ero a dir poco su di giri, mi muovevo in continuazione parlando a raffica con tutti, tessendo le lodi  del gruppo e raccontando la storia della vita di ogni componente: dal batterista con un passato  da alcolista, passando al bassista ex violinista per finire al cantante appena uscito da una crisi d’identità, che gli era valsa la scrittura dei brani dell’ultimo album… Ero nel pieno del mio papiro elogiativo quando le mie orecchie iniziarono a sentire un brusio di fondo che stonava con la mia composizione: c’era qualcuno che stava criticando i TresneT! Al loro concerto! Mi stizzii immediatamente, pietrificata al solo pensiero che tra noi ci fosse qualcuno che non li venerasse e a quanto sembrava, era proprio così!

Nella fila accanto alla mia, ma indietro di due posizioni, un tipo alto e magro, con i capelli rossi, corti ma lasciati più lunghi sulla parte superiore della testa a formare un piccolo cespuglio riccio e una fila di piercing all’orecchio destro,  stava parlando con altri due ragazzi: aveva il viso volto in un atteggiamento di disprezzo, agitava una mano mimando un accordo di chitarra/basso (da cui capii chi stava criticando) e non si faceva scrupoli ad alzare la voce. I suoi amici invece, qualche scrupolo se lo facevano, dato che uno dei due lo guardava sorridendo con imbarazzo mentre l’altro era totalmente a disagio, ma a quanto  pareva, il tipo sprezzante non ne teneva affatto conto, perché continuò imperterrito nella sua sequela.

Mi fumavano le orecchie per la rabbia, che doveva essere ben evidente sul mio viso, dato che Margherita mi prese il braccio guardandomi preoccupata mentre Stefano diceva a Federico: 

«Ecco che Testarossa parte, ci sarà da divertirsi!»

“Testarossa” era il soprannome che mi aveva dato Sté quasi in un’altra vita: mi conosceva praticamente da sempre, eravamo stati compagni di classe alle medie e alle superiori (ovvero fino all’anno precedente) e sapeva benissimo quanto poco ci mettevo a scaldarmi quando mi toccavano qualcosa a cui tenevo con tutto il cuore. Da qui il soprannome di Testarossa, come quella di un fiammifero e non per il colore dei capelli, che invece erano di un nero cupo dai riflessi blu; una specie di Morticia Addams col caschetto, ma senza il suo charme! E la suddetta mancanza si mostrò proprio in quell’occasione, nel momento in cui persi le staffe ed iniziai a ribattere ad una conversazione a cui non ero stata  invitata a partecipare.

«Scusami ma perché sei venuto  a questo concerto se i TresneT non ti piacciono?! Non ti accorgi che le tue critiche stanno dando fastidio a tutti? È come se arrivasse un prete in una riunione di Mussulmani a dire “State sbagliando fede”: chi ti dà il diritto di venire a rovinarci il concerto?!» sentii il silenzio che si era formato d’un tratto nelle nostre due file: stavo dando spettacolo e la folla era in attesa della risposta per sapere se avrebbe ricevuto un bell’intrattenimento nell’attesa di entrare.

Sentivo Stè che ridacchiava alle mie spalle mentre gli altri si tendevano in preda al disagio… Sofia di sicuro si stava pentendo amaramente di essere venuta!

Ma tutto questo contorno di persone m’interessava ben poco: ormai ero lanciata nella mia battaglia personale in difesa dei miei eroi e non volevo uscirne sconfitta in alcun modo, tutto il mio essere era pronto a ricevere la risposta del rossino che mi stava guardando interdetto.

O almeno lo era stato per i primi secondi, mentre ascoltava l’intro della mia arringa. Ma mano a mano che parlavo, ho visto il suo volto mutare dal sorpreso al sarcastico.

«Ecco perché non sopporto voi fans esagitati, come sentite un minimo di critica costruttiva rivolta ai vostri idoli senza macchia, dimenticando che sono comuni esseri umani, partite in quarta pronti all’attacco senza nemmeno sapere di cosa si tratta!» 

Esagitata a me? Beh sì, in effetti lo ero, ma come si permetteva lui, che nemmeno mi conosceva?! Nell’arco di due minuti aveva offeso i miei dei della musica e anche la sottoscritta, questa era un’onta che andava lavata via col sangue!

«Potrò anche essere esagitata, ma almeno non mi presento ad un concerto di un gruppo che evidentemente disprezzo, con il solo scopo di criticarlo e dar fastidio a chi invece l’apprezza! Sembra quasi che tu ne sia invidioso e sia venuto qui per infangarli come la volpe con l’uva!» feci un sorrisetto soddisfatto, occhio per occhio, offesa per offesa! Ma la mia soddisfazione durò poco, quello lì era un osso duro!

«Un altro motivo per cui non sopporto i fans esagitati: non avendo argomenti plausibili, mettono in mezzo il solito discorso dell’invidia. Se proprio ci tieni a saperlo sono qui perché mi hanno invitato, non avrei mai speso un soldo di mia volontà per assistere ad un concerto di una boyband dalle ore contate e non sono venuto qui con lo scopo di dar fastidio, dato che conversavo tranquillamente con i miei amici e non ero di certo a tenere un’arringa pubblica, come sta facendo qualcun altro in questo momento!»

Mi guardò con aria di sufficienza e un sorriso soddisfatto: era riuscito a stravolgere la situazione, ero io ora ad apparire la disturbatrice che monopolizza l’attenzione e disturba il pubblico in attesa! E aveva dato della boyband ai TresneT! Oddio come non lo sopportavo! 

«Io non sto disturbando proprio nessuno, difendo il gruppo che amo e se non te ne fossi accorto, non sono l’unica qui che è venuta per ascoltarlo e non per criticarlo! Eri liberissimo di non accettare l’invito se ti fanno tanto schifo o non avevi nient’altro di meglio da fare?»

Oh, l’avevo messo a posto, Testarossa=2, Rossino Odioso=1!

Vidi il suo sguardo lampeggiare per un momento, ma all’improvviso, campeggiò un sorriso astuto sul suo volto, come per un ripensamento repentino:

«Considerato che volente o nolente, sto dando spettacolo e sto anche pagando per farlo, a questo punto ti lancio un invito ad ascoltare la vera musica: se sei così convinta che i tuoi idoli siano il miglior gruppo del mondo, domani sera vieni al Dada alle 22:00, così capirai cosa significhi ascoltare un vero gruppo! Anzi venite tutti, visto che ci siamo!»

A queste parole si alzò un polverone di domande: erano tutti curiosi di sapere chi si sarebbe esibito, incuranti delle ripetute offese date al nostro amato gruppo: quel tipo terribilmente irritante aveva approfittato della caciara per fare pubblicità a qualche gruppetto di belle speranze ed era riuscito ad attirare l’interesse di tutta la sua fila!

Miscredenti!

Ed io che avevo lottato anche per loro!

A quel punto ero rossa di rabbia ed ero stata battuta, perché non avevo più possibilità di replicare, visto il vociare che si era creato intorno a lui. Sentivo Stè che rideva a crepapelle, divertito come non mai dal mio spettacolo: era uno dei miei migliori amici e forse l’unico che non mi faceva pesare questo carattere impulsivo che mi trovavo, essendo sempre divertito dalle mie “passionali argomentazioni”, come le chiamava lui ed era una panacea per me, che spesso mi pentivo di aver parlato un po’ troppo. Mi alleggeriva il senso di colpa per non aver tenuto la bocca chiusa e mi faceva sentire meno sbagliata. Ma in quel momento l’avrei fucilato! Ero troppo arrabbiata e mortificata per soprassedere a ciò che era appena accaduto e le sue risate mi facevano sentire ancora più ridicola!

«Che ti ridi tu stupido!? Potevi anche parlare e aiutarmi, non piacciono forse anche a te i TresneT? O sotto sotto anche tu sei come quell’imbecille lì e vieni solo per criticare?!»

Ero al culmine della rabbia e sentivo già l’umidità salirmi negli occhi, quando Margherita mi prese per le spalle e riuscì a placare il fuoco che mi stava divorando.

 «Calmati Pasi, ti stai agitando troppo e ti stai rovinando la giornata, vuoi dargliela vinta in questo modo? Ora rilassati e dimenticalo, sei con i tuoi amici e stai per ascoltare il tuo gruppo preferito, dieci minuti fa eri al colmo della gioia, torna in quello stato d’animo e non pensare più ai disturbatori fastidiosi.»

Margheritina mia, menomale che c’era lei! Con la sua calma mi riportava sempre a ragionare e a non farmi arrivare ad un passo dall’ulcera, era la mia medicina personale!  

«Hai ragione Rita, ora mi calmo, non vale la pena rovinarsi una giornata splendida per un deficiente!»   Caricai l’ultima parola di tutto il mio disprezzo, prima di fare un respiro profondo  per ritrovare la calma, come mi aveva insegnato Sofia, che praticava yoga ormai da anni e spesso ci dava dimostrazioni pratiche di quanto una respirazione regolare e profonda potesse calmare l’animo più sconvolto. 

Dopo quest’avvenimento a dir poco fastidioso, cercai di non pensare più a quel tipo odioso e di godermi la giornata: la fila iniziò a scorrere più velocemente (e non poteva farlo prima?!), i cancelli si aprirono e fui proiettata nel mio piccolo Paradiso! Il concerto fu bellissimo ed io me lo godetti tutto, ma ogni tanto mi saliva alla mente quello che avevo sentito dire  da quel tipo insopportabile prima di infuriarmi: “Due accordi ripetuti continuamente cambiando solo il background non sono musica, è commercio spietato”,  questa frase mi rimbombava nella testa ogni volta che sentivo il chitarrista o il bassista e iniziai a sentire i brani in modo critico. La musica era sempre stata sinonimo di trasporto emotivo per me, mi appassionavo ad un brano quando mi trasmetteva emozioni, quando senza nemmeno capirne il testo, sentivo un magone improvviso, oppure avevo voglia di gridare al mondo la mia felicità. Ma ora quel tipo iniziava a farmi percepire la musica da un punto di vista tecnico più che emozionale: era così che la percepiva lui? Sentiva solo la tecnica senza farsi trasportare dalle emozioni? Che razza di musica ascoltava allora? Magari era un fissato di robetta classica o di strumenti suonati in modo improbabile pur di sembrare dei geni creativi! Ed io mi stavo perdendo il concerto per pensare a certe cose!

Alla fine della serata, Stè esordì con:

«Allora Testarossa, a che ora vengo a prenderti domani?»

Lo guardai interdetta, non avevamo parlato di uscire, né avevamo alcun appuntamento…

«Di cosa stai parlando Testa di Paglia?»

La mia originalissima contromisura al soprannome di Stè: aveva i capelli biondissimi, tant’è che alle medie lo prendevano in giro chiamandolo svedese e siccome non era facile trovare capelli così chiari intorno a noi, quando iniziò a chiamarmi “Testarossa”, decisi di controbattere con la stessa moneta, criticando il colore dei suoi capelli. Ok, è vero che la sua era stata una trovata più originale, rispetto alla pura critica fisica, ma ad una ragazzina di undici anni colta nel suo punto più debole e facile a perdere le staffe senza ragionare, al momento non venne nulla di più originale in mente! E poi quell’anima sempre allegra di Stè non se la prese minimamente, anzi, ci fece una risata su e accettò il soprannome di buon grado. Così in classe iniziarono a chiamarci Le Teste di Fuoco, e diventammo una coppia indivisibile!

«Sto parlando dell’invito del tuo nuovo fan, l’esibizione di domani al Dada alle 22:00»

Sgranai gli occhi per lo sbigottimento: Stè voleva dare soddisfazione a quel tipo! E si aspettava che ci andassi anche io!

 «Ma dico stai scherzando vero?! Non darò una soddisfazione simile a quello lì nemmeno se mi pagano! Non andrò a sentire un gruppetto da quattro soldi facendo il suo gioco!»

Stè mi guardò divertito, come qualcuno che ti conosce talmente bene che sa già cosa farai prima ancora che tu stessa ci abbia pensato.

«Ok, allora passo a prenderti alle 21:00, così arriviamo presto e non ti perdi lo spettacolo!» e come al suo solito, si fece una bella risata. Margherita, Fede e Sofia non furono minimamente interpellati perché sapevamo che non sarebbero venuti: Sofia  ci aveva già donato la sua uscita settimanale e mai sia che facesse bis, Rita era “super impegnatissima” come diceva lei, tra università, palestra e lavoro part-time (persino il suo nome preferiva accorciarlo in qualcosa che fosse sbrigativo e facesse perdere meno tempo!), Fede aveva il lavoro nella comunità che era la sua vita, quindi come al solito, rimanevamo io e Stè, Le Teste di Fuoco, sempre pronti a fare casino quando ce n’era occasione.  E tutto sommato era vero, volevo andarci per sentire che razza di gruppo stava promuovendo quel tipo!















________________________________

NDA
Questa è la prima storia che pubblico che non sia una one-shot. Finalmente, a quanto pare, la mia ispirazione sembra essere un pò più duratura, per cui sono altamente felice di poter iniziare a pubblicare qualcosa che non si fermi ad un solo capitolo!
Perciò, al di là del riscontro che potrà avere con i lettori, sono davvero felice e soddisfatta per averle dato la luce. Ovviamente spero che la mia piccola creatura possa piacere e che lasci qualcosa ai lettori, come sta facendo a me che la scrivo.

Ringrazio come sempre la mia Tomodachi, Iloveworld, perchè è diventata la mia Beta Reader, perchè mi ha spronato a scrivere qualche mese fa quando ci siamo conosciute e perchè lo fa tutt'ora col semplice fatto di esserci. :*


Grazie mille per essere passati da qui ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


Capitolo 2





 

Trascorsi quel giorno pensando a come affrontare la serata: cosa dire in caso avessi incontrato quel rossino (sperando di non doverlo vedere!) e come reagire in caso il gruppo mi fosse piaciuto… Ma quest’ultimo  pensiero lo tenevo stretto dentro di me e nessuno mai avrebbe sentito dalla mia bocca parole di elogio per questo fantomatico gruppo di dei della musica! No, lo avrei criticato e me ne sarei tornata a casa piena di gioia e soddisfazione! Però andandoci avrei fatto il gioco di quel tizio, pagando per sentire il suo gruppetto…  

Il suo gruppetto….

Il suo gruppetto!

Vuoi vedere che era un musicista anche lui! Ma certo, perché non c’avevo pensato prima?! Era venuto al concerto dei TresneT per osservare la “concorrenza”, ecco perché li criticava ostentatamente! Allora dovevo andarci di sicuro a sentirlo! Non m’importava più di dargli soddisfazione, di fare il suo gioco e di finanziare la sua esibizione, dovevo vedere che razza di musicista tronfio ed esaltato era, per vendicarmi in seguito con la più aspra delle critiche!

Stè passò a prendermi in perfetto orario e anche io stranamente ero stata del tutto puntuale, come tenne e precisare anche Testa di Paglia:

«WOW! Non ho atteso che un minuto, deve proprio interessarti parecchio quest’esibizione! Da quanto ti stavi preparando?» 

Stè mi conosceva troppo bene per non sapere che la mia rara puntualità era frutto di una preparazione ben studiata da tutto il pomeriggio: vestito, trucco e parrucco non sono cose che si possono inventare in mezz’ora, soprattutto quando scendi in guerra e devi mostrare il meglio di te!

«Uff, non posso nasconderti mai nulla! Stasera sono armata fino ai denti Testa di Paglia, devo essere al meglio e non c’è nulla di più galvanizzante per l’animo di una donna, del sentirsi perfettamente preparata!»

Stè si fece una delle sue belle risate allegre:

«Non finirete mai di stupirmi voi donne, avete la capacità di dare profondità alle cose più stupide!» e così dicendo fece partire l’auto.

Arrivammo al Dada verso le 21:30, in tempo per evitare la folla dell’ultimo secondo e aggiudicarci un piccolo tavolino da cui goderci lo spettacolo:  il locale era nato per ospitare esibizioni artistiche di ogni genere ed era provvisto di un bel palco che rendeva ogni spettacolo visibile da qualsiasi posizione. Era aperto ormai da dieci anni e sembrava essere un evergreen, c’era sempre folla al Dada!

In poco tempo infatti, tutta la sala si riempì e il vociare divenne insopportabile, finché finalmente qualcuno salì sul palco, presentò il gruppo e con la prima nota si accesero anche le luci su di esso: da lì in poi il tempo per me si fermò.

Avevo avuto la giusta intuizione, il rossino era il cantante del gruppo: al centro del palco, abbigliato totalmente di nero, la sua chioma accesa risaltava come il fuoco ardente di una torcia, e proprio come una fonte di luce, rubava la scena al resto del gruppo. Non era particolarmente dinamico, come molti frontmen che vanno su e giù per il palco al pari di un acrobata, bensì cantava restando fermo al suo posto, ma seguendo con il corpo il ritmo della musica e girandosi di tanto in tanto verso gli altri membri del gruppo.  C’era però qualcosa che lo rendeva assolutamente carismatico, qualcosa a cui non ero pronta: la sua voce. Era aspra e graffiante, ma aveva qualcosa che ti arrivava al cuore, un’asperità di quelle che ti causano una fitta, che non dimenticherai più. Cantava con passione, mettendoci tutto se stesso; sentivo che in quel momento stava trasmettendo le sue emozioni agli astanti, incurante del fatto che l’ascoltassero o meno. Guardava il pubblico mentre cantava, con un’espressione intensa che quasi mi faceva paura, ma avevo l’impressione che cantasse per qualcuno che non era lì, come se stesse dialogando con un ascoltatore invisibile e volesse fargli arrivare le sue parole.  Credo di essere rimasta pietrificata per tutta la serata, perché riesco a ricordare solo lui, che canta e che ad un certo punto prende una chitarra e si getta in un assolo che mi ha messo i brividi. Ricordo solo che all’accendersi delle luci in sala, nel caos degli applausi e delle urla, ho visto Stè che mi guardava sorridente e soddisfatto:

«Credo proprio che sia valsa la pena di venire qui stasera, vero?»

Lo guardai come se provenisse da un altro pianeta, poi mi riscossi e feci un pallido cenno di assenso:

«Non ho mai sentito qualcuno cantare in questo modo Stè! Sono sbalordita!»

Testa di Paglia mi diede un pizzicotto sulla guancia, in un gesto affettuoso di supporto e andò a prendere due birre. Io ne approfittai per  osservare la gente intorno a me: molti astanti stavano andando via, altri invece come il mio amico, erano andati a rifornirsi per un’ultima bevuta e pochi altri erano intenti a parlare animatamente. Qualcuno era sotto il palco indicando gli strumenti, erano in cinque e di sicuro parlavano del gruppo perché avevano un volto molto simile a quello che sentivo di avere io, ma c’era anche una certa soddisfazione in più. Molto probabilmente erano dei fans che conoscevano bene quei musicisti. Solo allora mi accorsi che uno di loro aveva dei depliants in mano e che li stava distribuendo girando per la sala, finché arrivò anche al mio tavolo:

«Ciao, scusa se ti disturbo, se ti è piaciuto il gruppo stasera, volevo lasciarti questo flyer con le prossime date, così potrai sapere dove trovarli se vuoi sentirli ancora.»

Era un ragazzo con gli occhiali e un orecchio tempestato di piercing, sicuramente coetaneo e amico del gruppo del rossino, che li stava aiutando a promuoversi.

«Grazie, lascia pure qui.»  mi ritrovai a dire prima ancora di rendermene conto, «Sono sba…» avevo iniziato a commentare l’esibizione con lui, ma si era già allontanato verso il prossimo tavolo  «…lordita..».

Guardai il flyer: avevano tantissime date, tutte nei locali dei dintorni  e anche qualcuna a chilometri di distanza, in fondo all’opuscolo c’era anche la notizia che stavano incidendo il loro primo album: non erano così principianti allora! Per incidere dovevano avere una casa discografica che li aveva sentiti e apprezzati e soprattutto, dovevano avere una buona fetta di pubblico che li amasse e seguisse da tempo!

Nel retro del flyer c’erano i nomi dei componenti del gruppo e li scorsi tutti cercando il nome che m’interessava conoscere: bassista, chitarrista, batterista, secondo chitarrista… cantante: Emile Castoldi. Aveva un nome straniero e un aspetto non proprio comune, ma non avevo sentito nella sua voce un accento particolare che denotasse la sua appartenenza ad un’altra nazionalità. Forse era un nome d’arte? O forse aveva dei genitori fantasiosi!

Iniziai a fantasticare sulla famiglia Castoldi, al tipo di persone che la componessero, considerato che quel tipo che tanto mi aveva sconvolto ne faceva parte e non mi accorsi che Stè nel frattempo era tornato.

«Allora, quando andiamo a risentirli?» alzai il capo all’improvviso sentendo la sua voce:

«Vuoi seguire il loro tour Testa di Paglia?» dissi sorpresa all’idea.

«Perché no Testarossa?! Sono bravi e non puoi dire che non ti siano piaciuti; invece di buttare le serate da un locale all’altro senza meta, almeno ne trascorriamo qualcuna sentendo bella e buona musica.»

Aveva ragione, era bella e buona musica e in quel momento realizzai che il rossino, quell’Emile, mi aveva dato una lezione e che io avevo perso la sfida su tutti i fronti!

Non risposi a Stè, iniziai a bere la mia birra e cambiai discorso, anche se nella mia testa mi arrovellavo per cercare di convivere con la rabbia di aver dovuto dar ragione a quel tipo e lo sbigottimento per aver scoperto melodie nuove e decisamente emozionanti ad un passo da casa mia.

Solo quando Stè mi riaccompagnò a casa decisi di rispondere:

«D’accordo, andiamo!»

Testa di Paglia mi guardò perplesso:

«Andiamo dove Pasi?»

Avevo esordito all’improvviso dopo un lasso di tempo trascorso in silenzio, e giustamente Stè non sapeva di cosa stessi parlando.

«Andiamo a sentirli di nuovo! Voglio riascoltarli e capire se sono davvero così talentuosi o se è stato solo l’effetto del primo impatto con la loro musica che mi ha scioccato!»

Avevo trovato un misero compromesso con me stessa: non volevo alzare ancora la bandiera bianca, mi dovevo dare una seconda possibilità e provare a me stessa che mi ero fatta condizionare, che ad un secondo ascolto non sarebbero stati poi così eccellenti.

«D’accordo Testarossa, sei sempre la solita testarda ed è inutile che ti faccia notare che ormai non te li leverai più dalla testa, tanto me lo dirai tu tra qualche tempo!» con uno dei suoi migliori sorrisi e uno dei soliti caldi abbracci mi salutò , dandomi la buonanotte.   

Ma la mia notte non fu così buona: sognai Emile che cantava, che mi guardava soddisfatto e mi derideva con una luce maliziosa negli occhi perché si era dimostrato più capace dei TresneT, più bravo di molti musicisti affermati e mi aveva mostrato che aveva ragione, che la sua arroganza aveva un buon motivo di esistere.

 

******

 

«Pasifae sei sveglia?»

«Mmmmm»

«Pasifae?»

«Mmmm….mamma che c’è?!»

«Io e tuo padre andiamo, ricordati che ci siete solo tu e Simona oggi in casa.»

«Mmm»

«Ok, ti lascio un bigliettino, ciao.»

 

Percepii che mia madre mi stava dando un bacio prima di andar via, ma quando mi svegliai non ricordavo più nulla di quello che mi disse. Non che avessimo fatto un grande discorso: cercare di svegliarmi è sempre stata un’impresa degna di Frodo Baggins e in questo caso, dopo una notte costellata di sogni sgradevoli, ero molto più che assonnata! Perciò quando mi alzai mi guardai intorno sorpresa di non vedere anima viva in casa.

Poi lessi il bigliettino di mia madre: lei e mio padre erano andati al matrimonio di un cugino, a cui io e mia sorella avevamo ben pensato di non partecipare, così per tutta la giornata avremmo potuto goderci un placido silenzio. A dir la verità la mia famiglia era tutto fuorché rumorosa: sempre attenti a mantenere una buona reputazione per il vicinato, i miei genitori non avevano mai alzato la voce, tenuto un volume troppo alto o fatto rumori molesti. L’unica fastidiosa della famiglia ero io! Erano sempre tutti così compiti  e impassibili, sempre pronti ad accogliere il lato pesante e tetro della vita senza mai concedersi un giorno di allegria… Non avevo mai visto i miei genitori  prendersi un giorno di ferie, andare a cena fuori, viaggiare… Doveri e sacrifici, sacrifici e doveri, questo era il binomio perfetto di  Adele e Vittorio Isoardi!

E mia sorella Simona non era da meno: tranquilla, ponderata e pignola, non la vedevo mai adirarsi, mai innervosirsi per qualcosa. L’unico segno che fosse adirata era dato dal corrucciarsi delle sue sopracciglia! Capoclasse a vita, beniamina di tutti gli insegnanti, sempre capace in ogni cosa che faceva, era l’orgoglio dei miei genitori: era anche in procinto di laurearsi in ingegneria e non osavo  immaginare l’uragano di orgoglio genitoriale che avrebbe investito la casa in cui vivevo… e che avrebbe messo per contrasto la sottoscritta nell’ombra più cupa dell’infamia!

Io ero la pecora nera.

Quella che urlava, quella che si agitava e diceva tutto quello che le passava nella testa, ma soprattutto, ero quella che non aveva uno scopo nella vita. Avevo terminato le scuole superiori da qualche mese e non mi ero ancora decisa ad iscrivermi ad una facoltà universitaria: ormai tutti i miei coetanei erano presi dai corsi, Stè incluso, anche se lui  la prendeva alla leggera (come era suo solito), mentre io ancora non sapevo nemmeno se iscrivermi o no. O meglio, fosse stato per la mia sola volontà, ne avrei fatto volentieri a meno! La scuola è sempre stata un incubo per me: chiusa in quelle quattro mura a fare il soldatino ubbidiente che risponde come vogliono i prof, senza poter esprimere un parere personale e sempre con l’ansia da prestazione per ogni interrogazione! Quando sei figlia di due professori, e sorella minore di un topo di biblioteca, tutti si aspettano da te come minimo il 100% e se risulta che tu sia un genio è tanto di guadagnato! Invece io a mala pena riuscivo ad arrivare al sette: stare sui libri mi opprime, anche se poi leggere mi piace, ma il solo pensiero di dover studiare pagine e pagine, di dover forzatamente memorizzare tutto e impararlo alla perfezione per la gioia altrui, mi faceva salire l’orticaria e un senso di nausea profonda!

Ma come fai a dire ai tuoi genitori che rinunci agli studi? Per fare cosa poi?

Avessi avuto uno straccio di idea almeno!

Fede appena diplomato era entrato a lavorare in una comunità per tossicodipendenti: era un lavoro impegnativo e difficile, ma lui l’adorava e senza pensarci mezza volta aveva rinunciato agli studi per stare accanto a persone che “hanno bisogno di calore umano”,  per usare le sue parole. Qualche volta sono andata anche io a dare il mio contributo come volontaria e l’esperienza è stata davvero  interessante e profonda, credo che mi piaccia dare una mano a chi ha perso un po’ di luce lungo la strada.  Ma come potevo dire ai miei illustrissimi e acculturati genitori che rinunciavo allo studio?

Ho iniziato a sentirmi a disagio nella mia famiglia praticamente da quando riesco a ricordare: ero la piccola di casa, la pestifera, quella che turbava la quiete e quando sono andata all’asilo, quella che litigava con i compagni che la prendevano in giro perché non sapeva dire il proprio nome.

Sfido chiunque a cinque anni a dire PASIFAE e a ricordarsi nello scriverlo, che c’è un dittongo che non va letto! Tutto merito della brillantezza di mia madre, che da professoressa di greco e amante di tutto ciò che è ellenico, decise di darmi il nome della regina di Creta, moglie di Minosse e madre di Arianna… e del minotauro!

Quanto odiavo il mio nome!

Ridicolo, fuori moda e bersaglio facile per domande idiote e insulti di vario genere: “Pasifae non sa il suo nome! Che razza di nome è Pasifae?! Ma sei turca? Ma sei straniera? E come si scrive? Allora sei una mucca! A Pasifae piacciono i tori!” e via dicendo scadendo sempre più nel volgare mano a mano che crescevo e incontravo idioti pronti a deridermi! Così per gli amici e per tutti quelli che incontro ora, io sono solo PASI, semplice, criptico e senza pretese!

Guardai l’orologio: erano le 11:00, avevo decisamente dormito troppo! Ma quando inizi a sognare cantanti dai ricci rossi a cespuglio che ti guardano con aria di sufficienza mentre tu non sai se adorarlo o odiarlo, sfido io a dormire di meno e svegliarti riposata! Per fortuna i miei genitori non c’erano e potevo godermi ugualmente una bella tazza di latte e cereali! Ero in procinto di prepararmi  la mia ricca  colazione quando squillò il telefono:

«Pronto?» silenzio. Sentivo qualcuno dietro la cornetta, ma evidentemente non c’era desiderio di parlare, altra cosa che mi faceva saltare i nervi!

«Senti, se non hai voglia di parlare o sei hai intenzione di dare fastidio, hai preso la persona sbagliata, sono già di pessimo umo…»

D’un tratto sentii qualcuno che parlava mentre io sbraitavo infuriata:

«Pasi sono io.»

Simona mi stava chiamando da un telefono pubblico, altrimenti avrebbe usato i nostri cellulari per chiamare... ma dove si trovava? Doveva essere in facoltà ora! 

«Simona, è tutto ok?» la sentivo restia a parlare e la mia ansia crebbe di colpo: «È successo qualcosa Simo!?!» Di nuovo il silenzio e poi dopo qualche secondo, un sospiro profondo:

«Pasi sono al pronto soccorso, mi sono rotta una gamba!»

«CHECCOSAA?!»

Simona, Miss Perfezione, si era fatta male! Cosa diavolo aveva combinato per rompersi una gamba?!

«Ma chi… Che hai combinato? O meglio, com’è successo? Qualcuno ti ha spinto? Ti hanno picchiato?»

«N-no tranquilla, non è accaduto niente, solo…puoi venire a prendermi? Gli altri se ne sono andati e non posso tornare da sola a casa...»

Gli altri… quindi era con qualcuno, o meglio lo era stata.

«Vengo subito Simo, aspettami!» corsi a cambiarmi, pensando con rammarico alla mia tazza di latte e vestendomi in tutta fretta, scesi le scale che davano nell’ingresso e cercai le chiavi dell’auto…per ricordarmi che non ce n’erano! Una era con i miei genitori e l’altra l’aveva Simona. Dannazione! Poi mi resi conto che c’era ancora un mezzo di trasporto in rimessa, per quanto misero potesse essere: la mia bici. Così ringraziando il cielo di aver deciso  di mettere i pantaloni, risparmiandomi un’altra salita in camera mia per cambiarmi, uscii di casa diretta all’ospedale con la mia fedele due ruote.

 

*****

 

Arrivai all’ospedale in poco tempo, parcheggiai la bici e salii al pronto soccorso: Simona era nel corridoio, aveva già una fasciatura alla caviglia ed era in attesa del controllo dell’ortopedico. Appena la vidi, mi precipitai da lei e le chiesi senza troppe cerimonie:

«Cosa diavolo è accaduto? Non è da te cacciarti in questi guai!» infatti, quella di solito era una mia prerogativa…

«S...sono caduta dalle scale in facoltà, mi hanno urtato e ho perso l’equilibrio mentre scendevo...» Simona non mi guardò in faccia mentre parlava, sembrava davvero mortificata, non l’avevo mai vista così... umana! Mi sedetti accanto a lei e le diedi un buffetto su una delle mani che teneva tese sulle gambe:

«Dai su, non è la fine del mondo, ti rimetterai presto»  e per una volta nella vita non sarò io il bersaglio del malcontento dei nostri genitori, pensai con cattiveria, ma me ne pentii subito, non era colpa di Simona se era una figlia modello, ero io che non andavo bene in quella famiglia!

D’improvviso mi resi conto che al ritorno dall’ospedale, avrei dovuto guidare l’auto, lasciando incustodita la bici! L’auto di Simona era una misera utilitaria senza un portabagagli degno di quel nome, era impensabile potervi inserire la mia due ruote…. Dovevo chiamare qualcuno che la portasse nella propria auto e in quel caso c’era solo una persona che poteva farlo.

«Simo scusami un attimo, devo fare una telefonata.»

«Non vorrai chiamare mamma e papà?!»

Mi guardò col terrore negli occhi: lei che era la gioia dei nostri genitori, temeva le loro ire?! Ed io allora come avrei dovuto comportarmi?! Ero una continua delusione per loro, mi sarei dovuta contorcere in preda alla disperazione ogni volta che sapevo di averli rattristati?!

«No no, sta tranquilla, devo risolvere una questione pratica, di trasporto.»

 

Ero a far la fila per il telefono (nella fretta avevo dimenticato il cellulare, e a quanto pareva era una situazione comune a molti, visto che c’erano almeno cinque persone davanti a me in attesa di usare l’unico telefono pubblico del pronto soccorso) tenendo d’occhio Simona, quando all’improvviso dal corridoio vidi comparire Emile! Stava parlando con un dottore e aveva l’aria concentrata: anche un suo familiare si era cacciato nei guai?  Ma proprio in posto simile dovevo incontrarlo? Dopo i brutti sogni che mi aveva causato, l’istinto di andargli vicino e tirargli un pugno su quel viso saccente era quasi incontenibile!

Poi però notai che accanto a lui c’era una donna minuta, bruna e silenziosa. Il dottore le stava dicendo qualcosa ma lei guardava dinanzi a sé come se non lo ascoltasse, mentre Emile era il ritratto della concentrazione: ascoltava ogni singola parola mentre circondava la donna con un braccio e quando il medico si allontanò, fece sedere la sua compagna con gentilezza, si accoccolò di fronte a lei parlandole con un sorriso gentile sul viso e le diede un dolcissimo bacio sulla fronte prima di alzarsi e lasciare la donna in compagnia di un’infermiera. Mi resi conto di essere rimasta fissa ad osservarlo per tutto il tempo e mi riscossi solo quando qualcuno dietro di me mi fece segno che il telefono era a mia disposizione (e di quelli che attendevano che mi sbrigassi ad usarlo!).

 

*****

 

Stavo tornando da Simona, ripensando alla scena di poco fa, quando vidi tornare Emile e sentii anche una voce dall’altro capo del corridoio:

«Testarossa!»

Eccolo Stè, il cavaliere senza macchia e senza paura sempre pronto ad aiutarmi (soprattutto se c’era Simona di mezzo): di solito non mi dava fastidio la sua esuberanza nel chiamarmi ovunque a gran voce, io ero la prima a farlo; ma in questo caso, quell’appellativo tanto familiare, aveva fatto girare anche un’altra testa, veramente rossa, nella direzione di Stè e seguendo i suoi passi, gli occhi di Emile arrivarono su di me.









_____________________________________

NDA

La scrittura di questa storia continua con piacere e gioia per me e sono commossa dall'entusiasmo con cui le mie sorelline hanno accolto il primo capitolo, per cui se anche il secondo vi entusiasmerà non potrà che farmi felice, visto che ne ho scritti una decina finora e spero vi possano piacere tutti (egocentrica me xD) ^ ^

Tuttavia, se avete critiche e/o suggerimenti sono pronta ad accoglierli, il confronto fa bene alla crescita interiore ^ ^

Grazie mille a tutti voi che avete letto e a chi recensirà e come sempre, un grazie immenso alla mia Tomodachi - Beta Reader Iloveworld, sempre pronta a consigliarmi e a condividere con me questo momento di creatività entusiasmante :*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 03 ***


Capitolo 3

 





L’imbarazzo che mi colse fu innaturale: non sapevo cosa dire sentendo quegli occhi su di me e vedendo la preoccupazione sul volto di Stè, poi vidi Emile passare davanti a noi con quella donna, senza degnarci di uno sguardo e tornai in me. 

Brutto arrogante, poteva almeno fare un cenno di saluto!  

Mi ero proprio arrabbiata: avevo trascorso gli ultimi tre giorni sempre col suo volto nei miei pensieri, salutarmi era il minimo che potesse fare! E il fatto che probabilmente non mi aveva notato la sera prima al Dada e di certo non poteva sapere che l’avevo sognato, erano particolari insignificanti, rispetto al malumore che mi stava causando da troppo tempo ormai!

La mia dignità offesa però dovette cedere momentaneamente il passo ad una realtà più immediata, perché Simona era andata dall’ortopedico e Stè era una maschera di preoccupazione:  

«Pasi, mi vuoi dire cosa è successo?»

Il fatto che mi chiamasse per nome era indice della sua serietà: Stè era innamorato di Simona da tempo immemore, ma non aveva mai trovato il coraggio di confessarglielo. Lei era più grande di tre anni, sempre così seria e compita e incuteva un certo timore: di sicuro Testa di Paglia temeva di risultare un bimbo sciocco e inetto davanti agli occhi di mia sorella. Se molte cose della vita, Stè le prendeva con leggerezza e filosofia, quando si parlava di Simona era totalmente insicuro e tragico! Aveva avuto le sue storie e credo che alcune delle sue ex ragazze le avesse amate in qualche modo, ma nessuna era riuscita mai a distoglierlo da mia sorella.

Cosa ci trovasse in lei era un mistero per me! Eravamo quasi due estranee, io non capivo lei e lei non capiva me e nessuna delle due sembrava intenzionata a cambiare le cose: era così fredda e distaccata, sempre pronta a parlare di doveri e mai di piaceri…non ricordo una sola volta in cui fossimo uscite insieme a divertirci! Come poteva Stè, il giullare del nostro gruppo, essere travolto così tanto da una persona che era il suo esatto contrario?

In quel momento però il suddetto giullare aveva tutt’altro aspetto e se non mi fossi decisa a parlare, sarebbe imploso per l’ansia e me lo sarei portato sulla coscienza per tutta la vita.

«Stai tranquillo Testa di Paglia, non è niente di grave» o almeno lo speravo: eravamo in attesa che Simona uscisse col verdetto dell’ortopedico, «Simo sta bene, è solo terrorizzata al pensiero di dirlo ai nostri genitori!»

A quel punto mi scappò una risatina, che Stè non gradì affatto: che brutto effetto gli faceva mia sorella, era irriconoscibile!

«E dai Stè! Non fare quella faccia! Cosa vuoi che sia una piccola caduta dalle scale, che non ha nemmeno provocato lei, davanti alla sua perfezione? Mamma e papà non le diranno nulla, anzi la coccoleranno e le cadranno ai piedi servendo e riverendo la loro figlia prediletta!»

Stavo iniziando a parlare in modo maligno e acido, in quel pronto soccorso si erano concentrate troppe persone irritanti e se non mi zittivo subito, avrei potuto dire qualche cattiveria di troppo.

«Scusa Stè... lo so che sei preoccupato per Simona ed io sono una perfetta imbecille, ma è che ho dormito male e poi non ho fatto colazione e sono venuta qui di corsa e c’era anche quello lì…»

«Quello lì chi?» disse Stè con l’aria più sorpresa del mondo; evidentemente preso dalla preoccupazione, non aveva notato la presenza di Emile nemmeno quando gli era passato accanto.

 «Uff, quello lì, Emile, il cantante! Quello di ieri e dell’altro ieri e.. di oggi! È diventato un incubo, lo ritrovo ovunque io vada!»  anche nei sogni,  aggiunsi mentalmente.

 «Ah sì? E che ci faceva qui?»

«E cosa vuoi che ne sappia!?» Risposi stizzita: non c’era nulla da fare, quel tipo tirava fuori il peggio di me! 

«Ti ha detto qualcosa? Ti ha riconosciuto?»

«Credo di no, l’ho visto da lontano e poi è passato dietro di te quando sei arrivato, senza degnarci di uno sguardo!»

Parlandone, tornò a riassalirmi la rabbia per quel comportamento che dal mio punto di vista del momento, era decisamente poco educato.

«E beh, cosa volevi che ti dicesse? Sicuramente era preoccupato per qualcuno se si trovava qui e non credo che si ricordi di te. Anche se quando avete discusso hai dato il meglio delle tue capacità… Io mi ricorderei certamente di quella tua testolina calda!» Così dicendo mi appoggiò una mano sulla testa ed io sconsolata l’abbracciai.

Ho sempre adorato gli abbracci, generano calore e creano un’intima comunicazione tra due persone; credo che riescano a trasmettere affetto e conforto molto più di tante parole e considerato che la mia famiglia era un tantinello rigida e fredda, ogni volta che potevo abbracciare Stè o qualcun altro dei miei amici, ne coglievo l’occasione al volo. Loro erano la mia vera famiglia, il mio porto sicuro, le persone care che avevo scelto io e non una stupida linea di sangue, che finora mi aveva portato solo rogne e incomprensioni!

Mentre ero lì a bearmi del caldo abbraccio di Stè, sentii  un rumore dietro di me e un attimo dopo Testa di Paglia era accanto ad Emile che cercava di sorreggere la signora accanto a lui, che aveva avuto un mancamento:

«Facciamola sedere qui.», disse Stè, facendo accomodare la signora sulle sedie che erano accanto a noi.

«Ti ringrazio.» fu la lapidaria e formale risposta di Emile che le si accomodò accanto: «Ti sei affaticata troppo vero? Riposa un po’ qui.»

Parlava a quella donna con una voce dolcissima, non smetteva di proteggerla con il suo abbraccio e di accarezzarle il viso; com’era diverso dal ragazzo spocchioso e velenoso che avevo visto due giorni fa, diverso anche dal cantante che mi aveva causato quegli stupidi sogni... ma quante personalità aveva questo tipo?! Quella però, era una domanda che non aveva la benché minima importanza, ero troppo intenta ad osservare quella scena che mi lasciò dentro una sensazione troppo complessa per poterla sviscerare in quel momento.

«Posso dare una mano? Vado a prendere del tè freddo o un po’ d’acqua?» disse Stè, sempre pronto ad aiutare il prossimo.

«Non preoccuparti, grazie, ci andrò io appena si sentirà meglio» fu la risposta di Emile, di nuovo sintetico, cortese e freddo come il polo Nord!

«Tranquillo, non è un disturbo, dimmi solo cosa prendere: è meglio l’acqua o le serve un po’ di zucchero?» Emile alzò lo sguardo su Stè come se stesse valutando la serietà delle sue parole e mi accorsi per la prima volta che aveva degli occhi chiarissimi, di un grigio quasi evanescente.

«Del tè è meglio, grazie.» disse con un lieve sorriso di cortesia.

 «V...vado io Stè, tu resta qui in caso esca Simona, non sei ancora riuscito a vederla ed io ho bisogno di fare due passi.»

Così dicendo andai via di corsa in cerca di un distributore automatico o di un bar che avesse il tè più zuccheroso del mondo e che fosse lontano abbastanza da farmi mettere ordine nei miei pensieri. Ero in subbuglio, ero rimasta ferma come un’ebete ad osservare tutta la scena e questo non era da me! Normalmente ci sarebbero stati dei tafferugli tra le due Teste di Fuoco su chi dovesse prestare aiuto per primo, invece stavolta, ero stata totalmente inutile e inattiva.

Cosa diavolo mi stava accadendo?!

Perché in presenza di Emile, non riuscivo più ad articolare parola?

Eppure due giorni prima gliene avevo dette di cose!

E non ero di certo una che si teneva i propri pensieri per sé!

Arrivai al distributore automatico, presi il tè e feci un bel respiro profondo come mi aveva insegnato Sofia e ripresi la padronanza di me (o almeno ci speravo), decisa a non comportarmi più come una perfetta imbecille. Quando li raggiunsi, i due ragazzi stavano parlando e la signora si era svegliata: porsi il tè ad Emile, che mi ringraziò con la solita gentilezza formale e fredda e delicatamente lo fece bere alla sua compagna. Guardando i loro visi così vicini, mi accorsi che si somigliavano moltissimo: la signora aveva i capelli castani, lievemente mossi e  lasciati lunghi sulle spalle, ma i lineamenti del viso erano la fotocopia di quelli di Emile, gli occhi in particolare erano gli stessi, anche se quella donna non aveva luce in essi e non lessi alcuna emozione su quel viso.  

In quel momento arrivò Simona su una sedia a rotelle con la caviglia ingessata:  Stè corse da lei, sostituendosi immediatamente all’infermiere che spingeva la sedia. Rendendomi conto che in quel momento Testa di Paglia poteva offrire a mia sorella un conforto migliore del mio, restai dov’ero e facendomi forza per non perdere l’attimo, mi rivolsi ad Emile:

«Va meglio?»

Ero in piedi, appoggiata al muro e alla mia destra erano seduti la fonte di tutti i miei ultimi disagi e quella che doveva essere sua madre.

«Sì grazie, basta un po’ di zucchero per farla star meglio»

Incoraggiata da quella risposta così “logorroica”, osai porre un’altra domanda:

«Capita spesso?»

«Ogni volta che sta troppo tempo fuori di casa.» Emile abbassò lo sguardo su quel volto così simile al suo, tornando a dargli una dolcissima carezza; sua madre doveva essere davvero molto malata.

«Non c’è una cura? Conosco tante persone che sono riuscite a guarire con la chemio, nonostante la sofferenza che pro…»

«Mia madre non ha il tumore, in quel caso forse ci sarebbe stata una speranza! Ma per la sua depressione non c’è cura che tenga!» Il suo tono si fece d’improvviso amaro e rabbioso e capii di aver toccato un tasto dolente che era meglio evitare.

Depressione! Come avevo fatto a non accorgermene?!

Nella comunità dove lavorava Fede c’erano alcuni residenti che ne erano affetti e conoscevo i sintomi, eppure non li avevo riconosciuti guardando lo stato in cui versava la signora… Pensandoci bene, non avevo mai visto qualche vittima della depressione in quelle condizioni!

«Sc- scusami, non dovevo impicciarmi così...»

«Non fa nulla, anzi, vi ringrazio per essere stati così gentili. Ora dobbiamo andare, ringrazia il tuo amico da parte mia.» aiutò sua madre ad alzarsi e si allontanò dandomi le spalle, mentre Stè e Simona arrivavano accanto a me.

 

*****

 

Mia sorella se l’era cavata con poco: uno stiramento del tendine, ovvero ingessatura per un paio di settimane alla caviglia e poi riabilitazione senza alcun bisogno di operare. Dubitavo che avrebbe scatenato un’ira funesta nei miei genitori anche se si fosse davvero rotta un osso quindi, non mi preoccupai minimamente della loro reazione… anche perché al momento la mia mente era troppo occupata a liberare la matassa di emozioni che si accalcavano caotiche in me.  Quella mattina mi ero svegliata con istinti omicidi verso Emile, in tumulto tra la rabbia di due giorni prima e l’adorazione (tutta da confermare!) per la sua esibizione della sera precedente e dopo quella mattina in ospedale, ci si metteva anche una sensazione dolorosa di commozione e tristezza che non mi lasciava più! Se fossi andata avanti di questo passo, sarei finita al manicomio! Quante emozioni può gestire contemporaneamente un essere umano?! Personalmente, ne stavo provando già troppe!

 

*****

 

Come previsto, i miei genitori non furono particolarmente duri con Simona: erano palesemente contrariati per l’inconveniente, ma la preoccupazione ebbe la meglio su quell’irritante imprevisto che avrebbe rimandato di due settimane i programmi di studio di mia sorella.

Un pomeriggio ero diretta in camera mia prima di andare in comunità, quando passando davanti la camera di Simona, la sentii piangere: non riuscivo a credere alle mie orecchie! Appoggiai la testa alla porta della stanza  per sentire meglio e dovetti confermare ciò che avevo udito: la donna di ghiaccio piangeva! Restai stupita dalla rivelazione che mia sorella fosse più umana di quanto pensassi e in uno slancio improvviso di affetto entrai in camera sua.

«Posso entrare Simo?»

Era seduta davanti alla sua scrivania, ma mi dava le spalle e scorsi un movimento repentino delle mani dal viso verso una tasca, di sicuro stava celando un fazzoletto:

«Ormai sei entrata, che cosa vuoi? E non chiamarmi Simo, lo sai che mi dà fastidio quando accorci il mio nome!»

Il mio momento di affetto fraterno stava per fare un bel retro front, quando mi dissi di provare ancora a capire il motivo di quel comportamento. Ero troppo curiosa di sapere cosa fosse successo per rendere Simona in quello stato, poteva mai essere dovuto tutto al fatto che avrebbe rallentato i suoi studi di due settimane?! Non osavo pensarlo, al suo posto avrei fatto i salti di gioia per quel motivo!

«C’è qualcosa che ti turba? Ho avuto l’impressione che fossi triste…»

«Non ho niente! Sto bene.»

Ad un tratto mi resi conto che quell’atteggiamento mi ricordava quello di Emile all’ospedale, prima che acconsentisse a farsi aiutare (nel frattempo evitai come la peste di soffermarmi sul  pensiero del rossino in quel frangente): probabilmente mia sorella stava valutando quanto fossi sincera, ed iniziai a percepirla sotto una luce nuova.

«Simo, cioè no, Simona, se c’è qualcosa che ti turba... insomma... dopotutto siamo sorelle.»

«E te lo ricordi solo ora che puoi bearti della mia sconfitta vero! Sei venuta qui col pretesto di fare la buona sorellina per vedere con i tuoi occhi la mia disperazione e gioirne! Che soddisfazione dev’essere per te vedermi criticata da mamma e papà, per una volta non sei tu l’oggetto dei loro dispiaceri!»

Ero esterefatta! Quali dispiaceri aveva visto? E di quale sconfitta stava parlando?

«Dispiaceri?! Quello lo chiami dispiacere?! Ma se a mala pena ti hanno detto qualcosa! Non ho visto nemmeno l’ombra di un’arrabbiatura sui loro volti, erano semplicemente infastiditi, quello non era un dispiacere!»  Ed io lo sapevo benissimo, visto che tante volte mi avevano riempito la testa con la frase:  “Quanti dispiaceri ci causerai ancora?!”

«Oh Pasifae smettila! Tu non capirai mai come mi sento, è inutile parlare con te!»A questo punto il retro front era lì che scalpitava per farsi sentire e cedetti all’istinto:

«Scusami tanto se per una volta ho pensato di essere una sorella per te! Io potrò non capirti, ma nemmeno tu hai mai fatto un minimo sforzo per capire me! Non preoccuparti, non ti disturberò più, ora andrò a gongolarmi in giro perché mia sorella starà per due settimane a casa con una caviglia ingessata e ne sarò felice, perché sono una sorella menefreghista e maligna!»

Chiusi con rabbia la porta di camera sua e andai da Federico furiosa.

 

*****

 

Era giunto il giorno in cui il gruppo di Emile si sarebbe esibito al  Soapbox, un locale a qualche chilometro di distanza e da tempo io e Stè avevamo progettato di andarci. Testa di Paglia come ogni pomeriggio dall’incidente, venne a trovare me passando sempre, guarda caso, negli orari in cui poteva trovare Simona libera dai suoi studi casalinghi: l’ingessatura aveva rallentato le ricerche per la tesi, ma la scrittura e la revisione, nonché i libri di testo per il test d’ingresso alla Scuola di Specializzazione erano lì a portata di mano!

Stè aveva appena finito la sua “casuale” conversazione quotidiana con mia sorella e venne in camera mia per organizzare l’uscita per quella sera:

«Testarossa, che ne pensi se chiamiamo anche gli altri?»

«E tu pensi che vengano? A sentire Emile? Ti rendi conto che l’ultima volta in cui siamo stati tutti insieme, rossino compreso, non si sono sentiti proprio a loro agio?!»

«E vabbè, ma quello ormai è passato, non siete riusciti a parlare in modo civile l’altro giorno? E poi non andiamo lì per parlare con lui, ma per stare insieme e ascoltarlo mentre canta, non avrà modo di interagire col nostro gruppo! E poi… stavo pensando di chiedere anche a Simona di venire con noi…»

«ASSOLUTAMENTE NO!»

Ecco  il motivo di quella trovata! Sapeva benissimo che era improbabile che qualcuno dei nostri amici uscisse con noi durante la settimana, era solo un pretesto per depistarmi e non farmi focalizzare sul vero motivo: portare Simona!

«Io con quella non ci esco! Non ho mai avuto una sorella e ora più che mai non la ritengo tale e non voglio rovinarmi la serata con la compagnia sgradevole di un’estranea!»

Dal giorno della nostra discussione, io e Simona non ci eravamo più rivolte nemmeno una parola, tra noi si era stipulato un patto silenzioso: io non interpellavo lei e lei non interpellava me, ci ignoravamo cordialmente durante tutto l’arco della giornata.

«Pasi sei troppo dura con lei, è la prima volta che si trova in una situazione simi...»

«Proprio per questo ero andata a darle sostegno! Perché io la conosco fin troppo bene la situazione in cui è lei, anzi, conosco situazioni ben peggiori! E il risultato della mia attenzione è stato di sentirmi dare della meschina e di voler gongolare della sua sconfitta!»

«Tu non la capisci Pasi...» ancora questa storia?

«Oh beh, tu si invece, vero?! Tu che sei così simile a lei, vi comprendete a menadito ormai, siete pappa e ciccia! Esci con lei visto che siete diventati così amici!»

Mi stavo spingendo troppo oltre, stavo per toccare il suo punto debole, ma non riuscivo a fermarmi e temevo ora di aver combinato un casino!

«Non è caduta dalle scale.»

«Cosa?»

Restai interdetta dalla sua risposta, mi aspettavo un’esplosione d’ira di quelle terrificanti (mai arrivare a far arrabbiare le persone allegre e gioviali, si scatena l’Apocalisse!) e invece Stè si limitò a tirare un sospiro prima di darmi quella risposta a bruciapelo.

«Di che stai parlando? Cosa? Chi? Che significa?»

«Simona non è caduta dalle scale, si è fatta male cadendo dalla moto.»

Di tutte le cause improbabili che potevano esserci, questa era una di quelle che meno mi aspettavo. La moto! E quando mai Simona aveva guidato una moto? Quando mai aveva manifestato interesse per una moto! I miei genitori le disprezzavano perché per loro erano solo fonte di guai e ovviamente, anche lei si era allineata al pensiero di casa ed ora venivo a scoprire che non ne era poi così convinta…

«Ma come è potuto accadere?! Lei odia le moto.»

«In verità no, non le odia. Non le preferisce e credo che non ne userà mai una a prescindere da quello che le è accaduto, ma quel giorno aveva voglia di farsi un giro, voleva staccare per un momento dalla monotonia delle sue giornate e non le era sembrato un peccato così grave, così è andata a farsi un giro con  un suo collega di facoltà…»

In quel momento mi tornarono in mente le parole di Simona “gli altri se ne sono andati”.

«…ma hanno avuto un piccolo incidente e sono caduti entrambi, il suo collega non si è fatto nulla di grave, invece lei ne ha pagato le conseguenze…»

E il vigliacco del suo esimio collega, ha ben pensato di filarsela dal pronto soccorso prima di incappare nelle ire dei miei!

«…ed ora non riesce a darsi pace, perché si sente una stupida, per una volta che si è lasciata andare ha finito anche col rimetterci. Pasi tua sorella ha vissuto sempre all’ombra dei vostri genitori, cercando di compiacerli in ogni campo della sua vita, per non vedere mai sul loro volto l’espressione di disappunto che mostrano a te. Lei t’invidia, perché tu sei forte, perché li contrasti e vivi a modo tuo senza sentire il peso della loro considerazione su di te.»

«Ma questo non è vero Stè! E tu lo sai quante volte sono corsa a sfogarmi da te!»

«Io sì, ma tua sorella no. Lei ha sempre visto che li affrontavi a viso aperto e non ti curavi di loro e segretamente avrebbe voluto avere la tua stessa capacità di controbattere alla loro volontà, ma ha sempre avuto paura di farlo.»

Ora sì che vedevo Simona sotto un’altra luce!

Non era affatto la donna di ghiaccio che sembrava, anzi, era piena di paure che nascondeva vergognandosi come una ladra. Quindi probabilmente, anche lei aveva voglia di viversi qualche piacere, qualche benedetta futilità per alleggerirsi le giornate piene di doveri e sacrifici, sacrifici e doveri!

«Ok, chiediglielo pure, io provo a vedere se gli altri fanno il miracolo!» iniziavo a vedere Simona sotto un altro aspetto, ma la rabbia non mi era ancora passata abbastanza da parlarle direttamente.

 

 

*****

Come volevasi dimostrare, il gruppo non si riunì al completo, ciononostante andammo al Sandbox in quattro: Simona aveva acconsentito alla proposta di Stè e anche Fede aveva detto di sì. Riuniti in quell’improbabile quartetto, andammo incontro ad una serata che si prospettava interessante.

















_____________________________________________
NDA
Stavolta il capitolo è un pò più lungo: ho unito quelli che originariamente erano 3° e 4° perchè a distanza di tempo mi sono resa conto che erano terribilmente corti e spezzavano il discorso (dovevo essere in stato allucinogeno quando ho fatto la divisione! xD ).
Spero che anche questo terzo capitolo vi sia piaciuto, intanto continuo a ringraziarvi tesore mie perché mi seguite e m'incoraggiate ad andare avanti: è una gioia scrivere, ma è una felicità ancora più grande sapere che ciò che creo piace a chi la legge.
Grazie alla mia beta-tomodachi Iloveworld, alla mia Cicci, e alle mie sisters speciali: Apina, Vale, Ana-chan e Saretta; grazie di cuore ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 04 ***


 

Capitolo 4





 

Il Sandbox era più grande del Dada: da un ingresso non molto vasto, si accedeva alla sala vera e propria scendendo una lunga scalinata trasparente e una volta scesi, ci si sentiva come dei pesci rossi in un acquario! O almeno quella era l’impressione che avevo io ogni volta che ci andavo: tutte le pareti divisorie, piccole o grandi che fossero, erano in plexiglass trasparente, dando l’impressione di essere tutti contenuti in una grande scatola per essere messi in mostra! Probabilmente essendo interrato come locale, l’architetto che l’aveva progettato voleva dargli una parvenza di leggiadria e la sensazione di essere all’aperto, ma per un claustrofobico non credo avrebbe funzionato! Era un luogo non proprio adatto anche a mia sorella che, costretta a camminare con le stampelle, aveva un’enorme difficoltà a scendere quelle scale scivolose e trasparenti.

Ma, inutile dirlo, Stè colse l’occasione per sorreggerla e aiutarla a scendere, assistito da Fede in avanscoperta. Mentre mia sorella si godeva le attenzioni verso di lei (che ovviamente non le stavo dando e non avevo intenzione di darle), iniziai a guardarmi intorno appena la discesa dei gradini mi consentì  di vedere la sala: conoscevo benissimo quel luogo, ma quella sera non riuscivo a smettere di cercare qualcuno con lo sguardo, non osavo chiedere a me stessa il motivo di quell’ansia e non volevo nemmeno fingere indifferenza verso ciò che sentivo. Molto probabilmente era solo la voglia di capire se il secondo ascolto di quel gruppo mi avrebbe fatto provare le stesse emozioni della volta precedente, la mia ansia aveva solo questo semplice motivo ed era giustificatissima!

Riuscimmo a trovare un  buon posto per noi quattro, che fosse anche nei pressi del palco, così da poter ascoltare meglio: Fede si accomodò accanto a me, non avendo alcuna confidenza con mia sorella e ben sapendo che comunque le attenzioni di Simona erano richieste da qualcun altro alla mia destra.

Sentivo crescere sempre più dentro di me una strana inquietudine, sentivo un’ansia strana e a volte mi accorgevo di essere in tachicardia e dovevo tranquillizzarmi con un respiro più lento: Stè quasi mi dava le spalle e per fortuna non vedeva lo stato in cui versavo. Ma Fede mi era accanto e temevo qualche suo commento: non ero mai stata brava a celare le mie emozioni e quei due ragazzi in particolare, mi leggevano dentro al pari di un telepate! 

Fede era un figlio dei fiori mancato: sempre tranquillo e pacifico, non amava le discussioni e si sentiva a disagio ogni volta che io e Testa di Paglia finivamo a dibattere con qualcuno:  era indifferente che fosse in tono aggressivo (la sottoscritta) o gioviale (Stè), non amava turbare la quiete e l’equilibrio che si crea quando gli esseri umani si rapportano tra di loro con il sorriso e la gentilezza, anziché con le urla e con le offese; Peace&Love era il suo motto preferito!  Aveva uno spirito sensibilissimo agli animi altrui, ed ecco perché amava rendersi utile in comunità, riusciva a donare la sua calma e il suo sorriso a chiunque gli si avvicinasse, un vero e proprio calmante naturale! Anche se in quel momento, quel dono non stava assolutamente facendo effetto su di me.

«Cosa c’è Pasi? Sei tesa per la presenza di Simona? Tanto non la sentirai nemmeno, ci penserà Stefano a fartela dimenticare!» Sorridendo, mi diede un colpetto sulla schiena a mo’ di conforto.

«Hai ragione Fede, le sto dando troppa importanza!»

Cercai di essere più convincente possibile e di dissimulare il mio stato, non volevo rivelare il vero motivo della mia strana ansia… ma qual era questo vero motivo? Non mi ero detta poco prima che volevo semplicemente accertarmi del talento di quel gruppo? Non c’era nulla di cui vergognarsi in questo, perché non volevo renderlo palese?

Mi stavo torturando interiormente con queste domande senza risposta, quando all’improvviso si spensero le luci e le note iniziarono il loro lungo discorso.

L’intro musicale del primo brano fu lungo, così dovetti attendere un po’ di più per vedere il cantante rispetto alla volta precedente, ma quando accadde sentii un tuffo al cuore che quasi mi fece sobbalzare per lo stupore, finché non diventò un dolore sordo che mi accompagnò per tutta la serata.

Volevo accertarmi del loro talento, ma raggiunsi una ben altra consapevolezza. L’esibizione dei GAUS fu grandiosa: l’effetto che mi fecero fu lo stesso della volta precedente ma in modo amplificato, perché stavo iniziando a comprendere i sentimenti che avevano spinto il cantante a scrivere alcuni brani. Giunse il momento di una canzone che parlava di apatia, di sofferenza nascosta da un velo grigio, di un dolore congelato in uno stato di catalessi perché troppo forte per essere affrontato e capii che quella canzone parlava di sua madre: iniziai persino a sentire dell’umidità sospetta sul mio viso, ma ero troppo presa da ciò che stavo ascoltando per curarmene.

All’improvviso mi venne in mente una storia che avevo letto tempo fa: Three*. Parlava di due ragazzini entrambi immersi nel mondo della musica: lei una Idol promettente, lui un vero genio talentuoso: in quel momento mi sentivo come Rino, la ragazzina, quando assistette per la prima volta alla performance di Kei e s’innamorò perdutamente della sua musica e in seguito anche di lui.

Come Rino, avrei voluto sentire la voce di Emile per tutta la vita, avrei potuto vivere solo di quelle note e sentii dentro di me la voglia di vederlo e conoscerlo. Ma come poteva accadere ciò? Io non ero Rino e lui non era Kei. Non l’avrei ritrovato l’indomani nella mia classe o meglio ancora, nel mio stesso  banco, come era capitato alla Swan**!  E inoltre mi stavo immedesimando nelle protagoniste di due storie d’amore, il ché implicava  che fossi innamorata di Emile…

No questo non poteva accadere! Ero uscita con le ossa rotte dalla mia ultima storia, avevo giurato a me stessa che mai più mi sarei innamorata in quel modo, mettendo il mio orgoglio sotto i piedi e diventando l’ombra di me stessa. E con un tipo come Emile non poteva essere altrimenti: o mettevi a tacere l’orgoglio, oppure ci litigavi di continuo! Ma in quel momento, mettendo io stessa i bastoni tra le ruote alle mie argomentazioni, iniziai a pensare al ragazzo che avevo visto all’ospedale, così dolce, così protettivo, così diverso dall’arrogante saccente che avevo conosciuto la prima volta… quel ragazzo che mi aveva fatto provare un immenso calore nel cuore… 

No, non poteva essere! Non potevo innamorarmi di lui!

La mia serata trascorse nel tumulto interiore sfrenato, alla luce di quella nuova consapevolezza che non volevo accettare. Per fortuna nessuno badava a me, perché Stè era preso sia dalla musica che dalla compagnia alla sua destra e Fede non apriva bocca, il ché poteva significare che era interessato a ciò che sentiva. Non mi accorsi che per la maggior parte della serata, era rimasto ad osservare il mio volto in preda al subbuglio interiore.

*****

 

Nei giorni successivi, le mie giornate trascorsero nel tentativo di trovare un compromesso con me stessa per dimenticare tutto il caos che mi aveva investito negli ultimi tempi. Ero quasi riuscita a convincermi che mi ero solo fatta trasportare dal momento e che avevo lavorato di fantasia, quando arrivò una telefonata che smontò tutte le mie convinzioni:

«Pronto, Pasi?»

«Fede? È successo qualcosa in comunità?»

«No no, tranquilla, ti chiamo per chiederti un favore.»

«Ah, ok! Dimmi tutto.»

«Ecco, hai presente l’altra sera, quando siamo usciti in quattro… l’esibizione…»

Ecco qualcosa che non doveva essere nominata! Il mio umore prese immediatamente un’impennata verso il basso:

«Sì, Fede, ho presente, che c’è? Vai dritto a dunque!»

«S-sì ok, allora in pratica… hai presente…»

«Di’ un’altra volta “hai presente” e non ti ascolto più! Che hai oggi?! Perché tutta quest’indecisione?!»

Non era da lui essere così titubante nel chiedere un favore, non era uno che amava chiederli, ma sapeva anche che a volte non se ne può fare a meno e questo doveva essere uno di quei casi…

«Vabbè vado al dunque: Emile vende una cassettiera che voglio comprare per la comunità e siccome tu lo conosci, mi chiedevo se volessi accompagnarmi a casa sua per prendere il mobile.» 

«»

«»

«Pronto? Pasi? Sei ancora in linea?»

All’improvviso iniziarono a ronzarmi le orecchie e sentii il cuore scoppiarmi nel petto: Fede aveva intenzione di portarmi nella tana del lupo!

«Fede ma cosa cavolo stai blaterando?! I-io non conosco proprio nulla e nessuno, non so nemmeno dove abiti e che aspetto abbia casa sua, a mala pena ricordo il suo volto!»

Bugia grossissima questa, quel viso ormai ce l’avevo stampato nella mente come se mi fosse stato tatuato direttamente nel cervello!

«Dai ti prego! Fammi compagnia! E poi ho bisogno anche di un altro parere sul mio acquisto!»

«Portaci qualcun altro della comunità. Saprà darti un parere migliore del mio!»

«È lui vero, il motivo della tua domanda?!»

Altro ronzio improvviso e assordante nelle orecchie: cosa intendeva con quella frase e quel cambiamento improvviso di tono?

«C-cosa? A cosa ti riferisci Fede?»

«La domanda che mi hai posto qualche pomeriggio fa, quando sei venuta in comunità dopo aver litigato con Simona: la domanda su quanto possa diventare pericolosa la depressione… riguardava Emile.» 

Stava per cadermi il cellulare di mano per lo sbigottimento più totale in cui mi aveva lasciato quella domanda: come diavolo aveva fatto a capirlo!? E cosa potevo dirgli ormai che non mi portasse ad esternare qualcosa che non volevo accettare?!

«È per sua madre… la madre di Emile soffre di depressione, ma non ha gli stessi sintomi dei residenti della comunità, è totalmente assente, come un guscio vuoto! Non avevo mai visto qualcuno vivo ma morto dentro!»

«Capisco. Ho visto come lo guardavi l’altra sera Pasi e dalla tua reazione ho capito che ci tieni a lui, perciò ti sto invitando a venire con me. Non negare a te stessa ciò che è già palese.»

Fede era stato uno dei miei angeli custodi quando era finita la mia precedente storia. Ero totalmente a pezzi all’epoca e lui, Stè e Rita... e a modo suo anche Sofia, mi avevano dato il conforto e il sostegno necessario a ritrovare la serenità. Ma il processo era stato lungo e avevano assistito a tutto il decorso iniziato con la mia rabbia infinita  verso tutto il genere maschile, per finire con il proposito di non farmi soggiogare più da nessuno. Con la spiccata sensibilità che si trovava e l’ottimo spirito di osservazione, quella sera Fede aveva sicuramente impiegato qualche minuto per capire cosa si stava agitando nel mio cuore mentre sentivo Emile cantare.

Emile. Solo il pensare al suo nome mi faceva battere il cuore… Ma io non volevo cedere, non ero pronta a questo! Avevo già abbastanza problemi per conto mio senza il bisogno di andare a complicare tutto con l’amore! Mi bastavano gli amici a darmi calore e sostegno, non volevo un uomo accanto che mi sconvolgesse l’esistenza! Io non avevo freni quando amavo, dimenticavo troppo me stessa e diventavo qualcuno che non riconoscevo più. No, non ero pronta!

Però volevo rivederlo… ed ero sinceramente preoccupata per sua madre…

«Non so cosa tu abbia visto Fede e non m’importa, ti accompagnerò, ma solo per non farti sentire solo!» e poi sussurrai un timido: «Grazie.»

 

*****

 

La casa di Emile si trovava in una zona tranquilla un po’ in periferia, una specie di quartiere d’élite riservato a chi aveva qualche spicciolo in più per permettersi una villetta. Infatti quella non era una casa da comuni mortali. Non era grande, ma aveva un sentore di antico e di nobile nonostante fosse di sicuro moderna: era in stile vagamente vittoriano, bianca, a due piani, con un po’ di giardino avanti e un garage accanto. La famiglia Castoldi non doveva passarsela male!

Appena Fede bussò al citofono mi salì la solita tachicardia e iniziai a pentirmi di averlo accompagnato, ma non ebbi il tempo nemmeno di muovere un passo ed eclissarmi nell’auto, perché Emile ci aprì la porta e ci venne incontro.

Quando ci salutò ci fece accomodare in casa, senza dare segno di avermi riconosciuta e ci condusse in una delle stanze sul retro al pian terreno. Era una stanza grande e luminosa, era completamente bianca e circondata da finestre e aveva tutta l’aria di essere una stanza originariamente esterna alla casa. Le pareti erano costellate di dipinti: paesaggi, nature morte, astratti di vario genere e qualche ritratto, i colori erano brillanti e ogni dipinto, persino le odiose nature morte, sprizzavano vita. Quella era davvero una stanza nata per sentirsi la vita addosso!

Emile ci condusse verso la cassettiera: era tutta in legno, semplice nello stile ma  con degli intarsi al centro dei cassetti e del ripiano: era fatta in uno stile che richiamava altri tempi. Fede se ne innamorò all’istante:

«Che bella! È fatta proprio bene e i cassetti sono grandi e profondi, proprio quello che ci serviva! Starebbe benissimo nella sala comune!»

Fede ovviamente si riferiva alla comunità: da qualche tempo ci illuminava con le sue idee per rendere quel luogo in cui si raccoglievano storie tristi, più accogliente e meno deprimente e la sua ultima fissazione era di rifare la mobilia. Quando andammo al Dada, Stè vide l’annuncio di questa cassettiera in vendita e pensò (con qualche giorno di ritardo, visto che la preoccupazione per Simona gli aveva cancellato tutto il resto dalla mente) di avvertire Fede.

«Scusa la domanda indiscreta, ma per quale motivo te ne disfi? Sarebbe perfetta in questa casa!» 

La domanda di Fede interessò anche me, del resto ormai tutto ciò che riguardava il padrone di quei riccioli rossi m’interessava come se ne dipendesse la salvezza del mondo!

«È inutile in questa casa, già c’è abbastanza mobilia. Ho iniziato a restaurarla per piacere personale, ma poi mi sono reso conto che non sapevo cosa farci e quindi ho deciso di venderla.»

Scrollò le spalle con noncuranza, chiudendo il discorso sempre nel solito modo lapidario.

«L’hai restaurata tu? Complimenti! È un tuo hobby?»

«Non esattamente: lavoro part-time in una bottega di restauro del mobile antico e qualche volta faccio dei lavori in proprio.»

«Complimenti, hai davvero una bella manualità!»

«Grazie, è un dono che ho ereditato da mio padre: i quadri in questa stanza li ha dipinti tutti lui.»

Alla luce di quella rivelazione, riguardai i dipinti sotto una luce nuova: un padre pittore, un artista! E all’improvviso notai dei cavalletti adagiati in un angolo e degli scaffali pieni di colori e pennelli. Pensai per un istante a mio padre, sempre così rigido e severo, preso solo dai giornali e dagli scacchi e iniziai a fantasticare sul tipo di genitore che potesse essere questo padre, che dipingeva e sicuramente imbrattava i suoi vestiti con i colori.

«Allora tuo padre è un artista famoso?!», gli feci quella domanda senza accorgermene nemmeno, spinta dall’entusiasmo.

«No, ha smesso di dipingere quando mia madre si è ammalata»

Il mio entusiasmo calò repentinamente così com’era arrivato, l‘atmosfera si era improvvisamente fatta pesante al sentire quelle parole e per fortuna Fede cambiò discorso.

«Ehm, allora se non ti dispiace, chiamo in comunità per sentire che ne pensano, ok?»

Così dicendo si allontanò per fare la sua telefonata, lasciando Emile e me in un silenzio opprimente che non sopportavo più. Così mi decisi a prendere parola: 

«Come sta tua madre? Cioè voglio dire, non so se ti ricordi di me, ci siamo visti al pronto soccorso qualche giorno fa e...»

«Mia madre sta bene grazie. E sì, mi ricordo di te, avvocato difensore dei TresneT!»

Nell’attimo in cui mi aveva dato quella risposta, Emile aveva cambiato espressione dal rigido più totale al sarcastico più malefico che avessi mai visto su quel volto: ora mi stava guardando con un sorrisetto in tralice soddisfatto per avermi lasciato a bocca aperta. Quel disgraziato si ricordava di me dal primo giorno in cui ci eravamo scontrati e ha sempre finto di non conoscermi! Non che sapesse molto sul mio conto in effetti, ma mai che avesse dato un cenno di riconoscimento!

«E se non sbaglio eri anche al Dada vero? Come ti è sembrato ascoltare la vera musica?!»

Continuava ad infierire e mi guardava con aria soddisfatta: aveva alzato le sopracciglia in un’espressione di scherno e finta curiosità, che stava per far partire il mio gancio destro più forte!

«Quella la chiami musica? Non mi è piaciuta affatto, per me non vale la pena di essere ascoltata!»

Che bugia enorme stavo dicendo pur di salvare la mia dignità offesa! Mai gli avrei dato la soddisfazione di elogiarlo, in quel momento lo stavo detestando con tutto il cuore!

«Certo è ovvio, non potresti mai dire la verità, poiché implicherebbe una critica implicita ai tuoi eroi, giusto? La tua reazione ha risposto alla mia domanda per te.»

Sorrise soddisfatto e guardò innanzi a sé, pieno di orgoglio e tronfio per avermi dato quello scacco.

«Senti, io non sono venuta qui per essere insultata da te…», d’improvviso si fece serio e fermò la mia arringa con una mano, per cui mi zittii all’istante: una musica iniziava a sentirsi da lontano e ad un ascolto più attento, sembrava provenire da qualche parte all’interno della casa.

«Dannazione!»

Con il viso coperto da una preoccupazione profonda, Emile corse via all’improvviso lasciando me e Fede soli in quella stanza.













------------------------------------------------

*Fuyumi Souryo, “Three”, GP Publishing, 2009

**Stephenie Meyer, “Twilight”, Fazi Editore, 2006





____________________________________________________________

NDA

A gentile richiesta ("il quarto non c'è!!!") e a furor di popolo (tanto per dire xD), anche questo capitolo ha preso visibilità, e spero vi sia piaciuto *me ha l'ansia da prestazione cronica* come gli altri ^ ^

Come sempre è doveroso ringraziare le mie tesore che mi seguono sempre con calore e affetto: Iloveworld, Cicci, Niky, Saretta, Ana-chan, Vale, ed Ely.

Grazie mille a tutte voi sorelline mie <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 05 ***


Capitolo 5





 

 

Rimasi inebetita per un’istante, scioccata da quel movimento repentino, ma dopo un attimo mi riscossi e seguii Emile, curiosa e anche un po’ preoccupata. Sentivo i suoi passi che avanzavano verso l’ingresso e incurante del fatto che fossi in una casa non mia e che stessi curiosando in faccende in cui non ero stata invitata a partecipare, cercai di concentrarmi per sentire i suoi passi e raggiungerlo. Non mi curai nemmeno del fatto che Fede fosse o meno dietro di me: tutto il mio essere, nonostante fosse stato appena messo alla berlina, cercava Emile ed era preoccupato per il guaio a cui di sicuro stava andando incontro.

Raggiunsi la stanza dove aveva svoltato e arrivata sulla soglia lo vidi mentre circondava con le braccia la madre, che in camicia da notte, era davanti ad una finestra immobile. La musica che sentimmo proveniva da un giradischi nel salotto, la stanza in cui eravamo ora: una donna dalla voce melodiosa e delicata cantava una melodia un po’ soft ma rilassante. Non capii subito in che lingua si esprimesse perché  nel frattempo osservai Emile che cercava di riscuotere sua madre e mi sentii pietrificata non sapendo cosa fare:

«Mamma, calmati, mamma!»

«C’è qualcosa che posso fa…»

«Spegni quel dannatissimo giradischi!»

Saltai al tono di voce così forte e carico di rabbia con cui si rivolse a me e mi precipitai a spegnere. Fede nel frattempo si era materializzato accanto ad Emile e lo aiutò a mettere a sedere la madre: ora che potevo vederla in viso, mi resi conto che stava piangendo.

«Cos’è successo?!» chiese Fede, assumendo immediatamente il suo atteggiamento professionale e sicuro, di chi si ritrova ogni giorno accanto a persone psicologicamente più fragili.

«Non è niente, me la cavo da solo, aspettatemi di là.» come al solito, Emile rifiutava l’aiuto altrui, persino in una situazione critica come quella.

«Se le serve un tranquillante, posso somministraglielo io, in comunità…»

«Ho detto che faccio da solo!»

Emile alzò di nuovo la voce, il suo viso era una maschera di rabbia e i suoi occhi avevano preso il colore intenso dell’azzurro. Ma Fede era un osso duro, sapeva come comportarsi in questi casi: 

«Emile, so quello che faccio, non disprezzare l’aiuto che ti viene offerto volontariamente.»

Fede gli appoggiò una mano sulle spalle e dovette infondere ad Emile un po’ della sua calma naturale, poiché si rilassò all’istante, riprendendo il controllo di sé.

«Dev’essere riaccompagnata su in camera sua, questa stanza è deleteria per lei.» a quel punto mi accorsi del luogo in cui ci trovavamo: era una grande stanza dai parati nelle tonalità calde del senape e legno,  mobilia di legno scuro arricchiva l’ambiente e sulle pareti erano appese le stampe di alcune riviste, delle fotografie in bianco e nero e delle locandine in cui campeggiava il volto della madre di Emile, in cui era riportato il nome di Claudine Flaubert come nuova stella della musica francese.

Francese! Ecco qual era la lingua di quella canzone!

Francese come il nome di Emile… Sua madre era francese! Ed era una cantante!

O forse era meglio dire che era stata  una cantante…

I due ragazzi portarono la signora Claudine in camera sua, aiutai Fede a somministrarle un tranquillante, mentre Emile le accarezzava il viso come gli avevo visto fare all’ospedale e quando la madre sembrò essersi addormentata, ci fece cenno di uscire dalla stanza (che pensò bene di chiudere a chiave) e ci fece accomodare nel salotto offrendoci da bere.

«Vi chiedo scusa per la mia maleducazione di poco fa, ma non mi aspettavo che accadesse una cosa simile, mia madre non esce da quella da stanza da tempo.»

«Era la sua voce che stava ascoltando prima, vero?» osai chiedergli; iniziavo a capire che quando era in quello stato, Emile era più propenso a parlare... almeno un po’ più del solito!

«Sì, in gioventù era una promettente cantante con una carriera tutta in salita e quando si riascolta le vengono queste crisi!» Emile strinse i pugni mentre parlava, di sicuro quello non era un argomento piacevole e non amava condividerlo con gli altri.

«S-se hai bisogno di una mano, io e Fede sappiamo come comportarci in questi casi.» dannata balbuzie! Ma perché dovevo sempre parlare come una stupida quando più volevo essere sicura di me?!

«Vi ringrazio per l’offerta, ma questo è un caso isolato. Normalmente c’è sempre qualcuno accanto a lei, oggi abbiamo lasciato la giornata libera all’infermiera perché ci sono io in casa e non mi aspettavo che le venisse una crisi.»  

Fede lo stava osservando da quando eravamo tornati nel salotto, di sicuro gli stava leggendo dentro.

«Capisco. In ogni caso, hai il mio numero Emile, se dovessi avere bisogno, chiamami senza problemi.» Fede non riusciva a non prendersi a cuore una persona in difficoltà!

 

*****

 

Tornai a casa ripensando a ciò che avevo appena scoperto sulla famiglia Castoldi: avevo sempre più la convinzione che gli abitanti di quella casa conservassero tutti un dolore così grande da non poter essere condiviso, o almeno avevo capito che Emile non riusciva a parlare né del padre né della madre in modo sereno. Nemmeno io riuscivo a farlo con i miei e probabilmente era una caratteristica di noi post adolescenti in cerca della nostra individualità (che spesso non era in linea col pensiero di chi ci aveva generato), ma il mio caso non era così pieno di sofferenza come quello che vedevo riflesso sul volto di Emile ogni volta che accennava alla situazione della madre.

Ancora una volta standogli a contatto, mi ero ritrovata in un turbine di emozioni contrastanti:  Emile  riusciva a farmi zittire, a farmi balbettare, a farmi arrabbiare a morte e a colpirmi al cuore nel giro di qualche minuto! Ogni volta che pensavo a lui o che mi trovavo in sua compagnia, perdevo il senso di me stessa e questo mi spaventava perché se mi sentivo così conoscendolo appena, non osavo immaginare l’effetto che mi avrebbe fatto se mi fossi data il permesso di accorciare le distanze tra noi. Non che ci fossero le premesse, avevo l’impressione di non essergli molto simpatica e del resto, non credo che io facessi il contrario nei suoi riguardi...

Quella situazione stava raggiungendo un punto di stasi, che probabilmente avrebbe finito con lo scemare: non avrei più rivisto Emile, non avrei più pensato a lui e tutto questo caos interiore sarebbe sparito lasciandomi libera! Libera di cosa però, ancora non sapevo. Tuttavia, mi resi conto che all’idea di non rivederlo più, nonostante mi facesse saltare i nervi ogni volta che lo vedevo, nonostante avesse quell’aria saccente e spocchiosa che aizzava i miei istinti omicidi pericolosamente in avanti, iniziavo a sentire un vuoto dentro e un dolore lancinante al centro del petto.

 

 

*****

 

 

«Pasifae, mi spieghi che intenzioni hai?»

La voce improvvisa di mia madre mi colse impreparata: ero diretta all’auto per vedere Stè, quando sentii quella voce e quel tono che mise in allarme tutto il mio essere; c’era una bella discussione in arrivo!

«A cosa ti riferisci mamma?» inutile tentativo di fare la gnorri il mio, ma dovevo pur difendermi!

«Non fare la finta tonta, sai benissimo di cosa sto parlando: sta arrivando Novembre, i tuoi amici hanno preso tutti la loro strada mentre tu continui a vagare senza meta tutto il giorno e non ti decidi a scegliere una facoltà universitaria: sai che manca poco allo scadere delle iscrizioni? Hai già perso la possibilità di iscriverti nelle facoltà a numero chiuso, vuoi perdere un anno così perché non ti decidi a scegliere?»

Eccoci qua, diretti al punto dolente, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, dovevo affrontare il discorso “rinuncia agli studi”. Posai le chiavi dell’auto sul mobile all’ingresso e mi preparai ad affrontare una discussione difficile.

«Mamma, è da un po’ che ci penso e avevo intenzione di dirvelo proprio in questi giorni…» bugia grandiosa ovviamente, chi ci pensava più agli studi?! Per me l’argomento era chiuso, peccato che non l’avessi fatto presente a chi  aspettava la mia risposta!

«... io stavo pensando di non andare all’università…»

«Cosa?! E perché mai? Vuoi provare l’anno prossimo con qualche facoltà a numero chiuso? Se è così basta iniziare a prepararsi da ora, puoi prendere i testi e iniziare anche a studiare qualcosa così recupererai il tempo perso e…»

«No mamma, intendo dire che non voglio affatto continuare gli studi.» bomba sganciata, quello era l’inizio dell’Apocalisse!

«Pasifae, io… noi, siamo sempre stati comprensivi con te, abbiamo sempre cercato di non importi le cose e farti scegliere con la tua testa, ma è chiaro che ora stai perdendo di vista un obiettivo importante…»

«E quale sarebbe mamma? Avere un pezzo di carta attaccato alla parete del salotto di cui potervi vantare con gli amici? Presto avrete quelli di Simona, che ne collezionerà di sicuro abbastanza per entrambe!»

«Non si tratta di questo! È importante per te, perché non puoi presentarti da qualche parte senza una laurea alle spalle, perché non è comprensibile che tu rinunci ad un’istruzione che molti altri ragazzi faticano a crearsi! Ci sono giovani che fanno sacrifici enormi per studiare e tu che hai la possibilità di farlo comodamente senza pensare ad altro, getti via questa possibilità precludendoti  delle porte aperte nel futuro!» 

Ancora i sacrifici! Sembrava quasi che i miei genitori  fossero dispiaciuti del fatto che non dovessi sudarmi nulla!

«Le porte che dici tu non m’interessano! Ci sono tantissime strade aperte per me, il mondo non è fatto solo di laureati mamma! Ci sono artigiani di tutti i tipi, bravissimi, che non hanno avuto bisogno di quel pezzo di carta, esistono tanti tipi di lavoro bellissimi e appaganti che non hanno bisogno di un “dottor” davanti al nome per essere ammirati!» Come chi dipinge e mette la sua passione in quello che fa... o chi canta con tutta la sua anima...

«E tu vorresti andare a lavorare presso una bottega? Presso un artigiano? Tu che hai a disposizione la possibilità di migliorarti e conoscere…»

«Mamma non è con lo studio che si migliora! E la conoscenza non è solo sui libri! Il mondo è pieno di persone e di avvenimenti e di luoghi tutti da scoprire! La vita è un insieme di scoperte! I libri non sono la risposta a tutto! E non trovo nulla di male nell’andare a lavorare presso un artigiano!» se Emile è riuscito a dare nuova vita a quella cassettiera vecchia, se le ha donato una nuova bellezza, perché mai si dovrebbe denigrare il lavoro manuale che dà così splendidi risultati?

«È così dunque, vuoi metterci questa vergogna addosso! Tu, la figlia di due professori, che va a fare la ragazza di bottega presso qualche manovale!»

Eccolo lì il nocciolo del discorso: la solita figuraccia con i vicini, le apparenze! Non ci vidi più dalla rabbia, ero stanca di tutte quelle idee antiquate che mi facevano mancare l’aria e che avevano causato un trauma non indifferente in mia sorella, che non si sentiva libera di essere se stessa.

«Se è questo che ti disturba, potete anche disconoscermi! Tanto non sono mai stata la figlia modello per voi, vi siete sempre vergognati di me perché alzavo la voce, uscivo fino a tardi e mi circondavo più di amicizie maschili che femminili! Se non siete contenti di avermi in questa casa non c’è alcun problema, me ne vado!»

Probabilmente stavo combinando un vero disastro, mi stavo mettendo alla porta senza uno straccio di lavoro o un luogo in cui rifugiarmi, ma non me ne curai affatto; ero troppo stanca di quella casa e di quella famiglia, non volevo restare in quelle mura un attimo di più, così ripresi in mano le chiavi dell’auto, ma poi ci ripensai, le posai e mi diressi al garage per prendere la bici, diretta a casa di Stè.

 

 

*****

 

«Testarossa che hai combinato? Hai il volto che fa paura!»

Per tutta risposta mi buttai tra le braccia di Stè e mi feci coccolare dal suo caldo abbraccio. Testa di Paglia era un ragazzone alto un metro e novanta:  un armadio a muro pieno di allegria e calore umano e i suoi abbracci erano il mio conforto più grande, il rifugio sicuro dopo le discussioni più brutte che avevo con i miei genitori.

«Io la odio!» Stè mi strinse un po’ per darmi la sua comprensione e rimanemmo per qualche istante così finché non mi ripresi:

«Hai litigato di nuovo con i tuoi?» feci un cenno di assenso, ancora abbracciata a lui.

«Con mia madre: mi ha detto che se non mi iscrivo all’università per andare a lavorare, sarò la vergogna della famiglia! Questo è sputare in faccia al lavoro altrui e ai sacrifici degli altri! Loro sanno solo bearsi di quel termine facendosi grandi, ma alla fine i veri sacrifici non sanno nemmeno dove sono! Li odio, sono dei bigotti e falsi, non li voglio più come genitori!»

«Calmati Testarossa, sfogati un po’ ora, ma non dire cose così cattive, sono sempre le persone che ti hanno messo al mondo!»

«Quello è il mio unico legame con loro! Non ho nient’altro in comune con quelle persone, non sono figlia loro e non voglio stare un minuto di più in quella casa!»

«E dove vorresti andare?»

Mi staccai da Stè per vederlo in faccia, ma poi abbassai lo sguardo, non avendo una risposta da dargli:

«Non lo so ancora… ma voglio trovarmi un lavoro e andarmene via da quella casa, non riesco più a vivere in questo modo, mi sento soffocare! Persino Simona inizia a cedere! Come potrei resistere ancora, dopo essermi sentita dire che sono la loro vergogna!»

Avevo nominato mia sorella e d’improvviso mi ricordai il motivo per cui ero diretta da Stè prima di discutere con mia madre: l’avevo sentito poco prima al cellulare e mi era sembrato un po’ giù di morale, il che voleva solo dire che Simona c’entrava qualcosa.

«Basta parlare di me ora Testa di Paglia, sono venuta qui perché ti ho sentito un po’ sottotono prima: c’è qualcosa che non va?» Stè si rabbuiò per un attimo, poi mi sorrise ma con gli occhi tristi di chi non riesce a celare davvero ciò che sente.

«Stai tranquilla Testarossa, non è nulla.»

«Invece c’è qualcosa, Stè! Quando stai così è a causa di mia sorella, ti ha fatto qualcosa? Ti ha trattato male?»

A Simona avevano tolto il gesso ed ora faceva fisioterapia, ma nel frattempo, le visite “casuali” di Stè e la serata trascorsa insieme avevano avvicinato i due e iniziavo a sperare che finalmente Testa di Paglia avesse avuto la possibilità di dichiararsi, soprattutto visto che Simona lo stava aiutando a capirci qualcosa di matematica. Il mio biondo amico aveva scoperto di amare quella materia e si era iscritto a quella facoltà che reputavo frequentata da soli geni mezzi alieni che non avevano alcun nesso con noi esseri umani “normali”. Così quando Stè ci disse che si sarebbe iscritto a Matematica, si trovò davanti i miei occhi praticamente fuori dal cranio per quanto erano sgranati. Mai avrei pensato che il mio compagno di casini si sarebbe rivelato un apprendista secchione-genio!

Aveva iniziato a seguire i corsi con molta tranquillità, com’era suo solito, perdendosi anche qualche lezione qua e là, convinto di poter recuperare; ma poi si era reso conto che la matematica va seguita e che lui aveva iniziato con il piede sbagliato, così per recuperare aveva chiesto una mano a Simona, che in quanto prossima alla laurea in ingegneria informatica, di matematica ne aveva una signora conoscenza! Ormai iniziavo a considerarlo non solo il mio migliore amico, ma anche un futuro membro della mia famiglia, probabilmente l’unico membro che mi sarebbe mai stato a cuore! Ma a quanto sembrava, le cose non erano così rosee.

«No Pasi, non mi ha fatto o detto nulla di male… è che…» tirò un sospiro «...credo proprio di non avere speranze con lei!»

«Stè ma questo lo dici da cinque anni! Non è una novità che mia sorella sia l’unica al mondo a farti sentire insicuro e ad abbatterti! Continuo a non capire cosa tu ci trovi in lei, ma ultimamente inizio anche a pensare che tu le faccia bene, la vedo più serena, per quanto lei lasci trapelare quello che sente!»

«Davvero è più serena? Io non vedo cambiamenti Testarossa! La frequento da un po’ ormai, ma sembra sempre un pezzo di ghiaccio nei miei confronti, non riesco a capire cosa provi...»

«Stè, quello non riesco a capirlo nemmeno io! Simona è un rebus e anzi, io credo che tu sia l’unica persona in grado davvero di comprenderla! Ricordi cosa mi dicesti quel pomeriggio? “Tu non la capisci”, invece tu ci riesci!  Mia sorella si è confidata con te, sei stato l’unico che sia riuscito mai a farla aprire, a farle mettere a nudo una sua paura. Stè tu hai un legame speciale con lei, la capisci e lei si fida di te come se ti conoscesse da una vita!»

«Ma mi conosce da una vita! Sono otto anni che frequento casa tua!»

«Sì ma per vedere me, non lei! Quanto avete parlato voi due in questi otto anni? Quanto sapete l’una dell’altro e viceversa? Eppure tu sei riuscito a farla parlare!»

«Perché ero lì quando aveva bisogno di qualcuno con cui farlo Pasi…»

«No Stè, perché a quel punto avrebbe potuto anche parlare a me! Se avesse solo voluto sfogarsi, avrebbe preso la prima persona a caso e l’avrebbe fatto, invece ha mentito, mantenendo la sua facciata di brava ragazza e solo con te è riuscita a mettersi a nudo, solo con te ha abbassato le sue difese!» Cosa che non ha fatto Emile con me!

«Non so Testarossa, sono confuso...» Non dirlo a me Testa di Paglia! Io ho un caos dentro che non potrei nemmeno descrivertelo!

«Stè fatti coraggio e credi in te stesso; io sono convinta che se tieni duro, potrai farcela!» quella era una frase che inconsciamente, rivolgevo anche a me stessa.

Abbracciai Stè per dargli un po’ di conforto quando squillò il mio cellulare: era Fede.

«Non ho mai ricevuto così tante chiamate da te come in questi ultimi giorni! Ti stai forse innamorando di me?» iniziai a prenderlo in giro, desiderosa di cambiare un po’ argomento e di rilassarmi con due chiacchiere stupide.

 «Oh sì PASIFAE, non hai idea di quanto io t’ami, ad iniziare dal tuo bellissimo nome!» questa me l’ero cercata:  Fede=1,  Stupida Pasi=0.

Non avevo intenzione di ribattere e continuare all’infinito un discorso che mi faceva saltare i nervi… soprattutto in quel giorno in cui tutto ciò che mi ricordava mia madre doveva essere bandito!

«Ok, ho capito cambiamo discorso… cosa c’è Fede? Serve una mano in comunità?»

«A dire il vero non proprio, ma in qualche modo è collegato; vieni appena puoi, ti aspetto.» così dicendo,  chiuse la chiamata lasciandomi alquanto perplessa: che cosa significava quella frase?!















_________________________________________

NDA - ovvero: Angolo dei Ringraziamenti xD

Lo so che mi dite che non ce n'è bisogno, ma io vi ringrazio lo stesso perchè il vostro appoggio è prezioso :*

Grazie di cuore alla mia tomdachi/beta Iloveworld [pubblicità progresso: andate a leggere la sua storia "Ali d'argento" perchè anche se è work in progress, i capitoli finora pubblicati sono una meraviglia *_*] e tutte le mie sorelle : Ana-chan, Cicci, Ely, Niky, Saretta e Vale.

Grazie di cuore, per le belle parole di elogio, gli incoraggiamenti e l'entusiasmo. <3<3<3<3

E grazie come sempre a tutti coloro che passeranno di qui e si fermeranno a leggere ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 06 ***


Capitolo 6







 

«E tu mi hai fatto venire qui, per questo!?»

Lo guardai a dir poco allibita: il motivo per cui era richiesta la mia presenza era una foto che Fede aveva trovato nella cassettiera, che IO avrei dovuto restituire ad Emile!

«Pasi, io qui ci lavoro, non posso entrare e uscire quando voglio! Tu conosci casa sua, conosci lui e non impiegherai molto a restituirgliela.»

«Ma chiamalo e digli di venire a prendersela! Io che c’entro nei vostri affari?» era la seconda volta in quella giornata che facevo la gnorri e la seconda volta che venivo sbaragliata.

«Ancora tenti di nasconderti? Ti sto offrendo la possibilità di rivederlo su un piatto d’argento stupida! Approfittane, a meno che tu non ti sia decisa a prendere in mano la situazione trovando occasioni per farlo…», mi guardò con un sorrisino sarcastico molto simile a quello che avevo visto sul volto di Emile: ma si stavano prendendo tutti gioco di me?!

«Fede, apprezzo molto i tuoi tentativi di trovarmi un ragazzo, ma credo proprio che tu abbia sbagliato soggetto! E poi non ho mai detto di volerne uno, né tantomeno di essere interessata ad Emile Castoldi!»

Purtroppo il volume alto della mia voce, che zittì un po’ tutti in quella sala comune, mi smentì drammaticamente…

Fede com’era suo solito non si scompose, al pari di Stè capiva benissimo che dietro le mie urla c’era un conflitto che ancora non avevo avuto modo di risolvere e aspettava paziente che sbollissi la rabbia e iniziassi a ragionare.

«Testolina dura, ho capito che ci vorrà del tempo prima che tu ammetta a te stessa ciò che è palese per tutti, però nel frattempo, visto che io non sono coinvolto e vedo più razionalmente di te, permettimi di dirti una cosa: Emile non è un tipo semplice, ho capito che fa il duro per proteggersi, per allontanare da sé chi potrebbe fargli del male. Hai visto anche tu che con qualche parola chiara e ragionevole, ha abbassato la guardia e si è mostrato diverso. Quindi non ti fermare alle apparenze, non lasciare che il tuo orgoglio ti chiuda gli occhi e non ti faccia raggiungere ciò che quel ragazzo protegge dentro di sé. Osserva al di là del muro che erge tra sé e gli altri e guarda chi è veramente. Solo allora potrai essere sincera con te stessa e ammettere con cognizione di causa cosa provi per lui. Ed ora prendi questa foto e fila via da lui.» così dicendo mi diede la foto insieme ad un altro foglio e mi buttò fuori dalla comunità senza troppe gentilezze.

Aprii il foglietto, c’era un numero e un appunto di Fede:



Visto che sicuramente non avrai la forza di presentarti a casa sua, ti lascio il numero del suo cellulare, così potrai avvertirlo tramite telefonata o sms e proteggerai la tua dignità :P



Fede era un demone travestito da angelo! Ma Dio solo sapeva quanto ero felice che lui e Stè fossero nella mia vita!

 

*****

 

Come preventivato da Fede, non ebbi la forza di presentarmi su due piedi a casa di Emile, inoltre era molto facile che non fosse in casa se lavorava, per cui la cosa migliore da fare era avvertirlo tramite cellulare: se l’avessi chiamato però, ero certa che mi avrebbe assalito l’idiota balbuzie da quindicenne in amore, quindi optai per un sms (e sentii il sorriso soddisfatto di Fede dietro la mia testa, anche se non ero più lì con lui).

Mi accomodai su una panchina nei giardini pubblici e dopo mezz’ora di scritture e riscritture e revisioni e controlli del testo (doveva essere un sms senza fronzoli, senza errori grammaticali, senza alcuna testimonianza che avessi una voglia matta di vederlo; mai gli avrei dato una simile soddisfazione!), mandai il messaggio mentre l’ansia fece poltiglia di me, che restai in attesa di risposta. Quest’ultima per fortuna non si fece attendere molto: dopo un paio di minuti arrivò, mandando il mio cuore in gola, mentre lottavo con la sensazione che potesse uscirmi dal petto da un momento all’altro.

Emile rispose che stava per uscire da lavoro, quindi se gli avessi detto dov’ero mi avrebbe raggiunto: gli spiegai dove mi trovavo e attesi che arrivasse.

Nel frattempo iniziai a guardare quella fotografia con attenzione. C’erano tre persone ritratte, un uomo una donna e un neonato: avevo riconosciuto la signora Claudine anche se in quella foto il suo sguardo era diverso come il giorno lo è dalla notte! Era felice, aveva una grande luce negli occhi ed era davvero bella! Accanto a lei c’era quello che doveva essere suo marito: un bell’uomo alto dai capelli ricci portati lunghi fino alle orecchie, con un sorriso allegro che mi ricordava molto quello di Stè; il padre di Emile doveva essere una persona altrettanto allegra e serena… o forse lo era stato un tempo... Quello che per deduzione logica doveva essere Emile, era un fagottino in braccio alla madre, avvolto negli abiti enormi dei neonati che insieme alle braccia della genitrice, non lasciavano vedere molto del piccolo che proteggevano, ma già si intravedeva quella chioma rossa che lo contraddistingueva.

Mi innamorai all’istante di quell’immagine: nella mia famiglia i sorrisi da foto erano sempre falsi, appena accennati e ovviamente di circostanza, mentre in questa istantanea c’erano due persone davvero felici che mostravano la loro gioia a chi la guardava; erano riusciti a trasmetterla persino attraverso il negativo!

In un secondo momento però mi assalì la tristezza: la felicità di Claudine dov’era andata a finire? Perché si era spenta in quel modo? Perché ora in quella famiglia non c’era più la gioia che tanto gli avevo invidiato due secondi prima?

Ed Emile... Emile era riuscito mai a vedere quel sorriso felice sul volto di sua madre? Di certo non poteva ricordarsi il momento in cui fu scattata la foto e non sapendo nulla sulla causa della malattia di Claudine, mi chiesi quanti anni avesse avuto suo figlio quando la madre aveva perso definitivamente il sorriso. Fu osservando la testa rossa di quel neonato che mi resi conto anche di un particolare: entrambi i genitori di Emile avevano i capelli castani… allora da dove proveniva quel color carota che tempestava i miei sogni da settimane? 

«Scusa se ti ho fatto attendere, ma oggi c’era un traffico impossibile!»

Per poco non saltai dalla panchina: Emile comparve dietro le mie spalle senza annunciarsi e sicuramente mi aveva anche visto mentre osservavo la foto della sua famiglia! Mi alzai in tutta fretta decisa a fuggire via per la vergogna, poi mi resi conto che doveva aver corso perché era affannato: ci teneva così tanto a quella foto? Del resto non poteva essere altrimenti, probabilmente era l’unica immagine felice della sua famiglia, come poteva non essere importante per lui?

«Ma hai corso? Hai l’affanno! Non c’era bisogno di affrettarsi, vieni siediti…»

«Non ce n’è bisogno… sono solo fuori esercizio… dov’è la foto?» la solita gentilezza! In questi casi mi chiedevo davvero cosa ci trovassi in lui! 

«E...eccola, la tenevo in mano per non rovinarla in borsa…»

«Grazie, scusa per il disturbo.»

«Ma no figurati, non avevo nulla da fare! C-come sta tua madre?» Ero sinceramente preoccupata per la signora Claudine così osai chiedere, ben sapendo che mi aspettava un'altra frase lapidaria della serie: “Non sono fatti tuoi”.

«Oh sta molto meglio, oggi mi ha cacciato dalla sua stanza e si è chiusa dentro!»

«Cosa? Allora sta meglio!» Si era risvegliata! Ero felice che fosse più reattiva, ma osservando con attenzione il volto di Emile, mi resi conto che parlava con la solita maschera arrogante e sarcastica.

«Certo, non lo sai che chi soffre di depressione ha dei momenti di calo totale e in seguito un’euforia innaturale?! Alcune volte si è arrampicata sui tetti per mettersi a ballare e l’abbiamo dovuta trascinare giù!»

Quel discorso stava assumendo dei toni surreali, iniziavo a credere che Emile si stesse prendendo gioco di me... 

«Ah davvero? Beh allora è una persona fantasiosa!»  stetti al suo gioco: se credeva che fossi una stupida da impressionare si sbagliava alla grande!

«Oh sì, certo! A volte ha delle energie invidiabili: anni fa cacciò anche mio padre dicendo che non lo voleva più nel suo letto, mettendolo in imbarazzo davanti alla famiglia riunita!» Emile si era curvato leggermente su di me e mi guardava di nuovo con quell’espressione tra il divertito e l’arrogante, come se mi volesse dire “Sei una stupida se credi che ti dica la verità”.

 «Una volta ha anche tentato di uccidermi sai?!»

Vabbè questo era troppo, a quel gioco stupido infantile e perverso non volevo starci più ed esplosi:

«Senti tu, stupido borioso saccente, io sono davvero preoccupata per tua madre e non tollero che mi si tratti come un’imbecille prendendosi  gioco di me e delle mie buone intenzioni! Se tu non riesci a capire quando una persona è sinceramente preoccupata, beh allora ti compatisco!»

«Mi compatisci?» gli occhi di Emile si strinsero in una fessura mentre si ergeva su tutta la sua statura mettendo distanza tra di noi. In quel momento sentii la sua furia irradiarsi come un’aura dal suo corpo:

«Tu mi compatisci? Sai cosa mi sembri? Una mocciosa impicciona che non arrivando al suo scopo inizia a denigrare ciò che voleva raggiungere! Sei proprio come credevo al concerto dei TresneT, una bambina che non avendo argomenti insulta con la più banale delle offese! Mi stai attorno da settimane, t’impicci dei miei affari e della salute di mia madre fingendoti una gentile crocerossina, ma sai che c’è’? Di persone come te, finte missionarie, ne ho viste a bizzeffe! Sai quante persone hanno mostrato a me e mio padre i loro volti misericordiosi, infilandosi in casa nostra, solo per spiare la situazione e spettegolare sulla salute di mia madre?!  Sai quanti hanno offerto il loro aiuto per poi sparire alla prima crisi ingestibile?! Non me ne faccio nulla della vostra carità, non voglio la vostra pietà e non m’interessa il vostro falso aiuto!»

Ora sì che era furioso, ma lo ero anche io! Per chi mi aveva preso? Io una pettegola! Proprio io che odiavo tutte le chiacchiere di cortile e la tipica frase dei miei genitori “Poi la gente che ne pensa?”!? Come osava paragonarmi a loro!

«TU NON SAI NIENTE DI ME STUPIDO IDIOTA! Non sai nulla di come sono, non sai nulla di quello che faccio e vedo che non ti sei preso nemmeno la briga di farlo! Fede ti ha detto che io e lui trattiamo con le persone psicologicamente fragili da tempo e hai visto tu stesso che siamo stati in grado di gestire la crisi di tua madre! Se fossimo stati dei pettegoli saremmo solo rimasti a guardare e poi saremmo scappati via a riportare l’accaduto, riempiendolo di urla che tua madre non ha dato e di scene drammatiche che non ci sono mai state!  Eppure Fede te l’ha anche detto! E sembravi aver capito che eravamo felici di darti una mano! Invece sei solo un pallone gonfiato che ha le manie di persecuzione! Tieniti la tua stupida foto e sparisci dalla mia vista! Anzi no, me ne vado io!» 

Così dicendo, girai le spalle a quel ragazzo che aveva osato paragonarmi ai miei genitori e mi allontanai, prima che la furia che mi pervase in quel momento mi portasse a salire su quella panchina e allungare le mani sul suo collo per strangolarlo!

 

Feci qualche passo per schiarirmi le idee, poi mi fermai quando capii che ero lontana da occhi indiscreti: cercai di prendere a pugni un albero, ma il risultato fu deleterio per le mie nocche, così decisi di rilassarmi con qualche dose di respirazione profonda.

D’improvviso mi resi conto che quel giorno avevo detto a mia madre che me ne andavo di casa, ma che non avevo uno straccio di luogo in cui rifugiarmi!

A casa non ci sarei tornata di sicuro, avevo il mio orgoglio da difendere e volevo dimostrare ai miei di avere seri propositi, quindi avrei dovuto rimediare un letto per la notte e l’indomani iniziare a cercarmi un lavoro.

Dove potevo andare? Chi poteva ospitarmi?

Ma certo! Margherita!

 

 

*****

 

Margherita, che voleva farsi chiamare Rita, era una donna di mondo. O meglio ne aveva tutta l’aria: era di famiglia benestante e desiderosa di avere la sua indipendenza; così una volta scelta la facoltà universitaria, nonostante non abitasse lontano da essa, decise, utilizzando i suoi fondi per gli studi, di trovarsi un appartamento per poter studiare in pace e iniziare a vivere in modo indipendente dalla famiglia. Aveva trovato un lavoro part-time e, essendo una fissata della forma fisica, trovava anche il tempo per cure estetiche e palestra e i suoi studi non ne erano minimamente compromessi: una specie di genio! In questo era molto simile a Simona, ma al contrario di mia sorella, Rita amava divertirsi: magari centellinava le uscite, programmava i suoi impegni, ma quando serviva una mano lei c’era, era una buona amica e aveva sempre una parola di conforto per tutti.

Rita e Fede erano più grandi di me e Stè, avevano l’età di Simona, ventitré anni e forse per questo erano così protettivi nei nostri confronti e molto probabilmente io vedevo in loro un fratello e una sorella che non avevo mai avuto, se non addirittura dei genitori! Rita aveva scelto un piccolo appartamento in cui vivere da sola, ma mi aveva sempre detto che in caso di bisogno, quelle mura erano casa mia e sarei sempre stata la benvenuta lì. Motivo per cui, in quel momento di sconvolgimenti importanti della mia vita, decisi di rifugiarmi nella tana che mi attendeva da anni.

Appena le dissi cos’era accaduto con mia madre, fece spazio nell’armadio per metterci la mia roba (che immaginava andassi a prendere) e mise a mia completa disposizione tutti i suoi spazi. Poi mi fece accomodare sul divanetto in cucina e mi chiese come stavo.

«Non c’è solo questo, vero Pasi? Ti vedo particolarmente giù di tono oggi.»

«Diciamo che il litigio con mia madre è stato l’inizio, ma poi la giornata è andata sempre peggio!»

Raccontai per sommi capi della telefonata di Fede e la litigata furibonda con Emile, le dissi di cosa mi aveva accusato e quanto profondamente mi avesse offeso, le spiegai del giorno al pronto soccorso e di come quel ragazzo fosse diverso quando era in compagnia della madre. Rita ascoltò senza battere ciglio finché non terminai il mio racconto.

«Certo che tu e quel tipo non riuscite proprio a parlare come comuni mortali! Tu t’inalberi per un nonnulla, lui offende senza troppe remore... che bella coppia!»

«Non siamo affatto una coppia! Assolutamente non ho nulla da spartire con quello lì!» a parte il fatto che mi avesse offesa terribilmente e fatta sentire un’emerita idiota per essermi preoccupata per lui e per la sua famiglia!

«Pasi, si vede lontano un miglio che quel tipo t’interessa, tu forse non te ne sei resa conto, ma ti sei già presa a cuore tutto quel che fa e quello che lo riguarda, seguendo le sue esibizioni e preoccupandoti della madre. Sono certa che anche Fede sia arrivato a questa conclusione, altrimenti non ti avrebbe spedito ad incontrarlo!»

Rita mi aveva circondato le spalle con un braccio e mi consolava, proprio come avrei voluto che facesse una sorella: mi sentii realmente piccola e indifesa in quel momento. Lei e Fede erano davvero i miei fratelli/genitori, soprattutto alla luce del loro passato.  

Erano stati insieme quando frequentavano le scuole medie superiori e a detta loro si erano amati davvero molto. Però crescendo si erano resi conto di essere cambiati e che i quindicenni che si erano innamorati, erano diventati diciottenni insoddisfatti che non sapevano più cosa volevano, così di comune accordo si erano lasciati e adesso erano buoni amici.

Non che troncare la loro storia fosse stato facile.

Non si erano più sentiti per qualche anno, allora non c’erano le premesse per venirsi incontro e guardarsi sotto altre spoglie che non fossero solo quelle dell’ex. Ma con qualche anno di distanza e qualche esperienza di vita che li aveva fatti crescere, quando si erano ritrovati si erano anche accorti di riuscire ad essere buoni amici ed ora guardavano con serenità e senza alcuna recriminazione al loro passato. Io non sarei mai riuscita ad essere amica di un mio ex ragazzo, probabilmente perché le mie storie erano finite sempre in litigi… Sapevo di non poter piacere a tutti e comprendevo che le critiche spesso erano costruttive, ma quando qualcuno a cui tenevo mi criticava, alzavo subito le barriere e attaccavo a mia volta! Ero così stanca di essere criticata da chi invece volevo solo che mi sostenesse, che non riuscivo a mantenere un contegno razionale né tantomeno pensare di rivedere un mio ex ragazzo senza ripensare a tutto ciò che aveva avuto da ridire sul mio conto! Ed ora mi stavo innamorando di un tipo che non solo criticava gratuitamente, ma riusciva anche a farmi sentire una vera stupida…

«Rita non voglio!» assumendo la voce lagnosa di una bambinetta mi rifugiai tra le braccia della mia madre acquisita: «Ti ricordi come sono stata male quando è finita la storia con Alessio? E quali sono stati i miei propositi quando tutto è passato: basta farmi mettere l’orgoglio sotto i piedi dal primo ragazzo che capita! Non ti sembra che io sia stata umiliata già abbastanza?! Non voglio innamorarmi di un tipo simile! Non voglio impegnarmi in quest’altra battaglia, che mi lascerà solo più incattivita e cinica!»

«Pasi ti stai fasciando la testa prima di romperla: chi ti dice che sia una storia destinata finire? E soprattutto, se te ne sei innamorata, evidentemente hai visto qualcosa in lui che ti ha colpito, al di là del suo caratteraccio. Lo sai che gli esseri  umani sono un insieme di tante piccole sfumature di carattere, siamo creature terribilmente complesse e ciò che vedono di noi gli altri, non sempre corrisponde a ciò che veramente siamo. Probabilmente Emile ha solo un modo di fare aggressivo che nasconde qualche insicurezza. Certo se ti fa star male, se quando pensi a lui sei solo triste e arrabbiata, allora forse non ne vale la pena... ma se ti è capitato più volte di sentirti emozionata all’idea di vederlo, se la sua voce o il suo nome o qualsiasi più piccola cosa a lui connessa ti scombussola, allora significa che il tuo  cuore sta già sognando e tu devi solo adeguarti alla sua volontà.»

Che belle parole sapeva dire Margherita, com’era dolce e sognante il suo modo di vedere le relazioni umane! Nessuno avrebbe mai pensato che una persona così attiva e presa dall’epoca moderna fosse così sognatrice, eppure anche lei nascondeva dentro di se un animo tale! Probabilmente aveva ragione, dovevo concedere al mio cuore il beneficio del dubbio e cercare di capire chi si nascondeva dietro quegli occhi di ghiaccio, quel sorriso sarcastico e quelle parole taglienti. Anche Fede mi aveva spronato a farlo, forse dovevo davvero credere ai miei amici/genitori! D’un tratto però mi resi conto di un particolare non indifferente: stavamo facendo i conti senza l’oste, perché io non avevo la più pallida idea di cosa Emile provasse per me e se pensavo alla lite avuta qualche ora prima, potevo sicuramente affermare che mi disprezzasse non poco!

Mi stava salendo di nuovo la rabbia al pensiero del modo maleducato e gratuitamente velenoso in cui mi aveva trattato, quando sentii il cellulare squillare: potevano essere i miei genitori? Erano in ansia per me? Non osavo pensarlo!

Mi staccai dall’abbraccio di Rita per prendere il telefono e vidi un numero che non conoscevo, accettai la comunicazione e per poco non mi cadde il cellulare di mano quando sentii la voce di Emile:

«Ciao… volevo chiederti scusa per prima, sono stato davvero maleducato e sgarbato, ho capito dopo di averti insultato gratuitamente, perché ora avrei davvero bisogno di aiuto e mi sono reso conto che tu e Federico siete stati bravissimi con mia madre l’altro giorno...»

Dopo l’iniziale sorpresa di sentirlo, iniziai a ragionare: Emile si stava scusando… ma ad Emile serviva anche un aiuto immediato… Avevo il sospetto che se sua madre non avesse avuto bisogno di me all’improvviso, quella telefonata non avrebbe mai avuto luogo!

«Perché non chiami Federico, di sicuro lui è meno invadente e persecutore di me!»

Non potevo cedere così su due piedi, non ero certo il suo cagnolino, gli avrei fatto vedere di che pasta ero fatta!

«Federico non può venire e mi ha detto di chiamare te!» Parlò a denti stretti con un tono che mal celava la sua irritazione: quindi ero la sua ultima scelta! Era stato costretto a chiamarmi dal precipitare degli eventi... E cosa gli faceva pensare che avrei acconsentito?

«Quindi mi stai dicendo che non volevi chiamarmi, ma sei stato costretto a farlo perché non avevi via d’uscita e ti è toccato anche scusarti!» Ah come gongolavo! Per una volta ero io a guardarlo dall’alto in basso, anche se solo metaforicamente! Beccati questo rossino malefico: Pasi=1, Pel-Di-Carota=0!

«Sì, lo so sono un bastardo cinico e opportunista e capirò se mi dirai che posso anche andarmene al diavolo, io e mia madre, ma a quel punto potrò anche immaginare che davvero non t’importi nulla di lei, perché io devo assolutamente uscire, mio padre non è in casa e mia madre non può stare da sola!»

Assurdo, mi stava chiedendo un aiuto e tuttavia lo stava pretendendo rigirando a suo favore il mio discorso! Oddio che voglia di strangolarlo che avevo! Però sentivo anche la sincera preoccupazione nella sua voce e tutto sommato quando avevo offerto il mio aiuto ero stata sincera...

Decisi di andare, tuttavia feci ancora un po’ la preziosa:

«L’infermiera non c’è? Non hai detto che ce n’è una fissa accanto a tua madre?»

Pausa. Si sentì un sospiro e poi Emile tornò a parlare:

«Non riesco a contattarla, la sera normalmente è libera perché c’è sempre qualcuno di noi in casa, quindi non è tenuta ad essere rintracciabile!» disse a denti stretti, trattenendo di sicuro qualche bell’insulto: doveva essere davvero disperato… «Vabbè, fa nulla, scusami per il disturbo e scusami ancora se sono un imbecille!»

«D’accordo ora vengo, ma dammi un po’ di tempo perché non ho l’auto.»

«Ok… grazie.»

 

 

*****

 

Quando arrivai, Emile aprì le porte di casa prima ancora che bussassi, di sicuro stava di vedetta dietro la porta con l’ansia addosso! Mi rammaricai di non averlo fatto attendere di più, ma poi pensai che il fatto stesso di chiamarmi e di chiedere il mio aiuto dovevano essere stati una bella punizione al suo orgoglio spocchioso e mi godetti quel momento di superiorità. Entrai e con un debole cenno del capo a mo’ di saluto,  iniziò a parlarmi:

«Mia madre ora dorme, ma sarebbe meglio restarle accanto, non ha avuto altre crisi, ma ultimamente è più imprevedibile del solito, per cui è meglio tenerla sotto controllo…» si fermò un istante, con l’aria combattuta, poi si decise a guardarmi in faccia: «Scusami davvero per oggi e per poco fa, ti ho trattata davvero malissimo e invece tu sei qui a darmi una mano: dammi anche dell’idiota o insultami come preferisci, stavolta non ribatterò nulla!»

Mi stava guardando per la prima volta con uno sguardo sincero, privo di del solito sarcasmo o della rabbia: quelli erano gli occhi del suo animo, gli occhi della persona che lui proteggeva da tutti? Mi sentii ipnotizzata da quel grigio azzurro così limpido e intenso e non riuscii a dir alcuna parola velenosa:

«È successo qualche imprevisto grave?» andai dritto al sodo, non volevo discutere, ma non volevo nemmeno minimizzare l’accaduto, così cercai per lo meno di sapere il motivo per cui alle otto e mezzo della sera io mi ritrovassi in una casa sconosciuta a prendermi cura della madre di Emile.

«No, per fortuna… mio padre è fuori casa perché stasera sarei dovuto restare io con mia madre, ma all’improvviso mi hanno chiamato i ragazzi per un’esibizione organizzata all’ultimo minuto e mi sono ritrovato a non saper chi chiamare e... il resto lo sai.» abbassò di nuovo la testa colpevole, per poi tornare a parlare: «Scusami davvero… sono proprio un imbecille borioso!»

Restai davvero senza parole. Solo qualche ora fa mi aveva riempito di insulti ed ora non la smetteva di chiedere scusa: ma chi era il vero Emile?!

«Senti, finiamola con queste scuse, ok? Sei inquietante ora, non ci sono abituata! Tu hai esagerato, io ho esagerato;  ora  mettiamoci un macigno su e non pensiamoci più!»

Mi guardò con un misto di stupore e di divertimento sul viso, poi fece un sorrisetto appena accennato diretto più a se stesso che a me e annuì.

«Ora devo proprio andare, ma appena mi libero torno subito a casa. Se ti viene sonno, in camera di mia madre la poltrona è reclinabile, se hai fame la cucina è a tua disposizione. Hai avvisato i tuoi che sei qui?» Quell’ultima domanda mi lasciò interdetta: credeva che fossi una bimbetta? E poi non volevo affatto pensare ai miei genitori in quel momento!

«È tutto ok, stai tranquillo! Il mio numero ce l’hai se vuoi controllare ogni tanto come va, quindi ora muoviti o farai tardi, ci vediamo dopo!» e così dicendo sfoderai un bel sorriso rassicurante, che ebbe l’effetto di far sorridere anche lui:

«Allora a più tardi, ciao!» e dopo avermi lasciata inebetita per quel sorriso improvviso, chiuse la porta di casa dietro di sé,  uscendo dalla mia visuale. Così, mi ritrovai sola (o quasi) in casa di Emile: al piano di sopra mi aspettava la signora Claudine, ma prima di andare da lei, avevo il desiderio spasmodico di osservare la casa in cui viveva il protagonista dei miei turbolenti sogni.













_____________________________________________

NDA

"Qualcosa si muove all'orizzonte... i nostri eroi riusciranno ad avere una conversazione civile, prima o poi? La risposta nella prossima puntata" xD

E dopo questo delirante commento, passo allo scopo principale di quest'angolo: i ringraziamenti a tutte le mie sorelline che mi seguono, si entusiasmano e rendono la sottoscritta felice e orgogliosa ^ ^

Grazie all'infinito a Iloveworld, Ana-chan, Cicci, Ely, Vale, Niky e Saretta. Grazie davvero tesore mie!!!

E grazie anche a tutti coloro che si fermeranno a leggere, e a chi segue questa storia con interesse. Grazie grazie grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 07 ***


Capitolo 7





Mi sentivo una ladruncola curiosa per cui camminai in punta di piedi per gran parte del tempo: la mia coscienza mi stava dicendo di andare direttamente al piano di sopra, ma un’altra parte di me mi ricordava che dovevo ancora cenare e che quindi almeno in cucina dovevo pur andarci… E a quel punto mi venne in mente, che forse anche Claudine aveva fame. Avevo visto la madre di Emile solo in due occasioni e in nessuna di esse aveva aperto bocca, ma non potevo credere che fosse così fosse così immersa nella sua tristezza da rinunciare anche a parlare ed esprimersi, doveva pur avere dei momenti di “lucidità”!

Decisi quindi di chiedere alla signora se avesse fame e salii le scale che davano alle stanze da letto: bussai alla porta ma non sentii alcuna voce, quindi mi permisi di entrare. Claudine apparentemente dormiva, mi avvicinai cercando di far un po’ di rumore in modo da annunciarmi, ma nulla si mosse nel letto, così arrivai accanto alla signora e mi accertai che dormisse. Decisi quindi di scendere per consumare il mio pasto, ma una volta fuori dalla stanza, mi assalì la voglia di vedere la camera di Emile: volevo conoscere il suo rifugio, il luogo in cui avrebbe dovuto esserci tutto ciò che lo riguardava; volevo sapere tutto di lui ormai, volevo capire chi era davvero, se mi stavo perdendo dietro un’immagine illusoria che avevo creato io, oppure se il mio cuore aveva visto nella giusta direzione, capendo prima della mia mente.

Le stanze al piano di sopra non erano molte: dalle scale si accedeva ad un corridoio che si estendeva a destra, lasciando lo spazio a sinistra solo per un ambiente, probabilmente un’altra stanza da letto. La camera della signora Claudine era la prima a destra, accanto c’erano due bagni e di fronte altre due stanze. Mi diressi verso queste ultime… e scoprii che entrambe erano chiuse a chiave! 

Disgraziato, non si fidava proprio! 

Una voce dentro di me mi disse che considerato ciò che stavo facendo, aveva decisamente ragione, ma stizzita la misi a tacere e cercai di curiosare nella stanza in fondo a sinistra, ma risultò chiusa anch’essa!

Che nervi, il mio momento da Sherlock Holmes rovinato prima di nascere! Stizzita con Emile e la sua eccessiva sfiducia, scesi in cucina, mi preparai un panino e andai nel salotto, quella che sembrava la stanza dedicata al passato di Claudine. Ero curiosa di ascoltarla e di saperne di più, volevo capire chi fosse quella donna che aveva rinunciato a vivere; la solita vocina mi disse di non attardarmi lasciando la donna Claudine sola, ma pensai al suo sonno profondo e infilai le cuffie per ascoltare il giradischi: la sua voce era come la ricordavo, dolce e delicata e il suo modo di cantare era sempre un po’ soft, una vera chanteuse!

Sfogliai qualche rivista ordinatamente riposta negli scaffali, ma erano tutte in francese e capii qualcosa solo dalle immagini: vidi Claudine Flaubert radiosa mentre riceveva dei riconoscimenti, ma soprattutto articoli di cronaca rosa in cui la signora compariva con un uomo, il padre di Emile, Alberto Castoldi. Da quanto riuscivo a capire, la stampa francese si era concentrata più sui pettegolezzi che sulla carriera della signora Claudine: probabilmente era stata una vittima del gossip più spietato a discapito dei suoi meriti professionali. Iniziavo a capire quanto Emile potesse odiare le persone invadenti e pettegole se i paparazzi avevano messo mano nel distruggere la carriera della madre. A quel punto decisi che era giunta l’ora di fare ciò per cui ero venuta: presi qualche altra scorta di cibo, gironzolai per il salotto in cerca di un libro da leggere e salii da Claudine.

Era ancora addormentata, così mi accomodai sulla poltrona. Stavo iniziando a sbucciare una mela quando sentii un fruscio di lenzuola e alzando lo sguardo, vidi la madre di Emile che mi osservava:

«Tu non sei Sabrina.» probabilmente si riferiva all’infermiera.

«No, sono Pasi signora, stasera ci sono io con voi.»

«Sei giovane.» in effetti la mia non era proprio la tipica età da infermiera…

«S-sì, sono ehm.. un’amica di Emile.» più o meno…

«Il mio Emile è un bravo bambino vero? È così tranquillo, così dolce, così assennato… » Claudine era rimasta tutto il tempo col capo sul cuscino, senza mostrare la minima volontà di alzarsi a sedere, ma all’improvviso la vidi piangere e per un attimo andai nel panico!

«Io non lo merito, è così buono Emile, io non sono una brava madre… non sono capace di fare la madre! Mon Emile è stato sfortunato! Mon petit Emile!»

La tristezza che traspariva da quelle parole mi strinse il cuore: Claudine era divorata dal senso di colpa per essere stata una madre assente e come ogni depresso che si rispetti, non era in grado di reagire. Posai la mela che stavo sbucciando e mi allungai ad accarezzare il capo di quella donna triste per darle un po’ di conforto:

«Non è vero Claudine, non siete una cattiva madre. Sapeste come vi guarda Emile! Vi ama tanto e non è affatto arrabbiato con voi...»

Claudine alzò il viso dal cuscino e iniziò ad osservarmi attentamente.

«Non è arrabbiato? Ma io sono stata cattiva con lui! L’ho lasciato nella culla! L’ho lasciato a piangere! Sono stata cattiva!»

«È tutto passato, Emile non ci pensa più, non vi preoccupate» continuai ad accarezzarla per tranquillizzarla, mentre sentivo quegli occhi chiari che sondavano il mio volto, «Vi va una mela? La stavo sbucciando proprio ora…»

Claudine fece un cenno affermativo con la testa, così l’aiutai a mettersi a sedere e ripresi a sbucciare la mia mela, dandole gli spicchi mano a mano che li tagliavo. Guardai quella donna minuta mentre mangiava: il suo avambraccio era terribilmente magro e il suo volto appariva più scavato rispetto all’ultima volta che l’avevo vista: chissà da quanto tempo non faceva un bel pasto soddisfacente! Asciugai le lacrime dal suo viso ma nemmeno se ne rese conto; doveva essere persa nei suoi pensieri in profondità, a ricordare qualche altro doloroso stralcio di vita che non riusciva a sopportare.

D’improvviso si adagiò sul cuscino e chiuse gli occhi, dando l’impressione di essere troppo sfinita per fare alcunché, così smisi di darle la frutta e la riadagiai nel letto. A quel punto, dagli occhi chiusi di Claudine emersero altre lacrime:

«Io voglio bene al mio bambino…»

Parlò senza aprire gli occhi, persa nella sua tristezza e nel senso di colpa; allungai la mano sul suo volto per accarezzarlo come avevo visto fare ad Emile, finché non la vidi scivolare del tutto nel sonno.

Le discussioni di quel giorno e i malumori consecutivi erano stati terribilmente stancanti: dopo poco sentii che anche i miei occhi chiedevano riposo e mi addormentai, ma prima di perdere i sensi del tutto, passò nella mia mente l’immagine del giradischi in salotto che non avevo spento.

*****

«Pasi… Pasi.»

«Mmm»

«Pasi… sono tornato… sei libera ora.»

«Mmm solo un attimo, mamma.»

«Pasi, alzati che è tardi, o farai tardi a scuola!»

«Mmm»

Aprii gli occhi malvolentieri, pensando che avrei dovuto affrontare un altro giorno di scuola. e mi ritrovai davanti il volto di Emile che mi osservava divertito! Balzai in un attimo sulla poltrona con il cuore in gola per la sorpresa e sentii quel diavolo rosso che se la rideva sommessamente.

«Paura dei professori o della mamma?» mi sussurrò malignamente, attento a non svegliare la sua di madre.

«Divertente, proprio divertente!» sbuffai, rendendomi conto che aveva trovato un modo encomiabile per svegliarmi di colpo!

«Visto che non ti svegliavi, mi sono affidato all’inventiva!» e continuò a farsi la sua risatina malefica tra sé e sé.

«Potevi anche lasciarmi dormire visto che c’eri!» risposi irritata; possibile che riuscisse a trovare un modo per prendersi gioco di me anche quando dormivo?!

«Non sarebbe stato cortese lasciarti dormire in quella posizione scomoda, ora sei libera di andare a riposare in modo degno» solo allora mi resi conto di essermi addormentata poggiando la testa sul letto, mentre accarezzavo il volto di Claudine… Emile mi aveva visto in quell’atteggiamento così confidenziale? Probabilmente no, altrimenti di sicuro sarebbe andato in escandescenza, anche se agitandosi avrebbe potuto svegliare sua madre…

Probabilmente aspettava di scendere al piano di sotto per farmi la ramanzina, però il suo viso sembrava sereno, molto sereno ora che ci pensavo…

«Andiamo giù, così non svegliamo mia madre.» Eccolo lì, l’inizio di un altro battibecco… vabbè ormai ero sveglia e fosse mai che avessimo un discorso civile! Scendemmo le scale e arrivammo in cucina, Emile si diresse verso il frigorifero.

«Vuoi un po’ di latte?»

«N-no grazie, sono a posto così.»

Se la stava prendendo comoda: stava forse pensando a cosa dirmi? O forse in effetti non c’era una ramanzina da farmi…

«Ti sono piaciute le canzoni di mia madre?» … sì, la ramanzina c’era!

A quelle parole ricordai di aver lasciato il giradischi con la lucina accesa, mostrando palesemente e svergognatamente, di aver frugato in casa sua…

Ma se dovevo essere ripresa, tanto valeva reagire subito senza subire e considerato che gli avevo appena fatto un grosso favore, poteva tranquillamente evitare di adirarsi per una cosa simile. Così con tutto il mio coraggio, feci la faccia da poker più credibile che avessi e risposi.

«Sì, ha una bella voce.» e aggiunsi «è molto dolce.»

«Sì, è vero» senza l’alone di un sarcasmo o un accenno di rimprovero nella voce, venne a sedersi al tavolo proprio di fronte a me, con il suo latte davanti.

«È stata tranquilla? Hai avuto problemi?»

Emile mi osservava con calma mentre mi chiedeva della madre, e si stava gustando il suo latte; questa probabilmente era la prima volta che parlavamo in modo civile!

«Nessun problema: si è svegliata e ha mangiato una mela e poi si è riaddormentata»

Non volevo riportargli la nostra conversazione, perché avevo l’impressione che fosse un argomento troppo intimo e che la mia intromissione, seppure involontaria, fosse del tutto fuori luogo.

«Credo di essere crollata anche io dopo un po’!» dissi con un po’ d’imbarazzo; Emile sorrise lievemente.

«Beh, non è di certo un lavoro divertente, quello! A proposito, dimmi quanto ti devo, prima che me ne dimentichi.»

Voleva pagarmi? Non avevo nemmeno pensato a quella eventualità!

«Ma no, io l’ho fatto con piacere, non ce n’è bisogno! Anche in comunità presto volontariato, non vado lì per essere pagata...»

«Ma in comunità non vai di notte, cadendo addormentata in modo scomodo e per niente rilassante.»

«Non importa, Fede dice sempre che dare calore umano è la cosa più importante, al di là di come avviene, ed io la penso allo stesso modo.»

«Calore umano?»

«Esatto; quello che si dona quando si aiuta chi è in difficoltà o si consola chi è disperato o il semplice atto di condividere qualcosa insieme. Fede è un distributore instancabile di calore umano, mi è d’esempio!»

Iniziai ad infervorarmi parlando dell’ammirazione che nutrivo per il mio amico, così capace di avvicinare le persone e percepire ciò che si portano dentro. L’entusiasmo doveva essere altamente palese sul mio viso, perché Emile fece un lieve sorriso.

«Federico è una bella persona e ci sa fare con gli altri.»

Ricordai com’era stato capace di calmare Emile con un solo gesto della mano e una frase e immaginai che anche il ragazzo di fronte a me stesse riportando la mente a quello stesso momento.

«In qualche modo però voglio sdebitarmi con te; innanzitutto, non puoi andartene a casa da sola a quest’ora ed io non posso accompagnarti o lascerei sola mia madre. Vado a sistemare il letto nella stanza degli ospiti, così potrai riposare lì.»

«Ma no che dici, non ce n’è biso…» feci uno sbadiglio colossale, mentre Emile sorridendo uscì dalla cucina.

Mi affrettai a seguirlo e l’aiutai a preparare il letto per me: ero in una delle stanze che avevo trovato chiuse a chiave, per la precisione in una delle due di fronte alla stanza di Claudine. Le pareti erano color caramello, un letto in legno scuro era disposto sulla destra della stanza mentre la parete di fondo aveva due finestre che davano sulla strada, coperte da tendine. L’arredamento era scuro ma semplice e tutto l’ambiente aveva un’aura accogliente. Finimmo di mettere a posto il letto ed Emile si apprestò ad uscire dalla stanza.

«Ti lascio riposare, domani troverò un modo per sdebitarmi con te.»

Era già sulla porta quando d’improvviso la mia coscienza parlò per me.

«Scusami se ho ascoltato i dischi di tua madre, so che è stato un atto maleducato da parte mia ma...»

«Non preoccuparti, la voce di mia madre dev’essere ascoltata!» disse questa frase abbassando lievemente il capo e indurendo la voce e capii che la carriera della signora Claudine o meglio, quello che supponevo fosse la sua mancata realizzazione, fosse il perno su cui si ergeva tutto il dramma di quella casa.

«Posso continuare ad ascoltare le sue canzoni?» Emile si voltò con la sorpresa sul viso.

«Mi piace la sua voce e… in qualche modo mi rilassa, mi fa sentir bene… mi piacerebbe ascoltare tutto ciò che ha inciso!»

Mi guardò con un’espressione indecifrabile sul volto, poi sorrise lievemente.

«Da piccolo amavo ascoltarla quando ero triste o quando ero arrabbiato: sentire la sua voce era un po’ come ricevere un suo abbraccio confortante e aveva l’effetto di farmi star meglio.»

Immaginai Emile bambino, con l’istinto di correre a rifugiarsi tra le braccia di sua madre, ma impossibilitato a riceverne il caldo abbraccio: quante volte anche io avevo desiderato il conforto dei miei genitori! E com’erano state rare le volte in cui ero riuscita ad ottenerlo! Io ero cresciuta mettendo distanza tra me e loro, invece Emile cercava ancora la presenza della madre nella sua vita, altrimenti non avrebbe mai assunto un atteggiamento così dolce nei suoi confronti.

«Che bello! La voce di mia madre invece mi mette ansia.» mi accoccolai sul letto, sentendo un’improvvisa sensazione d’intimità pervadere quella stanza.

«Forse perché ti fa da sveglia!» Emile prese a sogghignare prendendomi in giro, mentre si voltava del tutto in mia direzione.

«Uff... e non solo, mi fa anche da allarme se rientro tardi, se alzo troppo la voce, se assumo atteggiamenti “poco consoni”…. È una tortura! Mi sta sempre col fiato sul collo!»

Piegai le ginocchia e le portai al petto per stringerle a me, Emile chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò.

«Probabilmente sarei contento anche di sentirla opprimermi se fosse un modo per avere mia madre accanto.»

A quelle parole mi sentii davvero un’ingrata priva di tatto per essermi lamentata di qualcosa che lui desiderava tanto avere.

«Scusami, sono una stupida insensibile!» poggiai la testa sulle mie ginocchia, incapace di guardarlo in viso.

«Non preoccuparti, non era una recriminazione, ormai me ne sono fatto una ragione.»

«Non c’è proprio verso che guarisca?»

«Ormai sono vent’anni che versa in queste condizioni, ci sono stati momenti in cui sembrava star meglio, ma più tempo passa e meno possibilità ci sono che si riprenda… e ultimamente sta peggiorando.»

«E i farmaci?»

«Quella roba ha solo finito di distruggerla! Le hanno dato tutti i tipi di antidepressivi, ma non c’è stato niente da fare, anzi, le hanno solo minato maggiormente la salute! È tutt’ora in terapia, ma serve solo a farla dormire e a non farle fare sciocchezze.»

«Per sciocchezze intendi…»

«Suicidio, sì… ha già tentato tre volte di uccidersi in questi anni e ogni volta l’abbiamo salvata per miracolo!»

«Scusami, non voglio farti un interrogatorio, né voglio farti ricordare momenti spiacevoli… e può sembrarti una sciocchezza bella e buona quella che sto per dirti ma… credo di essermi affezionata a lei stasera e mi piacerebbe saperne di più sul suo conto.»

Il sonno mi aveva tolto ogni inibizione: parlavo davvero senza freni, incurante di ogni possibile reazione irritata di Emile. Quest’ultimo si lasciò cadere a terra, appoggiando la testa alla porta e sorrise.

«È facile affezionarsi a lei, nei brevi momenti in cui interagisce con noi, riesce sempre ad essere come la sua voce: dolce e delicata.»

«Tuo padre dev’essersi innamorato di lei perdutamente, allora!» cambiai posizione, sdraiandomi in tutta lunghezza sul letto, in cerca di una posizione più comoda.

«Mia madre è l’amore della sua vita: ha sempre detto che ama e amerà solo lei finché sarà al mondo ed io ho il sospetto che troverà un modo di farlo anche nell’aldilà!» Emile socchiuse gli occhi sorridendo, immerso in qualche ricordo personale, poi continuò riportandomi alcuni aneddoti che suo padre gli aveva raccontato riguardo la storia d’amore con la madre.

Venni a sapere così che Alberto Castoldi era un artista emergente in mostra in una galleria d’arte quando Claudine Flaubert, nota cantante in ascesa, vide le sue opere e volle conoscere il suo autore. Appena incontratisi i due s’innamorarono sul colpo e Claudine disse senza troppe remore ad Alberto che lui sarebbe stato con lei per sempre e il pittore sembrava essere d’accordo, tant’è che dopo solo tre mesi decisero di sposarsi!

Trascorremmo qualche ora parlando in tutta tranquillità, con un’intimità e una confidenza che mai mi sarei aspettata di avere: crollavo dal sonno, eppure non volevo andare a dormire, volevo godermi il più possibile quel momento di assoluta confidenza con Emile.

Solo qualche ora prima avevamo discusso furiosamente e la mia giornata, già non esaltante, era diventata un vero incubo; mai avrei pensato che si sarebbe conclusa con me sdraiata su un letto in casa di Emile e noi due che parlavamo fino all’alba come due vecchi amici.

*****

Quando mi svegliai, non mi resi conto di dov’ero: quello non era il mio letto e non ero di certo in un luogo a me familiare. Ma dopo qualche secondo mi ricordai della giornata surreale che avevo vissuto il giorno prima e soprattutto della fase notturna: iniziai a sentire una calda felicità irradiarsi dal mio petto al pensiero di essere riuscita ad avvicinare Emile senza litigarci, soprattutto perché improvvisamente quella notte aveva iniziato a parlarmi apertamente, senza più barriere. Probabilmente avendo capito che non fingevo quando dicevo di voler aiutare Claudine, sentiva di potersi fidare un po’, ma non osavo sperare che si fosse deciso a trattarmi senza stupidi preconcetti!

Piuttosto iniziai a comprendere un dato importante su di lui: le porte del cuore di Emile, si aprivano passando dalla camera di sua madre.

Quella mattina mi aspettavano tanti nuovi cambiamenti: dovevo trovare un lavoro e prendere la mia roba per cambiarmi (e avevo decisamente bisogno di una doccia!), dovevo dire ai miei che non avrei più vissuto con loro e avrei dovuto cercare anche un luogo in cui vivere, non volendo restare a far da parassita nell’appartamento di Rita. Prima però dovevo alzarmi dal letto e uscire da quella casa.

Aperta la porta della stanza, mi ritrovai nel corridoio immerso nel silenzio: non avevo la più pallida idea di che ora fosse né tantomeno di chi fosse in casa a quell’ora. Molto probabilmente la signora Claudine aveva l’assistenza dell’infermiera, ma gli altri due abitanti della casa erano lì? Sarei uscita silenziosamente come una ladra senza salutare e/o ringraziare nessuno? Mi diressi verso la stanza di Claudine (almeno avrei salutato lei!) e trovai la porta aperta. Un uomo stava cambiando le lenzuola del letto, mentre una voce proveniva da dietro una porta socchiusa nella parete di destra: doveva trattarsi dell’infermiera che aiutava Claudine a lavarsi, per cui l’uomo alle prese con cuscini e copriletti, doveva essere il padre di Emile! Percepì la mia presenza e si girò nella mia direzione:

«Buongiorno!»

Un viso allegro e un sorriso caloroso mi diedero uno dei “buongiorno” più belli che avessi mai ricevuto: quell’uomo era davvero molto simile a Stè!

«Buongiorno!» la sua allegria mi mise immediatamente a mio agio e la balbuzie-da-vicinanza-di-stupido-arrogante, che mi prendeva in presenza di Emile non ebbe modo di venire a galla.

«Dormito bene?»

«Sì grazie, ho dormito benissimo!» senza nemmeno accorgermene mi avvicinai al letto per dare una mano e ricambiai il suo sorriso mentre sprinacciavo il cuscino.

«Emile è al lavoro ora, ma credo che te l’abbia detto, no?» mi disse mentre preparava quel lato del letto che avrebbe accolto la moglie.

«In verità no, ma del resto non è importante che io lo sappia…» restai ferma accanto al letto lievemente perplessa per quella affermazione.

«Uhm… deduco che non abbiate parlato molto allora stanotte, vi siete dati alla pazza gioia, eh?» e dopo aver fatto quest’insinuazione che trovai alquanto sospetta, si fece una bella risata sincera… Avevo come l’impressione che il signor Alberto non sapesse il motivo per cui io ero lì quel giorno…

«Ehm …in che senso mi scusi?» feci la gnorri, con la speranza di aver capito male…

«Oh beh, non credo di dovertelo stare a spiegare io cosa succede se un ragazzo porta la propria ragazza a casa sua…»

OH MIO DIO!

L’imbarazzo totale mi avvolse nel giro di un istante: il padre di Emile stava tranquillamente scherzando all’idea che io e suo figlio avessimo passato la notte insieme…  a letto!

«Oh nononononono! Non è come pensa! Io ho dormito da sola, cioè, non sono...» respira Pasi respira!

Feci un breve sospiro: «Sono venuta qui ieri sera per accudire la signora Claudine perché Emile ha avuto un imprevisto e siccome è tornato tardi, sono rimasta a dormire...»

«Un imprevisto? Gli è successo qualcosa?» L’espressione sul volto di quell’uomo cambiò repentinamente dal gioviale al preoccupato. 

«Nono, è stato chiamato per un’esibizione improvvisa e quindi mi ha chiesto di stare accanto alla signora mentre era via. È tutto ok, io so quello che faccio, mi creda, ho esperien…»

«Sì, sì, figurati, se Emile ha chiamato te significa che sei in gamba, non ne ho dubbi… È che poteva avvertire me, così sarei tornato a casa! Ma ovviamente, non avrà voluto rovinarmi il giorno di vacanza e se l’è vista da solo. Mio figlio è votato al martirio!» rise ironico, ma c’era anche una punta di rassegnazione nel suo tono.

Arrivò l’infermiera con la signora Claudine: cercai di salutare la mia compagna notturna, ma non sembrava riconoscermi; quando il marito l’aiutò a mettersi a letto, girò lo sguardo verso di lui e fece un debole sorriso. Alberto ricambiò il sorriso con amore e le diede un bacio sulla fronte e una carezza sul viso, proprio come avevo visto fare ad Emile, ma con un sentimento di diversa origine: in quei gesti c’era un amore così forte da essere palpabile, non era l’amore che nascondeva il desiderio di essere notato e amato che doveva essere nell’animo di Emile, era amore per la donna della sua vita, quella donna che non avrebbe lasciato per nessuna cosa al mondo. Guardandoli ripensai alle parole di Emile, che la notte prima mi erano sembrate quelle di un figlio che idolatra il proprio genitore, invece mi resi conto che aveva perfettamente ragione: il signor Alberto aveva tutta l’aria di essere capace di amare sua moglie anche da un altro piano di esistenza.

Scendemmo insieme in cucina e come un ripetersi della stessa scena, anche lui mi fece accomodare nello stesso posto in cui mi ero seduta la notte precedente insieme a suo figlio.

«Hai avuto difficoltà con Claudine?» disse, mentre preparava un caffè per entrambi.

«No, nessun problema, come ho già detto a suo figlio, sua moglie ha mangiato una mela e poi si è riaddormentata.» e omisi il fatto che mi fossi assopita anche io…

«Così tu non sei la sua ragazza… e non sei un’infermiera… Devi essere davvero speciale se mio figlio si è fidato di te al punto da affidarti sua madre!»

A quel punto l’imbarazzo tornò a travolgermi «Beh ecco… diciamo che non sono stata proprio la sua prima scelta…» e che se si fosse fidato davvero non avrebbe chiuso a chiave tutte le porte di casa!

«Capisco, ecco spiegato l’arcano!» Alberto sorrise divertito, prima di continuare, «Vedi, devi sapere che mio figlio non è proprio un chiacchierone e purtroppo le condizioni di Claudine lo hanno reso ancora più chiuso verso gli altri, quindi è difficile che si fidi tanto di qualcuno che non sia qui per lavoro… a proposito, avete pattuito un compenso?»

«No, o meglio, non l’ho voluto; è stato un piacere per me aiutare vostra moglie, d’abitudine presto volontariato alla comunità, perciò anche in questo caso non è stato un problema assistere la signora Claudine…»

Alberto venne a tavola con le tazzine e ripetendo lo stesso gesto del figlio, si sedette guardandomi con stupore. «Impressionante, sei davvero fuori dal comune, ragazzina!»

«No… Non è niente di che…» avevo il viso nel fuoco: non avevo mai ricevuto simili complimenti in vita mia. Agli occhi dei miei genitori, il mio volontariato era sì un gesto lodevole, ma nella loro ottica mi  sottraeva tempo per ciò che era più importante: lo studio. Nel mio gruppo poi era cosa normale, essendoci anche Fede che faceva molto di più di me. Per cui non mi ero mai sentita così speciale nel fare quello che facevo, e quel complimento improvviso mi dette davvero tanta gioia.  

Alberto era un uomo alto sulla quarantina: i capelli castani che gli avevo visto in foto erano ora screziati di grigio e molto più corti, ma riconobbi ugualmente gli stessi ricci di Emile, probabilmente l’unica cosa che i due avessero in comune esteticamente. Gli occhi erano scuri, ma emanavano luce e vitalità, gli zigomi erano alti e una fossetta nel mento dava al suo viso un’espressione di immediata allegria e simpatia. Quell’uomo mi piaceva davvero!

«Sarei felice se Emile riuscisse a fidarsi di te ancora, gli unici suoi compagni sono la musica e i ragazzi con cui suona; non è mai stato capace di stringere rapporti duraturi con qualcuno che non fosse per un suo fine preciso. Sono convinto che se avesse la possibilità di far carriera da solo, non si farebbe scappare la minima occasione! Non suona insieme ai GAUS per piacere o per amicizia, ma solo per interesse: mio figlio mette la musica al primo posto nella sua vita e non si rende conto che i rapporti interpersonali sono altrettanto importanti.»

Sentii tangibile la preoccupazione nella sua voce, in contrasto col suo volto predisposto al sorriso.

«Purtroppo questo suo atteggiamento non è nemmeno del tutto colpa sua: Claudine ha avuto una depressione post partum molto acuta e da allora non si è più ripresa. Emile è cresciuto nella speranza di ricevere le attenzioni della madre, osservando medici, ficcanaso e falsi guaritori che si sono avvicendati in questa casa, promettendo guarigioni sicure che non sono mai avvenute e ha dovuto trascorrere gli anni dell’infanzia sballottato negli asili o con mille babysitter perché io non potevo badare a lui. E ciononostante, non ho mai visto un segno di rancore nei sui occhi, né verso di me, né tantomeno verso sua madre. Ha buon cuore il mio ragazzo, ma ultimamente glielo vedo mostrare sempre di meno.»    

Istintivamente allungai una mano su quella di Alberto, che tratteneva la tazzina di caffè sul tavolo: mi commossi vedendo la preoccupazione sul suo volto e il senso di colpa per aver offerto al figlio un’infanzia infelice e solitaria. E ancora una volta ripensai alle recriminazioni e alle accuse che imputavo ai miei genitori, che al di là di tutto, erano sempre stati presenti nella mia vita, seppur non nel modo che volevo io. Alberto poggiò l’altra mano sulla mia e continuò «Stagli accanto, ehm…»

«Pasi, mi chiamo Pasi.»

«Ah grazie. Stagli accanto, Pasi. Sei una brava ragazza, aiutalo a fidarsi di te, aiutalo a ritrovare la speranza e la fiducia nelle persone.»

Mi guardò con una supplica negli occhi a cui non riuscii a resistere «Ve lo prometto! Gli starò accanto, non lo lascerò andare alla deriva!»

Non avevo la più pallida idea di come avrei fatto a mantenere fede ad una promessa simile, considerato che non sapevo nemmeno se avrei rivisto più Emile, ma non riuscii a negarmi a quegli occhi che chiedevano di ricevere una speranza... e d’altronde, anche io desideravo rivedere il ragazzo con cui avevo parlato quella notte, e non il tipo borioso e arrogante con cui mi ero scontrata finora. Se il vero Emile era quello che avevo appena conosciuto, se il suo modo di fare così antipatico e aggressivo era una corazza che si era costruito, avevo intenzione di scalfirla se non infrangerla! Volevo conoscere l’anima di Emile, non quell’armatura con cui si proteggeva!

Alle mie parole, Alberto fece un sorriso raggiante e quasi si commosse, poi mi diede un buffetto sulla mano e si alzò.

«Puoi tornare quando vuoi a trovare Claudine se ne hai voglia» Mi guardò in tralice somigliando improvvisamente al figlio, per comunicarmi un significato nelle sue parole che non era stato espresso, ma che era quello più importante per lui: vieni a trovare Claudine quando Emile è in casa.

«E chiamami Alberto e dammi del tu, con un po’ di fortuna vedi mai che si diventa parenti!» salì al piano di sopra sorridendo di gusto, mentre il mio viso tornava ad ardere!

*****

Tornai a casa per prendere i miei indumenti e tutti i miei effetti personali, pronta a trasferirmi provvisoriamente da Rita e sperai che in casa non ci fosse anima viva. Avevo scelto un orario in cui solitamente i miei genitori erano assenti: non mi andava di incontrarli, non dopo i mille dubbi che mi stavano assalendo. Parlare con Emile e successivamente con suo padre, mi aveva fatto capire quanto poco fortunata fosse la loro famiglia, ma quanto affetto ci fosse tra i suoi componenti. Mi ero sempre lamentata dell’oppressività dei miei genitori ma Emile mi aveva fatto capire che per quanto potesse essere insopportabile, era la testimonianza del loro amore verso noi figli e in fondo era la benvenuta se indicava che tua madre e tuo padre ci tenevano a te.

Però nonostante avessi una famiglia a suo modo presente, invidiavo profondamente i Castoldi: nonostante tutte le sfortune e le assenze, all’interno di quella famiglia regnava l’amore, l’amore puro e vero, senza recriminazioni, senza odi. L’amore incondizionato di Alberto per sua moglie, quello altrettanto forte per suo figlio, l’amore di Emile per sua madre e di sicuro anche per suo padre e l’amore che avevo visto persino nello sguardo spento di Claudine, nelle sue lacrime quando parlava di Emile e nel suo sorriso dolce quando guardava il marito. Io ero fortunata ad avere entrambi i genitori con me e in perfetta salute, ma avrei fatto volentieri a cambio con la famiglia di Emile!

Con questi pensieri entrai silenziosamente in casa mia e mentre stavo per dirigermi in camera da letto, apparve Simona sulla porta della sua stanza.











_______________________________________

NDA

Mentre rileggevo questo capitolo prima di pubblicarlo, mi sono resa conto che fa uno strano effetto tornare indietro con la storia quando sei ad un passo dal concluderla. In questi giorni sto scrivendo il capitolo 19 e con molta probabilità (salvo colpi improvvisi d'ispirazione folle), sarà anche l'ultimo. Se da un lato mi dipiacerà prendere le distanze dai miei ragazzi, da un altro è un bene poiché urge che riprenda le attività che ho messo da parte per dedicarmi a questa storia... e poi chissà che non mi venga in mente un seguito xD

Vabbè scleri personali a parte, come sempre ringrazio tutte le mie tesore che mi seguono, si entusiasmano e m'incoraggiano ad andare avanti: Iloveworld, Ana-chan, Saretta, Niky, Vale, Cicci ed Ely in primis, seguite da tutte le sisters di Facebook che si sono fermate a leggere qualche capitolo e che hanno apprezzato la storia.

Inoltre ringrazio tutti coloro che seguono questo racconto, coloro che si sono fermati a leggere anche un solo capitolo e tutti coloro che per un motivo o un altro, sono passati, passano e passeranno da qui.

Grazie grazie grazie! Arigatou Gozaimasu!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 08 ***


 Capitolo 8

 




 

«Si può sapere che intenzioni hai?»

L’accoglienza di Simona fu calorosa come mi aspettavo, di sicuro aveva trascorso le ultime ventiquattro ore aspettandomi per farmi la ramanzina da sorella maggiore, così come richiedeva il suo compito!

«Simo cosa vuoi? Me ne vado subito perciò non rompere!» non avevo proprio voglia di stare a sentire le sue chiacchiere su quanto stessi facendo preoccupare i nostri genitori, ne avevo le tasche piene delle loro ansie e preoccupazioni!

«Hai idea di quanto fossero preoccupati mamma e papà? E non chiamarmi Simo!» appunto... «Sì, Sim… SIMONA, ne ho idea perché tu ogni volta ci tieni a sottolineare quanto profondamente io li abbia delusi!» Stavo per superarla diretta in camera mia, quando mi fermò con una mano sul mio braccio:

«Pasi non fare sciocchezze! Se solo fossi meno dura con loro… è per il tuo bene che agiscono così, non lo capisci?»

«Per il mio bene? Ah quindi è per il mio bene che mi riempiono la vita di musi lunghi e visi delusi, che mi criticano per qualsiasi cosa io faccia e che mi facciano sentire la figlia più sbagliata del mondo?! Sono commossa da tanto affetto, ma quasi quasi non ne ho bisogno!» e mi staccai con forza la mano di mia sorella da dosso. Simona però non si arrese e mi seguì:

«Pasi tu sei troppo dura con loro, se solo li ascoltassi qualche volta...»

«Come fai tu, sorella modello? Andando in moto di nascosto perché sei troppo vigliacca per far sapere loro, che anche tu vuoi divertirti di tanto in tanto nella vita? Almeno io mostro il mio vero volto e non fingo di essere chi non sono!» avevo esagerato e Simona mi diede uno schiaffo sul viso con tutta la rabbia che si trovava in corpo «Oh finalmente una reazione! Simona la donna di ghiaccio, Simona la Perfetta, la Sorella Maggiore da cui prendere esempio, È UMANA!» feci una risata amara «Ti rendi conto che è la prima volta in vent’anni che ti vedo reagire!? Ti rendi conto che quei due ti hanno trasformata in un automa?! Tu sei un essere umano Simona! Reagisci, difenditi, lotta per quello in cui credi, non permettere a nessuno di dirti chi essere e cosa fare nella tua vita! Ti stanno uccidendo e tu li difendi! Ti hanno tolto il sorriso e tu sei qui a dire quanto siano dispiaciuti per me! Pensa un po’ a te ogni tanto!»

Le urlai contro tutto quello che avrei voluto dirle nell’arco di quegli anni, finalmente avevamo un confronto diretto come avremmo dovuto avere da sempre, come due vere sorelle.

«Io non posso pensare a me! Perché devo essere brava anche per te! Devo dare loro la soddisfazione che tu non dai, devo essere da esempio e devo farli gioire perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono cura di me da sempre e voglio essere degna del loro amore! Sei tu che non li ami, tu sei un’egoista e non capisci quanto ci tengano a te e quanto soffrano a vederti buttar via la tua vita nell’ozio! Ed io che pensavo che fossi forte… invece sei solo una bambina capricciosa! Sparisci, vattene di qui, non sarai tu a ripudiare noi, ma io a farlo con te! Da oggi non sei più mia sorella, non voglio più saperne di un’egoista mocciosa con cui non si può parlare in modo maturo!» con le lacrime agli occhi e il volto pieno di rabbia, Simona mi volse le spalle e si chiuse in camera sua.

Rimasi per qualche secondo immobile nel corridoio, poi mi diressi in camera mia per fare i bagagli.

Lasciai un biglietto ai miei genitori spiegando loro che non sarei stata più un intralcio, che andavo a vivere in modo indipendente, che mi sarei trovata un lavoro e che non sarei mai tornata da loro a chiedere di riaccogliermi. Potevano anche cancellarmi dallo stato di famiglia perché non sarei stata mai più un peso per loro. Fu una delle decisioni più chiare e nette che presi nella mia vita, ciononostante, mentre scrivevo quel biglietto nulla impedì a qualche lacrima di scorrermi sul viso.

 

 

*****

 

Tornai da Rita per depositare le mie valige: avevo preso lo stretto necessario per cambiarmi e qualche libro a cui ero maggiormente affezionata, compresa la storia di Rino e Kei: sfogliarla mi dava coraggio e fiducia che le mie speranze potessero realizzarsi. Quella notte trascorsa con Emile mi aveva fatto abbassare la guardia: il ragazzo con cui avevo parlato in modo così naturale e semplice aveva creato una breccia in quel muro di orgoglio che avevo eretto per difendermi da me stessa. Ogni volta che mi ero innamorata, avevo compiuto il grande errore di dimenticare chi ero e cosa volevo, pur di stare accanto al ragazzo del momento: il mio desiderio di essere amata era così forte da farmi perdere di vista il mio amor proprio, dimenticando le mie priorità, amalgamandomi ai bisogni del mio lui a discapito dei miei.

 Diventavo un’altra persona: la Pasi combattiva che non vuole rinunciare alle proprie passioni si annullava ed io finivo col non riconoscermi più, col perdere ogni cosa che mi identificasse, col perdere la mia stessa personalità. E di conseguenza, quando la mia mancanza di carattere innescava la noia e la routine nel rapporto di coppia, esso finiva ed io mi ritrovavo a non sapere più chi ero e non avere più nessuno a cui amalgamarmi.

I miei amici avevano assistito ogni volta impotenti alla mia autodistruzione finché dopo l’ultima storia, avevo deciso di essere forte e di dedicarmi solo a me stessa, lavorando sulla mia autostima fino a renderla invulnerabile. Solo allora avrei potuto affrontare una nuova storia d’amore. Non credevo affatto che quel momento fosse giunto, però quel lato così dolce di Emile, quel modo così diretto di rivolgersi a me e la semplicità con cui da perfetti sconosciuti eravamo finiti a parlare per tutta una notte mi avevano scosso ed iniziavo a pensare che quella fosse la volta buona, il momento adatto per farmi trasportare da ciò che provavo, senza aver paura di perdere me stessa.

Inoltre, avevo avuto anche il benestare di suo padre!  

Alberto dava l’aria di essere un uomo con la testa per aria, socievole ma poco realista, invece era riuscito a capire con poche parole quanto io tenessi a sua moglie e a suo figlio e a incoraggiarmi a frequentare Emile perché riteneva che la mia vicinanza potesse fargli bene… Ero davvero senza parole, ma ero felice perché mi sentivo più sicura di me: avevo uno nuova vita ad attendermi, piena di nuove responsabilità ma anche di nuove soddisfazioni, come solo la vita da persona indipendente può darti. Restava solo da trovare la base di partenza per erigere quella nuova vita: un lavoro.

 

*****

 

«Testarossa ma allora fai sul serio!»

Stè si presentò a casa di Rita senza preavviso e iniziò a parlare senza tante cerimonie:

«Sono andato a casa tua convinto di trovarti lì come al solito, invece tua sorella mi ha detto che te n’eri andata e che avevate discusso di nuovo e che non avrebbe mai più risposto ad una domanda sul tuo conto… Cosa diamine ti passa per la testa?!»

Non avevo mai visto Stè così serio al di là del discorso “Simona” (e il fatto che l’avesse chiamata tua sorella, la diceva lunga su come il problema fosse ancora vivido): era il terzo di una famiglia numerosa di cinque figli (tutti biondissimi), cresciuti nell’affetto e nella solidarietà familiare più spiccata e ogni volta che litigavo con i miei se ne dispiaceva, perché sapeva quanto fosse importante vivere in una famiglia unita e solidale e sapeva quanto la famiglia fosse importante a priori. Per cui non era affatto d’accordo con la mia idea di andarmene da casa, visto che il mio non era solo un trasferimento in cerca d’indipendenza, ma un vero e proprio divorzio dai miei genitori e da mia sorella.

«Oh senti Stè, non ti ci mettere anche tu e non osare difendere Simona! Sono stanca di sentirmi la pecora nera, stanca di essere criticata per quello che non faccio e anche per quello che faccio! Da loro ricevo solo facce deluse e contrariate, mai una volta li ho sentiti elogiarmi o farmi sentire speciale…» come ha fatto in un solo giorno il padre di Emile  «… mai una volta ho visto l’orgoglio sui loro volti per il solo fatto che fossi parte della famiglia! Non li voglio, rinuncio a loro, siete voi la mia famiglia! Lo siete sempre stati e sempre lo sarete!»

A quella affermazione Rita mi diede un bacio e mi circondò le spalle con le braccia, mentre Stè continuava a guardarmi contrariato. 

«Ti ci metti anche tu ora a guardarmi così!? Dillo anche tu allora, dillo che sono una delusione per te, dillo che t’aspettavi di meglio e che ho fatto soffrire la tua adorata Simona, dillo quanto io sia crudele ed egoista e infantile!» iniziai a piangere per la rabbia nel ricordare la discussione avuta con mia sorella e mi resi conto di quanto tutta quella situazione mi facesse soffrire, ma quanto fosse anche irrimediabile.

Stè non era mia madre o mia sorella e nemmeno mio padre; Stè era il mio compagno di marachelle, la persona che mi conosceva meglio al mondo e vedendomi in quello stato mi diede un caldo abbraccio: 

«Non ti dirò mai che sei una delusione Testarossa, non ti farò mai così male; se credi che questa sia la scelta migliore per te, l’accetterò e ti sosterrò qualunque cosa decida di fare, ma ti chiedo solo di non chiudere definitivamente le porte ai tuoi genitori: avrai sempre il nostro sostegno, ma il sangue non è acqua e niente al mondo può sostituire la famiglia.» Immersa nel caldo abbraccio del mio amico, continuai a sfogare il mio pianto finché non buttai giù tutte le lacrime che avevo trattenuto fino ad allora.

 

 

*****

 

La ricerca di un lavoro non stava dando buoni esiti: ogni volta che facevo un colloquio finivo col sentirmi dire che ero troppo qualificata o troppo poco esperta, così non sapendo se essere un piccolo genio o un’inetta, andavo avanti sempre più irritata, ma decisa a non demordere: non avevo altra scelta, avevo preso la mia decisione e non sarei più tornata indietro, ero indipendente ora e avrei dovuto rimanerci a tutti i costi! Rita era propensa a tenermi con sé anche a vita: aveva un ricco fondo per mantenersi con gli studi e in più aveva il lavoro part-time e una bocca in più da sfamare non costituiva un problema per lei, ma io mi sentivo un parassita e desideravo con tutta me stessa trovare un modo per essere indipendente almeno economicamente. Il passo successivo sarebbe stato quello di trovare almeno una stanza (se non un tugurio)  tutta per me.

Inoltre non vedevo Emile da settimane: non avevo scuse per presentarmi a casa sua, né tantomeno avrei potuto chiamarlo per chiedergli di vederci, non ero così propensa a buttarmi in qualcosa che non sapevo nemmeno se avesse un futuro.  Però mi mancava, mi mancava terribilmente e da quando eravamo riusciti a parlare  quella notte, da quando si era creata quella confidenza tra noi così calda e accogliente, non riuscivo a non pensare a lui e a quanto avrei voluto trascorrere altre ore simili in sua compagnia. Così ripiegavo ascoltandolo, seguendo i suoi live e guardandolo da lontano, nella speranza di essere notata, ma anche con la paura di rendermi vulnerabile, svelando il mio interesse per lui con la mia presenza costante, durante le sue esibizioni.

 

Le cose iniziarono a girare per il verso giusto un giorno in cui Fede mi comunicò di aver trovato un lavoro per me nelle cucine della comunità: era gestita per lo più dagli stessi residenti, ma quel grand’uomo del mio amico era riuscito a trovare il modo d’impiegarmi in cucina, facendo leva col proprietario sulla mia generosità di volontaria e sul debito di riconoscenza della comunità nei miei confronti. Così dall’indomani avrei lavorato in cucina, in un ambiente che per di più conoscevo a menadito e in cui ero amata e rispettata! Ero al settimo cielo e non mi preoccupai nemmeno di chiedere a quanto era stato pattuito il mio compenso, l’importante era aver trovato un impiego! Appena lo dissi a Rita, ne fu così contenta che decise che quella sera avremmo festeggiato con una bella pizza: incredibile ma vero, si usciva tutti insieme di nuovo!

Ero al culmine della gioia e niente avrebbe potuto farmi stare meglio o rovinarmi quel momento, almeno così credevo, finché mi arrivò una telefonata del tutto inaspettata:

«Pronto Pasi? Sono Emile.»

Lo sapevo benissimo chi era! Avevo memorizzato quel numero sin da quando gli mandai l’sms per la foto di famiglia e appena lo vidi sul display del cellulare, il mio cuore subì un arresto momentaneo.

«Emile! Ciao come stai? È successo qualcosa a Claudine?» non vedevo altri motivi per cui avesse dovuto chiamarmi… ma quanto ero felice di sentire la sua voce!

«No no, tranquilla mia madre sta bene… volevo dirti che ho trovato il modo di sdebitarmi con te.»

Incredibile! In tutti questi giorni non aveva fatto altro che pensare a come ringraziarmi, per averlo aiutato con sua madre! Non si poteva dire che non fosse uno di parola!

«Ma non ce n’era bisogno! Quante volte ti devo ripetere che l’ho fatto con piacere?!»

«Sei libera tra un’ora? Se mi dici dove abiti passo da te a darti il mio ringraziamento.» Ops! In quel momento non avevo una casa… Potevo dirgli di passare da Rita, ma l’idea di rivelargli che avevo lasciato i miei genitori mi metteva addosso una certa ansia: temevo la sua reazione, oppure mi sentivo in colpa per aver gettato al vento qualcosa che lui avrebbe voluto avere con tutto se stesso? Improvvisamente ebbi un’illuminazione:

«Facciamo così, sei libero stasera? Io e i miei amici andiamo a mangiare una pizza, mi farebbe piacere se venissi anche tu, così mi porti anche il tuo pensiero non dovuto!» ero al settimo cielo per la mia trovata geniale: i miei amici ed Emile insieme a me a festeggiare il mio nuovo lavoro, cosa potevo chiedere di più dalla mia vita (una voce dentro di me disse “che Emile mi amasse”, ma la misi subito a tacere)!?

La risposta che ebbi però non fu quella che mi aspettavo:

«Mi spiace ma stasera ho le prove col gruppo, sono libero solo tra un’ora: appena torno da lavoro e prima di andare a provare… rimandiamo ad un altro giorno?»

Restai abbattuta all’idea di non averlo accanto quella sera, così decisi che se avessi potuto vederlo anche per cinque minuti, me lo sarei fatto bastare: anche se non gli avessi detto il motivo della mia felicità, il fatto stesso di vederlo in quel giorno speciale mi avrebbe reso ancora più felice!

«Allora facciamo così, vengo io a casa tua, così hai il tempo di arrivare direttamente lì da lavoro ed eviti di fare le corse per le prove… e poi ho voglia di rivedere la signora Claudine!»

Mi giocai  machiavellicamente  l’asso nella manica, ma non era finzione la mia, avevo davvero desiderio di rivedere sua madre e anche suo padre… Volevo vedere tutta la famiglia Castoldi, come se fossero delle persone a me care da tempo!

«Ok, allora ci vediamo fra un’ora a casa mia, non ti ruberò molto tempo, così potrai andare a divertirti!» Non sarà lo stesso senza di te, pensai, ma mi dissi subito che stavo diventando troppo sdolcinata e cancellai quel pensiero sul nascere.

 

 

*****

 

Dissi a Rita che sarei tornata in tempo per cambiarmi ed uscire, lasciai Stè con un punto interrogativo sul viso e mi diressi verso casa di Emile: era ad una certa distanza dall’appartamento in cui mi ero trasferita, così decisi di muovermi seduta stante con la speranza di prendere subito un autobus. Fui fortunata, lo trovai dopo dieci minuti così prima ancora dello scadere dell’ora, ero già sotto casa Castoldi. Non volendo rendere palese la mia ansia di vederlo, presentandomi in anticipo, rimasi come una scema in un punto davanti casa, cercando di non farmi notare; ad un certo punto sentii dei passi in avvicinamento e mi tuffai dietro un albero nascosta nell’ombra, sperando di non essere stata notata.

Illusa.

«Hai perso qualcosa dietro quell’albero, Pasi?» ecco la solita voce che si prendeva gioco di me... mi aveva vista eccome! 

«Oh ciao Emile, avevo l’impressione di aver perso l’orecchino...» solo dopo aver tirato fuori questa patetica scusa, mi ricordai di non averne indosso… Ero stata colta in flagrante di nuovo, non facevo che collezionare figuracce! Emile sogghignò e m’invitò ad entrare.

«Aspettami un minuto qui, arrivo subito.» appena giunti nell’ingresso, Emile scomparve al piano di sopra e dopo poco scese suo padre: una staffetta perfetta e super organizzata!

«Ciao Pasi, che piacere vederti! Non sei più passata a trovarci…» il signor Castoldi mi diede un caloroso abbraccio mentre sentii la voce di Emile che lo rimproverava:

«Papà, ma è mai possibile che tu debba stritolare chiunque entri in questa casa?! Così le fai fuggire le persone!» la sua voce non era aspra, era solo vagamente stizzita, ma sembrava più uno scherzo tra di loro che un vero e proprio rimprovero. Alberto infatti, sorrise di rimando al figlio:

«Almeno io le faccio sentire a casa, non come uno che conosco che è cortese come il ghiaccio del Polo Nord!»

 «Aha, certo e infatti è meglio essere soffocati da un abbraccio non richiesto!» rispose Emile, scendendo le scale per tornare nella nostra direzione.

«Io trasmetto il mio calore, semifreddo di un figlio!» a quell’appellativo, Emile fece un dei suoi sorrisetti e venne invaso dalla mano del padre che staccandosi da me gli scompigliò i capelli e gli dette un bel bacio affettuoso sul viso, dal quale Emile non si scansò: evidentemente, queste erano scaramucce a cui i due erano abituati, un modo tutto loro per dirsi “ti voglio bene”. Quasi mi commossi vedendo così palese l’amore tra i due: poteva anche non essere d’accordo con me, ma io invidiavo Emile, perché dava e riceveva amore dai suoi genitori.  D’un tratto emerse dal salotto, con una pila di dischi in braccio:

«Ecco il mio ringraziamento, questi sono tutti per te.»

I dischi in vinile di sua madre, ancora imbustati, mai aperti! Rimasi di stucco: 

«I dischi di Claudine! Sono senza parole Emile, io non posso accettare...»

«Certo che puoi, hai detto che volevi sentirla, no? Questi erano in magazzino in cerca di qualcuno che li apprezzasse e dato che ancora dovevo sdebitarmi con te per il grande aiuto che mi hai dato l’altra sera, non posso che fartene dono.»

Rimasi di nuovo senza parole: Emile aveva il volto sereno e sorridente, io ero in tumulto e non mi accorsi che Alberto nel frattempo era andato via.

«È un regalo troppo grande, non posso…»

«Accettali ti prego, se davvero ami la voce di mia madre questi sono tuoi; la faresti felice!»  e farei felice anche te vero? 

«G-grazie mille, davvero, io…»  fu nel momento in cui allungai le mani per prendere il mio regalo, che sentimmo Alberto urlare il nome di sua moglie ed Emile gettò all’aria il suo carico per salire di corsa le scale:

«Mamma!» 

Da lì in poi la situazione precipitò.













____________________________________

NDA

Ho ufficialmente terminato di scrivere questa storia *me disperata e triste*: sono in lutto! Sto revisionando gli ultimi capitoli, nel dubbio di aver dimenticato qualcosa d'importante, ma già sento la mancanza dei miei ragazzi, come una madre che lascia andare via i propri pargoli per la loro strada.... T_T

E dopo quest'interessante considerazione, che mi fa sembrare una mangaka folle che scrive tra le tavole della sua opera, passo ai più che dovuti ringraziamenti verso le mie sorelle: grazie all'infinito alla mia beta Iloveworld che mi segue sempre, si entusiasma e m'incoraggia, e che purtroppo negli ultimi giorni non riesce a connettersi per problemi di linea (torna presto Tomodachiiiiii!!!). Un grazie speciale va alle mie seguaci più che puntuali, che attendono con ansia i capitoli, li leggono appena pubblicati, e sono sempre piene di entusiasmo per ciò che scrivo: grazie grazie grazie sempre più dal profondo del cuore a Niky, Vale e Saretta; siete il mio sostegno costante <3

Mille grazie ad Ana-chan che è altrettanto piena d'entusiasmo e m'incoraggia ad andare avanti, a Cicci, Ely e a tutte le sisters che sono passate di qui.

E grazie mille a tutti coloro che passeranno da qui di cui non conosco l'identità: è sempre soddisfacente sapere che ciò che scrivi piace. ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 09 ***


Capitolo 9





 

 

Salii di corsa anch’io le scale e mi diressi subito in camera di Claudine: il signor Alberto stava strappando convulsamente le lenzuola del letto creando delle fasce e correva nel bagno, Emile era rimasto a guardare per la frazione di un secondo, poi si era precipitato giù a chiamare un’ambulanza. Ascoltando le sue parole capii cos’era accaduto: Claudine aveva tentato di uccidersi tagliandosi le vene!

L’ambulanza come al solito avrebbe impiegato troppo tempo per arrivare al pronto soccorso, così decisero di portare personalmente la donna in ospedale: aiutai ad aprire gli sportelli dell’auto e ad adagiare la signora che per fortuna respirava ancora, anche se era incosciente e mi offrii di stare seduta accanto a lei  sul sedile posteriore.

«Tu stanne fuori!» urlò Emile in mia direzione.

«No, io vengo con voi.» replicai senza battere ciglio.

«Non è una cosa che ti riguarda!» si girò improvvisamente a guardarmi con il volto furioso per la preoccupazione, ma io non cedetti, ero seriamente preoccupata per Claudine e volevo stare accanto anche alla sua famiglia.

«No Emile, io vengo con voi. Sono preoccupata anch’io e mi sento coinvolta, dato che ero qui quando l’avete trovata ed è meglio non stare a perdere tempo in inutili chiacchiere ora.»

Gli parlai senza alzare la voce ma con tono deciso, pensando al modo in cui Fede era riuscito a farsi ascoltare da lui e sembrò fare effetto, perché smise di ribellarsi e mi permise di salire in auto.

Fu una corsa senza fine: Alberto guidava, Emile gli era accanto, io ero proprio dietro di lui e non riuscivo a guardarlo in viso, ma dal silenzio opprimente che c’era in quell’auto si comprendeva la gravità della preoccupazione di entrambi. Avevo la testa di Claudine sulle gambe e scorsi i due polsi insanguinati adagiati sul suo corpo. Emile mi aveva raccontato che sua madre aveva già tentato tre volte di uccidersi e con questo si arrivava al quarto… Quante altre volte avrebbero dovuto fare una simile corsa contro il tempo finché non fosse stato troppo tardi? Non osavo trovare una risposta a quella domanda.

Arrivati al Pronto Soccorso gli infermieri erano già pronti con la barella; dissi ad Alberto che mi sarei occupata io del parcheggio dell’auto, in modo da permettere a lui e suo figlio di correre dentro immediatamente: mi diede una pacca sulla spalla in tutta fretta e mi consegnò le chiavi.

Fortunatamente trovai subito parcheggio e fui in grado di raggiungerli in poco tempo: Claudine era già sotto controllo medico, Alberto era andato a sbrigare le pratiche di ricovero, Emile era in piedi nel corridoio, immobile.

«Vedrai che ce la farà, l’abbiamo portata qui in tempo, tornerà presto a casa da...» Emile ignorò totalmente quello che gli stavo dicendo e dandomi le spalle si allontanò. Volevo seguirlo, ma volevo anche sapere come stesse Claudine: per fortuna Alberto arrivò quasi all’istante e chiesi a lui delucidazioni.

«Le hanno detto qualcosa? Come sta?»

«La stanno controllando ora, ma credo che sia fuori pericolo, l’ultima volta c’era molto più sangue in giro e si è salvata» quindi anche la volta precedente aveva tentato di dissanguarsi!

«Gliel’avevo detto di togliere quelle forbici da lì, Sabrina lo sapeva che non doveva dimenticarle assolutamente in quel bagno!» Alberto sprofondò su una sedia con la testa tra le mani ed io rimasi per un momento impassibile, poi mi accomodai accanto a lui e gli poggiai una mano sulla spalla:

«Adesso non ci pensi, per fortuna è stato velocissimo ad accorgersene, se la signora se l’è cavata in condizioni peggiori, stavolta non ci saranno problemi, non si disperi.»

Alberto in tutta risposta alzò la testa e mi osservò per un momento che mi parve eterno, poi poggiò una mano sulla mia:

«Grazie, sei una cara ragazza. Vai da Emile, avrà di sicuro più bisogno di te in questo momento.» Feci un cenno di assenso e mi precipitai in sua ricerca.

Lo trovai in una saletta d’attesa: mi dava le spalle e guardava fuori dalla finestra.

«Emi…»

«Si dice che non ci sia due senza tre… a quanto sembra è vero anche che non c’è tre senza quattro e di sicuro ci sarà anche un cinque e un sei e un sette... finché arriverà il giorno in cui allenteremo la guardia o arriveremo un secondo più tardi e non ci sarà più scampo!» Emile stava dando voce ai miei stessi pensieri, a cui non riuscivo a dare una risposta che mi consolasse, per cui rimasi in silenzio.

«Per quanto ancora dovremmo venire qui a “salvarla” se lei non vuole più stare con noi? È poi giusto farlo? È giusto legarla al nostro desiderio egoistico di averla con noi? Forse se la lasciassimo andare una volta per tutte, sarebbe finalmente felice!»

«Non puoi parlare così Emile! Tu saresti il primo a soffrirne se la perdessi!»

«Quello che provo io non ha importanza, si è sacrificata abbastanza per me, è ora che abbia la sua pace.»

«Ma anche tu ti sacrifichi per lei, come lo fa tuo padre, è il vostro amore che ve lo fa fare…»

Improvvisamente si voltò:

«Non capisci! È colpa mia! È tutta colpa mia! Se non fossi nato, se non mi avesse avuto non sarebbe caduta in depressione, se il suo amore per me non fosse stato così grande, avrebbe potuto abortire e rifarsi una carriera ed oggi sarebbe felice! È tutta colpa mia, io non dovevo nascere dannazione!»

Il suo viso era una maschera di tormento e disperazione, i suoi occhi erano di un azzurro intenso e mi apparivano più grandi del solito, contornati da un arrossamento che indicava l’inizio di un pianto a dirotto, che di sicuro cercava di trattenere, stringendo convulsamente le mani in due pugni serrati. Ero pietrificata, non l’avevo mai visto così fragile e disperato e non avevo ancora compreso davvero la tortura che viveva dentro, il conflitto interiore e il senso di colpa che sentiva per essere vivo: Emile colpevolizzava se stesso per essere nato!

Tante volte mi ero sentita fuori posto nella mia famiglia, ma mai avevo provato un simile senso di colpa e disperazione! Avevo invidiato la sua famiglia e il rapporto così schietto con suo padre ed ora invece mi rendevo conto che dentro di sé, Emile aveva una disperazione profonda che non poteva essere lenita.

Tornò a darmi le spalle e vidi la sua schiena tremare: di sicuro stava lottando contro le lacrime e non voleva farsi vedere da me in quello stato.

A quel punto persi ogni dubbio, ogni inibizione: corsi in sua direzione e l’abbracciai appoggiandomi alla sua schiena tremante.

«Non dire più sciocchezze simili Emile! La tua vita è un dono, non è una punizione, nulla di ciò che è fatto per amore è sbagliato! E sono sicura che la tua presenza è una gioia per molte persone, che si dispererebbero se tu non ci fossi! I…io ti amo Emile e se tu non esistessi, nella mia vita ci sarebbe un vuoto incolmabile.»

«No. Non devi amarmi, non voglio che tu mi ami! Mia madre ha perso se stessa per amor mio, mio padre ha abbandonato il suo sogno e il suo talento, spaccandosi la schiena con un lavoro che non rende giustizia alle sue qualità, solo per amore. A che serve amare se si rinuncia a se stessi?»

Avevo trovato la forza di accettare ciò che provavo per lui nel momento in cui speravo che le mie parole gli fossero di conforto, ma la sua reazione fu più dura di quanto avessi immaginato. Emile s’incolpava per essere nato e metteva distanza tra sé e gli altri perché temeva l’amore! Temeva quel sentimento così forte che trascinava via la razionalità e tutti i sogni personali. Temeva di perdere se stesso o che qualcuno lo facesse per amor suo: quanto eravamo simili e opposti nelle nostre paure!

Ciononostante, aveva bisogno di sentirsi amato, come ogni essere umano, perché non fece nulla per staccarsi da me: le sue parole mi cacciavano, ma il suo corpo tradiva ciò che sentiva davvero.

«Io non rinuncerò mai a me stessa per amore! Ho troppo orgoglio per buttarlo al vento e vivere solo in funzione della felicità altrui. E non ho intenzione di allontanarmi da te! Puoi anche cacciarmi, evitarmi, puoi tornare a guardarmi con astio come la prima volta che ci siamo incontrati, ma io non mi allontanerò da te Emile! L’amore non è una maledizione e te lo farò capire in un modo o in un altro!»

Lo strinsi più forte a me, pronta a ricevere il contraccolpo del suo corpo che voleva allontanarmi, invece sentii i suoi singhiozzi e il suo corpo tremante che cedeva al pianto.

Rimanemmo così per quello che mi sembrò un tempo eterno, sospesi in quel momento di dolore, conforto, e più pura umanità, finché Emile cadde in ginocchio, cedendo alla fatica e alla sofferenza troppo a lungo repressa ed io mi accoccolai accanto a lui, adagiando la sua testa su di me, in modo che potesse appoggiarsi e sfogare tutto il suo dolore.

 

*****

 

Emile pianse tutte le sue lacrime: lo tenni stretto a me con la sensazione che potesse spezzarsi da un momento all’altro; mai prima di allora provai un desiderio così forte di proteggere qualcuno.

Tra le mie braccia, quello che solo qualche settimana prima avevo considerato un saccente borioso pieno di sé, in quel momento aveva l’aria di essere solo un bambino impaurito, con un bisogno enorme di essere amato e una solitudine interna di proporzioni immani.

Restammo in silenzio, ogni parola era superflua in quel momento: c’eravamo solo io e lui e il calore umano che stavamo condividendo. Sfinito dal lungo pianto, Emile finì per addormentarsi ed eravamo ancora in quello stato quando Alberto ci trovò: restò ad osservarci per qualche secondo con la commozione negli occhi, poi si accoccolò accanto a me e ci abbracciò. Ero restia a smuovere Emile per non svegliarlo, così rifiutai quando suo padre volle spostarlo e rimanemmo per un po’ seduti a terra, in quella saletta, a parlare.

«Ti abbiamo rovinato la serata.» esordì Alberto in tono dispiaciuto.

«Ma che dice? Ho scelto io di venire con voi. So che può sembrare assurdo ma… io voglio davvero bene a sua moglie e sono preoccupata sul serio!»

 Alberto sorrise dolcemente:

«Prima di tutto, smettila di darmi del lei, mi fa sentire vecchio! E chiamami Alberto!»  ricambiai il suo sorriso e feci un debole cenno d’assenso «Grazie per essergli accanto. Credo di non averlo mai visto così vulnerabile come in questo momento… finalmente è riuscito ad aprirsi con qualcuno!»

Il viso di Alberto emanava amore e preoccupazione e sentii il desiderio di rassicurarlo, anche se non sapevo come:

«Vorrei poter fare qualcosa in più per lui…»

«Stai già facendo tanto, credimi! Emile non si apre  con nessuno. Io e lui parliamo sempre e sin da quando era bambino ho voluto instaurare un rapporto schietto tra noi, ma per quanto possa parlarmi apertamente, non mi ha mai mostrato il dolore che si porta dentro. È sempre stato un bambino tranquillo e responsabile… fin troppo! Forse perché non sentendosi protetto, ha deciso di contare solo su se stesso.» Alberto s’intristì, avvolto dal senso di colpa per non essere stato un padre presente.

«No si... ti sbagli! Emile ha capito benissimo i sacrifici che ha…i fatto per lui! Io credo che non volesse essere un peso, comportandosi da irresponsabile senza rispetto per il tuo duro lavoro!»

In quel momento all’improvviso vidi con gli occhi della mente mia sorella e ricordai le sue parole:  “Devo farli gioire perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono cura di me da sempre e voglio essere degna del loro amore”, ma accantonai quel pensiero che in quel momento rappresentava solo un fastidio.

Gli occhi di Alberto si velarono per un attimo di commozione:

«Claudine era una cantante all’inizio della sua carriera, ma aveva già ricevuto dei riconoscimenti per la sua musica, stava per lanciare l’ultimo album quando ci siamo conosciuti. Era bella ed eterea, venne ad una mostra che stavo tenendo a Parigi: ero arrivato in Francia in cerca di successo e quella doveva essere il mio trampolino di lancio.» 

Il padre di Emile stava tornando indietro nel tempo con la mente e vidi il suo volto illuminarsi al ricordo di quei momenti.

«Appena ci conoscemmo, capimmo che eravamo fatti l’uno per l’altra e lei me lo disse seduta stante. Era così vitale, così felice! Il solo vederla o anche il pensarla mi faceva stare bene… in tre mesi decidemmo di sposarci! Ma non avevamo fatto i conti con la stampa e il giudizio popolare. La casa discografica non gradì questa decisione: Claudine aveva appena vent’anni e volevano dare di lei l’immagine di una ragazza fresca e “pura”, quest’idea di sposarsi non collimava con quelle della casa discografica, così le imposero di scegliere tra carriera e amore: non batté ciglio e scelse me, convinta di riuscire a riprendersi in futuro la sua carriera… Ma dopo poco rimase incinta, così decise di dedicarsi alla famiglia. Ce ne andammo dalla Francia: la famiglia di Claudine non l’aveva mai amata poiché era la figlia di un adulterio. Sua madre l’aveva avuta con un altro uomo e la testimonianza è qui accanto a noi: nella famiglia di Claudine nessuno ha i capelli rossi.»

Guardai la testa fiammeggiante di Emile: si portava addosso anche quell’eredità allora!

«Claudine si innamorò della casa in cui viviamo e la comprò su due piedi: la serra venne trasformata in un laboratorio, in modo da ricavare uno spazio per me e la mia arte.» ripensai a quella stanza luminosa tappezzata di tele e a quel cavalletto abbandonato in un angolo, testimonianza di un sogno accantonato... «Eravamo felici, ma sapevo che Claudine sentiva la mancanza del canto… poi arrivò Emile e dopo il parto iniziarono le crisi depressive. All’inizio erano normali sfoghi di pianto: aveva sognato di essere una madre perfetta, come quella madre che aveva avuto accanto per pochi anni, ma Claudine era giovane e non aveva mai avuto figli: alle prime disattenzioni iniziò a sentirsi incapace…  Dopo le prime crisi di pianto iniziò a rifugiarsi in salotto per ascoltarsi, senza più badare al bambino. Un giorno trovai  Emile che piangeva disperato nella culla e lei che cantava in salotto felice. Decisi allora di ricoverarla e di abbandonare la carriera artistica: la mia famiglia aveva bisogno di me ed era più importante di qualsiasi ambizione.»

Non vidi traccia di rimpianti sul viso di Alberto: aveva rinunciato a se stesso anni prima, ma il suo amore era così grande da essere felice della sua scelta anche a distanza di tanto tempo. Com’erano state infantili e sciocche le mie storie d’amore in confronto ad un sentimento così grande e puro! Sarei mai stata in grado di rinunciare così a me stessa senza rimpianti? Forse aveva davvero ragione Simona, ero un’immatura egoista!

«La stampa iniziò ad incuriosirsi sulle nostre vicissitudini familiari, stuoli di paparazzi e curiosi iniziarono a bussare alla nostra porta con finta solidarietà solo per poter spettegolare… Quando Emile frequentava le scuole elementari, alcuni suoi compagni di classe furono spediti a casa nostra, per permettere ai loro genitori di venire a curiosare e da allora mio figlio non permette a nessuno di oltrepassare la porta di casa. E se si verificava un’eventualità simile, ha sempre fatto sì che andassero via presto.»

Ripensai alle battute sarcastiche sulle condizioni di sua madre che fece quel giorno al parco quando litigammo: il suo era un modo di testare la sincerità degli altri, voleva spaventare i curiosi allontanandoli con frasi plateali, in modo che non disturbassero la sua famiglia! Emile si era costruito una spessa corazza intorno a sé…

«Alberto… tu sei stato un padre eccezionale, non devi accusarti di nulla! Ciò che Emile conserva dentro di sé è frutto del suo carattere e non del tuo comportamento! I genitori fanno quello che possono, ma i figli sono persone indipendenti con caratteri spesso differenti e non per questo manca l’amore o il riconoscimento dei meriti  verso chi ha dato loro la vita!»

Mi guardò con affetto e mi poggiò un braccio intorno alle spalle:

«Sei proprio una ragazza saggia!» sì certo, a parole ero saggia ma perché non avevo mostrato la stessa saggezza e comprensione verso la mia famiglia?

 

 

*****

 

Claudine rimase ricoverata all’ospedale e Alberto restò lì per la notte: avrei voluto dargli il cambio ma il giorno dopo avrei avuto il mio primo giorno di lavoro e non potevo assentarmi o presentarmi senza aver dormito; così il padre di Emile chiese a suo figlio di accompagnarmi a casa. Quest’ultimo da quando si era risvegliato non mi aveva rivolto la parola… Non che ce ne fosse stata occasione: ci dirigemmo direttamente nella camera di Claudine e dopo poco Alberto ci disse senza troppe cerimonie che era inutile che noi due restassimo lì. Così volenti o nolenti, ci ritrovammo insieme soli in quell’auto. Non volevo che Emile scoprisse che non abitavo con i miei, ma del resto non conoscendo l’ubicazione della casa in cui avevo abitato fino a qualche giorno prima, nessuno poteva impedirmi di fingere che l’appartamento di Rita fosse la mia vera abitazione. Ero immersa in quelle elucubrazioni machiavelliche quando il mio accompagnatore, finalmente si decise a parlare:

«Ti chiedo scusa per la scena pietosa a cui hai assistito, ti prego di dimenticarla, non ero molto in me prima.»

 Il suo tono era formale e rigido, stava rialzando la barriera tra noi:

 «Non c’è niente di cui scusarsi, hai avuto una reazione più che normale, chiunque si sarebbe sconfortato in una situazione simile...»

«Non io. Ormai dovevo esserci abituato, invece sono stato patetico e debole!» strinse con forza il manubrio dell’auto.

«Non è vero, non sei stato debole! Sei umano e tutti gli esseri umani hanno bisogno di esternare qualche volta le loro sofferenze…»

«Non sono tutti come te, Pasi! Io non amo aprire bocca per dire il primo pensiero che mi passa per la testa! Ho sempre usato la razionalità per domare certi pensieri assurdi e quello di oggi non ero io!»

«Io invece credo che fossi più tu in quel momento che nel quotidiano.» ignorai la velata offesa che sentii nelle sue parole, perché mi ero ripromessa di non cedere all’ira e dimostrami forte… anche se non avevo idea di quanto del sarcasmo di Emile sarei riuscita a sopportare prima di andare in escandescenza!  

«Tu non sai niente di me Pasi! Come puoi dire di sapere chi sono, se nemmeno mi conosci!?» già, come potevo dirlo… eppure ne ero convinta!

«Io credo che non serva conoscersi a fondo certe volte per capirsi e...»

«…E innamorarsi? Come hanno fatto i miei romantici genitori? Seguendo un sogno che poi li ha uccisi? Vivendosi questo grande amore che ha portato loro solo sofferenza e li ha annientati? Puoi credere davvero a cose simili?»

«Sì Emile, ci credo, perché ho visto gli occhi di tuo padre e ho visto quanto lui ancora ami tua madre e quanto ami te! Se non credi in qualcosa che hai davanti agli occhi tutti i giorni, in cosa credi allora?»  arrivammo sotto casa di Rita in quel momento: Emile spense l’auto prima di rispondermi.

«Nella musica. Credo nella musica. È la mia sola ragione di vita, ciò che darà un significato alla mia esistenza sulla terra! Sono nato con questo talento, mia madre mi ha trasmesso l’amore per il canto e per la musica e finché avrò vita, il mio unico obiettivo sarà diventare famoso. Lo scopo della mia vita è quello di riscattare i miei genitori e farli conoscere a quel mondo che ha ucciso i loro talenti! Non ci sarà altro prima per me. La mia vita è votata alla musica e al riscatto di chi mi ha messo al mondo.»

Rimasi a guardarlo senza parole mentre mi apriva il suo cuore: quale spirito di sacrificio imperversava in quel ragazzo che stava accanto a me? Emile vedeva la sua vita come uno strumento di riscatto per i suoi genitori, aveva trovato un modo per sopportare il senso di colpa per essere nato, attraverso la musica, per realizzare ciò che sua madre non era riuscita a fare: diventare famosa. E questo includeva rinunciare a tutto il resto, soprattutto, mi resi conto in quel momento, significava rinunciare ad amare…

«Sono felice che ti stia a cuore la salute di mia madre Pasi e potrai venire a trovarla quando vuoi, ma non venire con un secondo fine, perché mia madre è la sola persona che beneficerà della tua presenza nella mia famiglia!» mi stava dicendo chiaramente e senza troppi giri di parole che non aveva intenzione di dare peso a ciò che gli avevo detto, che l’amavo… A quel punto non ressi più e replicai:

«Emile, io non ho intenzione di essere una bimbetta appiccicosa che ti ronza intorno tutto il tempo, quello che ti ho detto è ciò che sento, ma questo non significa che coglierò tutte le occasioni per seguirti e toglierti l’aria che respiri! Tu credi che io non conosca te, ma ancora un volta, devo farti presente che sei tu a non conoscere me, quindi cerca di non trarre conclusioni troppo affrettate e piuttosto cerca di aprire gli occhi su quelle idee strampalate che ti frullano nella testa! La musica potrà essere importante per te perché, e solo Dio lo sa quanto me ne pentirò a dirlo, sei straordinariamente bravo e meriti tutta la fama del mondo, ma la musica non è tutto nella vita! E un giorno ti guarderai allo specchio e ti renderai conto che non ti basterà! Magari sarai ricco, multimiliardario e famosissimo, magari riscriverai la storia del Rock, ma quel giorno ti renderai conto che l’amore che tu vuoi gettare al vento ti mancherà e ti scaverà un buco nell’anima che non ti darà mai la serenità! Nemmeno la musica ti appagherà come vorresti, perché ciò che ti può donare il cuore di un essere umano, non lo potrai mai avere da nient’altro al mondo!»  Cercai di essere più calma possibile mentre gli rivolgevo quelle parole esasperata, ma contavo poco sulla pacatezza del mio tono: se c’era una cosa che mi costava fatica, era parlare con calma quando esprimevo un concetto che mi stava a cuore! «E adesso scusami, ma devo proprio andare, buonanotte!»

Scesi dall’auto senza guardarlo: se avessi lasciato agire il mio istinto, avrei cercato di stare il più possibile con lui per non lasciarlo solo con i foschi pensieri che di sicuro gli avrebbero fatto compagnia quella notte, ma sapevo che sarei stata solo un peso per lui in quel momento. E poi dovevo pensare anche alla mia di vita, che stava cambiando repentinamente e sembrava quasi che mi stesse lasciando indietro: avevo rinunciato ad una pizza con gli amici, alla festa per il mio nuovo lavoro, per stare con Emile e la sua famiglia; non ne ero pentita, ma ancora una volta avevo messo i miei desideri in secondo piano e mi resi conto di temere di non essere cambiata affatto. In compenso, quando aprii la porta dell’appartamento di Rita, la vita che avevo lasciato indietro quella sera,  era lì che mi attendeva.











_______________________________________
NDA
Vi è piaciuto il capitolo? Avete voglia di dare due ceffoni ad Emile per la sua cocciutaggine? Vi sentite in totale empatia con Pasi? Niente di tutto ciò? BENE. xD
Questa parte della storia è una di quelle che ho abbozzato mentre ero alle prese con i capitoli precedenti: scriverla prima di giungerci cronologicamente mi ha aiutato a delineare gli eventi che avrebbero portato alle situazioni qui descritte, che rappresentano uno dei climax più importanti di tutto il racconto poiché viene alla luce ciò che Emile si porta dentro.
Aspetto di sapere le vostre considerazioni e reazioni e spero di avervi intrattenuto piacevolmente anche questa volta ^ ^

L'Angolo dei Doverosi Rigraziamenti come sempre è dedicato alle mie sorelle speciali che mi sostengono e mi pubblicizzano anche!!!
Sono davvero commossa per l'affetto che mi dimostrate tesore mie, ad iniziare dalla mia Beta desaparecida (torna Tomodachi, tornaaaaaa!!! ç_ç) Iloveworld che per prima mi ha incoraggiato a pubblicare, a Saretta che mi sta ospitando nel suo blog per pubblicizzarmi, Niky che non perde occasione per dire al mondo quanto le piaccia questa storia, e la Cicci che pur rimanendo indietro con la lettura, crede in me e mi pubblicizza persino in pagina!
A voi va il mio più grande e immenso ARIGATOU GOZAIMASU!!!!

Un grandissimo Arigatou va anche a tutte le altre sister affezionate che mi seguono sempre e il cui sostegno è di vitale importanza per me: Vale che prima o poi avrò sulla coscienza (ti prego non mi morire ancora!!), Concy che nonostante quello che dica, si è rivelata un'eccellente scrittrice (e guai a te se dici il contrario!) Ana-chan che con i problemi di salute che si ritrova, pensa a quanto le dispiaccia aver dovuto interrompere la lettura (amore pensa prima a guarireee!!!)!
E ne approfitto anche per fare gli auguri di compleanno alla sister Ely, che oggi fa cifra tonda!! Auguroni Baldry del mio cuor <3
Grazie mille a tutti coloro che si fermeranno a leggere, chi mi segue silenziosamente e anche a chi dopo la lettura non ha apprezzato.
Grazie a tutti per essere passati di qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10





 

 

«Perché non mi hai detto niente?»

Saltai con il cuore in gola e accesi la luce: Stè era in piedi, accanto al divano: doveva essere rimasto nell’appartamento di Rita ad attendermi per farmi qualche ramanzina… ultimamente ne stavo collezionando un po’ troppe, soprattutto da lui! 

«Testa di Paglia mi hai messo paura! Che stai facendo lì al buio a casa di Rita tutto solo? E a cosa diavolo ti riferisci?»

«Ti aspettavo, perché quando hai avvisato Rita che non saresti più venuta, ho iniziato a chiederle cosa ti stesse accadendo e lei e Fede mi hanno spiegato... perché non ti sei confidata con me? Perché non mi hai detto nulla di quell’Emile?»

«E tu sei qui a fare la veglia per una cosa simile? Stè ma è assurdo! È capitato, io non volevo nasconderti proprio nulla! Figuriamoci se proprio con te io debba avere dei segreti!» ero del tutto sincera in quel momento, Testa di Paglia conosceva tutto di me, non avrei mai potuto nascondergli qualcosa, anche perché mi leggeva come un libro aperto!  «Rita e Fede sono giunti alle loro conclusioni da soli… sai come sono fatti, ti dicono ciò che senti prima ancora che tu te ne renda conto!» e poi che ti dovevo dire Testa di Paglia, se nemmeno io riuscivo a parlare a me stessa!?

«Ti stai allontanando da me a causa di Simona?»  era terribilmente serio, temeva di perdermi perché lui era innamorato della sorella che mi aveva ripudiato! Ma come gli venivano in mente certe cose?!

«Stè ma stai scherzando!? Io non ti allontanerei mai! Soprattutto ora, voi siete ciò che ho di più caro al mondo, come potrei allontanarti!» in quel momento mi resi conto di aver bisogno di uno dei suoi caldi abbracci e mi diressi a passo svelto verso di lui «Non pensare mai più una cosa simile stupido! Come farei senza di voi? Come farei senza di te?!»

Per fortuna, Stè aveva un carattere allegro e gioviale e non sapeva restare di cattivo umore a lungo, così mi avvolse in uno dei suoi caldi abbracci.

«Scusami Testarossa, certe volte mi vengono queste idee strampalate… è che all’improvviso ho avuto paura di non conoscerti più: te ne vai di casa, fuggi dietro a questo tipo senza dirci nulla, abbandonando una serata con noi tutti… non riuscivo a credere che fossi tu!» dalla descrizione di Stè mi resi conto che ai suoi occhi apparivo davvero strana… e cercai di non badare al modo in cui parlava di Emile… ne avevo abbastanza di discussioni per quella sera!

«Hai ragione, sono stata più impulsiva del solito, scusami tanto se non ti ho detto nulla!» Affondai il viso in quel caldo abbraccio e iniziai a cedere alla stanchezza «Possiamo rimandare le chiacchiere? Sono stanca morta e domani inizio a lavorare…»

 

 

*****

 

Il lavoro in cucina era impegnativo, ero un po’ il jolly della situazione: da lavapiatti ad aiuto cuoco, dai pavimenti ai fornelli, dove c’era da dare una mano c’era Pasi a disposizione. Quel primo giorno m’impegnai per dare una buona impressione e apparire più volenterosa che mai: non avevo dormito affatto bene e mi sentivo stanchissima, avevo sognato Simona che mi faceva la ramanzina per poi trasformarsi in Emile che mi guardava con una certa diffidenza negli occhi, prima di voltarmi le spalle e allontanarsi… Non era stato affatto un bel sogno e ne stavo pagando le conseguenze con la stanchezza che mi sentivo addosso,  ma non volevo compromettere il mio futuro a causa di sogni e discussioni con tipi poco malleabili dai riccioli rossi! Oddio, sapevo benissimo che quello non era proprio il lavoro della mia vita: il compenso mensile che avrei ricevuto non mi sarebbe mai bastato per permettermi una casa, per quanto piccola potesse essere e quindi ero costretta per il momento a continuare a vivere da Rita, che per fortuna non aveva alcun problema al riguardo.

Quel primo giorno cercai di concentrarmi esclusivamente sul lavoro, che si riduceva nella prima parte del giorno: una volta riassettato la cucina dopo pranzo, potevo considerarmi libera, per la cena non ci sarebbe stato bisogno del mio aiuto (anche perché avrei ripulito il giorno dopo tutto il macello lasciato!) Così nel pomeriggio potevo continuare a fare volontariato, oppure prendermi gli impegni che volevo. E a quel proposito, i miei pensieri erano sempre verso i Castoldi: volevo vedere Claudine, sapere come stava, volevo rivedere Alberto che riusciva a darmi serenità… e ovviamente volevo rivedere Emile, che invece era all’apice delle mie preoccupazioni. Suo padre aveva detto che Claudine lo faceva star bene e probabilmente era quella l’essenza del vero amore…  ed io avevo detto ad Emile che l’amavo… però, come poteva essere vero ciò se mi provocava più preoccupazioni e brutti sogni di chiunque?

Riandai col pensiero alla notte di chiacchiere trascorsa nell’intimità e confidenza più totale e ricordai il modo in cui i suoi sorrisi più belli mi riempissero di gioia… ma c’era quel suo lato così duro, così inflessibile, che avrebbe richiesto molto lavoro da parte mia per cercare di scalfirlo e mi chiesi se fossi davvero capace di provare un amore così intenso e una dedizione così grande, da perseguire il mio scopo anche se Emile non mi voleva accanto a sé, anche se non mi avesse mai amato… Forse era davvero giunto il momento di parlare a Stè, che di amore unilaterale e dedizione ne sapeva di certo più di me.

Quel pomeriggio lo chiamai e decidemmo d’incontrarci per parlare di tutta quella situazione: gli raccontai tutto ciò che era accaduto da quando mi ero presentata con Fede a casa di Emile, fino a quella notte in cui Claudine aveva tentato per la quarta volta il suicidio. Testa di Paglia mi ascoltò senza battere ciglio, concentrato nel sentire tutta la storia, per potersi fare un’idea precisa della situazione.

«Testarossa, devo dire che come ti cacci tu in situazioni spinose, non ci riesce nessuno!»

«Uff, questo lo so Stè!» eravamo in un giardino pubblico, seduti su una panchina, avevo portato le ginocchia al petto e ci stavo tuffando la testa dentro affranta, così  il mio amico mi circondò le spalle con le braccia per consolarmi:

«Tu sei sicura dei sentimenti che provi?»

«Sì e no… cioè, al momento di dirgli che l’amavo ero convintissima delle mie parole, ma poi ho cominciato ad averne paura! Ho paura di non essere capace di provare un amore davvero così grande da sopportare un rifiuto ed ho paura di farmi trascinare troppo da esso… ho combinato un guaio!» e gettai di nuovo la testa sulle ginocchia sconfortata, pensando alla promessa che avevo fatto ad Alberto, di stare accanto ad Emile e che in quel momento non credevo affatto di riuscire a mantenere!

«Testarossa, io credo che tu abbia dentro di te molta forza e che se hai detto quelle parole ad Emile è perché  sai che è la verità. Amare senza essere corrisposti non è un viaggio facile, ma il tuo cuore non riesce a farne a meno, tutto il tuo essere risponde al desiderio di far felice quella persona, anche se sai che non potrai mai averla come vorresti. Non c’è modo di sottrarvisi Pasi, quindi credo che capirai presto se il tuo amore è sincero e forte o è solo un illusione che hai voluto vivere per qualche tempo.»

«E se dovessi scoprirmi innamorata di lui al punto da dimenticare me stessa? Io non voglio Stè!»

«Questo non succederà Pasi, perché non te lo permetterò! Ti ho visto già troppe volte perderti dietro storie senza futuro e non voglio rivederti in quello stato! La prossima volta che inizi ad annullarti per un uomo vengo a prenderti per quella testa di fiammifero che ti ritrovi e ti rinchiudo in casa finché non riprendi la sanità mentale!» Stè si fece una delle sue risate speciali ed io lo seguii, liberando dal mio cuore un po’ di angoscia. Testa di Paglia era davvero il mio angelo custode!

 

 

*****

 

«Andiamo a trovare Claudine più tardi?»

Fede comparve all’improvviso alle mie spalle mentre ero a pulire la cucina. Erano tre giorni che lavoravo e in quel lasso di tempo non avevo avuto modo di sapere come stesse Claudine, né di parlare con il resto della sua famiglia. Non volevo chiamare Emile e sentirmi dire che lo stavo seccando e non sapevo come rintracciare Alberto…L’unica cosa da fare era andare direttamente all’ospedale, così avrei mostrato a quello stupido che non era lui il centro dei miei pensieri e che non usavo Claudine per arrivare alla sua virtuosa persona! Finalmente iniziai a sentirmi più energica e sicura di me, quel momento d’incertezza non mi era affatto piaciuto, non ero io quella ragazzina spaventata e dubbiosa!

«Sì Fede, ho proprio voglia di vederla, voglio sapere come sta!» e non sto sperando che Emile sia lì in ospedale!

 

 

*****

 

 

Alberto era seduto accanto a Claudine, tenuta sotto controllo dai farmaci: appena mi vide si alzò, mi venne incontro con un sorriso immenso e mi abbracciò contento e mi sentii avvolgere nuovamente dall’ondata di calore e di affetto che ormai provavo per quell’uomo:

«Pasi! Iniziavo a sentire la tua mancanza! Come stai piccola?»

Gli presentai Federico e gli chiedemmo delle condizioni di Claudine: la sua vita era fuori pericolo, ma i medici stavano pensando di tenerla sotto controllo in un centro specializzato per le malattie mentali: quattro tentativi di suicidio erano decisamente tanti ed era chiaro che i soli familiari non potevano più contenere quegli eccessi. Alberto si opponeva, non voleva che la donna che amava finisse internata, sapeva che da quei luoghi non c’era modo di uscirne vivi e non voleva condannarla ad una vita lontano dagli affetti.

«Emile che ne pensa?» mi trovai a chiedere quasi senza accorgermene: chissà perché temevo che lui non fosse dello stesso parere…

«È d’accordo con me, non accetterebbe mai di sapere sua madre rinchiusa in un luogo simile.»  per fortuna, avevo avuto una sensazione del tutto sbagliata! «Ma dobbiamo mostrare ai medici che siamo in grado di occuparci di lei, probabilmente dovremmo aumentare la presenza di infermieri...»

«Ma questo vi costerà troppo!» parlai di nuovo senza trattenermi: non erano fatti miei, ma ormai li sentivo tali!  «Non c’è alcun familiare che possa darvi una mano? Un amico…»

«Pasi, ragazza mia, hai visto qualcuno intorno a noi che non fosse Sabrina... o tu?» mi prese le spalle con le mani «Emile ed io possiamo contare solo su noi due, è sempre stato così e sempre lo sarà. Vorrà dire che mi troverò un secondo impiego o farò doppi turni… in qualche modo ce la cav…»

«Vi aiuterò io! Verrò io a darvi a una mano!»

«Non posso chiederti una cosa simile...»

«Sì invece! A me fa piacere stare accanto a Claudine e non ho bisogno di essere pagata, il pomeriggio e la sera sono libera, quindi quando volete posso darvi il cambio e stare accanto a lei!»

«E la tua vita? Vuoi sacrificarla a far da balia a mia moglie invece di divertirti con gli amici?»

«Troverò il modo di conciliare tutto! Dimmi solo quando venire e correrò a dare una mano!»

A quel punto anche Fede prese parola:

«Se avete bisogno ci sono anche io, non sentitevi abbandonati, anche a me fa piacere dare una mano.» Alberto ci guardò commosso e ci diede un grande abbraccio.

 

 

*****

 

Iniziò così la mia nuova vita, scandita dal lavoro mattutino e il pomeriggio in casa Castoldi. Emile e Alberto avevano concordato che servivano almeno due persone che potessero alternarsi accanto a Claudine, così la sera cercavano di esserci entrambi (e se Emile aveva le prove col gruppo o qualche esibizione, in quel caso Fede avrebbe dato una mano notturna) mentre di pomeriggio c’ero io con Sabrina e di mattina c’era Emile sempre con Sabrina a cui avevano raddoppiato il turno. Nonostante il mio aiuto, restava ancora il bisogno di qualcuno che si alternasse ad Emile di mattina, con conseguente aumento del compenso di Sabrina, per cui Alberto cercò di raddoppiare le sue ore di lavoro: era un manovale in una ditta edilizia, ma essendo abile in tutto ciò che chiedeva manualità, iniziò a proporsi anche come giardiniere o tutto fare per i piccoli lavoretti di ristrutturazione delle abitazioni. Emile dal canto suo, iniziò a prendersi qualche lavoro dalla bottega e a portarsela a casa per lavoraci mentre era con sua madre.

Il mio turno iniziava e finiva alternandomi ad Emile, per cui almeno per qualche minuto, ci saremmo visti mentre ci davamo il cambio e questo breve momento di contatto costituiva per me la speranza di poterlo avvicinare di nuovo. Il primo giorno in cui entrai in quella casa in veste di badante per Claudine fu proprio Emile ad aprirmi: il suo aspetto era votato alla più assoluta rigidità e tutto di lui mi allertava a non avvicinarmi troppo.

«Ciao.» il suo lapidario e polare saluto mi fece capire immediatamente che non voleva indugiare in chiacchiere.

«Ciao Emile… tuo padre ti ha…»

«Sì mi ha detto tutto. Grazie per l’aiuto che ci offri. Te ne sono grato.»  si teneva a distanza a da me, il suo viso era granitico, privo di espressione e quelle parole prive di calore sembrarono provenire dalla bocca di un automa. Cosa pensava che potessi fargli, saltargli addosso e rubargli la virtù?! Quell’atteggiamento iniziò a darmi sui nervi!

«Senti…»

«Sabrina è su con mia madre, se hai bisogno di sapere qualcosa, lei risponderà a tutto, è qui dalla mattina e conosce tutti i suoi bisogni. Io ora devo andare, buona giornata.»

Chiuse la porta dietro di sé, senza darmi modo di continuare la mia arringa a malapena iniziata, senza darmi diritto di replica… Mi aveva appena fatto capire di non voler avere alcun tipo di contatto con me! Quell’atteggiamento spocchioso mi fece imbestialire sul momento, ma non ero lì per divertirmi, avevo un compito importante da assolvere:  Alberto contava su di me e non volevo deluderlo; del suo irritante figlio mi sarei preoccupata in seguito. O almeno speravo di riuscire a farlo. Il tempo accanto a Claudine quel giorno scorse lento, la mia testa era piena di sentimenti confusi e contrastanti: continuavo a sentire il desiderio di stare accanto ad Emile, ma contemporaneamente quel suo atteggiamento m’istigava a lasciarlo perdere o a strozzarlo una volta per tutte! Quel pomeriggio mi chiesi persino se ne valeva davvero la pena di farmi trattare in quel modo, da una persona che aveva sfacciatamente rifiutato ciò che sentivo per lui, ma poi ripensai all’Emile che accudiva con dolcezza sua madre, a quel ragazzo che sapeva sorridermi con vera gioia lasciandomi del tutto inebetita, al bambino impaurito e tremante che avevo visto qualche giorno prima in ospedale e sentii di nuovo il desiderio di proteggerlo.

Solo lui riusciva a confondermi in quel modo, a farmi provare così tanti sentimenti contrastanti nei suoi confronti: non riuscivo a capire come dipanare la matassa dei miei sentimenti in quella situazione, il desiderio di stargli accanto stava combattendo ferocemente con la rabbia dentro di me e forse quest’ultima in quel momento stava avendo la meglio. Non avevo la più pallida idea di come avrei fatto, ma non volevo dargliela vinta, non volevo ritirarmi con la coda fra le gambe! Gli avrei dimostrato in qualche modo che non ero una ragazzina sbavante che viveva per ogni suo respiro, gli avrei dimostrato che lui non era il motivo per cui andavo in quella casa, che saltargli addosso non era la parte centrale dei miei pensieri! Non avrebbe visto il mio volto triste per il modo in cui si rivolgeva a me e non avrei più tentato di parlargli, gli avrei fatto vedere di che pasta ero fatta!

La mia battaglia con lui sarebbe iniziata l’indomani, quella sera mi fu concesso tempo per prepararmi ad affrontarlo, poiché a darmi il cambio fu Alberto, che rincasò prima di suo figlio.

«Stanca?» mi chiese dopo il suo caloroso abbraccio.

«No affatto, il tempo è volato!» insieme alla spudorata fandonia, sfoderai il migliore dei miei sorrisi per rassicurarlo: vedevo ancora sul suo volto la preoccupazione per avermi costretto a stare ogni pomeriggio accanto a sua moglie e volevo fargli capire quanto occuparmi di Claudine costituisse un piacere e non un dovere. Alberto mi guardò per qualche minuto sondando le mie espressioni e d’un tratto si rattristò:  

«Emile è stato scortese con te?»

Al sentir nominare la causa del mio malumore, sentii la rabbia far capolino sul mio viso per un istante, quel tanto che bastò ad Alberto per capire e sospirare:

«Quando gli ho detto che saresti venuta ad accudire Claudine, l’ho visto irrigidirsi, ma poi ha convenuto con me che saresti stata di grande aiuto… quel figlio mio è davvero irrecuperabile! Ti chiedo scusa per il suo comportamento scortese, certe volte è…» decisa a non aggiungere altri fardelli sulla schiena di quell’uomo adorabile, mi ripromisi di non mostrarmi arrabbiata con suo figlio e di non palesargli alcun fastidio potessi provare, entrando in quella casa. Appoggiai una mano sul suo braccio per rassicurarlo e gli risposi:

«Non preoccuparti, Emile non è stato scortese, è tutto a posto.» tranquillo Alberto, tuo figlio non ha capito con chi ha a che fare!

 

*****

 

Come da copione, la mia battaglia con Emile iniziò il giorno seguente: mi accolse con lo stesso atteggiamento rigido ed io gli risposi con un bel sorriso sincero  e senza dargli modo di dire altro, mi diressi subito al piano di sopra, con la più cordiale indifferenza di cui fossi capace. Sentii i suoi occhi che mi osservavano mentre salivo le scale e nel momento in cui arrivai all’ultimo gradino, la porta di casa si chiuse. Sorrisi soddisfatta di me e iniziai il mio pomeriggio accanto a Claudine: Pasi=1 Stupido Emile=0!

La scena iniziò a ripetersi ogni giorno e ogni volta che lo vedevo,  dovevo sforzarmi per non prendere a sberle quel viso così rigido e formale, ma la soddisfazione di non dargli modo di trattarmi con sufficienza mi bastava a sostenere quella piccola recita di qualche minuto. Trascorsero in questo modo un paio di  settimane, in cui la nostra situazione giunse ad una stasi, finché verso la metà della terza settimana ad accogliermi in casa ci fu solo Sabrina e la situazione si ripeté uguale nei giorni successivi. Iniziai a sospettare che mi stesse evitando di proposito e tornò ad assalirmi un’insana irritazione.

Col passare dei giorni però, mancando il quotidiano scontro, l’irritabilità si trasformò in un’improvvisa malinconia: eravamo così distanti in quel periodo, non c’era alcun punto di contatto tra noi, non c’era più nemmeno quel breve e veloce saluto, che più che altro era un incontro di box travestito da uno scambio di convenevoli! Mi mancava la familiarità che eravamo riusciti ad avere settimane prima, mi mancavano i suoi gesti gentili e il suo sorriso… iniziai a temere di non riuscire più a vederlo e il fatto che ogni pomeriggio fossi in casa sua, dove lui viveva, dove era se stesso nel profondo, mi spinse a voler sapere qualcosa in più sul suo conto, almeno in modo indiretto.

Così un pomeriggio in cui Claudine era controllata dalle cure di Sabrina, decisi di riprovare a curiosare alla ricerca della camera di Emile: avevo voglia di sentirlo a me vicino, volevo trovarmi anche se solo per qualche minuto, nello stesso luogo in cui trascorreva una parte della giornata, volevo sentire la sua presenza  nell’aria…  provai ad aprire la porta della camera adiacente a quella in cui avevo dormito e per pura fortuna la trovai aperta! Avevo il cuore che pulsava all’impazzata, mi sentivo una ladruncola ma mi dicevo che in fondo Emile se l’era cercata col suo comportamento… così aprii la porta ed entrai.

La stanza doveva avere le stesse dimensioni di quella adiacente, ma sembrava molto più piccola a causa delle librerie che la tappezzavano: c’erano scaffali e scaffali pieni zeppi di dischi in vinile e CD e impianti stereo di tutti i tipi, quello era un santuario della musica! C’erano anche un violino, una chitarra e una tastiera e in fondo alla stanza, a ridosso delle finestre c’era la scrivania preceduta solo dal letto, la cui testiera poggiava sulla parete di sinistra, in modo speculare rispetto alla stanza accanto. Sul comodino c’era solamente una lampada e una foto: quella foto che Fede aveva trovato nella cassettiera e che ora era inserita in una cornice in bella mostra. Mi accovacciai davanti al comodino e osservai nuovamente l’immagine di quella famiglia che non aveva mai avuto molti momenti felici come quelli e accarezzai con le dita il vetro del portafoto sul volto di ognuno di loro, ma quando arrivai sulla testa di Emile, su quel punto luminoso che sporgeva dalle braccia della madre, iniziai a commuovermi e desiderai nuovamente di poter proteggere quel ragazzo dalla sofferenza che si portava dentro.

Uscii dalla stanza, sentendo di aver violato un terreno sacro e tornai da Claudine.

Approfittando del mio ingresso in camera, Sabrina si prese una pausa ed io rimasi ad osservare la madre di Emile mentre riposava nel letto con aria tranquilla: considerata la scelta di Alberto di tenerla in casa e di non farla ricoverare in qualche centro specializzato, i medici avevano optato per una cura più intensa, imbottendola di farmaci per farla stare tranquilla. Di conseguenza, riusciva a stare sveglia per molto poco e quando accadeva, era sempre più intontita... Ogni giorno che passava la vedevo sempre meno presente e sempre più come un fantasma: come può ridursi così una persona che amava la vita come lei? Una persona così fiduciosa nella vita, da prenderla così come viene senza pensare alle conseguenze, perché sa che in un modo o in un altro se la caverà…

Probabilmente era più giusto il comportamento previdente dei miei genitori o almeno su carta avrebbe dovuto risparmiare qualche problema, ma era così freddo! Ero convinta che anche Claudine non si fosse mai pentita delle sue scelte, semplicemente il Destino le aveva riservato dei colpi troppo forti e il suo animo delicato ne aveva risentito in modo irreversibile…

Le presi una mano pallida e smagrita tra le mie per sentire un contatto tra noi:

«Grazie Claudine, grazie a te e Alberto sto imparando, sto crescendo e sto capendo qualcosa in più anche di me. Grazie perché amo questa casa piena di amore, amo il modo in cui la tua famiglia ti ama e amo la gioia di vivere che mi hai trasmesso, attraverso i racconti di Alberto ed Emile… e grazie per averlo messo al mondo! Lui non è d’accordo, ma io benedico ogni giorno il fatto che esista e che l’abbia incontrato, al di là di come andrà a finire tra noi.»

Non saprei dire se Claudine fosse consapevole o meno della mia presenza e delle mie parole, ma quando tacqui, vidi una lacrima scorrere da uno dei suoi occhi... una singola e solitaria lacrima che non saprei dire se fosse di dolore o di gioia.

 

*****

 

Quella sera organizzammo di nuovo la nostra pizza semplicemente per vederci e stavolta non ci furono imprevisti di sorta. Non vedevo Sofia da quel fatidico concerto dei TresneT, di un giorno che sembrava appartenere ad un tempo lontano: da quando avevo incontrato Emile, la mia vita si era rivoluzionata! Sofia era la più piccola del gruppo: aveva un anno in meno di me ma era straordinariamente intelligente, così i genitori avevano pensato di farle iniziare la carriera scolastica con un anno di anticipo, per cui ora era già al primo anno di università. Piccola, con mossi capelli castani che amava lisciare, occhi scuri che si perdevano in solitarie riflessioni e un viso sempre rilassato, Sofia era la rappresentazione della calma. Per quanto fossi incline io ad agitarmi, così lei ne era totalmente immune: praticava yoga da anni e valutava tutta la sua vita e le persone intorno a sé con estrema razionalità. Con il suo carattere distaccato e anche un po’ filosofeggiante, sembrava essere la vecchietta saggia del gruppo: se Fede e Rita erano i miei genitori e Stè il mio compagno di marachelle, Sofia poteva essere classificata benissimo come la nonna!

«Sofi, qualche sera devi venire a casa mia, così facciamo una seratina tra ragazze io tu e Pasi!» esordì Rita, lasciandomi sorpresa. “Rita l’impegnata” che organizzava una serata… incredibile! Normalmente bisognava fare una domanda in carta bollata con un mese di anticipo prima di ricevere una sua risposta affermativa, con i mille impegni che si ritrovava era un’impresa farle ritagliare dello spazio libero ed ora era lei stessa a proporlo! 

«Rita… sei sicura di star bene?» le dissi senza troppi giri di parole.

«Sì Pasi, perché? Non posso aver voglia di stare un po’ con le mie amiche?» mi guardò con aria innocente e quasi offesa.

«Ma certo che puoi, solo che… mi meraviglio che tu riesca a trovare il tempo per farlo!»

«Sai Pasi, in questi ultimi tempi, mi sono resa conto che il mondo gira vorticosamente ed io voglio girare con lui, ma a volte ci fa perdere il senso delle cose: io corro tutto il giorno, persa tra mille impegni e poi mi rendo conto che non ho stabilito un rapporto umano da tempo! Sarà che avendoti in casa con me, sto riscoprendo la gioia di avere qualcuno accanto, ma ultimamente ho una voglia matta di stare con le persone che mi fanno stare bene!»

«Per la miseria Rita, quanta saggezza all’improvviso! Ma perché io e Federico dobbiamo restarne esclusi?» ecco Stè con la sua paura di essere escluso da tutto… 

«Testa di Paglia stai diventando ossessivo! Una riunione tra ragazze a volte è benvenuta, voi uomini certe cose non potete capirle!» mi piaceva l’idea di una specie di pigiama party con le mie amiche, rendeva tutto così intimo e confidenziale e non ne avevamo mai fatto uno!

«Devo forse renderti noto, che la prima persona con la quale tu ti sia mai confidata sono stato io, Testarossa?»

«Uffa Stè! Sempre a sottolineare dettagli stai!»

«Io la trovo una bella idea, le ragazze hanno bisogno di stare tra loro ed è vero che ci sono cose che noi non possiamo capire…» Fede come sempre era il comprensivo e conciliante del gruppo, inoltre mentre parlava rivolse uno sguardo d’intesa a Rita che sorrise felice…. Ancora non avevo ben chiaro se tra quei due ci fosse ancora qualcosa o se il loro modo di comprendersi era dovuto alla vecchia intimità che avevano condiviso in passato... stava di fatto che Stè fu sbaragliato ed io gongolai con una bella pernacchia in sua direzione!

«Stamane leggevo di un’antica leggenda cinese tramandata anche in Giappone, sul legame che unisce chi è destinato a stare insieme nonostante le avversità.» Sofia aveva preso magicamente la parola, spuntando dal nulla con un discorso che apparentemente non aveva alcuna connessione col nostro discorso…

«Si dice in Giappone che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al dito mignolo e che quel filo rosso è collegato a quello della persona a cui siamo destinati. Nonostante la vita separerà quelle persone o non le farà incontrare presto, il filo rosso che lega i loro mignoli prima o poi li guiderà uno dall’altra perché il loro destino è quello di stare insieme. Mi è venuta in mente ora perché sentendo i vostri discorsi, penso che sia normale temere di perdere le persone che si amano, ma credo anche che se è Destino che certe persone entrino a far parte della nostra vita, in un modo o in un altro ci saranno sempre accanto a noi, anche se non sono invitate ad un pigiama party o non si vedono da mesi.» eccola qua la mia nonnina saggia! Poche parole ma ben dirette! Ma ovviamente, non tutti hanno lo stesso parere e Rita non era dello stesso avviso:

«Non sono del tutto d’accordo, credo che il Destino ce lo creiamo noi con le nostre mani. Se io non facessi tutto quello che faccio, non potrei avere anche i riscontri che ho, non posso pensare che la mia vita sia gestita da qualcuno al di sopra di me, che tiri i fili relegandomi al ruolo di un burattino, la mia vita è mia e la gestisco come voglio!»

Iniziò così uno dei nostri discorsi notturni sulla vita e sulle sue leggi: il bello di parlare tra amici è proprio quello di sentire diversi modi di pensare e di vedere le cose, ti apre gli occhi, ti fa vedere l’intera esistenza sotto molteplici aspetti e sai anche che quando giunge il tuo turno di parlare, la tua opinione avrà lo stesso impatto sugli altri e sarà rispettata anche se non condivisa… erano quelli i momenti che amavo di più, non mi sarei mai staccata da loro quattro, sentivo una felicità immensa nel petto ogni volta che trascorrevo del tempo in loro compagnia!

 

*****

 

Quella notte invece di dormire, ripensai a quella leggenda giapponese: aveva un concetto così romantico! Mi chiesi se quel filo rosso che portavo al mignolo, fosse collegato a quello di Emile: in quei giorni eravamo così distanti che mi sembrava impossibile l’idea di avvicinarci fino a quel punto;  sembrava che il Destino volesse separarci più che unirci!

Il Destino… volevo credere ad un concetto simile? Implicava l’idea che qualsiasi cosa provassi a fare sarebbe stato inutile se non fosse stato deciso dal Fato. Il che mi lasciava interdetta: significava che se non fosse stato benedetto dal Destino, qualsiasi mio desiderio sarebbe stato irraggiungibile! E quindi anche gli sforzi di Emile per crescere e diventare famoso sarebbero potuti fallire se non era destino!

Di certo gradivo di più l’idea che fossimo noi a crearcelo con le nostre azioni e i nostri comportamenti… Eppure l’idea di un Destino che voleva me ed Emile uniti, mi consolava e mi dava coraggio per credere che tutto si sarebbe sistemato… in qualche modo!

 

Il primo segnale del Destino lo ricevetti il giorno dopo a casa Castoldi: la stanza di Emile aveva la porta socchiusa e non ressi alla tentazione: entrai un attimo per salutare nuovamente tutto ciò che lui amava e per sentirlo accanto a me indirettamente, quando notai sul comodino un biglietto su cui c’era scritto il mio nome!



Pasi Isoardi, sei pregata di leggere!



Era un vero e proprio invito a cui non potevo dir di no! Così aprii la busta e lessi il contenuto del biglietto:



Ti è piaciuta la stanza? La prossima volta che entri qui dentro però, attenta a non lasciare delle ditate sul vetro, non è facile toglierle via dopo!



Maledizione! Come al solito ero stata imprudente e mi aveva scoperto! Aveva notato il passaggio delle mie dita sulla foto, che vergogna! Visto però che non sembrava particolarmente arrabbiato, e che nonostante tutto, aveva lasciato di nuovo la porta aperta in camera sua, decisi di usare la solita faccia da poker e gli risposi, lasciandogli quello stesso biglietto ma con un messaggio altrettanto pungente:



A dir la verità, l’ho trovata un po’ trascurata, gli strumenti avevano un filo di polvere, dovresti pulire più spesso!



Ero soddisfatta di potergli rendere pan per focaccia ancora una volta e il fatto che sentissi terribilmente la sua mancanza iniziava ad irritarmi, ma sopra ogni cosa ero felice di tornare a comunicare con lui, seppur con un misero scambio di battute acide, che poi a dirla tutta, costituivano la maggior parte del nostro colloquiare!

Dopo l’iniziale euforia cominciai a pensare al motivo di quel gesto: era solo irritato? Ero stata scoperta spudoratamente, ma il fatto che mi avesse lasciato un biglietto per comunicare con me mi faceva ben sperare che sentisse un po’ la mia mancanza, anche se di sicuro non era paragonabile a quella che sentivo io nei suoi confronti.  

Ripensai alle parole di Stè: “Amare in modo unilaterale non è un viaggio facile, ma non puoi farne a meno”. Iniziavo a rendermene conto: nonostante fosse una delle persone più irritanti che avessi mai conosciuto, nonostante avesse alzato una barriera ciclopica verso di me proprio quando io avevo abbassato la mia rivelandogli cosa provavo per lui, qualsiasi cosa facessi, qualunque esperienza vivessi, non ero capace di togliere Emile dalla mia testa e soprattutto dal mio cuore.









______________________________________________
NDA
Questo è stato davvero lungo come capitolo, uno dei più lunghi che abbia scritto. A dira la verità proprio oggi gli ho dato una sistematina, ritoccando alcune parti che non mi convincevano; infatti ero dubbiosa se pubblicare entro stasera o meno, ma poi una vocina mi ha esortato a muovermi (:****) ed eccoci qua! Spero vi sia piaciuto ^ ^

Come sempre vi ringrazio dal profondo del cuore tesore mie, perchè i vostri commenti allo scorso capitolo mi hanno entusiasmato tantissimo, non credevo che prendesse a questo punto e posso ritenermi davvero soddisfatta di me, se addirittura sono riuscita a rivaleggiare con la zia Steph per qualcuno <3 (troppo onore, davvero!).
Grazie davvero di cuore mie sorelline: Iloveworld, Vale, Niky, Concy, Saretta, le mie fan-lettrici affezionate, Anan-chan, lettrice in pausa, Cicci, ed Ely.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11





 

Il giorno dopo andai a curiosare di nuovo in camera di Emile, per vedere se mi avesse risposto: avevo un’ansia da aspettativa enorme, mi batteva il cuore mentre entrai in quella stanza alla ricerca di un frammento di comunicazione fra me e lui: e scoprii che c’era, Emile mi aveva risposto! Trovai un nuovo biglietto con un nuovo messaggio:

 

Hai ragione, c’è un po’ troppa polvere; ci pensi tu, visto che sei diventata un’abituale frequentatrice di camera mia?

 

Sempre il solito venefico e sarcastico! Ma stavolta iniziavo a prenderci gusto: in qualche modo, inconscio o meno che fosse, avevamo trovato un modo per comunicare e mi venne in mente il detto “Volere è Potere”: l’idea del Destino creato con le proprie mani iniziò a prendere punteggi nella mia classifica personale! Risposi anche questa volta alle sue provocazioni:

 

Mi spiace, ma una sciocca esagitata come me potrebbe far danni ai tuoi preziosi strumenti musicali… è meglio che non li tocchi!



A quel punto mi feci una bella risata: iniziavo davvero a divertirmi!

Emile rispose nuovamente alla mia frase e iniziammo così un gioco tutto nostro fatto di battutine sarcastiche e punzecchiature, che mi ricordavano un po’ il modo in cui Emile si rivolgeva a suo padre. Sperai che questo significasse che stesse abbassando di nuovo le barriere verso di me e che ci fosse davvero una speranza di avvicinarlo. Trascorsero così alcune settimane: ogni pomeriggio il mio primo pensiero era quello di leggere il messaggio di Emile e di rispondergli prima di concentrarmi su Claudine: avevo il solito batticuore ogni volta che mi avvicinavo alla sua stanza, mi assaliva la gioia ogni volta che leggevo ed ero raggiante dopo aver risposto. Quello scambio di battute giornaliero era diventato il mio punto di riferimento quotidiano, il mio corroborante, il mio elisir di felicità.

Iniziai a capire cosa intendeva Alberto, quando diceva che Claudine lo faceva star bene: nonostante non ci vedessimo, sentivo Emile vicino a me. Anche se non sapevo molto al suo riguardo, sentivo che si era ricreata quell’intimità nata una sera in quella camera degli ospiti accanto alla sua stanza. In quei giorni mi sentii davvero felice!

Come ogni cosa al mondo però, anche quel gioco terminò. Entrai un pomeriggio in camera di Emile pronta a leggere il nuovo biglietto ed invece trovai proprio lui che leggeva, seduto accanto al letto! Mi balzò il cuore in gola per la sorpresa!

«Stavolta niente biglietto.» mi disse senza alzare la testa dal libro, ma con un sorrisetto soddisfatto sul viso. «Dannazione Emile! Potevi anche avvertirmi che eri qui!» Dio mio quanto sono felice di rivederti!

«Per perdermi questo spettacolo? Assolutamente no!» Emile si fece una bella risata e mi guardò con quella luce maliziosa negli occhi che indicava che si stava divertendo un mondo… sulle mie spalle! Ma non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, rivederlo e per di più così sorridente, mi donava una gioia incontenibile che superava qualsiasi altra emozione potessi mai provare in quel momento.

«Che ci fai qui?» gli chiesi, ritrovando la parola e la risposta non si fece attendere:  

«È camera mia fino a prova contraria, anche se l’hai subaffittata!»

Corrugai le sopracciglia contrariata…

«Io non l’ho…» …e feci un respiro profondo:

«Voglio dire, esimio signor Castoldi, che gradirei sapere per quale motivo lei si trova in questa casa e non è a guadagnarsi il pane a lavoro?»

Emile mi stava osservando con divertimento, si stava godendo in pieno l’effetto delle sue parole e della sua presenza su di me: che adorabile bastardo sapeva essere!

«Per rispondere alla sua domanda così gentilmente formulata, si dà il caso che oggi io abbia le prove col gruppo e che quindi abbia preso il pomeriggio libero e nel frattempo che attendo i miei stimati colleghi musicisti, ho pensato di leggere qualcosa, nella mia stanza.» il sorriso divertito di Emile gli illuminava il volto, in quella camera rischiarata dalla luce esterna sembrava l’emanazione del sole, con la sua chioma fiammeggiante e gli occhi ridenti e restai per un attimo abbagliata dalla sua luminosità.

«Pasi, è tutto ok?» il cambiamento di tono nella sua voce mi destò dalla mia catalessi:

«Eh? Sì sì, è tutto ok… ero sovrappensiero.» Emile restò perplesso per qualche istante, poi riprese a parlare: «Seguimi.»

«Eh?»

«Vieni con me un attimo.» cosa voleva ora?

Scendemmo le scale e voltammo verso il salotto: Emile si diresse verso un pacco posto sul mobile:

«Vedi questo? È tuo. Sono i dischi di mia madre: stavolta li ho protetti, così potrai portarli a casa tua senza rischio di romperli.»

I dischi in vinile di Claudine! L’ultima volta che ero stata in procinto di averli non avevo fatto in tempo a prenderli dalle mani di Emile, che gli caddero rovinosamente a terra... Da quella volta non ne parlammo più e credetti di averli persi ormai, invece se n’era ricordato e aveva avuto anche la premura di proteggerli questa volta!

«Ero ancora in debito con te, dovevo ripagarti!» quel gesto così premuroso, quel sorriso così sincero… in quel momento il mio cuore scoppiò di gioia: quanto era bello e quanto l’amavo! Senza pensarci un secondo l’abbracciai con le lacrime agli occhi.

«Pasi!» Emile sussultò e s’irrigidì: di sicuro non si era aspettato una reazione simile!

«Scusami Emile, ora mi stacco, è che… grazie, sono così felice!»

«Ma non ho fatto nulla!» non ricambiò il mio abbraccio, ma sentii che si rilassava, non era più teso sentendomi vicina a lui.

«Hai fatto tanto credimi, grazie!» rimasi per qualche secondo a godermi quel contatto con Emile, finché sentii Sabrina che mi chiamava e mi staccai per correre in direzione delle scale ed occuparmi di Claudine.

 

Quando i Castoldi acquistarono quella casa, Claudine si premurò subito di adattarla alle esigenze sue e di suo marito trasformando alcuni ambienti, così la serra divenne un laboratorio perfetto per l’arte di Alberto e il piano interrato fu ristrutturato con l’edificazione di una sala prove insonorizzata per la musica di Claudine. Purtroppo quella stanza non fu mai usata da chi l’aveva voluta, ma andò a beneficio di suo figlio, che si ritrovò in casa una sala prove a disposizione per la sua band. Quel pomeriggio perciò i GAUS si riunirono in casa Castoldi per provare i loro brani, lasciando me nel tumulto interiore.

Mentre ero con sua madre, non facevo che pensare al fatto che Emile fosse in quella stessa casa a pochi metri di distanza: pensai alla gioia che mi aveva donato ricordandosi di me, al suo sorriso luminoso e ripensai anche al batticuore provato abbracciandolo, alla sensazione estatica che avevo provato poggiando il mio corpo contro il suo… quello sarebbe stato un problema grosso: l’attrazione fisica!

Sarei riuscita a tollerare il mio desiderio di sentirlo, toccarlo, baciarlo senza poter fare mai una di queste cose? Sarei riuscita a guardarlo e a parlargli tranquillamente (per quanto ne fossimo mai stati capaci), pensando a quanto invece avrei voluto saltargli addosso e farlo mio? A quel punto non sapevo più se fosse  stato un bene rivederlo o meno!

La tortura continuò anche nei giorni successivi: Emile aveva preso tutta la settimana libera e provava nella saletta allestita nel piano interrato della casa; lo vedevo di sfuggita mentre passava per andare in camera sua o viceversa quando ne usciva e ogni volta mi salutava con qualche parola fugace, prima di scendere a provare. Essendo la saletta insonorizzata, non sentivo la musica proveniente dal basso, ma percepivo le vibrazioni degli strumenti attraverso il pavimento quando mi ritrovavo al piano terra e puntualmente ero presa dal desiderio e dalla curiosità di scendere quelle scale e raggiungere Emile.

Vederlo era sempre più una sofferenza fisica e a quella se ne aggiunse un’altra un pomeriggio in cui conobbi il resto del suo gruppo: ero in cucina quando risalirono dalla saletta per venire a dissetarsi. I compagni di Emile erano quattro: il batterista, Claudio, era un tipo alto e ben piazzato, con qualche chiletto di troppo ma braccia muscolose che avevano fatto di sicuro palestra, a differenza di Maurizio, il chitarrista, che invece sembrava perdersi dietro lo strumento a causa del suo fisico gracile. Quei due erano gli stessi tipi che avevo visto con Emile al concerto dei TresneT, eppure non ricordavo di averli visti sul palco… Ma era anche vero che quando sentivo cantare Emile, tutto il resto spariva… Gli altri due componenti del gruppo, Francesco e Filippo, erano due gemelli e suonavano rispettivamente la chitarra solista e il basso. Entrambi erano un po’ più alti di Emile che di sicuro superava il metro e ottanta,  ma meno di Claudio che rivaleggiava con Testa di Paglia ad altezza. I due gemelli avevano lo stesso fisico slanciato ma muscoloso e i capelli lunghi e scuri, che Francesco portava ricci e sciolti mentre Filippo li lisciava e li legava con una coda bassa. Mi ispirarono subito simpatia, erano allegri e socievoli e il modo in cui prendevano in giro Emile mi divertiva tantissimo.

Il mio amato Pel di Carota tendeva ad essere terribilmente arrogante e saccente (più del solito) quando si parlava di musica e i due fratelli sapevano smontare le sue teorie con una semplice battuta di spirito!

Maurizio parlava poco mentre Claudio sembrava fosse lì solo per caso, ma fu lui ad un certo punto a darmi la notizia che non mi aspettavo.

«Allora è tutto pronto per la partenza?»

Partenza? Di quale partenza stava parlando?

«Sì Claudio, domani alle 15:00 abbiamo l’aereo quindi stasera non datevi ai bagordi!» rispose Emile.

«Partite?!» gli chiesi sorpresa.

«Sì, iniziamo un piccolo tour europeo: la nostra casa discografica ha deciso di farci esibire in qualche live internazionale come band di supporto, per testare l’impatto sul pubblico prima di lanciarci con l’album.»

Il viso di Emile sprizzava gioia e orgoglio da tutti i pori, ma nonostante fossi felice per lui, sentii un tuffo al cuore al pensiero che il giorno dopo non sarebbe stato più in quella casa e che avrebbe messo dei chilometri di distanza tra noi.

«E… quanto starete via?» Cercai di nascondere la tristezza che mi avvolse all’improvviso.

«Un mese circa: gireremo tra Germania, Inghilterra e Francia con cinque tappe per nazione e dovute pause tra loro per spostarci e organizzarci.»

«Capisco… beh, sono davvero felice per voi!» feci il migliore sorriso che riuscii a stiracchiare sul mio volto e mi congedai da loro prima di mostrare tutto il vuoto che iniziai a sentire dentro.

Un mese!

Un mese senza vederlo né sentirlo, senza avere contatti di alcun genere con lui!

Avevamo avuto momenti di distanza tra noi, ma non erano mai stati così lunghi e soprattutto non doveva capitare ora che iniziavo a sentire un bisogno fisico di averlo accanto a me! Sarei riuscita a sopportare una tale assenza?

Del resto non potevo fare altrimenti…

 

 

*****

 

Quando entrai  in quella casa il giorno dopo sapendo che Emile non ci sarebbe stato, sentii la tristezza avvolgermi, per cui cercai di non pensarci e andai direttamente nella stanza di Claudine. Ma poco prima che finisse il mio turno, avvertii il bisogno di entrare nella camera di quell’adorabile rompiscatole per sentire in qualche modo la sua presenza: un libro lasciato aperto, un bicchiere d’acqua dimenticato sulla scrivania, una penna solitaria, o anche solo il suo odore. Invece la stanza era in ordine perfetto: sul comodino non c’era alcun biglietto ad attendermi e nessuno era seduto a leggere, non c’era alcuna traccia recente di Emile a parte il fatto che avesse dormito in quel letto ore prima. A quel pensiero, spinta dalla profonda malinconia, mi ci accomodai e un secondo dopo mi ci ero del tutto sdraiata su. Non mi resi conto del tempo che passava finché non comparve Alberto sulla soglia della stanza:

«Stanchezza o malinconia?» si accomodò sul letto accanto a me: avevo il viso sprofondato nel cuscino e cercai di non pensare alla vergogna di essere stata colta in flagrante: scioccamente avevo lasciato la luce accesa in una stanza che doveva essere disabitata… Per fortuna si trattava di Alberto che non si scomponeva per alcuna cosa al mondo!

Tuttavia incapace di rispondergli, mugugnai un: «Mmmm!»,  al che appoggiò una mano comprensiva sulla mia spalla.

«Ti manca, eh?»

«Tantissimo!» era inutile tentare di mascherare, non  sarei mai riuscita a fingere con Alberto, tantomeno in quella situazione in cui qualsiasi altra risposta sarebbe parsa per quella che era: una semplice scusa.

«Coraggio ragazza mia il tempo scorre, anche se in questo momento ti sembra eterno e quando meno te l’aspetterai lo rivedrai comparire qui, stanco ma soddisfatto e di sicuro felice di rivederti.»

A quelle parole osai staccare la faccia dal cuscino, Alberto stava insinuando qualcosa a cui non riuscivo a credere.

«Davvero pensi che lo sarà? Felice di vedermi?» mi guardò con affetto, gli occhi colmi di un’emozione inespressa:

«Piccola, tu non ti rendi conto di quanto lo stai rasserenando, non l’ho mai visto così tranquillo e sorridente come in questi ultimi tempi! Sei una benedizione per questa casa, ma soprattutto per lui.» lo guardai sorpresa, non avevo la minima idea di aver avuto qualche effetto su Emile!

«Davvero?! Non lo dici solo per consolarmi?» non potevo crederci, certo ero felice che si rivolgesse a me senza astio ed era tornato a sorridermi sereno come dopo quella nottata trascorsa a parlare… ma non credevo di avergli migliorato la vita, non osavo credere di avere un qualsivoglia effetto su di lui! 

«Ti assicuro Pasi, che di tutte le ragazze che ho visto accanto a mio figlio, tu sei stata l’unica in grado di farlo sorridere in quel modo!»

«Ma forse è felice perché le cose col gruppo vanno bene e poi si diverte a prendermi in giro, ecco tutto!»

«Devi avere più fiducia in te ragazza! So che mio figlio è un osso duro: si è sempre circondato di ragazze adoranti, ma duravano molto poco, non gli vedevo mai negli occhi un sincero affetto verso di loro, perché è restio, molto restio, a legarsi a qualcuno. Invece ora lo vedo più felice e non è dovuto al gruppo, è una felicità ben diversa quella che vedo nei suoi occhi, una felicità che viene dal cuore… abbi fiducia e pazienza e ti accorgerai che ho ragione!» Guardai Alberto con speranza, il suo volto così affettuoso e amorevole mi commosse e l’abbracciai  di colpo.

«Lo spero tanto!»  Quell’abbraccio emanava affetto puro e sincero, mi dava conforto, mi dava coraggio, mi sosteneva e mi dava speranza; adoravo gli abbracci di Stè perché erano molto simili, ma quello di Alberto era un abbraccio che sapeva di padre: un padre che mi era sempre mancato, un padre che avrei voluto fosse come lui… Ancora una volta, invidiai Emile per la sua famiglia.

 

 

*****

 

Per  la serata del nostro pigiama party, Rita fece grandi spese: siccome in camera sua tre lettini sarebbero stati troppo ingombranti, pensò bene di acquistare direttamente un matrimoniale in modo da stare tutte e tre vicine e nel caso fosse servito, aggiungere il singolo a distanza molto ravvicinata.

Iniziai a sospettare che quella manovra fosse collegata agli sguardi tra lei e Fede dell’altra sera, ma finché nessuno dei due avesse accennato alla cosa, il mio era solo un pettegolezzo spicciolo. Mi ripromisi di indagare  con “scioltezza e noncuranza” quella sera: le riunioni tra ragazze non erano forse il momento per antonomasia per raccontarsi segreti intimi e confidenziali?!

E a proposito di confidenze: Sofia ancora non sapeva di me ed Emile… Me ed Emile… Già fantasticavo che esistesse un me ed Emile!?

Le parole di Alberto mi avevano dato speranza : chi meglio di un genitore conosce l’animo del proprio figlio?! A parte forse i miei…

Ultimamente mi capitava spesso di pensare a loro. Non ero pentita della mia scelta, che era rafforzata anche dal fatto che né mia madre tantomeno mio padre, avevano fatto il minimo tentativo per cercarmi. Probabilmente si erano chiusi nel loro orgoglio ferito, di genitori in attesa che la figliuol prodiga tornasse a testa china da loro per scusarsi… e questo non sarebbe accaduto mai! Tuttavia, invidiavo ogni giorno di più il rapporto tra Emile e suo padre (invidiandogli il padre soprattutto!), sentivo un nodo alla gola al pensiero di non avere dei genitori simili. Ma ciò che avevo detto ad Alberto sui caratteri dei figli del resto era valido anche al contrario: i genitori ci capitavano, non li sceglievamo e stava a noi figli decidere se accettarli o meno così com’erano, senza recriminazioni. A quanto sembrava, io non ero riuscita ad accettarli. Probabilmente peccavo di troppo orgoglio o semplicemente ero un’egoista, come diceva Simona…

Simona…

Che più di una volta avevo paragonato ad Emile…

Che probabilmente avevo giudicato troppo duramente…

Eppure non riuscivo a pensare di cercarla, non dopo le dure parole che mi aveva rivolto ripudiandomi! Di nuovo, il mio orgoglio mi teneva lontano dalla mia famiglia. Forse ci sarebbe stato un giorno, crescendo, in cui mi sarei resa conto di essere una sciocca e l’avrei cercata, ma non era ancora giunto quel momento. Per ora non riuscivo a pensare a mia sorella con razionalità e senza rabbia.

 

 

*****

 

«Quindi alla fine, tu sei innamorata di lui, lui lo sa ma fa finta di niente.» riassunto di Sofia, perfetto e letale, della mia situazione sentimentale.

«Grazie per avermi demolito in un secondo Sofi!» aggrottai le sopracciglia decisamente contrariata da quell’analisi spietata.

«Però se ho ben capito, suo padre ti ha dato delle speranze, giusto?» La mia amata Rita era sempre pronta con una parola buona, per questo l’adoravo! «Sai, io credo che la vita sia sempre piena di sorprese e che ti dia quello che cerchi proprio quando meno te l’aspetti.» il viso della mia amica era improvvisamente solare e radioso… le mie antenne mi dicevano che il mio sesto senso aveva ragione… «Devo dirvi una cosa ragazze… forse io e Fede torniamo insieme!»

«LO SAPEVO!» ero così esultante per aver capito tutto prima ancora che me lo dicesse, che non riuscii a contenere la gioia e feci un salto sul letto mentre urlavo a squarciagola!

«PASIII! Non urlare o sveglierai tutti!»

«Scusami Rita, è che l’avevo immaginato e sono troppo contenta di avere ragione, tu e Fede siete fatti l’uno per l’altra!»

Ero raggiante, i miei amici-genitori avrebbero fatto coppia sul serio! La loro intesa era troppo speciale per essere solo amicizia!

«Pasi stai dimenticando che ho detto “forse”! Non siamo ancora sicuri di fare quel passo… sai stavolta se le cose non dovessero andar bene sarebbe molto più doloroso… potrebbe finire anche la nostra amicizia.»

«E perché dovrebbe finire tutto?! Rita sono quasi dieci anni che vi conoscete e se vi siete resi conto di amarvi ancora, allora significa che è Destino, come diceva la leggenda di Sofia! Vero Sofi?» mi girai verso di lei, per avere sostegno nella mia teoria.

«È probabile, ma non la trovo una ragione adatta per incitarli a tornare insieme.» quella risposta mi lasciò di stucco: non era esattamente  il tipo di sostegno che mi aspettavo…

«Ma Sofi, non sei stata proprio tu a dire che credi che alcune persone sono destinate a stare insieme?» non riuscivo davvero a capire secondo qualche criterio stavolta stesse contraddicendo le sue stesse parole!

«Sì certo, ma lo dicevo in senso generico: qui si tratta di progettare un futuro con una persona con cui già in passato le cose non hanno funzionato e non si può mettere la testa sotto la sabbia davanti a questa realtà, giustificandosi con un mito romantico senza fondamento.» la logica di Sofia aveva la caratteristica di essere sbaragliante e di irritarmi a morte… al diavolo la razionalità, io volevo crederci!

«Invece io sono convinta che Fede e Rita sono anime gemelle predestinate a stare insieme!» 

Rita accennò un sorriso: «Pensi che dovrei vivermi questa storia? Riprovarci senza pensare al futuro?»

«Sì, diamine! Vi conoscete da una vita, sai com’è fatto Fede, conosci tutto sul suo conto e se ancora ti fa battere il cuore l’idea di stare con lui, io dico che il vostro amore non si è mai spento ed ora è pronto per essere vissuto!» Rita mi prese una mano e mi guardò con la speranza negli occhi, probabilmente aspettava di sentirmi dire proprio quelle parole per decidere. Sofia però la fece tornare nel dubbio:

«Dal mio punto di vista, è uno spreco di energie. Non ha funzionato una volta, perché dovrebbe funzionare la seconda? Proprio perché vi conoscete, dovreste sapere che ciò che vi ha separato una volta potrebbe farlo di nuovo… per quello che ne so, nessun ragazzo vale la pena di rovinare un’amicizia o di soffrire come fa Pasi!» Nonna Sofia aveva mostrato il suo lato più amaro: non avevo la più pallida idea di quale fosse il motivo , ma quella ragazza aveva un’acidità verso gli uomini degna di una quarantenne single!

«Sofi, tu devi uscire più spesso di casa e incontrarli i ragazzi, non sono mica tutti così odiosi! E poi perché devi sottolineare il mio modo di soffrire, c’è per caso una classifica?!  Mi fai sembrare una stupida!»

«E questo ora che cosa c’entra! Io sto bene come sto, davo solo un parere personale vedendo come ne soffrite voi due quando le cose vanno male!»

«E la stupida Pasi è la prima in classifica per masochismo sincronizzato! Molto gentile da parte tua!»

«Se non sai accettare la realtà dei fatti non è colpa mia, guarda come sei ridotta per uno che non mostra nemmeno di tenerci a te!” –

«Non è vero! Emile ci tiene a me!» Alberto ne è convinto e voglio crederci!

«Ragazze dai, non litigate, siamo qui insieme per la prima volta, voglio che sia una bella serata per tutte, chissà quando ricapiterà di nuovo!»

L’intervento di Rita ci salvò da quello che sembrava l’inizio di una bella litigata. Sofi aveva toccato un tasto dolente per me, proprio come io avevo fatto con lei, ma volgendo lo sguardo al viso della nostra amica, ci ricordammo del motivo per cui eravamo lì: noi tre ci conoscevamo da quattro anni circa e non eravamo mai riuscite a stare così… Rita aveva pienamente ragione, non potevamo sprecare la serata in quel modo, chissà se ci sarebbe stata una seconda occasione!

Una seconda occasione… ed ecco che mi tornava in mente Simona…

Probabilmente mi sarebbe piaciuto vivere una serata simile anche con lei, parlare e confidarci come amiche ma soprattutto come sorelle… Forse era arrivato il momento di affrontarla… eppure c’era ancora qualcosa dentro di me che si rifiutava. Così rimandai di nuovo al mittente quel pensiero fastidioso e tornai a godermi la mia serata tutta al femminile che, archiviata la discussione con Sofia, con la sua atmosfera di complicità fu una panacea per me e allontanò momentaneamente anche i pensieri malinconici su Emile.

Alla fine ci addormentammo tutte nel lettone di Rita e un attimo prima di chiudere gli occhi, pensai che se lei e Fede fossero tornati insieme, sarebbe giunto per me il momento di traslocare…

 

 

 









_____________________________________
NDA
Salve a tutte sorelline! Come avete potuto notare, quella testa dura di Emile si è riavvicinato a Pasi... quanto durerà questa volta? Si accettano scommesse xD
La mia fase di revisione di questa storia sembra non avere fine: sarà che sono una maledetta pignola (mica siamo pesanti, vero Cicci? xD), sarà che l'ultima parte non mi soddisfa in pieno, o sarà che non voglio staccarmi dai miei ragazzi, ma mi trovo ancora con la voglia di scrivere e di raccontare, come se avessi tralasciato dettagli importanti nei prossimi capitoli. Questo per dirvi che se riesco nel mio intento, probabilmente riuscirò ad andare oltre i 19 capitoli e a prolungare la vostra lettura (e delle voci agonizzanti mi chiesero "Pietàààà!"), spero che le Muse mi sorridano ^ ^

L'Angolo dei Ringraziamenti come sempre è dedicato alle mie sorelle speciali: Iloveworld (momentanemanete disconnessa), Saretta, Niky, Vale, Cicci, Concy, Ana-chan ed Ely.
Più sento il vostro desiderio di leggere e saperne di più, maggiormente sono soddisfatta di me e di ciò che ho creato. Non sapete quanto mi faccia felice sapere di essere in grado di donare emozioni a chi legge, grazie davvero per esservi entusiasmate così tanto a questa storia da non vedere l'ora di avere il capitolo nuovo. Grazie per tutto il vostro sostegno, per l'opera di PR che fate a mio vantaggio (<3) e per l'empatia che dimostrate verso i miei ragazzi. Grazie davvero all'infinito! Vi adoro!

Grazie mille anche a coloro che mi seguono silenziosamente, e a chi ha messo questa storia tra le preferite; non sapete quanta soddisfazione mi date!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12





 

A volte la vita, quando vede che non prendi decisioni chiare, decide per te. È una lezione che ho imparato in modo netto e lapidario.

Era trascorso qualche giorno dal nostro pigiama party e continuavo ad avere in mente mia sorella: sempre più s’insinuava in me il desiderio di rivederla e parlarle, finché un giorno quest’esigenza divenne  d’improvviso impellente e mi decisi a fare il passo per incontrarla. Ma non volevo chiamarla e sentirmi accusare per telefono, volevo prenderla di sorpresa e costringerla ad affrontarmi  e non volevo nemmeno andare a casa dei miei genitori col rischio di vedere anche loro… così chiamai Stè, che di sicuro sapeva tutti i movimenti di Simona e avrebbe saputo dirmi dove potevo raggiungerla. Attesi tutto il tempo della chiamata ma non mi rispose, probabilmente aveva lasciato il cellulare lontano da sé… proprio quel giorno in cui avevo fretta!

Quel giorno sentii una strana ansia, d‘un tratto vedere mia sorella diventò qualcosa di vitale per me e non riuscii a spiegarmi il motivo di questa sensazione così angosciante. Ero immersa in quelle fosche elucubrazioni quando mi arrivò un sms:

 

Vieni immediatamente in ospedale, Simona sta male!

 

Mi si ghiacciò il sangue nelle vene: il messaggio di Stè era serio, molto serio, il che significava che mia sorella era davvero in pericolo! Chiesi immediatamente l’auto a Rita e mi fiondai all’ospedale, arrivai all’accettazione e chiesi dov’era ricoverata, salii di corsa le scale con il cuore in gola: probabilmente c’erano anche i miei genitori ed io non volevo vederli, ma in quel momento era più importante vedere mia sorella e sapere come stava, il resto sarebbe venuto da solo!

Quando raggiunsi il corridoio che portava alla sua stanza, vidi il mio amico che mi veniva incontro: aveva lo sguardo stravolto e le lacrime gli rigavano il volto.

«Stè cosa diavolo...»

«Ero con lei…mi stava aiutando con matematica, come al solito… è svenuta all’improvviso! È arrivata qui incosciente… Non posso credere che sia accaduto! Era con me due ore fa! Ed ora…»

Corsi immediatamente alla porta della camera dove avevo visto il mio amico un attimo prima e vidi che era vuota.

«Stè….cosa significa… dov’è Simona?!»

«Non ce l’ha fatta Pasi… Simona se n’è andata.»

Sentii il mio corpo perdere calore e consistenza, il mondo ruotava intorno a me ed io non riuscivo a muovermi, congelata in quel momento mentre la mia mente assimilava il significato delle parole di Stè.

«No! Non può essere! Non è vero! Cosa mi stai dicendo!?»  alzai il tono della voce e il mio amico si avvicinò per abbracciarmi:

«Ha avuto un infarto Pasi e non si è ripresa più.»

«No… non è possibile! Un infarto! A ventitré anni?! No! Dov’è mia sorella? La voglio vedere! Dov’è?!»

Mi divincolai dall’abbraccio di Stè e corsi senza una meta in tutto il corridoio nella speranza di trovare la stanza di Simona, finché non mi fermò di nuovo:

«Simona non è qui, la stavano operando quando non ce l’ha fatta… la staranno portando in camera mortuaria ora.»

Ero in uno stato di allucinazione: sentivo la mia voce gridare e tremavo tutta… non c’era posto nella mia testa per alcun pensiero lucido a parte uno:

«Voglio vederla! Portami da lei!»

Giungemmo di corsa e senza parlare alla camera mortuaria, ma il solo sentire mia madre che piangeva, mi bloccò il respiro: ad un tratto persi tutte le forze e il coraggio e fuggii come una forsennata, come una preda che vuole scampare alla morte, come un delinquente che vuole fuggire dalle manette…

Fuggii senza guardare dove andavo, senza rendermi conto delle persone che urtavo, consapevole solo dell’odore nauseante delle medicine e la sensazione di soffocamento che mi chiudeva la gola… Arrivai all’esterno senza sapere come, senza nemmeno rendermi conto se Stè mi avesse seguito o meno. Come un automa cercai l’auto e una volta dentro, mi chiusi lì e piansi, piansi fino a sconquassarmi il petto, fino a sentirmi svenire. Piansi per quella sorella che non avevo mai avuto, che non avevo mai capito… piansi per il nostro rapporto condizionato dalla rabbia, per quello che sognavo di avere e che non avrei mai potuto realizzare… Piansi perché mi sentivo colpevole di averla abbandonata a se stessa e la mia punizione l’aveva pagata lei con la sua vita!

 

*****

 

«Sì è qui con me ora, l’abbiamo trovata nella mia auto, era immobile, non parlava e non ascoltava, così Stefano l’ha presa in braccio e l’ha messa al lato passeggero ed io l’ho riportata a casa… Sì, era distrutto anche lui, non so di chi mi devo preoccupare di più, è una notizia terribile!»

 

Non ricordo come tornai a casa di Rita, avevo solo la vaga sensazione di qualcuno che mi prendeva in braccio e mi portava a casa… ero sul divano nella cucina dell’appartamento dalla sera precedente, non avevo voluto spostarmi per dormire con la mia amica, volevo solo stare sdraiata su quel divano e non pensare… volevo solo dormire e sognare mia sorella che mi prendeva per mano e mi parlava dei suoi sogni e mi raccontava dei ragazzi e mi chiedeva di Stè… volevo solo stare con lei, nient’altro era importante, né il cibo né le parole... Non volevo sentire, non volevo vedere… il mio unico desiderio era stare con Simona mei miei sogni. Rita ogni tanto si avvicinava e mi chiedeva se volessi qualcosa, cercava di farmi parlare, mi chiedeva se avessi voluto sfogarmi con lei… non ci riuscivo. Non ero in grado di parlare, l’unico segno che fossi ancora viva era dato dal mio alzarmi per andare in bagno, poi tornavo a sdraiarmi sul divano in posizione fetale a piangere e a cercare di sognare mia sorella.

Trascorsi in quel modo tre giorni, davanti ai miei occhi si alternarono i volti di Fede, Rita e Sofia… Stè non era mai apparso e immaginai che il suo stato non dovesse essere migliore del mio... ma nulla in quel momento aveva importanza perché mia sorella non c’era più. Non ebbi la forza di andare nemmeno al funerale, restai lì su quel divano a piangere… finché ricevetti una visita che non mi sarei mai immaginata di avere.

Nel pomeriggio di quel quarto giorno di catalessi, qualcuno bussò alla porta e mentre Rita andò ad aprire  iniziai a pensare a chi tra Fede e Sofia potesse essere a quel punto; ma invece delle solite espressioni preoccupate dei miei amici,  ritrovai davanti ai miei occhi, il volto di Emile.

«Pasi... ho saputo solo ieri, quando ho chiamato mio padre.» 

Emile era lì davanti a me!  Invece di essere in tour era lì... com’era possibile!?

«Che ci fai qui?» parlai in tono piatto, come un automa, per pura reazione ad una tale sorpresa, senza nemmeno alzare la testa dal divano.

«Sono venuto appena ho saputo: ho preso il primo aereo e sono arrivato direttamente qui… Federico mi ha detto dov’eri.» già, Emile aveva il numero di Fede…

Poggiò una mano sulle mie:  

«Posso fare qualcosa per te?»

Il contatto con la sua mano, quel calore improvviso che a discapito di tutto, mi diede una gioia immensa, sciolse il velo di ghiaccio che stava rivestendo il mio cuore ed esplosi in un pianto a dirotto:

«Se n’è andata via Emile! Simona è andata via, mi ha lasciato qui prima che potessi parlarle, prima che potessimo diventare sorelle! Dovevamo riconciliarci! Non doveva andare via così! Dovevamo essere sorelle davvero! Perché se n’è andata via? Perché?! L’ho abbandonata Emile! L’ho abbandonata a se stessa e mi ha lasciato! È colpa mia, è tutta colpa mia!»

Finalmente diedi voce al mio senso di colpa e liberai il mio cuore dalla morsa in cui lo tenevo segregato; Emile mi fece sedere e mi tenne stretta a lui, avvolgendomi col suo abbraccio per non farmi andare in pezzi, nello stesso modo in cui io avevo cercato di tenerlo insieme il mese prima. Stretta in quell’abbraccio, finalmente diedi sfogo a tutto il mio dolore, piansi e urlai e continuai ad incolparmi per aver lasciato sola una persona che avrei voluto da sempre accanto a me.

Specularmente a quanto avevo fatto per lui, Emile non lasciò la presa del suo abbraccio nemmeno quando il mio pianto terminò. Mi tenne accanto a sé, mi poggiò una mano sulla testa per darmi conforto ed io rimasi, per un tempo che mi parve infinito, avvolta dal suo abbraccio. Quando riacquistai un po’ di lucidità, osservai lo zaino che aveva lasciato a terra accanto al divano e iniziai a fargli le domande che la mia mente aveva accantonato:

«Hai abbandonato il tour per venire qui?»

«Era il minimo che potessi fare, tu mi sei stata accanto quando sono caduto a pezzi, non potevo non ricambiare il tuo gesto.»

«Non ce n’era bisogno.» grande bugia la mia; ero abbastanza cosciente da rendermi conto che la sua sola presenza era riuscita a scuotermi come non erano riusciti a fare tutti i miei amici… o quasi tutti…

«Non puoi rinunciare al tour!»

«Infatti non ci rinuncio, starò qui solo un giorno, domani tornerò per finire il tour… ma ti chiamerò ogni sera.»

Tutta questa gentilezza mi sorprendeva, possibile che questo atteggiamento fosse dettato solo dalla riconoscenza?  

«Non preoccuparti, non ce n’è bisogno, non sono sola, ho i ragazzi con me!»

«Non vuoi sentirmi?» La voce di Emile sembrava quasi risentita, ma non volevo essergli di peso in alcun modo:

«Non voglio che ti senta in dovere di fare alcunché, già venire qui è stato tanto, hai la tua carriera a cui pensare, non preoccuparti per me!» 

Non riuscivo a credere che quell’Emile che mi aveva detto chiaramente che nella sua vita c’era spazio solo per la musica, fosse disposto a fare un gesto così premuroso per me se non dettato dalla riconoscenza o dal sentirsi in debito.

«Non è un dovere Pasi… non lo è affatto.» Mi strinsi più forte a lui, come se ad un tratto, avessi paura che andasse via.

«In effetti non so se riuscirò a chiamarti ogni sera, ma quando potrò lo farò di sicuro, ok?» La sua voce era calma, bassa e dolce… la sentivo rimbombare dalla sua gabbia toracica, a cui ero appoggiata. Sembrava arrivarmi direttamente nelle ossa e cullarmi come una ninna nanna.

«Si, ok.»

«Domani passerò di nuovo prima di partire.»

«Non andartene ora! Resta qui con me!» gli cinsi la vita con le braccia, non potevo sopportare l’idea di staccarmi da lui: era confortante la sua presenza, mi dava sollievo e bloccava per un po’ lo scorrere incessante delle lacrime… Era come un calore improvviso dopo una notte all’addiaccio, un camino acceso dopo una camminata nella neve… Non volevo tornare nel buio umido e solitario del mio dolore… almeno non subito!

«Non preoccuparti, non vado da nessuna parte, resto qui con te.»

 

 

*****

 

Emile rimase con me tutto il giorno, senza dirmi nulla, senza alcuna frase di circostanza: era lì, mi teneva stretta tra le sue braccia e m’incitava a mangiare la frutta che Rita aveva sbucciato per me, rispondeva alle mie parole se gli chiedevo qualcosa e continuava ad accarezzarmi la testa. Era un momento tragico della mia vita, uno dei peggiori che avessi mai vissuto, eppure un angolo del mio cuore si stava beando di quel momento di dolcezza e affetto che avevo sempre bramato.

Il giorno dopo come promesso, tornò a farmi visita prima di tornare in Germania e al suo tour: la sua presenza fu una benedizione per me perché mi diede forza, mi donò l’energia necessaria a smettere di trascorrere le giornate come uno zombie e iniziare a reagire. Quando arrivò a casa di Rita mi trovò intenta a mangiare: negli ultimi quattro giorni non avevo ingerito alcun alimento e il mio stomaco iniziava a far sentire le sue ragioni. Emile fu felice di vedermi reagire, ma contemporaneamente fu anche meno affettuoso del giorno prima, come se il suo lasciarsi andare fosse stato solo un modo per darmi forza e una volta ottenuto lo scopo, non fosse più necessario. Rimase per qualche ora, finché arrivò il momento di  andar via, dicendomi che mi avrebbe chiamato appena avesse avuto un momento libero: prima di congedarsi mi guardò per con un’espressione indecifrabile, mi diede un bacio sulla fronte e mi disse:

«Sii forte.» e se ne andò.

Ed io quel giorno mi ripromisi di esserlo, forte. Per non deludere lui, per non deludere me, e perché c’era un’altra persona che aveva terribilmente bisogno della mia presenza.

 

 

*****

 

Andai da Stè quel giorno stesso: non ero ancora pronta a riprendere tutte le normali attività, almeno finché non avessi affrontato del tutto la situazione. E il primo passo per l’accettazione di ciò che era accaduto, era parlarne con Testa di Paglia, che si era rinchiuso nel suo dolore quasi quanto avevo fatto io.

Sua madre mi accolse con un abbraccio e qualche frase di circostanza, mi spiegò che Stè trascorreva tutto il tempo in camera sua e che ne usciva solo per mangiare e per andare al cimitero. Fede e Sofia erano venuti anche da lui per vedere come stava, ma nonostante Stè fosse apparentemente in uno stato migliore del mio, le attenzioni esterne non avevano avuto alcun effetto sul suo animo.

Quando entrai in camera sua nemmeno si girò in mia direzione: era seduto davanti alla scrivania, con i libri di matematica aperti davanti agli appunti di Simona e continuava ad osservarli come se mia sorella potesse materializzarsi attraverso l’inchiostro. Mi avvicinai a lui e l’abbracciai dalle spalle:

«La solita scrittura precisa, eh?»

Iniziai a commuovermi vedendo i numeri e le frasi tracciate dalla mano ferma e decisa di mia sorella: quante volte aveva cercato di aiutarmi a scuola in quello stesso modo?! 

Stè fece un cenno di assenso:

«La matematica acquistava un altro aspetto spiegata da lei.» Sentii la sua voce tremare e poggiai la mia testa sulla sua spalla destra:

«Non sarà lo stesso senza Simo.» 

Stè appoggiò una mano sulle mie:

«No Testarossa, non sarà lo stesso…» e dopo un attimo di silenzio aggiunse: «Sono stato uno stupido!»

Le lacrime ormai avevano preso vantaggio sul mio viso, e non feci nulla per fermarle:

«Allora sei in buona compagnia Testa di Paglia, perché io sono stata più stupida di te!»

«Mi manca Pasi! Mi manca in modo orribile, sento un vuoto qui nel cuore e sento una rabbia terribile dentro di me! Perché non le ho mai detto cosa provavo per lei? Perché ho atteso e atteso… che cosa diavolo attendevo Testarossa!? Ora non c’è più, mi ha lasciato indietro e non saprà mai quanto era importante per me!»

«Lo so Stè, lo so! Ma almeno tu le sei stato accanto e sono sicura che fossi una presenza importante nella sua vita... non come me che l’ho lasciata a se stessa, senza darle la forza che m’invidiava, senza aprirmi a lei, senza diventare davvero sorelle! Io l’ho abbandonata Stè! E questo non me lo perdonerò mai!»

Rimanemmo per un po’ in quella posizione, confortandoci e sostenendoci, poi iniziammo a celebrare il nostro personale funerale parlando di Simona e di tutti i nostri ricordi legati a lei: non cercammo di consolarci a parole, entrambi ci sentivamo arrabbiati con noi stessi per averla persa prima ancora di stabilire con lei il rapporto che sognavamo di avere e questo comune sentimento ci univa più di tante parole.

Dopo qualche ora, Stè mi accompagnò alla tomba di Simona: lui ci andava ogni giorno per portarle un fiore e per stare in sua compagnia. Se quando mia sorella era in vita aveva dovuto trovare sempre qualche scusa per farlo, ora il mio amico era libero di andare da lei quando voleva e dirle tutto a cuore aperto, sperando che ovunque si trovasse ora, Simona recepisse le sue parole.

Vidi la sua foto, la moltitudine di fiori che aveva ricevuto, i messaggi dei colleghi di facoltà, osservai tutto il mondo di mia sorella attraverso le testimonianze di chi l’aveva amata e mi assalì un’altra ondata di pianto per quella vita spezzata così presto, prima che i suoi sogni potessero davvero realizzarsi. Io e Stè ci saremmo visti qui almeno una volta a settimana, per stare insieme tutti e tre: avremmo raccontato a Simo quello che facevamo, l’avremmo resa partecipe di tutta la nostra vita ed io le avrei raccontato tutte le mie ansie e le mie paure e i miei dubbi sullo strano rapporto che avevo con Emile. Non le avrei più nascosto nulla di me, sarei stata la sorella che avrei voluto essere, almeno quello lo potevo ancora fare.

 







----------------------------------------------

NDA

*Cammina timidamente temendo ritorsioni*

Ehm... salve a tutti... Ci siete ancora? *me pensa a due lettrici in particolare che minacciano in continuazione di restarci secche* Spero di non avervi traumatizzate troppo con questo capitolo drammatico; non avevo nulla contro la povera Simona (le ho anche chiesto scusa per come l'ho trattata ç_ç), ma la sua dipartita mi è risultata necessaria: gli eventi tragici della vita ci cambiano e sia Pasi che Emile hanno subito uno scossone dentro dopo ciò che è accaduto, scossone che era necessario ad entrambi per andare avanti e crescere.

Quindi PLEASE non linciatemi e non mi morite, il prossimo capitolo sarà più lieto, ve l'assicuro! *sbatte gli occhietti con fare convincente*

L'Angolo dei Ringraziamenti come sempre va alle mie sorelle (che spero siano sopravvissute alla lettura): Iloveworld, Vale, Niky, Saretta (sempre presenti con i loro commenti, l'incitamento a pubblicare e il loro entusiasmo per me così prezioso <3), Cicci, Ely, Ana-chan e Concy (di cui attendo con ansia di leggere il prossimo capitolo: sister pubblicaaaaa!!!).

Sarò ripetitiva, ma vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per il vostro sostegno, e per l'incoraggimanto che mi date ogni volta che pubblico un capitolo.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE <3

Grazie a tutti, voi che vi fermate a leggere e che vi appassionate, aiutando questo racconto (e i miei ragazzi) a vivere.

ARIGATOU GOZAIMASU!!!!


--------ooOoo---------

MESSAGGIO PROMOZIONALE.

in una FF letta poco fa, ho trovato un annuncio che trovo delizioso e ho pensato di postarlo qui:





Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.



Non vuole essere una critica acida, bensì un messaggio simpatico così come è stato concepito, per sensibilizzare chi legge non alla mia causa in particolare, ma a quella di chiunque abbia mai scritto qualcosa in vita sua.

E' un messaggio che io stessa dovrò far mio in qualità di recensore, poichè dovrei essere più sensibile alla causa in quanto io stessa autrice.
Fine dello Spot xD

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13





 

Nei  giorni seguenti la mia vita ritrovò una strana e onirica monotonia: avevo deciso di tornare a lavoro subito, perché Rita aveva rinunciato ai suoi impegni per starmi accanto e non volevo farle perdere altro tempo, né farla preoccupare ancora inutilmente. Pur di non lasciarmi sola non era nemmeno andata a trovare Stè, lasciando a Fede e Sofi il gravoso compito di far da spola tra noi due. Inoltre stare in casa a piangermi addosso, non era mai rientrato nel mio modo di vivere e soprattutto in una circostanza come quella, che non aveva alcun modo per essere risolta, non avevo alcuna scusa per restare tra le pareti domestiche. Così mi gettai sul lavoro, m’impegnai in qualcosa che richiedesse la mia concentrazione e che non mi costringesse a stare sola con in miei pensieri… Tuttavia questa risolutezza l’applicai solo al lavoro, poiché non mi sentivo ancora pronta per rivedere Claudine e Alberto.  

Il mio senso di colpa e quello di Stè mi avevano fatto comprendere quanto gli esseri umani fossero fragili e quanto la loro vita fosse appesa ad un filo, quanto sia nostro dovere parlare chiaro con chi amiamo, aprirci a loro finché possono sentirci e reagire a ciò che diciamo. Non avrei mai più avuto occasione di rivedere il volto di Simona, quel volto così simile al mio eppure così diverso, non avrei più potuto parlarle, scontrarci, aprirci… Avevo perso una persona importantissima nella mia vita e mi ripromisi che non sarebbe mai più accaduta una cosa simile.

Per questo motivo, prima di tornare a casa Castoldi, in quell’ambiente così caldo in cui regnava l’amore familiare più puro, prima di rivedere l’uomo che avrei voluto come padre, mi decisi una volta per tutte ad affrontare i miei genitori, per dir loro personalmente ciò che avevo lasciato in quel biglietto.

Bussai alla porta di casa (quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che ero stata lì! Quella era stata anche l’ultima volta che avevo visto Simo…) e vidi mia madre che apriva la porta. Appena si rese conto che ero io, mi diede un sonoro schiaffo, ma dopo nemmeno un secondo mi abbracciò in lacrime.

 

*****

 

«Perché non sei venuta al funerale? Era tua sorella!»

Eravamo seduti nel soggiorno, mi sentivo un’ospite in quella casa e tremendamente a disagio davanti agli occhi accusatori dei miei genitori. Quella domanda postami da mio padre sciolse il momento d’imbarazzante silenzio che si era formato tra noi.

«Non ce l’ho fatta… stavo troppo male.»

I miei genitori erano seduti uno accanto all’altra di fronte a me, osservandomi con un misto di dolore e rancore negli occhi e probabilmente con il desiderio di capire chi fosse in realtà, quella figlia che avevano generato e che non riuscivano a comprendere.

«Ti aspettavamo… Credevamo che il tuo stupido orgoglio l’avresti messo da parte almeno per dare l’ultimo saluto a tua sorella… Ci odi a questo punto?» mia madre aveva il volto provato dalla sofferenza e dalla tristezza, mi si strinse il cuore nel vedere riflesso sul suo volto lo stesso mio dolore, sommato al dispiacere di vedere l’unica figlia rimasta in vita che le si rivoltava contro. Iniziai a dirmi di averla giudicata troppo severamente e pensai che forse potevo provare in quel momento così delicato, ad approfittarne per riavvicinarmi a lei e a mio padre: magari in quel momento erano più disponibili al dialogo, magari avrebbero voluto capirmi meglio per non perdere anche me…  Sentii le mie barriere protettive abbassarsi e aprii loro il mio cuore:

«Io non vi odio! E non è stato l’orgoglio a tenermi lontano da Simona… Mi sentivo in colpa… mi sento in colpa tuttora.»

«In colpa? Con noi? Ma questo cosa c’entra con tua sorella?»

«No, non con voi… ma con lei!»

«Con lei? E per quale motivo?»

«Perché non le sono stata accanto quanto avrei dovuto, perché non sono stata una buona sorella per lei.»

Sperai che potessero capire da dove nasceva il mio rammarico senza alterarsi… mia madre si zittì; fu mio padre a continuare.

«Pasifae, non è solo con tua sorella che hai mancato, eppure non vedo sensi di colpa da parte tua nei nostri confronti! Non è una scusa plausibile, almeno al funerale potevi presentarti! Già tutti ci chiedono che fine tu abbia fatto, con la tua assenza alle esequie hai dimostrato a tutti di non amare più alcun membro della tua famiglia, senza contare che ci hai gettato la vergogna in faccia fuggendo via così!»

Le mie speranze di essere capita andarono in frantumi nell’istante in cui mio padre prese parola:  l’apparenza! Tutto si riduceva a quello, anche il dolore era solo un mezzo per dimostrare quanto la nostra splendida famiglia fosse legata! I miei genitori erano arrabbiati perché non avevo dato l’ultimo saluto a mia sorella, ma ciò che premeva loro in maggior parte era la figura che avevano fatto davanti a familiari e conoscenti con il mio più totale disinteresse nei loro confronti! 

«Ecco, lo sapevo! Simona era un pretesto per farmi notare quanto profondamente vi avessi messo la vergogna addosso! È sempre quello il nocciolo del problema!  L’apparenza, il dovere, il sacrificio e la buona condotta per non far parlare i vicini! Voi non vi rendete nemmeno conto di quanto il vostro modo di fare abbia fatto del male a Simona, di quanto siate oppressivi! Se non fosse stato l’infarto a portarcela via, probabilmente mia sorella si sarebbe suicidata prima o poi!»

Presa dall’ira mi alzai in piedi e i miei genitori fecero altrettanto: mia madre mi diede un altro schiaffo sul viso, scandalizzata e offesa dalle mie parole, mentre fu mio padre a replicare alle mie dure accuse:

«Ti rendi conto di quello che dici? Sono senza parole! Come abbiamo potuto crescere una figlia simile?!»

Arrabbiata, delusa e amareggiata per la piega che aveva preso il nostro confronto, cercai di chiudere il discorso:

«Non ti preoccupare papà, questa è l’ultima volta che mi vedi!»

Mi stavo voltando per andarmene quando mia madre mi prese per un braccio:

«Pasifae ferma! Ho già perso una figlia, non voglio perdere anche te!» Mi girai a fronteggiarla con parole amare sulla bocca:

«Di’ piuttosto che saresti stata contenta di perdere me anziché la tua diletta primogenita! Io non sono mai stata il vostro orgoglio e non lo sarò mai, è inutile che ci giriamo intorno!»  Il mio risentimento esplose senza barriere, compresi che con loro due non avrei mai potuto instaurare il rapporto che desideravo, non avrei mai avuto ciò che Emile aveva con suo padre…

«Non dire sciocchezze simili! Sei nostra figlia e ti amiamo al pari di Simona, anche se non condividiamo il modo in cui vivi.»

«Mamma questa è la mia vita e voglio viverla a modo mio! E se non vi piace, non vi disturberò ancora con la mia presenza.»

Mia madre continuava a tenermi il braccio e mi osservava con il viso contratto dal dolore. Si ammutolì alle mie parole e mio padre continuò per lei:

«Pasifae stai esagerando, nessuno ha detto che devi sparire dalle nostre vite, vogliamo solo che tu riveda il tuo modo di vivere, ma questo non significa che non ti vogliamo qui con noi.»

«Io non tornerò qui papà, non siamo fatti per vivere insieme e lo sai anche tu! Guarda come stiamo: ero venuta per parlare di Simona, per cercare di farmi capire, per aprirvi il mio cuore e invece siamo solo riusciti a recriminare e ad erigere barriere tra noi!»

In quel momento a mia madre tornò la forza per continuare a parlare: 

«Ci vuoi abbandonare così allora? Ci stai ripudiando perché non siamo i genitori che vuoi?»

«No mamma, non vi abbandonerò, voi non sarete i genitori che voglio, ma anche io non sono la figlia che volete, in questo proviamo la stessa delusione! Ma siete sempre coloro che mi hanno messo al mondo, quelli a cui devo la mia vita e quelli che mi hanno cresciuto, in un modo che non comprendo ma che è comunque basato sull’affetto ed io nonostante tutto vi voglio bene. Ma non posso venire a vivere qui con voi, non gioverebbe ad alcuno di noi tre.»

Mia madre e mio padre si ammutolirono, apparentemente vinti dalle mie argomentazioni e vidi nascere la comprensione sui loro volti: anche loro sapevano che le mie parole erano vere, che per quanto ci si possa voler bene, quando si hanno dei caratteri incompatibili, quando si vede la vita in due ottiche opposte, non c’è legame che tenga, la convivenza diventerebbe un vero e proprio incubo.  “Se ami qualcuno devi lasciarlo libero di andar via”; avevo letto questa frase su qualche muro a scuola e mi tornò alla mente in quel momento, mentre ero in procinto di testare l’amore dei miei genitori, soprattutto la loro propensione a lasciarmi andar via, libera di vivere a modo mio.

Mia madre lasciò andare il mio braccio e chinando il capo, mi disse:

«Ti chiedo solo di non dimenticarti di noi»  in quel momento tornai a vederla fragile e disperata e il cuore tornò a contrarsi per qualche secondo, prima che la mia razionalità avesse la meglio:

«No mamma, non potrei mai dimenticarvi. Ci vediamo presto.»

Mi voltai definitivamente diretta all’uscio e chiusi la porta alle mie spalle dicendo addio alle mie illusioni, abbracciando la nuova realistica consapevolezza sul tipo di rapporto che avrei instaurato con i miei genitori.

 

 

*****

 

Tornare a casa di Emile mi fece uno strano effetto: l‘ultima volta che ero stata in quel luogo, tutto era diverso e la mia unica preoccupazione era la malinconia che sentivo perché lui non era lì. Da allora erano cambiate alcune cose dentro di me, avevo perso delle speranze ma ne avevo acquistate di nuove: Emile mi chiamava appena poteva, la prima cosa che faceva era chiedermi come mi sentissi e quando gli dicevo davvero come stavo, solo allora, passava a raccontarmi del tour e del successo che sembravano avere col pubblico. Era sempre gentile e pacato, eppure sentivo una nota di distacco in lui e continuavo a temere che quella premurosità fosse solo dettata da un suo senso del dovere per ripagarmi per le cure che prestavo a sua madre. Con lui il mio proposito di non rimandare il confronto con chi amavo era inutile, quel confronto c’era già stato e avevo ricevuto anche il benservito, eppure il nostro rapporto sembrava ora più confidenziale di prima, più intenso… potevo davvero sperare di essere speciale per lui o la sua gentilezza era solo formalità?

Sapendo che sarei tornata da loro, Alberto rincasò un po’ prima per salutarmi: appena mi vide mi salutò con un caldo abbraccio:

«Come ti senti piccola?»

«Va meglio ora, anche se non credo che mi riprenderò mai.»

«Se ti va di parlarne io ci sarò sempre ad ascoltarti.» Mi guardò col solito viso affettuoso e sentii il sincero attaccamento che aveva nei miei confronti.  

Senza Emile in casa e senza di me a dargli una mano nel pomeriggio, Alberto si era ritrovato totalmente solo a dover prestare le cure a Claudine e non potendo rinunciare al lavoro per un mese intero, aveva dovuto chiedere aiuto ad un altro infermiere, che si alternava a Sabrina durante il giorno, mentre la sera Claudine era accudita esclusivamente da suo marito. In una situazione simile, non era stato in grado di venire a trovarmi e vidi nei suoi occhi un sincero dispiacere per non essermi stato accanto in quei momenti così bui. Riscaldata da quell’affetto e desiderosa di farlo sentire meno in colpa, l’abbracciai.

«Grazie.»

Probabilmente non aveva la più pallida idea di quanto avesse preso importanza la sua presenza nella mia vita, al contrario io in quel momento mi resi conto che di quella famiglia non avrei più potuto fare a meno; ne amavo ogni singolo componente e non avrei mai più potuto concepire la mia vita senza di loro.

 

*****

 

Una volta riprese le mie attività quotidiane, i giorni iniziarono a scorrere via: ero tornata alla mia routine e la mia vita sembrava essere come l’avevo lasciata, col solo dettaglio che un dolore forte e opprimente mi premeva sul cuore ogni giorno e che se solo mi fermavo a pensarci, venivo schiacciata dal senso di colpa. Cercai di non lasciarmi andare alla disperazione, tentando di pensare ad altro ogni qual volta il mio cuore sembrava pesarmi come un macigno, ma se non pensavo a Simona, spuntava l’altro mio cruccio, che per forza di cose era stato messo in secondo piano, ma che continuava a infestare i miei sogni.

Emile in quegli ultimi tempi non si era fatto sentire, non avevo sue notizie da più di una settimana: nei primi giorni di silenzio pensai semplicemente che fosse troppo occupato con il tour, ma quando si fecero più numerosi, mi dissi che probabilmente si era stancato di quelle formalità e iniziai a temere di ritrovarlo nuovamente distaccato e formale, una volta tornato a casa…

Quanto avrei potuto reggere ancora una situazione così logorante? Eppure sapevo che non avevo modo di sottrarmi a lui e a ciò che scatenava in me ogni volta che lo vedevo o lo sentivo: non avevo scelta, ormai ne ero consapevole, non avrei potuto fare altro che amarlo, qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi cosa avesse fatto nei miei confronti.   

Un tardo pomeriggio come tanti di quei giorni tutti uguali, scanditi dall’alternarsi del dolore e della malinconia, allo scadere del mio turno con Claudine, invece di congedarmi Alberto mi trattenne con sé:

«Ho preparato una cosa deliziosa. Vieni con me in cucina!» mi prese la mano e mi trascinò al piano terra.

«Ma Claudine è sola...»

«Non preoccuparti, Sabrina è ancora con lei, e poi ci metteremo poco!»

Alberto aprì il frigorifero e ne trasse due coppe di un dolce freddo al cioccolato dall’aria più che invitante:

«L’hai fatto tu?!» gli chiesi sorpresa.

«Ebbene sì! Sono un ottimo pasticcere, sai! Questa è una delle mie specialità, la Coppa Lussuria!» ed era proprio una lussuria dei sensi quel dolce! Strati di cioccolato alternati a biscotti e panna con una spruzzata di Nutella in superficie, qualcosa che  alzava il tasso glicemico a livelli epici e metteva anche dei chiletti addosso, ma che almeno una volta nella vita si doveva provare! Ero immersa nella delizia di quel dolce quando sentii la porta di casa aprirsi:

«Stanco per il viaggio? Vieni a rallegrarti con noi, siamo in cucina!» disse Alberto, prima di infilarsi un cucchiaino stracolmo di bontà in bocca: aveva le labbra contornate di cioccolata e sembrava un bambino alle prime prese col cibo, io non dovevo essere da meno e ne ebbi conferma quando Emile comparve sulla soglia della cucina e si fece una grande risata:

«Siete ridicoli! Due bambini ingordi!»

Si appoggiò all’uscio della porta, lasciando andare la valigia a terra accanto a sé per osservarci divertito. Era visibilmente stanco eppure per me era uno spettacolo: la sua figura alta e longilinea, quella pelle chiara che risaltava sull’abbigliamento blu scuro, il sorriso luminoso, gli occhi lucenti e quella chioma rossa che sembrava avere vita propria… Ero così felice di vederlo! Dentro di me ero preda dalla gioia più grande e quel sorriso così spontaneo e vero rivolto non solo a suo a padre ma anche a me, mi fece tornare tutte le speranze. Per di più, nonostante avessi dovuto sentire una grande agitazione nel rivederlo, la familiarità della scena e quel senso di intimità che si era creato in quel momento tra noi, non diedero spazio al mio cuore per mettersi a battere più velocemente e reagii alla sua battuta con tutta la naturalezza del mondo, come se non ci vedessimo che da poche ore: 

«Saremo anche ingordi ma siamo nel Paradiso ora! Non sai cosa ti stai perdendo!» e presi un’altra cucchiaiata di quella delizia.

«E chi ti dice che voglia perdermelo!?» entrò in cucina e si diresse direttamente verso il frigorifero, l’aprì, prese la sua coppa e si accomodò di fronte a me, accanto al padre, che gli assestò un bacio al cioccolato sulla fronte dandogli il bentornato. Uniti da quella delizia che, seppure non era in grado di togliermi il dolore dal cuore, era riuscita a darmi un benvenuto momento di felicità e di serenità, trascorremmo una mezzoretta a parlare insieme in armonia, come le famiglie a colazione delle pubblicità.

 

*****

 

«Sono felice di vedere che stai reagendo.» mi disse Emile quando suo padre andò a congedare Sabrina per prendere il suo posto accanto a Claudine. 

«Sì, era inutile comportarmi in quel modo poco dignitoso, non avrebbe fatto bene né a me, né a…  a Simona.»

«Tante volte mi sono chiesto come reagirei se perdessi mia madre… Sai ogni volta che ha una crisi mi preparo al peggio e non solo allora! Però resta il fatto che lei è ancora qui e nonostante mi dica di essere preparato a perderla, credo che nessuno di noi lo sia mai quando una persona cara se ne va.»

«Già… non si è mai preparati. Simona mi mancherà per il resto della mia vita e non finirò mai d’incolparmi per non essere stata una buona sorella con lei.» Emile non replicò a quella affermazione, anche lui aveva un senso di colpa non indifferente verso sua madre anche se di natura diversa e capiva il mio stato d’animo. Rimanemmo in silenzio per un po’, entrambi immersi nei propri pensieri, finché Emile riprese a parlare:

«Pasi, mi sono reso conto di non averti mai ringraziato per essermi stata accanto tutto il tempo quando mia madre ha tentato il suicidio.» calò improvvisamente la testa sentendosi colpevole.

«N-no Emile che dici! Non ti preoccupare! E poi hai fatto altrettanto per me, questo vuol dire tanto credimi, vale più di tante parole, ti sei sdebitato completamente!»

«Non l’ho fatto per sdebitarmi... O meglio, non solo per quello.»

Allora il suo non era solo un gesto di gratitudine come credevo! Ma allora…

«Quando mio padre mi ha detto di tua sorella, ho pensato immediatamente a come potevi sentirti e ho capito che volevo stare accanto a te, che non volevo farti affrontare quel dolore da sola, così ho preso il primo aereo utile e sono venuto.» lo ascoltai senza aprire bocca, troppo in ansia, troppo agitata per dire qualsiasi cosa: Emile mi stava forse per dire…

«Pasi, io… io ho capito di amarti… e la cosa mi terrorizza!» Emile alzò gli occhi verso i miei, mi guardò con un’espressione tormentata sul viso: perché doveva rendere così complicato un sentimento così bello?! Mi amava! Emile aveva appena detto di amarmi! Non riuscivo a crederci, non mi uscivano le parole di bocca!

«Lo so che detta così non è affatto una dichiarazione romantica, ma non posso nasconderti tutto ciò che provo, sia i lati positivi che negativi. Ti dissi tempo fa che la mia vita è votata al riscatto dei miei genitori e che finché avrò vita la musica avrà sempre la precedenza su tutto ed è ancora così! Però da quando sei entrata nella mia vita, sento che stai  prendendo prepotentemente un posto nel mio cuore: ho lottato con me stesso per  tenermi a distanza da te ma ho capito che non riesco e non voglio mandarti via! Ma non voglio venir meno alla promessa che mi sono fatto, non voglio venir meno a mia madre: tu e lei ora vi state dividendo tutto ciò che c’è dentro di me e sono terrorizzato all’idea di perdere di vista i miei obiettivi! Riesci a capirmi?» 

Gli occhi di Emile erano di un azzurro intenso, vedevo le acque agitate del suo animo rispecchiarsi nelle sue iridi cangianti e capii la tremenda battaglia che infuriava nel suo animo: non voleva perdere di vista il suo giuramento, ma non voleva perdere nemmeno me. Mi amava a questo punto! Mi amava quanto amava sua madre e questo lo spaventava perché non credeva di poter amare così due persone diverse! Aveva giurato a se stesso di vivere solo per la musica, si era negato il lusso di legarsi a qualcuno e invece ora si era ritrovato a combattere (e a perdere) davanti a ciò che sentiva per me!

Gli presi le mani che in quel momento si stava torturando e con una calma che non avevo mai avuto prima in vita mia, gli risposi:

«Sì, ti capisco, perché io stessa ho combattuto prima di accettare ciò che provo per te. Ma ora capisco anche che le nostre vite sono brevi e che dobbiamo viverci il più possibile le persone che abbiamo accanto, trovando un giusto equilibrio tra i nostri sogni, i nostri doveri e le persone che amiamo. Io non ti chiederò mai di rinunciare alla musica Emile, né di scegliere tra lei e me. E non rinuncerò mai a me stessa per starti accanto, non rinuncerò ai miei sogni o a ciò in cui credo. Io ti amo e che Dio mi benedica, ho il tuo amore e questo è ciò che conta, perché sono certa che riusciremo a venirci incontro e a superare gli ostacoli per il solo fatto che entrambi vogliamo il bene dell’altro.»

Dove mi fossero uscite parole così ponderate e decise non lo capii mai, forse aveva fatto capolino quella saggezza che Alberto diceva di vedere in me o forse lasciai che il mio cuore parlasse con la sua nuova consapevolezza. Fatto sta che dovettero avere effetto su Emile perché quando finii di parlare, staccò le sue mani dalle mie per prendermi il viso e baciarmi.

Mi colse di sorpresa ma reagii immediatamente al suo bacio: le sue labbra mi cercavano, erano assetate e desiderose, ed io avevo sognato così tanto quel momento che non avevo la minima intenzione di staccarmi da lui. Sentivo il suo bisogno di me e conoscevo benissimo il mio, il nostro fu un lungo bacio tanto atteso e voluto, carico di speranza e desiderio.

L’abbracciai forte a me, ero così bramosa di lui, che non volevo staccarmi per niente al mondo:

«Non allontanarti da me, restiamo cosi.» gli sussurrai, mi strinse forte a sé nello stesso modo, sospirando il mio nome ed io mi sciolsi di felicità tra le sue braccia.

 

 

*****

 

Avrei voluto godermi quella serata insieme ad Emile, ma sapevo che doveva essere stanco per il viaggio, inoltre non volevo iniziare ad essere appiccicosa, anche se ero sicura che entrambi avessimo il desiderio di trascorrere del tempo insieme. Ma quando gli dissi che tornavo a casa, mi rispose che se avessi atteso il tempo di una doccia, mi avrebbe accompagnato lui personalmente: staccando le mani dalle mie, mi diede un bacio e si avviò al piano di sopra.

Ancora non riuscivo a crederci: Emile mi amava!

Sentivo ancora l’eco di quel bacio appassionato che ci eravamo scambiati, così carico di parole non dette e sentimenti repressi, che mi batteva forte il cuore al solo pensarci! Per un attimo pensai alla follia di quel momento: avevo un dolore immenso nel cuore, eppure ora quello stesso cuore batteva all’impazzata per la felicità… L’essere umano è davvero un insieme di contraddizioni!

Salii anch’io al piano di sopra per condividere quella gioia con un’altra persona che di sicuro sarebbe stata felice quanto me ad apprendere la notizia. Entrai nella stanza di Claudine: Alberto le stava dando un brodino mentre lei lo osservava con sguardo perso; quando fu palese la mia presenza, al padre di Emile bastò guardarmi due secondi negli occhi per capire che c’era qualcosa di nuovo e bello nell’aria:

«Finalmente lo ha ammesso!» la sua era un’affermazione più che una domanda ed io feci un cenno d’assenso incapace di dar voce alla mia gioia: possibile che Emile si fosse aperto a suo padre? O forse più semplicemente, Alberto aveva compreso senza bisogno di parole cosa si agitasse nell’animo tormentato di suo figlio…

«Oh bambina, sapessi come sono felice! Vieni qua che voglio abbracciarti come si deve!» Si alzò dalla poltrona con le braccia aperte ed io mi fiondai verso di lui, per farmi avvolgere dall’abbraccio di quell’uomo che desideravo fosse mio padre.

«Era ora figliolo! Menomale che ti sei deciso!» Alberto urlò all’improvviso in direzione del figlio, chiuso in bagno nella stanza accanto ed io mi feci piccola al pensiero dell’irritazione che di sicuro doveva provare ora, sentendosi prendere in giro da suo padre… ma un’altra parte di me gongolava tantissimo! Adoravo vederlo mentre perdeva la sua aria di superiorità e il suo freddo contegno: lo rendeva più umano, più reale, più adorabile!

«Cherié notre petit Emile est heureux finallement!» Alberto si rivolse a Claudine in francese, probabilmente era un modo per arrivare più facilmente alla sua anima, o era solo un vezzo, ma Claudine si volse verso suo marito e fece uno stanco sorriso, come se in un angolo della sua mente avesse compreso tutto ciò che era accaduto:

«Mon petit Emile, est un bon fil.» rispose ed io ne fui sorpresa:

«Ti ha risposto! Allora interagisce con te!» mi staccai dall’abbraccio di Alberto per guardarlo negli occhi.

«Qualche volta piccola mia, quando le parlo in francese, qualche volta riesco ad attirare la sua attenzione. Se poi le dico che Emile è felice, è quasi sicuro che reagisca, anche se in un modo del tutto distaccato dal discorso.»

Ecco perché Alberto non si rassegnava e non voleva rinchiuderla in una clinica: Claudine in qualche modo dava ancora dei segnali e al di là di tutto, era viva, per cui poteva ancora capire cosa accadeva intorno a lei ed esserne stimolata! Iniziai a sognare un giorno in cui come per magia, la madre di Emile si svegliasse di colpo e tornasse a vivere, abbandonando una volta per tutte quello stato di catalessi che faceva soffrire tutti gli abitanti di quella casa. Sarebbe stato bello vederla muoversi attivamente, sentire  la sua presenza, sentirla parlare, ridere, scherzare… di sicuro ne avrebbe giovato anche l’animo sofferente di Emile!

Dopo qualche minuto quest’ultimo sbucò sull’uscio della porta e con aria inacidita disse:

«Abbiamo finito di fare mercato, sbandierando i fatti altrui al vento?» Non capii se si riferisse a me o a suo padre, ma m’importò poco, adoravo troppo vederlo in imbarazzo! 

«Oh insomma non fare l’acido, sembri una vecchia zitella!»

«E tu sei un’infida strega! Coraggio andiamo.»

«Vai via Pasi? Non ti fermi a dormire qui?»

Ad un tratto mi feci viola all’idea di dormire nella stessa casa di Emile dopo ciò che ci eravamo detti: di sicuro avrei trascorso la notte insonne prima di decidermi a saltargli addosso! Probabilmente visto il modo in cui mi aveva baciato, l’idea non lo repelleva, ma qualcosa mi diceva che avrebbe avuto ancora più paura di me se mi fossi lasciata andare in quel modo. Per cui decisi che sarebbe stato meglio se avessi messo distanza tra me ed Emile quella notte...

«N-no... ecco... domani devo andare a lavorare, e... Emile è stanco per il viaggio...» balbettai anche più del solito e sapevo che quella risposta avrebbe innescato qualche battuta che non volevo sentire:

«E quindi stasera non è il caso che vi divertiate, capito!» Alberto colpì immediatamente il segno e com’era suo solito si fece una bella risata mentre il mio volto prendeva tonalità dal fucsia all’amaranto! Emile che si era avvicinato a Claudine per salutarla,  rispose con una solita battutina acida:

«Eh no, il divertimento l’abbiamo lasciato tutto a te che, noto, te la stai spassando! Vieni Pasi, andiamo.» Allungò una mano in mia direzione per invitarmi ad unirmi a lui. Salutai Alberto con un caldo abbraccio e diedi un bacio sulla guancia di Claudine che si voltò lievemente in mia direzione, sorridendomi col suo abituale flebile sorriso e mi affrettai a prendere la mano di Emile che mi attendeva in direzione della porta.  

 

 

*****

 

«Perché non mi hai detto che non vivevi più con i tuoi?»

Eravamo fermi sotto casa di Rita ed Emile esordì con questa frase appena spense il motore dell’auto.

«Non sono rimasto tanto  sorpreso nel sapere che stavi dalla tua amica, quanto nel rendermi conto che la sua casa era la stessa che credevo fosse quella che dividevi con la tua famiglia! Ho avuto un momento di perplessità su quanto di vero io sappia di te.»

«Vorresti dire che per una cosa che ho omesso già hai dei dubbi sul fidarti o meno di me?!»

«Diciamo che ti ho vista sotto un’altra luce!» Lo sguardo di Emile era insieme ironico e in attesa di ricevere una risposta, così mi decisi a parlare:

«Beh… ecco… Avevo timore di deluderti. Tu desideri così tanto avere tua madre accanto ed io invece ho lasciato i miei genitori… temevo la tua reazione!»

Mi feci piccola, in attesa dell’ira per aver detto e/o fatto una stupidaggine, invece Emile parlò con calma:

«Ciò che dici è vero, dentro di me spero sempre che un giorno mia madre si risvegli con la voglia di vivere e che torni ad essere presente nella nostra vita… Ma questo non significa che gli altri si debbano sentire in colpa se non vanno d’accordo con i propri genitori! È una scelta tua, che presumo avrai ponderato attentamente, quindi se hai deciso che questo è il meglio per te, io non ho nulla da rimproverarti. E poi cosa temevi? Che ti facessi la ramanzina? Come se non fossi capace di rispondermi per le rime!» Fece un sorrisetto ironico, ma non era malefico come il suo solito, era un sorriso caldo, lo stesso sorriso che rivolgeva a suo padre quando gli rispondeva: quel sorriso mi scaldò il cuore e mi buttai decisa tra le sue braccia.

«Sei proprio venefico!» Emile si fece una risata e mi circondò con il suo abbraccio:

«Adoro vederti imbarazzata.» mi prese il viso dal mento e lo sollevò verso il suo, «Adoro vedere come i tuoi occhi si agitano in preda al tumulto interiore, come le tue guance diventino più rosa e come il tuo viso assuma quell’espressione indifesa di bambina.» avvicinò il suo volto al mio e mi diede un caldo bacio. Le sue labbra continuarono a esplorare il mio viso, baciò il mio naso, la mia fronte, i miei occhi... e poi scese lungo il collo… e all’improvviso si staccò.

«Ora vai sennò facciamo tardi, sogni d’oro mia adorabile streghetta.» mi diede un altro bacio e a malincuore mi separai da lui.

 

 

*****

 

Inutile dire che quella notte non dormii granché, il mio sonno fu costellato di sogni strani: sogni dolci, sogni bollenti e sogni tristi. La gioia infinita che provavo si mischiava al dolore ancora troppo fresco per Simona, il suo viso e quello di Emile si alternavano e a volte si confondevano e in certi momenti non sapevo più nemmeno se essere felice o piangere.









----------------------------------------------------

* "Tesoro, il nostro piccolo Emile è felice finalmente!"

** "Il mio piccolo Emile è un bravo figlio"












_____________________________________________________

NDA

ALLORA, siete contente stavolta? xD
Capitolo lungo (come piace alla sister Vale ^ ^) e, come promesso senza lacrime e direi che per la parte finale un bel ALLELUJA ci sta tutto! xD
Ci sono voluti 13 capitoli e una triste dipartita, ma il nostro eroe finalmente ha ammesso ciò che prova per Pasi, e ora siamo tutti più felici! ^ ^

[Deilantha Meyer's Corner] (Sulla scia della zia Steph, consigli musicali relativi al capitolo xD)

Mentre ricontrollavo questo capitolo, complice una certa ossessione finnica che imperversa da qualche tempo, ho pensato ad una canzone degli HIM perfetta per sottolineare il momento in cui Emile si dichiara a Pasi.

Si chiama " Scared to Death" e alcuni versi dicono così:

"Sono spaventato a morte,

Sono spaventato a morte

d'innamorarmi di te

...

E tu sei dolce come un veleno"


Se volete sentirla tutta vi lascio i links al Video e al Testo
Io la sto canticchiando anche ora xD


Angolo dei Ringraziamenti:
Amori mieiiiii!!! Il capitolo precedente è stato duro e impietoso e credetemi, mi sono commossa anche io mentre lo scrivevo, ho sofferto insieme a Pasi per la perdita di sua sorella. Per questo ho deciso che doveva meritarsi una felicità che compensasse almeno in parte il suo dolore ^ ^
Ma veniamo al dunque: le vostre reazioni al capitolo sono state altrettanto forti, e non mi ero nemmeno resa conto che ciò che avevo scritto potesse scatenare una tristezza e una sofferenza simile, per cui mi dispiace per avervi fatto star male (e spero di aver compensato con questo capitolo ^ ^), ma vi ringrazio ancora immensamente perché la vostra partecipazione al dolore di Pasi, ha reso la mia bimba viva anche dentro di voi, e non solo dentro di me. Grazie un milione di volte perché se non ci foste voi, questa storia sarebbe solo un file di Word messo in una cartella in un hard disk di un pc qualsiasi.
Grazie davvero tesore mie, di cuore <3




Grazie infinite anche a chi ha messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. Grazie mille davvero!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Capitolo 14





 

Nonostante la situazione tra me ed Emile avesse raggiunto una svolta importante, la nostra vita continuò a scorrere quasi nello stesso modo: la mattina io lavoravo e quando andavo a casa sua nel pomeriggio, lui era a lavoro. Così riuscivamo a vederci solo se mi attardavo dopo il mio turno con Claudine, ma anche quelle occasioni erano rare, poiché Emile aveva le prove col gruppo quasi ogni sera. Così finiva che l’unico giorno che potesse essere dedicato a noi risultava la Domenica, anche se io avevo l’appuntamento con Stè e Simona.

Una Domenica pomeriggio decidemmo d’incontrarci nel parco cittadino: sarei andata lì dopo l’incontro con il mio amico e ci saremmo visti nei pressi dell’albero di magnolia. Era un albero enorme che campeggiava in un angolo più appartato del parco: nei dintorni non c’erano panchine, per cui era facile trovare spazio per adagiarvisi e trascorrere del tempo in tranquillità a contatto con la natura.

Trovai Emile seduto ai piedi dell’albero, intento a scrivere. Il solo vederlo mi faceva esplodere una grande gioia nel cuore: ancora non riuscivo a credere che solo pochi mesi prima aveva destato in me un odio profondo ed ora ero lì a sentirmi la più fortunata ragazza della terra perché avevo il suo amore (e anche il suo terrore, aggiunse la solita voce nella mia mente e come al solito l’ignorai…)!

Lo chiamai da lontano,  urlando il suo nome:

«Emiiii!» e lo vidi aggrottare le sopracciglia per un secondo per poi guardarmi con una calda luce negli occhi mentre mi avvicinavo.

«Gradirei che non rovinassi il mio nome in quel modo!» mi disse in tono acido, a cui risposi per le rime:

«E come preferiresti? Emiluccio? Emilove? MILLY?»

Mi accomodai accanto a lui mentre mi divertivo a stuzzicarlo e lui mi guardò in tralice prima di rispondermi:

«Emile. Va bene così com’è stato concepito. Non ha nulla che non va.» Evidentemente, al contrario di me, era fiero del nome che portava.

«Come sei acido, tutti amano i miei nomignoli affettuosi! Solo tu e…» Simona. Un’altra cosa che avevano in comune.

«Emile, verresti con me la prossima volta che vado a trovare Simo? Mi sarebbe piaciuto che vi foste conosciuti, sono sicura che sareste andati d’accordo.» portai le ginocchia al petto, com’era mio solito quando avevo bisogno di conforto, mentre attendevo che mi rispondesse. Lo sentii posare i fogli su cui stava scrivendo per circondarmi le spalle con un braccio e mettermi una mano sulle ginocchia:

«Ne sarei felice, verrò con piacere. Ed ora posso salutarti come si deve?» Alzò la mano dalle mie ginocchia per portarla al mio viso e girarlo verso il suo, in modo da darmi il suo caldo bacio, prima di offrirmi la spalla a cui appoggiarmi.

«A te non piace il tuo nome, vero? Altrimenti non daresti nomignoli agli altri per renderli simili al tuo.» una spruzzatina di sarcasmo velava le sue parole, poi tornò improvvisamente serio: «Dovresti esserne orgogliosa invece, perché identifica chi sei, perché è il primo atto d’amore che fa un genitore verso il figlio. Il tuo nome non parla solo di te, ma anche di loro.»

«È facile parlare per te! Il tuo nome è bello, è semplice da pronunciare e sono sicura che i tuoi genitori  l’abbiano scelto con amore. Il mio nome è orribile! Antiquato, incomprensibile e dettato solo dalla passione di mia madre verso i suoi libri, non di certo verso di me!» Mi strinsi più forte a lui, cingendogli la vita.

«Credi che i tuoi genitori non ti amino?» Emile mi circondò con le braccia avvolgendomi.

«Sì, mi amano… ma a modo loro ed è un modo incompatibile col mio!» dopo poco aggiunsi: «Ed ora che  non c’è Simona a farli sentire orgogliosi, non potrei mai tornare a casa con loro e vivere ancora di più nella sua ombra.»

«Non ho mai detto che tu debba farlo. Sei libera di scegliere chi amare e come farlo, la vita è la tua.»

«Tu però questa scelta non te la dai, Emile! Quante persone ami davvero? Con quanti esseri umani hai interagito aprendo loro il tuo cuore?» Sentii il suo corpo irrigidirsi, forse quell’argomento era ancora troppo spinoso da affrontare…

«Per me non è facile aprirmi, Pasi. Non ho la tua stessa bontà d’animo e fiducia nel prossimo e già essere qui con te come siamo ora, per me è un miracolo! Sei la mia piccola streghetta dei miracoli.» Mi strinse di più a sé e mi baciò la testa, mentre a mia volta cinsi la sua vita con più forza. Mi stavo beando di quel momento quando notai, poggiato a terra, il foglio su cui stava scrivendo: era uno spartito.

«Stavi componendo! Senza strumenti!?» Rimasi stupita dalla sua capacità di percepire la musica senza averla intorno.

«Non esattamente… ho questa con me.» si girò alla sua sinistra e prese qualcosa che si trovava al suo fianco, ma che prima non ero riuscita a vedere: un’armonica!  Se la portò alla bocca e iniziai a sentire una dolce e calda melodia, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare: avvolta dal braccio di Emile, stretta alla sua vita sottile e immersa nella sua musica, in quel momento mi sentii davvero felice e serena.

 

 

*****

 

«Pasi hai un secondo?»

«Fede che diamine! Cosa c’è? Perché quell’espressione, che succede?» 

Ero alle prese con la pulizia del pavimento nella cucina della comunità, quando il mio amico mi chiamò all’improvviso, con un tono di voce allarmante: era sull’uscio della porta, vedevo solo la sua testa castana sbucare come fosse stata evocata e per poco non mi fece fare un salto.

«Stasera sei libera? Devo parlarti di una faccenda importante e questo non è il luogo adatto.»

«Sì, ok… c’entra per caso Rita?» Ero curiosa di sapere come stava vivendo lui quest’idea di tornare insieme alla sua ex ragazza e buona amica e non riuscii a trattenere la mia voglia di sapere.

«Rita? N-no no, non c’entra nulla lei e poi cosa dovrei dirti, scusami?» Il suo viso era lievemente contrariato, ma vedevo la nota di divertimento che celava… mi stava stuzzicando sapendo che morivo di curiosità! 

«Sì sì bravo, fai lo gnorri… tanto prima o poi saprò tutto!» Fede fece un sorrisino ma subito dopo tornò serio: «Rita non c’entra Pasi, è qualcosa di più serio, perciò voglio parlartene più tardi. Ci vediamo al solito posto, ok?»

 

Il solito posto era la pizzeria dove eravamo abituati a riunirci in gruppo, il proprietario era Andrea, un ragazzo di ventotto anni, che ormai era diventato nostro amico a furia di vederci lì: c’era sempre un trattamento speciale per noi cinque rumorosi, poiché diceva sempre che la nostra presenza scaldava l’ambiente… E posso immaginare di chi era la “colpa” se le nostre conversazioni fossero udibili da tutti!

Quella sera però eravamo solo io e Fede davanti alla nostra pizza e ad una discussione che risultò davvero importante.

«COOOSA?! Ma non possono! E perché? Ma non è giusto!»

«Lo so… sono amareggiato anche più di te credimi, considerando che ci lavoro da anni!» 

Fede era cupo in viso, aveva trascorso quegli ultimi anni donandosi totalmente a quella comunità, prima come volontario mentre era ancora alle superiori e in seguito lavorandoci a pieno ritmo ed ora gli avevano detto che avrebbe chiuso, che i proprietari avevano problemi finanziari e dovevano vendere lo stabile ad un privato che di certo non voleva lasciarlo al pubblico ma goderselo personalmente.

«E tutti quei ragazzi come faranno? Dove andranno? E noi? Tu soprattutto!»

«Non lo so Pasi... Anche se sto accarezzando l’idea di aprire un centro tutto mio…»

«WOW, che bella idea Fede! Non avresti nessun superiore a cui dare conto e con la tua bravura riusciresti di sicuro ad aiutare tutti!»

«Grazie per la tua fiducia, mi è di grande sostegno. Però ci sono molti problemi da affrontare prima che questo desiderio si possa realizzare, problemi soprattutto burocratici e finanziari.»

«Sì ma potresti iniziare con un piccolo centro, Rita a breve si laureerà e potrebbe sostenerti anche lei in qualità di psicologa!»

«Non è tutto così semplice, Pasi: Rita ha davanti a sé ancora molti anni di studio e non voglio bloccare la sua carriera in un progetto che non ha desiderato. Inoltre ci vogliono dei capitali non indifferenti anche in caso di un piccolo centro: servono le attrezzature, i medici, gli infermieri da pagare… Però qualcosa voglio metterlo su… e mi piacerebbe avere anche il tuo aiuto.»

«Il mio aiuto? E come… in che modo?»

«Tu ci sai fare con le persone, riesci a farle aprire, riesci a farle sorridere: guarda cosa sei riuscita a fare con Emile!»

«Ma io ho solo cercato di prendere esempio da te!» E poi non credo di aver fatto tutto questo miracolo con Emile, se mi ha detto di essere terrorizzato da ciò che sente per me!

«Non è solo quello Pasi, tu hai qualcosa che porta la gente ad aprirsi a te e sono sicuro che saresti un valido  aiuto. Ora come ora ho poche carte dalla mia parte, perciò pensavo di aprire un centro d’ascolto o qualcosa di simile a cui dedicarsi più come volontariato che altro… Ma nel frattempo, voglio iscrivermi a scienze infermieristiche in modo da avere un titolo che dia credibilità alla mia posizione e se Rita sarà dei nostri, in futuro, potremmo diventare un centro specializzato nel dare aiuto psicologico e in futuro magari  aprire anche una comunità.»

Ero esterefatta, Fede aveva pensato davvero a tutto, stava mettendo in gioco il suo futuro calcolando ogni passo: doveva averci pensato a lungo e ponderato ogni cosa… Lui sì che aveva le idee chiare sul suo futuro, non come me…

«Sarebbe davvero bello Fede! Però io che potrei fare? Non ho un titolo, non ho nulla… che ruolo ho nel tuo progetto?»

«Pasi deve diventare anche il tuo progetto. Io so che ti piace stare in comunità e aiutare gli altri e so di poter contare su di te, ma voglio che tu ne prenda piena coscienza, voglio che anche tu ci creda e che faccia tuo questo progetto. Pensaci bene, se l’idea ti piace e senti di potertici dedicare, sali a bordo e non preoccuparti del resto. Se non ti senti abbastanza coinvolta, non ci saranno problemi, sei liberissima di non accettare. Le cose tra noi non cambieranno per questo.»

«Ok Fede; ci penserò e ti darò una risposta a breve… ed ora finiamo questa pizza che è davvero squisita!»

 

 

*****

 

Le parole di Fede mi rigirarono nella testa nei giorni successivi: impegnarmi con lui significava occuparmi di qualcosa che sarebbe stata con me per il resto della vita. Avevo dei dubbi su quanto potessi essere davvero utile al suo progetto e mi chiedevo anche se fosse questo il mio obiettivo.

Non ero mai riuscita a trovare qualcosa che mi prendesse al punto da potermici dedicare anima e corpo per l’intera mia esistenza, ma era anche vero che come diceva Fede, mi piaceva prendermi cura degli altri e dare una mano a chi ne aveva bisogno… forse era davvero questo lo scopo della mia vita. Ne avrei voluto parlare ad Emile che, al contrario mio, era così deciso e vedeva così chiaramente davanti a sé, ma in quei giorni non riuscivamo a vederci, era sempre impegnato con la band perché dovevano lanciare il loro primo album e tra una prova ed una riunione, non ci vedevamo dalla Domenica precedente, trascorsa al parco. Inoltre dentro di me sapevo  che quella fosse una scelta che avrei dovuto prendere da sola, valutando bene ciò che volevo io dalla vita e come agire per ottenerlo, al di là di quello che poteva pensarne Emile. Mi ero ripromessa di non annullarmi, di non vivere la mia vita in funzione di quella del mio ragazzo, per cui quella era una scelta che dovevo prendere da sola, senza condizionamenti altrui. Perché sapevo che qualunque cosa avrebbe detto il mio Pel di Carota, mi sarebbe rimasta nella testa, influenzando la mia decisione.

 

*****

 

Riuscii a vedere Emile solo la domenica successiva, poiché come promesso, venne con me all’appuntamento con Simona.

Testa di Paglia era già lì quando arrivammo: era davanti alla tomba e rivolgeva  a mia sorella i suoi pensieri  mentre poggiava i fiori nel vaso. Al nostro arrivo ci fece uno dei suoi sorrisi, anche se non erano più gli stessi di prima.

Con Simona era andata via anche una parte di Stè. Il dolore per averla persa, sommato al rimpianto di non averle mai rivelato cosa provava per lei, avevano gettato un’ombra su quel carattere così solare e sempre pronto al sorriso. La spensieratezza che era il suo tratto principale, aveva ora un tono più greve, una malinconia di fondo che lo rendevano un sole crepuscolare e non un astro al colmo della sua potenza luminosa.  Tuttavia il sorriso sul suo viso non si era spento: Stè era così, l’allegria era parte del suo essere come quella sua chioma sbiadita e avrebbe sempre reagito sorridendo, ai colpi della vita.

Il sorriso che ci rivolse fu uno dei più caldi che riuscisse ad avere in quel periodo: quel nostro appuntamento settimanale era un momento importante per entrambi, per riconciliarci con noi stessi e per avere la speranza che  in un modo o in un altro, Simo ci ascoltasse e ci perdonasse. Emile fu felice di accompagnarmi  ma quando arrivammo, lo sentii irrigidirsi: salutò il mio amico e poi restò muto tutto il tempo, forse per darci modo di svolgere le nostre abituali chiacchiere con mia sorella. Notai però che osservò con attenzione la foto di Simo, quasi come se volesse carpire da essa informazioni su chi era stata Simona Isoardi. A quel punto allora, io e Stè iniziammo a raccontargli aneddoti del passato: io di quando eravamo piccole e giocavamo insieme, un tempo in cui anche se litigavamo, eravamo più unite, mentre Stè gli descriveva tutti i particolari che solo un innamorato riesce a cogliere così attentamente della persona che ama, come una ruga d’espressione, un broncio impercettibile, un cambiamento d’intensità nello sguardo… Eravamo così presi dai nostri racconti  che non ci rendemmo conto del tempo trascorso, finché Emile aprì bocca per avvertirmi che sarebbe dovuto andare a provare con la band.

Stè a quel punto si offrì di accompagnarmi, così rimasi lì mentre il mio Pel di Carota se ne andò in silenzio, dopo averci salutato.

«Chiacchierone come al solito, eh?» disse Stè ironicamente.

«Già, lo sai che è di poche parole… e poi noi siamo stati davvero logorroici!» Risi scherzandoci su, ma avevo l’impressione di aver visto un’ombra cupa sul suo volto che m’inquietava... avrei indagato successivamente sul quell’espressione tetra!   

«Mi dispiace che Simona non l’abbia conosciuto… ho l’impressione che si sarebbero capiti al volo.»

«È probabile Testarossa, hanno entrambi una malinconica risolutezza nello sguardo, sarebbe stato interessante vedere come avrebbero interagito.» l’espressione di Stè era sinceramente incuriosita da quell’ipotesi e mi senti sollevata nel vedere che almeno per qualche secondo, la malinconia lo aveva abbandonato. Poi però un pensiero mi balenò nella mente e senza pensarci, pur sapendo che l’avrei nuovamente incupito, gli chiesi :

«Come stai facendo con la matematica?»

Tra i nostri amici le sole che avessero proseguito gli studi erano Margherita e Sofia, ma la prima studiava psicologia e la seconda filosofia; Stè avrebbe dovuto affidarsi a qualche insegnante privato per andare avanti…

«Per ora vado avanti da solo, è riuscita a farmi comprendere molte cose… Mi manca terribilmente Testarossa! Sento un vuoto dentro di me e se solo ci penso non riesco a stare in piedi! Per fortuna sono una persona che pensa poco!» Sorrise di se stesso a quell’affermazione, poi continuò: «Non perderti dietro stupidi dubbi Pasi. Non permettere che nulla al mondo ti ponga dei freni tra te e lui, viviti questo rapporto fino in fondo!»

La serietà repentina con cui Testa di Paglia mi parlò mi commosse nel profondo: sentivo il suo dolore e i suoi rimpianti come se fossero stati i miei e desiderosa di dargli forza l’abbracciai.

«Te lo prometto Stè. Te lo prometto!»

 

*****

 

«Pasi, bambina, Federico mi ha detto che lo sostituisci tu stasera?»

«Sì, aveva un impegno e mi ha chiesto se potevo sostituirlo.»

«Ma sei qui da oggi, sarai stanca!»

«Nient’affatto! Ho letto tutto il tempo e le ore sono volate via, e poi non potrei mai lasciarti da solo!»

Anche quella sera come sempre, Emile aveva le prove con il gruppo: erano ad un passo dall’incisione  dell’album e si stavano concentrando il più possibile per ottenere una buona esecuzione dei brani. Di conseguenza Alberto restava da solo ad accudire Claudine e Fede veniva a dargli una mano.

Ma quella sera, e sospettai  di conoscerne il motivo, il mio amico era impegnato così mi chiese di sostituirlo sapendo che ero già lì dal pomeriggio, dando per scontato che mi facesse più che piacere restare nella stessa casa in cui sarebbe stato Emile. E come al solito, aveva pienamente ragione: avevo promesso a Stè che avrei vissuto in pieno la mia relazione, ma in quei giorni tutto c’era tranne le premesse per far sì che accadesse. Sapevo quanto Emile tenesse alla musica, ma non riuscivamo più a vederci e al telefono era sempre di corsa… sentivo più la sua mancanza in quel periodo  che nelle precedenti occasioni  in cui eravamo stati distanti!  Dopo avermi aperto il suo cuore, speravo di riuscire a trascorrere più tempo con lui, speravo di riuscire a comprenderlo e a stargli vicino come non ero riuscita a fare fino ad allora… invece lo sentivo più sfuggente, sempre preso dal suo gruppo e dalla carriera… Sperai quindi di riuscire a strappargli anche una mezz’ora di tempo quella sera, pur di averlo un po’ per me.

«Sai che ti dico Alberto? Quasi quasi cucino io! Sono stata qui tutto il tempo a far nulla, mentre tu sarai di sicuro stanco; resta qui con Claudine, appena la cena sarà pronta ti avverto.»  Feci uno dei miei sorrisi più convincenti e vidi un’espressione di dolcezza comparire sul viso di Alberto. prima che mi avvolgesse in uno dei suoi calorosi abbracci:

«Sei proprio una cara ragazza!»

 

Ero felice  di potermi dedicare a loro in qualche modo: cucinare per Alberto, Claudine ed Emile mi faceva sentire utile, mi sentivo appagata  perché, seppur in modo minimo, li ricambiavo per tutto quello che avevano donato al mio spirito e soprattutto mi faceva sentire a casa.

Mi era sempre piaciuto cucinare: essendo una buona forchetta, apprezzavo la gioia di un buon pasto fatto con amore e quando abitavo con la mia famiglia, capitava che preparassi il pranzo quando mia madre faceva tardi;  qualche volta Simona mi dava una mano, era una di quelle rare occasioni in cui sentivo di essere un membro effettivo della mia famiglia, uno di quei momenti che avrei conservato per sempre nel mio cuore…  

Anche se Alberto aveva l’aria di cavarsela in cucina (come pasticciere era di sicuro bravissimo), volevo dare a quella famiglia almeno per una sera, il calore di un pasto completo e più egoisticamente, pensai, volevo sentirmi un po’ a casa mia in quel luogo divenuto per me così familiare.  

Mentre cucinavo, fantasticai pensando ad una serata in cui tutta la famiglia Castoldi potesse riunirsi intorno ad un tavolo, mangiando e chiacchierando insieme; una scena simile non l’avevano mai vissuta e in quel momento mi sentii davvero triste per loro. In qualche modo io ero riuscita ad avere ricordi simili: nonostante l’attrito tra me e i miei genitori, ero riuscita a vivere dei momenti felici con loro, invece gli abitanti della casa in cui mi trovavo, con tutta probabilità non si erano mai nemmeno seduti a quel tavolo per mangiare. Alberto avrebbe cenato in camera con Claudine e immaginai che quella fosse una routine per lui. Emile di conseguenza cenava da solo? O raggiungeva i suoi genitori in quella stanza?  Più li conoscevo e più mi rendevo conto che lo stato di salute di Claudine, aveva condizionato quasi ogni aspetto della loro vita: un impulso di rabbia mi assalì a quel pensiero e d’improvviso iniziai a comprendere quel nucleo d’amarezza che il mio ragazzo aveva all’interno di sé.

Quando terminai di preparare la cena, mi accinsi a portarla al piano di sopra e ad un passo dalle scale sentii aprirsi la porta di casa: Emile mi guardò con il volto stupito e l’aria interrogatoria:

«Che ci fai qui?»

Era ancora sull’uscio, la porta era ancora aperta: evidentemente tutto si aspettava tranne la mia presenza in casa sua a quell’ora. 

«Ho preparato la cena!» Lo guardai sorridendogli felice, ero soddisfatta di me e sperai di vederlo sorridere allo stesso modo... ma non fu così,

«Sei rimasta qui per preparare la cena?! Mio padre non sta bene?» Vidi l’apprensione comparire sul suo volto...

«No no, Alberto sta benissimo, Fede non è potuto venire stasera e lo sostituisco, così ho deciso di cucinare io mentre tuo padre si rilassava dopo una giornata di lavoro. Aspettami torno subito.»  

Portai la cena ad Alberto e Claudine e tornai in cucina, sperando di poter avere almeno il tempo di cenare con Emile. Lo trovai in piedi ad osservare le pentole e i piatti in attesa di essere riempiti:

«Non ti piacciono gli spinaci? C’è anche il pollo, oppure ti preparo qualcos’altro…» mi avvicinai a lui cingendogli la vita, non ci eravamo ancora salutati e desideravo avere un contatto fisico con lui. Emile si voltò in mia direzione con un’espressione seria sul viso:

«Pasi io...» non seppi mai cosa stava per dirmi perché bussarono alla porta, «Sono i ragazzi… devo proprio andare!»

«Almeno dammi un bacio!»

Mi sentii una bambina che fa i capricci, ma avevo bisogno di un contatto, di un segno che c’era ancora qualcosa che ci teneva uniti, non lo vedevo da una settimana e non eravamo riusciti a scambiarci che due parole! Emile mi prese il volto con le mani e mi diede un bacio intenso e quasi dolente, prima di staccarsi da me e scomparire con il suo gruppo nel piano interrato di casa. Rimasi per un po’ senza parole: mi aveva baciato come se fosse un addio e d’un tratto sentii una strana angoscia dentro di me... Copiando il suo gesto, osservai anche io le pentole e i piatti, il mio vano e stupido  tentativo di avere intorno a me una famiglia riunita e mi si bloccò l’appetito.

Salii al piano di sopra per dare il cambio ad Alberto e lo trovai sul letto, addormentato abbracciato alla sua Claudine: mi commossi a vederli insieme in quella posizione così naturale e dolce. Presi una coperta e lo coprii e mi accomodai sulla poltrona, osservando quella coppia che sapeva amarsi nonostante tutto e tutti, invidiando il loro legame così vero e profondo. 

Saremmo riusciti ad amarci così anche io ed Emile? E perché mi aveva baciato in quel modo?

Sperai che la mia inquietudine fosse solo dovuta a stupidi dubbi da innamorata e tentai di rilassarmi, ma quella sensazione di angoscia non sembrava allontanarsi da me.   

 

*****

 

Quando aprii gli occhi rimasi totalmente inebetita per ciò che stavano vedendo: non avevo la più pallida idea di dove fossi, ma davanti a me c’era Emile addormentato, seduto a terra e appoggiato con la testa al bordo di un letto. Spostai lo sguardo intorno a me e mi resi finalmente conto di dove fossi e cosa fosse accaduto: eravamo in camera di Alberto e Claudine e doveva essere trascorsa qualche ora da quando ero salita a dare i cambio al padre di Emile trovandolo addormentato… Evidentemente avevamo fatto tutti una staffetta del sonno, poiché dopo il mio palese crollo onirico, doveva essere arrivato il mio Pel di Carota che aveva seguito tutti noi seguaci di Morfeo.

Feci un sorriso guardandoci: eravamo crollati tutti in posizioni tutt’altro che comode: i genitori di Emile erano ancora abbracciati, io ero appallottolata su quella poltrona e il mio adorabile rossino era nella posizione più scomoda di tutte. Eppure, tutti riuniti a dormire insieme in quell’unica stanza, sembravamo davvero una famiglia e sentii un’ondata di calore e felicità invadermi.

Restai qualche minuto ad osservare i miei compagni di dormita, poi mi decisi a svegliare Emile che di sicuro stava dormendo malissimo. Gli diedi un bacio sulla guancia e lo chiamai a bassa voce: aprì gli occhi quasi all’istante, aveva il sonno decisamente leggero! Mi guardò dapprima sorpreso, ma dopo qualche istante la consapevolezza di dove fossimo gli tornò sul viso e accennando un sorriso si stiracchiò:

«Ti sei addormentato in una posizione scomodissima, così non riposerai!» Mi inginocchiai accanto a lui.

«Tsk, ero venuto a svegliarti e invece mi sono addormentato anche io, che pappamolle!» Fece un sorriso di scherno verso se stesso e gli accarezzai il viso:

«Devi essere davvero stanco, vai a riposare.»

Emile chiuse gli occhi sentendo la mia mano sul suo viso e si lasciò andare a quel conforto per qualche secondo, poi mi prese la mano e la calò tenendola stretta nella sua:

«Non prima di aver accompagnato te a casa.»

«Non preoccuparti per me, torno a casa da sola.» vedendolo così tranquillo e dolce nei miei confronti,  l’ansia che avevo provato qualche ora prima parve scomparire  e mi rincuorai al punto da sentirmi appagata per quei pochi secondi d’intimità trascorsi insieme.

«Assolutamente no, ti accompagno, andiamo.» si alzò d’improvviso e mi aiutò a risollevarmi, facendo attenzione a non svegliare i suoi genitori.

Durante il tragitto in auto non parlammo molto, eravamo entrambi stanchi ed io ero felice del solo fatto di stargli accanto, così mi godetti quel silenzio insieme a lui. Una volta arrivati a casa di Rita però mi scoprii del tutto restia a staccarmi da lui e invece di salutarlo l’abbracciai:

«Mi sei mancato così tanto in questi giorni!»  Emile ricambiò il mio abbraccio e poggiò una mano sulla mia testa:

«Mi dispiace, ma è un momento importante per il gruppo e...»

Il gruppo… iniziai a sentire una nota di rancore verso quei ragazzi e ciò che rappresentavano, poiché lo allontanavano da me in quel modo!

Ma avevo detto ad Emile che non gli avrei mai chiesto di scegliere tra me e la musica e non volevo venir meno ai miei propositi… anche perché  ero consapevole che in una battaglia tra me e i GAUS, sarei stata io ad uscirne sconfitta.

«Lo so, lo so… restiamo così per qualche minuto però, non te ne andare subito, Dio solo sa chissà quando riusciremo a vederci  di nuovo e voglio avere un momento tutto per noi.»  mi strinsi a lui, ma non sentendo una replica alzai il viso per osservarlo e vidi il suo volto nuovamente addormentato!

Decisamente non era la serata adatta per chiedere attenzioni: lo svegliai, gli diedi un bacio che avrei voluto fosse infinito e scesi dall’auto per permettergli di tornare il prima possibile a casa. I mei bisogni egoistici avrebbero dovuto attendere ancora un po’ per essere soddisfatti.  

 

*****

 

Aperta la porta di casa, mi resi conto che Rita non era ancora tornata: i miei sospetti sull’impegno di Fede divennero certezze e pensando ai miei amici, che in quel momento erano insieme, probabilmente intenti a riaccendere la fiamma del loro amore mai sopito, mi scoprii pervasa da due sentimenti contrastanti. Ero felice per loro, li avevo sempre visti come una coppia: ciò che avevo detto a Sofia era vero, ero sicura che fossero fatti l’uno per l’altra; questa felicità però era turbata da una profonda invidia, perché in quel momento avrei voluto essere anch’io con il ragazzo che amavo.

Avevo dovuto attendere così tanto per sentirgli dire che ricambiava il mio amore e da allora i nostri momenti insieme erano drasticamente diminuiti anziché aumentare! E quella sera i miei tentativi di avvicinarlo erano stati un continuo fiasco…

Avvolta da quel silenzio e dall’oscurità di una casa vuota, ripensai al bacio di Emile, al modo in cui aveva reagito alla mia presenza in casa sua: mi ero detta che fossero sciocchi dubbi da innamorata, ma in quel momento tornò ad assalirmi la sensazione che si stesse allontanando da me.















___________________________________
NDA
Eccoci di nuovo qui! Con questo capitolo siamo al giro di boa: dopo aver dovuto attendere tanto, Pasi è riuscita ad avere l'amore di Emile (anche se tutto sommato, l'aveva già da tempo ^ ^), ma standogli più a contatto ha iniziato subito a capire che stare con un musicista, significa doverlo condividere con una rivale invisibile ma sempre presente: riuscirà a superare questo momento d'inquietudine? Manzoni diceva: "Ai posteri l'ardua sentenza", ma io non sono così sadica... un pochino forse, ma la risposta l'avrete in questa vita xD
*me schiva i pomodori comparsi improvvisamente nelle mani dei lettori pronti ad essere usati a mo' di coriandoli*





MESSAGGIO PROMOZIONALE
In quest'ultima settimana ho avuto modo di conoscere un'altra autrice di EFP che segue la mia storia con interesse e che è stata anche così gentile da sponsorizzarmi *me è grata all'ennesima potenza* : non solo è una grande amante del Giappone, il che le ha portato immediatamente tutta la mia stima (e qualcuno direbbe "e a noi che ci frega?"), ma abbiamo anche scoperto di avere un interesse comune per i nomi inusuali, anche se lei mi batte alla grande xD
Comunque questo papiro delirante era per dirvi che qui su EFP, questa mia "collega", che risponde al nome di ThePoisonofPrimula , sta pubblicando due storie originali ambientate in una scuola per studenti ricchi ma alquanto bizzarri e la prima delle due: The Goldenfish's Destiny
è un vero spasso! Se avete voglia di leggere qualcosa d'intrigante e divertente e di assolutamente fuori dall'ordinario, leggete questa storia, la scuola in cui è finita Samara Blake (un'otaku dai capelli tinti d'azzurro che ha saputo farsi espellere da tutte le scuole frequentate), il St. Trinian's, è un covo di folli, talmente folli che vorrei andarci anche io di corsa!!! *_*
La presenza della preside giapponese già vale la pena di frequentarlo!!!
Fine dello Spot xD




Angolo dei Ringraziamenti
Tesore mie, cosa potrei dirvi oggi che non vi ho detto finora? *me sente delle voci chiedere "la notte di fuoco" e sghignazza tipo Stregatto*
Siete sempre stupende, sempre presenti ad entusiasmarvi ed emozionarvi e innamorate di questa storia forse più di me che l'ho concepita, davvero non ho più parole, ho esaurito il vocabolario *me pensa di imparare qualche ringraziamento in tutte le lingue del mondo*, quindi perdonate la ripetitività e beccatevi questo immenso:

GRAZIE MILLEEEEEEEEEE!!!!!!!

Grazie, grazie, grazie e ancora grazie alle mie sorelline: quelle che con precisione svizzera e grande costanza leggono e recensiscono appena pubblico: Saretta, Niky, Vale, Concy,
e quelle più bradipine:
Iloveworld, Ana-chan
, Cicci, Ely. ARIGATOU TESORE MIE!! <3<3<3<3


E grazie a tutti voi che continuate a seguire e ad apprezzare questa storia, mi rendete sempre orgogliosa e felice ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15





 

 

«Così questa è la madre di Emile?!»

«Sì, ha una bella voce, vero?»

Stè aveva un’espressione concentrata mentre ascoltava i brani di Claudine, ed era evidente sul suo volto l’apprezzamento per quel modo di cantare e per quella voce così soave:

«È molto dolce; non capisco nulla di ciò che dice, ma il suo canto mi resta dentro.»

Avevo chiesto a al mio amico di rendere più fruibili gli album di Claudine: tutti i dischi che mi aveva dato Emile erano dei vinile e in un’epoca in cui il formato mp3 è il metodo più usato per ascoltare musica, era alquanto difficile recuperare un giradischi per ascoltarli. Inoltre volevo portare quelle canzoni sempre con me nel mio lettore e con un vinile sarebbe stato decisamente impossibile!

Testa di Paglia ancora una volta fu la mia salvezza: aveva un giradischi e soprattutto aveva la strumentazione necessaria a trasformare un brano analogico in uno digitale, così una sera arrivai a casa sua con il mio tesoro e mentre veniva operato il miracolo tecnologico, io e Stè trascorremmo il tempo ad ascoltare quei brani melodiosi che, seppur incomprensibili, lasciavano ugualmente una sensazione di pace e dolcezza nell’animo.

«Sì, è vero Testa di Paglia, lo trovo perfetto per ridare la pace al cuore.» e Dio solo sa quanto ne ho bisogno!

«Dovresti farti tradurre i testi da Emile, almeno sapresti cosa dicono queste canzoni.»

«Faccio prima se mi metto a studiare francese, Stè!» Mi ammutolii all’istante dopo aver parlato: involontariamente  mi uscì una battuta amara che esprimeva tutta la mia tristezza e il senso di solitudine che avevo dentro. Non volevo lamentarmi con lui, che aveva il cuore spezzato dalla morte di Simona. Mi sembrava del tutto indelicato lagnarmi di qualcosa che ai suoi occhi doveva essere come una situazione idilliaca: sicuramente Stè avrebbe dato l’anima al diavolo per potersi trovare nella mia situazione, anziché rimpiangere di non essere mai riuscito ad esternare i suoi sentimenti a mia sorella. Per questo motivo mi diedi della stupida non appena terminai quella frase infelice.

«Sento puzza di problemi Testarossa… qualcosa non va col Bel  Tenebroso?» Stè mi fece quello che era il fantasma del suo sorriso gioviale: quella frase in tempi normali avrebbe avuto un tono allegro e bonario, invece risultò essere acida quasi quanto la mia: mi sentii a disagio a parlargli di Emile, ma non volevo nemmeno ferirlo nascondendogli ciò che mi stava a cuore.

«No Stè… è tutto a posto… il fatto è che Emile è impegnato e non avrà di certo tempo per mettersi a fare da interprete per me… E poi tutto sommato, non mi farebbe male imparare un’altra lingua! Ricordi la prof. d’inglese cosa mi diceva? “Isoardi tu hai stoffa, potresti imparare altre cinque lingue straniere con facilità.”» Imitai il tono di voce basso e nasale della professoressa per calarmi nel personaggio; sperai che nominare il nostro passato comune distogliesse l’attenzione di Stè dal mio presente…  

«Testarossa, sai bene quanto me che lo diceva per farti frequentare la sua scuola privata!» … e a quanto sembrava c’ero riuscita!   

«Ma non è vero! Sei solo invidioso della mia bravura!»

«Testarossa, la Filangieri ha detto la stessa frase anche a me, non ricordi? E a Patrizio, a Marianna, a Corrado…»  il volto di Stè si rasserenò tornando indietro nel tempo e fui davvero felice di aver preso due piccioni con una fava, sviando il discorso su Emile e dandogli modo di risollevarsi l’animo.

«Sono dettagli; la verità mio caro,  è che non accetti che io sia più brava di te!»

«Tu dici? Allora facciamo così: da domani iniziamo a studiare francese e vediamo chi dei due sarà più bravo!»

«D’accordo Testa di Paglia, ci sto!» sigillammo il nostro patto stringendoci i mignoli, come facevamo sin da piccoli, quando frequentavamo le scuole medie e ogni cosa era un pretesto per sfidarci. La nostra  amicizia era nata facendo una gara dopo l’altra e continuava ad esserci tutt’ora una sana rivalità che dopo otto anni tornava  a sancire il nostro legame.  

 

*****

 

«Domani iniziamo ad incidere i brani.»

«Davvero?! Sono così contenta Emile!» e magari riusciremo a vederci, finalmente!

L’unico modo che avevamo per tenerci in contatto erano quelle brevi telefonate notturne, fatte sull’orlo della stanchezza traboccante di una giornata intera, quando lo stato di veglia è particolarmente vacillante e comunicare risulta arduo. Non erano mai chiamate soddisfacenti per me, che sarei rimasta ore a parlare con lui, ma  cercavo di accontentarmi sapendo che in quel periodo non avevo altra scelta.

«Già… dovrà essere tutto perfetto, non tollererò il minimo errore da parte di nessuno!»

Nonostante la stanchezza, al solo parlare del suo futuro,  la voce Emile si fece tagliente e immaginai l’espressione di gelida determinazione del suo viso, riflessa in quel tono che d’improvviso m’intimidì.

«A…allora sarai più libero nei prossimi giorni…»

Quando lo sentivo così freddo e determinato, percepivo maggiormente la distanza tra di noi, al punto da sembrarmi quasi un estraneo…

«Ancora no, proprio ora dovremo continuare a provare i brani prima di inciderli, questa è la nostra occasione e niente e nessuno si frapporrà fra me e quest’album!» No, non era ancora giunto il tempo per me…  Pazienta ancora Pasi, pazienta ancora…

«Capisco… allora buonanotte… e in bocca al lupo!»

«Crepi… buonanotte.»

 

 

*****

 

«Buongiorno!»

«Mmmm… ‘giorno.»

Altro che buongiorno, non avevo praticamente chiuso occhio quella notte; la mia mente era un turbine di pensieri tristi e angoscianti e l’unica volta che ero riuscita ad addormentarmi avevo sognato Emile che mi volgeva  le spalle e si allontanava da me, insensibile alla mia voce che lo chiamava… non era affatto un buongiorno quello!

Rita invece sprizzava felicità da tutti i pori, aveva gli occhi luminosi e un sorriso stampato sul viso che non riusciva a celare: osservandola mi sentii un po’ più sollevata e mi ripromisi  di non guastarle la giornata  col mio cattivo umore.

«Ti ho preparato la colazione, Pasi.»

Avvicinandomi alla cucina, notai la tazza di latte fumante, i biscotti, i cereali e persino un cornetto dall’aria invitante: con quella colazione si sarebbe sfamata l’Africa!

«Ma quanto devo mangiare?! C’è una carestia dietro la porta?»

«Coraggio mangia che devi nutrirti, stai dimagrendo troppo, sono sicura che non mangi da un pezzo.» in effetti in quegli ultimi giorni l’appetito mi era drasticamente calato, non ricordavo più da quando non mangiavo un pasto completo.

«Sei particolarmente protettiva oggi Rita… qualcosa bolle in pentola?»

Ero grata alla mia amica per le attenzioni che mi dimostrava, ma non essendoci viste per giorni, dubitai che si fosse resa conto del mio stato d’animo: l’unico momento in cui eravamo insieme in quella casa era la notte, mentre dormivamo… Forse mi aveva sentita mentre mi lamentavo nel sonno?

«Non posso essere premurosa con la mia amica? Dopotutto viviamo insieme e chi convive deve prendersi cura l’uno dell’altro.»

Mi parlò con quell’espressione insopportabilmente felice e dopo iniziò a canticchiare dandomi una carezza sulla testa: era troppo persa nei suoi pensieri per essere cosciente del mio umore e capii con un misto di delusione e sollievo, che quelle premurosità avevano a che fare con il suo stato d’animo e non con il mio.

«Rita, è successo qualcosa con Fede, vero?» Mi decisi ad affrontare il discorso che sicuramente non vedeva l’ora di iniziare:

«Oh Pasi, speravo che lo chiedessi! Sono così felice e avevo bisogno di condividere la mia gioia con qualcuno che mi avrebbe capito!»

Eh già, Sofia non si era dimostrata lieta all’idea che Fede e Rita tornassero ad essere una coppia, mentre io ero stata più che felice all’idea…

«Io e Fede abbiamo ufficialmente deciso  di riprovarci, ci siamo visti in queste settimane e ne abbiamo parlato, abbiamo discusso tantissimo analizzando ogni piccolo fattore positivo e negativo… poi ieri all’improvviso mi ha guardato e mi ha detto: “Basta, mi sono stancato di parlare, io ti amo e voglio stare con te, il resto lo affronteremo insieme, qualsiasi cosa accada!” Non sono parole meravigliose?»

Il viso di Rita era così luminoso da rischiarare l’ambiente in cui eravamo: erano davvero delle belle parole quelle di Fede, talmente belle che mi fecero male: Emile mi avrebbe mai parlato in quel modo, mi avrebbe mai rivolto parole simili?

«Sì, sono davvero belle!»

Stiracchiai il mio migliore sorriso e ascoltai il racconto di Rita, che persa nella sua gioia egoistica da innamorata, non si era minimamente resa conto di quanto mi stessi sforzando di essere allegra: m’immersi nella sua felicità gioendo con lei, ma con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per il senso di tristezza e solitudine che sentivo dentro.

 

 

*****

 

«Ora basta! Mi sono davvero stancata!»

«Testarossa… che ti prende?» Stè mi guardò con l’aria più sorpresa del mondo: eravamo da Simona, ognuno immerso nei propri pensieri, quando all’improvviso quella parte di me che più amavo, quella che mi aveva sempre incitato a combattere per ciò in cui credevo, prese finalmente il sopravvento sulla Pasi piagnucolona e triste che ero stata negli ultimi giorni.

Emile faceva il prezioso? Allora gli avrei ricordato che esistevo anche io!

Non dovevo assoggettarmi alla sua volontà, doveva rendersi conto che stare con qualcuno significava venirsi incontro ed io ero stanca di essere messa all’angolo!

«Sto bene Stè, non è niente… potresti darmi un passaggio?»

 

 

 

*****

 

Mi feci accompagnare a casa di Emile: molto probabilmente era ancora a provare e molto sicuramente non sarebbe stato contento di vedermi lì, ma io ero esasperata, la sua mancanza mi stava lacerando e la paura che si stesse allontanando da me non mi faceva più dormire, avrei preferito mille volte vederlo arrabbiato,  piuttosto che continuare questo gioco dell’indifferenza! 

Appena entrai, sentii le familiari vibrazioni provenienti dal piano sottostante e le parole di Alberto confermarono che, come previsto, i GAUS erano ancora intenti a provare.

«Sì bimba mia, sono lì sotto da ore… sicuramente Emile li sta sfinendo, è un perfezionista e dato che questi sono i brani da incidere, sta massacrando i ragazzi con le prove! Scendi da loro, serve un po’ di pausa a tutti!»

Ero già determinata a scendere quelle scale, ma l’incoraggiamento di Alberto mi diede del coraggio aggiuntivo, in più ero desiderosa di vedere Emile in sala prove, così non persi tempo e scesi nel piano interrato. Le scale conducevano ad un piccolo ambiente più lungo che largo, in cui rimbombavano le vibrazioni emesse dagli strumenti musicali: un tavolino circondato da sedie era situato verso la parete di sinistra e un divanetto  era posto lungo il resto della stanza, mentre sul fondo era visibile un piccolo frigorifero. Le pareti erano tappezzate di posters dedicati alla storia della musica, interrotti solo da una bacheca su cui erano apposti un calendario scribacchiato su cui campeggiavano una sequenza quasi ininterrotta delle parole “prove” e “incisione” più qualche sporadico: “incontro col produttore”.  Accanto ad esso c’erano anche dei bozzetti, con il nome dei GAUS in bella mostra: probabilmente erano le prove per la copertina dell’album!

Sulla parete di destra, mimetizzata dallo stesso colore azzurro delle pareti, c’era la porta di quella che doveva essere la sala prove: da quella direzione sentivo provenire le vibrazioni, ma in quel momento mi accorsi che l’ambiente si era fatto improvvisamente silenzioso e privo di onde sonore. Immaginai che i ragazzi avessero sospeso le prove, quello era il momento propizio per annunciarmi! Mi avvicinai alla porta: mi stavo allungando alla maniglia per aprirla, quando d’improvviso ne uscì Claudio, col viso arrossato e un’asciugamani sul collo. Fu sorpreso di vedermi lì, ma c’era più che altro una nota di disappunto sul suo viso, come se non fossi una presenza gradita…

«Emile! C’è la tua coda qui!»

Stavo per replicare a quel modo sgarbato di presentarmi, ma Claudio salì le scale, probabilmente in cerca di refrigerio, togliendomi la possibilità di difendermi.

«Pasi! Che ci fai qui?»

La voce sorpresa di Emile mi arrivò come una scossa dietro la schiena, mi preparai a ricevere una sonora ramanzina per il mio autoinvito non richiesto, ma quando mi voltai l’unica cosa che il mio cervello riuscì a comprendere, fu quanto profondamente mi fosse mancato quel viso!

Il mio Pel di Carota si avvicinò e gli presi una mano:

«Avevo voglia di vederti, è da tanto che non abbiamo modo di stare insieme… Mi mancavi e speravo che avessi finito con le prove…» i suoi occhi si fecero intensi, non saprei dire se fosse per piacere o fastidio nel sentire quelle parole, però non mi mandò via, né mi fece ramanzine come avevo temuto.

«Ne abbiamo ancora per un po’, mancano alcuni pezzi… puoi restare qui se vuoi.» mi fece un caldo sorriso e mi accarezzò la guancia, così presi coraggio ed entrai.

Maurizio a stento mostrò di avermi vista, mentre Francesco e Filippo mi salutarono allegramente: grazie a loro mi sentii la benvenuta e quando Claudio tornò, gli lanciai un’occhiata inacidita e mi accoccolai in un angolo pronta ad ascoltarli.

La prima nota la sentii dritto nel cuore e per tutto il resto del tempo, la musica e il canto diventarono parte del mio sangue: il mio corpo percepiva tutte le vibrazioni e le assorbiva dentro di sé, divenni un tutt’uno con le loro melodie. Fu un effetto molto più forte e intimo rispetto alle volte in cui li avevo sentiti dal palco: l’ambiente era piccolo e gli amplificatori erano tutti intorno a me e la voce di Emile, quella voce che tanto mi aveva rapito mesi prima, ascoltata ad una distanza così ravvicinata mi dava i brividi.

Mi sentii pervasa dalla musica e per un attimo capii come doveva sentirsi un musicista, con quel dono nel sangue che scalpitava ogni giorno: sentire la musica nel proprio respiro, nel proprio battito cardiaco, essere in grado di creare nuove melodie direttamente dall’interno di sé,  non per una pressione indotta come con gli strumenti, ma perché era già dentro il proprio animo. Quell’animo in grado di percepire le note in un alito di vento o nello sciabordio dell’acqua…

Il mondo dei musicisti era un mondo più ricco, carico di espressioni da esternare o nuove melodie da scoprire… un mondo sospeso tra il nostro e quello dell’immaginario.

Sull’onda di quei pensieri, paradossalmente d’un tratto sentii Emile lontano da me, per quel suo essere così speciale, perché tutto ciò che sentiva quando scriveva, quello che provava quando cantava e suonava, io potevo a malapena immaginarlo.

Quando cantava, Emile vibrava: il suo sguardo era intenso, la sua voce mi scuoteva… e sentivo in ogni sua nota, la dedica silenziosa a sua madre e al mondo che era stata costretta ad abbandonare. Era così intenso che solo le loro continue interruzioni riuscivano a distogliermi da ciò che mi trasmetteva.

E in uno di quei frangenti, mi resi conto di quanto fosse esigente col suo gruppo:

«Claudio eri fuori tempo.»

«Ma cosa dici? Io ero perfettamente in tempo, sei tu che hai l’abitudine di variare i pezzi e poi non ti trovi più.»

«Le mie variazioni sono minime e sono per sperimentare l’esecuzione migliore, o preferisci offrire al pubblico  una versione scialba e incolore del nostro primo album?»

«Emile non essere pignolo, era impercettibile, nessuno si sarebbe accorto che era fuori tempo e poi siamo un po’ stanchi, è normale avere qualche calo nell’esecuzione.» disse Filippo, conciliante.

«Io non ero fuori tempo! Vi siete messi d’accordo per far fare bella figura al signorino con la ragazza?»

«Che cosa vuoi dire!?» Emile iniziò ad infuriarsi: aveva lo sguardo pericolosamente concentrato su Claudio e la voce minacciosa.

«Calma, calma, ragazzi! Stiamo provando da ore e siamo stanchi, smettiamola con questi toni, non è una serata di lotta libera!»

Al pari del fratello, anche Francesco cercò di smorzare la tensione improvvisa che si era creata nell’aria… ma gli sguardi tra Emile e Claudio non promettevano nulla di buono.

«Vuoi fare sempre la primadonna, ecco cosa intendo! Decidi tu il tempo di un brano, poi lo cambi improvvisando, decidi tu quanti pezzi includere nella scaletta, quando fare le prove… Ti comunico che in questo gruppo siamo in cinque! Ci hai lasciato come degli idioti in Germania per due giorni, per correre dietro le gonne di quella lì: eravamo  in tour se non sbaglio! Non sei tu quello che non guarda in faccia a niente quando c’è la musica di mezzo? Quello che non ha avuto remore a dirmi che se non mi stava bene ad anteporre il gruppo su tutto, potevo anche andarmene? Allora piantala di fare la primadonna isterica e impara ad ascoltarci!»

Emile era furioso, «Razza di smidollato…» stava per saltare addosso a Claudio, nonostante il batterista fosse più alto e più grosso, quando m’intromisi nel discorso: ero stata messa in causa e non potevo lasciar correre:

«Ehi, parla di me con più rispetto! Emile non è venuto dietro le mie gonne, si dà il caso che…»

«Pasi non t’intromettere!» Emile si rivolse verso di me furioso, ma non mi feci intimorire e replicai:

«No  Emile, mi ha tirato in mezzo!»

«Non m’interessa! Non è una cosa che ti riguarda questa!»

«Ah beh, scusami tanto se ho le orecchie e gli occhi e ho sentito e visto che mi si tirava in ballo! Fino a prova contraria, questo significa che mi riguarda!»

«Pasi esci fuori di qui!»

«No, non me ne vado!»

«Ti ho detto ESCI FUORI DI QUI!»

Il suo volto era furente, gli occhi erano due pozze azzurre d’ira, il viso rosso di rabbia: per un attimo ebbi paura di lui. Ma dopo pochi attimi, ripresi padronanza di me stessa e del mio corpo e uscii da quella saletta furiosa e umiliata.

 

*****

 

Me ne andai nel laboratorio di Alberto a sfogare la mia rabbia, per essere stata trattata da Emile in quel modo. E soprattutto davanti al suo gruppo, che mi aveva criticato.

Mi sedetti a terra, accanto al cavalletto e ai colori abbandonati, immersa tra le tele di Alberto che sprizzavano gioia di vivere e serenità proprio come lui.

Strinsi le ginocchia al petto e piansi di rabbia, e solo quando scaricai tutto il nervosismo, iniziai a respirare lentamente per riacquistare serenità. Solo mezz’ora prima ero finalmente con lui e unita alla sua musica e invece ero finita con l’essere cacciata via in malo modo dal suo mondo. Tutte le mie angosce, tutti i dubbi che si erano arrovellati nel mio cervello in quei giorni, esplosero dentro di me: mi sentii un peso per lui, qualcosa di estraneo al suo cuore, qualcuno che non voleva far entrare nel suo animo. Ero davvero offesa e furente con lui per il modo in cui mi aveva trattato e per come mi stava facendo sentire. Ma ero furiosa anche con me stessa, per essermi mostrata nuovamente una sciocca emotiva, per essermi sentita così legata a lui da non riuscire ad attendere un altro giorno per vederlo e finire con l’essere cacciata via in quel modo.

Dov’era la Pasi orgogliosa, quella che non si faceva zittire, che sapeva difendersi da tutti? Dov’era la me stessa che s’infuriava e reagiva e che non finiva a fare la stupida ragazzina offesa e in lacrime, incapace persino di lasciare quella casa per il desiderio di essere rincorsa e non lasciata a se stessa?!

Ero davvero patetica, non ero cambiata minimamente e questo forse mi bruciava anche più del modo duro con cui mi aveva trattato Emile.

Poco tempo dopo, sentii le voci dei ragazzi che risalivano dal sottoscala e la porta di casa che si apriva per farli uscire. Attesi di veder comparire Emile, nella speranza che mi cercasse: quando emerse dall’uscio della porta mi chiusi in un mutismo offeso, pronta a sentire cos’aveva da dire. Mi guardò con un’espressione intensa tra l’arrabbiato e il preoccupato, poi lo vidi abbassare le spalle e sospirare prima di sedersi accanto a me.

«Scusami, lo so che sono stato rude, ho avuto una reazione eccessiva...»

«Mi hai umiliata.» sentenziai con rabbia, senza nemmeno guardarlo in viso.

«Cosa? Umiliata? E in che modo scusa? Solo perché ti ho detto che la faccenda non ti riguardava?»

«È stato il modo, Emile!» mi girai in sua direzione furente: «Mi hai imposto di stare zitta, come se fossi stata una stupida oca, davanti a tutto il tuo gruppo! Sono settimane che mi allontani da te, che mi sento qualcuno di troppo e con il tuo comportamento di oggi mi hai fatto sentire una nullità, proprio quando mi stavano anche offendendo!»

«Claudio non ce l’aveva con te! Offendeva me casomai! Tu eri solo il mezzo con cui voleva colpirmi!»

La voce di Emile iniziò ad assumere dei toni più alti; stava per nascere una bella discussione.

«Proprio perché sono stata messa in mezzo, volevo replicare! Nessuno può parlare di me in quel modo senza che io replichi!»

«Lo vuoi capire che non c’entravi nulla nel discorso?! Eri solo un pretesto per mettere zizzania, ma tu non hai nulla a che vedere con il mio gruppo e la mia musica!»

Emile era adirato ed io ancora ferita e quella frase fu un colpo diretto al mio cuore:

«Scusami tanto se sono un fardello da portare, un peso che ti trascini e ti tiene lontano dalla musica!» Iniziai a sentire le lacrime tornare nei miei occhi e lottai per cacciarle dentro.

«Ma cosa vai farneticando, Pasi? Ma quale fardello? Perché fai la melodrammatica ora?»

«Io non faccio la melodrammatica! Parlo per ciò che vedo e ho visto che sono di troppo, che quando suoni io non conto più nulla, non hai più bisogno di me!» Nonostante le mie proteste, iniziai a piangere…

«Te l‘ho detto sin dall’inizio che la musica è al centro della mia vita ed ora soprattutto non ho tempo per altro! E se vogliamo dirla tutta, nemmeno tu hai bisogno di me quando hai il tuo cavaliere biondo accanto!» Il tono di voce di Emile si fece amaro, come se portasse un pensiero doloroso dentro di sé da tempo.

«Il mio cav... Emile non posso crederci! Stè è come un fratello per me! Cosa diavolo stai insinuando? Nemmeno i quindicenni fanno più capricci simili!»

Sapevo che con quest’accusa l’avrei ferito, Emile era sempre stato responsabile, anche da bambino e dargli dell’immaturo era un’offesa pesante per lui, un po’ come lo era per me sentirmi dare della pettegola.

«Ah, quindi sarei uno stupido quindicenne? Ok, va bene, allora lo stupido quindicenne ora alza i tacchi e si chiude in camera sua a sentire musica, perché è un moccioso idiota che non vuole confrontarsi con gli altri!»

Detto questo si alzò e andò via furioso dal laboratorio, dove io rimasi sola e in lacrime. Dopo una mezz’ora, ripresa la calma e la padronanza di me, mi alzai e me ne andai, incurante di salutare Alberto o di sapere dove fosse Emile.

 

*****

 

Ero davvero sfinita, confusa, arrabbiata… ero preparata ad un confronto tra noi, ma non avrei mai creduto di finire in quel modo quella giornata, maledicendo me stessa per la mia stupidità, per la mia fragilità e arrabbiata a morte con Emile che non mi aveva capita e che era stato in grado di umiliarmi più volte nel giro di poche ore. E quell’assurda gelosia nei confronti di Stè!

Avevo sempre dovuto combattere per affermare il mio legame con Testa di Paglia e alcune volte, avevo anche scelto di allentarlo per evitare discussioni sterili col ragazzo di turno… ma non avrei mai più anteposto qualcun altro ai miei amici: i ragazzi vanno e vengono, mente loro mi sono sempre stati accanto! Per di più non avrei mai immaginato che una persona come Emile, potesse essere preda di un sentimento così sciocco!

Eppure era la testimonianza che lui ci tenesse a me… anche se era il modo più stupido di manifestarlo: proprio Stè, che era a pezzi per il vuoto che gli aveva lasciato Simona! E poi quel suo ritorcermi contro, la stessa accusa che gli avevo fatto io, quello era stato davvero un atto infantile! Non l’avrei perdonato facilmente, non mi sarei di nuovo abbassata ad andargli incontro! No, non dovevo più annullarmi e perdonare sempre… soprattutto con lui!

Avrebbe dovuto riflettere su ciò che aveva fatto, su come mi aveva umiliato, sulla sciocchezza che aveva insinuato!  Non avrei tollerato altro che le sue scuse, anche se fossi stata costretta a soffrire per la sua mancanza, anche se mi fosse costato non vederlo per un po’, ma io non avrei ceduto!

Sentii il bisogno di sfogare la mia rabbia con qualcuno… in una vita che mi sembrò lontana anni luce, sarei andata direttamente da Stè, ma con l’accusa che mi aveva rivolto Emile e sapendo quanto ancora lui stesse male per Simona, i miei problemi sentimentali erano l’ultima cosa che avrebbe dovuto sentire! Fede e Rita molto probabilmente erano insieme e la presenza di un terzo incomodo non sarebbe stata affatto gradita… Mi restava Sofia e pensai che forse il suo modo razionale di vedere le cose, che normalmente aveva la capacità d’irritarmi, in quel frangente mi sarebbe stato d’aiuto per schiarirmi le idee e riflettere a mente lucida… Anche se ero certa che non avrei mai cambiato la mia risolutezza a non cedere di fronte ad Emile.

 

 

Non mi soffermai nemmeno a chiamarla per sapere se fosse in casa: Sofi era una pantofolaia convinta e probabilmente anche un po’ sociopatica, tuttavia aveva un modo sottile e attento di comprendere il mondo e le sue leggi.

Bussai alla porta di casa e mi aprì suo padre: era l’unico genitore con cui vivesse da quando la madre si era separata dal marito. Siccome non era stata reputata in grado di mantenere la figlia piccola, Sofia era stata affidata al padre, vivendo da quel momento come se avesse un solo genitore, poiché sua madre risultò davvero poco capace di prendersi a cuore la figlia. Sofi, già di per sé acuta e più intelligente della norma, in quel modo iniziò a crescere con un senso di responsabilità più alto rispetto ai suoi coetanei. 

Quando il padre mi annunciò, rimase sorpresa di vedermi:

«Qual buon vento Pasi!»

In quel momento mi sentii vagamente in colpa con lei: Stè era sempre la mia meta quando avevo voglia di stare in compagnia, Fede lo vedevo ogni giorno in comunità e Rita, a parte quell’ultimo periodo in cui ero diventata sua convivente, avevo sempre avuto modo di sentirla. Sofi invece  era ai margini delle mie amicizie.

Le volevo davvero bene, ma caratterialmente eravamo agli antipodi: sempre agitata io, calma all’estremo lei, per quanto fossi  impulsiva io, tanto era razionale e pacata lei e spesso la sua logica era così sbaragliante da non lasciarmi modo di replicare ed io odiavo essere zittita!

Però Sofi aveva anche una profondità che mi faceva riflettere, che mi aiutava a guardarmi dentro e a non buttarmi a capofitto in tutte le cose senza averci riflettuto su almeno un po’. O almeno qualche volta ci provavo!

«Ciao Sofi… ecco… passavo di qui e mi sono detta “Quasi quasi vado da lei”…»

«Cosa c’è che non va, Pasi? Si vede lontano un miglio che non sei in te. Hai litigato con Emile?»

Era proprio inutile fingere con i miei amici… oppure ero io incapace di celare le mie emozioni al genere umano!?

«È così palese?!» abbassai le spalle sconsolata.

«Coraggio, ci prendiamo una bella cioccolata e me ne parli, ok?»

 

 

*****

 

«Uhm… proprio una bella litigata, non c’è che dire!»

«Già… ed ora sono così arrabbiata con me e con lui!» Appoggiai sconsolata la testa sul tavolo della cucina, davanti alla mia tazza di cioccolata, «In questo momento non so  nemmeno se l’amo o l’odio di più!»

Sentii Sofi poggiare la sua tazza sul tavolo: 

«Da come hai reagito, è chiaro che l’ami, com’è chiaro che vi riappacificherete.»

«Questo lo so anch’io! Il problema sarà la modalità! Io non voglio cedere e so che anche lui non è un tipo che chiede scusa facilmente… soprattutto dopo essersi sentito dare dell’immaturo!»

«Io non direi che si faccia troppi problemi Pasi, ti ha chiesto scusa appena ti ha vista, no? Secondo me, dovrai solo attendere che si faccia vivo… oppure lanciargli tu un segnale che lo stai aspettando.»

«Oh no, no, no! Io non lancio proprio alcun segnale Sofia!  Se lo capisce è bene, sennò significa che non c’è comunicazione fra noi!»

«La comunicazione tra voi non c’è proprio se rimani con questo stupido puntiglio! Come pensi che possa capire cosa ti aspetti da lui, se non gli mandi dei segnali? E poi, a dirla tutta, questo tuo atteggiamento mi sa proprio di infantile.»

Quell’affermazione di Sofia mi fece alzare di scatto la testa per fronteggiarla: 

«Infantile io? Ma Sofi, sto cercando di proteggere la mia dignità! Non posso e non voglio passarci sopra e fingere che non mi abbia ferito, in modo da permettergli di farlo ancora!»

«Pasi, il modo migliore per evitare che succeda è quello di parlagli, ma senza rancore, senza offese, senza sputare veleno né da parte sua, né parte tua! Fagli capire che sei arrabbiata ma anche che vuoi risolvere la faccenda e trovare un modo per venirvi incontro. Sembrate due bambini che si sono offesi a morte e che vogliono far la pace, ma che di sicuro aspettano che l’altro faccia la prima mossa… È questo il rapporto maturo che vuoi stabilire con Emile?» Tornai ad abbassare il capo, mi sentii davvero una stupida in quel momento: 

«No… non voglio questo…»

«Allora rifletti bene sul modo più giusto d’agire, pensa al modo migliore in cui puoi fargli capire le tue ragioni e nello stesso tempo farlo ragionare senza recriminazioni. Offendervi l’un l’altra non vi aiuterà di certo a comunicare e ad accorciare le distanze tra di voi! Ancora un po’ di cioccolata?»

«Sì, grazie!»

 

 

*****

 

Ero di ritorno da casa di Sofi, diretta a casa di Rita (con la speranza che non fosse in compagnia di Fede), quando squillò il cellulare: il mio cuore balzò in gola al pensiero che fosse Emile, ma sapevo che non poteva essere lui, anche se c’ero andata vicina: a chiamarmi era suo padre.

«Pasi stai bene? Cos’è successo? Quando sei andata via? Emile non mi ha detto nulla e non ha voluto rispondermi quando gli ho chiesto dove fossi.»

«È tutto ok, sto bene… m-mi sono ricordata di avere un impegno  urgente all’improvviso e sono corsa via…» ecco la stupida balbuzie che tornava a colpire! Alberto non se la sarebbe bevuta.

«Avete litigato, piccola?»

«Un po’…» non riuscii a continuare, sentivo l’odiato magone far capolino nella gola e dopo un attimo sentii un sospiro provenire dal cellulare:

«Quel figlio mio e la sua lingua tagliente! Vedrai che si renderà conto di aver esagerato e ti cercherà per chiederti scusa. Ora distraiti un po’ e non angosciarti troppo, ok? Sono cose che capitano purtroppo, soprattutto con Emile!»

«Sì…» l’affetto che sentii per quell’uomo, m’investì all’improvviso come il sole dopo un temporale e mi scaldò il cuore, che sentivo gelido da ore.

«Grazie per aver chiamato.»

«Di nulla piccola, ti voglio bene.» il magone stava per tramutarsi nuovamente in pianto; quale potere avevano su di me gli uomini di quella famiglia!?

«Anche io… anche io ti voglio bene!»  E staccai la conversazione prima che Alberto sentisse il mio pianto improvviso.

 

 

*****

 

Rita non era in casa: il silenzio più totale regnava in quell’appartamento, così decisi di andare a dormire. Nel buio e nella solitudine di quel lettone, mi resi conto di non sentirmi più a mio agio ad essere ospitata dalla mia amica e quel pensiero, unito alla giornataccia che avevo appena vissuto, contribuì a farmi sentire ancora più sola.













__________________________________________
NDA
Cosa sarebbero Emile e Pasi senza le loro litigate? E in questo caso hanno dato proprio il meglio (o il peggio a seconda dei punti di vista) di loro! Non mi linciate se vi siete depresse e/o arrabbiate, è tutta colpa di Emile U_U *me sente il rossino che la guarda con aria minacciosa e dice "Che razza di madre snaturata!"*

Sempre perchè io non mi ossessiono, sto procedendo con la revisione degli ultimi capitoli e con mia grande gioia sto scrivendo ancora *me fa la ola* così dagli iniziali 19 capitoli, ora me ne trovo 22, dei quali gli ultimi 3 sono ancora da controllare e sistemare (pignoleria portami via). Quindi anche se siamo sempre più vicini alla fine, la vostra lettura sarà prolungata un pò rispetto al previsto ^ ^

Detto questo, passiamo all'Angolo dei Ringraziamenti.
Tesore, siete sempre meravigliose, siete sempre più partecipi ed entusiaste, per cui io continuo a ringraziarvi dal profondo del cuore!
Un grande e immenso ARIGATOU a:
Iloveworld, la madrina di questo racconto, colei che per prima mi ha incitato a pubblicarlo, che nonostante i problemi di connessione ha trovato il modo di leggere e recensire. Tesorina mia, non ho parole, sono davvero commossa e gratificata dal tuo affetto, grazie davvero!!! *_* (Se avete voglia di fantasy e di una storia dolce e romantica, iniziate a leggere il suo Ali d'Argento, non ve ne pentirete!)
Vale, Niky, Concy, Saretta, che danno linfa vitale a questa storia con le loro recensioni puntuali ed entusiaste. Sorelline mie, siete i miei pilastri <3<3<3
Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono con altrettanto entusiasmo. Tesore mi fate felice ogni volta che mi date segno del vostro affetto e appoggio <3

Un grandissimo ARIGATOU va anche a tutti coloro che hanno messo questa storia nelle seguite, e tra le preferite; mi riempite di gioia con il vostro apprezzamento! *_*
E grazie un milione di volte a tutti coloro che mi sponsorizzano ARIGATOU GOIZAMASU!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16







 

Trascorsi due giorni nel tentativo di non pensare a quello che era accaduto tra me ed Emile, ma l’impresa si rivelò ardua, soprattutto nel momento in cui andavo a prestare il mio solito aiuto a Claudine. Iniziai anche a maledirmi per aver deciso di scendere in quel seminterrato quel pomeriggio… Pensare che ero così determinata a pretendere un po’ di tempo per me e invece ero finita con l’essere messa alla porta... sarebbe stato meglio se fossi rimasta con Stè!

Le ore accanto a Claudine passarono lente: avevo sempre il timore d’incontrarlo, ben sapendo che in quell’orario era a lavoro… non volevo vederlo, o meglio avrei voluto che fosse stato lui a venire da me… d’un tratto mi risuonarono in testa le parole di Sofia:

“Come pensi che possa capire cosa ti aspetti da lui, se non gli mandi dei segnali?”.

Ripensai allora al periodo in cui comunicavamo tramite bigliettini e decisi di mandargli un sms… provai e riprovai tutto il tempo, cercai di trovare un modo per esprimere la mia rabbia ma senza recriminare, in modo da fargli comprendere senza offenderlo, quanto profondamente mi avesse ferito. Prima di andarmene diedi un saluto alla sua stanza con lo sguardo e sperai dentro di me che il suo occupante, capisse ciò che volevo dirgli.

 

Non voglio essere ancora arrabbiata con te, ma non riesco a dimenticare ciò che è accaduto. Ho voglia di parlarti, ho bisogno di discutere la faccenda a mente lucida e senza recriminazioni. Mi manchi.

 

 

*****

 

Intanto la situazione in comunità iniziò a precipitare: ci comunicarono ufficialmente che entro la fine del mese, avremmo dovuto abbandonare quel luogo e a conti fatti, restavano due settimane per trovare una nuova sede per i residenti e un nuovo lavoro per noi dipendenti.  In quei giorni pensai spesso alla proposta di Fede, soprattutto dopo quello che era accaduto con Emile, che avvalorava la mia decisione di non sentirmi una sua appendice, un qualcosa che dipendeva dai suoi spostamenti.

Gli avrei fatto vedere di che pasta ero fatta, gli avrei mostrato (ma l’avrei fatto soprattutto a me stessa), che avevo anch’io dei progetti, indipendenti dai suoi e dalla sua presenza nella mia vita.

Decisi di parlare a Fede per accettare di condividere il suo sogno e farlo mio.

Lo trovai in quella che doveva essere la sede della prima fase della nostra avventura: il mio amco non aveva perso tempo ed era riuscito già a trovare un locale per la nostra attività, provvisto di anticamera, bagno e altre due salette che sarebbero diventate i nostri “uffici”. Il progetto iniziale prevedeva che il nostro fosse un centro di ascolto e di orientamento, dotato di depliants informativi su psicologi e/o centri di aiuto mentale. Non potevamo avere già una figura professionale, non avendo carte in mano, ma almeno potevamo aiutare chi aveva problemi psicologici a scegliere la giusta strada.

Purtroppo questo sarebbe stato più che altro un impegno di volontariato, il che implicava che avrei dovuto cercarmi un altro lavoro e che probabilmente avrei dovuto anche rinunciare al mio appuntamento con Claudine!

La mia vita stava cambiando di nuovo radicalmente ed io ancora non avevo tutte le idee chiare su come affrontare questi stravolgimenti: non volevo lasciare Claudine, ma non volevo nemmeno tirarmi indietro, avevo fatto la mia scelta ed ora dovevo affrontarne le conseguenze!

Fede fu felicissimo di sentirmi convinta ed entusiasta del suo progetto e probabilmente si aspettava che gli dicessi di sì sin dall’inizio, poiché mi lasciò subito le chiavi del locale, la mia copia di chiavi, quando andò via lasciandomi a sistemare i primi mobili che era riuscito a recuperare. Tra questi c’era anche la cassettiera di Emile: evidentemente l’aveva reclamata a sé, essendo stato un suo acquisto ed ora si trovava lì con noi, a farci compagnia, a sostenerci e a ricordarmi quanto tremendamente mi mancasse quella stupida Testa di Carota!

 

*****

 

Tornai a casa, o meglio a casa di Rita, che come al solito non era presente: stavolta mi lasciò un biglietto spiegandomi che non sarebbe rientrata per la notte… considerando la fuga improvvisa di Fede immaginai dove potesse essere e soprattutto con chi. Quindi mi preparai a trascorrere un’altra notte solitaria e silenziosa. Mi faceva male essere in quella casa: probabilmente se avessi vissuto da sola avrei sentito meno la sensazione di essere stata dimenticata.

L’amarezza, la rabbia e l’idea di essere un peso per Emile, sommati al vuoto silenzioso che trovavo rincasando, davano alle mie notti un’agitazione e una disperazione che iniziavano a pesarmi: odiavo stare sola e in quel frangente la situazione era diventata insopportabile! Se solo Emile fosse comparso all’improvviso, chiedendomi scusa e dicendomi che ero più importante di ogni cosa per lui!

Ma quelle erano scene da film, nella realtà non sarebbero mai accadute. Mi buttai sul letto sconsolata e mi addormentai.

Il mio sonno però, durò poco: mi svegliai di colpo sentendo squillare il cellulare: era Emile!

«Pronto...»

«Sei in casa?»

«Sì.»

«Sono davanti alla porta.»

«Qui? Davanti alla porta di questa casa?»

«Sì… posso entrare o torno a casa e parliamo per telefono?»  Il solito acido… non si smentiva mai!

«Arrivo.»

Con il cuore in gola, fuggii in bagno per darmi una sciacquata al viso e sistemarmi i capelli (per quel poco che potevo, volevo rendermi presentabile!) e aprii la porta.

Era sempre un’emozione forte vederlo: la sua figura alta e snella, il suo viso sottile dagli zigomi alti, quegli occhi capaci di contenere sia il freddo del ghiaccio che l’impeto del mare e i suoi riccioli infuocati…

La sua espressione era seria e concentrata,  i suoi occhi di un azzurro intenso e il mio cuore sussultò di una dolorosa gioia nel vederlo.

Ci accomodammo sul divano dove settimane prima mi aveva stretto a sé, seduti accanto ma rivolti l’uno di fronte all’altra. Iniziò a crearsi della tensione: lui non parlava mentre io attendevo che lo facesse e dopo dei secondi infiniti, non ressi più ed iniziai la conversazione:

«Hai letto il...»

«Sì… ma sarei venuto comunque, se non oggi, domani… questa situazione non piace nemmeno a me, ma ho avuto problemi con la band in questi giorni e non ho avuto tempo per...»

«Problemi con la band? A causa di ciò che è accaduto l’altro giorno?»

Era mai possibile che quel litigio tra Claudio ed Emile avesse creato così seri problemi? Ed era vero che non c’entravo nulla in quella storia?

«Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, c’erano già attriti tra noi, che ora stanno esplodendo...»

«Ma proprio ora che dovete pubblicare l’album!»

«Pasi, non sono venuto qui per parlare del gruppo!» Mi freddò in un istante, ancora una volta non voleva che m’intromettessi nella sua vita professionale!

«Già, io non c’entro nulla con la tua musica, vero?»

Gli rivolsi uno sguardo amareggiato: non volevo arrivare a discutere animatamente, ma quell’argomento mi aveva ferito troppo per non mostrarlo così apertamente. Emile chiuse gli occhi e fece un sospiro, come a volersi dare forza e parlò:

«Lo so che ho sbagliato. L’ho ammesso sin dall’inizio di essere stato troppo brusco con te… e mi dispiace davvero di averti ferita e fatto sentire di troppo. Non era quella la mia intenzione.»

«E qual era la tua intenzione?» Parlai con calma, ponderando bene le parole… sperai che la rabbia non mi assalisse e che riuscissimo a parlare civilmente senza offenderci, come la volta precedente.

«In quel momento volevo solo mandarti via.»

«Non capisco: se non ero di troppo, perché allora non volevi che fossi lì?»

Emile abbassò il capo, sembrava che stesse riflettendo su cosa dire e dopo qualche secondo rialzò il viso in mia direzione:

«Ricordi che quando ti ho detto di amarti, ho anche aggiunto che ne ero terrorizzato?» Ricordavo benissimo il suo volto tormentato mentre mi diceva d’amarmi, non l’avrei mai dimenticato!

«Sì, certo.»

«È ancora così Pasi, io ho paura di ciò che provo per te, perché mi fa agire diversamente dal mio solito.» la stessa situazione che vivevo io…

«Tu non ti rendi nemmeno conto di cosa ci sia qui dentro di me quando ti penso! Smetto di essere ciò che sono, il mio mondo cambia all’improvviso ed io perdo il senso delle cose! Tu diventi tutto ciò che mi fa muovere, tutto cade in secondo piano ed io abbandono ciò per cui finora ho vissuto.»

Se fossero state dette con un altro tono, quelle parole avrebbero costituito una delle dichiarazioni più belle che avessi mai sentito in vita mia e invece in quel momento, erano cariche di paura.

«Quello che ha detto Claudio è vero: ho sempre imposto al gruppo di pensare prima di tutto alla musica e alla carriera e invece io sono stato il primo a non farlo! Sia chiaro che non me ne pento: verrei da te altre mille volte, perché in quel momento sentivo che dovevo esserti accanto. Ma è vero anche che quel gesto mi ha mostrato quanto potere tu abbia su di me.»

Io avevo potere su di lui… io che fino a pochi secondi prima credevo di essere un peso!

«Quando sono venuto con te al cimitero, ho visto il forte legame e l’intesa che ti legano a Stefano, ho visto il modo in cui interagite, la confidenza che avete e mi sono sentito niente a confronto! Sì, sono geloso Pasi, perché io non sarò mai così spontaneo, perché gli anni che vi hanno legato li ho persi e non potrò recuperarli e non so nemmeno se riuscirò mai ad avere una confidenza così spiccata con te! E questa gelosia mi ha colpito all’improvviso come un pugno in pieno viso, perché in quel momento ho perso di vista tutto, la razionalità mi ha abbandonato… Così mi sono imposto di concentrarmi solo sulla musica, per non pensare al potere che avevi su di me…  ma più ti tenevo a distanza e più mi mancavi e questo mi ha fatto infuriare!»

La sua mano era serrata a pugno, stava trattenendo l’ira che gli era tornata ripensando a quei momenti.

«Le parole di Claudio stavano solo confermando ciò che già mi stavo rimproverando, per questo averti lì ha amplificato la mia ira. La rabbia che ho rivolto a te in realtà era diretta a me! Perché non sono capace di essere me stesso e perdo di vista i miei obiettivi!» Abbassò lo sguardo colpevole, come se le accuse che rivolgeva a se stesso le vedesse riflesse sul mio volto.

Incapace di tenere le distanze da lui ulteriormente, poggiai una mano sulla sua, prima di parlare:

«Anch’io sono arrabbiata con me stessa, per averti permesso di farmi sentire in quel modo. Quando sto con te divento una rammollita, sempre pronta a piangere invece che a far valere i suoi diritti ed io odio sentirmi così. Però ho fatto un giuramento con me stessa e so che anche se qualche volta inciamperò, non perderò la strada che ho intrapreso. Ciò che proviamo l’uno per l’altra è qualcosa che ci arricchisce e non deve toglierci nulla di ciò che siamo… ma probabilmente lo capiremo solo dopo aver fatto altri sbagli.»

«Pasi, questa è la prima volta in vita mia che mi faccio travolgere così dai miei sentimenti! Finora non ho mai aperto il mio cuore alle ragazze che ho avuto. Erano solo un divertimento che finiva in breve tempo, un trastullo senza coinvolgimenti… tu sei la prima che mi abbia mai fatto un effetto simile!»

Il cuore mi balzò in gola: l’intensità del tono di Emile, le sue parole, mi stavano scombussolando interiormente, sentivo in qualche modo la sua sensazione di essere travolto da un tifone che gli aveva messo a soqquadro le idee e i sentimenti, che gli faceva mettere in discussione tutte le priorità a cui si era aggrappato in quegli anni: ero stata in grado di farlo vacillare, di distoglierlo dalla musica, che era la sua unica ragione di vita!

«Io non voglio perderti Pasi, perché sei troppo importante per me, ma ho paura che la tua luce abbagli tutto ciò che ho dentro e che io finisca col perdermi in quella luminosità.»

A quel punto tutta la mia rabbia svanì: lo capivo, comprendevo le sue paure perché le avevo anch’io e avevamo permesso entrambi che quei timori ci dividessero. Eravamo proprio due sciocchi! 

Accorciai d’improvviso la distanza tra noi gettandomi su di lui per abbracciarlo: volevo sentirlo tra le mie braccia, volevo sentire il suo cuore accanto al mio, volevo diventare un unico essere con lui e non separarmene mai più!

«Siamo stati due stupidi Emile! Abbiamo permesso che le nostre paure ci dominassero invece di bloccarle! Io ti amo Emile, ti amo! E non voglio perderti, non voglio più sentirmi di troppo, non voglio più sentirmi lontana dal tuo cuore!»

Lo strinsi ancora più forte a me, se avessi potuto fondere i nostri corpi in uno solo l’avrei fatto all’istante, per non sentire mai più quella fredda distanza tra noi.

Sentii le braccia di Emile circondarmi a loro volta, le sue mani premere sulla mia schiena:

«Anch’io ti amo Pasi, ti amo come non ho mai amato nessuno da quando sono al mondo e anche se ho una paura atroce di ciò che provo, non potrei mai più concepire la mia vita senza di te.»

Iniziai a piangere di felicità, la solitudine che avevo sentito negli ultimi giorni si sciolse come neve al sole, scaldata dalle parole del mio astro personale. Emile mi accarezzò i capelli e dopo un po’ mi allontanò da sé per asciugarmi le lacrime dal volto con un una mano, mentre le sue labbra baciarono i miei occhi, prima di raggiungere la bocca. La gioia per esserci chiariti, per esserci riappacificati aprendoci senza alzare barriere, esplose in quel bacio in cui sentii di desiderare Emile come mai prima: gli avvolsi le mani intorno al collo e mi feci trasportare da una passione che stava annullando ogni mio pensiero razionale.

I nostri baci divennero sempre più profondi, le mie mani affondarono nei suoi ricci mentre lo stringevo a me, desiderandolo con sempre più intensità. Le mani di Emile premevano sulla mia schiena e un brivido mi attraversò quando sentii le sue dita delicate che avanzavano sulla mia pelle nuda, al di sotto del pigiama. Sospirai di piacere mentre le sue labbra scesero lungo il collo: erano calde, morbide e appassionate, ogni suo bacio lasciava una traccia di ardente calore sulla mia pelle e iniziai a perdere il contatto con la realtà. Le mie mani cercarono la sua pelle, s’insinuarono sotto gli abiti fino a raggiungere la sericità della sua schiena, sentendo la tensione dei muscoli sottostanti… Con un gesto rapido gli tolsi la maglia per poter sentire il sapore della sua pelle sulle mie labbra: era un nettare delizioso per la mia bocca assetata, ogni volta che poggiavo la bocca su quella pelle delicata e fresca m’incendiavo di desiderio e ne venivo travolta, non c’era altro che comprendessi in quel momento, dentro di me c’era solo passione: quella che sentivo in me e quella che ricevevo da Emile. 

La sua mano mi sfiorò il seno e gemetti: la maglia del pigiama volo via e la sua bocca fece friggere la mia pelle con scariche sempre più intense di piacere… mi adagiò sul divano portando una delle mie gambe intorno alla sua vita e a quel punto persi totalmente la lucidità.

I baci di Emile, le carezze di Emile, la pelle di Emile, le mani di Emile: tutto di me rispondeva a lui, il mio cuore risuonava all’unisono con i battiti del suo, i nostri due corpi si stavano unendo per tornare ad essere un’entità sola: non esisteva più alcun problema, alcuna tristezza, ero una cosa sola con Emile, eravamo diventati un essere unico, e la mia felicità in quel momento fu indescrivibile.

 

Trascorremmo quella notte a far l’amore e a parlare, senza più maschere a dividerci, senza più inibizioni, timori o dubbi a separarci: abbracciati pelle contro pelle, cuore sul cuore, ci ripromettemmo di non permettere mai più alle nostre paure di aver la meglio su di noi.

 

 

*****

 

Quella mattina ebbi uno dei più bei risvegli della mia vita: aprii gli occhi con la sensazione di non essere sola, che già di per sé, dopo le ultime tre notti, era una grande consolazione. Ma quando girai il capo alla mia destra e vidi accanto a me il viso addormentato di Emile, mi scoppiò in petto la felicità. Fu un’emozione così forte, così inattesa che sentii il mio corpo tremare e gli occhi si velarono.

Quel viso così bello, screziato da spaurite efelidi sul naso che gli davano l’aria di eterno ragazzino, quel viso tanto amato era lì accanto al mio, sereno e rilassato nel sonno: l’accarezzai delicatamente sperando di non svegliarlo e ringraziai Dio per avermi concesso una tale gioia.

Il tempo di ricompormi e far sparire le lacrime ed Emile aprì gli occhi e dopo il primo battito di ciglia mi sorrise con dolcezza:

«Buongiorno.» disse con gli occhi ancora assonnati ed io travolta dalla gioia incontenibile, ruppi qualsiasi atmosfera romantica potesse esserci, balzandogli direttamente addosso per svegliarlo:

«Buongiorno dormiglione!»

«Ahiiiii! È questo il modo di svegliarmi? Accidenti sei proprio una streghetta!» Sorridendo Emile prese il mio viso tra le sue mani, mi osservò per un istante e mi chiese:

«Quale incantesimo mi hai fatto?»

Ero arrampicata a cavalcioni su di lui: poggiandomi sul suo petto, avvicinai di più il mio viso al suo per stuzzicarlo:

«Semplice, ti ho fatto innamorare di me perché hai offeso i miei TresneT

 

Gli occhi di Emile si spalancarono con finta sorpresa mentre con un sorriso astuto mi fece rotolare su me stessa, ribaltando le nostre posizioni.

«Ah, è così allora, è una vendetta! Dimentichi però che anch’io ti ho ammaliato, non sono forse straordinariamente bravo?!»

Sapevo che prima o poi mi sarei pentita di averglielo detto, quel complimento se l’era legato al dito in attesa di rinfacciarmelo, quel diavolo rosso!

Ma non gli avrei dato quella soddisfazione una seconda volta e sorridendo mostrai la migliore delle mie facce da poker:

«Non ricordo di averlo detto!»

I suoi occhi balenarono pericolosi, il suo sorriso si fece furbetto:

«Ah, così non ricordi, eh? Vediamo se riesco a farti tornare la memoria!»  E prese a farmi il solletico.

«Ahahah! Emile basta! Smettila! Ahaha!»

«Avanti, dillo che sono straordinariamente bravo!»

Non l’avevo mai visto così: il suo volto era sereno e vitale come non mai, i suoi occhi emanavano una luce febbrile di gioia:

«No! Non lo dico!» Sgranai gli occhi sfidandolo, emanando la stessa tensione che percepivo nel suo sguardo: non mi avrebbe avuta così presto!

«Non lo dici? Allora la pagherai!» Tornò nuovamente a farmi il solletico e nonostante gli dicessi  di smetterla, continuò imperterrito finché negoziai la mia resa:

«Ok, ok, ora ricordo; va bene? L’ho detto!»

«Dillo di nuovo!»

«No!»

«Dillo di nuovo!»

«Cosa mi dai in cambio?»

«Cosa vuoi?»

Presi il suo viso tra le mie mani e lo avvicinai a me, gli diedi un bacio appassionato e la mia risposta non arrivò più.

 

Avrei voluto che quel mattino non avesse avuto mai fine, ma la vita ci chiamava a sé e dovevamo rispettare i nostri impegni. Tra mille baci e una tazza di latte, consumammo la nostra colazione, ci rendemmo presentabili per il resto del mondo all’esterno e uscimmo da quella casa, ognuno diretto al proprio dovere quotidiano.

 

 

*****

 

A lavoro fui una specie di automa: il mio corpo agiva come sempre, ma la mia mente era occupata a pensare alla notte appena trascorsa. Ero felice. Sentivo un calore immenso irradiarsi dal mio cuore, sorridevo ogni istante nel ricordare i momenti condivisi e il modo in cui le nostre reciproche barriere erano state annientate.

Quella notte per la prima volta vidi l’anima di Emile.

Ripensai alle nostre paure che ci avevano diviso in modo così infantile e mi ripromisi di non farmi più prendere da esse. Sarei stata forte, non mi sarei più fatta dominare dalla paura e dai dubbi.

Emile mi amava. Io ero importante per lui e il vederlo così felice quella mattina, era valso quanto mille prove a sostegno di ciò che provava per me.

In quella notte qualcosa era cambiato in noi e tra di noi. Avevamo messo a nudo corpo e anima, non c’era più alcuna maschera, nessuna barriera, alcuna paura a dividerci. Sentii che il nostro legame si era rafforzato e che avevamo acquisito una maggiore fiducia in noi stessi. Sapevamo che le paure di una erano le stesse paure dell’altro e con questa consapevolezza e la comprensione reciproca, ci saremmo sostenuti per non cedere ad esse e non deluderci reciprocamente.















_________________________________________
NDA
*fa una risatina soddisfatta*
*fa un'altra risata felice*
*Muhauhauahauahaauau*
ALLOOOORA, siete contente???? C'è stato abbastanza fuoco? (e sentì un NOOOOOOO di proporzioni epiche) Aspettavate qualcosa di più?
Spero che l'attesa sia stata ripagata con una lettura che vi abbia soddisfatto, ma in caso contrario per rimostranze, lamentele e (spero di no) insulti vi aspetto nelle recensioni xD
Siate gentili please, non sparate all'autrice! *me fa gli occhioni languidi*



Angolo dei Ringraziamenti.
È con estrema gioia che annuncio il ritorno della mia beta-nonché-madrina-di-questa-storia Iloveworld, a cui vanno i miei ringraziamenti per essersi messa a recensire ogni capitolo precedente, per rifarsi del tempo perso quando non era in linea. Tesoro sei stata un amore come sempre, non ti smentisci mai, grazie infinite!!!
E grazie come sempre all'infinito alle mie sorelle sempre presenti: Niky, Vale, Concy ( se siete delle Echelon, non vi perdete le sue FF: qui su EFP lei è Echelena, e da molte soddisfazioni a tutte le fans dei Mars, provare per credere!), Saretta (che anche se fuori casa non manca di chiedermi se ho aggiornato <3). E grazie mille alle mie sorelline più latitanti: Cicci, Ana-chan, Ely.

Grazie a tutti voi che mi seguite, grazie a chi ha inserito questa storia tra le preferite e chi tra quelle da ricordare. Ogni vostro segno d'apprezzamento è linfa vitale per me e per questa storia. ARIGATOU GOZAIMASU!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17







 

La vita è un fiume in continuo movimento, è cambiamento, è trasformazione, è mutevolezza. Prima s’impara questo concetto e meglio si sarà pronti ad affrontare ciò che lei ha in serbo per noi.

Da quando avevo conosciuto Emile, la mia vita aveva subito molti scossoni e il flusso di cambiamenti che mi stava travolgendo sembrava non volersi arrestare: la comunità aveva definitivamente chiuso e con essa si chiudeva un capitolo della mia esistenza.

Avendo acquisito una certa esperienza nel campo, trovai lavoro nelle cucine di un fast food; non era proprio un ristorante a tre stelle ma aveva di buono che adottava i turni, così a seconda dell’orario di lavoro, avevo anche la possibilità di stare con Claudine e/o fare qualche ora di volontariato nel nostro centro di ascolto, senza dover rinunciare a nulla di ciò che erano i miei impegni quotidiani. Inoltre la paga mi avrebbe permesso di prendere un appartamento che fosse solo mio ed essere finalmente indipendente.

Non avendo tutti i pomeriggi liberi però, costrinsi Alberto a chiamare nuovamente un secondo infermiere per dare una mano a Sabrina:

«Mi dispiace tantissimo, sono stata io ad offrirmi per stare accanto a Claudine ed ora ti lascio così su due piedi!»

Ero mortificata, non riuscivo a non sentirmi colpevole verso Alberto per avergli offerto un aiuto che ora dovevo ritirare.

«Bambina, tu hai fatto anche troppo! Quale ragazza della tua età avrebbe sacrificato tutti i suoi pomeriggi e anche qualche sera per accudire una donna malata? Non devi scusarti di nulla, hai la tua vita da vivere, ci penserò io a ma chère, com’è giusto che sia.»

Eravamo in cucina, seduti a parlare: avevo atteso il suo arrivo per avvisarlo della mia futura assenza e appena gli dissi di avere una notizia importante da dargli, mi fece accomodare davanti ad una tazzina di caffè e qualche cioccolatino.  Sentendo la mia costernazione, mi diede uno dei suoi meravigliosi abbracci da padre che riuscivano a tirarmi su il morale e subito dopo riprese a parlare:

«Anche Emile deve iniziare a staccarsi da questa casa: la sua vita professionale sta iniziando a crescere e dev’essere libero di viaggiare e muoversi senza restare ancorato ad una situazione che non si evolverà mai, è giusto che voi giovani apriate le vostre ali e andiate incontro al futuro.»

Rimasi avvolta da quell’abbraccio nel silenzio che seguì, godendomi quel momento di affetto,  finché Alberto aggiunse:

«Hai intenzione di seguirlo?»

Si stava riferendo al tour promozionale che Emile e il suo gruppo avrebbero iniziato a breve: i contrasti interni sembravano essersi assopiti e l’album era ad un passo dall’essere registrato completamente. Il prossimo passo sarebbe stato la promozione del loro primo lavoro, in contemporanea con la sua uscita europea nei negozi di dischi: la casa discografica aveva puntato soprattutto sull’estero, avendo grandi speranze sulle vendite internazionali. Mancavano solo pochi ulteriori accorgimenti tecnici e i GAUS avrebbero spiccato il loro primo volo ufficiale… Ed Emile sarebbe stato lontano da me per qualche mese…

«No, non lo seguirò. Ho la mia vita qui e il mio lavoro… sarebbe del tutto inutile essere con il gruppo, sarei solo un peso per lui.» Inoltre io e la sua musica non possiamo vivere così a stretto contatto! 

Da quando avevamo messo a nudo le nostre paure e abbassato ogni difesa, avevo automaticamente messo distanza tra me e la sua band: la musica era sempre stata la sua ragione di vita e non volevo più che la mia presenza distogliesse Emile dai suoi obiettivi, così imparai a non chiedergli più nulla, a non intromettermi più nella sua vita professionale. Avevo la ferma convinzione che per poter coesistere entrambe nell’animo del mio Pel di Carota, io e la musica dovevamo tenerci a debita distanza l’una dall’altra.

Non mi piaceva l’idea di essere all’oscuro di una parte così importante della sua vita, ma se questo era il compromesso necessario per dargli l’equilibrio interiore e non farlo più sentire in conflitto, l’avrei accolto  con gioia e senza rimpianti.

«Hai ragione bambina, quella è una strada che deve percorrere da solo… in questo modo sarà più dolce ritrovarsi, giusto?» Si staccò da me e mi guardò negli occhi con quell’espressione maliziosa che ricordava terribilmente quella di suo figlio e comprendendo il significato nascosto delle sue parole, arrossii: Alberto si fece la sua bonaria risata e mi diede un bacio sulla fronte:

«Vieni a trovarci quando vuoi, considera questa casa come la tua.»

Quelle parole così cariche di affetto mi diedero una gioia così grande, che iniziai a sentire le lacrime premermi agli angoli degli occhi, mi resi conto solo in quel momento di quanto desiderassi sentirgli dire una cosa simile!

«Pasi, bambina che succede?» Alberto poggiò le sue mani sulle mie spalle con il volto preoccupato, cercando di capire cos’avessi.

«N-niente Alberto, va tutto bene… è che… grazie, mi hai fatto felice con quelle parole!» Avevo il capo chino e tentavo di frenare le lacrime che scorrevano copiose; il padre di Emile mi strinse nuovamente a sé e sorrise di cuore:

«Bambina mia, sono io che devo ringraziare te per essere entrata nelle nostre vite! Sei una persona speciale Pasi, non lo dimenticare mai e non sottovalutarti mai!»

Restai abbracciata a lui per un po’, godendomi quell’affetto e quel calore umano così dolce e paterno, così desiderato che non volevo più staccarmene: Alberto era davvero una persona unica!

«Devo iniziare a insospettirmi, ci sono troppi abbracci fra voi due!»

La voce di Emile mi arrivò alle spalle: presa dalle mie emozioni, non mi ero resa conto che fosse rincasato. Ci guardò con espressione acida, ma i sui occhi brillavano, non erano adirati, stava giocando con il padre come al suo solito.

«Hai ragione figliolo, fai bene a sospettare: sono innamorato di questa ragazza, quindi se non la tratterai bene, te la ruberò!»

Alberto fece un sorriso malizioso verso Emile mentre mi teneva ancora stretta a sé ed io d’un tratto arrossii a quell’inaspettato complimento; il mio Pel di Carota dal canto suo non si scompose e replicò a suo padre:

«Stai tranquillo papà, io non lascio andare facilmente qualcosa di prezioso.» il viso di Emile aveva lo stesso identico sorriso malizioso di suo padre, in quel momento la somiglianza tra loro due divenne impressionante e mi sentii travolta da una strana emozione: sapevo che scherzavano, che erano presi da un gioco tutto loro che facevano da anni, ma il sentirmi contesa in quel modo, da due uomini che amavo in modo diverso ma ugualmente forte, mi fece girare la testa e fui quasi sul punto di perdere l’equilibrio quando Alberto si staccò da me.

«Bene, ora che abbiamo chiarito questo punto, vado a congedare Sabrina.» diede un buffetto sul viso ad Emile e ci lasciò da soli.

Rimasi dov’ero, inebetita e sconvolta da quella strana sensazione e guardai Emile quasi alla ricerca di una risposta alla confusione che avevo dentro. Si avvicinò e mi osservò preoccupato:

«Qualcosa non va?»

Alzai lo sguardo sui suoi occhi grigi screziati d’azzurro: l’amore che provavo per lui, unito alla confusione di quel momento mi ammutolirono e mi gettai direttamente tra le sue braccia.

«Oh Emile!» Il mio amato Pel di Carota mi strinse a sé ancora più preoccupato:

«Pasi io stavo scherzando, non crederai davvero che dicessi sul serio?» Feci cenno col capo, incapace di aprire ancora bocca, «A dir la verità una punta di gelosia l’ho provata davvero, ma credo di essere patologico in questo: sono geloso di chiunque ti tocchi!»

Il suo tono era ironico e di sicuro c’era dell’amarezza all’interno, ma Emile sembrava aver raggiunto una certa consapevolezza sull’argomento e non ne faceva più un dramma… almeno all’apparenza! Scaldata da quell’ammissione di debolezza riuscii a tornare in me e a padroneggiare nuovamente l’uso della parola:

«Non hai nulla da temere… anche se potrei fare un pensierino su tuo padre!»

Risi a quella frase, per prenderlo un po’ in giro e per assicurarmi che davvero fosse un argomento su cui potessi scherzare e per fortuna, ebbi la mia conferma:

«Eh già, è il fascino di famiglia, nessuna donna resiste agli uomini di questa casa.» Sorrise nel parlare e sorrisi anch’io a quella battuta che, per quanto potevo testimoniare io, aveva un certo fondamento: seppur in modo diverso, gli uomini di quella famiglia mi avevano ineluttabilmente travolto e rubato il cuore.

 

*****

 

L’affetto di Alberto, per me così importante e prezioso, mi fece pensare nuovamente ai miei genitori: era trascorso del tempo dal nostro ultimo drammatico incontro e dopo aver ricevuto quella manifestazione d’affetto così esplicita, mi venne  voglia di vedere coloro a cui avevo sempre chiesto implicitamente un amore simile.

Quando bussai alla porta, nuovamente venne ad aprirmi mia madre: era visibilmente dimagrita e aveva lo sguardo stanco e mi preoccupai all’istante, vedendo quanto la perdita di Simona stesse gravando sulla sua salute fisica e probabilmente anche mentale. Fu sorpresa di vedermi, ma sul suo volto tirato notai una luce di felicità: nonostante ciò che ci eravamo detti tempo prima, ero ancora la benvenuta in quella casa.

«Per quale motivo sei venuta?»

Eravamo in cucina, mia madre stava armeggiando con la caffettiera mentre io l’osservavo seduta al tavolo: «È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono stata qui e volevo vedervi.»

Mi dava le spalle per cui non vidi la sua reazione alle mie parole, ma notai che si portò una mano al viso come per cacciare indietro le lacrime: in quel momento mi si strinse nuovamente il cuore nel vederla così fragile.

Adele era sempre stata una donna sicura di sé e orgogliosa: non aveva mai mancato in espressioni di affetto verso me e mia sorella, ma la sua rigida educazione non le permetteva di lasciarsi andare più di tanto e per me restò sempre una figura distante, un mistero irraggiungibile, fissa sul suo piedistallo di perfezione. Da quando era morta Simona invece, avevo visto ciò che quell’educazione aveva celato ai miei occhi per diciannove anni: era fragile mia madre, la sua sicurezza era una corazza ben costruita per nascondere le sue emozioni, per non essere calpestata e la mia fuga da casa, sommata all’abbandono di Simona, avevano distrutto le sue protezioni, la sua sicurezza come madre e la sua certezza di averci accanto.

«Mamma io… non volevo essere così dura l’altra volta…»

«Lo so Pasifae, ce l’hai detto chiaro e tondo che con noi dai il peggio di te.»

«Non è quello che intendevo!»

La mia voce iniziò ad alterarsi, ma non volevo terminare quella visita nuovamente con un litigio; sperai di riuscire almeno una volta a parlare con mia madre in modo civile.

«Come stai vivendo? Lavori? Ti mantiene qualcuno?»

Chiuse la caffettiera e la mise sul fuoco, preparandosi a prendere lo zucchero, senza mai voltarsi in mia direzione.

«Vivo da Rita, ma non mi mantiene lei: sto lavorando nella cucina di un fast food.»

Sapevo quanto il mio umile lavoro avrebbe creato una smorfia di disapprovazione sul suo viso: lei e mio padre avevano avuto grandi speranze per me, immaginavano di avere due figlie professioniste, due eminenti dottoresse rispettate nei rispettivi campi di studio… ed ora c’ero solo io, impiegata in una fumosa cucina di un qualsiasi fast food… la loro delusione doveva essere amara come fiele. Ma se mi volevano ancora nelle loro vite, avrebbero dovuto accettare sin dall’inizio chi ero e cosa facevo, era inutile nascondere la realtà su di me.

«Capisco.» fu la lapidaria reazione di mia madre, che celava la sua delusione quel tanto che bastava per evitare un’altra discussione: almeno avevo avuto la conferma che anche lei volesse stabilire una comunicazione con me! Versò il caffè nelle tazzine e si venne a sedere dov’ero io:

«Sei felice ora?»

La guardai in viso: non era una domanda sarcastica, la sua espressione era sinceramente preoccupata, probabilmente era la prima volta che mia madre s’interessava davvero ai miei stati d’animo.

«Sì mamma, sono felice… per quanto possa esserlo con un dolore dentro che non andrà più via.» mia madre strinse una mano e calò il capo: quel dolore era il legame che ci univa di più in quel momento e forse come avevo sperato tempo fa, avrebbe potuto aiutarci a comprenderci.

«Questa casa è vuota e fredda senza di voi. Tuo padre si è chiuso nel suo dolore, non vuole parlare: con me finge che tutto sia a posto, ma poi lo vedo che si chiude nel suo studio e trascorre ore ed ore in silenzio…» Mio padre era sempre stato il più rigido dei due: orgoglioso, razionale e poco incline a slanci d’affetto, era il genitore con cui più avevo problemi; sentivo un abisso di distanza tra noi due, era sempre così impassibile da non sembrarmi umano e non riuscivo a pensarlo come l’uomo sofferente descritto da mia madre.

«Dovreste distrarvi in qualche modo, fare qualcosa di diverso dal solito, uscire,  impegnarvi in qualche attività in modo da non pensare…» stavo parlando a cuore aperto come se mi rivolgessi ad una delle mie amiche e non a mia madre… ma mi resi conto subito che Adele non era né Rita, né Sofia.

«Come potremmo, Pasifae! Siamo in lutto, non possiamo mostrarci impegnati in qualcosa o addirittura come una coppia felice che va in vacanza, non sarebbe corretto!»

Ancora le apparenze! Persino davanti alla propria sofferenza, alla propria salute psico-fisica, salvare la faccia era ancora la regola di vita che regnava in quella casa!

«Oh mamma, ma insomma! Non vedi che vi state distruggendo?! L’unica scorrettezza la fate verso di voi, annullandovi e vivendo solo nel dolore! In questo modo non vi abituerete mai a conviverci, ma ne sarete sopraffatti e non vi resterà più nulla dentro!»

Emile e Alberto convivevano con un dolore profondo da vent’anni e mi avevano dato una grande lezione sulla forza di volontà degli esseri umani. Non potevo tollerare che i miei genitori, all’apparenza così forti e imperscrutabili, si facessero sopraffare in questo modo dalla mancanza di Simona.

«Anche se vi chiudete in voi stessi e mostrate al mondo il vostro lutto, Simo non tornerà indietro! A chi gioverà dunque questo comportamento? L’unica persona a cui dovreste rendere conto è mia sorella e lei non avrebbe mai voluto vedervi in questo stato! Reagite per la miseria, reagite e vivete!»

Ecco. Mi ero agitata di nuovo. Era davvero impossibile per me mantenere la calma con loro… feci un respiro profondo prima di tornare a parlare: «Posso andare un attimo di sopra? Devo prendere un libro in camera…» Mi alzai per darmi tempo di far sbollire la rabbia ed evitare di andare ulteriormente in escandescenza.

«Questa è ancora casa tua Pasifae, non c’è bisogno che tu chieda il permesso.»

 

*****

 

Tornare in camera mia dopo tanto tempo, mi fece uno strano effetto: mi sembrò di essere stata catapultata dentro un’altra vita, lontana pochi mesi nella realtà, ma distante anni dentro di me. Ormai quella stanza parlava di una Pasi che non c’era più, non la sentivo più mia, non la vedevo come un rifugio tranquillo… anche se in effetti non lo era mai stato.

Quando abitavo in quella casa facevo di tutto pur di uscirne, mi sentivo in trappola, mi mancava l’aria… Quella stanza non mi sarebbe mancata in sé e per sé, ma solo per i ricordi che conteneva: ero entrata per prendere un libro, ma mi ritrovai a prendere una borsa e ad infilarci dentro un album fotografico, dei CD e qualche altro oggetto, che mi riportava alla mente dei momenti della mia vita, che non volevo dimenticare. Uscendo da quella stanza salutai la me stessa che ci aveva abitato e mi ritrovai a passare davanti alla porta della stanza di Simona. Non riuscii ad impedirmi di entrare.

Tutto era come Simo l’aveva lasciato: i libri sulla scrivania, gli scaffali in ordine, i gioielli chiusi nel portagioie sulla consolle… osservai i libri sulla scrivania e aprii il testo che stava studiando: Calcolo numerico, qualcosa di assolutamente incomprensibile per me, ma che doveva costituire la materia della sua tesi, quella tesi che non avrebbe mai completato, quella laurea che dopo anni di studio non avrebbe mai avuto…

Sentii un nodo alla gola che si trasformò in pianto quando vidi ciò che era stato conservato gelosamente tra quelle pagine piene zeppe di formule matematiche: foto mie e sue risalenti alla serata trascorsa insieme mesi fa. La serata al Sandbox, quando ancora troppo arrabbiata con lei, non le rivolsi parola, quando l’esibizione di Emile mi sconvolse definitivamente… Non fu certo una serata di comunione tra sorelle, ma eravamo insieme ed evidentemente a Simona doveva essere bastato. Scoppiai in un pianto a dirotto, sentendo il mio senso di colpa nei suoi confronti riemergere in tutta la sua potenza: quella sarebbe stata una ferita che non si sarebbe mai rimarginata, l’avrei portata sempre dentro di me come un monito a non dimenticarmi mai delle persone che amavo, l’ultima ed eterna lezione  che avevo ricevuto da mia sorella. 

 

*****

 

«Quella casa è piena di ricordi tristi per te, ora.»

Emile era stato ad ascoltarmi in silenzio mentre gli raccontavo la visita ai miei genitori e la scoperta delle foto nel libro di Simona. Eravamo abbracciati, adagiati sul suo letto: Alberto era con Claudine e noi due eravamo intenti a ritagliarci qualche momento d’intimità, approfittando di una sera in cui nemmeno Emile era impegnato con i GAUS.  

«Dovresti costruirti ricordi più felici con loro, o avrai sempre meno voglia di andarci.»  

Mi strinsi di più a lui: parlare dei miei genitori mi dava sempre un senso d’amarezza e di solitudine, avevo bisogno di essere avvolta dal suo amore più che mai in quel momento.

«Non so se ci riusciremo mai! Ero andata con le migliori intenzioni e ho finito ugualmente col perdere le staffe…»

«Beh, intanto tua madre si è dimostrata più conciliante… dalle tempo, non è facile per lei.» Emile appoggiò il viso alla mia testa, stringendomi a sé.

Nella stanza era accesa la luce soffusa della lampada sul comodino e una musica dolce e rilassante proveniva dallo stereo: mi stavo godendo in pieno quel momento di dolcezza e pace, se avessi potuto fermare il tempo l’avrei fatto immediatamente.

«Lo so… ma mi snerva il loro modo di vivere, sempre concentrato su ciò che pensano gli altri e non su ciò che vogliono loro: quando la vivranno davvero la vita?!»

«È una scelta che spetta a loro due Pasi, non puoi obbligarli a vivere come vorresti tu, cadresti nel loro stesso errore.»

«Lo so… sono stata così presa dal rancore verso la mia famiglia, da non riuscire a vedere altro, da non accorgermi di quanto Simona volesse davvero essermi vicina come io desideravo e non voglio continuare a vedere i miei genitori sotto un’ottica rabbiosa, vorrei tanto che mostrassero la loro umanità, le loro debolezze, vorrei che scendessero da quel piedistallo su cui si sono messi da anni!»

«Vedrai che lo faranno, se sarai loro vicina; tu riesci a parlare al cuore delle persone, riesci a far aprire gli occhi a tutti, ci riuscirai sicuramente anche con i tuoi genitori.»

Era la prima volta che Emile manifestava di avere stima nei miei confronti; non avrei dovuto considerarlo come una stranezza, ciononostante mi sorprese e mi fece felice:

«Davvero pensi questo di me?! Credi davvero che abbia questo potere?»

«Non ti basta vedere cos’hai fatto a me, streghetta?» Sorrise e mi diede un bacio sulla testa; mentre mi godevo quelle coccole ricordai le parole di Fede: “Tu hai qualcosa che porta la gente ad aprirsi a te”; probabilmente avevano ragione, eppure trovai quasi irrealizzabile l’idea di riuscire a far aprire i miei genitori… Probabilmente ero troppo coinvolta per vedere con obiettività, senza contare che non avevo mai avuto in me la fiducia che invece vi riponevano Emile e Fede; ma volevo crederci? Volevo credere che la mia forza di volontà mi avrebbe aiutato ad avvicinarmi al loro cuore? Avevo avuto questa speranza e l’avevo ritirata quando, aprendomi a loro, non avevo ricevuto comprensione; sarei riuscita a sperare nuovamente, rischiando una nuova delusione?

Ero persa in quei pensieri quando sentii provenire dallo stereo di Emile un suono di violini che mi strinse il cuore:

«Quanto amo il violino, le sue note più acute somigliano ad un pianto inconsolabile, ciononostante è capace di trasmettere allegria e gioia di vivere in brani come le gighe irlandesi… è difficile suonarlo?»

Avevo visto tempo fa, un violino comodamente adagiato nella sua custodia in quella stessa stanza, per cui diedi per scontato che Emile sapesse suonarlo.

«Un po’, non è facile evitare che le corde stridano, facendoti venire il mal di denti, ma con un po’ di pazienza e buona volontà, s’impara a suonare… vuoi provare?»

Mi staccai dal suo abbraccio per la sorpresa: non avevo mai pensato a me stessa come musicista, davo per scontato di non essere in grado di produrre dei suoni decenti da uno strumento musicale, visti i miei tristi trascorsi col flauto alle scuole medie e qui si parlava di uno strumento ben più complicato… però la domanda di Emile mi tentò e mi ritrovai a desiderare di fare un tentativo, fosse stato solo per avvicinarmi un po’ di più al suo mondo!

«Credi che potrei farcela davvero?»

«Perché no? Hai due mani ed entrambe le orecchie, ti serve solo questo… a parte la conoscenza dello strumento, ovviamente!» Emile avevo lo sguardo sereno, non c’era traccia di sarcasmo in lui, era sincero e sembrava felice di poter condividere quel momento con me.

«D’accordo, proviamo!»

 

*****

 

«Attenta, sbagli la posizione delle mani… guarda, è così.»

Non stava andando bene.

Affatto.

Io e il violino non eravamo nati per andare d’accordo.

Sbagliavo continuamente la posizione delle dita, l’inclinazione stessa del violino sulla spalla e ogni volta che premevo l’archetto, le corde rischiavano di saltare! Per poco Emile non ci aveva rimesso un occhio quando si spezzò una corda all’ennesima mia zappata, eppure non perdeva le staffe, né desisteva dallo spiegarmi come migliorare la mia esecuzione. Eravamo scesi nella saletta insonorizzata, onde evitare di svegliare il vicinato con la mia tortura sonora, per cui non avevo remore nel dare voce alle note acute del violino; ad un certo punto però non riuscii più a continuare. E non era solo un problema d’incompatibilità con lo strumento: Emile era dietro di me per controllare l’esattezza della mia esecuzione e per spiegarmi meglio la posizione delle mani, chinava costantemente il viso accanto al mio e prendeva di continuo la mia mano nella sua e quella vicinanza mandava totalmente in fumo la scarsa concentrazione e la mia determinazione!

Ad un certo punto persi del tutto il filo del discorso, inebriata dal suo profumo e dalla sua voce e appoggiai il mio viso al suo, chiudendo gli occhi e beandomi di quel contatto: 

«Pasi… non mi stai ascoltando, vero?»

La sua voce era seria, ma non burbera ed io rimasi attaccata al suo viso:

«Possiamo rimandare la lezione? Non mi sento molto concentrata in questo momento…» gli risposi con un filo di voce, le mie energie erano focalizzate nel tentativo di non lasciar andare il violino, perché d’improvviso ebbi la sensazione che tutto il mio corpo si stesse sciogliendo nel piacere di quella vicinanza.

«Rinunci così presto? Così non imparerai mai…»

La voce di Emile divenne un sussurro rivolto direttamente al mio orecchio: sentii un brivido travolgermi tutto il corpo e per poco non lasciai andare il violino a terra! Emile sghignazzò e si staccò da me, prendendo l’arco e salvandolo dalle mie mani assassine, poi mi prese il viso in una mano e con lo stesso tono sussurrante di prima mi disse:

«Hai bisogno di molte lezioni, dovrai impegnarti»  al che mi fece dimenticare persino come mi chiamavo, con un bacio che fece tabula rasa di tutta la mia lucidità… E con estremo sadismo si staccò da me e uscì da quella saletta per portare il violino in salvo!

Era proprio un diavolo rosso ma non se la sarebbe cavata così! Lo seguii ma con le gambe lunghe che si ritrovava, aveva messo già distanza tra me e lui, così decisi di giocare d’astuzia:

«Ahia!» urlai, bloccandomi sulle scale e accucciandomi sui gradini, sperando che mi sentisse e venisse a controllare cosa fosse accaduto.

«Cos’è successo Pasi, ti sei fatta male?»

Mi congratulai con me stessa dopo qualche secondo: Emile corse a vedere cos’avessi e preoccupato mi circondò le spalle... E a quel punto l’abbracciai.

«Ora non mi sfuggirai!» 

Rimase sorpreso per qualche istante e poi sorridendo soddisfatto mi disse:

«Piccola peste, hai finto di farti del male per essere raggiunta con un trucchetto! Sei proprio una perfida strega!»

«Ti sbagli, sono solo una studentessa diligente: voglio le mie lezioni di recupero.» lo bloccai su quei gradini e ripresi da dove si era interrotto in quella saletta.

 

 

*****

 

La mia carriera di violinista non andò molto avanti: nei giorni seguenti io ed Emile fummo presi dai nostri impegni e non riuscimmo a fare altro che sentirci al telefono. Ma il mio Pel di Carota non era l’unico a mancarmi della sua famiglia: volevo rivedere Alberto e mi mancava persino Claudine, così decisi di andare a trovarli.

Emile come al solito era occupato in saletta con il gruppo e speravo sempre che una volta finite le prove, il mio Riccioli Rossi salisse a farci compagnia.

Invece quella sera feci un altro tipo d’incontro.

Nello scendere al piano terra per prendere da bere, trovai Claudio in cucina che si dissetava: la stanza adiacente alla saletta era dotata di un mini frigorifero, ma evidentemente dovevano essere finite le scorte, oppure Claudio soffriva di claustrofobia, visto che era l’unico ad essere risalito. Appena lo vidi m’irrigidii, il suo modo di rivolgersi a me era sempre brusco e l’iniziale curiosità che avevo avuto nei suoi confronti, si stava trasformando in una solida antipatia:

«Claudio…» lo salutai in modo lapidario onde evitare di averci a che fare prolungatamente, ma avevo l’impressione che aspettasse un momento simile per avere una bella discussione con me.

«Coda di Emile…»

Di nuovo quell’appellativo! E stavolta Emile non era nei paraggi, era chiaramente un’offesa diretta a me, per cui non mi feci remore di sorta e risposi alla sua provocazione:

«Senti, non so cosa abbia potuto farti per esserti così antipatica, ma gradirei che non mi chiamassi in quel modo, io non sono la coda proprio di nessuno e ho un nome! Io sono Pasi e non tollero che tu usi di nuovo quel termine con me!»

Claudio mi guardò con un sorrisetto amaro e rispose:

«Perché altrimenti, cosa fai? Chiami Emile e ti fai difendere?» aveva un’asciugamani intorno al collo e una bottiglia d’acqua nella mano destra, che posò sul tavolo per ergersi in tutta la sua altezza mentre mi rivolgeva quella domanda impertinente.

«Non ho bisogno che qualcuno mi difenda, so farlo benissimo da sola!» Si avvicinò di più a me, potevo sentire lo sgradevole odore di sudore che aveva addosso, ma non retrocessi, non mi feci intimidire dalla sua mole.

«Tu non mi piaci e sai perché? Perché Emile è un grande ipocrita e ogni volta che ti vedo, mi torna alla mente.»

«Se ti riferisci ancora al fatto che sia venuto qui quando eravate in tour in Germania, evidentemente non capisci in che situazione ero…»

«So benissimo che avevi perso tua sorella e non è quello il punto. Emile ha sempre detto a tutti noi che la band doveva essere al centro della nostra vita, all’apice delle nostre priorità e che se questo non ci stava bene, la porta era aperta per andarcene. Quell’ipocrita non mi ha permesso di andare a trovare la mia ragazza in ospedale, quando si è ferita l’anno scorso e sai perché? Non perché eravamo lontani nel bel mezzo di un tour, ma solo perché avevamo un incontro con la casa discografica! Per un incontro a cui potevano tranquillamente partecipare gli altri! Siamo stati via un’intera settimana per parlare con quel tizio che abitava lontano da qui e non mi ha concesso un solo giorno per andare da lei! E poi nel bel mezzo di un tour, lui si permette di andarsene! Perché a lui tutto è concesso, lui è la star, l’autore dei testi, il grande genio della musica, il volto dei GAUS! Al divo Emile tutto è concesso, mentre noi siamo i suoi schiavetti ubbidienti, non è così?»

Il suo rancore mi esplose in viso, Claudio si era calato pericolosamente verso di me ed io mi appoggiai al mobile in cucina per poterlo fronteggiare:

«Se ti sei fatto comandare in questo modo, evidentemente non dovevi tenerci così tanto alla tua ragazza! Se l’avessi amata davvero, saresti andato via senza badare alle parole di Emile! Far parte di questo gruppo fa comodo anche a te, è per questo che sei rimasto con loro, non dare ad Emile colpe che non ha!»

Claudio fece una risata amara: «Tu non ti rendi nemmeno conto di quanto possa essere cinico e spietato il tuo ragazzo! Mi ha messo davanti al bivio: o restavo oppure ero fuori ed eravamo ad un passo dalla firma del contratto. Con il futuro pronto dietro la porta, chi mai avrebbe mandato tutto al diavolo?» Si avvicinò ancora di un passo, poggiando una mano sul mobile per bloccare qualsiasi mio tentativo di fuga.

«La scelta era comunque tua: se gli hai ubbidito, significa che ti faceva comodo, oppure che non hai abbastanza forza da ribellarti.» 

Avvicinò il suo viso al mio, guardandomi con un’espressione piena di rancore:

«Hai la lingua lunga ragazzina, ma hai ragione, non ho avuto abbastanza forza di reagire… Vedrà il signorino quanto è importante avere un batterista in un gruppo, se ne renderà conto subito!» Così dicendo si staccò da me, prese la sua bottiglia d’acqua, bevve un sorso guardandomi con sfida e andò via verso il piano interrato. Quello sguardo non prometteva nulla di buono ed io rimasi tutta la sera con la preoccupazione addosso. Temevo di aver scatenato qualcosa di cui mi sarei pentita amaramente…













_______________________________________
NDA

Dopo avervi fatto cantare l'Alleluja in tutte le lingue del mondo alla fine del capitolo scorso, stavolta la lettura dovrebbe essere stata più tranquilla, o sbaglio? Non so a voi, ma a me è venuta voglia d'imparare a suonare il violino xD Come sempre, per pareri, dibattiti, rimostranze vi aspetto nelle recensioni, spero solo che non siate armate! :P

Angolo dei Ringraziamenti: 

Amorine mieeeeeeee! Sono felice di avervi reso felici e di aver appagato il vostro animo romantico, ed io dal canto mio vi ringrazio come sempre per le parole dolcissime che mi scrivete e gl'incoraggiamenti sempre entusiatici che mi fate, siete un dono prezioso <3
Grazie un milione di volte elevato all'infinito a:
Iloveworld, la mia Beta-Tomodachi-Sorellina, che mi fa sentire come se avessi scritto la Divina Commedia (:*****) e che oltre ad essere una bravissima scrittrice, è anche una meravigliosa cantante, provare per credere QUI! ^ ^
Niky, Vale, Saretta, Concy, che recensiscono con puntualità svizzera, m'incoraggiano e vivono questa storia con la stessa intensità dei suoi protagonisti; grazie tantissimo tesore mie, non so come farei senza di voi! <3
Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono e incoraggiano anche senza leggere ^ ^

E grazie mille a tutte coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite (sisters a parte, of course):
lorenzabu,
samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag, green_apple, celest93, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula (Che ho scoperto essere anche mia omonima... per 1/3 xD), _Grumpy.


ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18









 

 

«Ma amie est trés jolie.*»

«No, Testarossa, si dice “mon” anche se è femminile, non ricordi? Per evitare l’incontro di vocali.»

«Uff! Hai ragione Stè, l’avevo dimenticato.»

«Testarossa… c’è qualcosa che non va, vero?»

Come promesso, io e Testa di Paglia avevamo iniziato a studiare il francese, seguendo uno di quei corsi pratici in DVD alla portata di tutti: eravamo ancora agli inizi, ma ci divertivamo a imparare qualcosa insieme, sembrava di essere tornati agli anni precedenti, quando eravamo compagni di classe e di banco, prima ancora che amici. Quel giorno però la mia preoccupazione per lo scontro con Claudio era troppo intensa per permettermi di concentrarmi e di celare il mio stato d’animo a Stè… non che ne fossi mai stata tanto capace comunque!

«Ascolta Pasi, io lo vedo che da un po’ non ti apri più con me… se stai temendo di ferirmi parlando dei tuoi problemi sentimentali, a causa di Simona, non ti preoccupare posso ascoltarti tranquillamente, non sono così fragile!»

Come al solito, Stè mi leggeva nel pensiero: si era reso conto che cercavo di trattenermi dallo sfogare le mie ansie con lui… ripensai alla volta in cui non avendogli detto del mio interesse per Emile, si sentì ferito, temendo un mio allontanamento a causa del suo attaccamento a mia sorella, con cui avevo litigato: forse gli facevo più male in questo modo che se gli avessi parlato come sempre…

«Scusami, hai ragione… è che non volevo annoiarti con le mie stupide angosce...»

«E da quando mi annoio a sentirti, Testarossa? Coraggio, cosa c’è che non va?»

Con un invito simile, non mi feci pregare e raccontai a Stè dei dubbi che mi avevano attanagliato da quando Claudio mi aveva affrontato e aveva detto quella frase sibillina che mi turbava il sonno. Testa di Paglia mi ascoltò con attenzione e quando terminai di parlare disse la sua:

«E non hai detto nulla ad Emile di tutto questo?»

«Fossi matta Stè! Dovrei dirgli di aver incitato il suo batterista a lasciare il gruppo, ad un passo dalla tournée?! Se voglio che mi odi a vita allora lo farò, altrimenti sarò muta come un pesce!»

«Ma non credi che abbia diritto di sapere?»

«Ho troppa paura di aver combinato un guaio, non potrei sopportare di vedere di nuovo la rabbia sul suo viso contro di me, soprattutto alla luce di una mia intromissione nella sua vita professionale!» 

Testa di Paglia aveva ragione ed io lo sapevo nel profondo del mio essere, ma in quel momento non riuscivo  a ragionare su quell’argomento con la dovuta lucidità, temevo troppo le conseguenze a cui potevano portare le mie azioni, se avessi detto ad Emile che Claudio minacciava di andarsene.

«E non pensi che sarebbe peggio se Emile scoprisse proprio da Claudio che tu sapevi e non gli hai detto nulla?»

A quella prospettiva mi si gelò il sangue nelle vene: Emile mi avrebbe odiato di sicuro, mi avrebbe estromesso definitivamente dalla sua vita ed io l’avrei perso per sempre!

«Oh Stè, cosa posso fare? Io non voglio perderlo!»

Mi appallottolai su me stessa sconfortata e Stè si avvicinò a me per abbracciarmi:

«Capisco la tua paura Testarossa, ma lo sai meglio di me che le bugie e le omissioni peggiorano tutto: è molto meglio dirgli tutto ora piuttosto che attendere che lui lo scopra e si senta tradito anche da te!»  Testa di Paglia aveva completamente ragione, avrei dovuto farmi forza e affrontare le conseguenze della mia lingua lunga…

«Come farò se lo perdo, Stè?»

«Secondo me stai esagerando, non credo che sia così drammatica la situazione: morto un papa se ne fa un altro e questo Claudio non è mica l’unico batterista al mondo! Emile troverà una soluzione, tutto tornerà al suo posto e tu gli sarai ancora accanto, ne sono certo. E se proprio non dovesse essere così, se Emile ti dovesse allontanare, vuoi dirmi che rinunceresti così presto a lui? Che non faresti nulla per riconquistarlo? Conoscendo quella tua testolina calda e testarda, dubito fortemente che lasceresti correre!» Caro vecchio Stè, mia ancora di salvezza per ogni stato ansioso o rabbioso, sempre pronto a restituirmi la gioia e il sorriso: mi era mancato così tanto in quegli ultimi tempi! Mi ero sempre fatta delle remore a confidarmi con lui, sapendo quanto fosse in pena per Simona e invece si era dimostrato affidabile e gentile come sempre, ascoltando i miei problemi sentimentali e trovando un modo per infondermi coraggio  e tranquillità.

«Grazie Stè, non so cosa farei senza di te!»

«Allora smettila di nascondermi le tue preoccupazioni Testarossa, ok?»

«Oui mon ami» gli sorrisi  orgogliosa di me per essere riuscita a dire una frase correttamente in francese e Testa di Paglia dal canto suo, si fece una bella risata che mi confortò l’animo.

Rilassata dalle sue parole e dal suo incoraggiamento, ritrovai la concentrazione e tornammo a studiare; fu solo durante una pausa che mi ricordai di avere qualcosa per lui:

«Stè, qualche giorno fa sono stata a casa dei miei genitori: ho trovato questa, voglio che la prenda tu.»

Gli mostrai una delle foto che avevo visto tra le pagine del libro di Simona. Il mio amico era accanto a lei: mia sorella vanitosamente aveva protestato all’idea di farsi fotografare con le stampelle e tutte le foto di quella serata la ritraevano seduta, che fosse al locale, in auto o su un muretto. In quel caso lei e Stè erano seduti sul gradino di un porticato dello stabile in cui si trovava la cornetteria, dove avevamo fatto sosta prima di tornare a casa: di sicuro erano intenti a parlare seriamente quando Fede colse l’attimo per immortalarli. Ricordo che nonostante fossi ancora arrabbiata con mia sorella, fui felice dell’idea del nostro amico, perché avrebbe dato un piccolo piacere a Stè, che quella serata se la stava godendo tutta accanto alla ragazza che amava. 

Vidi gli occhi di Testa di Paglia farsi lucidi nel ricevere quella fotografia e mi sentii in colpa per avergli aperto la ferita in quel modo, ma sapevo anche che  sarebbe stato felice di poter avere quell’oggetto con sé.

«Era nel libro di Simo… voglio che la tenga tu Stè, è del tutto inutile lasciarla dove l’ho trovata.»

Prese la foto e l’osservò per un po’, con volto concentrato e dolente: «È stata una delle serate più belle della mia vita, non la dimenticherò mai!» Stè fece una breve pausa poi continuò,  «Le avevo mandato le foto via e-mail e non credevo che le avesse stampate tutte…» sollevò lo sguardo in mia direzione e mi rivolse un dolce sorriso, «Grazie Testarossa, è un bellissimo regalo.»

 

*****

 

Mentre il mio animo combatteva col senso di colpa e il dubbio sul parlare o meno ad Emile, le registrazioni dell’album dei GAUS andarono avanti senza intoppi, per cui mi dissi che probabilmente avevo avuto troppa immaginazione nel sospettare di Claudio, o che il batterista stesso avesse cambiato idea, non avendo la volontà effettiva di abbandonare un gruppo in piena ascesa. Per cui con mio estremo sollievo, la chiacchierata con Emile cadde nel dimenticatoio della mia coscienza.

Una sera in cui il mio Pel di Carota era in riunione col produttore, tornai a trovare sua madre: quando entrai nella sua camera, ebbi quasi la speranza che il mio desiderio di vederla  piena di vitalità si fosse esaudito d’incanto, poiché trovai Claudine seduta sulla poltrona, intenta a guardare dalla finestra. Mi resi conto presto però che in quella donna non era tornata la voglia di vivere: al di là del vetro c’era la casa attigua, il panorama non era dei migliori, ma la madre di Emile non sembrava curarsene, era sempre immersa nel suo mondo grigio, distaccata da tutto ciò che costituiva la vita reale, persa nelle sue sofferenze che avevano schiacciato tutta la sua vitalità.

Negli ultimi tempi era ridotta alla stregua di un vegetale, sempre imbottita di farmaci e di conseguenza mi stupii nel trovarla seduta lì: era la prima volta che la vedevo in casa sua lontana dal letto.

Alberto si avvicinò all’uscio dov’ero rimasta ad osservare sua moglie, impietrita per la sorpresa:

«Fa un certo effetto vederla così, vero?» Poggiò una mano sulla mia spalla e mi girai a guardarlo:

«Com’è possibile?! Sta meglio? L’ultima volta che l’ho vista era un vegetale!»

«Ho interrotto la somministrazione di alcuni medicinali.»

Lo guardai sorpresa: «Hai chiesto altri pareri medici?»

«No. Ho deciso di non darle più tutti quei medicinali che finivano di stordirla; come hai detto anche tu, era diventata solo un vegetale e solo per far stare tranquilli noi.»

«E gli infermieri, sono d’accordo?»

«Sabrina sa tutto ed è d’accordo con me… a patto però che nel momento in cui dovessero esserci segni di ribellione in Claudine, si ritorni alla cura originale. Il nuovo infermiere non sa nulla, è all’oscuro dell’uso di questi medicinali.»  

Rimasi senza parole: Alberto stava rischiando d’inimicarsi i dottori per ridare vitalità a Claudine… ma in questo modo rischiava anche che sua moglie tentasse nuovamente il suicidio! 

«So che pensi che sia una pazzia, ma non riuscivo più a tollerare di vederla in quel modo. Sono abituato a vederla assente, ma con tutti quegli psicofarmaci che non facevano altro che inebetirla per tenerla buona, era diventata poco più di un cadavere vivente! Non m’importa se rischio di perderla definitivamente, almeno la ricorderò con quel po’ di vitalità che ancora le resta e non come una bambola priva di espressione e di volontà!»

 Le parole di Alberto mi commossero: erano cariche di amore e di dolore, quel dolore che si portava dentro da vent’anni, a cui era abituato ormai ma che non per questo fosse meno forte o causasse meno sofferenza. Se fossi stata al posto suo cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata vedendo Emile spegnersi giorno dopo giorno, senza che potessi far nulla per aiutarlo? Vederlo in fin di vita svariate volte, per poi ritrovarlo come un vegetale in un letto?!

Al solo pensiero mi salì un groppo in gola e inorridii dalla paura: vedere la propria madre ridotta in quello stato non era facile per Emile, ma per Alberto il dolore doveva essere atroce! E ci conviveva da ventidue anni!

Presa da quel pensiero angosciante l’abbracciai: «Vorrei tanto che guarisse!»

Avevo sperato sin dal primo giorno in cui la vidi, che Claudine trovasse la forza per riprendersi la sua voglia di vivere e in quel momento, quel desiderio fu terribilmente vivo dentro di me.

«Anche io bambina, lo vorrei tanto anche io.»

Alzai il viso verso quello di Alberto e lo vidi mentre guardava sua moglie con un’espressione di amore, dolcezza e tristezza così intensa che mi sentii una spiona ad osservare quella comunicazione così profonda e intima, perciò portai lo sguardo verso Claudine che continuava ad osservare fuori dalla finestra:

«C’era una farfalla Albert, una farfalla trés jolie.»

«Che colori aveva chèrie?» Alberto si staccò da me e si avvicinò a sua moglie, sedendosi su un bracciolo della poltrona e circondando lo schienale con un braccio,

«Dei colori davvero vivaci! Orange, jaune e un po’ de noir**… era davvero jolie!» Il viso di Claudine aveva un’espressione concentrata, anche se gli occhi restavano spenti e lontani: Alberto le baciò il capo guardando dalla finestra e di nuovo mi sentii di troppo, osservando quella scena così dolce e dolente. Stavo per andarmene  quando Claudine si girò verso di me: non mi rivolse alcuna parola, ma allungò una mano in mia direzione. La raggiunsi con un groppo improvviso alla gola: quella probabilmente fu la prima volta in cui ebbi un vero contatto con lei.

Mi prese la mano e la strinse a sé: i suoi occhi, gli stessi occhi di Emile, mi guardavano con aria triste, ma dietro quel velo riuscivo a scorgere una piccola luce di consapevolezza, come se stesse cercando di dirmi qualcosa, finché la sentii dirmi:

«Merci beaucoup.»

Grazie. Claudine mi stava ringraziando! Era un ringraziamento per esserle stata accanto? Mi ringraziava per aver reso più sereno Emile, come continuava a dirmi suo marito?

Non seppi dirlo. Ma sentii nuovamente un groppo alla gola e non riuscendo a parlare, mi avvicinai a lei e le diedi un bacio sulla guancia: forse il mio affetto sarebbe riuscito a comunicare con lei in modo più diretto di qualsiasi parola… Se solo fossi stata capace di sciogliere quel velo di tristezza che avviluppava la sua anima! Emile e Fede sostenevano che avessi il potere di far aprire le persone, ma in quel momento in cui desiderai davvero di avere una tale capacità, riuscii solo a sentirmi inutile e impotente, davanti alla tristezza senza sollievo di Claudine.

 

*****

 

«È così insopportabile tutto questo, Fede!»

«Lo so Pasi, ma non puoi farci nulla, la sola che potrebbe far qualcosa è Claudine stessa, ma non ha abbastanza forza di volontà per farlo.»

«Perché gli esseri umani si riducono in questo stato? È una sofferenza guardarla ed è ancora più doloroso vedere Emile e suo padre che soffrono con lei! Tutto perché ha ceduto, perché non si è fatta forza! Eppure aveva una vita splendida!»

«Claudine è fragile, non ha la tua stessa forza di volontà e si è lasciata andare alla sofferenza invece di combatterla.»

«Lo so Fede, so come funziona, ma non riesco ugualmente a tollerarlo! Se penso all’espressione sofferta di Alberto, se penso al dolore che si porta dentro Emile! Vorrei tanto fare qualcosa!» Appoggiai sconsolata la testa alla scrivania  dell’”ufficio” di Fede.

In quegli ultimi giorni il centro era stato rimesso a nuovo: Fede e Stè si erano occupati di risistemare la struttura (una mano di vernice, una controllata all’impianto elettrico e agli infissi), mentre io e Rita e qualche rara volta persino Sofia, c’eravamo dedicate all’arte dell’arredo e in poco tempo avevamo messo su un ingresso accogliente e due salette pulite, comode e ordinate, mentre la cassettiera di Emile era rimasta nell’ingresso, a dare il benvenuto ai nostri ospiti: ogni volta che la vedevo, sentivo la presenza del mio amato Riccioli Rossi, che mi sosteneva e incoraggiava. 

La stanza di Fede, dove ci trovavamo in quel momento, era piccola ma con le nostre cure era diventata accogliente: dotata di una scrivania, dei ripiani per libri e depliants e tre divanetti per accogliere i visitatori. Ero seduta di fronte a lui: appena entrata in quella stanza lo vidi intento a controllare che il pc fosse in ordine, ma si fermò di colpo guardando l’espressione che avevo sul viso, che come al solito rivelava al mio amico tutto ciò che mi angosciava in quel momento. Il passo che da lì mi condusse ad esternargli le mie ansie, fu breve.

«Pasi è inutile snervarti in questo modo, non puoi fare nulla per cambiare la situazione… anzi puoi renderla meno triste e tragica  se non ti fai prendere dallo sconforto e continui a mostrare  il tuo volto sorridente. Il tuo sorriso ha ridato vita agli abitanti di quella casa, te ne sei resa conto? Con la tua presenza accanto a loro hai portato gioia, hai portato vitalità, hai donato nuova linfa vitale ad Emile e a suo padre. Continua ad essere te stessa, e allevierai di molto le loro sofferenze.»

«Tu sei tropo fiducioso in me, Fede!»

«No Pasi, io guardo le cose con obiettività, tu sei troppo coinvolta per farlo perciò non ci riesci, ma io che conosco la situazione da un punto di vista esterno, la vedo la differenza.»

«Anche Emile ha questa smodata fiducia in me, ma io mi sento totalmente inutile, ora! Vorrei poter fare di più! Vorrei riuscire a dare il sorriso a Claudine, vorrei poter ridare sua madre ad Emile e sua moglie ad Alberto! È così frustrante non poter far nulla!»

«Invece di intristirti perché non riesci a raggiungere un obiettivo così difficile, considera invece ciò che fai e sii felice di essere riuscita a portare un po’ di allegria e serenità in quella casa. Non possiamo accollarci tutti i dolori degli altri, Pasi, ma possiamo aiutarli a farsi forza, possiamo fare qualcosa nelle piccole azioni quotidiane, o semplicemente donando un sorriso d’affetto e d’incoraggiamento a chi è in continua lotta. Questo deve valerti anche per il futuro: avremo modo di essere a contatto con tante realtà sofferte e con tante persone schiacciate da problemi di vario genere. Se ci addolorassimo fino a questo punto per ognuno di loro, non riusciremmo più a vedere con obiettività e soprattutto non riusciremmo a reggere tante situazioni difficili. Tutto ciò che potremo fare sarà incoraggiarli, sostenerli e aiutarli a superare i loro problemi, ma non potremo mai sostituirci alla loro volontà. Tienilo bene presente.»

Ecco perché adoravo Federico, aveva una profonda umanità e una grande sensibilità, ma riusciva anche ad essere freddo e obiettivo, dipanando di volta in volta tutte le mie ansie nei riguardi del mio desiderio di aiutare il prossimo. Aveva ragione, non potevo accollarmi il dolore di Claudine, la forza per reagire doveva trovarla lei, non potevo sostituirmi alla sua volontà, per quanto avessi potuto provare a darle uno scossone, tutto dipendeva da lei e non da me, che avrei solo sofferto inutilmente nel tentativo di risvegliarla da un sonno che non voleva abbandonare.

 

*****

 

«Pasi, c’è Emile che ti aspetta sotto casa.»

«EH?»

Aprii la porta del bagno con la faccia più sorpresa del mondo e lo spazzolino da denti ancora in bocca: era una normale domenica mattina e avevo appena fatto colazione: tutto mi aspettavo tranne la comparsa di Emile!

«Mi ha detto che ti aspetta giù… non avevate un appuntamento?» Guardai Rita in cerca di risposte, ma dall’espressione del suo viso capii che ne sapeva quanto me. Mi sciacquai la bocca e chiamai Emile al cellulare per capire cosa stesse accadendo:

«Emile, è successo qualcosa a tua madre?»

«Buongiorno streghetta, anch’io sono felice di sentirti.» il suo tono era ironico e non c’era traccia di preoccupazione nella sua voce.

«Che sta succedendo?»

Non capivo. Non ero assolutamente in grado di comprendere cosa stesse accadendo.  Perché era venuto sotto casa di Rita dicendomi di scendere, se non era accaduto nulla di grave a sua madre?

«Tu preparati e scendi, oggi facciamo una gitarella.»

 

Una gitarella. Io ed Emile che ci prendevamo un giorno tutto per noi, lontano da parenti e amici, lontano dalla nostra quotidianità e dai nostri impegni! Sarei dovuta andare da Simona nel pomeriggio, ma era ancora mattina e non sapevo cosa mi avrebbe riservato quel giorno con quel programma inaspettato, così rimandai il pensiero dell’appuntamento pomeridiano, al momento in cui avrei dovuto affrontarlo e mi preparai il prima possibile, agitata e felice per quella sorpresa inaspettata.

 

Appena raggiunsi Emile, lo vidi appoggiato alla parete dello stabile in mia attesa, le mani in tasca e gli occhi chiusi intento ad ascoltare i suoi mp3:  era sempre uno spettacolo per i miei occhi e la felicità nel vederlo fu disarmante. Non sapevo alcunché dei suoi piani per quel giorno, ma non m’importava: avrebbe potuto condurmi anche nei gironi più profondi dell’inferno e sarei stata ugualmente la ragazza più felice del pianeta, per il solo fatto che fossi in sua compagnia! Aprì gli occhi sentendo la mia presenza e mi sorrise, allungandomi una mano:

«Pronta?»

«Prontissima!» con un sorriso pieno di gioia, presi la sua mano mentre si avvicinava per darmi un dolcissimo bacio di buongiorno, prima di accompagnarmi all’auto.

Cercai di capire dove fossimo diretti ma Emile fu una sfinge, decisi quindi di mandare un sms a Stè per avvertirlo di non aspettarmi nel pomeriggio: mi dispiaceva mancare all’appuntamento con lui e Simona, ma nonostante non sapessi cosa ci attendeva, non avevo alcuna intenzione di rovinare quel giorno.

Appena inviai l’sms, notai una luce di soddisfazione sul viso di Emile: non riusciva ancora a togliersi di dosso la gelosia nei confronti di Stè e sapere di avermi rubato a lui doveva averlo reso soddisfatto di se stesso.    «Emile, dimmi che non è una manovra per non farmi vedere Stè!?»

Quel diavolo rosso sorrise tra sé e aggiunse: «Ammetto di essere soddisfatto di averti tutta per me oggi, ma se dovessi fare questo solo per tenerti lontana da Stefano, allora dovrei macchinare qualcosa ogni giorno!»  Lo guardai in tralice ma dovetti ammettere che aveva ragione: non gli avrei mai permesso di allontanare Stè da me, era una persona troppo importante, una presenza costante nella mia vita ed Emile avrebbe dovuto imparare a convivere con il fatto che ci fosse anche Testa di Paglia accanto a me.

Dopo un paio d’ore di tragitto, lo vidi fermarsi lungo la costa che stavamo percorrendo, scese dall’auto e mi aprì la portiera, vedendo che in preda alla confusione non ero ancora uscita dall’auto: 

«Pic-nic sulla spiaggia, che te ne pare?»

Lo guardai con stupore, meraviglia, felicità e tutto l’amore che sentivo per lui:

«Dico che è perfetto!»

Sorrise felice e mi allungò una mano per estrarmi da quell’auto a cui ero inchiodata e sorrisi di rimando, travolta da troppe emozioni per poter dire qualsiasi cosa.

Era una bella giornata d’inizio primavera, il sole era gentile sul viso e lo sciabordio delle onde aiutava a creare un senso di pace e comunione con la natura, il giorno ideale per accamparsi lì. Infatti Emile non fu l’unico ad aver avuto quell’idea, anche se quel tratto di spiaggia non  era particolarmente frequentato, per cui la sensazione predominante fu quella di essere soli con il mare a farci compagnia. Il mio Pel di Carota aveva pensato a tutto, così a me non restò che accomodarmi sulla stuoia e godermi cibo e compagnia.  

«Hai avuto un’idea magnifica, mi sento così bene in questo momento che non vorrei andarmene più”»

Emile sorrise soddisfatto stringendomi a sé: «Sono stato preso così tanto dalla realizzazione dell’album che il tempo è fuggito via e non abbiamo avuto mai modo di starcene un po’ lontani da tutto e tutti, così visto che oggi ero relativamente libero, ho deciso di approfittarne... Non è facile starmi accanto, ne sono consapevole: non ti do abbastanza spazio e ti metto sempre in secondo piano… Volevo ripagarti per la tua pazienza.»

Quella frase mi strinse il cuore di una dolorosa gioia, avevo capito ormai che quando Emile era impegnato con la musica dovevo solo armarmi di pazienza e attendere che avesse tempo per me, per cui non avevo pensato che avesse dei sensi di colpa nei miei confronti. Mi aveva detto più volte quanto fossi importante per lui, mi aveva dimostrato anche la sua stima, eppure ogni volta che faceva gesti simili, o diceva qualcosa che dimostrasse quanto ci tenesse a me, mi riempiva di gioia come se fosse la prima volta: è proprio vero che un innamorato non si accontenta mai, che ha sempre bisogno di conferme, che teme sempre di non essere amato! 

«Grazie.» fu l’unica parola che riuscii a dire, prima di sprofondare il mio viso nel suo abbraccio e bearmi di quel momento di assoluta pace.

Restammo in silenzio per qualche secondo, finché Emile tornò a parlare:

«Sei felice, Pasi?»

Restai avvolta nel suo abbraccio mentre aggiungeva: «Credo di non essere mai stato così felice in vita mia e so che questo momento sparirà; perciò finché c’è, finché posso sentirmi così in tua compagnia, vorrei che fosse lo stesso anche per te, che provassi anche tu ciò che provo io.» 

Ciò che provai in quel momento non riesco a descriverlo con le sole parole: ero così terribilmente felice e così splendidamente triste che solo col senno di poi mi resi conto dell’assoluta contraddizione che si cela nell’animo di chi raggiunge una gioia estrema…

«Sì Emile, sono felice. Felice come non sono stata mai.»

…una gioia così immensa da essere dolorosa, da farti sentire triste sapendo che finirà!

Emile non replicò alle mie parole, ma  mi strinse a sé silenziosamente e senza dirci altro rimanemmo ad osservare le onde e il loro gioco di luce con il sole.












-------------------------------------------------------


* "La mia amica è molto graziosa"
** Arancione, giallo e un po' di nero











________________________________________
NDA
Mie care, ho ufficialmente compreso che il modo in cui concepisco ciò che scrivo è totalmente diverso da quello che sentite voi quando leggete, per cui, personalmente credo di avervi dato una dose di zucchero sufficiente a ripagarvi dell'amarezza e della tristezza dei precedenti capitoli, ma probabilmente voi non sarete d'accordo, giusto? xD
Questo capitolo e quello precedente sono frutto della mia recente revisione (ancora in corso): sono stati praticamente scritti in queste ultime settimane,
riempiendo un vuoto cosmico che avevo lasciato a se stesso nell'ansia di arrivare ad una conclusione (...).
Spero quindi che siano stati di vostro gradimento, perché a me sono piaciuti molto ^ ^


Angolo dei Ringraziamenti:
La mia tomodachi mi ha detto che a volte scrivo delle cose che creano immagini ad effetto: per chi scrive, riuscire a dare un'immagine che resti impressa nella mente di chi legge è un grande traguardo ed io mi sono sempre considerata troppo sintetica per esserne capace, troppo poco descrittiva per essere considerata una persona capace di scrivere.
Per cui l'autrice piena di complessi (grazie prof.) che è in me, si sente ancora una volta commossa e grata per le parole così belle che tutte voi mi riservate e spero con tutto il cuore di riuscire ad emozionarvi fino alla fine con questo racconto che ormai è diventato parte di me.
Vi adoro tutte e vi ringrazio come sempre per il vostro sostegno, per gli incoraggiamenti, per l'attesa ansiosa di un nuovo capitolo e per tutte le belle parole che avete speso a mio vantaggio da quando ho iniziato a pubblicare questa storia, due mesi e mezzo fa.
ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi mie adorate: Iloveworld, Saretta, Niky, Vale, Concy, Ana-chan, Cicci, Ely.
Vi adoro <3

Grazie a tutte coloro che hanno aggiunto questo racconto tra i preferiti, tra le seguite e tra quelle da ricordare: lorenzabu, samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag,
green_apple, cara_meLLo, celest93, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753 (se amate i romanzi della Austen, in particolare Orgoglio e Pregiudizio, Origin sta scrivendo una divertentissima parodia con tutti i personaggi austeniani: The Austen Resort, ve la consiglio!), petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula, _Grumpy.

ARIGATOU - formato famiglia a tutte voi!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19









 

La felicità, il nostro desiderio più ambito, l’obiettivo che ci affanniamo a raggiungere durante il corso di tutta la vita. Emile aveva detto una grande verità, la felicità fugge via ed è per questo che quando siamo felici dobbiamo viverci quei momenti al meglio possibile, senza sprecare un solo istante nella paura che essi finiscano. Perché tanto finiranno. È una legge della vita.

Dopo esserci concessi quella domenica tutta per noi, io ed Emile decidemmo di comune accordo di concedere una domenica di riposo anche a suo padre: non si era mai staccato da sua moglie da che avevo memoria e meritava anche più di noi un giorno di svago. Alberto però fu duro da convincere, non voleva imporci un’intera giornata accanto a Claudine e sospettai anche che non volesse staccarsi da lei per paura che le accadesse qualcosa. Così scendemmo a patti: riuscimmo a strappargli un pomeriggio di relax anziché l’intero giorno, così nel dopo pranzo lo spedimmo fuori a rilassarsi con qualche collega, mentre noi ci prendevamo cura dell’amore della sua vita.

Era la prima volta che io ed Emile ci trovavamo insieme a badare a Claudine e anche se non avremmo fatto nulla di nuovo, essere lì insieme era una piacevole novità. Inoltre adoravo vedere il modo dolce e premuroso in cui il mio Pel di Carota si prendeva cura di sua madre: era una dolcezza ricolma di tristezza, ma anche di un amore infinito che mi commuoveva sempre.

«Emile, tu ci credi al Destino?»

Ero in piedi accanto alla finestra, intenta ad osservarlo mentre dava da bere a sua madre, quando mi venne in mente il giorno in cui lo vidi all’ospedale con lei… quel giorno in cui Simona si fece male.

«Stavo pensando a quando c’incontrammo la prima volta all’ospedale e mi sono venute in mente tutte le circostanze che mi hanno portato ad essere qui con te ora… io credo che qualcuno lassù, abbia deciso che dovevamo incontrarci a tutti i costi e abbia fatto di tutto per far si che ciò accadesse. Sofia ci ha raccontato anche una leggenda al riguardo, sulle persone legate dal Filo Rosso del Destino…»

Raccontai per sommi capi la storia di Sofi mentre Emile venne a sedersi sulla poltrona, a breve distanza sia da me che da sua madre, per ascoltarmi e non perdere di vista Claudine.

«È una leggenda molto bella e romantica e non ti nascondo che sarebbe bello crederci… ma sono convinto che siamo noi a scegliere il nostro Destino. Se non fosse così non potrei pensare che quel qualcuno che dici tu, abbia deciso di privare mia madre della sua vita e della sua felicità e sarebbe altrettanto implicito che qualsiasi sforzo faccia per emergere, potrebbe essere inutile se non fosse scritto nelle stelle. Invece sono convinto che per quanto tu debba sforzarti e sudare, se hai la volontà ferrea di raggiungere un obiettivo, riuscirai nel tuo intento, perché niente al mondo riuscirà a bloccarti, niente al mondo ti tratterrà dal raggiungere il tuo scopo.»

Emile parlava con foga e con una luce intensa nello sguardo, era chiaro che si stesse riferendo al suo obiettivo di diventare famoso e capii da quella febbrile determinazione che lo pervadeva, quanto fosse forte il suo desiderio di emergere, che avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il mio pensiero andò momentaneamente a Claudio, ma lo accantonai dicendomi che le sue si erano rivelate vuote minacce, che il pericolo era passato, ma mi chiesi anche se non ci fosse la possibilità che si ripresentasse successivamente…  «Ci sei rimasta male?» Emile mi riportò alla realtà con quella domanda.

«Come?»

«Ho visto che ti sei ammutolita e ho pensato che ci fossi rimasta male per la mia risposta… Sai Pasi, io non sono  così ottimista e buono come te e non riesco a credere alle favole…» il suo sguardo si fece amaro d’improvviso e d’istinto mi accovacciai accanto a lui per accarezzargli il viso:

«Assolutamente no, hai espresso il tuo parere e siamo tutti liberi di avere opinioni differenti Emile e non per questo penso che tu sia un insensibile. Abbiamo solo due opinioni diverse, tutto qui.» mi guardò con intensità, i suoi occhi si screziarono d’azzurro e la sua bocca si arcuò in un dolce sorriso. Mi fece segno di sedermi in braccio a lui e una volta accomodata mi prese il volto tra le mani…

«Come farei senza di te?» …e mi diede un dolcissimo bacio.

Restammo abbracciati così per un po’, quando sentii lo sguardo di Claudine su di noi: alzai il capo in sua direzione e le sorrisi… e notai una luce in quegli occhi che non avevo visto mai prima.

Il suo sguardo passò dal mio volto a quello di Emile e con un’istantanea comprensione sul viso disse:

«Mon petit… tu es heureux mon petit! Tu es heureux!» *

La poltrona su cui eravamo seduti era abbastanza vicina da poter toccare Claudine, così Emile allungò una mano per accarezzare il volto di sua madre e le rispose:

«Oui maman, Je suis heureux.» 

Era la prima volta che lo sentivo parlare in francese: in quel momento stavano comunicando davvero, stavano interagendo: Claudine era vigile, non era un guscio vuoto e parlava con lucidità a suo figlio in una delle rare occasioni in cui ciò era accaduto!

Sentendo la risposta di Emile, versò una lacrima e chiuse per un momento gli occhi e quando li riaprì disse: 

«Je suis heureuse aussi mon trésor. Je t’aime mon bébé!» 

Emile osservò sua madre con occhi ad un passo dalla commozione e attese di riprendere la calma prima di rispondere:

«Je t’aime aussi, maman.», stringendo la sua mano su quella smagrita della madre, mentre Claudine tornò al suo sonno con un sorriso sul volto.

 

 

Quella fu l’ultima volta che la vidi.

Due giorni dopo Claudine si uccise con una dose massiccia di sonnifero, approfittando di un attimo di distrazione di Alberto.

 

Quando mi arrivò la notizia era sera ed ero al centro a mettere in ordine alcuni documenti, quando all’improvviso Fede, che proprio quella sera era con Alberto, mi chiamò.

«Pasi, chiama Emile e correte all’ospedale, Claudine ci ha riprovato, si è imbottita di sonnifero.»

Rimasi pietrificata: dopo averla vista interagire con Emile, avevo sperato nuovamente che si stesse riprendendo, che la gioia di vedere suo figlio felice l’avrebbe riscossa e fatto reagire… non poteva fargli questo! Non poteva fare una cosa simile ad Alberto, non poteva lasciarci così!

«Pasi? Pasi mi hai sentito? Avverti Emile e correte all’ospedale, noi stiamo andando già lì.»

Allertata dalla voce pressante di Fede, mi riscossi quel tanto che bastò per reagire: Emile! Dovevo avvertirlo! Dovevo andare da lui e stargli accanto!

«S-sì Fede, arriviamo subito!»

 

Quella sera Emile era con il gruppo in riunione straordinaria con il produttore: stavano prendendo alcune decisioni riguardanti  il lancio del CD, era una serata importante ed era richiesta la presenza di tutti i GAUS al completo. Per questo motivo ebbi delle remore a chiamarlo, ma si trattava di sua madre, non era una sciocchezza e aveva il diritto di sapere cosa le fosse accaduto, così mi decisi ad usare il cellulare.

«Pasi, che succede?»

«Scusa se t’interrompo ma è urgente Emile! Sto andando al pronto soccorso, Claudine...»

«Arrivo.» non mi lasciò terminare la frase e attaccò la chiamata.

 

Quando giunsi all’ospedale Emile non era ancora arrivato: Alberto e Fede erano nel corridoio in attesa e corsi ad abbracciare il primo per poi chiedergli cosa fosse accaduto. Alberto era visibilmente preoccupato, eppure non aveva quell’ansia addosso che gli avevo visto la volta precedente, sembrava stranamente tranquillo, nonostante le condizioni di Claudine dovessero essere decisamente più gravi.  Probabilmente confidava nei medici… Oppure era arrivato ad abituarsi a quella situazione, ma quel pensiero mi risultò quasi un’aberrazione: come ci si può abituare all’idea che chi ami voglia morire?

Emile arrivò dopo poco: gli corsi incontro e abbracciati c’incamminammo verso Alberto. Quando arrivò accanto a suo padre, i due si osservarono intensamente, come se stessero comunicando col pensiero e la scena mi sembrò surreale: temevo che cadessero a pezzi, ero preparata a sostenere entrambi e invece apparivano stranamente tranquilli, dando vita ad una strana ansia dentro di me… e quando arrivarono i medici, lo stato della mia preoccupazione si fece allarmante:

«Abbiamo fatto il possibile, ma la signora ha ingerito una dose letale di sonnifero… non siamo riusciti a salvarla.»

In quel momento persi il contatto con la realtà: tornai di nuovo a qualche mese prima, ero di nuovo con Stè in quello stesso ospedale, mentre mi diceva che mia sorella era morta. Simona non c’era più ed ora anche Claudine se n’era andata!

«No, non è possibile!» sentii la mia voce alzarsi di tono, «Dovete salvarla, non può morire così! Non ora, non ora!» come quella volta, il mondo prese a vorticare intorno a me e solo la voce di Emile mi riportò alla realtà:

«Pasi, calmati, Pasi!»

Mi tenne stretta a sé e tornai alla lucidità, rendendomi conto che la più sconvolta tra i due ero io. Guardai Alberto, anche lui aveva la stessa compostezza del figlio, nonostante stesse piangendo.

«Ma cosa significa? Perché siete così calmi? Ho capito male forse? Claudine sta bene?»

«No Pasi, hai compreso perfettamente, mia madre se n’è andata.»

Mi voltai di scatto verso Emile: «E allora perché siete così tranquilli?! Io… Io non capisco Emile! Ti rendi conto? Claudine! Claudine!»

Emile tornò a stringermi a sé e parlò con calma: «Lo so, se n’è andata, ma ora è in pace Pasi, mamma ora è felice.»

Alzai il viso verso il suo, gli occhi erano rossi di pianto eppure la sua espressione era serena: alla fine quella da consolare ero io!

«No! Non lo posso accettare Emile! Stava meglio! Ti ha parlato l’altro giorno, ho visto la luce che aveva negli occhi! Stava meglio! Stava meglio!»

«Mi stava dicendo addio Pasi; quel giorno era felice, le ho visto la serenità negli occhi e ho capito che ci avrebbe lasciato a breve.»

Mi tenne stretta nel suo abbraccio, trattenendo il dolore per farmi forza, mentre il mio prese il sopravvento. Era troppo, perché se n’era andata anche lei? Quante persone avrei dovuto perdere ancora in quel modo? Non sopportavo più quel luogo, non volevo più dire addio alle persone che amavo; perché, perché andavano via, perché mi lasciavano?!

«L’ha fatto anche con me piccola, ha detto addio anche a me in quello stesso modo due giorni fa.» Alberto posò una mano sulla mia spalla e abbracciò con l’altra suo figlio: «Fatti forza piccola, fatti forza. Ora Claudine è serena, e dobbiamo esserlo anche noi.»

 

 

*****

 

“Sii forte”, la frase che mi disse Emile prima di tornare in Germania; “Fatti forza”, fu l’eco di suo padre. Loro due erano forti, lo erano da vent’anni, aspettandosi l’addio improvviso di Claudine ogni giorno, guardandola ogni volta come se fosse l’ultima… e quando quel giorno giunse, mantennero fede ai loro propositi, si fecero  forza reciprocamente.

Io no. Io non ce la facevo a sopportare anche quella perdita a distanza di pochi mesi. Continuai a piangere e a sentirmi nuovamente spezzata, eppure una voce dentro di me era consapevole che Emile e suo padre dicevano la verità. Avevo visto tutta la scena anche io, ero stata presente all’addio di Claudine verso suo figlio, e avevo notato gli occhi rossi di Emile mentre le diceva “Ti voglio bene anch’io mamma”; in quel momento si erano detti addio, ma non me n’ero resa conto! 

Dovevo essere forte anch’io, se non per me, almeno per Emile e per Alberto: per quanto si fossero preparati ad affrontarlo,  il mio dolore doveva essere niente in confronto al loro!

Eppure non riuscii ad esserlo.

Al funerale di Claudine Flaubert c’erano poche persone, i pochi intimi che la conoscevano e l’amavano, o chi aveva imparato a farlo tramite i racconti di chi l’aveva conosciuta quando era sana e vitale. Alberto mandò un telegramma in Francia per comunicare alla famiglia Flaubert la dipartita di sua moglie, ma nessuno si fece vedere alla funzione, né mandarono altri segni di aver ricevuto la notizia.  I miei amici invece, vennero tutti, sia per affetto verso di me che per dare sostegno ad Emile, ma mi accorsi ben poco della loro presenza: quelle ore le trascorsi abbracciata a lui in lacrime, preda dello sconforto e del dolore. Piansi per me, per Emile, per Simona, per Claudine… probabilmente piansi per tutti coloro che non riuscivano a farlo o che lo facevano ben poco. Due sole cose ricordo di quel funerale: il mio pianto e l’abbraccio convulso di Emile che non mi lasciava.  

E come lui non mi aveva lasciato un secondo durante quel luttuoso evento, altrettanto io ero restia ad allontanarmi da lui, andandomene da quella casa. Claudine aveva vissuto quasi esclusivamente nella sua stanza, eppure in quell’abitazione che lei aveva scelto anni addietro, si sentiva tragicamente la sua assenza: d’improvviso quella casa sembrava immensa e vuota. 

Intorno a Claudine si erano sempre avvicendati medici e infermieri e in un modo o in un altro, grazie a lei quella casa aveva sempre ospitato  un vai e vieni di persone, che ora non ci sarebbero più state. Ora restavano solo Alberto ed Emile, solo loro due, in una casa troppo grande, vuota e silenziosa. Saperli soli in quel vuoto non mi dava pace, così decisi di trascorrere quei primi giorni con loro: non m’importava se avessero avuto da ridire, se avessero voluto fare i forti; sarei stata irremovibile, non li avrei mai lasciati da soli! Probabilmente non ero forte come loro, ma avrei potuto aiutarli a non cedere, avrei potuto dare un po’ di sostegno in qualche altro modo e non volevo staccarmi da due persone che consideravo parte integrante della mia famiglia.  Inoltre, da un punto di vista del tutto egoistico, non avendo presenziato al funerale di mia sorella, mi sentii in dovere di essere partecipe di quello di Claudine in ogni suo aspetto, come se avessi potuto espiare in quel modo, la colpa di essere stata assente per mia sorella una volta di troppo.

Per fortuna sia il padre che il figlio non avevano le energie necessarie a discutere, così quando dissi loro della mia intenzione di restare in quella casa, non fecero obiezioni di sorta… probabilmente anche se si mostravano forti, entrambi sentivano la stessa sensazione di vuoto che percepivo io, anzi, con tutta probabilità in loro era tutto amplificato; vent’anni di convivenza e di amore non si possono cancellare in qualche giorno!

Le ore successive al funerale, trascorsero nel ricevere le condoglianze di cortesia del vicinato, nel sentire qualche frase di circostanza e nel rispondere con altrettante frasi fatte. Nei pochi mesi in cui avevo frequentato quella casa, non avevo mai visto una di quelle persone far visita a Claudine quand’era viva e osservarli in quel momento, mentre mostravano il loro finto dispiacere di circostanza, mi provocò un impeto di rabbia per quell’ipocrisia e per quelle inutili formalità. Ero contraria a simili gesti da sempre, avevo avuto le migliori discussioni con i miei genitori proprio a causa dell’apparenza a cui loro tanto tenevano, ma in quell’occasione capii molto più profondamente ciò che avevano vissuto Aberto ed Emile in quegli anni, capii il profondo astio che aveva dovuto provare il mio Pel di Carota davanti ad un continuo andirivieni di persone pettegole e ipocrite, che volevano solo salvare le apparenze o impicciarsi delle vicende altrui. Capii quanto gli fossi dovuta sembrare invadente e intrigante quelle prime volte che ci eravamo visti…

Gli ero stata accanto tutto il tempo quel giorno e in quel momento, alla luce di quella comprensione, gli strinsi una mano, per tenermi il più possibile aggrappata a lui, per fargli sentire quanto gli fossi vicina e quanto avrei voluto poter fare qualcosa per risparmiargli tutto quello strazio.

Emile ricambiò la stretta e quando fu libero dalle chiacchiere di circostanza mi diede un bacio sulla fronte:

«Grazie, so che questo ti sta costando molto, se vuoi andare a riposare sei liberissima di farlo.»

Gli presi anche l’altra mano e lo guardai negli occhi: «Non vado da nessuna parte Emile, lo affronteremo insieme, che tu lo voglia o no.»

Mi guardò con un’espressione dolce e triste che ricordava moltissimo quella di Claudine e per un attimo mi si strinse il cuore; poi mi accarezzò il viso con una mano senza dire una parola, prima di essere chiamato a continuare quella pantomima.

Quando arrivò la sera, mi accompagnò in camera, quella stessa camera in cui dormii mesi fa e anche quella volta, lo fermai mentre stava per dirigersi sulla porta, dopo avermi dato la buonanotte:

«Resta qui con me, non te ne andare!»

Non volevo lasciarlo, non volevo in alcun modo separarmi da lui, temevo l’idea che dovesse sopportare una sofferenza immane tutto da solo. Emile rimase qualche istante sulla porta ma poi se la chiuse alle spalle, venendomi incontro, adagiandosi nel letto accanto a me e tenendomi stretta a lui.

Durante la notte però, allarmata da una strana sensazione mi svegliai e alzando il viso verso quello di Emile addormentato accanto a me, mi resi conto che nel sonno aveva iniziato a piangere. Il suo viso sembrava rilassato, eppure le lacrime erano ben visibili e non accennavano a smettere di scorrere. 

Povero amore mio, si stava tenendo in piedi con tutta la forza di volontà che aveva, ma la notte il suo cuore reclamava il diritto di esternare la sua sofferenza, libero dal desiderio della mente di mostrarsi forte. Mi accoccolai accanto a lui e lentamente gli asciugai le lacrime, prima di stringerlo a me. 

 

*****

 

Mi risvegliai nel letto da sola e con un’impressionante sensazione di deja-vu mi alzai, ritrovandomi nuovamente in un corridoio vuoto e silenzioso. Come l’altra volta mi allungai verso la stanza di Claudine, la cui porta era aperta: avevo la strana sensazione di camminare nel passato, come se mi fossi risvegliata in un piano di esistenza al di là del tempo. Come quella volta, nella stanza c’era Alberto, ma quella fu l’ultima assonanza col passato: repentinamente tornai al presente nel vederlo seduto sulla poltrona accanto al letto vuoto di Claudine, mentre osservava silenziosamente la stanza. Entrai quasi in punta di piedi, senza dire una parola e mi accucciai a terra, accanto alla poltrona, poggiando la mia mano su una di Alberto. Mi guardò con un sorriso amorevole e triste: aveva gli occhi rossi ma se aveva pianto, quelle lacrime si erano seccate da tempo, poiché non ce n’era traccia sul suo viso tranquillo.

«Questa casa è vuota senza di lei, vero piccola?»

«Sì… lo è… è terribilmente vuota!»

Tornò a guardare avanti a sé, come per rivolgersi più a se stesso che a me:  «Non mi abituerò mai alla sua assenza…»

Non ce la facevo a guardarlo senza dir niente, così cercai di essere utile in qualche modo:

«Alberto… so che forse non sono la persona più adatta, ma se vuoi parlare, se vuoi sfogarti… con me… io ti sono vicina! Ti ascolterei con piacere! Lo so che fino a ieri non ho fatto altro che piangere e so che agli occhi tuoi e di Emile sarò sembrata una fragile ragazzina emotiva… ma io sono convinta che il dolore vada esternato e sarei davvero felice che lo faceste anche voi due! Inoltre, essendomi già sfogata, ora posso ascoltare anche gli altri.» E non mi sentirò l’unica stupida che urla e strepita!

Alberto mi guardò con affetto e poggiò l’altra mano sulla mia:

«Pasi, bambina mia, tu sei una deliziosa giovane donna cristallina e di buon cuore e vai bene così come sei. Non posso parlare per Emile, che è solito non esternare ciò che sente dentro, ma io non sto trattenendo il dolore.  Sento terribilmente la mancanza di Claudine, con lei è andato via un pezzo di me e non sarò mai più intero; ma quando mi ha detto addio io l’ho vista serena, ho visto in lei una luce che non vedevo da tempo, il suo sguardo era rilassato e privo di dolore come vent’anni fa! La mia Claudine ha rinunciato a vivere da allora e solo stavolta ho visto che la tristezza del suo animo e il senso di colpa per non essere stata una buona madre verso Emile, l’avevano abbandonata, perché l’aveva visto felice… insieme a te.»

Strinsi più forte la mano di Alberto e iniziai a sentire il magone nella gola. «Ma chère sarebbe morta prima o poi, ci sarebbe stata una disattenzione da parte nostra che sarebbe stata fatale e lei ne avrebbe approfittato per andarsene;  ma sapere che l’ha fatto col sorriso sulle labbra e il cuore più leggero è stato il modo più bello di dirle addio. Mi mancherà sempre, ma so che ora è serena e questo basta a placare il mio dolore. E dopotutto, è solo questione di pazienza e attesa: quando giungerà la mia ora, la rincontrerò e potrò stare con lei come prima, come quando ci siamo conosciuti e quella volta sarà per l’eternità.»

Il viso di Alberto  era così sereno a quell’idea, era così convinto della sua visione romantica dell’amore che lo legava a Claudine che mi commosse: appoggiai il viso sulla sua mano e iniziai a piangere.

«Su, su, bambina, Claudine è serena, tutte queste lacrime non ti fanno bene. Devi essere felice piccola, devi vivere la tua vita con serenità, senza rattristarti così per chi è sceso prima dal treno.»

«Sì, lo so.»

«Coraggio, vieni qui e abbracciami.» mi allungai ad abbracciare Alberto e rimanemmo per qualche minuto a darci affetto e calore reciproco. Ancora una volta, il mio desiderio di dare conforto e sostegno si era ribaltato ed ero finita ad essere io quella da consolare!

 

*****

 

Emile tornò presto ai suoi doveri verso il gruppo. Si era allontanato all’improvviso dalla riunione col produttore per correre da sua madre e da allora non aveva più sentito qualcuno, né saputo cosa si erano detti. Così chiamò a raccolta i GAUS per parlare con loro e tornò a riprendere anche i suoi impegni lavorativi presso la bottega di restauro, decidendo di recarvisi direttamente dalla mattina, dato che non c’era più bisogno di essere tra le pareti domestiche. Era una decisone più che ovvia, ed era anche scontata considerando che negli ultimi tempi, preso dal gruppo, aveva chiesto una dose eccessiva di giorni liberi, per cui era più che giusto rimediare alle “vacanze” arbitrarie che si era concesso.

Tuttavia, sospettai che quella decisione fu presa anche per un terzo e non meno importante motivo: trascorrere il minor tempo possibile in quell’abitazione. Così tra i restauri e i GAUS, le sue giornate scorrevano tenendolo impegnato, senza dargli modo di cedere al dolore.

Tranne la notte.

Puntualmente quando chiudeva gli occhi, il suo cuore liberava la sofferenza che veniva imbrigliata durante il giorno ed io ogni volta lo stringevo a me col cuore a pezzi, asciugandogli le lacrime… finché non sopportai più quella situazione e decisi di affrontare direttamente con lui il discorso.

Una domenica mattina lo trovai nel laboratorio di Alberto intento a rifinire la cornice di uno specchio antico: non si concedeva il riposo nemmeno quel giorno.

«Ti sei alzato presto anche oggi!? Ma è domenica!»

 Avevo ancora gli occhi assonnati ed ero scesa da lui in pigiama, appena resami conto della sua assenza. Emile si volse verso di me e mi sorrise flebilmente:

«Mi sono svegliato e non riuscivo ad addormentarmi, così sono sceso qui. Torna a letto Pasi, stai dormendo in piedi!»

«No, sto bene…» e sbadigliai alla grande… Emile mi guardò con espressione improvvisamente seria:

«Pasi, non è necessario che tu rimanga ancora qui la notte: io e papà stiamo bene, possiamo cavarcela da soli.»

D’improvviso il sonno mi passò, non avevo pensato di essermi trattenuta troppo in quella casa: era così naturale per me essere lì, che non mi ero ancora posta il problema sulla durata della mia permanenza in quel luogo… Inoltre ero ancora troppo preoccupata per Emile, per potermene andare via lasciandolo a se stesso!

«Non è vero che stai bene, tuo padre forse ha raggiunto una certa tranquillità interiore, ma tu no, Emile! Tu ti sobbarchi di lavoro per non pensare, stai fuori casa il più possibile, per non sentire il vuoto che c’è in quest’abitazione ora e non trovi la forza di sfogare ciò che hai dentro di te. E forse non riesci a dormire proprio perché la tua coscienza sta cercando di dirti qualcosa!» Sganciata la bomba, mi preparai al contraccolpo che ero sicura sarebbe arrivato all’istante.

«Sono sciocchezze Pasi! Lavoro di più perché è giusto che sia così e di conseguenza sto fuori casa per più tempo. Non ho nulla da sfogare, sto bene. E se mi sveglio presto, è perché ormai sono abituato a farlo!»

«Non è vero, Emile! Non è assolutamente vero che stai bene e che tu non abbia nulla da sfogare!»

«Ti dico che sto bene!»

Non ne potevo più di quella farsa; perché ora tornava a mascherarsi davanti a me? Era mai possibile che lo facesse a causa mia? Voleva essere forte per me, perché mi aveva visto a pezzi?

«Emile, se lo fai per me, se lo fai perché ti senti in dovere di essere forte, dato che io non mostro di esserlo, allora smettila immediatamente perché io non voglio che tu finga!»

«Fingere di che, Pasi? Se ti dico che sto bene, perché non mi credi?»

Iniziò ad alterarsi, ma io continuai imperterrita: «Perché io lo so che non è vero, stupido!»

Emile perse le staffe e iniziò ad alzare la voce:

«Che cosa vuoi che ti dica, eh? Che mi manca? Mi è sempre mancata, è tutta la vita che mi manca una madre! Perché dovrei piangere ora, per qualcosa che mi porto dentro da sempre? Dovrei piangere perché non era presente agli incontri con gli insegnanti? Perché non mi ha visto mentre cantavo la prima volta su un palco? Perché quando c’era da fare il tema sulla mamma, non sapevo cosa scrivere? Perché non so cosa sia mangiare un piatto cucinato da lei o ricevere un suo abbraccio? È per questo che devo piangere?!»

«Sì stupido, se è questo che ti fa star male piangi per questo, perché io lo so che soffri, so che ora stai fingendo di star bene; perché io asciugo le lacrime tutte le notti da quel tuo viso!»

Emile restò esterefatto, la rabbia fece posto alla sorpresa sul suo volto, che venne raggiunto da una mano, come se la pelle del viso a contatto con le dita, emanasse i ricordi delle sue notti di pianto. Aveva un’espressione sorpresa mentre realizzava ciò che gli avevo detto: non si era mai reso conto di piangere la notte!

Mi avvicinai a lui prendendogli la mano: «Non ti rendi conto che il tuo cuore soffre? Buttalo fuori quel dolore, esternalo! Non lasciare che ti corroda!»

La sua espressione sorpresa si rilassò, lasciando spazio all’amarezza: «A cosa servirebbe, Pasi? Se piango, se mi metto ad urlare, cosa cambia? Mia madre tornerà? Tua sorella è mai tornata da te, quando piangevi per lei?»

«Loro non torneranno, ma tu non sei morto; tu sei vivo Emile, sei vivo! E i vivi piangono, urlano, rompono qualcosa per la rabbia, l’esternano la loro vita, la loro esistenza! Non ti chiudere in te, ti prego! Non fare come lei!» 

Quell’ultima esclamazione sorprese anche me: non mi ero resa conto fino a quel momento, di temere che Emile prendesse la stessa strada pericolosa che aveva decretato la fine di sua madre: rimasi stupita da quello che avevo appena compreso e portai una mano alla bocca sgranando gli occhi, preoccupata di aver detto una parola di troppo.

Invece Emile mi abbracciò; ancora una volta, quella era una paura che comprendeva benissimo perché prima d’incontrarmi, era stato il suo motivo principale per vivere, la causa che l’aveva spinto a volere il successo. Emile temeva anche più di me l’idea di seguire lo stesso destino di sua madre. 

«Stai tranquilla amore mio, io non me ne andrò in quel modo, non me lo perdonerei mai!»

«Allora sfogati, ti prego!»

Lo strinsi a me, sentii tutti i battiti del suo cuore e fui presa nuovamente dal desiderio di essere parte della sua anima, per condividere e alleggerirgli il dolore.  

«Lo farò, te lo prometto; appena ci riuscirò, lo farò.»















----------------------------------------------

* “Piccolo mio... tu sei felice piccolo mio! Tu sei felice!”
 “Si mamma, sono felice.”

 “Sono felice anch'io tesoro mio. Ti voglio bene bambino mio!”
“Ti voglio bene anch'io, mamma.”







__________________________________________

NDA

*si mette un elmetto protettivo in testa e un'armatura completa addosso*
EHM.... si lo so, ora mi odiate e vi starete chiedendo quanto io sia sadica, perversa e quanto goda ad eliminare i personaggi che amate....
Vi giuro che non è così! Claudine è stata concepita come personaggio sacrificabile sin dall'inizio e nella genesi di questa storia, lo strazio doveva essere solo nei suoi riguardi. In seguito è comparsa anche Simona nella lista e a quel punto sono stata titubante sul salvare Claudine o meno... però poi avrei dovuto rivedere tutta la storia e quindi ho deciso di lasciare tutto così come l'avevo concepito sin dall'inizio. So che ne è risultata una strage e probabilmente a furia di amare Fuyumi Souryo, sto prendendo la sua brutta abitudine di sacrificare personaggi amati... ma vi giuro che non ci saranno più momenti simili, basta con i funerali, parola di scout!
(Uhm... no di scout no... vi do la mia parola di elfa? Uhm.... Vabbè comunque sia non voglio più funerali nemmeno io, quindi abbiate pietà di me e non linciatemi PLEASE!!!)
In questi ultimi giorni sono bloccata su alcuni capitoli perchè non riesco a trovare la giusta concentrazione e mi sento un pò frustrata in questo... però contemporaneamente ho inziato a ideare una specie di spin-off, che se mi convincerà vedrete presto su questo sito xD
Insomma l'ispirazione come sempre va e viene, spero solo di continuare a mantenere il vostro interesse ^ ^

Angolo dei Ringraziamenti

Anche se dopo questo capitolo sento che le vostre parole saranno tutt'altro che di sostegno, vi ringrazio dal profondo del cuore per i vostri continui incoraggiamenti e per l'impazienza che mostrate nel volere leggere i capitoli futuri. Grazie mille a Iloveworld, che in quanto Beta, è stata la prima ad essere assassinata con questo capitolo e mi ha gentilmente consigliato di munirmi di elmetto (come vedi sorellina ho aggiunto anche l'armatura!) per evitare di essere uccisa a mia volta... Thank you so much sister <3
Ringrazio le mie sorelle più affezionate: Niky, Saretta, Vale, Concy, che sempre mi sostengono e mi donano il loro entusiasmo, che costituisce un'enorme spinta a continuare a scrivere
(anche se ora mi odierete ç_ç) e le sorelle che mi sostengono a distanza: Ana-chan, Cicci, Ely.
Ringrazio anche tutte coloro che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite:
lorenzabu, samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag, green_apple, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula, _Grumpy.


ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi <3



Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 







 

«Stè, io e te dobbiamo uscire un po’.»

«Eh?» Testa di Paglia mi guardò sorpreso.

Ormai ci vedevamo quasi esclusivamente davanti alla tomba di Simona o per le nostre lezioni di francese e iniziai a sentire il bisogno di riprendermi i brandelli di una vita più spensierata: ero circondata da troppi eventi luttuosi, dovevo ricaricare le energie per sentirmi meglio e per non far più preoccupare Emile. Forse se mi avesse visto più energica e serena, si sarebbe deciso a lasciarsi andare, a cedere al dispiacere… ed io avevo il desiderio sempre più pressante di distrarmi da tutta quella sofferenza!

«Uscire? A far cosa?»

«Non lo so, a far casino! Ho bisogno di distrarmi e credo proprio che serva anche a te! Ci sono state troppe tristezze ultimamente,  devo liberarmi da questa angoscia!»  altrimenti Emile non si sentirà mai libero di piangere, si sentirà sempre in dovere di essere forte. 

«In effetti ultimamente ci siamo incupiti sempre di più… probabilmente hai ragione, abbiamo bisogno di riprendere il buon umore.»

«Esatto, inoltre finché sarò in queste condizioni, finché non riuscirò e sentirmi meglio, non sarò in grado di essere d’aiuto ad Emile e non voglio sentirmi impotente!»

«Bene, io sono sempre disponibile a far casino, lo sai! Allora dove andiamo?»

 

*****

 

«Al diavolo imbecille! Butta dentro quella palla!»

«Testarossa… sei sicura di star bene?»

«Sto benissimo Testa di Paglia, perché?»

«Ehm… ti vedo un po’ troppo agitata…»

«Andiamo Stè! Proprio da te queste cose non me le aspettavo! Non hai visto quello stupido di un cestista?! Avrei giocato meglio io dal basso del mio metro e sessanta centimetri!»

Il basket era uno sport che amavo, mi sarebbe piaciuto tantissimo praticarlo, se solo fossi stata più alta! Avevo giocato da piccola e sin dalle prime partite scoprii un gran divertimento nel partecipare alle partite, avevo anche delle discrete abilità! Ma col passare del tempo i miei compagni di squadra crebbero, mentre la mia statura risultò essere un grave handicap per me, così mi feci forza e abbandonai l’attività, ripiegando nell’assistere alle partite.  Stè dal canto suo invece, aveva l’altezza perfetta e sebbene avesse giocato anche lui quand’eravamo alle superiori, non essendo particolarmente bravo aveva interrotto la sua attività agonistica. Se avessimo potuto giocare insieme come un'unica persona, la sua altezza e le mie capacità forse ci avrebbero permesso di essere un valido giocatore... ma visto che l’idea non era lontanamente realizzabile,  ci limitammo a fare da spettatori, così quando c’era una partita di basket nei dintorni coglievamo sempre l’occasione per vederla insieme.

In quel frangente però sembrava che a divertirmi fossi solo io…

«Avanti Stèèèè! Perché fai il Fede della situazione?! Divertiti anche tu!»

«Testarossa, io ho l’impressione che tu ti stia sforzando di divertirti più che farlo davvero…»

Il mio amico era insolitamente serio e preoccupato, non sopportavo più quell’espressione sul suo viso, doveva divertirsi anche lui, ne aveva bisogno quanto me! E poi mi serviva un sostegno, mi serviva un’anima allegra, avevo bisogno della giovialità di Stè accanto a me!

«Testa di Paglia, per far sì che un motore spento riparta, non bisogna  forzarne un po’ gl’ingranaggi prima?»

«Sì è così, ma…»

«Ecco, io sto forzando un po’ gl’ingranaggi per far partire il mio buonumore, perché se attendo che parta da solo, potrei metterci anche tutta la vita! E tu dovresti fare altrettanto, perché non conto nemmeno più il tempo trascorso sempre così immusoniti ed io voglio tornare a ridere insieme a te! Siamo o no le due Teste di Fuoco? Quindi ora alzati con me e grida a quello stupido playmaker di fare il suo lavoro!»

 Stè mi guardò estasiato, col sorriso stampato sul volto dopo la mia convincente arringa (della quale andai particolarmente fiera per mesi); Dio solo sapeva quanto servisse anche a lui distrarsi e non pensare a Simona e per fortuna sembrò capire che gli avrebbe fatto bene seguire le mie orme,  così nel giro di un battito di ciglia fu in piedi ad inveire con me ai danni di quel povero playmaker, che aveva avuto la sfortuna di averci nel pubblico.

 

*****

 

Uscire con Stè mi fece bene, Testa di Paglia era sempre stato il mio calmante/corroborante naturale; da quando ci conoscevamo ogni volta che avevo avuto bisogno di ritrovare la serenità, che fosse stato dopo una litigata con i miei genitori o per chiedere un po’ di conforto nei momenti tristi, Stè c’era sempre stato, pronto a rassicurarmi con un abbraccio e un sorriso. E sapevo che solo lui, solo la sua presenza sarebbe stata in grado di ridarmi la forza necessaria a smettere di piangere e d’intristirmi per Claudine e che avrebbe permesso ad Emile di togliersi la corazza e lasciarsi andare al dolore.

E per far sì che ciò avvenisse il prima possibile, decisi di tornare da Rita: ero ancora troppo in pensiero per lui, ma mi ero resa conto che la mia ansia non faceva altro che agitarlo; molto probabilmente, se si fosse sentito lontano dai miei occhi preoccupati, sarebbe stato più facile per lui lasciarsi andare, togliendosi di dosso la maschera di uomo forte. Così seppure a malincuore, decisi di allontanarmi da lui.

Tornare dalla mia amica però mi ricordò quanto quell’appartamento mi mettesse a disagio: ormai non ci vivevo da qualche settimana e nonostante le parole di Rita, non l’avevo mai sentito come casa mia; inoltre  lei e Fede erano ufficialmente tornati ad essere una coppia, per cui la mia presenza lì era del tutto fastidiosa. Compresi che era giunto il momento di cercare un luogo che potessi chiamare casa.

«Perché vai via Pasi?»

Rita mi abbracciò triste quando, giorni dopo il mio ritorno, le comunicai la mia decisione.

«Rita, lo sai meglio di me che non potevo restare qui per sempre e poi ora sarei solo d’impiccio a te e Fede!»

«Ma no dai, che dici! Non ti sentire di troppo, ti ho sempre detto che questa è casa tua, io e Fede possiamo vederci dove vogliamo!»

«Lo so che tu non mi manderesti mai via ed è per questo che me ne vado io. Ma questo non significa mica che non ci vedremo più!»

Improvvisamente Rita sembrò una bambina: lei che avevo sempre visto come una mamma acquisita, come una figura da cui prendere esempio, in quel momento mi sembrava solo qualcuno da consolare.

«Lo so questo, ma era bello stare insieme, era bello avere una sorella con me!»

Margherita era figlia unica: era sempre stata circondata d’affetto e in famiglia non le era mancato mai nulla, tranne una compagnia. Sua madre aveva avuto degli aborti dopo la sua nascita e in seguito le era stato detto che non avrebbe potuto più avere figli, così a Rita era rimasto il desiderio di avere una sorella accanto. Probabilmente come io vedevo in lei una figura che era tra quella di una madre e una sorella maggiore, allo stesso modo lei vedeva in me la sorella minore che non aveva mai avuto ed era per questo motivo che risultava così dolce, materna e protettiva nei miei confronti. Non mi ero mai resa conto della solitudine che si portava dentro... forse era anche per quel motivo che riempiva la sua vita di impegni? Per non sentirsi sola? Eppure ora aveva Fede e sarebbe potuta tornare dai suoi genitori quando voleva… 

«Ma io e te saremo sempre sorelle Rita, non mi perderai mai!»

«Scusami Pasi, sono un’egoista a parlarti di sorellanza, sono stata poco delicata!»

«Non preoccuparti, io ti ho sempre considerato come una sorella maggiore Rita; al di là del rapporto con la mia vera sorella, tu per me hai sempre ricoperto quel ruolo e sono felice di essere importante allo stesso modo per te e proprio per questo ti assicuro che non ci allontaneremo mai! Tu ami i tuoi genitori, vero? Eppure te ne sei andata via di casa… Allo stesso modo, per quanto io ti voglia bene, voglio trovare il mio posto nel mondo a partire da quattro mura che possa chiamare solo mie; capisci cosa intendo, vero?»

Rita mi osservò con ammirazione e mi fece un gran sorriso prima di parlare:

«Hai ragione, che stupida! Ti ho sempre visto come la mia piccola e avventata sorellina da proteggere, ma tu sei grande e hai tutte le ragioni per volerti rendere completamente indipendente camminando sulle tue gambe. Però mi mancherai!» Tornò ad abbracciarmi, prima di aiutarmi a trovare casa, tra gli annunci che stavo sfogliando.

 

*****

 

Trovai un piccolo appartamentino, che poteva ben definirsi un monolocale più che altro, con un soppalco che fungeva da camera da letto, una mini cucina e un’area giorno che a mala pena lasciava spazio per un divanetto accanto a tavolo e sedie. Era decisamente piccolo, ma era mio, era la mia piccola tana, era il luogo che avrei chiamato casa mia. Non sarei stata più ospite di nessuno, l’avrei arredata a gusto mio e l’avrei vissuta come meglio preferivo! Certo questo significava anche che avrei dormito da sola, che non avrei atteso che Rita tornasse e al mio risveglio non avrei trovato nessuno accanto, ma le mie giornate non sarebbero state solitarie: io non ero affatto il tipo che ama starsene per conto proprio e qualche ora notturna l’avrei potuta sopportare…

E poi c’era Emile… Iniziai a fantasticare su una futura vita in due, guardando la mia piccola dimora: già mi sembrava di vedere il mio Pel di Carota che si affacciava dal soppalco con gli spartiti in mano e mi chiedeva cosa ci fosse per cena…

Mi riscossi subito dai quei sogni ad occhi aperti prima di andare troppo oltre e felice come non mai, decisi di condividere la mia gioia con Emile, così corsi immediatamente da lui per dargli la notizia.

Con mia grande sorpresa però, appena aprii la porta di casa, non vidi il volto che tanto amavo, ma quello molto meno piacevole di Claudio.

«Sei venuta a farci compagnia, Coda di Emile?»

Sapevo che i GAUS erano in riunione, stavano decidendo la grafica della cover del loro album e altri dettagli importanti per il lancio del CD, per cui mi ero preparata ad attendere che finissero di parlare, prima di dire ad Emile del mio appartamento. Sperai quindi di non dover vedere il suo batterista, che per me era diventato una vera e propria spina nel fianco… e invece la spina mi colpì in pieno!

«Ti ho detto che non mi piace…»

«Sai Pasi, non ti ho mai sopportato, da quando sei entrata nelle nostre vite hai solo dato problemi, hai solo creato scompiglio.»

Eravamo ancora nell’ingresso, avevo appena chiuso la porta e si avvicinò minaccioso, ricordandomi in un istante la volta precedente in cui ci eravamo incontrati, quando mi bloccò nella cucina di quella casa.  

«Sei una presenza fastidiosa, distogli l’attenzione e non ci fai concentrare.»

Mi bloccò nuovamente al muro: non riuscii a muovere un passo, il suo sguardo era pericoloso e mi paralizzava.

«Forse, se provo a guardarti sotto un altro aspetto, mi sembrerai più sopportabile…»

Si protese in mia direzione ed io spostai il volto quando mi fu chiaro che voleva baciarmi, ma rapidamente mi prese il viso con una mano e premette le sue labbra sulle mie. Cercai di divincolarmi e mi tenne più stretta al muro premendo col suo corpo, mentre le sue mani iniziarono a toccarmi in modo rozzo. Le nostre stature erano troppo diverse e non riuscii a dargli un calcio nelle parti basse, cercai allora di spostarlo spingendolo via, finché d’improvviso non fu strattonato lontano da me e vidi Emile che gli tirava un pugno in pieno viso:

«Non ti permettere mai più di alzare le mani su di lei, vigliacco!»

Il suo volto era furioso, gli occhi due pozze azzurre d’ira; Claudio dal canto suo si toccò il labbro sanguinante e ci rivolse un sorriso colmo di rancore:

«Il nostro prezioso leader ha perso di nuovo il suo contegno! Che fine hanno fatto le tue parole: “La musica viene prima di tutto, il gruppo dev’essere la nostra priorità assoluta”?! Non è più così eh, Emile? Non è più la musica il tuo primo pensiero!»

Fece una risata sarcastica mentre Emile diventava sempre più rosso dalla rabbia:

«Vattene immediatamente, non voglio più vederti! Sparisci dalla mia vista e non ti presentare mai più!» Claudio lo guardò deridendolo, come se si aspettasse quella reazione… possibile che fosse tutto calcolato? «Certo che me ne vado, me ne sarei andato comunque, ma aspettavo che mi cacciassi tu. Ora sono proprio curioso di sapere come farai senza un batterista in piena promozione: complimenti Emile, bella mossa, questo sì che gioverà al gruppo!»

Claudio se ne andò via senza nemmeno guardarmi, ridendo soddisfatto: aveva tirato un brutto colpo al suo vocalist, mi aveva usato per incrinare la sua volontà, per dargli una lezione e per fargliela pagare nel modo più dannoso che conoscesse. Emile aveva perso di propria volontà il suo batterista all’alba della campagna promozionale, a causa di un litigio causato da una donna! Claudio non avrebbe potuto vendicarsi in modo migliore.

Rimasi impietrita, attaccata ancora a quella parete, mentre Emile respirava a fatica preso dalla rabbia e stringeva i pugni serrandoli al punto da farsi male: diede un colpo al muro e si lasciò cadere a terra, reggendosi il capo tra le mani.

Ero terrorizzata: non solo con le mie parole avevo incitato Claudio ad andarsene e gli avevo anche suggerito involontariamente il modo di farlo, ma avevo commesso anche il grande errore di minimizzare le sue intenzioni e sottovalutarlo, senza allertare Emile del possibile pericolo che correva, per evitare di pagarne le conseguenze ed ora si trovava in un pasticcio senza possibilità di una soluzione veloce e soddisfacente. Imitandolo, mi lasciai cadere sul pavimento, a distanza da lui che mi dava le spalle e sconsolata iniziai a parlare:

«È tutta colpa mia… sono stata io  a dirgli di affrontarti, io gli ho fatto prendere questa decisione... sono una stupida!»

Le lacrime iniziarono a scorrere copiose sul mio viso, Emile mi avrebbe odiato per questo! Ero stata la causa dello sfaldamento del suo gruppo, avevo contribuito a incrinare la sua carriera e l’obiettivo che voleva realizzare più di ogni altra cosa al mondo!  Non avevo scuse a mia discolpa e sentii la disperazione al pensiero di vedere il suo volto adirato che mi mandava via. Dopo l’iniziale sconforto però, Emile alzò la testa, guardò davanti a sé per qualche istante e sospirò, poi si alzò e venne a sedersi accanto a me.

«Ti ha fatto del male?»

Scostò i miei capelli dal viso per vedere se avessi segni di colluttazione, ma a parte il fastidio provato al tocco di quel bacio forzato e quelle mani invadenti, non avevo alcuna ferita.

«Emile mi hai sentito? Ti prego dimmi qualcosa, lo so che ora mi odi, se devi mandarmi via fallo subito, mostrami il tuo rancore! È tutta colpa mia!»

Non vidi nulla di tutto questo sul suo volto, mi guardò con un’espressione triste e addolorata e poi mi strinse a sé:

«Non dire sciocchezze, la colpa non è tua, sono io l’imbecille che ha creato questa situazione, che invece di smorzare le tensioni le ha aumentate. Se c’è qualcuno da incolpare, quello sono io!»

Rimasi a piangere tra le sue braccia, non riuscii a sentirmi sollevata: nonostante non avessi ricevuto alcuna accusa da Emile, il mio senso di colpa era troppo grande per potermi permettere anche solo di pensare di sentirmi sollevata. E quella mancanza di reazione da parte sua, unita alla mancanza di una reazione alla morte della madre, mi fecero temere ancora di più che il mio Pel di Carota non fosse più in grado di esprimere ciò che aveva dentro di sé.

Sentendo gli schiamazzi provenienti dall’ingresso, gli altri componenti del gruppo risalirono dal piano interrato per sapere cosa fosse accaduto: appena videro me ed Emile seduti a terra, si bloccarono e con fare imbarazzato e incuriosito, Francesco prese parola:

«Ehm… Claudio dov’è?»

«Se n’è andato.» fu la risposta lapidaria di Emile.

«Andato? Ma siamo in piena riunione… è successo qualcosa?» Il tono di Francesco divenne seriamente preoccupato, era chiaro come il sole che fosse accaduto qualcosa e che Claudio avesse preso parte a quell’evento.

«Claudio non fa più parte del gruppo, dobbiamo cercare un altro batterista. Scusateci un attimo.»

Mi fece alzare, mi condusse in salotto e mi fece accomodare sul divano:

«Devo parlare con i ragazzi di ciò che è accaduto, appena finiamo sono da te, ok? Rilassati qui e smettila d’incolparti.»

Mi diede un bacio sulla fronte e una carezza sul viso e si allontanò per rimettere in sesto quella situazione disastrata, che avevo contribuito a creare.

 

*****

 

Rimasi a piangere ancora per un po’ in quella stanza, sola con i miei sensi di colpa, finché non ebbi più lacrime da versare. Mi accucciai sul divano, osservando quelle pareti tappezzate dai posters di Claudine e mi ritrovai a pensare a lei. In modo indiretto il mio sbaglio era anche in sua direzione: se Emile non fosse riuscito ad emergere, non avrebbe realizzato il suo desiderio di riscattare sua madre e Claudine sarebbe rimasta nuovamente nell’ombra, ricordata da soli pochi appassionati di musica in Francia. 

Il tempo sembrò non passare mai, qualche volta mi concentravo per sentire eventuali voci provenienti dal piano interrato, ma intorno a me c’era solo silenzio, un silenzio più opprimente di qualsiasi altro rumore.  Andai in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e mi tornò alla mente Claudio, così in cerca di un luogo che non fosse legato a ricordi spiacevoli, salii direttamente in camera di Emile. Restai seduta sul suo letto osservando il suo mondo e solo dopo qualche minuto mi resi conto che sul comodino c’era una seconda foto: accanto a quella con i suoi genitori, ora ce n’era anche una di noi due, un autoscatto fatto quando eravamo riusciti ad avere un giorno per noi ed avevamo trascorso del tempo sulla spiaggia.

Il mio senso di colpa per un momento  fu offuscato dalla gioia di vedere quella dimostrazione di affetto; dicendo a me stessa che Emile mi amava e che non mi avrebbe messo alla porta, iniziai a rilassarmi un po’.

Non sapevo quanto tempo avrei dovuto attendere prima di rivederlo e stavolta volevo affrontare il discorso e ricevere una sua reazione, perciò iniziai a pensare a come poter trascorrere il tempo in attesa: osservai i libri sugli scaffali in cerca di una lettura interessante, sfogliai qualche libro, ma mi resi conto di non riuscire a concentrarmi. Il mio sguardo si posò quindi sul violino: non l’avevo più toccato dalla sera della mia prima lezione, così decisi di riprovarci cercando di ricordare ciò che mi aveva detto Emile. Dopo qualche stridio fastidioso mi trovai a desiderare di saper suonare davvero qualche strumento, magari proprio la batteria, in modo da poter rimediare personalmente al mio errore e in modo del tutto irrazionale, decisi di concentrarmi di più su quel violino, come se ne valesse il futuro dei GAUS.

Mi concentrai a tal punto che persi il senso del tempo e non mi resi conto della presenza di Emile, finché non mi chiamò lui.

«Ah!» sobbalzai per la sorpresa e corsi a rimettere a posto il violino.

«Stai migliorando… dovresti esercitarti più spesso.» il viso di Emile era serio ma soprattutto stanco, non doveva essere stato un dibattito facile, quello con il suo gruppo.

 «Avete finito?» Rimasi accanto al violino, irrigidita per la tensione, in attesa della sua reazione.

«Sì, i ragazzi sono appena andati via.»  Emile si lasciò andare sul letto con le spalle curve e l’aria di chi portasse un peso enorme sulle spalle: la mano con cui aveva colpito Claudio e successivamente il muro, era fasciata; doveva essersi fatto male con quei due colpi violenti.

«La tua mano è ferita?!»

Al solo pensiero di avergli causato anche qualche problema a quell’arto con cui suonava,  sprofondai maggiormente nel senso di colpa, che ormai stava raggiungendo proporzioni bibliche.

«Non è nulla, solo una contusione… non sono abituato a dare pugni a qualcuno… o qualcosa!»

«Emile, ti prego… dimmelo che sei adirato con me, non la sopporto questa finta indifferenza!»

Non mossi un solo passo verso di lui, ero troppo terrorizzata per fare altro tranne esortarlo a parlare. Emile portò una mano al viso, come per sostenersi, prima di rispondermi:

«Raccontami cos’è accaduto. Perché mi hai detto di averlo incitato tu ad andarsene?»

Rimasi in piedi accanto al violino ed iniziai a raccontargli del mio incontro con Claudio, dei miei dubbi sul dirlo a lui o meno e della mia decisione finale di omettere tutto, nella speranza che il peggio fosse passato. Per tutto il tempo in cui parlai rimasi dov’ero, incapace di muovere un solo passo in sua direzione; Emile restò ad ascoltare a capo chino concentrandosi sulle mie parole e solo quando smisi di parlare, alzò la testa: «Ti faccio così paura?»

«Non ho paura di te… ho paura di perderti, perché so quanto sia importante la musica per te e so che in una battaglia tra me e lei, la parte sacrificabile sarei io.»

Chinò nuovamente il capo e rimase in silenzio: quell’atmosfera tesa mi stava snervando, sentivo che lo stavo perdendo e non volevo restare ancora nell’agonia dell’attesa, così mi decisi a parlare:

«Ora dimmelo che mi odi ti prego, così potrò andarmene senza dover attendere ancora!»

Sentii la mia voce incrinarsi, al pensiero di doverlo abbandonare e di non rivederlo più: alla sola idea di non avere Emile nella mia vita, sentii un varco vuoto aprirsi nel mio petto e pensai al mio appartamento in cui avevo già fantasticato di vivere con lui, rendendomi conto che invece non l’avrebbe mai visto, anzi non avrebbe mai nemmeno saputo della sua esistenza!

«Sì, sono arrabbiato Pasi, sono arrabbiato perché non hai avuto la forza di parlarmene, perché non hai avuto fiducia in te e in me e perché se l’avessi fatto, avrei già rimediato da tempo, cercando un altro batterista. Ma non ti odio, non potrei mai odiarti e men che meno mandarti via. Non potrei mai vivere senza di te, sciocca bambina insicura!»

Si alzò dal letto e venne ad abbracciarmi e il varco che si era aperto nel mio petto d’improvviso si richiuse, mentre il calore che mi avvolse tornò a donare vita al mio corpo, che si era congelato in quelle ore di angosciante attesa.

«Perdonami Emile, perdonami, sono una stupida!»

«Non nascondermi altro Pasi, non farlo mai più!» Ero ancora stretta tra le sue braccia e lottavo con il pianto in procinto di esplodere, per cui feci un semplice cenno col capo. «Me lo prometti? Posso essere certo che non mi nasconderai altro? Che mi dirai sempre tutto?»

«Te lo giuro Emile, non voglio più vivere dei momenti terribili come quelli!» Lo strinsi maggiormente a me, avevo ancora il terrore inconscio che mi mandasse via e volevo ridurre il più possibile le distanze tra noi; persino l’aria mi sembrava un ostacolo fastidioso, qualcosa che m’impediva di arrivare a lui.

Emile pose una mano sulla mia testa e iniziò ad accarezzarla, dandomi conforto come un genitore verso il figlio impaurito: avevo amato dal primo giorno quella sua parte così dolce, ma non riuscivo a credere che mi stesse consolando dopo avermi detto di essere arrabbiato. Probabilmente ero ancora preda delle mie ansie, del mio timore di vederlo spegnersi com’era accaduto a sua madre, il che unito alla paura ancora fresca di essere allontanata dalla sua vita, mi riempì di nuovo l’animo di angoscia. Lo guardai negli occhi per qualche istante, sperando di leggervi la verità che mi avrebbe calmato e successivamente, avvicinai il suo viso al mio e gli diedi un bacio disperato, un bacio intenso che desideravo potesse ricongiungermi a lui, che mi potesse legare a lui e  che mi conducesse alla sua anima.

Ma quel bacio scatenò qualcosa anche in Emile: probabilmente il mio impeto aveva scosso parte del dolore che stazionava all’interno del suo animo, perché iniziò ad amarmi con la stessa voracità che sentivo mia, con lo stesso disperato desiderio. I suoi baci mi divoravano e i miei non erano da meno: volevo farlo mio, volevo che fosse sempre parte di me, che non si allontanasse mai… volevo che fosse una mia proprietà, che fosse legato per sempre a me… Le mie mani si artigliarono sui suoi vestiti per toglierli il prima possibile, il mio corpo era pressato dal suo sulla parete della stanza, avvolto dalle sue mani bramose… in breve tempo ci ritrovammo avvinghiati l’una all’altro, presi da una passione bruciante, selvaggia e divorante, che non avevamo mai provato prima.

 

 

*****

 

«Forse dovremmo rivestirci… non vorrei che arrivasse tuo padre da un momento all’altro e ci trovasse così!» La violenta passione che ci aveva travolto era stata consumata, lasciandoci appagati e molto più sereni... e anche più stanchi. Per questi motivi ci stavamo godendo la reciproca vicinanza, l’intimità dei nostri corpi e quella sensazione estatica di serenità che ci aveva pervaso dopo esserci amati. Ma l’idea che Alberto potesse trovarci in quella situazione, non contribuiva certo a mantenermi serena: non che temessi che ci scoprisse, perché sapevo benissimo quanto poco tenesse alle formalità. Ciò che davvero temevo, erano le battute che ne sarebbero sfociate: sarei sprofondata per l’imbarazzo una volta per tutte e non avrei avuto più il coraggio di guardarlo in viso!

«Stai tranquilla, mio padre non rientrerà, è in viaggio.»

Ero comodamente abbracciata ad Emile, poggiavo la testa sul suo petto ascoltando il battito del suo cuore, ma a quella notizia, alzai il capo sorpresa:

«In viaggio? E dov’è andato?!»

Da quando l’avevo conosciuto, Alberto era sempre stato collegato a quella casa, erano state davvero rare le volte in cui non c’era stato per più di un giorno e saperlo addirittura in viaggio, lontano per chissà quanto tempo, mi lasciò senza parole.

«È andato in Francia.» Il viso di Emile s’indurì, vidi il rancore sui suoi bei tratti, e capii a chi si stesse riferendo:

«È andato dai familiari di Claudine!»   

Vidi la sua mascella indurirsi per un attimo, prima che ritrovasse la calma per parlare:

«È andato da quella gente per dire loro di persona, che la vergogna della famiglia ha smesso di esistere, che possono sentirsi sollevati, ora!»

Serrai il mio abbraccio per dargli conforto, sentivo dolore e rabbia repressa in ogni parola che diceva. Non avevo mai chiesto ad Emile di parlarmi della sua famiglia, ma era chiaro che non avrebbe mai amato coloro che avevano lasciato sua madre a se stessa, che la consideravano una vergogna perché figlia di un adulterio. Non sapevo nulla nemmeno della famiglia di Alberto, ma in qualche modo sentivo che quel ramo familiare non costituiva un problema: la spina nel fianco era la famiglia Flaubert.

«Alberto cerca ancora un contatto con loro… forse se ti vedessero…»

«Se mi vedessero cosa, Pasi? Cosa cambierebbe? Mia madre è morta lontano dai suoi parenti, non ha mai sperimentato il calore di un abbraccio familiare, l’appoggio di un fratello o la complicità di una sorella! Persino sua nonna manteneva le distanze da lei! Cosa mai potrebbe cambiare se vedessero me, tranne rendersi conto che gli sto sbattendo in faccia il disonore che ha macchiato la loro famiglia, con questi miei capelli che nessuno di loro ha mai avuto!?»

Era un discorso così delicato, che rimasi in silenzio per qualche secondo, ponderando bene le parole da dire, tenendomi stretta a lui.

«Non sai nulla riguardo l’identità di tuo nonno? Magari lui…»

«Lui è il peggiore di tutti, Pasi! Credi che se fosse stato interessato ad occuparsi di sua figlia, mia madre sarebbe fuggita via dalla Francia così facilmente? No, lui sicuramente sarà scappato non appena mia nonna gli avrà detto della gravidanza!»

«Ma ci sarà pure qualcuno di buon cuore tra loro! Non posso credere che siano tutti così spietati, Emile!»

«Se ci tieni così tanto a saperlo, la prossima volta che mio padre va ad elemosinare un po’ di attenzione, puoi accompagnarlo!» Il suo sguardo era rivolto altrove, indurito dal rancore: presi il suo viso tra le mani e lo girai in mia direzione per guardarlo negli occhi:

«Io amo i tuoi capelli rossi, sono la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai visto e non m’importa affatto di chi non apprezza te e la tua famiglia. Voglio solo te, ora e per sempre.»

Trattenni la mano sul suo viso accarezzandolo e vidi i suoi lineamenti rilassarsi fino a dar vita ad un dolce e mesto sorriso prima di stringermi a sé.

«Come farei senza di te?»    

Quella era una domanda che anch’io mi ero posta solo poche ore prima e per fortuna sembrava tornata ad essere solo pura retorica e non una dura e terribile verità, pronta dietro la porta, per essere affrontata.

 

*****

 

Quella notte rimasi a dormire con lui e nuovamente vidi le lacrime scorrere dai suoi occhi chiusi: avevamo avuto quel momento di pace che mi aveva rilassato dalle ansie nei suoi confronti, ma la notte aveva portato come al suo solito la verità a galla. Non era tutto risolto, non era tutto tranquillo, Emile era ben lontano dall’essere in pace ed io avevo messo mano nel dargli un altro pensiero, da sommare al dolore troppo recente, che non riusciva ad esprimere. Dovevo far qualcosa per lui, dovevo rimediare al mio errore in qualche modo, non avrei potuto sopportare ancora per molto la visione notturna del suo viso piangente, o peggio ancora, quella mancanza di reattività diurna.

 













_____________________________

NDA

Et voilà, è giunto finalmente anche il capitolo 20 (Prim scusa il ritardo, spero di essere ancora in tempo per sopravvivere xD): che ne pensate?
Immagino che ora Claudio sia il personaggio che amate di più, vero? xD
Come ho detto anche alla mia Beta, avevo alcune titubanze su questo capitolo (a dir la verità c'è una lotta interna tra una parte di me che dice che scorre tutto benisssimo e l'altra che mi dice "Ma che cavolo scrivi?"... dite che soffro di disturbo da personalità multipla?), ma lei come sempre mi ha rassicurato dicendo che andava più che bene, perciò attendo di sapere i vostri pareri più che mai ^ ^
Ieri alcune mie sorelle hanno avuto l'onore di vedere Emile dal vivo... o meglio, proprio quando mi sono assentata, hanno notato un bel fanciullo riccio dalla chioma di fuoco che sembrava proprio il mio bimbo *_* ed io non c'ero..... Se riesco a recuperare la foto ve la posterò e vi farò partecipi di questo evento soprannaturale (Emiluccio di mamma dove te ne andavi solo soletto senza dirmi niente???!!!)

PS:
Se avete voglia di leggere una storia d'amore per niente zuccherosa, ma i cui protagonisti sono interessanti (soprattutto quel gran mascalzone del protagonista) e il loro rapporto è tutt'altro che semplice, vi consiglio la storia originale di Veru, Nonostante Tutto: ho iniziato a leggerla qualche giorno fa, è al 6° capitolo e li ho divorati tutti uno di seguito all'altro ^ ^



Angolo dei Ringraziamenti

Visto che sono sopravvissuta al capitolo precedente, il mio più grande ringraziamento è per il fatto che non mi abbiate fatto fuori! *me è davvero contenta di respirare ancora*
Per il resto, siete sempre meravigliose nell'incoraggiarmi e nell'immedesimarvi nei miei ragazzi, sono ancora stupita del trasporto che mostrate leggendo ogni capitolo e per questo vi ringrazierò a vita!!!
Iloveworld, Saretta, Niky, Vale, Concy, Ana-chan, Cicci, Ely.


lorenzabu,
samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag, green_apple, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula, _Grumpy

Grazie mille e un milione di volte a tutte voi!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21





 

 

«Pasi stai esagerando, non ho nulla, davvero!»

«Queste ferite non vanno prese alla leggera, devi mettere una pomata e controllare che le ossa siano a posto!»

La prima cosa che feci quando ci svegliammo, fu controllare lo stato di salute della mano di Emile: non riuscivo a guardare quell’arto fasciato senza sentirmi dannatamente in colpa, così lo condussi in cucina, con la cassetta dei medicinali aperta accanto a me, tolsi le bende e iniziai a tastare sperando di non sentire nulla di rotto.

«Ahia, mi fa male!» Emile staccò di scatto la mano dalla mia per massaggiarsela.

«Non prendere il colpo sottogamba, dovresti andare in ospedale a farti una radiografia, magari tu non te ne sei accorto, ma potrebbe essersi leso qualche osso e…»

«Pasi, smettila di sentirti in colpa.»

Fermai di colpo la mia arringa, rendendomi conto che Emile aveva letto sul mio viso cosa si agitava nella mia anima.

«Scusami… è che non potrei sopportare l’idea che la tua mano subisca qualche incidente proprio ora, a causa mia… se dovesse capitarle qualcosa…»

«È tutto a posto, stai tranquilla.»

No, non era tutto a posto,  non lo era affatto e lui continuava a mentire, continuava a fare il forte, a tenere dentro di sé i suoi sentimenti…  

«Emile, ti prego, almeno questo puoi farlo! A costo di accompagnarti io con la forza, fai questa benedetta radiografia!»

Il mio Pel di Carota emise un sospiro e mi prese una mano con l’arto sano: «Ok, va bene, prenoto la visita seduta stante, sei contenta?»

«Ti accompagno io, ora.»

Non riuscendo ad attendere un secondo di più, feci per allontanarmi in cerca delle chiavi dell’auto, quando mi prese il braccio:

«Pasi datti una calmata, ora stai esagerando! Non c’è tutta questa fretta, stai piantando una storia immensa su un’idiozia!» Il viso di Emile era spazientito, ma il mio senso di colpa sovrastava qualsiasi manifestazione di rabbia avesse potuto esternare e non mi arresi.

«Non è un’idiozia se ti fai male e non riesci più a suonare, Emile! Non lo è affatto e non voglio nemmeno che accada per colpa mia!»

«Allora la prossima volta parla, così eviterai che mi faccia male!»

Touchée. Aveva perfettamente ragione e nonostante quelle parole fossero state come stilettate dritte al cuore, mi sentii sollevata nel sentirgliele dire: ero più a mio agio con questo lato di Emile che con quell’apatica mancanza di reattività.

«Certo che parlo, stai sicuro che parlerò, non voglio più far del male né a te, né a Claudine!»  Il mio Pel di Carota, perse lo sguardo tagliente che mi aveva rivolto con quell’ultima affermazione e si rabbuiò; calò la testa prima di parlare.

«Mia madre ora è in pace, non può più essere ferita.»

«Sì invece, può essere ancora ferito il suo ricordo, Emile.  Se tu non riuscissi ad emergere, se il tuo obiettivo non dovesse essere raggiunto, sarebbe un danno anche alla sua memoria!»

«Non c’è bisogno che me lo ricordi!» Si stava alterando ed io iniziai a sperare di essere sulla strada giusta per farlo sfogare, così continuai.

«Invece devo, perché mi sono immischiata in questa situazione ed ora il tuo impegno verso Claudine è anche affar mio… ed io non voglio che lei venga dimenticata, soprattutto ora che non c’è più!» Stavo girando il coltello nella piaga, gli stavo procurando un dolore più grande di quanto avessi fatto alla sua mano, ma strinsi i denti e continuai:  «Claudine merita di essere ricordata e non puoi permetterti di perdere l’uso della mano! Non posso sostituire Claudio, ma posso impedirti di fare qualche sciocchezza!»

«Non venire a fare la ramanzina a me, Pasi! Credi che sia uno stupido? Io non perderò l’uso della mano, perché non ho nulla che non va! Non verrò certamente meno al mio obiettivo per una cosa del genere! Per chi mi hai preso? È tutta la vita che lotto per emergere, per dare un senso a questa mia esistenza che ha rovinato quella di mia madre ed ora più che mai lotterò, ora più che mai, dannazione!»

 Spazientito, diede un colpo al mobile su cui era appoggiato e uscì dalla cucina. Non ero riuscita del tutto nel mio intento, ma il fatto che avesse dato un segno di reazione, mi fece sperare per il meglio: forse quella discussione l’avrebbe aiutato ad esternare quello che non riusciva a far emergere dall’interno della sua anima… Forse avrei dovuto continuare a  incalzarlo...

Ero persa in quelle riflessioni quando mi accorsi di stringere le bende pulite: concentrata nella discussione, non gli avevo più curato la mano. Presi anche la pomata e lo cercai: probabilmente non voleva più discutere con me e arrivai alla conclusione che fosse meglio così, che sarebbe stato meglio dargli il tempo di riflettere su ciò che ci eravamo detti… Ciononostante volevo accertarmi  del suo stato d’animo, perché dopo avergli detto quelle parole dure, ero certa che si stesse tormentando più del solito.  

 

Appena uscita dalla cucina, sentii dei rumori provenire dal basso: era nel seminterrato, ma sembrava che stesse avvenendo una colluttazione in quella stanza: era mai possibile che nell’arco di qualche minuto fosse entrato Claudio e non me ne fossi resa conto? Non mi sembrava possibile che quel tipo fosse tornato a cercare il litigio, ormai la sua vendetta l’aveva avuta e non c’era motivo di tornare a dar battaglia… allora cosa diavolo stava accadendo li sotto? Iniziai a scendere le scale preoccupata  e sentii più forte il rumore di oggetti lanciati a terra insieme ad una voce che gridava: era Emile e molto probabilmente si stava sfogando!

Una volta giunta alla fine dei gradini, mi fermai di colpo:  

«Maledizione! Maledizione!»

Emile urlava e lanciava per aria gli oggetti che si trovava davanti: il tavolino posto in quell’anticamera della saletta era ribaltato, le sedie avevano subito lo stesso destino e tutti i piccoli oggetti (bicchieri, bottiglie, posacenere, lattine di birra) erano stati utilizzati come ciottoli da scaraventare lontano. Urlava a squarciagola e prendeva a calci tutto quello che aveva gettato a terra: evidentemente i miei tentativi di scuoterlo avevano funzionato! Per un momento rimasi paralizzata dalla paura, nel vedere la sua furia lanciata a briglia sciolta, ma dopo poco mi calmai e rimasi lì sofferente ad osservarlo, mentre sfogava tutto il suo dolore.

Quando esaurì le energie, cadde a cavalcioni a terra, sfinito: a quel punto mi avvicinai a lui e m’inginocchiai per guardarlo in viso.

«Emile! Emile! Guardami, guardami Emile!» Alzò il viso rigato dalle lacrime verso di me:

«Se n’è andata via Pasi, se n’è andata via davvero!  Nessuno potrà congratularsi con lei per il suo talento, non vedrà mai più il suo nome riabilitato! Non potrò più vederla, non tornerà mai più da me! L’ho uccisa Pasi! L’ho uccisa!»

Il suo viso era una maschera di dolore, gli occhi erano rossi per il pianto e di un azzurro profondo; il desiderio di proteggerlo tornò ad invadermi, il mio cuore tornò a contrarsi per la sofferenza di vederlo in quello stato e l’abbracciai, per donargli un po’ della mia forza.

«Piangi amore mio, piangi e sfogati, io sono qui con te, non me ne vado.»

Spezzato dentro e colmo di angoscia, si piegò su di me stringendomi forte,  sfogando finalmente tutto il suo dolore, tutta la sofferenza del bambino e del ragazzo, che avevano perso quella madre senza averla mai avuta davvero. 

 

*****

 

«Quand’ero piccolo, venivo sempre qui  se volevo starmene da solo a pensare… in qualche modo, vedere queste pareti azzurre mi dava un senso di pace e sapendo che era la stanza preferita di mia madre,  mi rifugiavo qui per sentirla accanto a me, quando non l’ascoltavo nel salotto.»

Eravamo a terra nell’anticamera della saletta, appoggiati al muro, circondati da uno spettacolo post catastrofico: in tutta la lunghezza della stanza c’erano oggetti sparsi a terra, la bacheca cadendo aveva fatto volare tutti i fogli di carta che ora rivestivano il pavimento come un manto di neve, il tavolino era ribaltato e ovunque  regnava la legge del caos. Eppure immersi in quel quadro apocalittico, eravamo silenziosi e sereni: Emile era visibilmente stanco, ma più rilassato, ed io ero felice che finalmente avesse trovato il modo di sfogarsi, per cui mi sentii sollevata dalla maggior parte delle mie ansie e mi concessi un sospiro di sollievo.

«Tua madre è dentro di te Emile, molto più di quanto tu possa immaginare. Non ti abbandonerà mai, nemmeno se lo volessi… e tu non abbandonerai mai lei, di questo ne sono certa!»

Fece un sorriso stanco e chiuse gli occhi, alzando la testa verso il soffitto.

«A volte la sento quasi come una maledizione… si può essere così contorti? Ho cercato la sua attenzione tutta la vita eppure la sua presenza mi schiaccia… forse sto diventando pazzo!»

«Non sei pazzo, sei solo schiavo del senso di colpa e non riesci a liberartene, non riesci a vivere senza sentirti la causa della sofferenza di Claudine.»

«Perché è così: sono io la causa della sua malattia, se non fossi nato non sarebbe mai caduta in depressione e non avrebbe perso la sua vita.»

«Lo so che nessuna delle mie parole ti farà rinsavire da quest’assurda convinzione, ma io credo che Claudine fosse predisposta da prima a cadere malata: tua madre era fragile, è bastato poco per farla cedere e se non fosse stato il parto, sarebbe stato qualcos’altro… Tu non c’entri Emile, è stato solo un caso che sia accaduto dopo la tua nascita.»

«Un caso, eh? Detto da colei che crede nel Destino!» Mi accarezzò una guancia rivolgendomi un sorriso amaro, era chiaro ciò che il suo viso mi stava dicendo: “Apprezzo il tuo tentativo di consolarmi, ma non c’è modo di farlo”.

«È un discorso differente quello: mi piace credere al Filo Rosso del Destino, perché sono sempre più convinta che io e te eravamo destinati ad incontrarci… ma non significa che nella vita non ci sia spazio per le casualità! Non rigirare il discorso con me, piccolo saputello!»  

Emile tornò a sorridermi, ma stavolta c’era una nota di serenità sul suo viso, l’amarezza era volata via:

«Sei proprio un’adorabile strega.» Avvicinò il suo viso al mio e mi diede un dolcissimo bacio, mi strinse a sé e rimanemmo in silenzio per un po’, finché disse:  «Ho fatto davvero un disastro qui! Forse è il caso che ripulisca…»

Guardai la rivoluzione che regnava in quella stanza e risposi: «Tutto sommato non mi dispiace mica così, ha un’aria più vissuta!»

Emile ridacchiò ed io mi sentii davvero sollevata nel vederlo più sereno e sperai che il suo animo fosse un po’ più libero da tutte le angosce che si portava dentro.

«Coraggio mia streghetta, alziamoci che devo risistemare questo caos.»

«Dobbiamo vorrai dire! Sai ultimamente sono diventata brava ad arredare, potrei metterti su proprio un bel ambientino…» Emile mi guardò di sottecchi con aria divertita e senza dir parola si alzò… il che costrinse me a fare altrettanto, «Uff, sei proprio un malfidato!»

«Ti dà davvero così fastidio, non essere parte di tutto questo?» Era chino a raccogliere i fogli dal pavimento e non riuscivo a vederlo in viso.

«Cosa? Questo cosa?»

«Essere estromessa da tutto ciò che riguarda queste stanze: la mia musica. In te c’è la disperata richiesta di farne parte ogni volta che ne hai l’occasione… Ti ferisco ogni volta che non ti faccio partecipe, vero?»

Si alzò, con i fogli in mano e mi osservò con lo sguardo dolente; io rimasi appoggiata alla parete e abbassai il capo prima di parlare:

«Sì, è vero… non mi fa piacere essere all’oscuro di ciò che riguarda la tua musica… ma non posso condividere con te tutto ciò che ti riguarda, così come non puoi farlo tu con me. Lo capisco che per il nostro bene, io e la tua musica non dobbiamo avvicinarci, anche perché ogni volta che è accaduto, me ne sono dovuta pentire amaramente, quindi non voglio che tu ti senta obbligato a rendermi partecipe di qualcosa che non vuoi condividere con me…»

«Insomma, mi stai dicendo che siccome io non devo mettere bocca nelle tue amicizie, tu sopporterai l’idea di fare altrettanto, per quanto riguarda la mia musica!» Il suo viso tornò a rabbuiarsi e ad assumere un tono amaro.

«Non intendevo questo! Voglio dire che…»

«Questa sarà la cover del nostro album: come ti sembra?»

«Co-cosa? No, non… insomma non farlo se non te la senti…»

«Stai tranquilla, non ti farò alcuna richiesta in cambio, ti sto solo chiedendo un parere: ti piace?»

Mi stavo perdendo dietro la mutevolezza di quelle espressioni… un attimo prima era tetro e dopo qualche momento era allegro… In quel momento aveva una luce maliziosa ma allo stesso tempo curiosa negli occhi, e sembrava sinceramente interessato alla mia opinione… cosa gli stesse capitando non lo capivo affatto!

«Emile, non riesco a starti dietro. Che ti prende!? Cambi umore alla velocità di un respiro! Calmati per favore e resta con la stessa espressione almeno per qualche minuto!»

E invece no. Il suo viso si fece sorpreso, cambiando nuovamente per poi sorridere ancora di un sorriso autoironico: «Hai ragione… devo sembrarti davvero un pazzo… devo aver tenuto le emozioni troppo a lungo dentro di me ed ora mi sono esplose tutte sul viso in una volta sola! È che… tu sei qui, ad ascoltare tutti i miei sfoghi, a sostenermi da non so più quanto tempo… mi sento in colpa, non faccio altro che crearti dispiaceri!»

A quel punto gli andai incontro e l’abbracciai: «Sei proprio uno stupido, Emile!»

Sentii la sua mano che si poggiava sulla mia testa, mentre l’altra stringeva ancora i fogli raccolti da terra.

«Allora, vediamo un po’ questa cover.»

Era un disegno astratto: sembrava un intreccio di fili metallici che avevano più dimensioni, uno di quei disegni in cui l’occhio viene ingannato sulla reale percezione della profondità… e all’interno di quell’intreccio a guardar bene, sembrava esserci un volto, un volto femminile di profilo…

«Oddio ma è impressionante, cambia di continuo, a seconda di quanto tempo resti ad osservarlo… Che bello!»

Emile mi guardò soddisfatto con un sorriso  che la diceva lunga e gli occhi che gli brillavano…

«L’hai fatto tu!» Lo guardai meravigliata, non l’avevo mai visto disegnare, ma avendo un artista come padre, era più che ovvio che avesse ereditato anche quel dono… Il mio Pel di Carota però, fece un cenno di diniego, continuando ad avere quel sorriso sul volto.

«Non è mio, ma ci sei andata vicino… è di mio padre.»

«Alberto ha disegnato la cover per voi?!»

«No… è un vecchio disegno che ho trovato tra i suoi lavori, mi ha colpito subito e ho deciso di usarlo  come cover del nostro primo album: l’arte di mio padre non dev’essere dimenticata!»

Lo guardai ancora una volta meravigliata: era machiavellico, aveva pensato a tutto, aveva fatto in modo che entrambi i suoi genitori potessero risalire alla ribalta attraverso lui, in una sorta di legge del contrappasso personale: così come lui si sentiva la causa del crollo dei sogni dei genitori, allo stesso modo s’impegnava a riscattare entrambi tramite la sua notorietà. Mi chiesi però, cosa ne pensasse il resto del gruppo, considerato che doveva essere stata una decisione esclusivamente sua, quella di usare il disegno di Alberto…

«A-anche agli altri è piaciuta l’idea?» Stavo violando di nuovo il terreno sacro, ma dato che era stato lui ad iniziare e considerata la mia sincera preoccupazione, mi feci coraggio nel porgergli quella domanda.

«Gli altri si fidano del mio giudizio, non si curano dei particolari, quindi me ne occupo io.»

 

Vuoi fare sempre la primadonna ecco cosa intendo! …ti comunico che in questo gruppo siamo in cinque!

 

Le parole di Claudio mi risuonarono nella mente ascoltando Emile: come al solito stava imponendo la sua volontà al gruppo… Non era affar mio quello, ma mi ero ripromessa di parlargli se avessi saputo qualcosa che avrebbe potuto danneggiarlo, quindi mi feci coraggio:  

«Emile… lo so che m’impiccio troppo ma… io credo che dovresti chiedere un sincero parere agli altri. La tua è un’idea meravigliosa, ma non sei il solo membro del gruppo, anche gli altri hanno voce in capitolo… rendili partecipi o si sentiranno solo delle appendici e se ne andranno!» Come…

«Come ha fatto Claudio?» Mi stava guardando con un’espressione di amara constatazione sul volto, non volevo pronunciare quelle parole, ma non doveva fuggire dalla realtà dei fatti.

«Sì…»

si rabbuiò, perso in qualche pensiero di cui non mi fece partecipe e dopo qualche secondo, come se non avessi nemmeno parlato, come se quel momento nemmeno  ci fosse stato, mi disse:

«Coraggio, ripuliamo in fretta questo posto, al resto ci penserò in seguito.»  

Evidentemente, quel discorso non voleva affrontarlo… o per lo meno, non voleva farlo con me!

«Emile, stai cambiando discorso...»

«D’accordo Pasi, va bene, ci penserò su, ok? Possiamo mettere a posto questo caos ora, o preferisci che parli con i ragazzi, accomodandoci a terra sui fogli volanti?»

«Emile, fai una cosa, vai al diavolo! Sto cercando di aiutarti, idiota saccente e acido, proprio perché non voglio più nasconderti i miei dubbi come ho fatto per Claudio, ma a quanto vedo, è inutile che ci provi,  tanto io non sono all’altezza di comprendere le tue decisioni, vero? Io non devo minimante permettermi di aprire bocca su tutto ciò che riguarda la tua musica!»

Ero al limite della sopportazione: quella mattina non riuscivamo a starcene tranquilli per un minuto, senza finire a discutere! E pensare che poco prima era in lacrime, distrutto tra le mie braccia! Che cosa gli prendeva? Cosa gli stava accadendo? Perché tutta quell’aggressività verso di me, che non stavo facendo altro che appoggiarlo e sostenerlo? Non mi aveva rivolto la minima accusa per la faccenda di Claudio ma stava ugualmente scaricando verso di me la sua rabbia.

Non riuscii a sopportare ulteriormente quella situazione e feci per andarmene, ma Emile mi trattenne per un braccio:

«Pasi, non voglio litigare con te.»

«Ah no? Strano, a me sembrava esattamente il contrario! Sembra quasi che ti dia fastidio trascorrere del tempo in tranquillità con me, senza avere uno scontro! O questo è il tuo personale modo per punirmi di aver incitato Claudio ad andarsene?»

«Io non voglio punire proprio nessuno!» La sua voce aumentò di volume e mi preparai ad un altro bel battibecco, invece Emile fece un sospiro e si calmò prima di continuare a parlare: «Forse è meglio se non ci vediamo oggi… non sto facendo altro che ferirti.»

«Di’ piuttosto che non vuoi scocciatrici in casa! Me ne vado, stai tranquillo, ti lascio con le tue preziose note e i tuoi preziosi affari!» Vidi il suo volto contrarsi e strinse maggiormente la sua mano sul mio braccio, in un impeto d’ira.

«Lo so benissimo di aver sbagliato a comportarmi con Claudio… sono del tutto consapevole di essere una specie di despota con tutto il gruppo, ma è il mio gruppo! Loro si sono aggregati a me, il progetto è mio, e su certi argomenti non transigo! Si segue la mia linea di condotta, le mie decisioni, altrimenti si torna a casa! È sempre stato così e continuerà ad esserlo! I ragazzi ne sono consapevoli e a loro sta bene, quindi il problema non si pone.»

«Sta bene, come stava bene a Claudio?  Sei cieco Emile, sei accecato dalla voglia di andare in alto e non vedi la giusta strada da percorrere. Non sono io a farti perdere di vista i tuoi obiettivi, sei tu stesso che sbagli strada! Sei tu che non capisci che la prima regola per mantenere un gruppo unito, è dare importanza ad ogni singolo componente e chiedere il parere di tutti su ogni decisione. Se continuerai a comportarti come un despota, resterai solo e sarà ancora più difficile in seguito ricostruire daccapo un intero gruppo!»

Emile lasciò andare la presa sul mio braccio continuando a guardarmi con un misto tra astio e colpevolezza:  probabilmente si sentiva ferito dalle mie parole, probabilmente si sarebbe aspettato elogi e non critiche così feroci da me, ma il mio compito era quello di fargli aprire gli occhi, lo amavo troppo per lasciarlo sguazzare nei suoi stupidi e ciechi errori, inoltre ciò che gli avevo detto precedentemente era vero: ormai il suo obiettivo lo sentivo anche mio, il senso di colpa era ancora forte dentro di me e di conseguenza sentivo maggiormente il desiderio di ridare a Claudine, attraverso suo figlio, la notorietà che si meritava, per cui avrei fatto di tutto pur di aiutare Emile a raggiungere il suo scopo. Soprattutto se si trattava di aprirgli gli occhi!

Cosa che sembrava non voler fare: mi volse le spalle e tornò a ripulire la stanza, offeso e troppo orgoglioso per darmi ragione su quell’argomento; incapace di restare in quel luogo senza continuare ad urlargli contro, presi la volta delle scale e me ne andai  al piano di sopra, diretta a darmi una sistemata prima di andare a lavorare.

 

*****

 

«Davvero Stè io non lo capisco! Un attimo prima è il ritratto della dolcezza e l’attimo dopo mi urla contro, non riesco proprio a capire cos’abbia!»

«Testarossa, forse sta solo elaborando il lutto in un modo un po’ eccentrico… considera che ha perso sua madre da poco ed ora anche il batterista… non credo che possa mantenere i nervi saldi per molto in questa situazione!»

«Ora lo difendi! Da quando siete così amici?!»

«Non lo sto difendendo! Dico solo che non sta attraversando un bel momento e questo dovresti capirlo anche tu, no?»

«Proprio perché lo capisco, non riesco a capacitarmi del suo comportamento! Invece di appoggiarsi a chi gli sta accanto, aggredisce! Così si chiude ancora di più in se stesso e soffre il doppio!»

«Pasi, non reagiamo tutti allo stesso modo.»

Fede s’intromise all’improvviso nel discorso: eravamo tutti insieme al centro, ero passata di ritorno da lavoro per stare un po’ lì, quando a distanza di poco tempo, arrivarono sia Stè che Rita e in modo del tutto non calcolato, grazie anche all’incapacità della sottoscritta di celare i propri stati d’animo, ci trovammo tutti insieme a parlare della paradossale mattinata che avevo vissuto con Emile.

«Probabilmente sta esternando tutto con la rabbia e con questi sbalzi d’umore repentini ora che si è liberato… di solito quando si trattengono le emozioni capita che una volta liberate esse siano incontrollabili. Metti poi che ha avuto due colpi duri uno dopo l’altro…»

Anche Rita era d’accordo con Fede e Stè; improvvisamente stavo facendo la figura dell’insensibile nei confronti del mio ragazzo!

«Vi siete coalizzati contro di me, stasera?!» dissi spazientita.

«Testarossa, se solo la smettessi di far fumare quel tuo cranietto di fiammifero, ti renderesti conto anche tu di essere d’accordo con noi. Sei troppo coinvolta ora, per ragionare come si deve.»

«Ah, ora non so nemmeno più pensare! Ma grazie mille!»

«Che ne dici di far passare questa notte e di ragionarci su a mente fredda, domani? Di sicuro Emile avrà pensato a ciò che gli hai detto e si sarà reso conto che hai ragione… A proposito, ma ora è tutto solo in quella casa?» Rita mi riportò all’immediata realtà: arrabbiata com’ero nei suoi confronti, non mi ero resa conto che sarebbe rimasto completamente solo in quella casa, per la prima volta in vita sua.

«Ti dispiace se vado a portargli la cena? Temo che non abbia mangiato affatto oggi!» Ma prima che Rita potesse aprir bocca, fu Fede a parlare, lasciandomi sorpresa:

«Ho un’idea migliore Pasi, che ne dici se andiamo tutti da lui?»

 

*****

 

«Che ci… fate qui?»

Emile fu decisamente sorpreso di trovare me e soprattutto i miei amici, fuori la porta di casa sua: immaginai che avesse già progettato di trascorrere quella giornata rimuginando, maledicendosi e borbottando qualcosa sulle mie intromissioni inopportune e proprio per quel motivo, più che mai non volevo lasciarlo solo! Mi aveva fatto arrabbiare quella mattina, sì, ma era anche vero che il giorno prima avrebbe avuto tutte le ragioni per mettermi alla porta e non l’aveva fatto ed io mi sentivo ancora tremendamente colpevole nei suoi confronti per avergli fatto perdere il batterista, per potermi permettere di restare offesa con lui. 

«Scommetto che non ci aspettavi! Abbiamo pensato di cenare tutti qui insieme, così magari quel tavolo in cucina sarà utilizzato una buona volta!»

Entrai senza troppe cerimonie approfittando della relativa remissività di Emile, per fare spazio ai miei amici. Totalmente confuso, mi portò in disparte per chiedermi delucidazioni:

«Cosa diavolo significa tutto questo? Credevo fossi arrabbiata con me…» Era sorpreso, ma apparentemente non sembrava seccato.

«Lo sono ancora, ma sapevo anche che non avresti cenato e che non avrei mai voluto lasciarti qui da solo… e poi tu ieri non mi hai mandato via dopo quello che è successo con Claudio, come avrei potuto restare ancora offesa con te?»

Emile mi guardò con intensità, come a sondare la veridicità delle mie parole e fece un mite sorriso accarezzandomi il viso:

«C’è un piccolo problema però… ci sono anche i ragazzi ora.»

«E che problema c’è? Finite di discutere mentre prepariamo la cena e poi mangiamo tutti insieme, da veri amici.» gli sorrisi, ma calcai volontariamente il tono su quella parola, cercando di fargli capire che era il momento giusto per trattare il suo gruppo come persone e non come marionette e sperai che avesse recepito il messaggio.

«Amici eh? Strega!» Mi guardò sorridendo e mi diede un bacio sulla fronte, prima di rivolgersi ai miei compagni:

«Grazie di essere venuti ragazzi, prego accomodatevi.»

 

*****

 

Emile spiegò subito ai miei amici che era in piena riunione con il suo gruppo e che non poteva comportarsi da buon ospite, ma precisò che in sua vece ci sarei stata io che ormai ero di casa: rincuorata da quella frase, sentii una grande gioia dentro di me e d’improvviso quella serata mi sembrò bellissima. Ero con i miei amici, con il mio ragazzo e con la sua band: i nostri mondi si stavano incontrando in quelle ore per la prima volta e per la prima volta si sarebbero uniti per condividere qualcosa di unico, qualcosa che non sarebbe più stato parte esclusiva della mia vita o della sua, bensì sarebbe stata una delle prime esperienze della nostra vita in comune, qualcosa che era sia di Emile che di Pasi… e ovviamente di tutti i presenti!

Per questo motivo, prima ancora che finisse di parlare, presi parola dicendogli che appena sarebbe stato pronto in tavola, avremmo chiamato anche loro: Emile mi guardò con gratitudine, ci salutò e tornò dal suo gruppo in attesa.

«Ma con una casa così grande, proprio là sotto devono stare? Mi viene da soffocare al solo pensiero!»

«Hai ragione Stè, ma evidentemente  non si sarà nemmeno reso conto che ha tutta la casa a disposizione ora. E poi questa stanza è praticamente disabitata da tutti loro, non ricordo una sera in cui abbiano cenato qui insieme, Alberto era sempre da Claudine…» al pensiero della madre di Emile, mi rabbuiai: presa dalle mie preoccupazioni per il figlio, avevo messo da parte il dolore per la madre, ma era ancora così fresco, che il solo nominarla mi portava ad un passo dal pianto. Rita se ne accorse e cambiò repentinamente il discorso: «Allora Pasi, io non conosco questa cucina, quindi dicci tu come dobbiamo muoverci!»

 

Per quella sera, Rita aveva organizzato una cena a casa sua per stare tutti insieme, poiché sarebbe stata una delle mie ultime sere con lei: aveva già fatto la spesa quando era passata al centro per avvertire Fede e progettava di chiamare anche Stè. Per cui una volta deciso di trasferirci da Emile, portammo i viveri con noi… ora c’erano altre bocche da sfamare e sicuramente avremmo dovuto attingere alle scorte di casa Castoldi, ma quella riunione improvvisa e la cena da reinventare, costrinsero tutti noi quattro a dare una mano in cucina, col risultato che sembravamo davvero una squadra di cuochi di qualche ristorante!

«Mi sembra di non aver mai staccato da lavoro oggi! È tutto il giorno che sto davanti ai fornelli!»

«Ti fa bene Testarossa, così ti tieni in forma.» Stè e Fede stavano affettando le patate (che cena sarebbe senza   un po’ di frittura?) e dopo li attendeva anche la frutta; mentre io e Rita preparavamo i piatti forti.

«Testa di Paglia, se dici ancora qualcosa al riguardo ti metto a tagliare le cipolle!»

Stè si riferiva ad un vecchio litigio che risaliva ai tempi in cui frequentavamo il secondo anno delle superiori: durante una delle ore di Educazione Fisica, un nostro compagno di classe, membro della squadra avversaria alla mia, stizzito dalla sua situazione di svantaggio, esordì con la convinzione che il compito delle donne nella società era solo quello di accudire gli uomini e che il loro regno doveva essere la cucina… Quel tipo di cui non volevo nemmeno ricordare il nome, senza troppe cerimonie, finì a casa con il naso sanguinante ed io mi presi una bella sospensione, per la gioia dei miei genitori… Stè dal canto suo, tentò di dissuadermi dall’attaccare fisicamente quello stupido maschilista, ma ovviamente non ebbe successo e si arrese assistendo allo spettacolo. Così ogni volta che poteva, tirava in ballo quella storia per la gioia di vedermi arrossire di rabbia e farsi una sana risata ai miei danni!

«Che fiero cipiglio Testarossa, si vede che sei abituata a gestirti nella cucina, una cuoca perfetta!» Stè mi guardò con quello che era uno dei suoi migliori sorrisi, che ricordava molto quelli solari e spensierati che non aveva da quando Simona ci aveva lasciato e nonostante mi stesse facendo arrabbiare, fui felicissima di rivedere quell’espressione allegra che tanto amavo.

«Testa di Paglia stai rischiando grosso stasera, sappilo, ti riempio l’insalata di rucola!»

«Oh no ti prego pietà, proprio la rucola no! Sai che poi si irrita la gola!»

Di tutte le allergie più strambe, poteva mai una persona, essere allergico alla rucola? Una cosa che non si era mai sentita e probabilmente Stè era l’unico a soffrirne nel raggio di sei nazioni! Non so nemmeno come abbiano fatto i medici a scoprirlo, non avevo mai sentito che esistesse una cosa simile finché non lo disse lui!

«Pasi, in quanti siamo?» Come sempre, da bravo genitore del gruppo,  Fede interruppe il nostro litigio da bambini con una domanda pratica che ci riportò al nostro dovere.

«Uhm dunque, siamo noi quattro più loro giù che sono in cin… quattro… Siamo in otto.» Fede alzò la testa e mi osservò, avendo sentito il mio lapsus e volendo monitorare sicuramente la mia reazione. Non doveva aver trovato nessun segno preoccupante sul mio viso poiché continuò senza problemi: «Bene, sto facendo dei segnaposti con le zucchine e mi serviva sapere il numero giusto… Come l’ha presa?»

Eccolo, lo scrutatore dell’animo umano al lavoro, voleva sapere con quale stato d’animo Emile avesse accolto la nostra intrusione in casa sua… a volte mi chiedevo per quale motivo fosse stata Rita e non lui a scegliere quella facoltà,  Fede sarebbe stato un eccellente  psicologo!

«Era sorpreso, ma sembra averla presa bene, non abbiamo di che preoccuparci!» gli feci un sorriso per tranquillizzarlo e lui sorrise di rimando.

«Perfetto.»

«Chicco, senti un po’ qui, come ti sembra?» Rita si avvicinò con un cucchiaio pieno del condimento che stava preparando, pronta a farlo assaggiare a Fede:  era bello vederli esternare finalmente il loro amore, era una gioia vedere la mia amica che si chinava verso di lui per baciarlo e lui che la circondava con un braccio, era bello vedere come il loro amore fosse così palese nell’aria da sembrare palpabile… Ero così felice per loro, ero così piena di gioia per l’atmosfera conviviale che si era creata…  e d’un tratto feci un’associazione d’idee che mi fece saltare in aria:

«Sofia!»

Si girarono tutti in mia direzione sorpresi: «Abbiamo dimenticato di chiamarla! Non le abbiamo nemmeno chiesto se era dei nostri, che figuraccia!»

«Testarossa lo sai benissimo che per stanare Sofia, dev’esserci almeno un evento catastrofico tipo tsunami in giro! Non sarebbe venuta di sicuro.»

«Ma almeno potevamo chiederglielo!»

Senza nemmeno sentire i pareri degli altri la chiamai e le proposi di raggiungerci, ma come aveva pronosticato Stè, Sofi rinunciò, anche se sospettai che fosse risentita per essere stata chiamata all’ultimo secondo… mi ripromisi di andare a trovarla il prima possibile: a volte davamo per scontata la sua assenza e forse in qualche occasione avevamo mancato di delicatezza nel non avvisarla, come quella sera, per cui presi la decisione di parlarle appena avessi potuto.

 

*****

 

«Dovevate vederla ragazzi, era una furia! Sembra così piccola e tenera, ma in realtà è una forza della natura, guai a farla arrabbiare!»

«Stè hai finito di elogiarmi pubblicamente? Perché mai dobbiamo stare qui a sentire quanto io sia così “aggraziata e gentile” quando m’infurio? E poi scusa, tu che avresti fatto al posto mio?» 

A parte la mia gogna pubblica, dovuta all’insano divertimento che provava Testa di Paglia nel sottolineare tutti i lati del mio carattere che più mi davano fastidio, la nostra cena  trascorse nella più assoluta tranquillità: i gemelli ascoltavano il mio Giuda biondo estasiati e ridevano della grossa ad ogni aneddoto che Stè ricordava e che quasi puntualmente aveva la sottoscritta come protagonista…

«Pasi sei uno spasso! Mi stavi simpatica già prima, ma sentendo queste storie da Stefano non posso che pensare che sei un mito!» Francesco rideva a  crepapelle e il suo improvviso elogio lo salvò dall’essere messo nel mio personale libro nero…

Anche Filippo seppur sommessamente se la rideva e insieme quei tre costituivano una vera e propria associazione a delinquere ai miei danni: se Stè avesse raccontato loro tutto ciò che sapeva sul mio conto (e ce n’era da raccontare), mi sarei trovata circondata da risate per il resto della mia vita!

«Sì, ma adesso basta! Non sono mica la protagonista di uno show comico!»

«Testarossa non è colpa mia se sei un talento naturale!» 

«Allora vogliamo parlare di quando il prof. Setti ti fece fare cento canestri e ne sbagliasti ottanta? Ce n’è anche per te Testa di Paglia!» Lo guardai con sguardo maligno e trionfante, ma nuovamente, come quando gli affibbiai quel nomignolo, Stè non fece obiezioni al riguardo, sbaragliando del tutto la mia strategia di attacco e difesa.

«Fai pure Testarossa, non è una novità che non sia una cima a basket. Anzi, ora ve la racconto:  dunque eravamo…» Stè si girò di nuovo verso i suoi interlocutori estasiati  e continuò l’aneddoto con cui l’avevo minacciato, diventando lui stavolta il protagonista di una scena da cabaret: «Quella palla andava ovunque! Finì persino sulla testa del prof, che alterato mi mandò a sedere!»

Le risate del mio amico erano calde e mi rallegrarono l’animo: quella sera lo sentii ridere di cuore come non accadeva da tempo, quasi mi commossi rendendomi conto di quanto mi fosse mancato e di quanto fossi felice che si stesse riprendendo dalla morte di Simona.

L’altro lato del tavolo invece, era più silenzioso: Emile era accanto a me e parlava con Fede, mentre Rita stava chiacchierando con Maurizio; quei due erano capaci di far parlare chiunque, avevano un modo così gentile e incisivo di rivolgersi agli altri, che anche i più timidi e riservati riuscivano ad abbassare le proprie barriere nei loro confronti. Sarebbero diventati dei professionisti davvero capaci e al di là delle loro figure professionali, erano una coppia davvero ben assortita! Guardandoli mi resi conto che la leggenda di Sofia in quel caso si era realizzata in pieno: Rita e Fede erano destinati a stare insieme, gli anni che li avevano separati erano serviti solo a rafforzare la loro unione, a farli diventare ciò che erano e che li avrebbe tenuti insieme per il resto della vita. Già l’immaginavo alle prese con una loro famiglia, a fare da genitori a bambini dai capelli castani di Fede e dagli occhi azzurri di Rita e sarebbe stata anche una famiglia numerosa visto che la mia amica aveva sofferto la solitudine: immaginai bambine con le trecce e maschietti che giocavano insieme nel cortile di una casetta attorniata dal verde e mi ritrovai a sorridere pensando a quel futuro lontano.

D’un tratto Emile mi riscosse da quel sogno ad occhi aperti: «Tutto bene? Avevi l’aria persa.»

Mi girai a guardarlo: il suo viso era lievemente preoccupato, ma l’espressione generale era serena; dopo aver fantasticato su Fede e Rita iniziai a pensare a noi due in quel futuro distante, mi chiesi se fossimo stati ancora insieme nel veder nascere i figli dei miei amici e se avessimo avuto a nostra volta un futuro simile… e in un attimo, guardando quegli occhi grigi mi resi conto che, seppur non avevo le risposte, sapevo che il mio destino era lì. Emile era testardo, arrogante, diffidente e non riusciva a lasciarsi andare del tutto ai suoi sentimenti, ma solo il Signore sapeva quanto l’amassi e quanto la mia vita fosse cambiata da quando c’era lui accanto a me. Non l’avrei mai lasciato, mai, per nessuna ragione al mondo!

«Sì, va tutto bene, è tutto perfetto!»

Mi guardò intensamente, i suoi occhi si scurirono e fece un piccolo sorriso segreto solo per noi due: mi prese una mano nella sua e avvicinò il viso al mio orecchio: «Grazie» 

Sentii la sua presa che si faceva più forte e capii che quel grazie era un: “Scusami, sono un idiota e ti rendo la vita impossibile, ma  senza di te sarei perso”; mi commossi per quel gesto così dolce e così carico di significato e gli rivolsi il mio sorriso più caldo, stringendo a mia volta la sua mano nella mia. 

 

*****

 

Francesco, Filippo e Maurizio andarono via subito dopo cena, mentre i miei amici, che mi avevano aiutato a mettere su quella serata, completarono l’opera rimanendo ad aiutarci a rimettere in ordine la cucina. Mentre io, Stè e Rita eravamo alle prese con i piatti sporchi, notai un confabulare tra Fede ed Emile: chissà cosa si stavano dicendo!?

Ero curiosa da morire ma ero anche felice che quei due stessero parlando: tra i miei amici, Fede era quello che era riuscito più facilmente a penetrare la barriera protettiva di Emile, che sembrava non avere alcuna difficoltà ad aprirsi a lui e Dio solo sapeva se il mio Pel di Carota avesse bisogno di sfogarsi ed aprirsi con qualcuno! A quel pensiero, mi  vennero in mente le parole di Alberto: “Gli unici suoi compagni sono la musica e i ragazzi con cui suona; non è mai stato capace di stringere rapporti duraturi con qualcuno  che non fosse per un suo fine preciso".

Quella mattina si era sfogato con me, ma se io non ci fossi stata, se non avesse avuto me a spronarlo e ad ascoltarlo, da chi sarebbe andato? A chi si sarebbe appoggiato? Non avevo la minima idea di come potesse vivere senza la presenza di un amico accanto!

I miei amici erano la mia ancora di salvezza, il mio punto  di riferimento, l’appoggio e il sostegno che mi facevano andare avanti a testa alta; non avrei mai potuto concepire la mia vita senza di loro e pensare che Emile vivesse isolato e chiuso in se stesso da anni, mi strinse il cuore.

Sperai che tra lui e Fede potesse nascere una vera amicizia, mi augurai in quel momento di essere riuscita a donare ad Emile il piacere di avere un amico, un sostegno, una persona che ti capisca e t’impedisca di vacillare. Io gli sarei stata sempre accanto, ma ci sarebbero stati momenti in cui la mia presenza non sarebbe bastata… momenti come quello che stavamo vivendo, in cui ero troppo coinvolta nel problema Claudio per poter essere un valido sostegno.

 

*****

 

Quando giunse il momento di andar via, dissi ai ragazzi che sarei rimasta in quella casa e nonostante l’evidente tristezza sul volto di Rita, era un opzione che avevano già dato tutti per scontato. Emile li accompagnò alla porta mentre io sistemai le ultime cose  in cucina.

Avevo appena posato gli ultimi bicchieri quando le mie spalle furono avvolte dal suo abbraccio: mi sentii invadere dal calore di quel contatto e poggiai le mie mani sulle sue, ricambiando il suo gesto. Rimase in silenzio per qualche tempo, senza dir nulla, come se volesse solo godere di quella vicinanza ed io non feci alcunché per spezzare quel momento di comunicazione silenziosa. Quel giorno le parole avevano creato più incomprensioni che altro e forse un po’ di sano silenzio avrebbe ridotto le distanze tra di noi e permesso ai nostri cuori di comunicare meglio di quanto facessero i nostri cervelli. Dopo un po’ però, probabilmente dopo aver raccolto le idee, Emile si decise a parlare: 

«Mi sono comportato come un matto oggi, vero?»

«Un po’… ma avevi i tuoi motivi.»

«Dentro di me ora ho così tanti pensieri, così tante emozioni, che non riesco a gestirle come si deve.»

«Perché le hai tenute dentro di te per troppo tempo.»

«Forse… o forse no. Però sono stato bravo a non innervosirmi con Stefano, anche se non faceva che ricordarmi quanto ti conoscesse!»

«Emile, non ricom…»

«Stai tranquilla, non voglio far polemica… non voglio più discutere con te.»

«Nemmeno io voglio farlo.»

«Scusami per oggi, ho esagerato.»

«Beh, nemmeno io ci sono andata tanto leggera.»

«Andiamo a dormire?»

«Non ancora, restiamo un altro po’ così.»

«Ok.»

Rimanemmo per qualche minuto in quella posizione. Eravamo in piedi ma non mi sentivo affatto scomoda: l’abbraccio di Emile, le sue scuse e il calore umano che ci stavamo donando, facevano di quel momento  qualcosa  che volevo non finisse mai.

 

*****

 

Quella notte Emile non pianse: dormì di un sonno agitato, ma le lacrime non gli solcarono il viso. Probabilmente, avendo sfogato il dolore per Claudine, quella sua parte inconsciamente sofferente si era rasserenata… L’agitazione era dovuta di sicuro al problema con Claudio e quello era fuori dalla mia portata; però ero felice di non vedere più il suo volto piangente e anche se di poco, rispetto al senso di colpa che ancora mi devastava, mi sentii gratificata per essere riuscita ad aiutarlo.











_________________________________________

NDA

Stavolta mi sono data: capitolo lunghissimo tutto per voi! ^ ^
Anche questo come il precedente, mi ha lasciato un pò interdetta, ma la mia Beta come al solito, mi ha rassicurato dicendomi che era perfetto così. Voi cosa ne pensate? Attendo i vostri pareri più che mai! ^ ^
Ricordate la famosa foto di Emile citata nelle mie note al capitolo precedente?
Eccola QUI : il fanciullo in questione ha la chioma più lunga di quanto la immagini io, ma guardandolo così sembra proprio il mio bambino *_*
Voi che ne pensate? Come l'immaginate?



Angolo dei Ringraziamenti

Sorelle mie, ora più che mai, con i vostri commenti sempre entusiastici anche quando sono piena di dubbi, siete la mia ancora di salvezza. Ci sono giorni in cui mi sembra che stia scrivendo una solenne schifezza, ma poi penso a quanto siate prese da questa storia e mi dico che forse tanto una schifezza non è. Quindi davvero grazie all'infinito per la vostra presenza e per il vostro sostengo continuo e costante. Vi adoro!!!

Grazie alle mie special sisters: Iloveworld, Saretta, Niky, Vale, Concy sempre presenti, sempre pronte ad infondermi la voglia di continuare e fare sempre meglio <3
Alle sister meno presenti: Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono in silenzio <3
A Prim, che mi ha lasciata in vita per il rotto della cuffia (cara omonima per 1/3, come ti sembra l'immagine del rossino?)

Grazie a tutte voi che avete inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate, tra le seguite:
lorenzabu
, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, green apple, Aloba, Ami_chan, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy.

ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22







 

 

«Allora, sono finiti i problemi in famiglia? Per la miseria se pesa questa valigia Testarossa!»

«A cosa ti riferisci Stè? Vuoi una mano per portarla?»

«Intendo tra te ed Emile… è tutto tranquillo ora? Non preoccuparti ce la faccio, dovrei essere io quello forte qui.» 

Testa di Paglia mi stava dando una mano nel trasloco, per poter portare tutti i miei bagagli a destinazione in una volta sola, considerato che non avevo molto da spostare. Da quando mi ero trasferita da Rita, sentendomi sempre un po’ ospite, non avevo riempito il suo appartamento con effetti personali, anche perché in quella casa ci stavo solo per dormire, per cui oltre agli abiti al beauty case e agli accessori da toeletta, c’era giusto uno zainetto e la borsa che avevo riempito a casa dei miei genitori, con dei libri e altri oggetti vari. In pratica tutto il bagaglio era trasportabile da me e Stè in un solo viaggio e così facemmo.

«A quanto pare sì, Stè, o almeno fino alla prossima discussione!»

Emile in quei giorni era impegnato con il lavoro e soprattutto con le ricerche di un nuovo batterista; non gli avevo chiesto altro in merito, sapendo che se non avesse voluto parlarmene, avremmo finito col litigare nuovamente, per cui sapevo solo che ogni sera al ritorno dalla bottega, si chiudeva in saletta col gruppo e teneva audizioni. Ovviamente in una situazione simile, avevo completamente dimenticato di dirgli del mio appartamento, così arrivò il giorno del mio trasloco (accolto da Rita con un viso sull’orlo del pianto) e come sempre ad aiutarmi fu quello che Emile aveva definito il mio Cavaliere Biondo.

«Si dice che l’amore non è bello se non è litigarello: il vostro sarà di sicuro un grande amore!» Testa di Paglia si fece una gande risata mentre aprivo la porta della mia piccola tana:

«Già… non so nemmeno se abbiamo trascorso più tempo a litigare o in pace!»

Appena mise piede oltre l’uscio, il mio amico dette in un sonoro fischio di sorpresa:

«Testarossa è davvero un buco!»

Considerato che fosse sembrato piccolo a me che non avevo certo la sua altezza, per Stè quel luogo doveva sembrare un po’ più grande di una cabina doccia!

«In effetti per te che sei fuori misura non sarebbe comodo, ma per me va benissimo!»

«Sai, credo che a Simona sarebbe piaciuto arredarlo, stava scoprendo un certo interesse nell’architettura d’interni e per una persona precisa come lei, doveva essere uno spasso gestire gli spazi abitabili.»

Chiusi la porta e mi avvicinai a lui portandogli un braccio alla vita: Simo non lo abbandonava mai, Testa di Paglia era visibilmente più sereno, ma mia sorella sarebbe stata sempre parte del suo cuore.

«Stè, ti sembrerà assurdo che io ti dica questo ma… puoi parlarmi di lei? Com’era Simona davvero?»

«Eh? Ma era tua sorella!»

«Sì, ma lo sai meglio di me che non facevo altro che litigarci, invece tu sei riuscito a comunicare con lei… tu la conoscevi molto meglio di chiunque, Stè!  Meglio di me e meglio dei miei genitori e vorrei sapere una volta per tutte chi era, cosa sognava, cosa le piaceva e cosa odiava; voglio avere altri ricordi di lei, seppure in modo indiretto!» Il mio amico fece un sorriso triste e ricambiò il mio abbraccio:

«D’accordo Testarossa, prendiamoci una birra e ti racconto tutto.»

 

A Simona piacevano i bambini

A Simona piaceva il blu e il grigio.

Simona sognava di sentirsi libera, ma non voleva deludere nessuno.

Simona teneva al giudizio altrui e cercava l’approvazione da tutti.

Simona sognava un pomeriggio di shopping con sua sorella, una gita in montagna in famiglia, una serata davanti ad un puzzle da 20000 pezzi da completare insieme.

Simona voleva vivere la sua vita con le persone che amava accanto a sé, voleva ridere, voleva divertirsi, voleva essere apprezzata.

 

Appuntai ogni frase su un foglio, che piegai e misi nell’album in cui avevo inserito le foto mie e di mia sorella, in modo da ricordare ogni cosa che la riguardasse nel preciso istante in cui  puntavo gli occhi sulla sua immagine. Volevo ricordare tutto di lei: il suo viso, i suoi capelli, la sua statura e il suo sguardo, il suo raro sorriso e le sue mani piccole e precise e volevo ricordare la sua voce, come parlava e ciò che diceva, insieme a tutto ciò che mi aveva raccontato Stè. Emile avrebbe lottato tutta la vita per non far cadere Claudine nel dimenticatoio; io nel mio piccolo avrei fatto altrettanto per far sì che mia sorella non fuggisse mai più dalla mia mente e dal mio cuore. Ti accorgi dell’importanza di una persona solo quando non l’hai più e il ricordo di Simona doveva essere per me un continuo monito a dare importanza a chi avevo accanto senza attendere che prima andasse via.

 

 

*****

 

«Ma perché non me l’hai detto prima?!»

Qualche giorno dopo il mio trasferimento, riuscii finalmente a vedere Emile. Non ero felice all’idea di lasciarlo solo in casa, ma con i suoi impegni serrati le ore di solitudine si riducevano a quelle notturne e come aveva gentilmente tenuto a sottolineare anche lui, non era un bambino in fasce  e qualche giorno da solo in casa non l’avrebbe devastato o messo in pericolo di vita. Per cui trascorse qualche giorno prima che potessi vederlo e dirgli finalmente del mio trasloco. Allo scoprire del mio trasferimento, fu sorpreso e anche un po’ contrariato:

«Ti avrei dato una mano a traslocare!»

«Ma non c’era granché da trasferire, Emile! Avevo qualche valigia e un paio di zainetti e ce l’ho fatta da sola, Stè mi ha accompagnato in auto così abbiamo potuto trasportare tutto in una volta sola.»

A quelle parole, vidi un’ombra passare sul suo viso:

«Già... dimenticavo che Stefano è sempre pronto a darti il suo prezioso aiuto!»

Il suo tono si fece amaro, la gelosia stava nuovamente facendo capolino e prima che non riuscisse a controllarla, presi le sue mani nelle mie e passai al contrattacco: 

«Ora non fare l’acido! Lo sai quanto tu sia importante per me, non ho ancora organizzato una festa inaugurale per quell’appartamento, solo perché voglio che prima tu lo veda… e per di più non avrei mai permesso che sforzassi la mano!»

Con mio grande sollievo, nel giro di quei pochi giorni in cui non ci eravamo visti, la mano di Emile si riprese del tutto, tornando ad essere funzionale al cento percento; almeno questo problema era stato evitato e potevo depennare dalla mia personale lista della vergogna, uno dei possibili guai in cui avrei potuto cacciarlo! Dopo aver sentito la mie ragioni, Emile mi guardò con un’espressione indecifrabile, prima di alzarsi senza preavviso. Fece un sorriso sereno e luminoso e allungò una mano verso di me:

«Allora andiamo a vederlo!»

L’appartamento si trovava al secondo piano di un palazzo nuovo: la tromba delle scale era pulita e ben curata e tutto lo stabile aveva l’aria di essere tenuto con cura. Emile fu lieto di vedere che prima di giungere in casa mia la visuale fosse gradevole e si dichiarò soddisfatto della mia scelta già da allora. Quando entrò nell’appartamento, lo guardò con occhio critico, controllò la stabilità delle scale che portavano al soppalco, diede un’occhiata alle tubature per osservare eventuali perdite dal bagno, si assicurò che ci fosse acqua calda e che la chiusa del gas fosse ermetica: tutte queste attenzioni degne di una mamma chioccia mi sorpresero, non mi ero mai resa conto che fosse così apprensivo!

«Emile… vuoi per caso chiedere anche se il cemento usato per costruire l’appartamento è di buona fattura?»

Ero ancora sull’uscio della porta, incredula ad osservare il suo andirivieni, divertita e soprattutto gratificata da quelle cure così amorevoli. Mi tornò in mente quella volta in cui mi disse che avrebbe accettato anche di essere soffocato di domande dalla madre pur di riceverne l’affetto e mi resi conto che era vero, che a volte è bello sentirsi circondare dalle cure amorevoli di chi ami, anche se sono soffocanti.

«È possibile saperlo?»

La domanda di Emile mi distolse dai miei pensieri e  per un istante non capii a cosa alludesse.

«Cosa?»

«Il cemento, è possibile sapere di che qualità era?»

 Non potevo credere che fosse serio!

«EMILE! Smettila di essere così apprensivo! Io scherzavo, guarda che è tutto a posto, non corro alcun rischio!»

Si bloccò sorpreso e fece un sorriso verso se stesso, rendendosi conto di aver esagerato:

«Scusami, mi sono lasciato prendere… è che sento una strana apprensione all’idea di saperti qui da sola. Sarà che mi sento in colpa per non averti aiutato...» si grattò la testa con una mano con fare imbarazzato…

«Non mi succederà nulla, salame! Stai tranquillo e rilassati e poi hai controllato tu stesso, è tutto in ottime condizioni!» 

Fece un altro dei suoi sorrisi ironici e venne a darmi un bacio sulla fronte, prima di aggiungere:

«Hai ragione, ma c’è ancora qualcosa che posso fare, vieni con me!» Mi prese per una mano e uscimmo di casa. 

Arrivammo al centro d’ascolto ed Emile fermò l’auto un istante prima di parlare:

«Ora tu resti qui, trascorri un paio d’ore con i tuoi amici e poi vengo a prenderti, ok?  Ah, queste le prendo io.» mostratemi le chiavi di casa mia, che avevo lasciato sul cruscotto, mi fece uscire dall’auto, lasciandomi del tutto inebetita.

 

Quando Fede mi vide comparire alzò le sopracciglia sorpreso:

«Che ci fai qui? Non eri con Emile?»

Tra me e i miei amici c’era una rete d’informazione degna della CIA: tutti sapevano di tutti, non c’era uno spostamento di uno di noi che non fosse conosciuto da almeno la metà del gruppo!

«Già… ma all’improvviso mi ha sbarcato qui, dicendomi che sarebbe venuto a prendermi tra un paio d’ore… ha preso anche le chiavi di casa mia!»  Fede fece un sorriso, probabilmente riusciva a comprendere la mente del mio ragazzo meglio di me!

«Non preoccuparti, starà preparando qualcosa d’interessante per te.»

E come al solito, Fede ci vedeva lontano: Emile venne a prendermi dopo un paio d’ore e senza dire una parola su ciò che mi attendeva, mi portò direttamente a casa. Mi lasciò fuori la porta per qualche minuto, sentii che armeggiava con qualcosa e la mia curiosità salì a livelli epici: stavo per sbirciare dal buco della serratura quando la porta si aprì e rimasi senza parole. Tutto l’ambiente era invaso dalla luce soffusa delle candele, veli rossi erano drappeggiati alle pareti e uno simile era steso sul tavolo, apparecchiato per due, su cui campeggiava un candelabro.

«Benvenuta a casa.» calò il viso verso di me e sentii sussurrarmi all’orecchio quelle parole con voce dolce e sensuale, mentre fece un sorriso che mi rimise al mondo: il mio Pel di Carota mi diede il benvenuto più bello che avessi mai potuto sognare!

«Emile… tutto questo… è per me!?»

Portai le mani al viso incredula, mentre lui sempre sorridente rispose:  

«Per chi sennò? La casa è la tua e dovevi avere un benvenuto degno.»

Avevo un magone alla gola che non mi permetteva di parlare e lo guardai sperando che i miei occhi riuscissero a comunicare per me. Non sentendo una risposta da parte mia, con un sorriso imbarazzato aggiunse:

«A dir la verità il cibo è comprato, non ho avuto abbastanza tempo per preparare tutto, ma alla pasta ci penso io, conosco una ricettina davvero saporita!»

 E chi ci pensava al cibo! Il cuore mi martellava nel petto, le parole non mi uscivano di bocca e il suo sorriso mi fece sentire la donna più fortunata del mondo: gli saltai letteralmente addosso e lo costrinsi ad abbassarsi per avvinghiarmi a lui e dargli uno dei baci più appassionati di cui fossi mai stata capace.

 «Ci pensiamo dopo al cibo, ora voglio mangiare te!*»

 

*****

 

Dopo esserci saziati d’amore, passammo a saziare i nostri stomaci: la cucina di Emile era davvero deliziosa e anche il resto fu tutto ottimo e quell’atmosfera soffusa e rossastra mi portò a pensare di essere nel bel mezzo di un sogno.  Ero convinta che quella serata non potesse andare meglio, invece dopo cena, il mio adorabile Pel di Carota mi fece un altro regalo prezioso. Ci accomodammo rilassati e soddisfatti sul divanetto che ero riuscita ad inserire nella zona giorno, intenti a goderci quel momento di totale intimità e confidenza: ero del tutto rilassata nel suo abbraccio, quando mi resi conto dell’improvviso silenzio sceso tra noi. Alzai la testa per osservare il viso di Emile e lo trovai immerso in qualche pensiero lontano:  

«Ti vedo pensieroso; qualcosa non va?»

«Stavo pensando alle audizioni: sembrano non avere fine e non abbiamo trovato ancora qualcuno.»

Rimasi sorpresa da quella frase: non mi aspettavo che mi parlasse del suo gruppo, non dopo la discussione che avevamo avuto l’ultima volta che avevo messo bocca nella sua vita professionale. Ero felice che avesse deciso di parlarmene, ma allo stesso tempo, sentii farsi largo anche l’insistente senso di colpa e la mia felicità si mischiò al peso che continuava ad opprimermi, per avergli causato quel problema.  

«Pasi, smettila d’incolparti.» dovevo avere la parola “colpevole” scritta sul viso, vista la repentinità con cui Emile capì i miei pensieri. «Non è colpa tua se Claudio è andato via, prima o poi sarebbe accaduto e tu sei stata solo il mezzo per colpirmi… nuovamente.»

«Sono diventata il tuo punto debole!» dissi sconsolata.

«Sei sempre stata il mio punto debole, l’unica in grado di farmi vacillare. Se questa storia fosse accaduta in un altro momento, forse ora non sarei qui, probabilmente ti avrei allontanato nuovamente per non essere più soggiogato dall’influenza che hai su di me. Ma ho poca fiducia sulla mia capacità di resisterti e da quando mia madre se n’è andata, sento un bisogno disperato di averti accanto: tu mi dai forza, mi sostieni e sento che in questo momento della mia vita ne ho un bisogno terribile, sento di non riuscire a farcela da solo… e quando sto con te non mi sento più lasciato a me stesso.»

Emile stava aprendo un altro pezzetto di cuore ed io rimasi in silenzio ascoltando ciò che aveva da dirmi, felice come ogni volta che mi permetteva di condividere un po’ dei suoi tormenti.  

«La musica è sempre stata la mia unica compagnia. Sai meglio di me quanto io sia poco socievole e quanto sia difficile aprirmi agli altri. In più, quand’ero piccolo, i miei compagni venivano spinti dai genitori curiosi ad entrare in casa, per vedere chi fosse questa fantomatica cantante francese ammalata e ben presto ho capito che non avrei più aperto le porte di quella casa a qualcuno, così come non mi sarei più avvicinato ad anima viva. La mia unica amica era la musica. La mia unica madre era la musica: quando mi sentivo solo, accendevo la radio oppure ascoltavo qualche CD, quando cercavo il conforto di mia madre l’ascoltavo cantare… Tutte le mie emozioni le ho accompagnate alla musica e lei è diventata parte di me, parte di ciò che sono. Ecco perché l’ho sempre messa in primo piano. Per me c’è sempre stata solo lei. 

Finché non sei arrivata tu. Tu che hai destabilizzato tutti i miei equilibri, che hai minato i pilastri su cui si fondano le mie convinzioni, che mi hai portato a riconsiderare le mie priorità.  Io ho bisogno di te Pasi, questa è la verità. Ho bisogno della tua dolcezza, del tuo sostegno… ho bisogno del tuo amore. Non riuscirei mai a mandarti via da me.»

Mi strinsi a lui col cuore gonfio di una gioia malinconica: era bello sentirgli dire che avesse bisogno di me, era bello sentirsi importanti al punto da non essere da meno della musica, che avevo sempre immaginato come una rivale impossibile da sconfiggere… Tuttavia sentivo anche che dietro quelle parole, c’era la sofferenza di Emile e il suo stato di estrema fragilità… e ancora una volta mi resi conto di aver gettato acqua sul bagnato istigando Claudio alla ribellione, dando al mio Pel di Carota un altro grosso problema da affrontare in quelle condizioni di fragilità emotiva. 

«Oh, Emile! Mi sento così in colpa! Se solo potessi rimediare in qualche modo! Se sapessi suonare la batteria ti giuro che verrei io a sostituire Claudio!»

Emile sorrise a quell’idea : «Saresti davvero buffa dietro quei piatti e quei rullanti.»

«Io parlo seriamente e tu mi prendi in giro?»

«Troverò una soluzione, stai tranquilla! Niente mi fermerà, a costo di suonarla io quella batteria!» Continuava a parlare in prima persona, accollandosi tutti problemi del gruppo senza doverli condividere con gli altri… probabilmente si sentiva responsabile per la defezione di Claudio e non era solo l’egocentrismo a muoverlo… almeno volevo sperarlo.

«Puoi cantare e suonare contemporaneamente?»

«No… la batteria è uno strumento che richiede l’energia di tutto il corpo, quindi difficilmente potrei anche cantare. Mi riferisco alle incisioni dei brani; ne restano ancora un paio e potrei suonare io per poi sovraincidere la mia voce… anche perché il tempo stringe e non possiamo permetterci altre pause, o il produttore s’insospettirà.»

«Non gli hai ancora detto qualcosa?»

«No, speravo di riuscire a trovare una soluzione prima di dovergli dire tutto e scatenare qualche casino, ma posso sempre raccontare qualche frottola come una malattia improvvisa e nel frattempo continuare a cercare qualcuno che sostituisca definitivamente Claudio.»

«E se non dovessi trovarlo in tempo per la tournée?»

«A quel punto dovremmo assumere un tournista… come vedi le soluzioni si trovano Pasi, perciò smettila di flagellarti e non pensare più che sia colpa tua… e poi dimentichi che sono straordinariamente bravo! Niente si frapporrà tra me e il mio obiettivo, quest’album sarà lanciato e avrà il successo che merita!»

Sentivo emanare dall’animo di Emile un fuoco ardente, la sua ambizione e il suo desiderio di realizzarsi riuscivano ad accenderlo come nient’altro al mondo e la sicurezza che aveva in se stesso e nelle sue capacità, mi lasciava ogni volta senza parole.

«Sei sempre il solito modesto!»  Mi accoccolai di più accanto a lui, l’amavo al punto da adorare anche quel suo lato, che prima detestavo con tutta me stessa! 

«Pasi io so quanto valgo e non ne faccio mistero. La finta modestia è ipocrisia bella e buona; se sai di valere, perché devi sminuirti agli occhi degli altri? Se non credi in te stesso nessuno lo farà al posto tuo. Tu sei l’unica persona che può difenderti e farti emergere, non ti aspettare mai che qualcuno lo faccia al posto tuo!» Il suo tono era serio, ma come a contraddire le sue parole, mi strinse a sé protettivo.

«Questo lo so Emile, lo so.»

Ci fu un attimo di silenzio tra noi, immaginai che il suo pensiero fosse rivolto a sua madre, alla fragilità di Claudine che non le aveva permesso di credere in se stessa e di riprendersi una carriera già avviata  e m’incupii al pensiero di quel dolore così forte che portava dentro di sé e che non avrei mai potuto lenire.

Ma mentre ero preda della mia sensazione d’impotenza, Emile tornò a parlare: 

«Ora però, vediamo come ti difenderai da questo.» passò una mano tra i miei capelli scostandoli dal viso delicatamente, procurandomi un brivido di piacere che mi percorse tutta la schiena e che aumentò d’intensità quando sfiorò il mio orecchio con le labbra, per poi scendere sulla nuca…

«Sei proprio un diavolo rosso, mi hai preso sul punto debole!» gli dissi con un fil di voce, mentre sorridendo si gustò la sua vittoria:  ero già stata annientata prima ancora di combattere!

 

 

*****

 

­«Alberto!»

Era trascorsa una settimana da quando il padre di Emile era partito per la Francia e finalmente quel viaggio triste e doloroso era giunto al termine: quando seppi del suo ritorno mi precipitai a salutarlo e appena lo vidi corsi in sua direzione per abbracciarlo; solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fosse mancato.  «Bambina mia!»

Con un’espressione felice e carica d’affetto mi circondò con il suo caldo abbraccio da padre, regalandomi in un attimo tutta la sua gioia di vedermi.

«Mi sei mancato tanto!»

«Pensavo che non avresti avuto il tempo di sentire la mia mancanza; evidentemente Emile non ti ha intrattenuto come si deve!»

Eccolo lì sempre pronto a fare qualche battuta che mi facesse diventare un peperone! Se la rise della grossa prima di aggiungere: «Anche tu mi sei mancata piccola, non vedevo l’ora di tornare dalla mia famiglia.» Amavo quell’uomo sempre di più. Aveva appena perso la sua ragione di vita eppure riusciva ancora a donare calore e affetto e a dire una frase simile, che mi commosse nel profondo. Mi strinsi di più a lui, per bearmi di quell’affetto che sapeva donarmi.

«Grazie»

«Di cosa, Pasi?»

«Per avermi incluso nella famiglia.»

Con un gesto che lo accomunava a suo figlio, mi accarezzò la testa affettuosamente  prima di rispondermi.

«Dopo aver vissuto per qualche giorno in un altro ambiente, posso dire con certezza che i legami familiari non sono solo questione di sangue bambina mia… e tu hai il pieno diritto di far parte di questa famiglia.» Quella frase mi riportò al presente e al motivo per cui Alberto era andato via:

«Com’è andata in Francia? Sei riuscito a parlare con loro

Non riuscivo a dire “la famiglia di Claudine”, perché nominare il suo nome davanti a lui mi sembrava una pugnalata diretta al suo cuore.

«Diciamo di sì… e no.» Alberto si staccò dal mio abbraccio e mi fece accomodare per potermi raccontare com’erano andate le cose in Francia.

«Sono andato lì perché volevo dire loro personalmente di Claudine. Non hanno dato segno di aver ricevuto il mio telegramma, quindi ho voluto vedere di persona se l’avevano ignorato o se non fosse mai arrivato.» Il viso di Alberto s’incupì: Emile odiava il ramo familiare francese ma suo padre, sempre così gioioso e amorevole, sempre così buono e affettuoso, come considerava la famiglia che aveva ripudiato sua moglie?

«La nonna di Claudine ha lasciato la sua casa in eredità ad Odette, la sorella maggiore di ma chère, così tornando in quella casa dopo tanti anni, mi sono trovato ad affrontare lei.»

La sorella maggiore di Claudine… mi chiesi immediatamente che aspetto potesse avere e che tipo di donna fosse.

«Odette sapeva, le era giunto il telegramma, ma non ha nemmeno avvisato i suoi fratelli e l’ha gettato via, come un qualsiasi oggetto privo di valore.»

«Ma non è possibile! Era sua sorella! Perché comportarsi così? Non è possibile!» Automaticamente pensai alla mia di sorella e al senso di colpa che mi avrebbe accompagnato per sempre, per non esserle stata accanto… come poteva Odette, non sentirsi minimamente in colpa? Aveva allontanato Claudine per tutta la vita e anche nel saperla morta continuava a comportarsi come se sua sorella non fosse mai esistita!

«Odette serba rancore verso Claudine: ma chère era la più piccola e la loro madre la riempiva di attenzioni… soprattutto perché era figlia di un uomo che doveva aver amato profondamente. La madre di Claudine era stata cacciata dal marito a causa del suo adulterio e tornò a casa dei genitori con la bambina piccola e la vergogna addosso. Anche se non aveva mai mostrato un segno di pentimento per quello che aveva fatto. Odette però non glielo perdonò mai, o meglio, scaricò le colpe dello sfaldamento della sua famiglia su Claudine, testimonianza vivente dell’adulterio di sua madre.»

«Ma Claudine non aveva alcuna colpa!»

«Lo so, ma Odette ha preferito odiare sua sorella piuttosto che sua madre.»

«Al punto da non volerla nemmeno salutare un’ultima volta?»

«Già… ho incontrato anche suo fratello Jacques, che invece sembrava sinceramente dispiaciuto ed era arrabbiato con Odette per non aver detto nulla in tempo per il funerale… Mi ha detto che ha intenzione di venire a trovare Claudine, prossimamente.»  

Lo sapevo che non erano tutti delle iene!

«Che bello! Allora Claudine non era odiata da tutta la sua famiglia! Sono così felice che ci sia un fratello che le voleva bene! Ma perché non si è mai fatto sentire prima d’ora?»

«Jacques non ha vissuto molto con Claudine, per cui non ha instaurato un forte legame nei suoi confronti... però a modo suo le voleva bene, anche se non al punto da sentirla o da venire a trovarla… evidentemente ora si è reso conto di aver perso l’opportunità di conoscerla davvero e vuole rimediare.» Proprio com’era accaduto a me con mia sorella… Il mio pensiero si spostò repentinamente su un altro problema spinoso:

«Emile che ne pensa?» Temevo di sapere già la risposta, ma attesi la conferma dalla voce di Alberto.

«Mio figlio non vuole avere nulla in comune con quella parte della sua famiglia; non era d’accordo che andassi in Francia da loro e ovviamente non è affatto d’accordo all’idea di vedere qualsiasi parente di quel ramo familiare.»

Sospirai… Emile era sempre il solito testardo, chiuso nel suo rancore, che non ammetteva cedimenti e/o aperture di sorta.

«Bambina mia, lo sai com’è fatto quel testone, però io sono ottimista: Jacques è una brava persona… un po’ sulle nuvole a volte, ma è di buon cuore e saprà conquistarsi l’affetto di quel cocciuto figlio che mi ritrovo.»

«Lo spero davvero… è pur sempre un legame con Claudine, hanno lo stesso DNA! Sono d’accordo quando dici che la famiglia non è solo questione di sangue, ma c’è anche quello! E quando qualcuno della tua famiglia mostra di tenerci a te, non è giusto respingerlo, è una cattiveria gratuita, è sputare su un tesoro inestimabile!»

Mi resi conto di essermi agitata nel parlare: ciò che avevo appena detto risuonava in me perché mi sentivo coinvolta in quella situazione. Se mia madre o mio padre avessero fatto un solo passo per venirmi incontro, li avrei accolti a braccia aperte e non potevo minimamente pensare che Emile rifiutasse a priori la dimostrazione d’affetto di un suo familiare.

«Lo so piccola, condivido pienamente le tue idee ed è per questo motivo che sono andato in Francia: la famiglia di Claudine non è piccola e al suo interno ci sono delle persone davvero belle e valide, non voglio che Emile li detesti per principio senza conoscerli veramente e sarò più che felice di ospitare chiunque di loro decida di venire qui da noi.»

Era la prima volta che vedevo Alberto così fermo e deciso: il suo temperamento gioioso e allegro lo faceva apparire una persona  che non badasse molto ai problemi della vita, ma quando era necessario, quell’uomo sapeva essere serio e determinato al pari di suo figlio: più li conoscevo e più mi rendevo conto di quanto quei due si somigliassero.

«Ti aiuterò anch’io, farò quel che potrò affinché Emile impari ad accettare la sua famiglia, o almeno i membri degni del suo affetto.»

«Grazie bambina mia, sapevo di poter contare su di te.»

 











------------------------------------------------------

*Citazione per gentile concessione di Rei Kashino







__________________________________________________________________________________
NDA
Eccoci qui con un nuovo capitolo: questo è un pò più corto del precedente, ma ieri mi sono resa conto di averne scritto uno anche più lungo tra i prossimi a venire... sto diventando logorroica??? O_o
Ormai siamo alle battute finali, anche se ancora non posso essere certa del numero totale di capitoli che comporranno questa storia. Di certo ce ne saranno 26, ma visto che due mesi fa l'avevo conclusa a 19 e a distanza di sessanta giorni se ne sono aggiunti 7, direi che è ancora tutto da vedere xD
La storia è abbastanza chiara nella mia mente, per cui la quantità di capitoli dipenderà solo dalla mia predisposizione a dilungarmi o meno in alcune situazioni. ^ ^


Angolo dei Ringraziamenti
Cosa potrei dire ormai che non vi abbia detto finora? DANKE, perchè in tedesco ancora non vi avevo ringraziato xD
Grazie alla mia Beta
Iloveworld, che ultimamente ha cambiato nick, ed ora è Fiorella Runco, ma che per me resta comunque la mia tomodachi, con cui divivdere la passione per la scrittura e per gli anime e che è sempre la prima della lista nell'infondermi sostegno ed entusiasmo per ciò che scrivo.
Grazie mille alle mie sorelle affezionate: Saretta, Niky,
Vale, Concy sempre presenti, sempre entusiaste e pronte ad infondermi la voglia di continuare e fare sempre meglio <3Grazie mille anche alle sister "sporadiche": Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono in silenzio <3
Grazie a Prim, che mi segue da tempo e che ha scoperto di avere il simil-Emile proprio dalle parti sue *me andrà a trovare Prim un giorno di questi*

E un Grazie anche a Dreamer_on_heart, la cui recensione sotto lo scorso capitolo, mi ha lasciato davvero commossa e orgogliosa di me!


Un Grazie immenso va anche a tutte voi che avete inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate, tra le seguite:
kiki0882, lorenzabu
, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple, Ami_chan, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_

ARIGATOU GOZAIMASU!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23







 

 

«Pasi? Che ci fai qui?» 

«Ciao Sofi, avevo un po’ di tempo libero e sono passata a trovarti.»

«Hai litigato di nuovo con Emile?»

«No, sono venuta solo per vedere te.»

«Ah… prego, accomodati.»

Sofia era rimasta di sasso. La sua reazione confermò ciò che da un po’ di tempo temevo: la lasciavamo troppo in disparte e non si aspettava di essere considerata al pari del resto del gruppo… almeno per quanto mi riguardava.

Rita la conosceva da anni, era stata lei il tramite cui avevamo conosciuto Sofi: il padre di quest’ultima era un grande amico dei genitori della nostra amica e loro due si conoscevano da quando erano bambine. Rita, col suo modo di fare pacato e dolce era riuscita ad entrare subito in sintonia con quella ragazzina taciturna e poco socievole e ovviamente, lo stesso era capitato a Fede. Come al solito eravamo io e Stè ad avere qualche problema di comunicazione con lei, perché non riuscivamo proprio a capire quel suo modo di essere così solitario e tendenzialmente acido. Nonostante conoscessimo anche le sue buone qualità e il suo saper guardare alle cose della vita con raziocinio, senza distorsioni emotive, per me e Stè era difficoltoso riuscire a comunicare con lei e difatti, era raro che la cercassimo. Sofi però  era una buona amica, se avevamo bisogno di lei era sempre disponibile a dare una mano (impegni permettendo) ed ogni volta che trascorrevamo del tempo con lei, finivamo con l’imparare qualcosa che aveva appreso dai suoi amati libri… per questi motivi decisi di andare a trovarla e di cercare di instaurare un vero rapporto d’amicizia con lei. Dalla morte di Simona mi ero ripromessa di non dare più per scontate le persone care, di non attendere per avvicinarle e conoscerle e la morte di Claudine aveva rafforzato questa mia convinzione.

Non volevo più mettere in disparte nessuno, non dovevo più attendere per avere un vero rapporto umano con chi mi era accanto.  

«Pasi… sicura che non hai litigato con Emile? Sei stranamente silenziosa.»

«Cosa? Oh! Sì, sì, scusami Sofi, ero sovrappensiero…»

Ci eravamo accomodate in camera sua, un piccolo spazio abitato circondato da mensole piene di libri: non c’era una foto o un poster alle pareti perché queste erano totalmente occupate dagli scaffali! L’atmosfera generale di quella camera da letto era di austerità, che ben delineava il carattere della mia amica, ma che mi metteva improvvisamente a disagio: io ero abituata al caos, ad una stanza fortemente vissuta (che aveva costituito una fonte per i migliori mal di testa di mia madre) e trovarmi nella camera da letto di una ragazza che, seppur solo di un anno, era più piccola di me ma riusciva a vivere nell’ordine più asettico, mi faceva sentire fortemente in soggezione e non era quello lo stato d’animo con cui volevo parlarle.

«Sofi, che ne diresti se uscissimo a prenderci un gelato?»

 

*****

 

«Mmm, quant’è buono!»

Sono sempre stata una golosa, una zucchero-dipendente maniaca del cioccolato: probabilmente quando hanno distribuito le manie e le scelte gastronomiche, ero a corto di felicità o c’era troppa amarezza nella mia vita; sta di fatto che quando vedo una tavoletta di cioccolato, soprattutto se è al latte e con qualche cereale sparso all’interno, io vado totalmente in estasi! E quel gelato era l’apoteosi del piacere, in grado di rivaleggiare solo con i baci di Emile…

O forse no…

A quel pensiero mi bloccai e sentii di essere diventata improvvisamente color rubino!

«Pasi, stai bene? Sei tutta rossa.»

Sofia mi osservava sempre più sorpresa: non le avevo detto ancora nulla, in attesa di trovare un tavolo, una panchina o un qualsiasi ripiano cui appoggiarci per finire quella delizia e parlare. Il suo era un gelato molto estivo:  papaya e ananas, rigorosamente due gusti alla frutta che non mettevano chili qua e là. Osservai il mio cono che strabordava cioccolato e cereali e mi sentii d’improvviso un’ingorda insaziabile, mentre sul viso di Sofia fece capolino un’espressione d’insofferenza.

«Pasi ma che hai oggi? Piombi a casa mia, dicendomi di voler stare con me ma poi usciamo e una volta qui, continui a non parlarmi… Cosa ti è successo di così difficile da dire? Ti sei innamorata di un altro e non riesci a dirlo ad Emile? L’hai tradito forse?»

Come le veniva in mente una cosa del genere?

«Ma certo che no, Sofi! Non tradirei mai Emile, per niente al mondo!»

Come poteva solo pensare che avessi potuto fare una cosa tanto vile?

«Mai essere sicuri di qualcosa Pasi, non dare mai alcuna verità per certa, perché nel momento in cui lo fai, essa cambia.» Ecco la parte più odiosa di Sofia: l’uccellaccio del malaugurio, sempre pronta a vedere il lato cinico della vita…

«Sei sempre rincuorante Sofi… ma perché stiamo parlando di questo ora? Tra me ed Emile va tutto bene e non sono venuta per farmi jellare da te!» Quella conversazione stava prendendo una piega totalmente opposta a quella che volevo… parlare con Sofia era davvero difficile per me!

«Se fai scena muta, allora non posso che improvvisare e cercare di capire il motivo della tua venuta… ancora non sono riuscita a comprendere il perché tu abbia voluto vedermi.»

«Hai ragione Sofi, scusami… ecco io sono venuta proprio per questo… per scusarmi con te.»

«Scusarti con me? E di cosa?»

«Per averti messo sempre ai margini, per non essere una buona amica… L’altra sera quando ti ho chiamato… mi sono resa conto che non t’interpello mai, che quando ho bisogno di stare con qualcuno chiamo sempre Stè o Rita o Fede, ma con te non lo faccio mai… Tu invece sei sempre pronta ad ascoltarmi… Ti chiedo scusa!»

Ero così mortificata da non riuscire nemmeno a tenere il capo alzato, più le parlavo e più mi rendevo conto di quanto poco  l’avessi tenuta in considerazione in quei quattro anni di conoscenza.

«Hai fumato qualcosa, ieri?»

La risposta di Sofi mi lasciò così interdetta da farmi alzare la testa di scatto:

«Cosa?» Il suo viso era sorpreso e dubbioso, come se stesse valutando la veridicità delle mie parole.

«Sofi io sto benissimo! Sono totalmente in me, è in piena coscienza che sono venuta a parlarti!» 

Non sapevo se essere offesa da quella risposta o farmi una risata: era talmente strano per lei, pensare che mi fossi resa conto di essere stata così cattiva come amica nei suoi confronti? Che considerazione aveva di me?

«Scusami Pasi… è solo che mi sembra così strano questo tuo atteggiamento… Non capisco perché tu voglia scusarti per un comportamento che hai da quando ci conosciamo e che a me risulta del tutto normale e ovvio.»

«E a te sta bene che mi comporti così?»

«Non saprei… è da quando ti conosco che sei così, del resto conoscevi già gli altri ed è normale che tu abbia più confidenza con loro che con me… Certo non ti nascondo che alcune volte ci sono rimasta male per essere stata estromessa, ma del resto è una situazione che mi cerco io. Non sono proprio “l’anima della festa” e tante volte sono stata io a negarmi a voi, quindi è normale che dopo un po’ di tempo iniziaste a non includermi più nei vostri incontri… Quindi tutto sommato, non ho nulla da rimproverarti.»

Incredibile… certe volte quella ragazza sembrava priva di sentimenti umani, così imbrigliata nella sua fredda logica al punto da non alterarsi nemmeno quando si sentiva offesa… Come facesse a restare così impassibile, sarebbe stato sempre un mistero per me, che ero il suo esatto contrario!

«Sofi sei un enigma per me!»

«Ma no Pasi, quale enigma! Siamo semplicemente diverse, pensa a tutto ciò che tu non sei e troverai me!»  Sofi fece un mezzo sorriso e mi resi conto di quanto fosse raro vederla sorridere del tutto, così ricordai un particolare della sua vita, che in qualche modo l’accomunava ad Emile:

«Sofi… da quanto tempo non vedi tua madre?»

Erano anni che lei e suo padre vivevano da soli e Sofia non parlava mai di sua madre, mentre mostrava sempre un grande rispetto per suo padre… rispetto… ma non amore. Ed era peggio nei confronti di sua madre, che aveva abbandonato la famiglia quando lei era piccola e si era rifatta una vita lontano da loro. Forse quella razionalità estrema era nata proprio in quel periodo, come difesa per il dolore di vedere la propria famiglia spezzata…

«E cosa c’entra questo, ora?»

Immediatamente alzò delle barriere, la stessa reazione che ebbe durante il nostro pigiama party quando insinuai che fosse troppo acida verso i ragazzi… perché in quattro anni non mi ero resa conto di una realtà, che iniziava ad essere così evidente ai miei occhi in quel momento? Sofi si teneva al riparo dal dolore dietro la razionalità, aveva chiuso a chiave le sue emozioni all’interno della logica, per non dover soffrire a causa di qualcuno… Come probabilmente era successo quando i genitori si erano separati…

«Niente scusami, era una stupida curiosità… sai dopo la morte di Claudine, ho pensato a mia madre e mi sono resa conto che anche tu non la vedi mai… Forse volevo solo consolarmi, dicendomi che non ero l’unica ad averla ancora in vita e a non vederla… se penso che Emile non potrà mai più rivederla, mentre le nostre madri sono vive e noi le abbiamo allontanate… Mi sento un’ingrata, ecco tutto.»

Quel particolare non l’accomunava solo ad Emile… mi resi conto mentre glielo dicevo: io e Sofia avevamo deliberatamente lasciato andare i nostri genitori, anche se io attendevo ancora un gesto d’affetto da parte dei miei, mentre nel suo caso era lei a non voler nulla da loro.

«Mia madre non merita il mio interesse. Mi dispiace per la signora Claudine, non l’ho mai vista ma doveva essere una bella persona, considerato l’amore e il dolore che ho visto sul volto di Emile e di suo padre… ma mia madre non merita di certo le mie lacrime.» Il viso di Sofia, mentre parlava in quel modo così duro di sua madre era paradossalmente tranquillo e rilassato, come se stesse raccontando una favola e non stesse parlando con rabbia di un genitore che non voleva riconoscere come tale.

«Ma è pur sempre tua madre, Sofi! Come puoi dire una cosa simile?» Si girò a guardarmi e in quei profondi occhi scuri vidi l’espressione di una persona abituata ad essere guardata con costernazione… Evidentemente dovevo essere una goccia nel mare della “gente comune” che non riusciva a capirla e la giudicava.

«Non mi aspetto che tu mi capisca, ma è ciò che provo Pasi: il legame di sangue che unisce me e quella donna è l’unica cosa che può ancora dire che siamo madre e figlia, ma è solo un dato biologico e genetico, io non la considero più tale da anni ormai.»

«Hai ragione Sofi, io non ti capisco. Non riuscirei mai a parlare con tanto distacco dei miei genitori: anche se con loro non vado affatto d’accordo, anche se non hanno mai mostrato un po’ di orgoglio per me, io li amo, e per me saranno sempre due persone preziose perché mi hanno dato la luce e mi hanno cresciuto…»

«È proprio quello il punto Pasi, ti hanno cresciuto. Anche se non nel modo che avresti voluto, ma ci sono stati per te, ti hanno accompagnato durante la tua crescita e se ora sei lontana da loro è stato per una tua scelta, non perché loro ti hanno abbandonato.»

Quello era vero e non potevo permettermi di giudicare Sofia, perché probabilmente avrei sviluppato anch’io del rancore verso i miei genitori, se uno di loro mi avesse lasciato senza curarsi più di me… Emile aveva vissuto una situazione simile, ma in lui non era nato odio, non era nata indifferenza… Anche se di certo non era in uno stato migliore di Sofi…

Ecco perché ora la capivo! Attraverso il dolore di Emile, avevo finalmente compreso quello simile di Sofia! Forse avrei potuto aiutarla a sfogarlo…

«Sofi… e se provassi ad affrontarla? Se le dicessi cosa provi per lei, una volta per tutte? Magari in seguito ti sentiresti meglio, ti sentiresti più sollevata… anche Emile tende a tenere tutto dentro e…»

«Pasi, non siamo tutti uguali! E non ho proprio nulla da  sfogare! Sapevo che non avresti capito, come tutti del resto! Lasciamo perdere questo discorso, tanto non porta a nulla.»

«Sì certo, anche Emile diceva così, invece ne aveva da sfog…»

«La smetti di paragonarmi a lui?! Io sono io, sono un’altra persona e non pensare di avermi compreso, solo perché ho qualcosa in comune con quel tuo ragazzo problematico e lunatico! Io non sono come lui, non sono come nessuno di voi!»

Detto questo si alzò e si allontanò, lasciandomi del tutto stupefatta. Mi alzai in fretta decisa a seguirla e la raggiunsi in breve tempo:

«Sofi non mi sembra il caso di reagire così, io volevo solo aiutarti!»

«E chi ti ha chiesto aiuto, Pasi? Da quando sei diventata Madre Teresa? Io sto bene, se vuoi aiutare qualche povero bisognoso hai il centro, non c’è bisogno che tu venga a dare fastidio a me!»

«Ah, quindi ti do fastidio! Beh allora scusami tanto, scusami se volevo rimediare alla mia totale assenza e volevo essere un’amica migliore di quanto sia mai stata!»

Mi fermai mentre le urlavo contro la mia rabbia per essere stata rifiutata: Sofia procedette per un po’ e ad un paio di metri di distanza si fermò, si girò in mia direzione e con calma mi raggiunse:

«Hai detto bene, sono quattro anni e non puoi recuperarli in un giorno solo! Soprattutto non in questo modo!»

 Con quelle parole tornò sui suoi passi andandosene via verso casa sua.

 

*****

 

«Non pensavo che avrebbe reagito così, ero andata con le migliori intenzioni e invece ho solo fatto un casino… Ultimamente sembra che riesca solo a complicare la vita delle persone!»

Ero davvero delusa e frustrata da come erano andate le cose con Sofia… all’inizio mi sentii più che altro furiosa con lei perché non aveva compreso il mio gesto, ma poi le sue parole iniziarono a farmi capire quanto fossi in torto e quanto patetica fossi risultata… Dovevo cambiare atteggiamento con lei, se volevo davvero esserle amica… ammesso che lei lo volesse!

«Sono stata troppo aggressiva con lei, vero? Pensavo che funzionasse: quando lo faccio con te, alla fine ti apri, mi parli… forse ha ragione lei, davvero non la conosco e pensavo invece di averla capita!»

«…»

«Emile? Ma mi stai ascoltando?»

Eravamo a casa mia (quanto mi piaceva quell’idea!) e stavo preparando la nostra cena lamentandomi di Sofia ma mi resi conto solo dopo aver detto tutto quello che mi passava per la testa, che il mio interlocutore non aveva detto mezza parola…

«Emile!»

«Eh? Hai detto qualcosa?» Mi affacciai in sua direzione per capire cosa stesse combinando: doveva essere impegnato in qualcosa di grosso, visto che con tutta evidenza, non aveva sentito una sola vocale di tutto ciò che avevo detto! Lo vidi a terra a gambe incrociate, con un foglio davanti e un auricolare in un orecchio: probabilmente stava scrivendo ed era così preso da non ascoltare la mia minima lagna!

«Uff, no niente, continua pure.» tornai alle mie mansioni da perfetta casalinga pensando alle risate che si sarebbe fatto Stè guardandomi: avevo un grembiulino appositamente preso per le mie serate da chef e i capelli raccolti con mille mollette per evitare di farli cadere nel piatto: ci tenevo a mostrarmi una brava cuoca e non avrei mai voluto rovinare il mio operato guarnendo uno dei miei piatti con un liscio capello nero! Testa di Paglia non avrebbe mai dovuto sapere, e soprattutto vedere, in che condizioni ero quella sera, o il “Cabaret Pasi” sarebbe continuato per altri vent’anni, solo su quell’aneddoto!

D’un tratto sentimmo squillare un cellulare, era quello di Emile: la sua suoneria era riconoscibilissima, chi altri avrebbe messo un Capriccio di Paganini nel ricevere le telefonate altrui?

Il mio Pel di Carota rispose subito, ma poi sentii solo un innaturale silenzio che mi agitò istintivamente. Smisi di armeggiare in cucina e andai verso di lui: era in piedi e serrava la mano libera in un pugno, mentre quella che manteneva il cellulare dava l’impressione di volerlo rompere in un solo colpo… Il viso era una maschera di rabbia.

«Arrivo subito.» terminò la comunicazione con quella frase lapidaria, che a stento trattenne l’ira che vedevo salirgli sempre più in viso.

«Emile, cosa dia…»

«Devo andarmene da qui!»

Si chinò a prendere il foglio su cui stava scrivendo ma gli sfuggì di mano e lo vidi trattenersi, artigliando la mano che aveva fallito la presa… Rinunciò alla lotta con quel pezzo di carta e prese il resto delle sue cose,   mentre cercai di capire cosa fosse successo:

«Emile…»

«Non ora Pasi! Non ora… devo andarmene.»

Mi guardò chiedendomi silenziosamente scusa per quella fuga improvvisa, ma vidi sul suo volto che stava per scoppiare di rabbia e probabilmente, non voleva farlo in mia presenza… Gli feci un cenno di assenso col capo e si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi con un grande punto interrogativo sul viso.

Raccolsi il foglio su cui stava scrivendo: da un lato c’era un elenco di nomi e alcuni di essi erano stati depennati; probabilmente erano gli aspiranti batteristi che stavano sostenendo le audizioni. Dall’altro lato del foglio invece, c’erano delle scribacchiature che sembravano essere il testo di qualche canzone; avrei dovuto restituirgli quel foglio il prima possibile, così lo conservai gelosamente, pronta a ridarglielo appena avrei potuto.  

 

Emile era la seconda persona in due giorni che andava via mentre cercavo di parlare e avevo anche un mucchio di cibo pronto per essere cucinato… Dovevo assolutamente chiacchierare con qualcuno disposto a sentirmi… e a mangiare!

 

*****

 

 

«Testarossa sei da incorniciare!»

Stupida Pasi. Avevo invitato proprio l’unica persona che avevo giurato non dovesse vedermi in quelle condizioni e non mi ero presa nemmeno la briga di togliermi quel grembiule! Ero talmente in pensiero per Emile, che non mi resi conto di dover celare quell’abbigliamento.

«Stè, se dici ad anima viva ciò che hai visto oggi, ti giuro…»

«Tranquilla, sto zitto, il tuo segreto morirà con me!»  Mi fece un occhiolino e sorrise bonariamente, riuscendo come sempre a rilassarmi. «Sono curioso di vedere cosa stavi preparando per il tuo Emile! A proposito, sei sicura che non torni affatto stasera?»

«Dall’espressione che gli ho visto sul viso, credo che non tornerà nemmeno a casa sua per prossimi cent’anni!»

«Addirittura? Doveva essere davvero furioso… Quel ragazzo dovrebbe farsi una cura di camomilla, è sempre così teso!»

«Già… sembra quasi che gli sia impedito dall’alto di rilassarsi!» Ogni volta che lo vedevo più sereno e tranquillo, puntualmente capitava qualcosa che tornava ad innervosirlo… Emile doveva avere davvero un brutto Karma!  

«Spero solo che di qualsiasi cosa si tratti, sia risolvibile.» Purtroppo, temevo di sapere che la realtà dei fatti fosse ben diversa…

«Allora, che hai combinato con Sofia?»

Le parole di Testa di Paglia mi distolsero dai pensieri su Emile e mi fecero tornare al mio cruccio precedente:

«Stè sono un disastro! Sono andata da lei per parlale con sincerità, volevo chiederle scusa per non essermi mai comportata da amica e alla fine sono risultata una stupida impicciona e l’ho fatta solo arrabbiare!»

«Scusa ma, per quale motivo sei andata a fare un mea culpa che non esiste? Sofia ha mai detto qualcosa contro di te?»

«Come, non esiste? Stè quella ragazza è sempre messa all’angolo, io non mi sono mai curata di lei in quattro anni che la conosciamo, sono sempre stata presa dai miei problemi e non le ho mai chiesto nulla dei suoi… ed ora temo di essere arrivata tardi!»

«Pasi, Sofia è taciturna di carattere, non parla con anima viva né tantomeno si confida! Forse Rita e Fede riescono ad avere un qualche ascendente su di lei, ma sono l’unica eccezione, non puoi flagellarti se lei non sente di voler parlare con te.»

«No Stè, non è così… è vero che è chiusa, ma io non ho nemmeno provato a farla aprire! Non mi sono mai interessata a lei, non le ho mai chiesto se soffriva per i suoi genitori, per un’amica, per un ragazzo! Mi sento davvero un schifo!»

«Ma dai! Non farla così tragica, non mi sembra che Sofia abbia mai mostrato ostilità nei tuoi confronti, secondo me sono solo tuoi sensi di colpa, stai vedendo qualcosa di tragico che non c’è.»

«Non sono convinta Stè… Sofia mi ha chiaramente detto che non potevo recuperare quattro anni di assenza in un solo giorno, quindi l’ha sentita anche lei la mia mancanza, non è solo un mio senso di colpa… Io l’ho trascurata, come ho trascurato Simona, sempre presa dai miei problemi!»

«L’unica cosa da fare allora, se sei così convinta, è di tornare a parlarle. Per fortuna Sofia è ancora viva e puoi evitare con lei la situazione che si è creata con tua sorella.»

«Hai ragione Stè… ma perché combino solo disastri?» Testa di Paglia mi venne accanto e mi abbracciò:

«Semplice, sei una Testarossa, l’hai dimenticato forse?»

Feci un sorriso e mi beai del confortante abbraccio di Testa di Paglia, sempre in grado di donarmi un po’ di pace e tranquillità.

 

Eravamo a fine pasto a raccontarci alcuni aneddoti del passato, quando squillò il mio cellulare: era Emile.

«Pronto?»

«Dormivi? Ti disturbo?»

«Ma no che dici, quale disturbo?! È tutto a posto?»

«Non proprio… Volevo scusar…»

«Testarossa ce l’hai un liquorino?»

«Scusami un attimo… No Stè, mi mancano ancora… forse c’è una birra in frigo…»

«C’è Stefano?»

«Sì, è venuto a farmi compagnia… stavi dicendo?»

«…»

«Emile? Mi senti?»

«Sì…»

«Cosa mi stavi dicendo?» Silenzio e poi un sospiro «Volevo chiederti scusa per il modo in cui sono andato via da casa tua… tutto qui.»

«Non preoccuparti, ho capito che c’era qualcosa di grosso sotto… non mi vuoi dire cos’è accaduto?»

«No… almeno non oggi e soprattutto non ora. Devo andare, buonanotte Pasi.»

«Buonanotte…»

Appena staccai la telefonata, feci un sospiro che echeggiò quello precedente di Emile: doveva essere davvero di pessimo umore e per concludere in bellezza, si era anche incupito nel sapere della presenza di Stè… c’era un limite al peggio ormai?

No, non c’era. Ma l’avrei scoperto solo in seguito.

 

*****

 

Con tutto quel parlare di legami familiari negli ultimi giorni, mi venne naturale andare col pensiero ai miei genitori, così decisi di tornare a trovarli. Era trascorso del tempo dall’ultima volta che l’avevo fatto e per telefono non riuscivo a parlare con loro serenamente… Non che ci riuscissi molto nemmeno di persona, ma tramite cellulare sentivo maggiormente la distanza tra di noi ed era l’esatto contrario di ciò che volevo stabilire con loro.

Emile dal canto suo si stava negando da qualche giorno, dicendo di essere troppo impegnato e ormai avevo capito che c’era qualcosa sotto di cui non voleva rendermi partecipe… Ero stata così felice di sentirlo aprirsi a me e invece eravamo tornati indietro, e purtroppo iniziai ad essere sempre più certa, che dietro quell’assenza e quel mutismo ci fosse Claudio… Cos’altro stava macchinando?!  Il mio senso di colpa mai assopito tornò ad invadermi e sapendo di essere del tutto inerme in quel momento e di non poter far nulla per aiutare Emile, decisi  di concentrarmi sul desiderio di rivedere la mia famiglia. Mi sarei distratta e avrei, nelle migliori e più rosee previsioni, fatto un altro piccolo passo verso la comprensione reciproca tra me, Adele e Vittorio.

Quella volta fu proprio quest’ultimo ad accogliermi. Avrei preferito vedere mia madre, l’ultima volta c’era stato un piccolo impercettibile avvicinamento tra noi e speravo di ripartire da lì… con mio padre invece c’era ancora l’astio del nostro ultimo colloquio di mesi fa e dire che ci fosse un baratro tra noi anche prima di allora, sarebbe descrivere una piccola percentuale della distanza che ci divideva…

«A cosa dobbiamo l’onore?»

Quello fu il suo caldo benvenuto: mio padre era impeccabile come sempre, con il viso curato, senza un filo di barba, i capelli ordinati e l’aria tipica di un professore di lettere qual egli era… Avrei potuto pensare che in lui non ci fosse affatto la sofferenza che mi aveva descritto mia madre qualche tempo prima, ma ad un’occhiata più attenta notai i profondi solchi scuri che aveva sotto gli occhi e capii che le notti di mio padre non erano più così serene.

«Ciao… papà… sono venuta a trovarvi; mancavo da un po’…»

«Tua madre non c’è, è ancora a scuola, ha una riunione degli insegnanti in corso.»

«Tu però ci sei… o stai per uscire?»

«No… io non devo uscire… io non esco.»

Ricordai le parole di mia madre: “Siamo in lutto, non possiamo mostrarci impegnati in qualcosa o addirittura come una coppia felice che va in vacanza, non sarebbe corretto!” e capii a cosa si riferisse mio padre con quel “Io non esco”; sarebbe stata un conversazione difficile, come sempre.

«Posso entrare? Disturbo?»

Stavo cercando di mantenere la tranquillità il più possibile, non volevo adirarmi, dovevo avvicinarlo e con la rabbia non ci sarei mai riuscita… Sapevo che sarei durata poco, ma sperai di riuscire a restare calma e ragionevole quel tanto che bastava per avere un dialogo di qualsiasi genere con lui. Ma già il fatto che mi stesse facendo accomodare in salotto, come un estranea in visita, minò profondamente il mio autocontrollo.

«Papà non c’è bisogno che ci accomodiamo qui, non...» calma Pasi, calmati o non riuscirai nemmeno a sederti che sarai già fuori da queste pareti. «…come stai?» Dissi sedendomi, in attesa che si accomodasse di fronte a me.

«Bene Pasifae, se non vogliamo contare che ho perso una figlia e l’altra ha chiaramente fatto capire, di non voler essere considerata parte di questa famiglia...» Serrai la mascella, cercando di ingoiare le parole velenose che mi stavano salendo alla gola e ignorai la sua risposta.

«Papà, io non sono venuta qui per litigare.»

«E cosa ti fa pensare che io voglia farlo? Non accetti la verità quando te la si mostra senza veli? Non è forse vero che hai preferito andare ad elemosinare un tetto da una tua amica, piuttosto che stare qui nella casa in cui sei cresciuta, pur di non averci tra i piedi?»

«Ho una casa mia ora, ero da Rita solo provvisoriamente e non ho elemosinato proprio nulla, non sono stata un peso per lei, mi ha accolto con gioia… Cosa che voi non avete mai fatto!»

Ecco, era fatta, il mio autocontrollo aveva resistito anche troppo e si era dovuto ritirare con la coda fra le gambe, nuovamente sconfitto dalle dure parole di mio padre. 

«Quanto sei infantile Pasifae! Non esistono solo la gioia e i sorrisi per dimostrare affetto! Credi che noi non ti amiamo, per il solo fatto che non ti sorridiamo ogni volta che ci vedi? Ma in quale mondo fantastico credi di vivere? La vita non è solo gioia e abbracci, devi saper guardare anche oltre questi stupidi desideri infantili.»

«Ricevere affetto non è un capriccio infantile! Tutti abbiamo bisogno di sentirci amati, tutti abbiamo bisogno di un sorriso e di un abbraccio, papà! Chiedi a mamma come si sente, chiedile se non abbia bisogno di ricevere un tuo sorriso, un tuo abbraccio di conforto, una tua parola di sostegno! Ma l’hai vista? Quando sono venuta qui l’ultima volta, era uno scheletro! Il dolore la sta consumando e tu non le stai accanto, non l’aiuti, non condividi la sofferenza con lei! Forse non ne saprò molto della vita, ma so che una coppia deve sostenersi fino alla fine, so quanto l’amore possa far del bene e quanto possa aiutare ad essere forti! E tu stai fallendo come marito!»

Probabilmente mi ero lasciata andare un po’ troppo, dire a mio padre che fosse un fallito come marito era la cosa più azzardata e offensiva che gli avessi mai detto e ovviamente, non potevo pensare di uscirne illesa. Mio padre si alzò dal divano e mi diede un  schiaffo in pieno viso:

«Non ti permetto di venire a sentenziare in casa mia sui miei comportamenti, sono ancora tuo padre fino a prova contraria e mi devi rispetto, piccola insolente! Il rapporto tra me e tua madre non è affar tuo, soprattutto considerato che hai abbandonato la tua famiglia!»

«Io non vi ho abbandonato! Ho cercato il mio posto nel mondo, ho iniziato a vivere per conto mio per sentirmi indipendente e adulta… Non è forse questo che vuole ogni genitore dal proprio figlio? Non volete sapere che sono in grado di badare a me stessa? Che sono capace di reggermi sulle mie gambe? Preferivi che stessi ancora qui, a casa, sulle vostre spalle, a fare la studiosa, vero? Questo importa per te, solo che io prenda un titolo di studio che ti renda orgoglioso, un pezzo di carta di cui vantarti con i colleghi, ecco cosa vuoi da me! Non t’importa di sapermi felice, non t’importa un accidenti di niente di sapere come sto, di sapere di me, del vuoto che sento perché non ho più una sorella e perché non riesco ad avere i miei genitori accanto a me, non t’importa sapere che ho dovuto veder morire un’altra persona cara e ho dovuto sopportare di vedere altro dolore intorno a me che non potevo mandare via… Lo so che la vita non è solo sorrisi e abbracci, lo so benissimo! E se solo ti fossi fermato un nanosecondo ad ascoltarmi, invece che bearti del tuo orgoglio offeso, sapresti quanto io so delle sofferenze della vita e quanto un abbraccio sia davvero di conforto!»

Ormai la rabbia mi stava consumando e parlavo senza più freni, davvero non c’era speranza di avere un confronto calmo e sincero con lui… L’amarezza e la delusione tornarono ad invadermi come l’ultima volta che ci confrontammo e mi resi conto che, se con mia madre potevo minimamente sperare di avere un qualsivoglia rapporto, con mio padre era sempre più palese che potevo solo contare i chilometri di baratro che mi separavano da lui.

Mi guardò con rabbia contenuta, vedevo nei suoi occhi il desiderio di dire altro, di inveire contro di me, ma sapevo che non l’avrebbe fatto: urlare avrebbe significato farsi sentire dai vicini, destare la loro curiosità e quello non era un comportamento degno del compìto ed impeccabile Vittorio Isoardi… No, non si sarebbe mai abbassato a fare le piazzate pubbliche tipiche di quella sua vergognosa figlia.

«Non abbiamo più niente da dirci Pasifae, se vuoi attendere tua madre fai pure, io vado nel mio studio.» Mi volse le spalle e sparì in quella che era diventata la sua personale torre, entro cui rifugiarsi per isolarsi dal mondo: come faceva mia madre a vivere in quella casa, con quell’atmosfera glaciale?

Mi sentii tremendamente a disagio e terribilmente sola in quel salotto freddo e vuoto; ripromettendomi di chiamare la prossima volta, per sapere quando mia madre fosse in casa, presi la direzione della porta e uscii da quell’abitazione così fredda e triste.



















_________________________________________

NDA

Bentrovate a tutte mie care, come va? Chiedo perdono per il ritardo con cui ho aggiornato, ma in questo periodo mi muovo al rallentatore e il mio cervelletto sfatto aveva dimenticato di mandare il file alla mia Beta, per cui, chiedo venia! C'è anche da aggiungere che dovendo ancora terminare di scrivere il capitolo 25, mi è salita una certa ansia all'idea che la pubblicazione dei capitoli abbia ormai raggiunto i mei bradiposi tempi di scrittura!
Per fortuna dovrei riuscire a completarlo a breve, per cui non mi resta che concentrarmi sull'ultimo capitolo...
Insomma spero di non farvi attendere troppo proprio sul finale, pregate la Musa con me! *me fa gli occhi dolci*
Per quanto riguarda questo capitolo, non ho particolari considerazioni di sorta, a parte il fatto che la gente intorno a Pasi sembra aver deciso di non voler parlare tranquillamente con lei... o è Pasina che non sa quando smettere di cercare una comunicazione con chi non vuol farlo?
Lascio le considerazioni a voi ^ ^


Angolo dei Ringraziamenti
Sono trascorsi tre mesi da quando ho deciso di pubblicare questa storia e da quel giorno l'entusiasmo che avete avuto verso i capitoli che ho pubblicato è sempre stato grande, senza il minimo sbalzo. Non posso quindi che continuare a dirvi quanto siate state preziose voi sorelle che mi avete appoggiato sin dall'inizio:
Iloveworld/Fiorella Runco, Saretta, Niky, Vale, Concy, Cicci, Ana-chan, Ely, e voi che vi siete aggiunte in seguito: ThePoisonofPrimula, Dreamer_on_heart.

Altrettanto preziose siete voi che avete aggiunto la mia storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:

kiki0882, lorenzabu
, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple,
Ami_chan, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_

Senza di voi, probabilmente questa storia non avrebbe visto la luce, o non sarebbe andata avanti.

ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24







 

«Pronto?»

«Alberto… sei in casa?»

«Bambina mia, ciao! Certo che sono in casa… qualcosa non va?»

«Posso venire a trovarti?»

«E cosa lo chiedi a fare piccola, certo che puoi venire! Quante volte devo dirtelo che questa è casa tua?»

«Grazie…»

«Di nulla piccola, ti aspetto.»

Lo scontro con mio padre mi aveva svuotato, mi sentivo fredda, stanca e terribilmente sola. Avevo bisogno d’urgenza di un abbraccio, di un conforto di qualsiasi tipo e mi resi conto che non lo cercavo né da Emile, né da Stè… Volevo ciò che non ero riuscita ad ottenere in quella casa, volevo un segnale di affetto, un incoraggiamento… da padre. Così corsi dalla persona che più di ogni altra vedevo come il genitore che avevo sempre sognato di avere: Alberto.

Mi accolse a braccia aperte e al solo vederlo sentii il magone chiudermi la gola: mi rifugiai tra le sue braccia e gli raccontai dello scontro con mio padre.  

«Bambina fatti forza, tuo padre ti vuole sicuramente bene, ma non riesce a dimostrarlo. Quel suo modo di parlarti con astio è un chiaro modo di dirti che è rimasto ferito dalla tua decisione di lasciare casa, perché ti vuole bene, perché ti vuole accanto.»

«Non lo so Alberto… non so più che pensare… so solo che ogni volta che parlo, o meglio che urlo con lui, mi sento più svuotata e delusa.»

«Sai piccola mia, in questo momento mi ricordi Claudine… anche lei ci stava male quando la sua famiglia le si rivoltava contro e veniva a sfogarsi con me… Probabilmente lei ti avrebbe capito più di chiunque.»

Il pensiero di Claudine e il tono di voce malinconico di Alberto, mi fecero sentire di colpo un’egoista immatura: ero lì a sfogarmi quando lui aveva un dolore atroce nel cuore… Ancora una volta avevo anteposto i miei problemi a quelli degli altri, proprio come avevo fatto con Sofia…

«Scusami Alberto, io sto qui a lagnarmi quando dovresti essere tu a chiedere conforto… sono un’insensibile!»

«Insensibile, tu? Piccola mia, decisamente non sei obiettiva su te stessa!»

Fece scorrere la sua mano sul mio bracci,o aggiungendo conforto al già presente conforto del suo abbraccio: «Coraggio, ora riprenditi un po’ nel frattempo che torna Emile… Io vado a preparare la cena, ti fermi qui vero?»

Sapevo che Emile era impegnato e che probabilmente non si sarebbe sentito a suo agio con la mia presenza lì, ma non volevo tornare a casa mia, avevo bisogno di stare con loro, avevo bisogno di una famiglia.

«Sì, resto.»

 

 

*****

«Per quale motivo è qui?»

«È andata a trovare i suoi genitori e ha avuto una discussione con suo padre.»

«…»

«Era proprio giù di morale… Povera piccola, non dev’essere facile per lei vedere i genitori così freddi nei suoi confronti.»

«…»

«Emile, cerca di tenere a bada quest’atteggiamento acido e duro verso di lei, non si merita questo trattamento!»

«Di cosa stai parlando?»

«Parlo della tua faccia, che si è rabbuiata quando l’hai vista, parlo del fatto che a causa di questa faccenda di Claudio, la stai evitando come se fosse tutta colpa sua.»

«Non voglio litigare con lei: se le dicessi cosa sta accadendo si sentirebbe ancora più in colpa ed io probabilmente non riuscirei a fermare la rabbia.»

«E allora non arrabbiarti con lei! Non ha nessuna colpa se Claudio continua a dare problemi, non credo proprio che sia stata lei a suggerirgli di mettere in mezzo i diritti per i vostri brani!»

«Certo che no! Ma se penso che sapeva, che Claudio l’aveva avvertita… Forse se me l’avesse detto avrei potuto prendere delle precauzioni in tempo, avrei potuto sbatterlo fuori in un altro modo e con metodo!»

«Col senno di poi non si costruisce nulla ragazzo mio, è inutile che serbi rancore per una cosa simile, soprattutto visto che le hai detto che non ha colpe.»

«Ed è per quello che non voglio affrontare il discorso con lei! Non voglio che veda che sono ancora arrabbiato, non voglio che si senta in colpa…»

«Certe volte sei proprio contorto… mi chiedo tu da chi abbia preso!»

«Probabilmente ho qualcosa che mi accomuna a quella gente

«Forza ragazzo, non fare il melodrammatico! Prima di tutto, è la tua famiglia e le devi rispetto, seconda cosa, vai a svegliare Pasi che si cena… e trattala bene, non merita questo comportamento da parte tua, soprattutto oggi che ha bisogno d’affetto più che mai!»

«Sissignore… ai tuoi ordini capo!»

 

La conversazione con mio padre doveva avermi spossato al punto da farmi addormentare: appena il cervello divenne più vigile mi accorsi di essere attorniata da alcune voci e presto le riconobbi come appartenenti ad Emile e Alberto. Fingere di dormire mi aiutò finalmente a capire cosa mi nascondesse il mio Pel di Carota e scoprire che fosse ancora arrabbiato con me mi fece male, ma da un lato mi sollevò. Quel suo “perdono” così istantaneo mi aveva sempre insospettito e anche dopo essersi sfogato per la morte della madre, continuava ad essere incredibilmente tranquillo e gentile nei miei confronti e non riuscivo a capacitarmi di come potesse essere accaduto.

Anche se non era stata mia intenzione farlo, avevo comunque contribuito a metterlo nei guai e sapendo quanto tenesse alla sua carriera, non potevo credere che il mio coinvolgimento in quella situazione, non fosse per lui motivo di rabbia. Inoltre avevo capito anche che Claudio stava continuando a dare problemi e che quindi le mie supposizioni erano state del tutto confermate.

«Dormigliona svegliati, la cena è pronta.»

Sentii le labbra di Emile che mi baciavano la fronte, mentre cercava di destarmi da un sonno che mi aveva già abbandonato da tempo e mi decisi a simulare il mio lento risveglio: non volevo fargli sapere di aver sentito, volevo dargli il tempo di trovare un modo per parlarmene, o forse volevo dare tempo a me per decidere come comportarmi…  Di sicuro non volevo discutere, non ancora  e non con lui. 

«Mmm… Emile… ma che ci fai qui?»

«Fino a prova contraria è casa mia…»

«Ah già… quindi mi sono addormentata qui.»

«A quanto sembra sì… dovevi essere stanca e di certo parlare con tuo padre non deve averti aiutato a rilassarti.»

Complimentandomi con me stessa per la perfetta  finta, mi sollevai su un braccio e arrivai allo stesso livello degli occhi di Emile, pronta a parlare senza più fingere.

«Sì… non è stata una bella discussione.»

Calai la testa per cacciare in dentro le lacrime, che stavano minacciosamente per fare capolino e sentii le dita di Emile sfiorarmi la guancia.

«Coraggio, non angosciarti ancora, non sarà facile, ma riuscirai a farli aprire a te, ne sono certo.» Emile era un attore più bravo di me:  quasi credetti di aver sognato tutto il dialogo tra lui e suo padre, come poteva essere arrabbiato al punto da evitarmi e dopo due secondi essere così gentile e dolce con me? Mi vennero in mente tutte le volte in cui, da quando Claudio mi aveva importunato, era stato altrettanto dolce e gentile: anche in tutte quelle occasioni manteneva dentro di sé la rabbia? Era capace in questo modo di celare i suoi veri sentimenti? Il pensiero di non conoscerlo affatto mi angosciò in quel momento, finché la sua voce non mi riportò alla realtà:

«Ehi, è tutto ok?» Feci un cenno affermativo col capo, incapace di guardarlo negli occhi. «Pasi… io sto sbagliando di nuovo con te… ti sto mettendo di nuovo da parte… non sai quanto mi dispiace, ma non posso fare altrimenti ora. Non riesco a parlartene, non ce la faccio proprio e ti capisco se sarai adirata con me per questo… ma non posso fare altrimenti. Puoi capirmi, in qualche modo?»

Beh, almeno aveva tentato di essere sincero, non era poi così infido… almeno volevo sperarlo!

Alzai gli occhi verso di lui, rincuorata da quel tentativo di parlare senza dire nulla e gli presi la mano che ancora era ferma sul mio viso:

«Non capisco completamente, ma credo che debba imparare ad accettarlo una volta per tutte, giusto? Come ti ho detto già l’altra volta, entrambi abbiamo qualcosa che non possiamo condividere tra di noi, quindi andiamo avanti e facciamocene una ragione!» Cercai di sorridergli, ma ero troppo amareggiata dagli ultimi eventi e sapere cosa si celava dentro di lui mentre mi guardava con quegli occhi addolorati, non mi aiutò affatto ad essere allegra, per cui il mio fu più uno stiramento di labbra che un sorriso vero e proprio. Emile dal canto suo mi osservò per un po’ e mi diede un bacio sulla fronte prima di aggiungere:

«La cena è pronta, mio padre si è dato da fare in tuo onore!» Fece un lieve sorriso sereno parlando di Alberto e almeno per quell’istante, mi rasserenai; forse evitando il discorso spinoso avremmo potuto anche goderci quella cena in tre, quella piccola cena familiare che tanto desideravo avere!

 

«Mmm che buono! Alberto, è squisito!»

 Una vera delizia. Era il riso alla cantonese più buono che avessi mai mangiato. Alberto aveva preparato una cena all’orientale degna di un pascià. Mi chiesi per quanto tempo avessi dormito, se nel frattempo aveva potuto preparare tutti quei piatti meravigliosi.

«Grazie bambina mia, ma non è solo merito mio, mi ha aiutato anche il ragazzo qui presente.» Emile mangiava in silenzio da un po’, assorto nei suoi pensieri, ma cercavo di non dargli peso concentrandomi sulle chiacchiere con Alberto. «Questo testone se la cava bene in cucina, del resto tutto quello che sa gliel’ho insegnato io.» 

Il padre di Emile si fece una bella risata scompigliando i capelli di suo figlio che, riprendendosi dai suoi pensieri, sorrise ironicamente:

«Diciamo che ho iniziato seguendo te e poi ho aggiunto le mie capacità innate.»

«Ma sentilo, che fanfarone! Se non fosse stato per me, saresti ancora a scottarti mani e piedi con l’acqua della pasta!»

«Vogliamo parlare del modo in cui condivi il pollo alle mandorle? Se non fosse stato per me non avresti mai assaggiato quel piatto cucinato alla perfezione!»

Osservai estasiata quel continuo botta e risposta tra padre e figlio: Alberto aveva un modo encomiabile di comunicare con Emile, in poche battute era riuscito a riportare la sua attenzione dal luogo tetro e malinconico in cui si stavano rifugiando i suoi pensieri.

Non avevo mai visto in vita mia due persone così legate e così capaci di comprendersi come quei due. Emile non si era mai adirato con suo padre, non si era mai ribellato ad una sua parola e se aveva avuto gesti d’insofferenza per il suo modo di fare, non erano mai stati così esasperati da mancargli di rispetto.

Dal canto suo Alberto capiva i momenti di tetraggine di suo figlio e non s’intrometteva nella sua vita, se non per fargli qualche ramanzina che nulla aveva delle prediche tipiche dei genitori. Alberto parlava direttamente al cuore di Emile e lui lo rispettava e l’amava allo stesso modo.

Avrei fatto carte false per avere anch’io un rapporto simile con i miei genitori e il pensiero mi portò un groppo in gola che mi fece intristire di colpo.

«Bambina che hai?» Alberto fu il primo ad accorgersi del mio stato d’animo e cercai di dissimulare per non appesantire l’atmosfera.

«Niente, non è nulla, devo avere ancora un po’ di sonno, tutto qui.» Feci del mio meglio per sorridere, ma non avrei mai ingannato Alberto e lo sapevamo entrambi benissimo: mi guardò in silenzio e poi disse:

«Io lo so che hai, sei triste perché sai benissimo quanto me che quel testone sta dicendo solo idiozie, vero? Di sicuro non è in grado di rivaleggiare con me in cucina!»

Fui grata per la vita ad Alberto per aver reagito in quel modo: era chiaro come il sole quali fossero i miei pensieri e aveva deliberatamente portato la mia attenzione su quel discorso frivolo, per distogliermi dai miei foschi pensieri.

«A dir la verità, non se la cava tanto male… ma tu sei insuperabile!» Gli feci un sorriso per comunicargli che tutto andava bene, che il suo intento era riuscito e continuammo a scherzare ai danni di Emile, che come al solito, non faceva una piega:

«Ovviamente, con tutti quegli anni in più addosso ha avuto modo di fare esperienza! Ma lo raggiungerò presto…»

«Ehi poppante, alla tua età nemmeno t’immagini cos’ero capace di fare, ed ora non sono da meno!»

«Sì certo, è la tipica frase di chi non accetta che sta invecchiando.»

«Guarda che tra noi due il vecchio sei tu, sempre con quei musi lunghi: sai Pasi che persino da bambino mi criticava? “Papà non dire questo, papà non fare quest’altro…” a volte mi chiedo chi dei due sia il genitore!»

«Qualcuno deve pur avere un po’ di giudizio, in questa casa!»

Ero estasiata: al diavolo tutti problemi, al diavolo i miei genitori, Claudio, Sofia… quasi come per un tacito accordo, d’improvviso nessuno di noi sembrava avere intenzione d’incupirsi quella sera e c’immergemmo in un’atmosfera intima, cameratesca e dettata solo dall’affetto. Quella fu davvero per me una meravigliosa cena in famiglia, come di quelle che avevo sempre sognato e mai avuto.

Dovevo smetterla di sentirmi sola, perché non lo ero affatto:  avevo i miei amici e avevo loro due e dovevo solo ringraziare il cielo per l’affetto che ricevevo da tutti loro, che erano diventati il mio punto di riferimento, la mia ancora di salvezza, la mia casa. 

Una canzone degli U2 riporta la frase: “Casa è dove sta il cuore*”, e mai frase sentii più mia in quel momento.

 

 

*****

 

«Sei venuta a continuare la tua opera di buona samaritana?»

«Ciao Sofi, è un piacere vederti anche per me…»

Sapevo che non mi avrebbe accolto con un sorriso, ma non volevo posticipare ulteriormente quell’incontro. Ci eravamo lasciate in malo modo, io ero andata da lei per esserle più amica, o meglio per diventarlo una volta per tutte e invece si era aperto un varco d’incomprensione maggiore del precedente…

Non volevo più varchi nella mia vita, soprattutto non con i miei amici: quello tra me e mio padre probabilmente non si sarebbe mai richiuso, ma se fosse mai stato possibile, non avrei permesso che si creasse qualcosa di simile con la famiglia che avevo scelto e Sofi ne era parte a tutti gli effetti.

Quest’ultima, dopo l’iniziale risentimento, assunse un’espressione più mite e mi fece accomodare in casa senza dire altro. Un silenzio teso si stese fra noi: Sofia probabilmente non voleva tornare sul discorso di qualche giorno fa ed io stavo cercando le parole giuste per esprimere ciò che sentivo:

«Questa casa ha il potere di zittirti, credevo che niente al mondo avesse potuto mai farlo!»

Il viso di Sofi era serio come sempre, eppure quella frase suonò quasi come una battuta più che come un commento acido e mi diede il coraggio per dire finalmente ciò che sentivo.

«Scusami Sofi, l’altra volta sono stata davvero una stupida impicciona… non volevo essere invadente, credimi! A volte mi faccio prendere troppo dall’entusiasmo e ci vado giù pesante, convinta di essere nel giusto e non riesco a frenarmi…»

Sofi in silenzio versò il caffè: «Lo so Pasi, so come sei fatta e so che avevi buone intenzioni, ma non tutte le persone sono disposte ad aprirsi e a raccontarti dei loro problemi solo perché tu senti di voler renderti utile.»

Osservai Sofi girare il caffè nelle tazzine prima di replicare:  «Credo di essermene accorta solo ora… sai  Fede ed Emile dicono che ho un gran potere, che riesco a far aprire gli altri ed io non c’ho mai creduto davvero… o almeno, pensavo che fosse così. Ma evidentemente dentro di me ho iniziato a crederlo davvero e ho pensato di poter essere in grado di farti sfogare, se solo mi fossi impegnata nel dimostrarti quanto ci tenessi  che lo facessi.»

«Ma perché proprio ora? Cosa stai cercando di ottenere da me? O da te stessa? Non mi sembra di averti mai detto o fatto capire che fossi scontenta del nostro rapporto, perché mai d’improvviso hai deciso di volermi essere “più amica” del solito?»

«Non lo so, Sofi! Forse perché da quando sono morte Simona e Claudine ho capito che non voglio più perdere le persone che amo, soprattutto prima di averle conosciute davvero… o forse perché ho iniziato a vedere il mondo anche con gli occhi di una persona introversa… tu, Stè, Fede e Rita siete la mia famiglia, così come lo sono diventati anche Emile e Alberto e voglio stare bene con tutti voi, non voglio che ci siano incomprensioni tra noi, non voglio che si crei astio o che si aprano dirupi… Per quanto possa essere possibile, voglio stare bene in compagnia di ognuno di voi, sapendo che tutto ciò che uno pensa dell’altro è chiaro e palese, senza recriminazioni o rancori.»

«Capisco… probabilmente potrei anche comprendere questo tuo punto di vista, dato che la mia famiglia non è proprio canonica e in pace e amore… ma io non sento il tuo stesso bisogno di circondarmi d’affetto, quindi posso andare avanti solo per logiche supposizioni. A me sta bene il rapporto che abbiamo ora Pasi, ma mi rendo conto che per te non è più così, quindi cercherò di venirti incontro per quanto posso, ma non aspettarti che d’improvviso io sia un libro aperto verso di te. Non ho mai amato parlare di me agli altri, per quanto fidati possano essere e non credo che cambierò mai quest’abitudine…  o per lo meno, non del tutto.»

«Sei autorizzata a dirmi senza peli sulla lingua quando esagero! Basta anche dirmi: “Stupida Pasi ora esageri” ed io mi fermerò!» Sofia fece un mesto sorriso e replicò:

«Non c’è bisogno che ti offenda, te lo farò capire diversamente.»

«Ok! Intanto tieniti libera per Sabato prossimo, ti aspetto a casa mia!»

 

 

 

Finalmente mi ero decisa ad organizzare una serata insieme ai miei amici, per inaugurare la mia casetta: Emile mi aveva dato un benvenuto da manuale, prendendosi anche la sua piccola vendetta su Stè che mi aveva aiutato nel trasloco, ma io sentivo il bisogno di celebrare quel trasferimento anche con i miei amici e finalmente giunse quel giorno, o meglio, quella sera.

Inizialmente non avevo incluso Emile nel gruppo, considerata la situazione tra noi e gli sforzi che stava facendo per non mostrare la sua ira nei miei confronti, ma quando gli dissi della mia idea di invitare i ragazzi a cena, mi assicurò che ci sarebbe stato anche lui.

«Emile, non sei obbligato a venire… voglio dire, visto che ultimamente hai bisogno di tenermi lontano da te, non è necessario che tu ti forzi  ad essere presente…»

«Non mi vuoi lì con te?» Il suo tono era sinceramente dispiaciuto… Mi ricordò d’un tratto l’altra occasione in cui mostrò di sentirsi rifiutato: quando si offrì di chiamarmi tutte le sere per starmi accanto, in seguito alla morte di Simona ed io non accettai…

«No, non è questo anzi, se c’è una cosa che mi manca è stare un po’ con te, ma visto che negli ultimi tempi sei lontano e ormai ho capito che quando fai così è perché vuoi darti del tempo, per affrontare qualcosa che ti fa star male e che immancabilmente è collegato a me, pensavo che volessi evitarmi il più possibile.» Sperai di non tradirmi con quel discorso e di non fargli capire che sapevo tutto… 

«Ti offro proprio una brutta immagine di me, non c’è che dire... Non preoccuparti, ci sarò e andrà tutto bene!»

 

*****

 

Fu una serata deliziosa: all’appello rispose persino Sofia, che dopo la nostra chiacchierata, sembrava essere lievemente più sorridente di prima; ne fui così stupita che mi chiesi persino se quel gesto le costasse sforzo! Stè come al solito riempì la serata con il suo allegro modo di fare: ci deliziò con gli aneddoti sulla sua vita di facoltà molto rilassata, sui colleghi e sulle follie che condividevano, roba che solo un estimatore dei numeri può comprendere… Ed infatti noi interlocutori ignoranti in materia, rimanemmo del tutto confusi!

E se Stè risultava essere il sole di quella serata, animandola di continuo, Emile ne era l’ombra: nonostante i suoi buoni propositi, era chiaro che non fosse a suo agio quella sera o che per lo meno, non fosse dell’umore adatto a stare in compagnia; non aveva detto una parola da quando ci eravamo accomodati a tavola e più Stè apriva bocca, più lo vedevo incupirsi… I miei nervi iniziarono a tendersi quando Testa di Paglia trovò il modo di esibirsi nel numero “facciamo a fette Pasi”, raccontando quanto fosse stato surreale vedermi in grembiule qualche sera prima… alla faccia della segretezza!

«Stèèèèèèè! Avevi promesso di non parlarne!»

«Ma Testarossa sono loro! Non sto mica raccontando i fatti tuoi a qualche estraneo!»

Stè aveva l’aria più innocente del mondo, c’erano momenti in cui sembrava non essere mai uscito dall’età dell’infanzia: aveva quella stessa ingenuità che si riscontra nei bambini e forse per questo motivo ci andava così d’accordo… Se le cose fossero andate come avevamo desiderato, magari in futuro avrebbe potuto essere un padre meraviglioso per i figli di mia sorella…

«Sì ok, però basta ora, possibile che debba essere sempre io la protagonista del tuo Cabaret? Prendi un po’ in giro Rita!»

Tentai di spostare l’attenzione su qualcun altro, nella speranza che l’atmosfera non diventasse d’improvviso  pesante.

«Ed io ora cosa c’entro, Pasi? Non ho nulla su cui farmi prendere in giro, vero Chicco?» Rita era abbracciata a Fede sul divano e stava mostrando anche lei il suo lato più infantile, anche se era di diversa natura: per quanto riuscisse ad essere matura sotto certi aspetti, quando era con Fede mostrava tutto il suo bisogno di attenzioni, diventando di colpo anche lei una bambina… Tra i suoi atteggiamenti e quelli di Testa di Paglia,  d’un tratto mi sembrò di essere tornata all’asilo!

«Oh certo che ce l’hai, ad esempio, il modo ridicolo in cui arricci i capelli e metti una cuffietta la notte, per ritrovarti con i boccoli al mattino. Quella si che è una visione divertente!» Ecco, avevo dato anche io il mio contributo alla serata dell’infanzia.

«Pasi! Questa è stata crudele, sai benissimo quanto non voglia far sapere certe cose!»  Rita era terribilmente vanitosa e non voleva rivelare ad anima viva il suo lato “casalingo” e più trascurato… Anche quando restava in casa non aveva mai un capello fuori posto o il viso non truccato e svelare che qualche volta perdeva il suo aspetto perfettamente curato, equivaleva ad un’onta terribile nei suoi confronti!

«Non posso essere messa alla berlina sempre e solo io, sacrificati un po’ anche tu, fallo per me!» Scherzai con un tono volutamente sdolcinato e Fede si fece una gran bella risata:

«Su Piccola, non mettere il broncio, Pasi non ha svelato alcun segreto, non ha mica fatto le foto!» e strinse a sé affettuosamente Rita, che replicò senza battere ciglio.

«Ci mancherebbe! Potrei anche sotterrarmi per la vergogna, dopo!»

«Secondo me, con questo comportamento dimostri di non amarti affatto Rita, nonostante tu sia quella che all’apparenza si cura di più di se stessa, alla fine sei colei che meno mostra il suo vero aspetto.»

Ta Dah! Il momento di “Filosofia con Sofia” era giunto anche quella sera e ringraziai il cielo che il discorso si fosse spostato dalla sottoscritta… anche se Stè non sembrava dello stesso parere:

«Sofia ora non iniziare con le tue teorie strambe! Non riesco mai a starti dietro quando inizi a parlare…»

«Questo perché tu non azioni mai il cervello, Stefano! Mi meraviglio che tu sia ancora in quella facoltà, evidentemente i neuroni funzionano solo quando devi fare i calcoli!»

«Infatti... e mi vanno totalmente in fumo, quindi ora voglio solo riposare!»

L’atmosfera era tornata conviviale come al solito, i battibecchi tra Stè e Sofi erano sempre un piacere da sentire. Ma evidentemente, quella sera era destino che qualcosa dovesse accadere, perché Testa di Paglia inavvertitamente, aprì un altro discorso spinoso:

«A proposito dei miei neuroni stanchi, stavo dimenticando di dirvi che i Tresnet  stanno per pubblicare un nuovo album! Conterrà le tracce cantate in questi ultimi live, magari ce ne sarà anche qualcuna tra quelle che abbiamo sentito noi!» …ed Emile, che si era trattenuto tutta la sera e che sull’argomento musica proprio non doveva sentire alcunché, all’improvviso andò in escandescenza:

«Sentite ancora quel gruppo di falliti? È grazie a tipi come voi se i veri musicisti fanno fatica ad emergere!» Come volevasi dimostrare, era stato un errore permettergli di essere lì quella sera, non era nelle condizioni adatte a sostenere determinati discorsi ed era stato di pessimo umore sin dall’inizio… Per fortuna Stè non era una persona facile ad adirarsi: 

«Ops, avevo dimenticato che non dovevo nominarli in tua presenza!» Testa di Paglia si fece un’allegra risata, per lui il discorso era chiuso lì, ma Emile non sembrava essere dello stesso parere:

«E perché mai? Forse non hai argomenti per difenderli? Vuoi evitare il discorso, sapendo di rimetterci?» Sembrava un treno in piena corsa, era come una diga straripante… Era il discorso peggiore che potesse essere sollevato quella sera e per di più aperto anche dalla persona sbagliata. Tra le preoccupazioni professionali e la perenne gelosia nei confronti di Stè, Emile era furente, aveva lo sguardo particolarmente freddo e tagliente, gli occhi erano due lastre grigie di ghiaccio che mi misero addosso una brutta ansia.  Testa di Paglia lo guardò perplesso ascoltandolo e gli rispose con la solita giovialità:

«Dai che in fondo non sono così male, scommetto che sotto sotto li apprezzi anche tu!» Il tono di Stè era conciliante e sicuramente voleva alleggerire la conversazione, ma io temevo la riposta di Emile.

«Apprezzarli, io? È solo grazie alla massiccia campagna di marketing se sono qualcuno, non sanno nemmeno cosa sia fare gavetta, cosa sia avere uno spartito davanti e comporre musica! Sono solo apparenza, dei bambocci messi sul palco senza sapere da che parte iniziare! No, decisamente non li apprezzo, quella non è musica!» 

Emile si stava infervorando troppo e la pazienza di Stè avrebbe avuto un limite… La mia dal canto suo era in lotta con l’apprensione e prima che la serata finisse nello sfascio totale, lo presi per il braccio e mi avvicinai a lui:

«Emile smettila! Stai esagerando, stai creando tensione!» Mi guardò con la stessa espressione tagliente che gli avevo visto prima:

«Se i tuoi amici non amano il confronto diretto, non è colpa mia! Io sto cercando di portare avanti una conversazione.»

Il mio tonò s’indurì, stavo iniziando ad alterarmi anch’io: «No Emile, tu stai cercando di mettere in imbarazzo Stè… ma sta avendo effetto su di me!»

Vidi un lampo passare tra quelle lastre di ghiaccio, prima che mi rispondesse:

«Vuoi dire che ti sto mettendo in imbarazzo?» Il suo tono era ironico  ma anche preoccupato; possibile che non si fosse reso conto di quello che stava facendo? 

«Sì Emile, mi stai mettendo in imbarazzo perché hai creato tensione in una serata tranquilla che aspettavo da giorni!» Mi guardò intensamente e vidi sparire il ghiaccio dai suoi occhi, per far posto al dispiacere.

«Scusami.» Chinò lievemente la testa e dopo qualche istante si rivolse direttamente a Stè: «Ti chiedo scusa, mi sono lasciato prendere troppo dal discorso e ti ho attaccato, non ho giustificazioni.»

Testa di Paglia ovviamente aveva assistito a tutto il nostro battibecco, come gli altri del resto: l’ambiente era troppo piccolo per poterci appartare in un angolo a parlare senza essere ascoltati e quell’anima buona del mio amico, comprendendo quanto fosse realmente mortificato Emile, non risultò minimamente alterato.

«No, ma dai, non ti preoccupare, abbiamo tutti degli argomenti che ci fanno saltare un po’ i nervi… non parliamone più e cambiamo discorso, così anche gli altri potranno partecipare.» Stè diede una pacca sulla spalla ad Emile in segno di cameratismo, ma su quel volto che amavo non era sparita la cupezza, che anzi rimase per tutto il resto della serata, gettando il mio Pel di Carota in un silenzio colpevole.

Quando i ragazzi fecero per andarsene, gli dissi a bassa voce: «Tu non te ne andare.» e attesi che tutti furono via, per potergli parlare a quattr’occhi.

Emile nel frattempo si alzò per ripulire il tavolo e lavare i piatti, così ci mettemmo a parlare tra una passata di detersivo e una sciacquata di stoviglie:

«Non era il caso che aggredissi in quel modo Stè… Potevi anche risparmiartelo!»  Mi passò un piatto da sciacquare senza dir nulla. «Stè non ti ha fatto nulla, non meritava quella reazione da parte tua.» Un altro piatto e un altro silenzio. «La vuoi smettere con questo gioco del silenzio? Parlami!»

Poggiai una mano sulla sua che mi porgeva l’ennesimo piatto per bloccarlo e obbligarlo a rispondermi; fece un sospiro e si decise a parlare:

«Scusami, ti ho rovinato la serata, sono un’idiota!»

Mantenni la presa sulla mano: «Non voglio altre scuse, già ti sei scusato abbastanza, voglio sapere perché hai reagito in quel modo!»

Emile guardava davanti a sé, poggiò l’altra mano sul bordo del lavello, come per sostenersi prima di parlare. «Sarebbe stato meglio se non fossi venuto stasera, non ero dell’umore adatto a sopportarlo.»

Su quello eravamo d’accordo…

«Ma perché ti ostini ad avercela con lui, non capisci che la tua è una gelosia stupida?» 

Si girò d’improvviso verso di me schizzando schiuma:  «Perché non lo sopporto! Ti conosce da una vita e sa cose di te che io ho perso per sempre, ti sta sempre appiccicato e stasera ha tirato in ballo anche quel gruppo di bambocci! Tu non hai idea dei problemi che sto avendo per ultimare quest’album e sentire quanto vengano elogiati quegli inetti, che senza avere un briciolo di talento hanno fama e fortuna, mi ha fatto perdere il lume della ragione!»

«Ma non puoi sfogare la tua rabbia su di lui, Emile! Stè non ha colpa se mi conosce da una vita e non ha colpa se ama un gruppo che tu non apprezzi! Se devi sfogarti con qualcuno fallo con me! È con me che sei arrabbiato, sono io che ho creato questo casino… dimmi la verità una volta per tutte!»

Non potevo sopportare che Emile usasse Stè come valvola di sfogo per non arrabbiarsi con me, così  presi il coraggio a quattro mani e decisi di affrontare l’argomento che lui non voleva nemmeno sfiorare in mia presenza. 

«Ti ho sentito l’altra sera… ho sentito mentre parlavi a tuo padre… so di Claudio, so che sta continuando a creare problemi e so che questo ti fa arrabbiare ancora con me. Quindi per favore, dimmi tutto una volta per tutte, io sono pienamente consapevole di essere responsabile di tutto questo e ancora mi meraviglio di non essere stata messa alla porta per cui, prima che questo davvero avvenga, perché se continui così davvero mi odierai, parla, dimmi tutto ciò che sta accadendo, non aver paura di ferirmi… Sfogati con me, Emile!»

Il suo viso assunse un’espressione sorpresa e dispiaciuta: aveva cercato di non farmi pesare il mio coinvolgimento in quella storia, ma non c’era riuscito ed ora di sicuro si stava dannando con se stesso per la sua mancanza di autocontrollo.

«Emile, ti prego… Non sono così fragile, posso sopportare di sapere cosa sta accadendo, a maggior ragione visto che è anche colpa mia!» Gli presi una mano per cercare di convincerlo con le buone, senza dover arrivare ad urlarci addosso.

«Mi dispiace Pasi… Non volevo che sapessi e non volevo fare una sceneggiata simile… Ho i nervi a pezzi e non sarei dovuto venire stasera.» calò il viso in atteggiamento colpevole e smise di parlare, ma io ormai volevo che si sfogasse e non avrei sopportato un altro silenzio.

«Ti prego Emile, quante volte devo chiedertelo? Ti prego, apriti a me, parlami! Come posso avere fiducia in noi due se sento che non vuoi farmi partecipe della tua vita? Soprattutto in questo caso… mi riguarda tutto questo e sono disposta a vedere emergere la tua rabbia verso di me, purché tu mi dica davvero cosa provi, non cercare ancora di evitare il confronto con me, ti prego!» Gli strinsi maggiormente la mano, nella speranza che comprendesse il mio bisogno di capirlo e sperai che alzasse finalmente quello sguardo, per affrontarmi una volta per tutte.

«Qualche settimana fa, Claudio si è presentato alla casa discografica e ha espressamente dichiarato che non concederà i diritti sui brani del nostro album, che le musiche composte da lui non devono essere parte delle nostre canzoni e che se vogliamo pubblicarle ancora, dovremmo trovare un altro arrangiamento, perché ciò che ha composto lui non sarà autorizzato ad essere incluso.»

Era terribile. Era un disastro totale.

Senza gli arrangiamenti di Claudio alla batteria, che dava il tempo ai brani, tutto era nullo, tutto era da rifare! Avrebbero dovuto ricomporre ogni brano daccapo, con un album che era ad un passo dall’essere completato! Sentii le gambe venirmi meno, ma mi sforzai di mantenermi salda e di non far trapelare il tremito nelle mie mani, che ancora tenevano quella di Emile: dovevo dimostrargli di essere in grado di sostenere quella verità scomoda, non dovevo vacillare, o non avrei più avuto la possibilità che si aprisse a me.

«Il produttore cosa ha detto?» Avrebbe dovuto essere ancora all’oscuro di tutto e vedersi piombare Claudio all’improvviso, in assetto di guerra doveva averlo destabilizzato… Non osavo immaginare quanto doveva essersi infuriato!

«È rimasto di sasso… Ci ha convocato immediatamente per discutere della situazione… E per poco non scatenavo una rissa in studio!» Alzò lievemente il capo permettendomi di scorgere un sorriso sarcastico sul suo viso: si stava amaramente maledicendo per quella reazione.

«È stata quella sera che eri qui, vero? Quando sei fuggito via…»

«Sì… Non ho avuto il tempo di far sbollire la rabbia e ritrovarmelo davanti con quell’aria bellicosa, pronto a demolirci, non mi ha fatto ragionare. Se non fosse stato per Francesco e Filippo che mi hanno trattenuto, avrei dato spettacolo.»

Tirai un sospiro per darmi coraggio; mi sentivo distrutta, avrei voluto svegliarmi da quello che sembrava un incubo senza fine… Ma non potevo cedere, dovevo essere forte, ancora una volta…  ma per lui, non per me. Per quanto mi riguardava mi sarei meritata  tutte le offese che avrebbe potuto darmi e le avrei accettate di buon grado a quel punto. Ciò che non sopportavo era la sua paura di ferirmi, lui che in quella situazione era il più colpito, quello che rischiava di più e che avrebbe avuto tutti i motivi per odiarmi… E invece si preoccupava per me, oltre ad avere un problema così grande da risolvere.

«Siete arrivati ad un accordo?»

«Non ancora… temo che ci vorranno gli avvocati, per giungere ad un compromesso che non crei disagi a noi e che faccia contento quel bastardo!» Emile si appoggiò al lavello e si lasciò andare a terra, mettendosi letteralmente le mani nei capelli sconfortato. «La cosa peggiore di tutte è che il produttore sta perdendo la pazienza: ha investito tantissimo in noi e con questa storia che minaccia di non dare mai alla luce l’album, è a dir poco furioso! Rischia di perdere un capitale e noi rischiamo di non avere più un’etichetta che ci produca.»

Mi accucciai accanto a lui, cercando di mantenere la calma, mentre dentro di me imperversava una tempesta di emozioni: il senso di colpa era enorme, ma il desiderio di aiutarlo e di risparmiargli tutto quel disastro conteneva il mio istinto di sfogarmi e cercai di focalizzare la mia attenzione sul bisogno di Emile di ricevere un qualche tipo di conforto.

«Non c’è tempo da perdere allora. Dovete chiamare un avvocato, dovete farvi aiutare da chi sa come gestire al meglio una situazione simile. Non potete permettere che quell’idiota rovini tutto così!» Presi nuovamente la sua mano tra le mie mentre mi ricordai di un particolare che forse faceva al caso nostro:

«Un amico di mio padre è avvocato, potrei chiedere a lui, sono sicura che tratterebbe il vostro caso con tutti i riguardi.»

Emile si girò finalmente a guardarmi, ma con un’espressione di totale stupore sul viso, come se gli avessi detto di essere  un’extraterrestre:

«Come potrei accettare una cosa simile? No Pasi, non voglio l’elemosina di tuo padre, nemmeno mi conosce e dovrei presentarmi a lui come uno stupido che si è cacciato nei guai? Assolutamente no!» Come volevasi dimostrare, era il solito orgoglioso che non ammette di scendere dal piedistallo.

«Non c’è bisogno di mettere in mezzo mio padre! Posso chiamare io Sandro e metterci d’accordo senza dover allertare anche lui! Fammi provare almeno, permettimi di aiutarti in qualche modo!»

«Pasi, non credi di aver messo mano anche troppo in questa faccenda?»

Eccola la stilettata, Emile aveva resistito fino a quel momento, ma non avrebbe potuto celare ancora la sua rabbia e nemmeno volevo che lo facesse. Quella frase creò una fitta all’interno del mio cuore che mi fece vacillare per un po’, ma resistetti e trovai la forza di rispondergli:

«Proprio per questo voglio chiudere il cerchio: ho messo mano nell’iniziare questa storia, e voglio aiutarti a concluderla.»

«Ti prego Pasi, stanne fuori, non voglio più vedere la tua faccia e il tuo nome associati a quelli di Claudio!»

«Ma qualcosa dovrai pur farlo! Non è da te abbatterti in questo modo, devi reagire Emile, devi far vedere a quell’idiota di che pasta sei fatto, devi dimostrargli che nessuno può intralciare la tua strada!»

«Ci sto provando! Cosa credi che abbia fatto negli ultimi giorni?! È una settimana che non dormo, cercando di capire come fare, cercando un compromesso che sia accettabile da entrambi i lati e che mi permetta di eseguire quei brani, senza dovergli concedere la presenza alla batteria!»

«Vuole tornare nel gruppo?!»

A che diavolo di gioco stava giocando quello spostato?

«Solo per il tour: ha dichiarato che ci concederà i diritti dei brani, solo a patto di essere presente durante i live promozionali.» Emile mi guardò con amarezza: «Capisci la sua manovra? Vuole imporre la sua presenza, per mettermi di nuovo alla prova, per testare quanto le mie parole siano vere: andrò oltre il suo comportamento verso di te, dimostrando che la band viene prima di tutto, oppure vanificherò ogni sforzo pur di non averlo davanti agli occhi?! Se non fosse tutto diretto contro di me, gli farei un applauso per quest’idea geniale!»

 Il mio Pel di Carota fece una risata sarcastica, totalmente sconfitto dalla malignità dei gesti di Claudio, mentre io mi sentii ribollire dalla rabbia.

«Emile prendilo con te! Fallo partecipare al tour! Non devi dargli questa soddisfazione! Hai sempre detto che avresti fatto qualsiasi cosa per la musica, che avresti fatto di tutto per emergere, non è da te avere questi dubbi ora! C’è in ballo il tuo futuro e la memoria di Claudine, non puoi bloccarti per una cosa simile! Claudio è un maiale e uno zotico ed è maligno e per questo è meglio se lo tieni sotto controllo e soprattutto, non devi permettergli di offuscare i tuoi obiettivi!»

«Ma come pensi che possa comportarmi con lui, dopo averlo cacciato via in quel modo e soprattutto dopo averlo visto mentre ti metteva le mani addosso?»

«È assurdo che sia proprio io a doverti dire questo, ma ti rendi conto che mi stai anteponendo alla musica? E che questo ti fa soffrire? Forse ora credi di fare la scelta giusta, ma così stai ripercorrendo i passi di tua madre, Emile! Non devi farti abbattere da un conflitto simile, non puoi permettere a Claudio di averla vinta, distruggendo tutto ciò per cui hai lavorato tanto in questi anni! La gente lavora tutti i giorni con persone che non sopporta, va avanti perché non ha scelta e lo fa. Quindi lo farai anche tu, terrai Claudio con te e farete questo benedetto tour insieme, diventerete famosi e la tua musica sarà ascoltata in mezzo mondo. E allora, solo allora, potrai permetterti il lusso di spedirlo a casa con un calcio nel sedere e ci sarò anche io ad aiutarti! Se c’è una cosa che amerei fare in questo momento, è proprio riempire la sua odiosa faccia di pugni!»

Mi ero accalorata così tanto nel parlargli da non rendermi conto di essermi alzata e di essere chinata verso Emile nel tentativo di spronarlo. Il mio Pel di Carota dal canto suo mi guardava con una strana espressione tra il sorpreso, il divertito… e l’ammirato!

«Non so se è possibile innamorarsi di qualcuno che già ami, ma è quello che sto provando ora nel vederti e nel sentirti: non ho mai conosciuto una donna più forte di te, Pasifae!»

Si alzò da quella posizione rannicchiata di resa in cui si era trovato poco prima e si erse in tutta la sua altezza davanti a me, appoggiando le mani sulle mie spalle: «Non so nemmeno da dove iniziare per spiegarti come mi sento: mi hai trasmesso la tua energia, mi hai riportato la forza d’animo che credevo esaurita, mi hai riportato su dal baratro a tuo discapito… Forse devo iniziare a credere a quel Filo Rosso del Destino, perché in questo momento ho la certezza che tu sia l’unica donna al mondo che potrei mai amare.»

Non so davvero come abbia potuto dire quelle parole ad Emile che, come aveva precisato anche lui, erano del tutto a mio discapito e contro tutto ciò che avevo sempre professato sulle priorità della vita: forse era stato il mio senso di colpa e il desiderio conseguente di fare qualcosa per aiutarlo ad uscire da quella situazione… Forse era stato l’istinto di chi non vuole veder crollare la persona che ama… Fatto sta, che furono le parole giuste da dire e che ero riuscita a ridare vitalità allo sguardo di Emile, che mi aveva appena detto una frase che ricorderò per tutta la vita.

«Allora siamo in due, stupido testone, ad avere accanto la persona giusta per noi.»

Mi prese dolcemente il viso tra le mani e mi guardò intensamente: «Ti amo.» si avvicinò al mio viso e mi diede un dolcissimo bacio.

 

*****

 

Qualche giorno dopo, ritrovai nella mia libreria il foglio che Emile aveva lasciato, preso dalla fretta di incontrare Claudio: nonostante ci fossimo visti in altre occasioni, avevo sempre dimenticato di restituirglielo e anche se probabilmente l’elenco degli aspiranti batteristi non era più così impellente e le strofe scritte sul retro non fossero qualcosa di interessante, di certo Emile non aveva la mente abbastanza libera da ricordarsi di un foglio volante abbandonato a casa mia, così a scanso di equivoci, decisi di riportarglielo una volta uscita da lavoro.

Terminai il mio turno a metà pomeriggio, così decisi di passare prima dal centro.

Fede stava studiando per superare i test d’ingresso in Scienze Infermieristiche e contemporaneamente aveva trovato un lavoro part-time in una pasticceria: quando era al centro ne approfittava per studiare, dato che i nostri “clienti” non formavano ancora un numero considerevole.

Entrando nell’anticamera però, sentii delle voci provenienti dal suo ufficio e compresi che avevamo ospiti. Non volendo disturbare Fede, andai nella mia stanza: era stata sistemata in modo simile a quella del mio amico, anche se gli scaffali erano più vuoti e sulla scrivania non c’era ancora alcun pc: in quei pochi mesi in cui l’avevamo messo su, eravamo riusciti a sistemarlo alla meglio, ma per arredarlo avevamo chiesto un po’ in giro, cercando mobili in disuso che non cadessero ancora a pezzi. Purtroppo non fu facile reperire anche due pc, così il mio ufficio, che per cause di forze maggiore risultava essere meno frequentato, era rimasto indietro nel suo allestimento.

Mi venne in mente di colpo che Simona aveva il suo in camera su cui elaborava i suoi studi e che ora era totalmente in disuso… Avrei dovuto tornare in quella casa e chiedere sfrontatamente il pc di mia sorella?

In quel momento non avevo voglia di rivedere i miei genitori: lo scontro con mio padre era ancora troppo fresco per potermi imbattere di nuovo in una litigata simile. Più andavo avanti e più mi rendevo conto che quella situazione mi faceva star male maggiormente da che non vivevo con loro, rispetto a quando condividevamo lo stesso tetto. Mi chiesi se fosse giunto mai il giorno in cui mi sarei abituata ad avere dei genitori distanti e diversi da quelli che avrei sempre voluto accanto a me…

Certo avere Alberto accanto non mi aiutava a farmene una ragione, ma allo stesso tempo la sua presenza sopperiva al vuoto che sentivo quando pensavo alla mia famiglia biologica…

Fui distratta dai miei pensieri, sentendo le porte dell’ufficio di Fede aprirsi: sbirciai dalla porta semi aperta della mia stanza e vidi una coppia andar via, con in mano alcuni depliants e Fede che sorridente li salutava: chissà chi erano? Curiosa da morire mi affrettai a raggiungere il mio amico che, trovandomi di fronte a lui all’improvviso, fece un salto:

«Pasi, da dove spunti?»

«Sono qui da un po’, ero nel mio studio, in attesa che finissi.»

«Ma potevi entrare, fai parte anche tu del centro, sei autorizzata quanto me a muoverti qui.»

«Mi sembrava poco delicato entrare così all’improvviso… era una coppia? Che problemi aveva?»  Fede fece un sorriso divertito, osservando il mio volto che doveva essere più curioso che seriamente preoccupato.

«È commovente l’interesse che vedo nei tuoi occhi, piccola curiosona!» Tornammo insieme nel suo ufficio e mi fece sedere prima di parlare. «Era una coppia di coniugi: sono preoccupati per il figlio, che sembra soffrire di bulimia.»

«Bulimia? Un ragazzo?»

«Un ragazzino, ha dodici anni.»

«Oh mio Dio, non è nemmeno uscito dall’infanzia!»

«Proprio per quello starà soffrendo: i suoi genitori mi hanno raccontato che hanno avuto dei problemi lo scorso anno e che contemporaneamente anche Patrizio ha avuto un calo scolastico… La crisi matrimoniale si è risolta, ma evidentemente deve aver sconvolto il bambino al punto da non riprendersi ancora.»

«Noi non possiamo far nulla per lui?»

«Nelle nostre condizioni attuali no, ma ho consigliato loro qualche esperto e anche qualche piccolo trucco per far sentire desiderato il loro bambino… me le ha dette Rita qualche tempo fa.» Fede sorrise soddisfatto all’idea che un discorso fatto con la sua ragazza, fosse tornato utile per qualcun altro che ne avesse avuto bisogno ed io non feci che confermare la mia teoria che quei due fossero fatti l’uno per l’altra. 

«Spero che tutto si risolva, mi rattrista sapere che si possa soffrire in questo modo ad un’età così precoce.»

«Lo so Pasi, purtroppo la mente umana non aspetta che il corpo cresca, subisce traumi quando è più debole e non c’è un limite d’età. Noi possiamo solo scegliere come affrontare il dolore e cercare di alleviarlo: quando arriva purtroppo, non c’è verso di evitarlo.»

Fede aveva perfettamente ragione, potevo affermare con tranquillità di essermi fatta una cultura sul dolore umano, soprattutto sui differenti modi di esternarlo e sapevo benissimo che quando arriva ti dà un colpo così forte da farti stramazzare al suolo e il modo di reagire a quel colpo è tutto nelle tue mani. Ma non ti è concesso di evitarlo, puoi solo decidere cosa fare con quel turbine di sofferenza che ti scava dentro.

 

Prima di dirigermi verso casa Castoldi diedi un’ultima occhiata alla mia stanza nel centro: mi resi conto di averla trascurata, presa com’ero stata dagli ultimi eventi… eventi che per la maggior parte riguardavano più la vita di Emile che la mia. A quel pensiero mi appoggiai sconsolata alla scrivania: non ero cambiata affatto. Nonostante cercassi in tutti i modi di non annullare la mia vita, in funzione di quella del ragazzo che amavo, continuavo ugualmente a ripetere quell’errore…

Eppure stranamente, non mi sentivo svuotata, non sentivo di aver perso di vista la mia vita.

Probabilmente era dovuto al fatto che mi sentissi del tutto coinvolta in quello che era accaduto ad Emile, o forse la nostra relazione durava da troppo poco tempo per risentire degli atteggiamenti sbagliati… Ma mi resi conto che pensare al mio ragazzo, non mi angosciava più.

Il nostro era un rapporto tutt’altro che piatto e come avevo già detto a Stè precedentemente, non saprei nemmeno dire se avessimo trascorso più tempo a litigare o ad andare d’accordo. Eppure quando pensavo a lui mi sentivo serena, sentivo un calore nel cuore e m’invadeva la sensazione di essere appagata e completa. In quel momento compresi Alberto, quando con la gioia negli occhi parlava di Claudine, potevo capire le sue parole, quando disse che pensare a sua moglie lo faceva star bene: Emile era l’amore della mia vita, lo sentivo nelle ossa, ne ero certa ogni giorno di più. Ci saremmo fatti del male, probabilmente mi avrebbe ferito più di chiunque altro al mondo, ma la felicità che sentivo quando ero con lui, la sensazione di completezza, di “essere a casa” era qualcosa di unico che non avrei provato con nessun altro al mondo.

Ero totalmente immersa in quei pensieri quando mi accorsi di essere giunta a casa Castoldi: fu Alberto ad accogliermi, Emile doveva ancora tornare da lavoro, per cui decisi di lasciare quel foglio con gli appunti in camera sua, prima di dimenticarmene nuovamente.

Ero sulle scale in procinto di scendere al piano terra e fare due chiacchiere con Alberto, quando bussarono alla porta: scesi i gradini e rimasi ai piedi delle scale in attesa di conoscere  l’identità dell’ospite. Probabilmente erano i ragazzi della band, da quando frequentavo quella casa non avevo mai visto altre persone, a parte loro o i miei amici, venire a far visita a quella famiglia. Ma quando aprì la porta,  Alberto rimase di stucco:

«Lucien?!»

«Bonsoir Oncle Albert.»

 

















-------------------------------

*”Home, that's where the heart is --- U2 - Walk On







_________________________________________________________________________________________
NDA
Signore e... Signore, questo è il capitolo più lungo che abbia scritto finora (ben 12 pagine di Word, incredibile ma vero!) e spero che la lettura sia stata piacevole ^ ^
Come promesso, è stato svelato cosa affliggeva Emile e per quale motivo è fuggito via da casa di Pasi in preda all'ira: dite la verità, Claudio vi sta ancora più simpatico ora, vero? xD
E chi sarà mai questo Lucien? La risposta ovviamente alla prossima puntata *me sempre più sadica* e sempre per restare nel tema sadismo, non ho tradotto la sua frase arbitrariamente, perchè voglio lasciarvi con la suspence xD
(E il traduttore di Google quel giorno, fece lo staordinario...)

Angolo dei Ringraziamenti
Questa volta i miei rigraziamenti saranno davvero lunghi. Durante questa settimana in cui ho pubblicato il capitolo 23, ho ricevuto due piacevolissime sorprese: prima tra tutte, la recensione di Kira1983, la mia adorata admin del forum su MARS (uno shojo manga che io ho impresso a fuoco nel cuore), che non paga di aver letto questa storia attraverso il forum, ha deciso di iscriversi per recensirmi e per iniziare la sua personale avventura qui su EFP, dopo avermi detto che le ho fatto tornare la voglia di scrivere!!!
Non potevo ricevere un elogio migliore e non vedo l'ora di leggere la sua storia, perché la ragazza ci sa fare davvero e merita di essere letta!
La seconda bellissima sorpresa me l'ha fatta Cicci: è donna di poche parole, ma quando decide di agire, sa esprimere tutto ciò che sente in una volta sola! Sta leggendo questa storia in ritardo rispetto alla pubblicazione dei capitoli, ma questo non le ha impedito di farsi prendere a tal punto, da realizzare una serie di covers degli album dei GAUS!!!!! Non potete immaginare la mia gioia quando ho visto tutte quelle immagini meravigliose! *_*
Vi mostro una fra tutte perchè è quella che ho visto per prima e che mi ha lasciato senza parole:


Vedere quel profilo dalla chioma infuocata e quella silhouette che canta mi ha fatto pensare che la mia Cicci avesse incontrato davvero Emile per fargli una foto!!!
(Sarà mica il tipo visto in stazione, che proprio Cicci aveva adocchiato??? Uhm Uhm....)
Non è meravigliosa??? :D
Io sono rimasta senza parole e ad un passo dalla commozione: vedere quanto vi siate appassionate a questa storia e ai miei ragazzi è sempre una sorpresa gratificante e davvero commovente, non smetterò mai di ringraziarvi tesore mie!!!!
E infatti ora passo ai ringraziamenti canonici, per le mie sorelline speciali:
Iloveworld/Fiorella Runco
, Vale, Saretta, Niky, Concy, che sempre e da sempre sono qui a sostenermi e ad emozionarsi con Pasi ed Emile.
Ana-chan ed Ely, che mi seguono in differita, ma che hanno sempre una parola di sostegno per me.
Un grazie speciale va a
ThePoisonofPrimula, e Dreamer_on_heart, che ogni volta riescono a trasmettermi quanto questa storia le abbia appassionate, ed ogni volta per me è una gioia leggere le loro recensioni *_*


Grazie un milione di volte anche a tutte voi che avete messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:

kiki0882, lorenzabu
, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple,
Ami_chan, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen/Camelia Jay, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_

Tutte voi siete la migliore spinta che poessi mai avere ad andare avanti, ARIGATOU GOZAIMASU dal profondo del cuore!
E visto che ci siamo, auguro a tutte voi un

______ *.*.* FELICE E GIOIOSO NATALE!!!! *.*.* ______


Vi auguro di trascorrere questa giornata con chi amate e all'insegna della serenità e della gioia di stare in compagnia, al di là del Credo personale di ognuna di voi ^ ^


A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


(Piccola Premessa: Essendo il capitolo pieno di termini in francese, se non volete fare su e giù per scorrere in continuazione le note, potete aprire questo file: e averlo davanti a voi tutto il tempo, per sapere cosa c'è scritto nel testo ^ ^)







Capitolo 25







 

 

“Oncle Albert”… il nuovo arrivato aveva tutta l’aria di essere francese e se ricordavo bene (che sia benedetta la mia decisione d’imparare quella lingua), aveva chiamato Alberto “zio”… Quel ragazzo doveva essere figlio di qualche fratello o sorella di Claudine! Ma cosa ci faceva lì?

«Cosa ti porta qui, Lucien?»

Alberto fece da eco ai miei pensieri e tesi le orecchie in attesa della risposta.

«Scusa se arrivo senza preavviso… Sono venuto a trovare voi e a salutare la Tante Claudine… Je peux entrer?»  

Rimasto di sasso per la sorpresa, Alberto non aveva nemmeno fatto accomodare suo nipote e appena si rese conto di quell’errore, fece un sorriso e abbracciò felice Lucien…

«Ma certo che puoi entrare! Sei il benvenuto ragazzo mio!» …che rimase un po’ interdetto da quel benvenuto così espansivo e non ricambiò l’abbraccio, ma vidi l’ombra di un sorriso sul suo volto.

«Merci beaucoup.»

«Vieni, accomodati, dev’essere stato un lungo viaggio… oh! Che maleducato, stavo per dimenticare le presentazioni, bambina vieni qui!»

Ero rimasta ad osservare tutta la scena ai piedi delle scale e quando Alberto si accorse di me, mi resi conto di aver fatto la parte di una statua: mi avvicinai a loro due e sorrisi al nuovo arrivato.

«Lucien questa deliziosa fanciulla è Pasi, la ragazza di Emile; Pasi, lui è , mio nipote Lucien, il figlio di Odette, la sorella di Claudine.»

«Bonsoir Pasi, è un piacere conoscerti! Hai un nome particolare…»

«Piacere mio Lucien… sì, beh, in verità sarebbe Pasifae, è un nome greco…»

«Masi oui, come la moglie del re Minosse!»

«Sì… purtroppo… ma io preferisco Pasi, quindi chiamami così!»

«Mi sono sempre chiesto che tipo di nome fosse il tuo bambina, ora ho capito finalmente!»

Sentii il mio viso diventare color rubino, mentre due paia di occhi mi osservavano con un’aria tra lo stupito e il divertito!

«Sì ma non facciamone un caso, eh? Io sono PASI, solo PASI, ok?»

Sperai con tutta me stessa che il sempre odioso discorso sul mio nome fosse terminato e solo quando non sentii repliche inopportune,  osservai meglio il nuovo venuto.  Il figlio di Odette… questo faceva di lui un cugino, o meglio cuginastro, di Emile… Era il primo familiare che conoscevo, che non fosse un abitante di quella casa… ed era sorprendentemente somigliante al mio Pel di Carota! Lucien aveva i capelli biondi e mossi, portati un po’ lunghi sul capo e degli occhi verdi luminosi, ma la forma del viso era la stessa di Emile, così come il taglio degli occhi, nonostante fossero di un altro colore. Il naso di Lucien non aveva la stessa delicatezza di quello di Emile ma era molto simile e nell’insieme poteva essere preso tranquillamente per un fratello del mio Pel di Carota! Il sorriso era aperto e sincero e mi dava l’impressione che fosse una persona abituata a quel gesto: probabilmente le somiglianze tra lui ed Emile erano solo fisiche perché avevo l’impressione che Lucien avesse tutt’altro carattere.

«Venite ragazzi, accomodiamoci in cucina.»

Il nuovo venuto appoggiò la sua valigia all’ingresso e seguì Alberto verso la stanza in cui il padre di Emile amava ricevere gli ospiti.

«Sono senza parole, ragazzo! Pensavo che avremmo ricevuto la visita di tuo zio Jacques, ma non credevo minimamente che potessi giungere tu o uno dei tuoi fratelli!» Alberto mise immediatamente Lucien a suo agio, presentandogli un thè freddo accompagnato da qualche biscotto, mentre si accingeva a preparare la cena.

«Oui, Oncle Jacques mi ha detto che avrebbe voluto venire a trovare Tante Claudine, ma ha avuto qualche problema… Così ho pensato di venire io. Non mi è piaciuto il modo in cui si è comportata maman e vi chiedo scusa per lei, ancora non riesce a comportarsi da persona adulta!»

«Odette ha vissuto tutta la vita odiando Claudine e non riesce a fare diversamente… ma sono felice che tu non la pensi allo stesso modo!»

«Oh no! E poi io nemmeno sapevo di avere un cousin! Maman non parla mai di Tante Claudine, solo quando sei venuto a casa nostra, ho scoperto della vostra famiglia! Ne ho parlato con Oncle Jacques che mi ha raccontato quello che sapeva, così quando lui non è potuto più venire, ho deciso di farlo io.»

Alberto mi aveva detto che nella famiglia di Claudine c’erano persone davvero valide e ascoltando le parole di Lucien mi resi conto che aveva pienamente ragione: quel ragazzo era venuto dalla Francia senza annunciarsi, solo ed esclusivamente per conoscere una parte della sua famiglia, senza nemmeno sapere se fosse benvenuto o meno, visto l’atteggiamento ostile che sua madre aveva sempre riservato loro. Sentii una grande ammirazione nei suoi confronti.

«È una cosa meravigliosa quella che hai fatto, Lucien! Sono davvero ammirata!» Lo vidi volgere lo sguardo in mia direzione: il verde dei suoi occhi era incredibilmente intenso e unito a quella chioma bionda e voluminosa, gli donava il volto di un angelo: Lucien era un ragazzo davvero bello!

«Merci beaucoup Pasi, ma non sento di aver fatto granché, voglio solo conoscere la mia famiglia, soprattutto perché mi è stata negata per vent’anni.»

Sì, mi stava decisamente simpatico, ero più che felice che fosse giunto da Emile e Alberto per conoscerli, era un segno di speranza, una luce nel buio… e magari avrebbe convinto quel testardo del mio ragazzo che i suoi parenti non erano tutti delle belve! A quel pensiero m’incupii: come avrebbe reagito il mio Pel di Carota davanti all’arrivo improvviso di suo cugino?

L’avrei scoperto presto, poiché nel momento in cui stavo formulando quel pensiero, sentii la porta di casa aprirsi.

Andai ad accogliere Emile alla porta: ero terribilmente ansiosa e preoccupata della sua reazione e in qualche modo del tutto inconscio, sperai di riuscire ad addolcirlo, prima che incontrasse suo cugino.

«Pasi! Che ci fai qui?»

«Perché hai sempre l’aria preoccupata ogni volta che mi vedi qui? Mi nascondi qualcosa, forse?» Abbozzò un sorrisetto, ma quando notò la valigia di Lucien all’ingresso, gli morì sul viso, facendo spazio ad un’espressione cupa e sospetta:

«E questa di chi è?»

«Ehm, poco fa è arrivata una persona… è venuta appositamente per conoscervi, ha avuto un pensiero bellissimo!» Gli mostrai il mio sorriso più sincero, sperando che riuscisse a rasserenarlo… ma ovviamente ero un’illusa: Emile aggrottò le sopracciglia più adirato di prima e si diresse a passo svelto in cucina, da cui si sentiva parlare:

«Oh finalmente sei arrivato! Abbiamo ospiti, ragazzo! È venuto a trovarci tuo cugino Lucien!»

«Bonsoir Emile, sono fel…»

«Cosa vuoi da noi? Non abbiamo nulla che possa interessarti, qui!»

Lo sapevo… non c’era nulla da fare, il suo rancore lo faceva agire con i paraocchi, non si era nemmeno fermato a salutare Lucien, non gli aveva nemmeno dato la possibilità di farsi conoscere, che l’aveva già rifiutato… sarebbe stata una dura lotta, quella! Alberto non sembrava affatto contento di quella reazione:

«Emile! Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tuo cugino? Chiedigli immediatamente scusa!»

«Cugino? E da quando ho un cugino? Perché mai in vent’anni non ho mai avuto il piacere di conoscerlo? Non voglio niente da loro! Non m’interessa nulla di tutto ciò che riguarda quella gente!»

«Ti stai comportando come un bambino capriccioso, ragazzo! Non è questo il modo di accogliere un familiare!»

«Puoi anche fingere che sia tutto tranquillo, papà, puoi anche farti calpestare da loro, se ci tieni, ma io non ho alcuna intenzione di farlo! Non voglio avere nulla a che fare con quella gente!»

L’atmosfera si era fatta incredibilmente tesa e per la prima volta in vita mia, vidi Alberto davvero arrabbiato.

«Chiedi immediatamente scusa a Lucien! »

«E chi chiederà scusa a mamma per averla ignorata per ventitré lunghi anni? Non ho proprio nulla per cui  scusarmi!»

Alberto era furente e diede un sonoro schiaffo sul viso di Emile:

«Prima di mettere in mezzo tua madre, pensa al dolore che le stai infliggendo ora! Avrebbe dato l’anima per vedere la sua famiglia che le dimostrava affetto ed ora che sta accadendo, tu ci sputi sopra! Chiedi immediatamente scusa a tuo cugino o sparisci da questa stanza!»

Lo sguardo di Emile si fece affilato e furente, i suoi occhi erano una lastra di ghiaccio, stava trattenendo tutta la rabbia dentro di sé per non riversarla sul padre, che l’aveva sonoramente umiliato. Con uno scatto repentino girò le spalle ed uscì dalla cucina.

Era andata proprio come temevo!

Guardai Lucien che era rimasto esterefatto davanti a quell’ira travolgente e gratuita e mi scusai con lui…

«Ti chiedo scusa Lucien, devo assentarmi per un po’, torno presto.»

… prima di correre dietro Emile, il cui stato emotivo mi preoccupava particolarmente.

 

*****

 

Il mio Pel di Carota aveva preso la porta di casa ed era uscito a piedi, per sfogare la sua rabbia: lo raggiunsi in breve tempo, nonostante le sue falcate fossero molto più ampie delle mie (dannate gambe lunghe!) e  appena fui ad una distanza minima, gli presi una mano per farlo rallentare.

«Emile calmati, rallenta!»

«Lasciami stare, Pasi!»

La sua voce era minacciosa, mi ricordò immediatamente la sfuriata in saletta davanti al suo gruppo e mi preparai al peggio.

«Emile calmati, dove pensi di andare in questo stato?»

«Non lo so, voglio andare lontano da quella casa, non voglio avere niente a che fare con quel tizio e con l’ottusità di mio padre!»

«Sei troppo adirato ora per ragionare, devi darti una calmata.»

Si fermò all’improvviso: «Non iniziare a dirmi che ho sbagliato, io non cambio idea!»

«Non sto dicendo questo! Ho solo detto che devi calmarti un po’, perché in questo stato non puoi nemmeno attraversare la strada!» Emile si fermò e mi guardò per qualche momento, sondando le mie parole e ne approfittai per cercare di calmarlo:

«Andiamo a fare una passeggiata al parco?»

«D’accordo.»

 

*****

 

Eravamo nel pieno della stagione estiva e la vicinanza degli alberi del parco, costituiva di giorno un’oasi di ombra e di aria fresca da cui era difficile staccarsi, ma anche di sera stare nei pressi delle piante, donava quella sensazione di fresco (anche se decisamente umido) che era sempre la benvenuta dopo una giornata all’insegna del sole rovente.

«Che meraviglia! Avrei voglia di piantare una tenda qui e restarci a vivere per tutta la durata dell’estate!» Volevo portare  Emile su un terreno neutro, per farlo calmare prima di affrontare con lui il discorso spinoso, ma girandomi in sua direzione, mi resi conto di stare fallendo miseramente: il mio Pel di Carota era seduto sulla panchina con aria cupa e lo sguardo assorto… non sarebbe stata un’impresa facile, la mia!

«Pasi, è inutile che ci giri intorno, dimmi ciò che devi e facciamola finita.» Ok, era un’impresa impossibile! Emile, come tutti coloro che mi conoscevano, leggeva  sul mio viso ciò che pensavo e non c’era verso di nascondergli le mie reali intenzioni: abbassai le spalle sconfortata e mi sedetti accanto a lui, cercando di trovare il tono più conciliante di cui fossi mai stata capace.

«Non voglio farti alcuna ramanzina.»

«Ah no? Sarebbe la prima volta da quando ti conosco!» 

Oddio quel tono acido e sarcastico! Quello che era capace di mandarmi in bestia in pochi secondi… Resisti Pasi, resisti… sopporta ancora un po’ e vai avanti.

«Io capisco come ti senti e non posso darti torto.» fece un mezzo sorriso amaro di chi non crede affatto a ciò che ha sentito «Davvero Emile, io non voglio giudicare proprio nessuno! Volevo solo dirti che Lucien…»

«Non nominarlo nemmeno!»

La sua voce si fece minacciosamente bassa e sibilante: sembrava un serpente in procinto di colpire… feci un sospiro, consapevole che la mia scarsa pazienza stava raggiungendo il suo limite.

«Quella persona che si è presentata oggi a casa tua, non sapeva della tua esistenza finché non ha incontrato tuo padre due settimane fa… e nel momento in cui ha scoperto di avere un cugino, si è precipitato qui perché voleva conoscere la famiglia che gli era stata negata…» Emile guardava davanti a sé, muovendo ritmicamente una gamba: era il ritratto del nervosismo «… perciò volevo solo dirti di riflettere su questo, sul fatto che si sia precipitato qui senza preavviso, senza nemmeno sapere che tipo di accoglienza avrebbe ricevuto, mosso solo dal desiderio di conoscerti… Non chiudergli le porte in faccia, prima di avergli parlato almeno una volta o due.»

Smisi di parlare, in attesa della sua reazione: la gamba terminò la sua danza schizofrenica e dopo qualche momento d’immobilità, Emile volse finalmente lo sguardo in mia direzione:

«Cosa ti fa credere che sia così sincero? Potrebbe aver inventato questa storia di sana pianta, solo per impietosire ed evitare l’accoglienza che lui e tutti quelli della sua razza si meritano!»

«E a quale scopo, scusa? Cosa ci ricaverebbe a fare una cosa del genere?»

«Magari è venuto solo a spiarci, per riportare la nostra situazione a quella gente, che non vuole sporcarsi le regali scarpe scendendo dal piedistallo, per venire tra noi reietti!»

«Emile, ti rendi conto che questa teoria sfiora la paranoia?»

«E allora sono uno stupido paranoico! Aggiungi pure questo a idiota, arrogante e saccente!»

«Stai facendo la vittima?! Lo sai che è del tutto fuori luogo, vero? Non c’è alcun motivo per assumere un simile atteggiamento, cerca di essere ragionevole!» Iniziai ad esasperarmi , quel suo modo di fare mi stava dando davvero ai nervi.

«Pasi, lasciami stare qui da solo, finirei per dire qualcosa di spiacevole e litigheremmo e non ne ho la benché minima voglia!» Poggiò la testa all’albero accanto alla panchina e chiuse gli occhi: aveva l’aria stanca e solo in quel momento mi resi conto che, con il momentaccio che stava attraversando, non doveva aver avuto modo di riposare molto.  Guardato dal suo punto di vista, l’arrivo di Lucien era un ennesimo grattacapo da affrontare che continuava a minare la sua serenità psicologica.

«Vuoi venire a casa mia? Non ti dirò nulla, ok? Anzi, se vuoi farti una dormita, ti lascio lì da solo e in pace.»

«Non preoccuparti, vai pure, resto qui.»

Sì certo, come no… Sarebbe rimasto sicuramente tutta la notte su quella panchina, pur di non dover rivedere suo cugino!  

«Ok, allora restiamo insieme.»

«No Pasi, che fai, non puoi trascorrere la notte qui…»

«E tu sì? Con quest’umidità ti prenderai un bel mal di gola, per buona pace delle tue corde vocali!»

Asso nella manica sganciato in grande stile: le mie carte le avevo giocate ormai, dovevo solo sperare di averlo convinto…  

«Quando vuoi, sai essere dannatamente convincente, piccola strega!» Fece un mesto sorriso e si alzò da quella panchina.

«Andiamo a casa tua.»

 

*****

 

Arrivati a destinazione, Emile si stese sul divano con aria stanca, prima ancora che avessi chiuso la porta di casa:

«Perché non vai su? Il letto sarà di sicuro più comodo.»

«Ci vado dopo… ora sto bene qui.»

Il mio Pel di Carota aveva gli occhi chiusi e l’aria terribilmente esausta, mi avvicinai a lui per dargli un po’ di conforto e d’improvviso mi prese le spalle, bloccandomi in quella posizione:

«Pensi anche tu che sia uno stupido ingrato, vero?»

In quel momento vidi nei suoi occhi il timore di non essere capito, la solitudine del bambino che era stato e mi fece tenerezza: mi stava chiedendo comprensione, non voleva sentirsi solo e lasciato a se stesso. Avvicinai una mano al suo viso: «No, non lo penso. Penso solo che ora sei troppo stanco e che non devi fare  altro che non sia dormire.»

Chiuse gli occhi e fece un debole cenno d’assenso, prima di lasciarmi andare e adagiarsi in preda al sonno.

 

*****

 

«Pronto?»

«Alberto? Sono Pasi.»

«Bambina, dove siete? È tutto ok?»

«Sì, sì, stai tranquillo… Emile è qui con me… a casa mia…»

«Ho capito. Sta facendo il bambino fino in fondo.»

«Ora dorme, era davvero stanco e non ho voluto infierire, ma spero di farlo ragionare domani… Lucien è lì con te?»

«Sì è qui, sarà nostro ospite, non è minimamente plausibile che vada in albergo, quando casa nostra è piena di stanze vuote!»

«Salutamelo e fagli le mie scuse, domani cercherò di rimediare e di essere una buona ospite.»

«Stai tranquilla bambina, stiamo facendo un po’ di chiacchiere tra zio e nipote, dobbiamo recuperare vent’anni di lontananza!» Colsi il sorriso di Alberto dietro quelle parole «Dai la buonanotte da parte mia a quella zucca vuota di figlio che mi ritrovo!»

«Senz’altro. Buonanotte, Alberto.»

«Buonanotte, piccola mia.»

 

*****

 

Quando mi svegliai, Emile se n’era andato, lasciandomi un biglietto:

 

Torno a casa. Sono stato davvero un bambino capriccioso; prima o poi dovrò affrontarlo e tanto vale farlo subito. Grazie di tutto, streghetta.

 

Sorrisi leggendo quelle poche frasi, in cui ammetteva velatamente di essersi comportato male verso suo cugino. Di certo non gli avrebbe aperto il cuore una volta tornato a casa, ma già tollerare la sua presenza, sarebbe stato un grande passo in avanti.

Leggendo quel messaggio ricordai i nostri tentativi di comunicare tramite biglietti… quando era accaduto? Mi sembrava fosse passato un secolo! Quante cose erano accadute da allora e il nostro legame era cambiato radicalmente… Conservai quel biglietto come una sciocca sentimentale, amavo la sua grafia e mi piaceva avere qualche pezzo di Emile conservato nei libri.

Mi preparai per andare a lavoro, ripromettendomi di andare a casa Castoldi a fine turno.  

 

*****

 

Da quando Claudine ci aveva lasciato, non ero mai andata a visitare il luogo in cui riposava, così colsi l’occasione per andarci quando Lucien manifestò il desiderio di farlo.

«Tante Claudine era una bella persona?»

Emile non aveva dato segni di vita e Alberto lavorava, quindi l’unico cicerone per lui ero io, così ci trovammo soli a parlare di Claudine.

«Io l’ho conosciuta per breve tempo e già non era più se stessa, ma nonostante le sue condizioni di salute, ho percepito la sua dolcezza e il grande amore che aveva per Alberto ed Emile.»

«Oncle Albert mi ha parlato di Tante Claudine tutta la sera, mi ha fatto vedere le loro foto, mi ha fatto ascoltare le sue chansonnes … mi sarebbe piaciuto conoscerla.»

«Anche io avrei voluto conoscerla prima, mi manca tanto e so di averla persa per sempre… Lucien, non arrabbiarti con Emile. So che è stato davvero scortese  con te e che non meritavi un simile trattamento, ma cerca se puoi di comprenderlo: sta soffrendo tantissimo per sua madre e ad essere precisi è da quando è nato che soffre per quel motivo… Ha sentito su di sé il peso di ciò che è accaduto a Claudine e non riesce a vedere le cose con obiettività…»

«Non preoccuparti Pasi, Oncle Albert mi ha detto qualcosa e sono consapevole di quanto ma mère e tutta la nostra famiglia, abbia trattato male Tante Claudine. Ieri ero sorpreso perché non riuscivo a capire del tutto cosa diceva Emile, ma non per la sua reazione, quella me l’aspettavo.» 

La mia ammirazione per quel ragazzo, crebbe in quel momento: Lucien non era affatto uno snob pieno di rancore, come Emile amava dipingere i membri della famiglia di sua madre e ancora di più sentii il desiderio che il mio Pel di Carota aprisse il cuore a suo cugino.

Avevo detto ad Alberto che l’avrei aiutato a far ragionare suo figlio e ne ero ancora più convinta, perché Lucien meritava una possibilità.

«Lo farò riflettere Lucien, gli farò capire che non sei suo nemico.»

«Merci beaucoup Pasi, sei una cara fille.»

 

Quando tornammo a casa Castoldi, ad aprirci fu proprio Emile: la sua espressione era rigida ma non vidi sguardi ostili nei miei confronti, anche se avevo trascorso del tempo in compagnia dell’ “intruso”.

«Bonsoir Emile.»

«Lucien.»

Presi la mano di Emile per dargli sostegno e conforto e per sondare il suo umore: non mi respinse per cui andai avanti…

«Ho portato Lucien da Claudine, avevamo entrambi voglia di andare a trovarla.» …ma mi guardò in silenzio, incupendosi.

Stavo per continuare i miei tentativi di far dialogare i due cugini, quando squillò il mio cellulare: era Stè. Staccai la telefonata: in quel momento sentii che l’equilibrio precario nell’atmosfera sarebbe dipeso tutto dalla mia presenza, temevo che se mi fossi allontanata sarebbe scoppiato il finimondo, ma Emile si accorse del mio gesto.

«Non rispondi?»

Mi guardò sorpreso e gli risposi minimizzando: «Non è nulla d’importante.»

Ma come a voler confutare le mie parole, Stè aveva ripreso a chiamare…

«Rispondi Pasi, non preoccuparti, non farò scenate.»  mi guardò con quel suo sorriso amaro di derisione verso se stesso: doveva aver riflettuto sul suo comportamento e compreso quanto fosse risultato infantile… Osai fidarmi delle sue parole e risposi al telefono:

«Testarossa, quanto ti ci vuole a rispondere?!»

«Scusa Stè, ero in un brutto momento.»

«Ah, il solito tempestivo… ti chiamo dopo?»

«No, no, ormai ci siamo, dimmi tutto.»

«Sono al centro con Fede e  stavamo pensando di andare al mare domani, sei dei nostri?»

Una giornata al mare: sarebbe stato un ottimo diversivo e avrei offerto anche a Lucien delle ore di divertimento.

«Sì Stè, ci sono eccome! Metti in conto anche altre due persone.»

Dubitavo fortemente che Emile si unisse alla festa, ma non abbastanza da non sperare che volesse fare un passo verso suo cugino… e verso Stè.

 

Staccata la conversazione con Testa di Paglia mi affrettai a raggiungere Emile e Lucien: sapere di averli lasciati soli mi aveva messo addosso una certa ansia, nonostante le rassicurazioni del mio Pel di Carota. Arrivata nei pressi della cucina, sentii le loro voci che conversavano: Emile stava dicendo qualcosa e per fortuna, il suo non era un tono minaccioso, anche se non potevo definirlo amichevole:

«Non posso guardarti senza provare rancore: tu rappresenti tutto ciò che odio, voi ed io insieme l’abbiamo uccisa e come non riuscirò mai a perdonare me stesso per questo, altrettanto non riuscirò a perdonare voi per quello che le abbiamo fatto.»

Emile era in piedi, appoggiato al mobile della cucina a distanza da Lucien che, seduto, lo osservava; al sentire quelle dure parole che non meritava abbassò lo sguardo:

«Capisco la tua rabbia, cousin… Io sono il primo ad essere furente con ma mère, per come ha trattato Tante Claudine… Non dev’essere stato facile per voi, Oncle Albert mi ha raccontato qualcosa… Ma io  sono ottimista cousin, io credo che il tempo aiuti a capire il valore delle cose e delle persone e spero che un giorno tu ti ricreda, almeno su di me. In te c’è molta rabbia ed è quel sentimento che ti fa agire e reagire… aspetterò di vedere cosa c’è in te sotto quel cumulo d’ira, quando se ne sarà andato.»

Alle parole di Lucien, Emile scoppiò in una risata amara: «E tu davvero credi che ci sia qualcos’altro? Credi che possa disfarmi davvero di questa rabbia, che è cresciuta in me in ventidue anni di vita? Senza rabbia, mio caro cugino, sono niente! Senza rabbia sarei solo una persona nata per sbaglio, che è riuscita unicamente a far del male a chi l’ha messo al mondo! Se non avessi questa rabbia in corpo, mia madre non avrebbe la minima speranza di essere ricordata; sarei uguale a tua madre Lucien, avrei seppellito una volta di troppo Claudine Flaubert!»

Lucien stava osservando attentamente Emile e dopo averlo ascoltato replicò in tutta calma: «Cousin io sono felice di averti conosciuto e appena tornerò en France dirò a tutta la mia… la nostra famiglia, di quanto rispetto vi deva e di quanto debba vergognarsi per il proprio comportamento… E se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti a far ricordare Tante Claudine, io lo farò con piacere.»

L’atteggiamento di Lucien mi commosse: nonostante Emile gli stesse riversando addosso tutta la sua rabbia, era rimasto impassibile, aveva assorbito tutte le critiche, tutte le offese e le aveva trasformate in un messaggio d’affetto incondizionato: era davvero una bella persona!

In quel momento Emile si accorse della mia presenza e non rispose al cugino, preferendo rivolgere la sua attenzione sulla sottoscritta: «È tutto ok?»

«Sì, era Stè… lui e gli altri hanno pensato di andare al mare domani e ci hanno invitato… Che ne dite? Farebbe bene a tutti una giornata di svago.»

«Mais oui! È davvero una splendida idea! Io ci sarò certamente, adoro il mare.»

«Non contate su di me.» 

Il sorriso che mi era salito sulle labbra alle parole di Lucien, mi morì sul colpo dopo aver sentito Emile… Come volevasi dimostrare, non aveva la minima intenzione di socializzare.

«Uhm… ora che ci penso, mi manca il costume. Devo proprio andare a prenderne uno!» così dicendo, Lucien fece per uscire dalla stanza e lo bloccai:

«Ti accompagno, se mi aspetti, non sai dove andare!»

«Stai tranquilla Pasi, hai ben altro da fare ora, non preoccuparti  per me, ho una mappa!»

Mi sorrise conciliante, facendomi capire che il suo era un modo per lasciare a me ed Emile il tempo di parlare a quattr’occhi.

«D’accordo, ma se dovessi avere qualche problema chiamami, ok?»

«Certamente! À plus tard cousin…» Salutando entrambi uscì dalla cucina, lasciandoci soli e colsi la palla al balzo per parlare con Emile:

«Non vuoi proprio ripensarci? Saremo in gruppo, non dovrai parlare con lui, se non vuoi…»

«Certo, così avrò modo di litigare con Stefano!» Fece un sorriso amaro «Non sono nelle condizioni adatte a trascorrere una giornata in compagnia, finirei col rovinare tutto, come l’altra sera a casa tua.»

Vedendo l’amarezza e la stanchezza sul suo viso, mi avvicinai a lui abbracciandolo:

«Hai parlato con Claudio?»

«Ne ho parlato ai ragazzi e loro mi hanno detto che avrebbero atteso la mia decisione… Ironico, vero? Per una volta che chiedo il loro parere, tutto dipende da me! Ma era chiaro sul loro volto, il desiderio di continuare a suonare e del resto Claudio non ha fatto nulla di scorretto, nei loro confronti.»

«Allora non indugiare più, parla a quello zotico e reintegralo nel gruppo.» sentii le sue braccia stringermi di più a sé «Non sono sicuro di riuscire a sopportare di fare una cosa simile… spero davvero di avere la forza di farcela.» 

«Certo che l’avrai, Emile, pensa solo ad andare avanti, pensa al tuo obiettivo, pensa a Claudine e troverai la forza.»

«E non dovrei pensare a te? Al torto che ti farei?»

«Non mi fai alcun torto, ti sto appoggiando pienamente amore mio, vai avanti senza alcun dubbio o remora.»

«Sei proprio un’adorabile strega, guarda cosa ne hai fatto di me! Sei riuscita persino a farmi parlare con quel tipo.»

«Facciamo progressi, eh? Lucien ora non è più un diavolo, ma è risalito al rango di essere umano!»

«Non scherzare col fuoco! Devo iniziare a preoccuparmi per questo tuo attaccamento a lui? Siete particolarmente in sintonia a quanto vedo…»

«Qualcuno dovrà pur fare gli onori di casa, stupido! Non può mica restare in attesa che tu gli conceda la parola.»

«E perché no? Così magari si stanca di aspettare e se ne va via.»

«EMILE!» A quella reazione, il mio Pel di Carota fece un sorrisetto ironico prima di aggiungere: «Divertitevi domani.» e comprendendo che il discorso era terminato lì, adagiai la mia testa su di lui sconfortata.

 «Non sarà lo stesso, senza di te.» Emile portò una mano alla mia testa e iniziò ad accarezzarla:

«Ci rifaremo Pasi, sarà per un’altra volta.»

 

*****

 

La giornata che scegliemmo per la nostra gita a mare, si rivelò perfetta meteorologicamente: il sole era alto e caldo, il cielo limpido, senza nemmeno una nuvola e la temperatura estiva, invitava a tuffarsi in acqua per avere un dolce refrigerio.

Lucien non ebbe alcuna difficoltà ad ambientarsi e dopo un’ora era diventato già il miglior amico di Stè, che lo volle con lui in squadra per la partita di beach volley…

«Sei un traditore Testa di Paglia!» … a discapito della sottoscritta!

«E dai Testarossa, per una volta che non facciamo squadra non muore nessuno… dobbiamo imparare a variare.» Stè fece una delle sue risate più belle, mentre la sottoscritta accusava il colpo: con Testa di Paglia in squadra, la vittoria in campo era quasi assicurata: non era una cima a basket, ma per quanto riguardava la pallavolo e sport annessi, se la cavava egregiamente ed io ero fiera di essere in squadra con lui, perché odiavo perdere! Cosa che temevo di fare con l’assetto di squadra che mi ritrovai…

«È gratificante essere accettati in questo modo come compagni di squadra, gioverà di sicuro alla nostra cooperazione.»

«Uff, Sofi non fare la vittima, nemmeno tu mi volevi nel team!»

I capisquadra sorteggiati furono Stè e Sofi: avevo dato per scontato che Testa di Paglia mi scegliesse, invece la sua prima chiamata fu per Lucien, a cui seguì la scelta di Fede da parte di Sofi, per non restare a corto di ragazzi (una partita maschi contro femmine non sarebbe stata affatto bilanciata, ad iniziare dall’altezza mancante, che ci avrebbe punito nelle alzate) e la seconda e ultima scelta di Stè a sorpresa fu Rita, lasciandomi del tutto sbalordita e costringendo Sofi a prendermi in squadra.

«Ragazze, smettetela di fare le bambine capricciose e concentratevi, oppure quei tre ci faranno a fette.» la Voce della Saggezza: Fede ci riportò al problema impellente e ci concentrammo per non dargliela vinta.

 

La partita finì in parità, anche se Stè obiettò su un fuoricampo che non avevamo contato e per calmare gli animi (ed evitare una seconda partita che ci stracciasse), Fede c’invitò a farci un bel bagno, dimenticando gli attriti. Lucien si era rivelato un ottimo giocatore e si rivelò anche un bravo nuotatore: doveva essere una di quelle persone predisposte per nascita all’attività fisica!  

«C’è qualcosa che non sappia fare, quel ragazzo?»

La considerazione ammirata di Rita fece da eco ai miei pensieri, ma Sofi fu più veloce di me  nel rispondere: «Entrare nelle grazie del cugino, presumo… Anche se questo accomuna  un po’ tutti.»

«Sofi!»

La reazione di Rita, mi fece pensare che quell’idea fosse comune e che per non inquietarmi, nessuno aveva osato esternarla… A quel pensiero mi agitai.

«Lo so che Emile non si è comportato bene l’altra sera, ma non è sempre così. Sta attraversando un periodo davvero pessimo e non è facile per lui restare sereno.»

«Calmati Pasi, lo sappiamo, non c’è bisogno che ti arrabbi.» Rita rivolse un’occhiata piena di rimprovero verso Sofi, che si difese senza problemi.

«Non ho detto nulla di male, Rita, è chiaro come il sole che quel tipo non riesce a stare in mezzo alla gente: l’ho visto in tre occasioni e senza contare il funerale, nelle altre due ha solo aperto la bocca per offendere e sentenziare.»

«Questo non lo rende diverso da te, allora!» Le risposi stizzita e questo non fece che inacidire di più la mia interlocutrice.

«Ancora continui ad associarmi a lui? Io non ferirei mai una persona cara per il mio compagno, invece quel tipo sembra trovare gusto ad infierire su Stefano. Sarà pure superficiale, buonista e terribilmente irritante a volte, ma non merita di essere trattato in quel modo in pubblico!»

«Ma se tu sei la prima ad offenderlo!»

«Ma lui mi conosce, Pasi! Fino a prova contraria, tra me e Stefano c’è più confidenza e se vuole rispondermi per le rime, può farlo quando vuole! Cosa che non farebbe mai con il tuo lunatico ragazzo! Non ti metterebbe mai in imbarazzo come fa lui!»

Non avevo mai pensato che i miei amici vedessero Emile sotto un’ottica diversa dalla mia, ero sempre stata convinta che comprendessero i motivi che lo rendevano poco incline a socializzare e invece le parole di Sofi mi stroncarono del tutto!

Stè come viveva quella situazione? Si era reso conto del malcelato astio negli occhi di Emile, ogni volta che si vedevano? E se sì, ne soffriva?

Al pensiero che il mio ragazzo fosse causa di malumori  e insofferenza all’interno del mio gruppo di amici, iniziai a sentirmi spaccata in due, totalmente impossibilitata a prendere una posizione tra le persone più importanti della mia vita e talmente scossa dall’idea di aver causato sofferenza a Stè, che solo in un secondo momento, mi resi conto di aver visto per la prima volta quanto Sofi tenesse a Testa di Paglia… Dovevo affrontare il discorso con lui, dovevo sapere come vivesse quella situazione, se fosse grave come mi aveva fatto notare Sofi, o se Stè non gli desse tutta questa importanza. Non avrei mai tollerato tensioni all’interno del mio gruppo, non con loro, non dopo tutto quello che avevo vissuto con i miei genitori!

«Posso intromettermi nel discorso?»

A distogliermi dai miei pensieri, fu la voce di Lucien, che doveva essere ritornato da poco dalla nuotata senza che me ne fossi resa conto, presa dal battibecco con Sofi: doveva aver sentito parte della nostra discussione su Emile.

 «Sì, certo Lucien, parla pure.»

«Ecco… non volevo origliare, ma vi ho sentito mentre tornavo qui sulla spiaggia e ho capito che si parlava di mon cousin… n’est-ce pas?»

«Sì, è così.»

«Beh, io forse sono la persona che meno lo conosce tra voi, però per quel poco tempo trascorso con lui, ho notato una somiglianza con ma famille… Mi odierebbe ancora di più se mi sentisse, ma Emile somiglia a ma mère… e anche a mon frère. Maman è aggressiva come lui, attacca chiunque e si chiude in se stessa e solo raramente mostra di essere in realtà fragile e insicura. Mon frère è un caso a parte, ma anche lui si nasconde dietro atteggiamenti che non mostrano la sua vera personalità. 

Io penso che mon cousin, debba solo capire che di voi può fidarsi, per potersi lasciarsi andare un po’ e smetterla di essere così aggressivo… Purtroppo non dipende da lui, c’è l’ha nel sangue.»

Lucien fece un sorriso amaro che lo rese ancora più somigliante ad Emile; mi chiesi che vita facesse quel ragazzo e quale fosse il rapporto con sua madre e suo fratello, per parlare in quel modo così rassegnato… Lo guardai con gratitudine, mentre Sofi continuava la sua arringa: «Questo non lo giustifica ad agire come se tutto gli fosse dovuto!»

«Sofia ora basta, non mi sembra il caso di fare il processo ad Emile quando non ha modo di difendersi, attendi di averlo davanti per dirgli tutto ciò che pensi di lui, almeno potrà darti la sua versione, senza dover mettere in mezzo Pasi, che ne soffre solo.»

Fede era senza ombra di dubbio il mio Salvatore, la voce paterna del gruppo e anche l’unico che riuscisse a mitigare l’acidità di Sofi, che dal canto suo, lo guardò risentita prima di rispondergli.

«Difendilo anche tu, certo… Ma che parlo a fare, tanto nessuno mi ascolta!»

Si ritirò in un mutismo risentito e il discorso spinoso morì sul colpo, proprio al sopraggiungere di Stè, che per fortuna non aveva sentito una parola di ciò che avevamo detto. Grazie all’intervento di Fede, riuscimmo a goderci ancora quella giornata, ma le parole di Sofi mi rimbombavano nelle orecchie e mi ripromisi di affrontare l’argomento sia con lei che con Stè. 

 














___________________________________________________________



Oncle = Zio

Je peux entrer? = Posso entrare?

Tante = Zia

Merci beaucoup = Grazie mille

Bonsoir = Buonasera

Mais oui = Ma sì

Maman = Mamma

Cousin = Cugino

Chansonnes = Canzoni

Ma mère = Mia madre

Fille = Ragazza

En France = In Francia

À plus tard = A più tardi

N’est-ce pas? = Non è così?

Ma famille = La mia famiglia

Mon frère = Mio fratello





____________________________________________________________________________________________________


NDA
Ave gente, com'è stato il vostro Capodanno?
Dato che siamo appena entrati nel 2012, non potevo non postare il primo giorno di questo nuovo anno ^ ^

E spero che come primo capitolo del 2012, sia stato di vostro gradimento, nonostante tutti quei termini francesi (Sorry sisterina, ma non potevo fare altrimenti!)
Inizio subito col dirvi che ho deciso di non fare più pronostici: la settimana scorsa è stata alquanto stressante per me perchè mi sono avvicinata spesso al mio amato file di Word per continuare questa storia e in più occasioni non sono riuscita a scrivere nemmeno un rigo! Non vi dico quanto sia frustrante aver voglia e il tempo di dedicarsi alla scrittura e non riuscire a farlo! >:(
Ma per fortuna dopo tanto penare, all'improvviso è tornata l'ispirazione e anche più forte di prima, dato che sono riuscita a continuare anche il mio esperimento con lo spin-off concludendo un primo embrionale capitolo, ma è ancora presto per dirvi se sarà pubblicato o meno :P
Il capitolo 26 a sua volta finalmente ha visto la luce *gioia e gaudio in me*, ma come volevasi dimostrare, mi sono persa in altre descrizioni e sono ancora lontana dalla fine, per cui non vi dirò più quanti capitoli ho in progetto, dato che puntualmente vado oltre! *me non vuole proprio staccarsi dai suoi bambini e dalle sue lettrici*
Come vi sembra questo Lucien? Che idea vi siete fatte di lui, rispetto al capitolo scorso? Attendo le vostre reazioni ^ ^


Angolo dei Ringraziamenti
Anche nel 2012 non dimentico tutte voi, che da mesi ormai mi sostenete e m'incoraggiate, perché siete il mio tesoro più grande *_*
Grazie all'infinito alle mie sorelline:
Iloveworld/Fiorella Runco, Vale, Saretta, Niky, Concy, Cicci, Ana-chan ed Ely semplicemente perchè ci sono <3
Grazie a Kira1983, la mia adorata admin, che ha letteralmente divorato questi capitoli diventando una delle mie sostenitrici più forti (attendo il capitolo, mi raccomando! ^ ^ )
Grazie a
ThePoisonofPrimula, e Dreamer_on_heart, che sono sostenitrici altrettanto forti e ancora più gradite perchè non mi conoscevano affatto prima di capitare da queste parti; non sapete quanta gioia mi danno i vostri apprezzamenti!
(A proposito, Piccolo Spazio Pubblicitario:
Dreamer_on_heart sta scrivendo una storia originale davvero carina tra una ragazza iper-super-mega-chiusa verso il mondo, Violet e il ragazzo che, a piccoli passi, la sta facendo cambiare, Nathan. Se avete voglia di leggere qualcosa di dolce ma non al diabete, se amate gli incontri tra caratteri totalmente opposti, o se siete dei ricci arrotolati su se stessi, questa storia vi coinvolgerà di sicuro: As Light and Shadow: they belong to each other)

Grazie un milione di volte e sempre di più a tutte voi che avete aggiunto questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
Ai_line, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple, incubus life, princy_94, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, cris325, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, smokeonthewater, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_

Siete una fonte inesauribile di soddisfazione e orgoglio per me! :D

ARIGATOU GOZAIMASU a tutte!!!!!!!


E, Last but not Least
*-*-*-* BUON 2012!!! *-*-*-*
che sia un anno pieno di sole dentro di voi! ^ ^

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Come per il capitolo precedente, 
vi allego un file con tutti i termini francesi, 
per capire meglio le parole di Lucien:



Capitolo 26







 

 

«Com’è andata la giornata al mare?»

«Vuoi la versione lunga o quella breve? Ah! Che meraviglia, continua lì, sìì.»

Il giorno dopo la mia avventura marina, Emile si fece perdonare l’assenza del giorno prima, arrivando a casa mia la sera con oli, candele e profumi vari, pronto a far diventare il mio soppalco la succursale di una beauty farm! Aveva riempito l’atmosfera con il profumo di lavanda che bruciava nel profumatore ambientale e mi stava riportando in vita con un massaggio delizioso, che si rivelò una panacea per i miei nervi tesi.

«Come fai ad essere così bravo? Cosa non sono capaci di fare, le tue mani!» Sentii Emile sghignazzare soddisfatto, prima che si avvicinasse al mio orecchio per dirmi con voce sottile:

«Non mi stai rispondendo.»

Un brivido mi percorse la schiena sentendo la sua voce sibilante e per un secondo dimenticai anche dove fossi, beandomi di quella sensazione estatica, finché quella stessa voce non mi riportò alla realtà.

«Pasi? Ci sei ancora?»  

«Noo… lasciami in Paradiso!»

«Ho capito, non mi vuoi dire nulla… Spero che non sia accaduto qualcosa di cui mi debba preoccupare.» D’improvviso sentii le sue mani che premevano più forte sulle mie spalle e capii che si stava irrigidendo… Chissà cosa stava immaginando la sua mente! Sarebbe stato meglio se avessi detto qualcosa o la sua fantasia si sarebbe scatenata: tra Lucien e Stè aveva di che irritarsi!

«Stai tranquillo, non c’è stato alcun evento particolare:  abbiamo giocato a beach volley, abbiamo fatto una gara di nuoto e chiacchierato… una normale giornata tra amici.»

Mi chiesi se avesse mai vissuto una di queste “normali giornate tra amici”…  Per quello che ne sapevo, Emile non si era mai concesso né la compagnia di un amico, né un giorno di svago simile!

«Capisco… Allora perché sei così tesa? È tutto merito mio?» Sentii la sua voce assumere quel tono amaro di autoderisione e girai la testa (per quanto mi fosse concesso) per guardarlo negli occhi:

«Non essere così egocentrico, caro mio! Diciamo che ultimamente non ho avuto delle belle chiacchierate tranquille con chi conosco e sai che mi basta poco per perdere la serenità!»

Si stava dannando l’anima già abbastanza per la storia di Claudio e non gli serviva affatto impantanarsi in quest’altra inutile fissazione da “oscuro carnefice”; negli ultimi tempi non faceva che sentirsi in colpa nei miei confronti e non riuscivo più a sopportarlo, mentre si autoflagellava per delle assurdità. Mi rivolse un sorrisetto lieve:

«Hai ragione, è meglio se mi concentro sul mio dovere» Riprese a rimodellare i miei nervi con le sue mani abili e delicate.

«Che meraviglia, dove hai imparato a fare dei massaggi così perfetti?» 

«Me li ha insegnati una persona.»

«Una persona? Fai il misterioso?» Lo sentii sghignazzare.

«No, non la conosci, perciò è inutile che ti dica il suo nome.»

«E non c’è possibilità che io l’incontri?» Ma perché tanto mistero, mi stava incuriosendo a non finire!

«Direi di no… a meno che tu non ti trasferisca.»

«Uffa Emile, dimmi chi è! Sto morendo di curiosità!» Lo sentii sghignazzare ancora, si stava divertendo un mondo a mio discapito… «EMILE!»

«Ti stai agitando, dovrò rifare il lavoro da capo se non ti tranquillizzi.»

«E allora dimmi chi è questa persona!»

«Una ragazza che ho frequentato.»

«Una tua ex ragazza!?»

«Se vogliamo metterla così, sì, una mia ex.»

Mi sentii avviluppare da un calore improvviso, ero nel fuoco eppure sentivo i miei sensi congelati. Era la prima volta che Emile accennava al suo passato; sapevo che non ero certo l’unica della sua vita, com’era ovvio che fosse, ma il solo nominare un’altra donna e il pensarla accanto a lui, destò una gelosia terribile in me, tanto terribile quanto assurda, considerato che era qualcosa appartenente al passato. Ma in quel momento, quell’ultimo pensiero nemmeno mi sfiorò, pensai solo al modo in cui Emile aveva imparato da quella persona ciò che stava facendo a me.

«Pasi, è tutto ok? Ti sei ammutolita.»

«Che tipo è? L’amavi? È-è bella vero? Di sicuro lo è…»

Stavo andando nel panico, non riuscivo a pensare che a quella persona con il mio Emile: a cosa si erano detti, a cosa avevano vissuto insieme, a quanto lei aveva avuto di lui! Il mio Pel di Carota non mi rispose, ma lo sentii distendersi accanto a me: cercò di togliermi i capelli dal viso per guardarmi negli occhi, ma io non riuscivo a farlo e distoglievo lo sguardo troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi.

«Sei bella quando sei gelosa; è la prima volta che mi capita di vederti così e devo dirti che mi piace…» mi accarezzò il viso e cercò di girarlo per farsi guardare «…ma è del tutto inutile che ti faccia prendere da una cosa simile streghetta mia, credimi, non ne vale proprio la pena.»

I suoi occhi erano sereni e di un azzurro profondo, mi guardava con dolcezza e amore e d’un tratto mi sentii davvero una stupida: abbassai lo sguardo prima di parlare.

«Sono una scema, vero? Però ora se penso che tu abbia vissuto dei momenti importanti con qualcun'altra, momenti che io ho perso…»

«Forse così mi capirai un po’ di più.» 

«Ma Stè non è un mio ex, il rapporto tra me e lui è diverso!»

È un ragazzo, ed è una persona che ti conosce da tempo, Pasi, una persona che sa di te cose che io potrò solo immaginare… al di là del fatto che ci sia stato un contatto fisico tra voi o meno (che potenzialmente potrebbe avvenire da un momento all’altro), è l’idea che ci sia qualcuno così speciale per te che non sopporto, riesci a capire? Mi sento meno importante… Molto meno importante…»

I suoi occhi s’incupirono e abbassò lo sguardo ritirandosi nel protettivo silenzio che lo contraddistingueva, in attesa della mia replica.

«Tu, meno importante? Emile tu non hai nemmeno idea del posto che occupi nel mio cuore e nella mia vita!  Stè è mio amico, gli voglio tantissimo bene e non potrei mai vivere senza la sua presenza accanto a me, ma tu… tu sei tu salame, tu hai un posto nel mio cuore che nessun altro potrà mai ricoprire! Stè potrà anche aver vissuto momenti che tu non vivrai mai con me, ma è altrettanto vero il contrario e quello che sento quando mi sei accanto, quello che vivo con te, non potrò averlo mai con nessun altro al mondo, stupido zuccone! E sta’ sicuro che fra me e lui non ci sarà mai nulla di romantico!»

Rimanendo col il capo abbassato lo vidi fare un sorriso sottile, prima di replicare: «Dovrei avere più fiducia in te, vero? Sono davvero uno stupido…»

Ricordai le parole che mi aveva detto Sofia il giorno prima: “Io non ferirei mai una persona cara per il mio compagno, invece quel tipo sembra trovare gusto ad infierire su Stefano” e ripensai al malumore che il comportamento di Emile causava all’interno del mio gruppo di amici… Ripensai all’ondata di gelosia che mi aveva travolto poco prima…

«Sì, sei stupido, ma lo sono stata anche io poco fa e forse davvero ti ho capito un po’ di più… Però non voglio assolutamente che Stè debba risentirne. È una cosa tra me e te e vedere voi due che litigate mi fa soffrire Emile, non voglio che si creino malumori tra le persone che amo.»

Nonostante non mi piacesse vederlo caricarsi di sensi di colpa nei mei confronti, pensai che giocarmi quella carta avrebbe potuto farlo desistere dal manifestare quello stupido risentimento, che creava solo dissidi inutili. Emile alzò lo sguardo verso di me e mi accarezzò il viso con dolcezza:

«È questo che è accaduto ieri? Si sono lamentati del mio comportamento verso Stefano?»

Non volevo farglielo sapere, ma non riuscii a negarglielo con lo sguardo.

«Non voglio farti soffrire, cercherò in tutti i modi di trattenermi, sperando che mi passi questa stupida gelosia.»

Mi avvicinai a lui e lo strinsi a me, ricordandomi di un particolare che forse, avrebbe potuto cogliere il segno in quel momento.

«Lucien ti ha difeso: sembra che ti capisca e ti vuole bene…» Lo sentii irrigidirsi, ma non si staccò dalla mia stretta.

«La causa Pro-Lucien continua imperterrita!»

Il suo tono era ironico, non sembrava adirato per aver messo in mezzo quel discorso spinoso e ne approfittai per renderlo più leggero possibile: sorridendo ci scherzai su.

«Mi conosci, quando mi sta a cuore qualcosa, sono una testa dura.»

«Già…» restammo in silenzio per qualche secondo, e poi aggiunse: «Tra due giorni saremo tutti e tre a casa: mio padre ha le ferie ed io non devo andare in bottega… che ne dici di venire a pranzo ed aiutarmi a sopportare la vicinanza di quel tipo?»

 

 

*****

 

Ovviamente colsi l’occasione al volo: fortuna volle che avessi il turno serale a lavoro, così potei cogliere la richiesta d’aiuto di Emile. Dal canto suo, il mio Pel di Carota non rimase con le mani in mano quel giorno: appena mi svegliai trovai un suo sms che mi avvertiva che aveva una riunione col produttore… e con Claudio… e che non sapeva nemmeno se sarebbe rientrato per pranzo. Gli risposi che sarei stata ugualmente a casa sua ad attenderlo e sperai che tutto andasse per il meglio, che l’incontro tra loro non degenerasse…

Quel giorno avevo il desiderio che tutto andasse bene e mi diedi forza cercando di essere al meglio di me: indossai un completo che mi faceva sentire bene con me stessa e piena di buone speranze, mi diressi verso il mio pranzo in famiglia in casa Castoldi.

Arrivata a destinazione, bussai alla porta di casa e venne ad aprirmi Lucien:

«Bonjour, Pasi.» Mi accolse con un bellissimo sorriso a cui risposi di rimando.

«Ciao Lucien, vedo che ormai ti sei ambientato totalmente!»

Il cugino di Emile era con noi da una settimana e in quell’arco di tempo sembrava essersi messo del tutto a suo agio in quel luogo a lui estraneo:  era bello vederlo muoversi con sicurezza in quella casa, come se ne fosse un abitante da sempre, sottolineava maggiormente la sua appartenenza a quella famiglia.

«Oui, del resto ho avuto molto tempo per ambientarmi.»

Eh già, se non c’ero io a fargli compagnia o Alberto quando non lavorava, Lucien era praticamente lasciato solo a se stesso…

«Emile non ha dato segni di avvicinamento, vero?» dissi sconsolata «No…. Ma non preoccuparti Pasi, è normale, mon cousin è un tipo trés difficile…»

Sentendo quelle parole, mi venne in mente il discorso che fece sulla spiaggia, sui caratteri difficili della sua famiglia e osai dare voce ad un pensiero che risiedeva nella mia mente da quel giorno:

«Lucien, io, ecco vorrei chiederti una cosa… ma ultimamente mi sono resa conto di essere stata invadente con le persone e non vorrei sbagliare in quel modo anche con te… Quindi se non vorrai rispondermi lo capirò.»

«Parla pure Pasi, cosa c’è?»

«Ecco… l’altro giorno, in spiaggia, hai detto che nella tua famiglia ci sono persone con lo stesso carattere chiuso di Emile…»

«Oui.»

«Ecco… mi chiedevo se…»

«Continua pure.»

«Mi chiedevo se questo ti facesse soffrire, perché ho visto una certa rassegnazione nei tuoi occhi e ho pensato che forse avessi qualche problema in famiglia.»

Ecco l’avevo detto, Pasi l’Impicciona colpiva ancora. Lucien però non sembrò irritato, anche se vidi il suo volto incupirsi.

«Notre famille est difficile… non sto qui a dirti tutto altrimenti impiegherei delle ore per farlo, però diciamo che non è facile vivere nella stessa casa con mia madre… Maman ha sofferto molto ed è aggressiva con tutti perché non vuole soffrire più… Non è un orco, sia chiaro: sa amare, ma lo fa in modo troppo morboso… almeno con noi figli. Un anno fa ho preso un appartamento, ma non ci abito sempre, perché se lasciassi casa all’improvviso, lei ne soffrirebbe troppo;  allora ci vado quando ho bisogno di staccare un po’ e sentirmi più libero… Sono abituato alle sfuriate Pasi, ecco perché quelle di mon cousin non mi offendono. È un modo di esprimere se stessi anche quello.»

Rimasi senza parole: come faceva ad essere così calmo e  comprensivo con una situazione così tormentata a casa? Ci si può abituare anche alle sfuriate? Forse per amore di una madre sì… Ma allora perché io non mi abituavo al modo in cui mi trattavano i miei genitori?

«Non ti nascondo però che certe volte, sento il bisogno di fuggire… forse anche per questo motivo sono venuto qui e mi piace stare con Oncle Albert.»

A quella frase sorrisi automaticamente: «Sì è vero, Alberto rende l’aria che respiriamo calda e accogliente, è la persona migliore che io conosca! A proposito, ma dov’è ora? Non dovrebbe essere in casa?»

Lucien mi guardò sorridente: «Oui, è in casa, era occupato perciò sono venuto moi ad aprire.»

«Occupato? Allora sta armeggiando in cucina!»

Avevo già l’acquolina in bocca al pensiero delle prelibatezze che cucinava Alberto, stavo per dirigermi in cucina quando Lucien mi bloccò con le sue parole.

«No, non è in cucina, vieni ti accompagno da lui.»

Il cugino di Emile oltrepassò la cucina, oltrepassò il sottoscala e continuò il suo cammino: l’unica stanza rimasta su quel tragitto era nel retro: l’ex serra, il laboratorio… E fu lì che arrivammo… Ed io ebbi una visione che non avrei mai pensato di avere: Alberto era in piedi, con un camice addosso, intento a dipingere!

Era talmente assorto da non essersi nemmeno reso conto del nostro ingresso ed io ero così sorpresa, da essere impossibilitata a parlare.

«Oncle Albert, Pasi è venuta a trovarti.»

Il padre di Emile si girò di scatto come se fosse stato risvegliato di colpo da un sogno e mi guardò mostrando uno dei suoi meravigliosi sorrisi:

«Bambina mia, che piacere vederti!» Mi venne incontro per abbracciarmi ed io incurante di quel camice sporco mi strinsi a lui felice più che mai.

«Stai dipingendo!»

«Sì piccola, oh, che ho combinato! Avevo dimenticato di avere il camice sporco addosso! Cambiati che ti lavo subito quei vestiti!»

«No ma che dici, non preoccuparti, me li lavo io.»

«Assolutamente no! Bisogna lavarli subito altrimenti il colore non andrà via, su forza, cambiati.»

«Ma non ho vestiti con me!»

«Ce ne sarà pure qualcuno in giro! Altrimenti te ne do uno di ma chère.»

«Alberto non preoccuparti, voglio vedere il tuo dipinto ora, al diavolo i vestiti!»

In verità l’idea di aver rovinato quella gonna e quel top non mi piaceva affatto, ma in quel momento il desiderio di vedere cosa stesse dipingendo Alberto, per la prima volta dopo vent’anni, fu più forte di qualsiasi cosa.

«Sono decisamente fuori esercizio e considera che sono anche all’inizio… Spero comunque di riuscire a renderlo come desidero.»

Il dipinto era un ritratto, ma non c’erano foto o modelli accanto da copiare, perché sicuramente Alberto conosceva a menadito tutti centimetri del viso di sua moglie. Claudine era ritratta in tutta la sua persona, mentre camminava allegra in un campo di fiori mosso dal vento, l’intero corpo era ancora abbozzato, ma lo schizzo del viso era già stato ricoperto da una prima mano di colore: i suoi capelli castani ondeggiavano al vento, coprendo parte del suo viso, ma non abbastanza per celare la sua espressione felice e serena, la luce vitale degli occhi e un sorriso dolcissimo e pieno di amore. Quel ritratto mi commosse: c’era tutto l’amore di Alberto, c’era la donna che lui amava, la donna che era stata, quella donna unica che lui avrebbe sempre avuto nel cuore.

«È bellissimo!» dissi con quel fil di voce che il magone mi permetteva «Claudine sarebbe fiera di essere stata ritratta così!»

«Grazie, bambina mia. È strano tornare a dipingere dopo vent’anni di pausa, ma stamattina mi sono svegliato con la voglia di farle un ritratto: Claudine mi ha fatto da modella molte volte… ma ogni volta non riuscivo a concentrarmi troppo sul dipinto, non so se mi spiego!» Fece una delle sue risate allegre e maliziose, mentre il mio volto prendeva fuoco al pensiero di Alberto che dipingeva la moglie in una versione casalinga di Jake e Rose in Titanic! 

«Dipingere la persona che ami è un’impresa difficile ma anche la più gratificante, è un omaggio a ciò che lei rappresenta per te, un omaggio a ciò che riesce a lasciarti dentro, al modo in cui la tua vita muta drasticamente per il solo fatto che lei è lì con te… glielo dovevo.»

Quanto amore traspariva dalle sue parole! Quel dipinto era una dedica silenziosa all’amore che li aveva uniti, era un omaggio a tutto ciò che avevano condiviso in quegli anni, a tutta la loro storia… Era un messaggio d’amore, che riusciva ad emozionare anche chi non aveva vissuto con loro quel sentimento. Commossa dalla profondità dei sentimenti di Alberto, gli passai un braccio intorno alla vita e mi appoggiai al suo braccio: aveva trovato un modo encomiabile per elaborare il suo lutto e mi sentii rilassata e serena a quell’idea, inoltre ero sicura che quel dipinto una volta ultimato, sarebbe stato una gioia per gli occhi, ma anche per il cuore, dei due uomini che più di chiunque altro avevano amato Claudine Flaubert.

«Sì, Claudine sarebbe fiera di te… e lo sarà di sicuro anche Emile!»

Non stavo più nella pelle al pensiero di vedere il volto del mio Pel di Carota nello scoprire che suo padre si era riappropriato della sua arte.

«Grazie bambina mia… ed ora vieni con me e scegliti un vestito!»

 

*****

 

Claudine aveva un guardaroba invidiabile: nel momento in cui Alberto mi diede libero accesso ad armadio e cassetti (dopo mille proteste da parte mia, che sembravo dover violare un terreno sacro), mi decisi ad esplorare tra gli abiti della madre di Emile e scoprii un mucchio di vestiti bellissimi e di gran pregio, tra cui molti abiti da sera, che di sicuro le erano serviti per le serate a cui doveva aver partecipato quando era famosa. Rimasi per quello che mi sembrò un tempo infinito, ad osservare estasiata quel guardaroba, prima di chiudere l’armadio che lo conteneva e cercare qualcosa di molto più semplice e quotidiano. Per mia grande sfortuna però, quando finalmente trovai qualche abito dallo scopo decisamente modesto, scoprii che Claudine era stata sempre una donna minuta… Decisamente troppo magra per i miei fianchi, che non mi permettevano di chiudere nemmeno un abito, o di calzare anche un solo pantaloncino! Da un lato fui sollevata di non dover indossare alcun vestito che fosse appartenuto a lei, ma dall’altro, il mio orgoglio di donna fu terribilmente ferito dalla constatazione di essere “troppo larga”. Scesi sconsolata al piano inferiore, indossando di nuovo i miei abiti e Alberto rimase interdetto.

«Beh? Non c’era nulla che ti piacesse?»

«Oh sì che c’era, c’era un’immensità di roba che mi piaceva… ma a quanto pare, non ho la sua stessa taglia…»

«Ah, a questo non avevo pensato… ero convinto che ti sarebbe andato tutto alla perfezione! Uhm… come posso rimediare, allora?»

«Alberto non preoccuparti, davvero, appena torno a casa li lavo io, non farti altri problemi.»

«Non posso permetterlo bambina, per allora quei colori saranno asciutti e non si toglieranno più dalle fibre, devono essere lavati ora che sono ancora freschi… Allora proviamo tra qualche vestito di Emile, magari scovo qualcosa di più piccolo che può andarti bene!»

«Ma no Alberto, non è il caso…»

«Pasifae, se non vuoi che ti chiami in questo modo da ora in poi, fai silenzio e aspetta qui, mentre cerco qualcosa che possa andarti bene.» 

Detto questo, sparì nel piano superiore, diretto all’armadio di Emile. Tornò dopo poco tempo con un’espressione trionfante sul viso:

«Com’è che si dice? “Conserva che trovi”: ho scovato uno scatolo con gli abiti di Emile di quando era più piccolo, rovista lì dentro e cerca se c’è un pantaloncino e una canottiera che possano andarti bene, ci sarà pure qualcosa che ti entri! Ho messo tutto in camera sua, così non ti sentirai a disagio.»

Sconfitta su tutti i fronti da quell’organizzazione impeccabile, mi diressi verso la mia sfilata casalinga improvvisata.

Per la buona pace mia e di Alberto trovai, come aveva pronosticato lui, una canottiera e un pantaloncino che mi andavano bene, così potei dare al padre di Emile i miei abiti, che finirono dritti in lavatrice, non prima di essere stati pretrattati.

«Per la fine della giornata dovrebbero essere asciutti, così non dovrai tornare a casa tua, vestita così.» Alberto mostrò un viso soddisfatto, mentre io d’improvviso pensai che dopotutto, era piacevole indossare qualcosa che fosse appartenuto al mio Pel di Carota.

 

*****

 

«Sì, Lucien è rimasto con me mentre dipingevo, anche se ero così concentrato da non rendermene nemmeno conto.»

Durante la mia sfilata improvvisata, avevo notato la scomparsa del cugino di Emile, ma presa com’ero dalla sconcertante verità di essere più grossa di Claudine, non mi ero chiesta dove fosse. Una volta trovati gli abiti giusti, scoprii che Lucien era andato a far la spesa, rivelandosi del tutto a suo agio con le strade, nonostante fosse con noi da pochi giorni. Al suo ritorno, ci accomodammo tutti e tre a prendere una bella granita al limone, mentre Alberto e suo nipote mi raccontavano la loro mattinata in comune.

«Da piccolo osservavo spesso ma soeur disegnare: mi piaceva perché non ho alcun talento del genere e l’invidiavo, così quando ho visto Oncle Albert dipingere, gli ho chiesto se potevo restare e sono stato lì con lui mentre lavorava.»

«Ed io ero così concentrato che nemmeno me ne sono accorto! È stato strano riprendere dopo tanti anni e trovare immediatamente la concentrazione, mi è sembrato che fosse trascorso un solo giorno da quando ho dipinto l’ultima volta.»

Era bello sentire quelle parole, ma era ancora più grande la gioia di vedere Alberto felice di aver ritrovato la sua arte: più mi parlava di quella mattinata e più sentivo crescere il desiderio che Emile vedesse il dipinto di suo padre. Sarebbe stata di sicuro una sorpresa bellissima per lui: se io mi ero emozionata, il mio Pel di Carota sarebbe rimasto tutt’altro che indifferente!

Come se fosse stato evocato dai miei pensieri, vidi comparire Emile sull’uscio della cucina: rimase per qualche secondo sulla porta ad osservarci e poi sparì, con un’espressione cupa sul volto.

Mi alzai immediatamente per seguirlo e lo vidi andare nel sottoscala. Quando lo raggiunsi, lo trovai accomodato su un gradino, intento a guardare davanti a lui, verso l’anticamera della saletta.

«Torna pure da loro, eravate un bel quadretto familiare.»

«Sarebbe un quadro più bello e completo se ci fossi anche tu.» mi accomodai accanto a lui e intrecciai la mia mano alla sua e come se fosse servito a dargli coraggio, Emile iniziò a dirmi a cosa stava pensando.

«Abbiamo definito l’accordo.» sentii la sua mano serrarsi sulla mia, «Claudio terminerà le incisioni e sarà con noi durante la tournée.» poggiai la testa sulla sua spalla per dargli conforto, «Ma non avrà nient’altro da me, la sua presenza nel gruppo è limitata a queste due occasioni, sono stato irremovibile in questo!»

«Sono fiera di te.»

«Io no, non lo sono affatto. Ma devo guardare avanti, non posso gettare tutto alle ortiche per un problema personale, quindi cercherò di sopportare e andare avanti… Del resto è una situazione che ho creato io ed ora ne pago le conseguenze.»

«Ce la farai Emile, ne sono sicura, la tua forza di volontà ti farà superare anche questo e dopo potrai andare avanti con i tuoi progetti, senza altri problemi.»

«Lo spero davvero, Pasi…»

«Perché ora non ti distrai un po’ e non vieni su a completare quel quadro? Anzi… a proposito… credo che ci sia qualcosa che tu debba vedere.»

Mi alzai senza staccare la mia mano dalla sua e lo condussi nel laboratorio, dove il quadro di Alberto accentrava la visuale con i suoi colori ancora vivi e freschi. Emile rimase sull’uscio per qualche secondo, con lo sguardo fisso e concentrato sul cavalletto.

«Stamattina tuo padre ha ripreso a dipingere.» Sentii la sua mano lasciare la mia mentre mosse i passi che lo separavano dalla tela. Rimase ad osservare il dipinto e quando mi avvicinai a lui, vidi la commozione nei suoi occhi. Deglutì prima di parlare con voce roca: «Era davvero bella.»

Con un magone improvviso mi strinsi a  lui.

«Sì, era bellissima.» Rimanemmo in silenzio, osservando quella silenziosa  dichiarazione d’amore,  immergendoci nel mare dei sentimenti che aveva scatenato in noi, finché sentii Emile sospirare:

«Andiamo a completare quel quadro, allora.»

 

*****

 

Entrando in cucina, osservammo Alberto e Lucien che conversavano serenamente, mentre pulivano l’insalata e i pomodori e prima che il mio Pel di Carota s’incupisse di nuovo, aprii il discorso sulla tela:

«Alberto, ho mostrato ad Emile il tuo lavoro.»

Gli tenevo nuovamente la mano, sperando che si concentrasse sui sentimenti positivi di quel momento. Alberto rivolse subito lo sguardo al figlio e vidi nei suoi occhi una calma espressione, in attesa di conoscere la reazione di Emile.

«Hai dimenticato i riflessi tra i capelli.»

Il mio Pel di Carota lo guardò con la sua solita espressione canzonatoria, ma i suoi occhi erano ancora lucidi e trasmettevano al padre tutto il suo affetto. Alberto dal canto suo si aprì in un sorriso estasiato prima di rispondergli per le rime:

«Ho appena iniziato ragazzo, dammi tempo e ti faccio un capolavoro!»

Si spostò per prendere un altro bicchiere per la granita e strinse a sé suo figlio con un braccio, poggiando la mano tra quei riccioli rossi così simili a suoi:

«Nessuno la dimenticherà, ragazzo mio.» Emile chiuse gli occhi per qualche secondo e portò una mano alla schiena di suo padre ricambiando quel mezzo abbraccio carico di amore.

«Ora vieni a gustarti questa granita al limone fatta dal tuo vecchio.»

Alberto si staccò e riempì il bicchiere di Emile, che si appoggiò al mobile ad una certa distanza da Lucien e dopo si rivolse a me:

«Pasi, la tua si è sciolta, ne vuoi un altro bicchiere?»

Mi insinuai tra i due cugini, tornando al mio ruolo di ponte di comunicazione tra loro: «Certamente! E dopo faccio anche il bis!»

Cosa che non avvenne, perché il capofamiglia di quella casa ci mise tutti al lavoro, come tante api operaie, per preparare il nostro pranzo estivo familiare. Solo quando arrivò il momento di accomodarci per mangiare, Emile si accorse di un particolare a cui non aveva fatto caso prima:

«Pasi, cosa ci fai con i miei vestiti addosso?»

 

*****

 

Il pranzo si svolse in tutta tranquillità: Emile non rivolse spesso la parola a suo cugino, ma non si espresse nemmeno in termini aggressivi, anche se tendeva ad usare il suo solito tono acido… Che cercavo puntualmente di smorzare con qualche pizzicotto vagante diretto ai suoi fianchi! Era seduto accanto a me e di fronte a lui c’era suo padre: entrambi monitoravamo il suo atteggiamento, cercando di tenere sotto controllo quella testaccia dura che si ritrovava.

Ma avevo capito dal suo invito, che il mio Pel di Carota stava, seppur in modo riluttante, tentando di abbassare il muro difensivo, per permettere a se stesso e Lucien di conoscersi un po’.

A fine pranzo, Alberto ebbe un’idea geniale: lasciando i piatti sporchi per un po’ a se stessi, tirò fuori da qualche recesso di quella casa, un gioco da tavolo da fare a squadre e arbitrariamente decise che avrei giocato con lui, lasciando i due cugini nello stesso team!

Fui felicissima di quella trovata, anche se avevo una certa ansia all’idea di dover lasciare quei due insieme, senza poter fare da intermediaria… Ma dovevo pur dar fiducia ad Emile, se mi fossi sempre messa in mezzo non avrebbe mai avuto modo di relazionarsi direttamente a Lucien e quest’ultimo d’altronde, non sembrava ancora esasperato dal comportamento rabbioso di suo cugino.

Quando Alberto mi scelse in squadra con lui, vidi Emile rivolgergli un’occhiata intensa carica di significati: c’era sorpresa, fastidio, probabilmente anche un po’ di rabbia nei suoi occhi… ma vidi anche una luce di divertimento, che si trasformò in un sorrisetto ironico di chi ha capito i movimenti dell’avversario. Vidi una luce di sfida negli occhi di Alberto e capii che la vera partita la stavano svolgendo quei due silenziosamente, prima ancora d’iniziare a giocare.

Quel gioco da tavolo, che doveva avere almeno vent’anni e che proveniva dalla Francia, era una specie di gioco dell’oca, che riservava molti modi d’interazione tra i partecipanti: i membri della stessa squadra spesso erano chiamati a cooperare, si trattasse di comprendere il titolo di un film da un disegno, stile “Pictionary” o di riunire una serie di versi di un testo classico, o un breve puzzle da ricomporre… Ce n’era per tutti i gusti e mentre io e Alberto trovammo tra di noi un’intesa perfetta, Emile e Lucien faticarono un po’ per capirsi, ma il mio Pel di Carota non perse mai la pazienza e ad un certo punto, riuscii persino a vedere un’occhiata d’intesa tra i due cugini!

Emile giorni prima, mi aveva ridotto il cuore in pappa dicendomi di essersi re-innamorato di me; in quel momento provai una sensazione simile nei confronti di suo padre: Alberto aveva trovato un modo splendido per avvicinare suo figlio e suo nipote e l’affetto e la stima profonda che sentivo per quell’uomo, crebbero a dismisura dentro me, quel pomeriggio.

Non c’era nulla da fare: quei due Castoldi, mi avevano definitivamente rubato il cuore!

 

E qualche ora più tardi, quando giunse per me il momento di andare a lavoro, il più grande tra i due ladri, si ritrovò con aria mortificata a scusarsi nei miei confronti…

«Non sai quanto mi dispiace bambina!» … perché le macchie di colore non erano andate via con il lavaggio, lasciando delle tracce indelebili sui miei vestiti.

«Ma no, Alberto! Sono stata io ad attendere, tu me l’avevi detto che dovevo cambiarmi subito, quindi la colpa è solo mia! Vorrà dire che ne approfitterò per fare un po’ di sano shopping!»

In realtà mi piangeva il cuore a vedere quel completo rovinato, ma come avevo appena detto, me l’ero cercata io e del resto, la gioia di vedere Alberto davanti ad una tela, valeva anche il sacrificio di quegli abiti! E poi tutto sommato, non era detta l’ultima parola, potevo escogitare ancora qualcosa per salvarli.

«No, no, devo assolutamente sdebitarmi con te, non posso accettare di averti causato un simile danno!» Alberto sembrava irremovibile, ma la sua ansia di riparare al danno, mi riportò alla mente la stessa convinzione che aveva avuto Emile, nel volermi ripagare quando rimasi la prima volta accanto a Claudine: ora capii da chi avesse preso quel suo senso così forte di onore e rispetto.

«Siete proprio due testardi!»  

Mi ritrovai a dar voce ai pensieri e Alberto non comprese quell’affermazione: «Eh?»

«No, nulla, non farci caso… volevo dire che tanto già lo so che qualsiasi protesta da parte mia sarà inutile, giusto?»

«Esatto bambina, quindi preparati all’idea che sarai ripagata.»

Alberto mi rivolse un sorriso rassicurante e deciso e davanti a quella risolutezza, depositai le armi, seppur inutili, che potevo avere per contrastare quella presa di posizione.

 

*****

 

Ritrovandomi senza gli abiti pronti per andare a lavoro, Emile decise di accompagnarmi a casa, per far sì che potessi cambiarmi, senza dover andare in giro con il completo macchiato di colore, o anche peggio, con i suoi vestiti di quand’era ragazzino!

Mi accompagnò fin davanti alla porta di casa e mentre armeggiavo con le chiavi, sentii le sue mani sui miei fianchi e la sua voce sussurrante dritta nell’orecchio:

«Sai che non sei affatto male, con i miei abiti?»

Sentii le sue labbra tracciare dei marchi infuocati sul mio collo e di colpo le chiavi mi caddero di mano: «Emile… devo andare a lavoro…» la mia voce non era affatto convinta, ma il mio cervello aveva ancora un angolo di razionalità attivato, che mi permise di ragionare ancora…

«Lo so…» …ma non avrei scommesso sulla sua durata.

 «…per questo ora scenderò e ti aspetterò giù in auto: ti accompagno a lavoro, così non farai tardi.»

Dopo avermi dato un bacio  che mi tolse tutta la poca voglia di fare la brava ragazza diligente, si staccò da me, con un sorrisetto soddisfatto sul viso e iniziò a scendere le scale, lasciandomi come un’idiota davanti alla porta di casa. 

 

 

*****

 

 

«Testarossa, hai pensato dove andare in vacanza?»

«In vacanza?»

«Sì, in vacanza… hai presente: spiaggia, amici, niente lavoro?»

«Sì sì, certo, ma non ho capito perché ti viene in mente ora e qui.»

Era trascorso un po’ di tempo dall’ultima volta in cui io e Stè eravamo andati a trovare Simona, così appena ci ritrovammo di nuovo un pomeriggio libero, ne approfittammo per riprendere quell’abitudine.

«Beh, perché ormai siamo in pieno periodo estivo e dovremmo pur pensarci… Chissà gli altri che hanno in mente di fare…»

«È vero, non mi ero nemmeno resa conto che fosse giunto il momento delle vacanze… e pensare che fino all’anno scorso non vedevamo l’ora che giungesse questo periodo!»

«Eh già… però devi mettere anche in conto, che in un anno sono cambiate un po’ di cose…»

Testa di Paglia aveva pienamente ragione, erano cambiate così tante cose in nemmeno un anno: non eravamo più studenti delle superiori, il cui nostro unico pensiero era studiare per superare le interrogazioni e nel mio caso, avevo stravolto così tanto la mia vita, che se solo riportavo la mente a quella che ero stata dodici mesi prima, mi sembrava di pensare ad un’altra persona.

«Hai ragione Stè, quante cose sono cambiate!»

«Quindi mi sembra doveroso farci una vacanzetta tutti insieme come al solito, non credi?»

«Verissimo!»

Sorrisi all’idea di trascorrere le ferie con i miei amici in tutta serenità, ma subito dopo pensai alla giornata in spiaggia di qualche giorno prima e mi resi conto che c’era un problema di fondo, che comprendeva parte di quei cambiamenti che mi avevano sconvolto la vita…

«Che c’è Testarossa? Ti sei rabbuiata all’improvviso… si tratta di Emile? È compreso anche lui nel gruppo, non volevo mica lasciarlo a casa!»

 Sarebbe stato bello avere anche il mio Pel di Carota con noi, ma allo stato attuale delle cose, avevo forti dubbi sulla sua presenza…

«Stè… io volevo parlarti proprio di questo…»

«Delle vacanze? Non vieni?»

«No, non si tratta delle vacanze… ma di Emile… e di come si comporta con te…» 

Chinai il capo, incapace di affrontare la sua reazione alle mie parole «Non è stato gentile con te l’ultima volta e mi dispiace davvero tanto, è stato un comportamento che mi ha mandato in bes…»

«Non preoccuparti, Pasi.»

«Eh?» Alzai la testa sorpresa.

«Non è la prima volta che la nostra amicizia crea qualche dissapore, non è vero?»

Il mio legame con Stè, era sempre stato oggetto di contesa con i  miei ex ragazzi e supposi che anche da parte di Testa di Paglia, ci fosse stato motivo di litigio spesso e volentieri con le sue ex compagne, nel vedere l’intesa che ci legava. Ma nonostante tutto il nostro legame era durato e probabilmente, anche in quel caso Stè doveva essere sicuro che il tornado della gelosia sarebbe passato, o almeno diminuito, in qualche modo.

«Sì… è vero.»

«Mi sono reso conto che Emile prova astio nei miei confronti ed è vero che non è piacevole sentirsi addosso le sue battute acide e la sua espressione cupa,  ma ormai sono così abituato a ricevere gli sguardi infastiditi dei tuoi ragazzi, che non ci faccio nemmeno caso!» Fece una breve risata prima di continuare «Anche a me è capitato qualche volta e ho sempre fatto notare alla ragazza di turno, che se io e te avessimo voluto avere una storia, non avremmo certo aspettato tutti questi anni, giusto?» Feci un cenno affermativo col capo «Perciò, finché io e te difenderemo la nostra amicizia, non c’è ragazzo o ragazza che possa infastidirmi, se ne dovranno fare una ragione, prima o poi!»

Mi mostrò uno dei suoi sorrisi più belli e sinceri, poggiando la sua mano sulla mia spalla: commossa da quella manifestazione di affetto incondizionato e dalla fiducia che nutriva nel nostro legame, l’abbracciai forte, sollevata all’idea che il comportamento di Emile non lo stesse ferendo.

A quel proposito, mi venne in mente un particolare: «Sofia ci tiene davvero a te Stè, non l’avrei mai immaginato di sentirla mentre ti difendeva!»

«Sofia ha preso le mie difese? Per la miseria, questa sì che è una sorpresa! Evidentemente il mio fascino colpisce ancora!»  Si fece una grande risata finché non si fermò di colpo «Aspetta un attimo… ma perché ha dovuto difendermi?»

«Ehm…» ma perché non tenevo mai la bocca chiusa?! 

Ero stata così felice che Stè non avesse assistito al battibecco tra me e Sofi ed ora rischiavo di dovergli dire tutto all’improvviso! Sperai che qualcosa d’inatteso lo distraesse e mi salvasse… ma chi poteva mai venire a salvarmi in un cimitero?

«Bonsoir Pasi, bonsoir Stefano.»

Se prima avevo avuto qualche dubbio, in quel momento ne ebbi la certezza: Lucien era un angelo del Signore, sceso dal Cielo per salvarmi la pelle!!

«Lucien! Che bello vederti!»

Gli mostrai un sorriso a cinquantadue denti e lo sguardo più grato di cui fossi capace, prima di abbracciarlo, presa dalla gioia di essermi salvata all’ultimo secondo. Dal canto suo, il mio biondo salvatore rimase  interdetto dalla foga del mio abbraccio, così mi staccai immediatamente, anche perché Stè doveva ancora salutarlo.

«Ciao Lucien! Che ci fai qui? Non è proprio un luogo frequentato dai giovani!»

«Sono venuto a portare dei fiori a Tante Claudine… volevo stare un po’ con lei.»

«Per la miseria ragazzi, come siamo tristi! Chi lo direbbe mai che abbiamo vent’anni, trascorriamo più tempo nei cimiteri che a divertirci!»

 La battuta di Stè era di una verità sconcertante: non ricordavo più quanto tempo fosse trascorso, dall’ultima volta che eravamo usciti con il solo scopo di stare insieme e divertirci, sembravamo davvero dei cinquantenni! 

«Hai proprio ragione Testa di Paglia, dobbiamo organizzare un’uscita, così anche Lucien potrà divertirsi un po’»

Ancora non mi capacitavo di come il cugino di Emile non fosse fuggito via per troppa noia: con il mio Pel di Carota che a stento gli rivolgeva la parola ed io che non sempre riuscivo a fargli compagnia, senza contare che quando accadeva si ritrovava immischiato in discussioni astiose o visite funebri, se fossi stata nei suoi panni, sarei corsa via a casa dopo qualche giorno!

«C’è una band che si esibisce stasera al Dada, potremmo andare a sentirli, che te ne pare? Uhm… sperando che ad Emile piacciano!»

Stè si fece una grande risata ed io mi feci piccola per l’imbarazzo: Testa di Paglia sapeva ridere di tutto, ma quell’argomento era ancora troppo spinoso per me e non riuscii a sentirmi in grado di affrontarlo con la sua stessa leggerezza.

«Beh, se a mon cousin non piacciono, vorrà dire che li ascolteremo da soli.» Lucien mi mise una mano sulla spalla in segno d’incoraggiamento mentre Stè gli dava man forte:

«Sono d’accordo, chi ci ama ci segue, il resto, che rimanga anche a casa!»

Scambiandosi un’occhiata d’intesa, quei due sorrisero all’unisono e mi resi conto che se Emile ci stava mettendo un po’ a legare con suo cugino, Stè aveva accorciato le distanze con Lucien nel giro di un battito di ciglia! Senza contare che erano anche accomunati dall’astio di Emile nei loro confronti… Nonostante quel pensiero amaro, vederli così affiatati mi fece sorridere e mi rese felice: ero sicura che quei due sarebbero andati d’accordo.

«Allora è deciso! Chiamo gli altri, Testarossa, anche se ho seri dubbi che si uniranno a noi… Chiamo anche Sofia, ok?»

«Perfetto Stè!»

 

Ovviamente, Emile declinò l’invito, ma quella volta non avrebbe potuto fare altrimenti: aveva una riunione col produttore per riprendere i fili da dove erano stati abbandonati. C’erano ancora dei brani da registrare, le foto da fare e tutta la grafica dell’album da decidere e dovevano farlo anche alla svelta, per rientrare con i tempi di produzione… Decisamente non avrebbe potuto essere dei nostri, anche volendo!

«Tu, Stefano e Lucien insieme? Avrò seri problemi a concentrarmi stasera!»

«Ma non ci saremo solo noi! Ci saranno anche Rita e Sofi… Fede non ha potuto unirsi a noi, ma gli altri ci sono tutti!»

Eravamo a telefono e non potei vedere l’espressione del suo volto, ma lo sentii sospirare rassegnato:

«Non posso che fidarmi di te… divertiti allora.»

«Lo spero… vorrei tanto che ci fossi anche tu…»

«Pasi, lo sai che proprio ora non posso, anche volendo.»

«Sì lo so, lo so, era solo uno sfogo…  In bocca al lupo per stasera e fallo nero!»

Cercai di non pensare al mio senso di vuoto per la sua ennesima assenza, concentrandomi sull’appoggio che volevo sentisse da parte mia, prima di affrontare Claudio; non era il caso che facessi la ragazzina immatura ed egoista, non in quel frangente!

«Crepi… a domani streghetta.»

«A domani testone.»

 

*****

 

 

Il Dada… sembrava trascorsa mezza vita dall’ultima volta che c’ero stata, quella sera in cui sentii Emile cantare per la prima volta…

 Mi fece uno strano effetto ritornarci: fu come viaggiare nel tempo ma in modo alterato; guardando le pareti di quel locale mi venne in mente tutta l’atmosfera della volta precedente, la folla, la mia sensazione di attesa e lo sconvolgimento totale che subii nel momento in cui sentii la voce del mio Pel di Carota. Ero immersa in quei ricordi con un sorriso estatico sul volto, nel ripensare alla mia inutile lotta interiore, per combattere ciò che stava facendo breccia nel mio cuore. Se non mi fossi lasciata andare a ciò che provavo avrei perso tutto quello che avevo vissuto in quei mesi: avrei perso Claudine, avrei perso Alberto… avrei perso Emile. E avrei perso persino Lucien, che in quel momento mi osservava divertito:

«Qualcosa non va, Pasi? Sembri Siddharta che raggiunge il Nirvana, hai un sorriso estatico sul viso come se stessi ammirando qualcosa che non possiamo vedere.»

Feci un sorriso, pensandomi come un flaccido buddha calvo in atto di perdersi in meditazione.

«Ero immersa nei miei pensieri… e nei ricordi. È qui che ho sentito Emile cantare la prima volta.»

«Ah! Non sono ancora riuscito a sentirlo: è bravo?»

«Sì, è bravo Lucien, è straordinariamente bravo! Claudine sarebbe fiera di lui.»

«Mi piacerebbe ascoltarlo, ma presumo che dovrò attendere che l’album sia messo in commercio.»

«Sarebbe meglio se lo sentissi dal vivo, lo apprezzeresti ancora di più, ne sono certa! Chissà che non si esibiscano prima di iniziare il tour!»

Mi sarebbe piaciuto che Lucien avesse avuto la possibilità di ascoltare suo cugino dal vivo; ero così orgogliosa di lui, volevo che tutti comprendessero il suo talento al meglio delle sue capacità e nei live Emile era inimitabile!

«Piacerebbe anche a me, Pasi… vedremo se ci riuscirò.»

In quel momento percepimmo la presenza di Rita che era appena riuscita ad entrare e aveva ascoltato una parte della nostra conversazione:

«Quanto ti fermi qui, Lucien?»

Il cugino di Emile le stava simpatico: del resto Lucien riusciva ad attrarsi le simpatie di tutti col suo modo di fare pacato e socievole, Emile a parte s’intende, ovviamente…  Persino Sofi sembrava meno acida quando c’era lui! Sembrava avere lo stesso dono di Fede di calmare gli animi e a quel pensiero mi intristii pensando che il mio amico non era dei nostri quella sera, ma aveva avuto un’emergenza in famiglia e non poteva lasciare: i suoi genitori erano via e una delle sue sorelle aveva la febbre e non poteva di certo lasciarla a se stessa, per venire a divertirsi con noi.

«Beh… a dir la verità non so ancora… Oncle Albert mi ha detto che posso restare quanto voglio ed io sono contento di essere qui… quindi non so.»

«Allora rendiamo produttiva questa permanenza!»

Stè arrivò in quel momento e portò un braccio intorno al collo di Lucien: «Visto che sei qui, che ne diresti di fare da insegnante a me e Testarossa? Stiamo cercando d’imparare il francese da soli, ma con un madrelingua sarebbe ancora meglio.»

«Allora hai deciso di torturarlo, Stefano! Dovrebbe avere una pazienza degna di un santo con te e Pasi!» Sofia era arrivata insieme a Testa di Paglia e come al solito, non ebbe alcuna remora a dire la sua, per cui la stuzzicai:  «Sofi perché non ti unisci a noi? Così vedrai quanto siamo bravi io e Stè!»

«Perché non continuiamo il discorso comodamente seduti? Prendiamo posto, prima che si riempia il locale.»

In sua mancanza, Rita faceva le veci del proprio ragazzo riportandoci all’ordine e con tutte le ragioni, dato che stavamo bloccando l’ingresso del locale, quando c’erano ancora alcuni tavoli disponibili per noi e le nostre chiacchiere. Ci accomodammo in un punto un po’ distante dal palco, ma che favoriva la conversazione, almeno finché non si fossero abbassate le luci.

 

Qualche minuto prima che si animasse il palco, mi arrivò un sms e con tutta sorpresa mi accorsi che era di Emile:

 

Sto per entrare nella casa discografica, dimmi che andrà tutto bene.

 

Sentii una stretta al cuore, rendendomi conto che il mio Pel di Carota mi stava chiedendo palesemente un appoggio e ringraziai il Cielo per aver deciso di mettere il cellulare in bella mostra, in modo da sentire l’arrivo di qualsiasi chiamata. Non osai nemmeno pensare cosa sarebbe accaduto, se non avessi letto quella richiesta di aiuto in tempo!

 

Andrà tutto bene, sono lì con te.

 

*****

 

Il gruppo che si esibiva quella sera non era male: trascorremmo un paio di ore in loro compagnia e furono gradevolissime, i volti dei miei compagni erano tutti sereni, persino Sofi si fece trasportare dalla musica andando a tempo con le mani! E quando terminò l’esibizione, Lucien mi gratificò di una confidenza:

«Ho sempre ammirato tutte le persone dotate di talento artistico: mia sorella è abile nel disegno e mio fratello fa teatro… Io sono l’unico a non aver ereditato una tale qualità in famiglia, per questo cerco di dare il meglio di me nelle cose che faccio… Mi sarebbe piaciuto riuscire a creare qualcosa o a trasmettere  qualche sensazione a chi mi ascolta, dev’essere appagante riuscire a trascinare il pubblico, come ha fatto questa bande ce soir.»

Capivo benissimo i sentimenti di Lucien: per anni ero stata la pecora nera della famiglia, che guardava alla sorella amata da tutti e invidiava la sua perfezione agli occhi degli altri. Non doveva essere facile per lui, convivere con due talenti e risultare l’unico “normale” in una famiglia di artisti… Senza mettere  in conto che si ritrovava anche un cugino cantante e uno zio pittore!

«Ti capisco Lucien, anche io ammiro tutte le persone dotate di talento artistico… ma non devi abbatterti, ognuno di noi ha qualcosa di unico in sé; non saremo degli artisti, ma avremo di sicuro tante altre qualità.»

«Oui, c’est vrai Pasi, hai ragione… a proposito, se volete posso darvi davvero lezioni di Francese, tanto non ho nessun impegno.»

Mi guardò sorridendomi sereno e fui felice di riuscire a  farlo sentire utile.

«Sarebbe bellissimo, Lucien! Con te accanto impareremmo di sicuro prima, rispetto a quelle tristi lezioni in DVD!» Mi girai in direzione di Testa di Paglia per dargli la bella notizia:

«Stè, abbiamo un insegnate! Lucien ha accettato di aiutarci col Francese!»

«Lucien, sei sicuro di quello che fai? Non sai a cosa vai incontro!»

«Sofi, ma tu da quando, sai come studiamo io e Stè?»

«Mi basta immaginarlo Pasi, se vi conosco anche un po’ di quanto penso, manderete al manicomio Lucien dopo due giorni!»

«Allora vieni anche tu, assisti a qualche lezione e vedrai quanto siamo diligenti!»

«Non ci penso nemmeno, il Francese lo conosco e non ho intenzione di perdere tempo nel risentire cose che già so.»

«Sophie, veux-tu danser avec moi?» Lucien si era alzato d’improvviso invitando Sofi a ballare con lui, approfittando di una canzone lenta che era in diffusione all’interno del locale, ed ebbe l’effetto di far arrossire Sofi e di zittirla di colpo!

«Eh? N-No… io non ballo.»

«Oh, peccato, allora c’è qualcosa che anche tu non sai fare.»

Lo sguardo di Lucien era gentile, ma quella frase mi sembrò a tutti gli effetti una frecciatina, che riuscì a mettere la lingua lunga di Sofi in un angolo e fece salire di buon grado la mia stima nei suoi confronti: non so se aveva intenzionalmente detto quella frase, per azzerare l’acidità di Sofia o perché voleva solo fare un commento bonario, ma il risultato che ottenne fu grandioso, perché non avevo mai visto Sofi così imbarazzata!

A quel punto Rita d’improvviso si alzò: «Pasi devo andare in bagno, vieni con me?»

Mi guardò con un’espressione complice, che sottintendeva che c’era qualche chiacchierata a quattr’occhi in arrivo e senza obiettare la seguii. Giunte nel bagno, mi trascinò con sé nella cabina e a voce bassa iniziò a parlare con fare confabulatorio:  «Pasi… ho l’impressione che a Sofia piaccia Lucien!»

«COSA???!!!»

Alzai il volume della mia voce senza pensarci: Sofi nelle vesti di una giovane innamorata, non ce la vedevo proprio... e poi mi sembrava che non fosse particolarmente presa dal cugino di Emile!

«Ne sei sicura, Rita? Io non vedo nulla di strano nei suoi atteggiamenti…»

«Rifletti bene: quand’è stata l’ultima volta che è uscita con noi, per sentire un gruppo musicale? Non ti sembra strano che proprio questa volta sia venuta… Occasione in cui casualmente, è presente anche Lucien. E hai notato com’è arrossita, anziché rispondergli per le rime?! Te lo dico io, Sofi si è presa una cotta per lui!»

Rita conosceva Sofi senza dubbio meglio di me e di sicuro sapeva leggere nel cuore delle persone meglio di quanto facessi io... Se i suoi sospetti erano veri, quell’estate si prospettava davvero interessante! Però questo significava anche, che avrei dovuto indagare se Lucien ricambiasse o meno l’interesse nei confronti di Sofi… Avrei dovuto escogitare qualche modo per carpirgli la verità senza farmi scoprire… ce l’avrei fatta? Avevo qualche dubbio in proposito, ma la curiosità di sapere, stava avendo il sopravvento!

Per il resto della serata feci attenzione a tutti gli atteggiamenti di Sofi e Lucien e notai che in effetti, la piccola del gruppo tendeva ad essere silenziosa quando Lucien parlava e non gli rivolgeva la parola che in rare occasioni. Lucien dal canto suo era gentile e cortese come al suo solito con tutti, era quindi difficile cercare di capire se provasse qualcosa di differente verso Sofi rispetto al resto del gruppo… Avrei dovuto organizzare qualche altra uscita, per verificare le teorie di Rita!

 

Impegnata com’ero a carpire i segreti dei cuori di Sofi e Lucien, la serata volò via in un batter d’occhio e senza rendermene conto ci ritrovammo presto a dover rientrare a casa, onde evitare di avere tutti il volto di uno zombie il giorno dopo, per mancanza di sonno. Arrivata a casa mia mi struccai subito, mi misi il mio pigiamino e sdraiata comodamente nel letto, mandai un sms ad Emile, senza nemmeno sapere se fosse sveglio o meno:

 

Com’è andata la serata?  Mi sono appena buttata sul letto… Vorrei tanto averti accanto ora…

 

Lasciai il cellulare acceso, ma dubitavo fortemente che Emile fosse ancora sveglio: quella riunione doveva averlo sfiancato di sicuro, togliendogli tutte le energie! Mi distesi nel letto, cercando una posizione comoda che mi conciliasse il sonno, quando sentii l’arrivo di un sms e di colpo gli occhi si aprirono per la sorpresa:

 

È andata bene, come mi avevi detto tu: sono riuscito a non saltargli al collo. :)  Forse dopotutto, potrò farcela a sopportarlo… Mi manchi anche tu streghetta, appena sarò più libero rimedierò. Sogni d’oro.

 

Presa da un momento di malinconia feroce, baciai il display del mio cellulare fermo su quell’sms e dopo aver mandato la buonanotte al mio amato Pel di Carota, trovai la posizione giusta e mi addormentai.



















_________________________________________________



Bonjour = Buongiorno
Oui = Si
Mon Cousin = Mio cugino
Trés difficile = Molto difficile
Notre famille est difficile = La nostra famiglia è difficile
Maman = Mamma
Oncle = Zio
Moi = Io
Ma chère = Mia cara
Soeur = Sorella
Bonsoir = Buonasera
Ce soir = Questa sera
Oui, c’est vrai = Si, è vero
Veux-tu danser avec moi? = Vuoi ballare con me?




________________________________________________

NDA

Hola mie care, come state? Innanzitutto, vi chiedo perdono per l'attesa, mi rendo conto che questi ultimi capitoli ve li sto facendo sudare, ma è una fatica anche per me, perchè posso dirvi ufficialmente che non ci sono ancora capitoli pronti! Il 27 è in fase di gestazione e spero di poterlo completare al più presto per non farvi attendere troppo, ma siate comprensive se ci saranno ritardi, non sempre ho tempo per mettermi a tu per tu con Pasi ed Emile e non sempre ho l'ispirazione... è una dura lotta, ma ce la faremo!!!
Come vi è sembrato questo capitolo? Personalmente sono legata alla decisione di Alberto di dipingere Claudine, perchè fa parte della prima stesura di questa storia e perchè è stata di forte impatto per me, mentre la scrivevo (sorridevo come una scema xD).
Spero comunque che in generale questo capitolo vi sia piaciuto quanto piace a me ^_^



Angolo dei Ringraziamenti

Cosa posso dire ancora per farvi capire quanto vi adori, e quanto il vostro interesse e la vostra partecipazione a questa storia sia stata importante per farmi andare avanti?
Siete il mio sostegno, e mi donate tanto affetto anche solo chiedendomi "Ma quando pubblichi?" <3
Passo quindi a ringraziarvi tutte tesore mie:

Iloveworld/Fiorella Runco
, la mia tomodachi/beta/madrina, una presenza insostituibile <3
Saretta, Vale
, Niky, Concy, le mie sisters sempre presenti e pronte alla recensione fulminea, che amano i miei bimbi con un trasporto tale da farmi commuovere!
Cicci, Ana-chan ed Ely che mi appoggiano in differita ^ ^
Kira1983, la mia adorata admin, che in un battibaleno si è messa alla pari delle sisters più affezionate <3

ThePoisonofPrimula
,
che oltre ad aver cercato, con pazienza e passione, di dare un volto a tutti i miei bambini, mi ha anche fatto pubblicità permanente sul suo profilo qui su EFP!!! <3 __ <3
Dreamer_on_heart,
anche lei diventata una delle mie sostenitrici più ferrate nel giro di un battito di ciglia *_*

E ovviamente, grazie un milione di volte e sempre di più a tutte voi che avete aggiunto questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
Ai_line, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu, lovedreams, samyolivieri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple, incubus life, princy_94, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, cris325, georgie71, LAURA VSR, myllyje, nickmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, roxi, sel4ever, smokeonthewater, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_

Crescete in continuazione e mi rendete ogni volta più felice e soddisfatta! :D

ARIGATOU GOZAIMASU MINNA!!!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27









 

 

Trascorse qualche giorno da quella sera al Dada e mi resi conto che le cose ad Emile iniziavano a girare per il verso giusto, per il semplice fatto che non lo vedevo più. Stava recuperando il tempo perso dietro i problemi creati da Claudio e tra il lavoro in bottega e le riunioni in studio, comprese di registrazioni, aveva a mala pena il tempo di darmi la buonanotte la sera.

Non era facile per me saperlo così preso e distante, ma a differenza delle occasioni precedenti, ero davvero felice che fosse così impegnato: Emile non poteva vivere senza la musica, non poteva essere diviso dal suo obiettivo e quando lavorava per raggiungerlo era più sereno, più appagato, più forte. Ed era quell’Emile che volevo vedere, quello che aveva il fuoco nello sguardo, quello che non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di raggiungere i suoi propositi. Non volevo più vederlo abbattuto e sconfitto e con l’immancabile senso di colpa nello sguardo: anche se era lontano da me in quelle sere, sapevo che stava lavorando per mandare via quell’aria sconfitta dalla sua anima e ne ero felice. Ed era con quel pensiero che mi facevo forza, aspettando pazientemente il momento, in cui ci sarebbe stato posto anche per me.

Decisi quindi di concentrarmi su altre questioni per non farmi prendere dalla malinconia.

E l’argomento che più mi stava interessando in quei giorni era l’idea di Sofia innamorata. Morivo dalla voglia di sapere se i sospetti di Rita fossero veri, ma non potevo chiedere a Sofi di punto in bianco: “Scusa, ma per caso ti piace Lucien?”; di sicuro stavolta mi avrebbe chiuso la porta di casa in faccia per non aprirla più! Pensai persino di parlarne direttamente con Lucien, ma sarei stata di nuovo una grande impicciona in quel modo…

Mi stavo arrovellando su come comportarmi quando mi venne in mente il mio completo rovinato dai colori di Alberto: Sofia era una perfetta casalinga risparmiatrice e probabilmente avrebbe potuto aiutarmi a trovare un modo di recuperare quei vestiti senza doverli buttare… £ magari nel frattempo, sarei riuscita a carpire qualche informazione dalla mia criptica amica!

Mi congratulai con me stessa per quel colpo di genio e mi diressi da Sofi, approfittando del pomeriggio libero: avevo il turno notturno a lavoro e potevo concedermi qualche ora di svago prima di andare a chiudermi in quella rovente cucina… Lavorare accanto ai fornelli, al chiuso, durante la stagione estiva, non era affatto piacevole e mai come in quei giorni avevo desiderato l’arrivo del freddo!

Quando bussai alla porta di casa di Sofi, venne ad aprire suo padre:

«Oh, ciao Pasi, che piacere vederti qui.» 

Non avendo frequentato quella casa molto spesso, erano state poche le occasioni in cui avevo incontrato quell’uomo, ma ogni volta mi faceva sempre lo stesso effetto. Il padre di Sofia era stato schiacciato dalla vita, era un uomo dall’aspetto minuto e il suo atteggiamento generale era di totale remissività. Il divorzio dalla moglie doveva averlo distrutto e a distanza di tanti anni, ancora non riusciva a riprendersi da quel colpo che doveva aver minato tutte le sue fondamenta. Sofi non amava parlare di lui, quindi sapevo ben poco al riguardo, ma per quello che riuscivo a percepire da quell’uomo, sentivo in lui un carattere remissivo e poco incline alla rabbia e probabilmente sua figlia doveva aver ereditato da lui quel suo modo tranquillo di vivere la vita. Ma Sofi aveva anche una determinazione nello sguardo che invece era totalmente assente in quello del padre, che sembrava voler chiedere scusa al mondo per la sua esistenza. Provai pena per lui e mi chiesi come vivesse la sua vita e come Sofi vivesse quella situazione familiare disastrata… ma sapevo che queste domande non avrebbero avuto risposte, almeno non nell’immediato futuro, se volevo continuare ad avere Sofia come amica.

«Buonasera, c’è Sofia?»

Che domanda inutile, era ovvio che fosse in casa, ma proprio non avevo argomenti con quell’uomo, mi sentivo a disagio con lui.

«Certo, entra pure, Sofia è in camera sua.»

Sorridendo, mi accomiatai da suo padre e mi diressi verso la tana di Sofi, il luogo in cui amava trascorrere le sue giornate. La trovai intenta a leggere: era arrotolata su se stessa, seduta di traverso sulla poltrona in camera in sua,  talmente assorta dalla lettura, da non essersi nemmeno resa conto che fossi entrata! Schiarii  la voce per annunciarmi ma non sortii alcun effetto, allora mi avvicinai riprovando ad annunciarmi ma ottenni lo stesso risultato…

Iniziai a pensare che si fosse addormentata in quella posizione, vinta dal caldo pomeridiano… Allungai una mano davanti al suo viso, spostandola in alto e in basso per disturbarle la visuale e la vidi saltare per la sorpresa:

«Ma che dia… Pasi!!! Mi hai fatto prendere un colpo!»

«Mi sono annunciata due volte, Sofi! Sei diventata sorda per caso?»

«Ma no, avevo  gli mp3 nelle orecchie, vedi?»  Mi mostrò gli auricolari, che stava repentinamente staccando dalle sue orecchie.

«Ah, ecco spiegato perché non mi sentivi! Ma leggi e ascolti musica contemporaneamente?»

«Sì, la musica mi fa da sottofondo per isolarmi da tutto il resto… e dai programmi idioti che mio padre vede in tv!»

«Ah…capito…» Ecco la nota sarcastica puntuale come sempre… iniziavo a preoccuparmi sentendola così gentile e conciliante!

Eppure c’erano dei momenti in cui Sofi sapeva essere davvero una persona tranquilla e pacifica, ma ultimamente stava proprio dando il peggio di sé con l’acidità! Forse derivava dal momento che stava attraversando… ammesso che ci fosse un momento particolare nella sua vita in quel periodo! Mi esplose nella mente il nome Lucien , ma cercai di accantonarlo: ero lì per chiedere un aiuto a Sofi, o almeno quello doveva risultare il motivo principale e non potevo usare la parola Lucien prima di averle chiesto se potesse salvarmi  gli abiti.

«Pasi… perché ogni volta che vieni qui, t’incanti? Inizio a pensare che casa mia sia stregata, non è possibile che riesca ad ammutolirti in questo modo!»  Sofia come al solito mi destò dai miei pensieri e mi affrettai a risponderle:

«Sì, scusami… ero sovrappensiero…»

Mi guardò in silenzio studiandomi per qualche secondo.

«Qual buon vento ti porta da queste parti? Vuoi continuare il discorso iniziato sulla spiaggia?»

Avevo del tutto dimenticato i miei propositi di parlarle di quell’evento! Presa dalla mia curiosità nei suoi confronti e risollevata dalla consapevolezza che Stè non fosse ferito dalle parole aspre di Emile, non avevo più dato peso all’idea di parlare anche con Sofia, in merito a quella spiacevole discussione… Anche se dirle che Stè non era ferito, come lei melodrammaticamente aveva suggerito, poteva essere una piccola rivincita nei suoi confronti.

«Diciamo che è incluso nel pacchetto, ma il motivo principale è un altro: ho bisogno di un aiuto casalingo!»

 

*****

 

«Uhm… questi abiti sono conciati davvero male… hai ridipinto casa?»

«No, non ero io a dipingere… Alberto sta facendo un ritratto di Claudine!» 

Lo dissi orgogliosa e piena di gioia e il mio sorriso doveva essere davvero ampio, perché vidi alleggerire quell’espressione perennemente seria su volto di Sofi .

«Alberto è il padre di Emile, giusto?»

«Sì, è lui e non dipingeva da vent’anni!»

«Capisco… quindi ti sei gettata su di lui, incurante che fosse sporco di pittura e questa è la conseguenza!»

«Sì… ero troppo felice di vederlo dipingere di nuovo e come se non bastasse, stava facendo un ritratto alla donna che amava… l’amore della sua vita… È così romantico!»

Sofi mi guardò interdetta e in seguito abbassò lo sguardo, facendo un mezzo sorrisino: «Sembri una bambina quanto ti entusiasmi per queste romanticherie.»

«E come potrei non farlo, Sofi! Alberto ha un amore così grande, così sconfinato per sua moglie… Anche ora che Claudine non c’è più, lui la porta sempre nel cuore: cosa c’è di più bello e romantico?»

«Ah nulla, certo… Se fossi una persona romantica probabilmente ora starei saltellando per la casa insieme a te, ma non è questo il caso, quindi mi limito ad osservare te e a prendere atto degli eventi.»

Certe volte con le sue parole, Sofi riusciva ad inaridire qualsiasi situazione…

«Scusa un attimo, ma tu non eri quella che ci ha raccontato della leggenda del Filo Rosso del Destino? Non eri quella che sosteneva che alcune persone, sono destinate ad avere un legame per sempre?»

«Quante volte te lo devo dire, Pasi? Sì, è vero che alcune persone sono destinate a legarsi, ma questo non significa che quel legame porterà felicità, o che sia il legame del “Grande ed Eterno Amore”… bisogna essere realistici nella vita, Pasi, i legami di coppia non sono eterni, anzi, sono quelli più fragili in assoluto!»

«Tu non credi all’amore, Sofi?»

Mi venne spontaneo farle una domanda simile, non avevo nemmeno pensato che la sua risposta potesse portarmi a saperne di più su ciò che provava per Lucien (ammesso che Rita avesse visto giusto) e me ne resi conto solo in seguito.

«Credo che uomini e donne siano fatalmente attratti gli uni dalle altre e viceversa, ma non riesco a vedere gioia in questo Pasi: i legami di coppia sono devastanti quando non funzionano e di solito quest’ultimo è il caso più frequente.»

Con l’esempio che aveva in famiglia, di una madre totalmente assente e un padre che ancora soffriva per l’abbandono della moglie, Sofia non poteva che avere un concetto triste e depressivo dell’amore.

«E se ti capitasse d’innamorarti, cosa faresti?»

Probabilmente con quella domanda mi ero giocata le confidenze di Sofia, era un’invadenza non richiesta in un campo del tutto personale, ma eravamo pur sempre amiche e mi aveva detto che avrebbe fatto uno sforzo per aprirsi di più a me… Così sperai in quel dieci per cento di probabilità che avevo, di riuscire ad ottenere una risposta da Sofi, che non fosse un “Questo non ti riguarda”. Vidi però il suo volto irrigidirsi e farsi più cupo… mi sembrò persino che fosse arrossita… Forse Rita non era davvero andata lontano dalla verità!

«Spero che non mi accada… che non accada mai!»

Il suo tono era terribilmente serio e determinato: Sofi aveva paura d’innamorarsi!

In quel momento mi resi conto di riuscire a capirla: prima d’incontrare Emile avevo la sua stessa paura, lo stesso terrore di perdermi in un sentimento che mi annullasse, che mi portasse ad essere chi non volevo e che mi devastasse psicologicamente com’era accaduto nei casi precedenti: Sofia aveva visto in che stato ero, aveva visto la sofferenza di Rita quando lei e Fede si erano lasciati e vedeva il dolore di suo padre da decenni!

«Ti capisco sai? Forse questa è l’unica cosa che ci avvicina davvero: avevo la tua stessa identica paura anche io, ricordi?»

«Sì, lo so, Pasi… ma risparmiami la solfa dell’amore vero che ci salva dalle paure, perché ad essere sincera, io non vedo come un tipo come Emile possa farti davvero felice!»

«Se è per quello, non vedevi di buon occhio nemmeno che Fede e Rita tornassero insieme! E invece guarda come sono felici!»

Ignorai volutamente quell’accusa verso Emile, non volevo litigare di nuovo con Sofi, proprio ora che sentivo una maggiore vicinanza tra noi. Ma la mia amica era un osso duro e sorrise sarcasticamente alla mia ultima frase.

«È troppo presto ora, sono insieme da pochi mesi… I problemi si vedranno col tempo.»

«Sei troppo dura Sofi, io invece credo che questa sia la volta buona per loro… e credo che nel momento in cui incontrerai anche tu la persona giusta, cambierai finalmente idea!»

«Ammesso che esista, questa “persona giusta”… cosa a cui non credo minimamente.»

«Vedrai che quando meno te l’aspetti, ti pioverà dal cielo!» E chissà che non sia già qui!

«Quel giorno allora, me ne starò chiusa in casa!»

«Uffa Sofi, come sei negativa! Essere innamorati non è mica solo sofferenza! È un rimestamento interno  e arrivi a provare cose che normalmente non riusciresti mai a sentire… E la gioia che sa darti il solo pensare alla persona che ami… È vero ci sono momenti di totale sconforto, perché si vive tutto intensamente, anche i litigi e i momenti tristi, ma se il legame che unisce due persone è forte, tutto si supera e dopo ci si sente ancora più uniti di prima! È bello essere indipendenti Sofi, ma è ancora più bello essere in due e sapere che qualsiasi cosa accadrà nella tua vita, avrai sempre almeno una persona accanto, che ti sosterrà in qualsiasi momento.»

«Ci sono gli amici, per quello… sono molto più affidabili loro, di un ragazzo!»

«Proprio non riesco a farti cambiare idea, vero? I ragazzi non sono tutte belve, ne esistono anche di gentili, pazienti e che ti restano accanto… ad esempio, penso che Lucien sia così.»

Mi congratulai con me stessa per essere riuscita ad infilare il nome del cugino di Emile nel discorso, con totale nonchalance: era vero ciò che stavo dicendo e se fossi anche riuscita a carpire qualcosa dalla reazione di Sofi, mi sarei sentita fiera di me come se avessi vinto un Nobel!

«Cosa c’entra Lucien, ora?»

Eccola la reazione che cercavo! La stessa che ebbe quando nominai sua madre… Lucien era un argomento scottante, allora! Rita aveva visto bene!

«Era un esempio, Sofi, non scaldarti… pensa a quanto è paziente con Emile, al fatto che l’abbia persino difeso, nonostante fosse stato trattato male da lui i giorni precedenti… Secondo me, Lucien è una persona che quando vuole bene a qualcuno, fa di tutto per mantenere quel legame.»

«Puoi dire quello che vuoi, ma non m’interessa, il discorso per me è chiuso qui. Vediamo di concentrarci su questi vestiti, ora!»

 

 

Per il resto del pomeriggio, non sollevammo più l’argomento e dimenticai persino di dirle che avevo parlato con Stè. Ero troppo raggiante, perché avevo ricevuto la mia risposta: quella reazione e quel suo voler tagliar corto su Lucien, mi avevano rivelato ciò che le sue parole non volevano fare ed ora non mi restava che sondare l’altra metà della mela, il biondo cugino di Emile.

E mentre io elucubravo piani diabolici d’aspirante Cupido,  Sofi trovò un modo per salvarmi gli abiti: colorarli del tutto! Grazie alla Provvidenza aveva uno di quei coloranti per abiti, che si usano direttamente in lavatrice e si offrì di usarlo sui miei vestiti bianchi, che in quel modo avrebbero ricevuto un omogeneo color  blu notte, nascondendo le macchie dei colori di Alberto ed io avrei avuto due capi come nuovi! Purtroppo non avevo il tempo necessario ad attendere il lavaggio, l’asciugatura e la stiratura, così le lasciai in consegna il lavoro, ringraziandola ripetutamente e promettendole di tornare al più presto per recuperate i miei vestiti.

 

*****

 

Purtroppo il mio buonumore si spense nel momento in cui iniziai il mio turno lavorativo.

«Oddio che caldo qui dentro!»

Ogni giorno era peggio, lavorare al chiuso di una cucina d’estate, era un vero e proprio incubo. Poco aiutava il fatto che fosse sera e che il sole fosse calato, il calore accumulatosi intorno ai fornelli e alle friggitrici non aveva modo di andare via, perché l’aria esterna era troppo calda per dissipare quella interna e non aiutava nemmeno il fatto che in quella cucina, l’unica finestra fosse piccola e posta in alto, ovvero inavvicinabile per la sottoscritta! L’unica soluzione era quella di mantenere la porta di servizio aperta, ma con l’andirivieni di auto che c’era all’esterno, non era una condizione fattibile, a meno che non volessimo ritrovarci qualche estraneo all’improvviso nelle cucine! Di conseguenza, non ci restava che sudare e sperare che la serata terminasse il prima possibile.

«È infernale il caldo in questa stanza, come diavolo fate a rimanerci?»

«Secondo te? Dobbiamo rimanerci, si chiama lavorare!»

Serena era l’unica in tutto quel locale, che aveva la capacità d’irritarmi a morte: era una delle cameriere, ma probabilmente, era l’unica a non aver capito come fare il suo lavoro: perdeva quasi tutto il tempo a parlare con i clienti, con il risultato che le sue ordinazioni erano sempre quelle più in ritardo e caotiche. Eppure era ancora lì a lavorare, perché la ragazza era provvista di tinti capelli biondi e ricci e di un “airbag” personale che rendeva le sue argomentazioni davvero interessanti agli occhi dei clienti, che raramente si lamentavano del servizio. Senza contare che il nostro datore di lavoro, dimenticava presto le mancanze della sua sottoposta. E mentre lei ogni giorno faceva la sua sfilata di moda e intratteneva il pubblico pagante, io e i miei poveri sfigati colleghi, sgobbavamo in quell’inferno fatto di patatine fritte e hamburger di tutti i tipi… Mai una volta che chiedessero le insalate!

«Come sei acida stasera, Pasi! Hai problemi con il tuo ragazzo, forse?»

«Cosa?»

Mi girai con sguardo furente verso quella babbea che osava fare certe insinuazioni… Già dovevo patire il caldo in quel modo infernale, ci mancava solo che mi ricordasse quanto mi mancasse Emile!

«Uhm, mi sa che ho centrato in pieno il problema, eh? Meglio che me ne vada!» Serena si diresse verso la sala con un sorrisetto soddisfatto e si chiuse la porta della cucina alle spalle, lasciandomi  sola con la voglia di metterle le mani al collo.

«Quell’oca giuliva! Solo lei e le sue insinuazione stupide ci volevano, oggi!»

«Pasi, penso che tu debba fare un disegnino a Serena per spiegarle cosa significhi lavorare, quella ragazza  è capace solo di fare pettegolezzi.»

«Sarebbe inutile, Stella, non capirebbe nemmeno quello!»

«Hai ragione, è un caso disperato, per fortuna non  dobbiamo lavorarci insieme più di tanto, pensa ai poveracci che hanno a che fare con lei, in sala!»

La mia collega aveva pienamente ragione: io, lei e Paolo lavoravamo al sicuro in cucina e anche se era un inferno in quel periodo, non era paragonabile al lavoro in sala, soprattutto per quelli che dovevano accollarsi anche i tavoli che Serena dimenticava puntualmente di servire!

«Perché vi accanite sempre contro quella ragazza? Siete proprio due perfide.» 

«Oh andiamo, ma se nemmeno tu la sopporti!  Oppure ho perso qualche news?»

Paolo era uno di quei tipi felicemente singles, che si godevano tutti i privilegi del caso. In poche parole, ogni scusa era buona per portarsi a letto una nuova ragazza e iniziavo a pensare che Serena fosse entrata a far parte della lista.

«Beh, in effetti è meglio se chiude la bocca, ma ha altre doti non indifferenti.»

«Che ti dicevo io, Pasi? Non se ne salva una! Siamo rimaste solo io e te, ormai.»

«Che ci posso fare, scusate? Le ragazze sono belle e mi piacciono e finché anche io piacerò loro, che male c’è se ci divertiamo un po’?»

«Ordinazione in arrivo, ragazzi!»

Stella interruppe il nostro battibecco, vedendo arrivare un’ordinazione che ci riportò subito al dovere, ma nel frattempo Serena tornò in cucina per prendere altro ketchup e iniziai sospettare che quella nuova celerità fosse dovuta ad  un suo improvviso interesse nel tornare il più possibile in quella stanza… Avevo paura che nelle prossime sere non ce la saremmo tolta di dosso! E infatti la vidi muoversi in modo sinuoso intorno a Paolo lanciandogli occhiate languide, prima di tornare in sala: il mio collega le lanciò un bacio volante ed io tornai al mio dovere disgustata.

«Sei caduto davvero in basso, avrà anche mille doti nascoste, ma è così irritante! Mi vien voglia di strozzarla ogni volta che la vedo!»

«Potrei pensare che tu sia gelosa.»

«Io? Ma fammi il piacere! Sono felice per conto mio e non ho certo bisogno di venire ad elemosinare le tue attenzioni, né di dividerti con Serena

Calcai la voce con un tono di disgusto, sull’ultima parola: se anche lontanamente, Paolo fosse stato il mio tipo e non fossi stata impegnata con Emile, il solo pensiero che fosse stato con quella bionda monocellulare, mi faceva passare qualsiasi voglia di farci alcunché.

«Ah già, dimenticavo, tu hai il tuo Emile!»

«Ora il geloso sembri tu!» Stella intervenne al momento giusto, con quella battuta che mi salvò dal saltare addosso a Paolo: evidentemente Serena gli faceva un brutto effetto, perché non si era mai rivolto a me con lo stesso tono canzonatorio che avevo sentito nella voce della bionda poco prima; era già la seconda volta che si metteva in mezzo Emile quella sera e già non ne potevo più!

«Geloso, io? Assolutamente no, non so nemmeno se esiste questo tipo.»

«Cosa diav...»

Mi stava facendo davvero alterare e se non fosse stato per l’intromissione tempestiva di Stella, avrei davvero attaccato Paolo e le sue insinuazioni da quattro soldi!

«Calmati Pasi e mettiamoci al lavoro, altrimenti faremo tardi con le ordinazioni.»

Per fortuna il lavoro ci assorbì per tutto il tempo susseguente e gli irritanti discorsi su Serena ed Emile non furono più aperti. Dal canto mio, evitai altri commenti ogni volta che  quella tipa entrava in cucina e cercai di ritrovare il mio buonumore andato a farsi friggere insieme alle patatine, pensando al nuovo aspetto di Sofia che avevo visto nel pomeriggio.

Era bello saperla interessata a qualcuno ed ero davvero felice che quel qualcuno fosse Lucien, speravo che ciò che le stava nascendo nel cuore sarebbe stato capace di darle una nuova speranza nel futuro, che le riportasse il sorriso sul viso. Una parte di me mi stava dicendo che m’impicciavo troppo, ma l’altra era così felice, così speranzosa di vedere Sofia finalmente felice e serena, che non riuscivo a darmi una calmata, così mi dissi che quella notte, avrei potuto anche concedermi di far spaziare la fantasia, un po’ per distrarmi e un po’ per crogiolarmi nell’idea di Sofi innamorata. L’indomani avrei cercato di moderarmi, ma quella sera avevo bisogno di una buona notizia per sopportare quelle ore infernali.

«Pasiiiiii, allora mi vuoi sentire?»

Possibile che nemmeno Sofia riusciva a vincere la voce irritante di Serena? Cosa diavolo voleva da me ora? «Cosa c’è!? Si può sapere che ci fai di nuovo in cucina?!»

«Che modi antipatici! Ti sto chiamando da un pezzo, non è colpa mia se non mi senti!»

«Ero concentrata, qui dentro si lavora, se non te ne fossi resa conto.»

Serena incrociò le braccia al petto indispettita: «Mi vien voglia di non parlarti affatto! Se non fosse che aspettano risposte là fuori!»

Risposte? Forse qualche cliente aveva da lamentarsi? Dovevo aver combinato qualche disastro mentre ero sovrappensiero…

«Cos’è successo? Cos’è andato storto?»

«Nulla, spero… per te. Perché anche se tu non mi sopporti, a me non stai antipatica e non ti augu…»

«Serena, devo lavorare, non ho tutto il tempo, dimmi quello che devi e lasciami continuare!» Rimase stupita dalla mia brusca interruzione: mi guardò con astio e con lo stesso tono, finalmente mi spiegò il motivo che l’aveva condotta per l’ennesima volta in quella cucina.

«C’è una, là fuori, che vuole vederti.»

«Vuol vedere me?»

«Sì…»

Vidi Serena assumere un atteggiamento più rilassato.

«L’ho sentita mentre parlava con una accanto a lei che nominava un certo Emile e le ho detto che il mondo è davvero piccolo, visto che è la seconda persona che incontro che conosce un tipo con questo nome… e allora lei mi ha chiesto chi conoscevo io e le ho parlato di te.»

Era spettacolare il modo naturale in cui Serena non manteneva il riserbo sulla vita privata altrui… Chi mai poteva essere, questa tipa che chiedeva di me? E come faceva a conoscere Emile? Del resto dubitavo che fosse un caso di omonimia: quanti Emile potevano esserci nei dintorni? Morivo dalla curiosità di sapere l’identità di questa sconosciuta, ma non era il momento adatto per fare nuove conoscenze.

«Io sto lavorando ora, non posso fermarmi per parlare.»

«Allora le dico di passare all’esterno e di bussare alla porta di servizio.»

Senza nemmeno sentire la mia replica, Serena uscì dalla cucina, decisa a farmi incontrare la Donna del Mistero.

«Visto che non è un orco? Serena sa essere anche gentile, quando vuole.» Paolo fece un sorriso soddisfatto verso di me.

«Tu sei di parte, sono gli ormoni che parlano per te, ora!»

Tuttavia, nonostante la mia risposta, dovevo ammettere che quella ragazza insopportabile, non era poi così insopportabile… Forse ero stata precipitosa nel giudicarla… forse.

 

Trascorsero una decina di minuti e della tipa misteriosa non si sentì più parlare e presa dal lavoro, me ne dimenticai totalmente. Ma dopo un paio d’ore (o almeno credetti che fosse trascorso quel lasso di tempo), quando la cucina fu finalmente nella fase calante con le ordinazioni, sentii bussare alla porta di servizio.

Io e Stella ci guardammo curiose, mentre Paolo andò aprire guardandomi con un’espressione ironica: ero certa che si aspettasse una scenata del tipo: “Sta’ lontana dal mio Emile” ed io speravo con tutto il cuore che non fosse quella l’occasione, perché iniziavo a temere la portata della mia gelosia.

«Buonasera, cosa posso fare per te?»

Sentii la voce di Paolo in “modalità cascamorto” e compresi che la Donna del Mistero doveva essere una ragazza graziata dalla Natura… ma che evidentemente non era affatto interessata alle avances del mio collega.

«Mi hanno detto che qui potevo trovare la ragazza di Emile Castoldi, è vero?»

Mi precipitai verso la porta, liberando quella tipa dalla presenza ingombrante di Paolo, curiosa come non mai di vedere chi fosse: «Sono io.»

La Donna del Mistero, era una ragazza alta e snella dai lunghi capelli lisci e neri, dagli occhi scuri e da un trucco pesante che s’intonava al suo abbigliamento dark.

«Oh, che piacere conoscerti, Pasi!»

Il suo aspetto cambiò all’improvviso quando, guardandomi finalmente in viso, mi rivolse un sorriso sereno e lieto.

«Io sono Iulia, piacere di conoscerti!»

 Mi affrettai a presentarmi allungando la mano verso quella in attesa di Iulia e rendendomi conto che conosceva già il nome, mi chiesi chi diavolo fosse quella ragazza! Il suo sorriso non presagiva brutte notizie e la scenata tanto attesa da Paolo, ma a quel punto davvero non riuscivo a immaginare chi fosse, perché conoscesse Emile, perché sapesse il mio nome e cosa volesse da me.

«Scusa se ho insistito per vederti mentre lavoravi, ma ho sentito parlare tanto di te e non ho la più pallida idea di quando avremmo potuto incontrarci, così non ho voluto perdere l’occasione!»

Continuò  a sorridermi come se si aspettasse che la riconoscessi, ma evidentemente il mio viso doveva avere l’aspetto di un punto interrogativo, poiché continuò a presentarsi.

«Oh, hai ragione, non mi sono ancora presentata come si deve, immagino che Franz non ti abbia mai parlato di me.»

Franz? CHI diavolo era Franz!?

«Come scusa? Chi…»

«Francesco, il chitarrista dei GAUS; lo conosci, vero?»

Francesco! Ma certo!

Ora iniziavo a vedere la luce in quel buio, ecco perché conosceva il mio nome, Francesco le aveva parlato di me!

«Certo che lo conosco! Lui e Filippo sono una coppia spassosissima, se non fosse per loro in quel gruppo non si riderebbe mai!»

«Hai completamente ragione! E scusami se te lo dico, ma ad iniziare dal frontman, sono sempre tutti così seri e pesanti! Per fortuna che il mio Franz non si è fatto influenzare!» 

“Il mio Franz!”: la luce si faceva sempre più ampia, finalmente avevo capito tutto: «Sei la ragazza di Francesco!»

«Risposta esatta!»

Iulia mi sorrise soddisfatta e la vidi armeggiare nella sua borsetta in stoffa: piccola, senza fronzoli e rigorosamente nera.

«Come premio, ti regalo questo.» Mi porse un sacchettino fatto ad uncinetto. «Dovevo consegnarlo ad una mia cliente, ma ha disdetto proprio oggi e visto che ormai ce l’avevo, lo regalo a te. Dentro c’è il mio numero di telefono, mi piacerebbe vederti qualche volta, quindi aspetto una tua telefonata quando sarai libera, se ti va.»

Totalmente senza parole, presi il regalo inatteso e la guardai con l’espressione più sorpresa della terra.

«Ora vado, non voglio farti trovare nei guai mentre lavori, aspetto che mi chiami, ok? A presto.»

Salutandomi con una mano, si allontanò senza darmi nemmeno la possibilità di replicare e per la prima volta in vita mia, rimasi senza parole, sull’uscio di quella cucina.

 

*****

 

Tornai a casa stanca morta: il calore infernale di quella cucina riusciva a debilitarmi più del lavoro in sé e per sé e solo nel momento in cui varcai la soglia di casa, ricordai del pacchetto di Iulia. Ma c’era ancora una cosa da fare, prima di cedere alla curiosità: accesi il cellulare, lasciato spento mentre lavoravo e vi trovai due chiamate perse di Emile. Mi si strinse il cuore per la tristezza: era la seconda sera di fila che non riuscivamo a parlare, perché quando avevo il turno notturno era impossibile riuscire ad essere disponibile, per sentirci prima di andare a dormire.

Senza molte speranze gli feci uno squillo e trovai il cellulare acceso, ma dopo una serie di ulteriori squilli desistetti: se non mi aveva ancora risposto, probabilmente si era addormentato con il telefono acceso e non volevo disturbare il suo sonno. Lasciai comunque il mio cellulare acceso, augurandomi che quella settimana trascorresse il più in fretta possibile in modo da cambiare il mio turno di lavoro e mi decisi ad aprire il pacchetto di Iulia: come aveva detto lei, nel sacchetto c’era un foglietto arrotolato con un numero di telefono, più un ciondolo fatto in uno di quei materiali nuovi, quelle ceramiche sintetiche in cui avevo visto molti bijoux. Aveva un ciottolo in vetro al centro ed era decorato da un disegno astratto che si estendeva in basso con  una serie di intrecci, la pasta usata era rigorosamente nera e il ciottolo sembrava viola. Ricordai la frase di Iulia: “Dovevo consegnarlo ad una mia cliente” e ipotizzai che il ciondolo fosse opera sua, un’altra artista!

Quella ragazza mi aveva incuriosito con il suo modo di fare e mi ripromisi di chiamarla, appena avessi avuto del tempo libero e sicuramente dopo che avessi visto Emile, perché vedendo il display del mio cellulare spietatamente scuro, senza un segno di chiamate, tirai un sospiro di rassegnazione e mi decisi a chiudere quella giornata.

 

 

*****

 

«Pasi che hai, ti vedo pensierosa.»

«Eh? No…non è niente Fede, davvero.» 

Il pomeriggio successivo al mio incontro con Iulia, andai al centro, decisa ad occuparmi un po’ delle mia stanza, che avevo trascurato fin troppo. Decisi di dare una ripulita ed una sistemata sugli scaffali, o meglio, quella era stata la mia intenzione iniziale, perché quando Fede mi riportò alla realtà, mi resi conto di essere rimasta ferma con dei libri in mano per un po’ di tempo.

«Lo sai che non puoi mentirmi, sei pensierosa, c’è qualcosa che ti preoccupa?»

Sapevo di non poter reggere il gioco per molto tempo e del resto, perché mai avrei dovuto? Fede era mio amico e potevo tranquillamente sfogare le mie ansie con lui.

«Sono un po’ giù di morale perché mi manca Emile, anche se da un altro verso, sono al settimo cielo per un’altra situazione… e poi ieri ho conosciuto una tipa strana che mi ha incuriosito…»

«Uhm, la tua vita è movimentata come sempre, eh?» Fede mi fece un sorriso rassicurante, venendomi incontro.

«Coraggio, siediti e dimmi cosa c’è che non va.»

Ovviamente colsi la palla al balzo: mi accoccolai su una delle sedie poste davanti alla mia scrivania, accanto al mio amico e gli raccontai dell’incontro con Iulia e dei due giorni trascorsi senza nemmeno sentire il mio Pel di Carota. Fede mi ascoltò senza battere ciglio e senza alcuna interruzione. Cercai di non accennare alla storia di Sofia, perché volevo esserne sicura prima di spifferare le mie ipotesi al vento, ma avevo dimenticato due particolari che vennero alla luce appena terminai mio lungo discorso: il primo, era che Fede mi leggeva come un libro aperto…

«E quella situazione che ti fa stare al settimo cielo, immagino sia inerente a Sofia.» … e due, se io avevo il ruolo di Sherlock in quella situazione, lui era il ragazzo del mio Watson.

«Rita ne ha parlato anche con te?!»

«Rita sa mantenere un segreto a tutti tranne a me e dato che io non c’ero quella sera, ha sentito il bisogno di aggiornarmi.»

Il sorriso di Fede nel parlare della sua ragazza era dolce e traspariva da esso tutto l’amore, che il mio amico provava per lei: Rita a volte era infantile proprio come una bambina e quel tratto della sua personalità che a molti avrebbe dato fastidio, per Fede era un piccolo difettuccio che la rendeva ancora più bella ai suoi occhi.

«Posso darti un consiglio a questo proposito? Conosco Sofia da anni e so quanto sia riservata, quindi per quanto tu e Rita siate emozionate all’idea che la nostra piccola amica abbia trovato un po’ di tenerezza nel suo cuore, rispettate la sua riservatezza ed evitate di inondarla di domande o di frasi sibilline. Sofia ha un carattere particolare e il vostro intervento non richiesto la farebbe chiudere ancora più in se stessa.»

«Ci avevo già pensato Fede e dato che io e lei abbiamo già dei trascorsi, non voglio intromettermi più di tanto… ho solo cercato di appurare la teoria di Rita fosse vera…»

Terminai quindi il mio lungo discorso, raccontando al mio amico delle conclusioni a cui ero giunta.

«Credo che tu e Rita abbiate visto nella giusta direzione e a maggior ragione, cerca di non esagerare, Pasi.»

«Non lo farò, promesso!» Mi guardò con un sorriso soddisfatto.

«Bene. Per quanto riguarda questa Iulia, non ho granché da consigliarti: se ti va d’incontrala fallo, altrimenti a quanto ho capito, avrai ugualmente modo di conoscerla prima o poi.  Sull’argomento Emile invece, posso solo dirti che dovrai fartene una ragione, perché questa è la vita che vuole fare e ci saranno tanti altri periodi impegnativi come questo, lo sai. A meno che tu non decida di vivere in funzione dei suoi impegni, dovrete trascorrere molti momenti lontani e separati ed è bene che te ne renda conto subito, perché se non ce la fai a sopportarlo, è meglio che chiudiate ora la vostra storia prima, che le cose diventino più complicate e profonde.»

Fede aveva pienamente ragione, ma nel momento in cui aveva pronunciato la parola “chiudiate”, avevo sentito una fitta a centro del mio cuore che mi aveva tolto il respiro per qualche secondo: non era minimamente concepibile per me un’idea simile, anche se razionalmente avrei dovuto considerarla. Ma il mio cuore, da troppo tempo mi diceva che il mio destino era negli occhi di Emile e che qualsiasi fosse stato il problema, l’avremmo superato insieme. Non avrei mai potuto lasciarlo, anche se questo mi fosse costato settimane e settimane sottolineate dalla sua assenza.

«No Fede, ce la faccio, sono in grado di aspettare; probabilmente non mi abituerò mai alla sua assenza, ma so che devo farmene una ragione… tanto posso sfogarmi con voi quando mi manca, vero?»

Gli rivolsi un sorriso carico di speranza, perché l’appoggio dei miei amici, come sempre, era la colonna portante di tutta la mia esistenza e non avrei mai potuto rinunciare a loro.

Fede poggiò la mano su un mio ginocchio rassicurante: «Ma certo, altrimenti che ci siamo a fare?»  

Gli sorrisi grata e in quel momento, pensando all’appoggio che mi aveva appena confermato, mi rabbuiai ricordando l’episodio in cui quel sostegno era improvvisamente venuto a mancare:

«Fede… anche tu  hai una cattiva opinione di Emile?»

Federico era sempre stato, tra i miei amici, quello in grado di gestire gli umori ballerini del mio Pel di Carota ed era anche l’unico che riusciva a parlarci facilmente: avevo sempre dato per scontato che lo capisse, probabilmente anche meglio di quanto facessi io, ma alla luce del discorso di Sofi sulla spiaggia e alla reazione di Rita, avevo iniziato ad avere dei dubbi anche su di lui.

In risposta alla mia domanda, mi sorrise gentile e mi guardò con tenerezza, come si guarda una sorella minore, o un bambino:  «Ti riferisci al discorso sulla spiaggia, vero?»

«Sì… Sofi e Rita mi hanno lasciato intendere che sono d’accordo nel giudizio su di lui… Con Stè ho parlato e non è arrabbiato con Emile, quindi mi chiedevo se anche tu fossi d’accordo con le ragazze, oppure no…»

Ero tesa, temevo il momento in cui mi avrebbe risposto, perché l’idea che il mio Pel di Carota non piacesse ai miei amici era terribile e destabilizzante e lo sarebbe stata ancor di più se anche Fede fosse stato dello stesso avviso, poiché raramente si sbagliava sulle persone. Non riuscivo a vedere Emile nell’ottica di Sofi e Rita, non potevo assolutamente credere che mi facesse soffrire volontariamente, non dopo quello che mi aveva detto, non dopo tutti sensi di colpa che aveva nei miei confronti!

Fede si prese una piccola pausa per ponderare bene la sua risposta e mi guardò con serietà.

«Non è mia abitudine dare dei giudizi sulle persone, perché negli atteggiamenti di tutti c’è sempre un punto di vista buono e uno cattivo e spesso, vediamo ciò che vogliamo vedere, o ciò che è molto più vicino al nostro modo di pensare. È vero anche però, che ho avuto modo di conoscere un po’ Emile e quello che ho capito di lui è che è una persona ferita, che difficilmente si apre agli altri e spesso non riesce a gestire ciò che sente. Non credo che abbia voluto farti del male consapevolmente, il suo attacco era diretto solo verso Stefano e in questo non è stato diverso dagli altri che lo hanno preceduto. Probabilmente Sofia e Rita hanno reagito in quel modo perché sono preoccupate per te, perché vorrebbero vederti accanto a qualcuno meno ombroso e più socievole, qualcuno più simile a te.»

«Quindi non hai una cattiva opinione di Emile!»

Fede sorrise, comprese cosa volevo sentirmi dire con tutto il cuore e mi diede la risposta che cercavo:

«No, non ho una cattiva opinione del tuo ragazzo: è un normale maschio geloso, con l’aggravante che è poco socievole.»

«Oh Fede, non sai quanto mi fai felice!»

Saltai letteralmente al collo del mio amico per abbracciarlo, presa dalla gioia di non aver perso del tutto l’appoggio dei miei amici.

I miei genitori potevano criticarmi fino alla fine dei miei giorni e ci sarei stata di sicuro male, ma l’avrei sopportato a testa alta, se invece le critiche provenivano dai miei amici, mi si apriva uno squarcio sotto i piedi e all’interno della mia anima, perché loro erano il mio appoggio incondizionato, erano la famiglia che avevo scelto, erano il mio sostegno e non avrei mai potuto sopportare i loro sguardi accusatori o un clima teso all’interno del nostro gruppo. Inoltre, Emile faceva parte a pieno titolo di quella famiglia che stavo costruendo intorno a me e non sarei sopravvissuta ad un’altra spaccatura familiare, non tra di loro!

Fede iniziò a ridere e ricambiò l’abbraccio, prima di tornare ad assumere un tono lievemente più serio.

«Non arrabbiarti con Rita e Sofia, hanno reagito in quel modo solo perché tengono sia a te che a Stefano; del resto lo sai cosa accade quando entra un estraneo in un gruppo: deve superare qualche prova prima di poter essere accettato.»

«Hai ragione, forse ho preso l’accaduto un po’ troppo drammaticamente, ma voi per me siete davvero importanti e il solo pensiero di avere Emile da una parte e voi dall’altra senza potervi unire, mi ha diviso il  cuore in due parti, mi sono sentita persa.»

«Lo so Pasi, ho visto quanto ci stavi male, per questo ho fatto capire a Sofia che era giunto il momento di smetterla; anche lei quando inizia a dare addosso a qualcuno, non si ferma se non viene bloccata.»

«Io lo dicevo che è simile ad Emile! E lei invece non lo vuole ammettere!»

Mi staccai di colpo dall’abbraccio di Fede, presa da quel discorso che mi mandava in bestia.

«Sì, è molto simile ad Emile ed è per questo che non vuole ammetterlo, non potrebbe mai sopportare l’idea di somigliare a qualcuno che non le è simpatico!» Fede fece un sorrisetto ironico diretto alla nostra amica e tra il divertito e il pensieroso aggiunse: «Certo che se si è innamorata davvero, sono proprio curioso di vedere come si comporterà!»

 

*****

 

«Mais no, Pasi, la pronuncia è sbagliata e qui Stefano, hai sbagliato l’accento…»

«Te l’avevo detto io che ci serviva un insegnante, Testarossa, ho l’impressione che abbiamo sbagliato tutto!»

«Lo so Stè… mi sembra di essere tornati a scuola!»

«Mi state ascoltando?»

«Sissignore!»

«Sissignore!»

Sì, era davvero come tornare a scuola, incluso il modo mio e di Stè di rispondere all’unisono.

Ogni volta che avevamo potuto farlo, ci eravamo scelti come compagni di banco e Lucien nel suo modo preciso di fare le cose, aveva deciso di comportarsi proprio come un insegnante, dandoci dei compiti e facendoci sedere una accanto all’altro mentre li controllava, proprio come un professore davanti ai suoi alunni. E in quel momento io e Testa di Paglia, ci stavamo tristemente rendendo conto, che da soli non avremmo mai potuto imparare come si deve una lingua straniera.

Lucien era un insegnate paziente e sempre disponibile a ripetere ciò che ci spiegava, ma io e Stè messi vicini, non eravamo proprio l’esempio della concentrazione e spesso era costretto ad alzare la voce per farsi sentire. Mi resi conto che Sofi aveva visto lungo: ci conosceva talmente bene da sapere, senza nemmeno aver mai assistito una volta, quanto io e Stè fossimo poco capaci di fare silenzio e ascoltare quando eravamo insieme…

«Da quanto tempo state studiando in queste condizioni?»

Lucien era in piedi, appoggiato alla scrivania di Stè con un’aria sconfortata mentre guardava noi due seduti vicini, di fronte a lui: la scrivania era troppo piccola per ospitarci tutti e tre e sin dal primo momento optammo per una disposizione dei posti più “dinamica”, che in quel caso permetteva al nostro insegnante di osservarci e riportarci all’ordine.

«Uhm… vediamo… qualche mese, vero Testarossa?»

«Più di qualche mese, Stè… sarà trascorso metà anno ormai!»

«Mon Dieu! E nessuno vi ha mai controllato in questi mesi?»

«In che senso, Lucien? Non è che marinavamo le lezioni: se non volevamo studiare, non lo facevamo e basta!» Stè come al solito tentava di alleggerire la situazione con una battuta…

«No Lucien, abbiamo deciso da soli di iniziare a studiare e credevamo di essere in grado di farcela…»  …mentre io abbassai vergognosa la testa, consapevole di aver creduto troppo nelle nostre capacità.

«Quindi non avete chiesto aiuto nemmeno a mon cousin?»

«Proprio perché tuo cugino non era disponibile, abbiamo deciso di fare da soli!»

«Volevamo capire le canzoni di Claudine, ecco perché abbiamo iniziato…» dissi, facendomi ancora più piccola…

«E Sophie? Non ha detto che conosce anche lei le français?»

«Sofia non ha la minima pazienza, con noi non reggerebbe che qualche secondo!»

«Ah… J’ai compris… Bien, cercherò di aiutarvi quanto posso, ma quando sarò andato via, avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti… pardonnnez-moi se ve le dico, ma siete un disastro!»

Stè si fece una grande risata: «Lo sapevo Testarossa, è proprio come tornare a scuola!»

«Questo non mi consola Stè, anzi… mi sento un’incapace!»

«Mais no, Pasi, avete solo bisogno di esercizio e di disciplina… Vi servirebbe qualcuno che vi preparasse dei programmi, delle lezioni… qualcuno che vi facesse concentrare…»

«Un professore!» Disse Stè bonariamente ,«Se solo ce lo potessimo permettere…»

«Mais no… basterebbe solo qualcuno che abbia un po’ di senso pratico.»

«Una… come Sofi?» 

Buttai l’esca al momento opportuno: mi stava balzando alla testa un’idea per continuare le mie moderate indagini alla Sherlock “Cupido” Holmes.

«Oui, Sophie potrebbe andar bene, se volesse aiutarvi…»

«All…»

«A proposito di Sofia, Lucien sei stato grande l’altra sera! Solo Federico riesce a zittirla in quel modo!»

Preso dall’entusiasmo, Stè non mi diede il tempo di continuare il mio discorso e quella sua invadenza di campo mi urtò, perché mi stava rovinando i piani; ma in compenso nominando anche lui Sofi, mi aveva dato un altro tipo di possibilità per carpire informazioni da Lucien.

«Ti riferisci a quando ha detto che non balla?»

«Esatto! Come diavolo facevi a sapere che Sofia non si muove nemmeno sotto tortura?»

Vidi Lucien fare un sorrisino soddisfatto prima di rispondere: «In verità non lo sapevo… ma visto che l’atmosfera iniziava a farsi tesa, ho provato a vedere se riuscivo a distrarla… e volevo anche accertarmi di una cosa.»

Il sorriso di Lucien si fece ancora più soddisfatto, ed iniziai a vedere un nuovo aspetto del suo carattere: quell’espressione aveva qualcosa di vagamente canzonatorio… Lucien aveva messo alla prova volontariamente, Sofi? E se sì, per quale motivo? A quel punto non ce la feci a restare in silenzio ed espressi tutta la mia curiosità:

«Di cosa, Lucien?»

«Nulla d’importante Pasi, avendo in famiglia dei caratteri complicati, ho iniziato a capire le persone che si celano dietro le maschere e volevo accertarmi di aver individuato il carattere di Sophie.»

«E cosa hai capito?» 

Stè era curioso quanto me, aveva lo sguardo luminoso e concentrato… altro che quando studiavamo francese!  

«Perché io la conosco da quattro anni e non ho ancora capito un accidenti di lei… Per me Sofia è un mistero, l’accetto così com’è ovviamente, ma ho rinunciato a capirla!»

Lucien si fece una risatina bonaria al commento di Stè.

«Beh in effetti siete molti diversi... Sophie non è così aperta come toi.»

«E tu credi di essere riuscito a capirla nelle due occasioni in cui l’hai vista?»

Stè era sbalordito e sembrava anche ammirare quel ragazzo, che in poco tempo era riuscito dove noi avevamo fallito miseramente… come col francese!

«Oui… et non. Non posso certo dire di conoscerla, ma credo di aver capito che tipo è, cosa la fa arrabbiare e cosa invece calma quel suo lato aggressivo.»

«Allora potresti convincerla a farci da insegnante!»  Sputai la mia idea geniale il più in fretta possibile, prima che Stè mi rubasse di nuovo la scena: se Lucien avesse accolto la mia proposta, avrebbe avuto modo d’incontrare di nuovo Sofi e nella migliore delle ipotesi avremmo anche ricevuto un’insegnante capace, una volta che il cugino di Emile se ne fosse andato… Pensiero che iniziava a mettermi una certa malinconia addosso…

«Mais oui, o meglio, posso provarci… se ho capito com’è fatta, non credo che Sophie sia tanto disponibile a fare qualcosa quando non ne ha minimamente voglia.»

«Mi fido di te, Lucien!» E di ciò che ho visto nello sguardo di Sofi!

«Merci beaucoup Pasi, sono onorato di tanta fiducia!  Comunque sia, les chansonnes de Tante Claudine ve le potrei tradurre io, se volete.»

«Davvero lo faresti?!» Per la sorpresa e la gentilezza di quel gesto, mi alzai di colpo dalla sedia felice come non mai. Iniziavo a credere che non sarei mai riuscita a conoscere quella lingua abbastanza da poter tradurre quelle canzoni e l’offerta di Lucien fu un raggio di sole improvviso.

«Certainement! Non mi costa affatto fatica, mi piace ascoltarla e non impiegherò molto a tradurvi ses chansonnes.»

«Oh Lucien, tu sei davvero un angelo!»

Mi lanciai felice ad abbracciarlo, troppo presa dalla gioia per contenermi, nonostante sapessi che il cugino di Emile non fosse abituato a certe dimostrazioni d’affetto così espansive.

«Testarossa fallo respirare, lo stai soffocando!»

 

*****

 

«Lucien, come sta Emile?»

La nostra lezione di Francese era terminata: io e il cugino del mio Pel di Carota eravamo appena usciti dalla casa di Stè e prima di separami da lui, sentii il bisogno di sapere qualcosa di Emile. Era surreale che dovessi chiederlo a suo cugino, ma in quel periodo per quanti pochi contatti potessero avere quei due, erano di certo maggiori di quanto riuscivamo ad averne noi due.

«Mon cousin? Uhm, non lo vedo molto spesso, a volte ci incrociamo la mattina, ma poi lui sparisce tout le jour e torna la sera très tard…»

«Quindi nemmeno tu riesci a vederlo!?»

Le mie poche speranze di sapere qualcosa su di lui si frantumarono, lasciandomi un peso sulle spalle che mi portò ad abbassarle automaticamente.

«No… mais, per quel poco che lo vedo, posso dirti che è stanco, i suoi occhi hanno un alone scuro e probabilmente non dorme molto… Però ho notato che oltre alla stanchezza nei suoi occhi si alterna anche una luce di sicurezza, come se ci fosse una lotta dentro di lui… Non so se ti aiuta a capire qualcosa, ma è ciò che sono riuscito a vedere.»

«Grazie mille Lucien, qualsiasi cosa tu veda è sempre più di quanto riesca a fare io!»

«Coraggio Pasi, passerà questo brutto periodo.»

«Sì hai ragione, devo solo avere pazienza e attendere che passi… A proposito di pazienza, come si sta comportando con te?»

Lucien rimase pensieroso per un po’, prima di rispondermi: «Diciamo che c’è poco modo di parlare con lui visto quanto poco ci vediamo ma… credo che si stia abituando alla mia presenza in casa! Quando ci saluta le matin non sento alcuna differenza di tono nel suo saluto tra moi e Oncle Albert, come se fossi sempre stato lì.»

Lucien fece un sorriso raggiante: era davvero una piccola concessione da parte di Emile, ma la reazione che aveva scatenato in suo cugino, mi fece capire quanto quest’ultimo, ci tenesse ad avere un vero rapporto con lui e il suo affetto incondizionato mi commosse ancora una volta. Emile era fortunato ed era il solito testone cocciuto a non voler rendersene conto!

 

 

*****

 

Ogni notte di quella settimana si ripeté uguale all’altra: tornavo a casa, accendevo il cellulare, trovavo le chiamate di Emile, gli rispondevo e mi riaddormentavo. La nostra comunicazione si era ridotta ad uno squillo del cellulare e persino quello era in differita! Era davvero una situazione insostenibile e quando giunse la fine di quei sei turni notturni, tirai finalmente un gran sospiro di sollievo: finalmente il giorno dopo sarei riuscita a sentire il mio Pel di Carota e se fossi stata fortunata, magari avrei potuto avere anche la possibilità di vederlo. Persino le case discografiche dovevano avere un giorno festivo!

Corroborata da quel pensiero arrivai al pianerottolo del mio appartamento con più forza fisica di quanta ne avessi in realtà, ma appena giunsi a destinazione, le chiavi mi caddero di mano:  Emile era lì, seduto a terra davanti alla mia porta, con gli auricolari nelle orecchie e dormiva. Mi salirono le lacrime agli occhi per la felicità di averlo rivisto, dopo quelli che mi erano sembrati dei giorni interminabili ed ero ancor più commossa dal fatto che non trovandomi in casa, avesse deciso di aspettarmi fuori, arrivando ad addormentarsi!

Mi avvicinai a lui  e mi accovacciai, per essere all’altezza del suo viso: era davvero segnato da profondi solchi scuri, doveva essere stanchissimo. Mi sarebbe bastato anche svegliarlo per metterlo a letto: anche il solo dormire accanto a lui e risvegliarmi guardando il suo volto, mi avrebbe risarcito di quella settimana infernale! Gli tolsi gli auricolari e accarezzai il suo viso, quel viso che tanto amavo e lo chiamai per destarlo dal suo sonno:

«Sveglia bell’addormentato, in questa posizione non riposerai affatto.» 

Nel momento in cui aprì gli occhi, sentii il mio viso rilassarsi con un sorriso di gioia: quanto mi era mancato quel grigio-azzurro del suo sguardo! Appena mise a fuoco il mio volto, mi fece un sorriso e mi strinse a sé e restammo così, senza dirci nulla, gioendo per un po’ solo di quel contatto tanto desiderato: sentivo il calore del suo corpo, le sue braccia che mi stringevano e il battito del suo cuore proprio a portata delle mie orecchie e finalmente, finalmente, sentii nuovamente il suo odore. Era di nuovo con me, ero di nuovo con lui e per poco non scoppiai in lacrime per la felicità.

«Mi sei mancato tantissimo.» Mi strinsi a lui per esorcizzare il vuoto che avevo sentito nel dirgli quella frase.

«Anche tu mi sei mancata streghetta, mi sei mancata ogni giorno di più.» Emile rafforzò la sua stretta e di colpo mi sentii  sollevata da tutte le pesantezze di quella settimana: ero tra le sue braccia, amata e protetta,  non potevo chiedere altro dalla vita.

«Resterei ore  abbracciato a te, ma inizio a sentirmi un po’ scomodo qui a terra… che ne dici se ci mettiamo comodi in casa?»

«Mmm nooo! Restiamo cosììì!» Mi strinsi ancora di più a lui, riluttante a separarmi dal suo abbraccio, ma dopo qualche istante considerai che il mio Pel di Carota doveva aver trascorso delle ore in quella posizione, e mi decisi finalmente ad alzarmi per farci accomodare in casa.

Appena varcammo la soglia di casa, Emile si gettò sul divano distrutto.

«Ah, qui sì che si sta bene.»

«Devo metterne uno anche fuori allora, così la prossima volta sarai comodo!»

«Spero che non ci sia una prossima volta! Questa settimana è stata interminabile… e non solo questa.»

Una volta depositate borsa e chiavi di casa, mi accomodai accanto a lui e tornai ad abbracciarlo, desiderosa di tornare all’intimità di prima.

«Come procedono le registrazioni?»

«Sono terminate, per fortuna.»

Emile tornò a stringermi a sé, ma lasciò andare il capo all’indietro in un atteggiamento di totale stanchezza. «È stata davvero dura aver a che fare con quello senza mettergli le mani addosso, oggi stavo rischiando grosso.»

«Ha fatto qualcosa di troppo?»

«Niente in particolare: lo detesto. Odio la sua voce, il suo modo di parlare e di porsi, odio tutto ciò che dice  e per poco non sono arrivato ad odiare ogni singolo colpo delle sue bacchette mentre registravamo! Ci sono dei giorni in cui sento di non farcela e al solo pensiero di dover condividere un intero tour con lui…»

Abbassai lo sguardo e appoggiai la mia testa al suo petto per sentire i battiti del suo cuore. Adoravo quel contatto così primordiale, era come avvicinarsi alla sua essenza: sotto il mio orecchio sentivo pulsare la vita di Emile e mi sembrava di sentirla scorrere sotto le mie mani, di poterla avere con me.

«So che puoi farcela.»

«È solo per lei che lo faccio, Pasi… perché non posso venirle meno…» abbassò il capo sulla mia testa, prima di continuare «… come fai a non odiarmi? Io a malapena riesco a guardarmi in faccia! Ma non posso cedere, non posso permettermi di farlo…»

Alzai una mano in direzione del suo viso per accarezzarlo e spostai la testa per poterlo guardare negli occhi:  «Non potrei mai odiarti Emile, tienilo ben presente, mai, per nessuna ragione al mondo.»

Mi guardò intensamente, vidi i suoi occhi farsi più scuri mentre mi accarezzava una guancia, finché non avvicinò il suo viso al mio e mi baciò. E dopo tutto quel tempo in cui eravamo stati separati, quei baci furono  come una droga deliziosa per entrambi: ci ritrovammo avvinghiati in pochi istanti, intenti a consumare quella fame reciproca di noi. 

Fare l’amore con Emile per me, costituiva sempre un’emozione intensa: in ogni suo bacio c’era una parola non detta, ogni sua carezza era un dono d’amore che non riusciva ad esprimere a parole. Attraverso il contatto dei nostri corpi, con la sensazione della pelle sulla pelle, sentivo il suo cuore vicino e riuscivo a leggerlo meglio di quanto riuscissi a farlo a parole. Quando faceva l’amore con me, Emile mi donava una parte di sé e riusciva a dirmi con il suo corpo, ciò che la mente era incapace di esprimere.

E quella notte riuscì anche a liberare la sua anima da una delle gabbie che la serravano da anni: ero in procinto di addormentarmi serena e soddisfatta, quando sentii il suo braccio avvolgersi intorno alla mia vita da dietro le mie spalle. Rimase in silenzio per qualche secondo e sentii il suo viso poggiarsi dietro la mia testa prima di parlare:

«Tu non mi abbandonerai?»

Capii immediatamente a cosa, o meglio, a chi si riferisse: Claudine sarebbe stata una ferita suppurante per il resto della sua vita e per quanto avesse tentato di andare avanti e rimarginarla, quel dolore era ormai parte della sua anima, così come quella solitudine che si portava dietro da quando era nato.

Poggiai il braccio sul suo e cercai di mantenere la voce ferma e decisa:

«Mai in questa vita e nemmeno in un’altra, se ci sarà»

Il suo braccio serrò la presa intorno alla mia vita:

«Lei alla fine se n’è andata ed è stata la donna che ho amato di più, da quando sono al mondo. Ora ci sei solo tu… e temo che un giorno potrei ferirti al punto da perdere anche te, com’è accaduto a lei.»

«Emile tu non mi perderai. Io e te siamo legati da un filo sottile e indistruttibile, non potrei mai vivere senza averti accanto. Potrai anche ferirmi, ma non potrai mai farlo al punto da tagliare quel filo.»

Sentii il suo viso poggiarsi sulla mia testa per darmi un bacio dolce, lento e carico di tutto ciò che si stava agitando dentro di lui.

Stanca di dargli le spalle, accesi la luce e mi girai in sua direzione, per vedere l’espressione del suo viso: mi stava guardando come se volesse scavarmi dentro l’anima. Vidi la limpidezza di quegli occhi e la vulnerabilità di quell’anima che mi aveva mostrato una delle sue paure più grandi: Emile era spaventato, era ancora terribilmente spaventato da ciò che sentiva per me e dalla sua paura di perdermi e di essere ferito al punto da non riuscire a rimettersi in piedi.

Gli presi le mani e le strinsi tra le mie…

«Tu sei la mia vita Emile.» … e decisa a togliergli quella paura dallo sguardo, portai la sua mano sul mio cuore. «Lo senti come batte? Senti come sta accelerando? È per te, perché ti sto guardando negli occhi e mi sta scoppiando di felicità, solo perché tu sei qui, perché sei vicino a me. Stare senza di te per una settimana è stato un inferno ed io non voglio più tornarci. Ti voglio qui, accanto a me, così come siamo ora, finché anche tu lo vorrai.»

Gli occhi di Emile si fecero ancora più limpidi, ma li vidi solo per un attimo perché mi strinse forte a sé, senza darmi tempo nemmeno di respirare. Non parlò più, ma la sua mano che premeva sulla mia schiena a tratti decisa, a tratti tremante, fu più esplicita di mille parole e mi venne alla mente ciò che mi aveva detto Lucien:

Oltre alla stanchezza nei suoi occhi si alterna anche una luce di sicurezza, come se ci fosse una lotta dentro di lui”.

Il mio Emile aveva un’anima inquieta ed ero io la sua ancora si salvezza, il suo porto sicuro. Prima di chiudere gli occhi e lasciarmi andare al sonno, giurai a me stessa di non venir mai meno a quel ruolo.



















________________________________________________________________________

Mais no = Ma no
Mon Dieu! = Mio Dio!
Mon cousin = Mio cugino
Le Français = Il Francese
J’ai compris = Ho capito
Bien = Bene
Pardonnez-moi = Perdonatemi
Toi = Te
Oui… et non = Si… e no
Mais oui = Ma sì
Merci beaucoup = Grazie mille
Les chansonnes = Le canzoni
Tante = Zia
Certainement = Certamente
Ses chansonnes = Le sue canzoni
Tout le jour = Tutto il giorno
Très tard = Molto tardi
Le matin = Il mattino
Moi = Me
Oncle = Zio

_______________________________________________________________________


NDA
Eccomi qui mie care! Vi è piaciuto il finale al diabete multistrato? E non è finita qui, perchè nel prossimo capitolo (che sto già mettendo in cantiere) ci sarà ancora un bel pò di zucchero, quindi cercate di non mangiare troppi dolci in questi giorni o il vostro diabete salirà vertiginosamente! xD
Ho concluso questo capitolo Domenica pomeriggio (anche se con la revisione ho aggiunto un altro pezzettino il giorno dopo) e probabilmente, quel giorno dovevo avere gli ormoni particolarmente sfasati, dato che mi sono commossa per ogni piccola romanticheria letta.
Sta di fatto che la mattina in auto ho ascoltato una canzone dei Submersed che avevo già sentito altre volte, ma che in quel preciso istante mi ha rapito il cuore... e non mi ha lasciato più! Inoltre, una volta tornata a casa, ho letto il testo e mi sono resa conto che è diabete puro! E così, mentre scrivevo l'ultimo pezzo di questo capitolo, tenendo alla mente quella canzone,
mentre Pasi porta la mano di Emile sul suo cuore, mi è salito un magone tale che la vostra emotiva autrice ha finito col lacrimare! xD
Credo di essere stata posseduta da Pasi in quel preciso istante, perché mi sono ritrovata irrimediabilmente innamorata di Emile e non come una madre premurosa *_*

Per chi fosse curiosa di sentire questa song del mio scombussolamento ormonale,
si chiama "At First Sight" e al link che vi ho messo troverete il video provvisto di lyrics, nonché la mia personale traduzione in italiano del testo originale. :P
Intanto giusto perché non mi sto ossessionando, vi riporto il ritornello che già da solo è zucchero puro per me:

"Con questo onore
Mi reggo su ginocchia deboli
Rese forti dalle tue mani"

(Ancora mi commuovo!)

Bene, e con questo, chiudo il mio angolo di deliri e spero di essermi guadagnata il vostro perdono per il ritardo nella pubblicazione: mi dispiace avervi fatto attendere 10 giorni prima di pubblicare, ma ho cercato di essere più veloce possibile nello scrivere il capitolo, ricontrollarlo e farlo revisionare alla mia adorata Beta. E appena lei mia ha dato il via a procedere, mi sono fiondata a pubblicarlo ^ ^

PS.
Sotto consiglio di ThePoisonofPrimula, mentre scrivevo questo capitolo, ho iniziato a scribacchiare le prime righe di una specie di costola di questa storia, focalizzata su Sofia e su ciò che sta iniziando a sentire nel suo cuore verso Lucien. Per chi fosse interessata all'idea, appena sarà pronto il primo capitolo, vi renderò partecipi della nascita di quest'altra creatura, che a dir la verità, mi sto divertendo a mettere su. ^ ^
E con questo chiudo davvero :D


Angolo dei Ringraziamenti

Come sempre, la prima in classifica tra i miei ringraziamenti è la mia adorata Tomodachi-Beta Iloveworld/Fiorella Runco, che dipana ogni mia insicurezza ogni volta che legge in anteprima i capitoli, con il suo incontenibile entusiasmo: grazie mille sorellina mia, io, Emile e Pasi ti dobbiamo molto <3
Così come dobbiamo molto anche alle mie sisters Concy, Vale, Saretta, Niky, che dal primo capitolo di questa storia mi seguono con affetto e partecipazione, sempre pronte ad immedesimarsi nei miei bambini. Grazie tesore mie, senza di voi sarei persa! <3
Un grazie speciale alla mia Cicci, che è stata ligia al suo ruolo di "dura" facendomi una bella ramanzina (che oserei chiamare un vero e proprio cazziatone) quando ha letto di Claudine, ricordandomi quanto sia stata fortunata ad essere ancora viva dopo la piccola strage che ho messo su. *me si rimette l'armatura a scanso di equivoci*
Ana-chan ed Ely, grazie anche a voi per il vostro sostegno, che si sente anche quando è in stasi :****
Grazie mille alla mia adorata admin Kira1983, a ThePoisonofPrimula, a
Dreamer_on_heart, che mi seguono con lo stesso affetto delle altre e mi hanno mostrato un'empatia e un interesse verso i miei bambini, davvero meravigliosa e speciale. Grazie ragazze, ogni vostra parola è un dono prezioso per me! *_*

Rigraziamenti speciali anche a tutti voi che avete inserito la mia storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:

Ai_line, Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu, lovedreams, samyolivieri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple, incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, cris325, epril68, georgie71, Gracevelyn, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, sel4ever, smokeonthewater, TVdFOREVER, Veronica91, _anda, _Calypso_


Come sempre ARIGATOU GOZAIMASU a tutti voi!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28











 

 

Una mattina carica di sole, è una mattina che infonde energia anche nel corpo più stanco, con i suoi benefici raggi che sono sempre stati sinonimo di vita per tutti gli esseri viventi. Per questo adoravo le stagioni calde, così vitali, così capaci d’infondere positività nell’animo; soprattutto amavo le mattine estive, che avevano quel qualcosa in più nei loro raggi caldi e accoglienti, che ti davano un immediato buon umore.  Per quel motivo, quando aprii gli occhi e venni inondata dalla luce del giorno, sorrisi di riflesso… Ma quel mattino c’era anche un ulteriore motivo per essere felice, un motivo che aveva dei ricci dello stesso colore del sole.

Non appena aprii gli occhi, del tutto rinvigorita dai baci dell’astro diurno, mi voltai alla mia sinistra per cercare il mio compagno notturno e non vedendo la presenza di Emile, mi alzai a sedere, preoccupata che fosse andato via mentre dormivo. Quella mattina avrei voluto trascorrerla accanto a lui, avrei voluto godere della sua presenza accanto a me, parlargli della mia settimana, chiedergli della sua e restare abbracciata a lui finché non ci fossero venute le ragnatele addosso per la troppa immobilità! Il solo pensare che invece fosse andato via, senza nemmeno salutarmi, mi pervase di tristezza e preoccupazione, sentii un dolore lancinante al centro del petto al pensiero che non fosse lì con me!

Dopo qualche momento di  puro panico però, iniziai a sentire dei rumori provenire dal basso…

«Ti sei svegliata, Bella Addormentata?» … e quella voce che tanto amavo, mandò via in un solo colpo, tutte le mie stupide paure mattutine.

«Sì… ma che ore sono? È tardi?»

«Non è prestissimo, sono le undici.»

Feci uno sbadiglio, contando le ore in cui avevo dormito e mi resi conto di non aver riposato granché…

«Come fai ad essere già in piedi? Non hai dormito proprio?»

Per tutta risposta, lo sentii salire le scale per raggiungermi e una volta arrivato sul pianerottolo, mi beai di quella visione riservata solo ai miei occhi.

Non avendo un pigiama, Emile aveva dormito con addosso solo l’intimo e fu in quelle condizioni che arrivò portando un vassoio in mano, regalandomi la visione del suo corpo snello ma non privo di muscoli, reso ambrato dalla leggera peluria rossa che gli copriva braccia, gambe e torso. Era uno spettacolo e iniziai a comprendere il desiderio di Alberto di ritrarre sua moglie, per imprimere sulla tela le fattezze di un corpo e di un’anima che tanto amava; probabilmente se avessi avuto del talento artistico, avrei fatto rimanere immobile il mio Pel di Carota per immortalarlo in quel preciso istante, bello e perfetto come solo i miei occhi riuscivano a vederlo.  

In quello stesso momento in cui ammiravo estasiata la sua figura, Emile mi rispose: «Mi sono svegliato una mezz’oretta fa e visto che c’ero, ho pensato di preparare la colazione.»

Sul vassoio c’erano due bei bicchieri di latte freddo, biscotti, cereali, fette biscottate e marmellata e anche il barattolo di Nutella che non faceva mai male!

«Emile ma è la colazione per una famiglia intera, questa!»

Appoggiò il vassoio sul letto, prima di accomodarsi accanto a me e sorridendo mi rispose: «”Meglio abbondare che deficere”! Puoi sempre lasciare quello che non ti va.»

Mi osservò per qualche momento, con un sorriso bellissimo e naturale sul viso e una luce negli occhi che non gli vedevo da tempo, per poi darmi un dolcissimo bacio: «Buongiorno, streghetta mia.» 

Era uno dei risvegli più belli che avessi mai avuto e in quel momento mi resi conto di quanto desiderassi che le mie giornate iniziassero sempre in quel modo, con il mio Emile che mi sorrideva felice, con la sua presenza sicura e costante accanto a me. Mi sentii avvolgere da una felicità così malinconica, che per mascherare la commozione che stava per avere il sopravvento su di me, l’abbracciai di colpo, incapace di reggere il suo sguardo.

«Non te ne andare!»

Mi stupii di quanto quella richiesta sembrasse una supplica: ero consapevole di sentire la sua mancanza, ma non mi ero ancora resa conto della sua portata, fino a quel momento. Cosa che di sicuro aveva compreso Emile, poiché sentii la sua mano sulla mia schiena che mi stringeva protettiva e con voce dolce e rassicurante mi rispose:

«Non ne ho alcuna intenzione.»

Appena riuscii a riprendermi da quel magone improvviso, mi accoccolai tra i cuscini, mentre il mio Pel di Carota mi porgeva il bicchiere con il latte, seduto accanto a me.

«Hai dormito bene, piccola strega?»

«Benissimo!»

Gli sorrisi felice, avrei potuto anche trascorrere la notte in bianco, ma sarebbe stata ugualmente bella perché c’era lui con me.

«Anche se hai dormito poco più di quattro ore?»

«Lo stesso vale per te.»

«Beh, io ho dormito più di te, prima che arrivassi ho fatto un bel pisolino.» Fece un sorrisetto in mia direzione e quella stanza già pienamente illuminata, sembrò risplendere di quel sorriso sereno.

«Ti ho fatto attendere tanto?»

«Non saprei… credo di essere crollato nel momento in cui mi sono accertato che non ci fossi e mi sono appoggiato alla porta.»

«Dovevi essere davvero stremato!»

«Abbastanza… Sei sicura di aver riposato? Se vuoi tornare a dormire…»

«No!»

Risposi immediatamente senza fargli finire la frase; no, non volevo assolutamente considerare quell’opzione, sarei crollata dal sonno quella notte, ma durante quelle ore diurne  non mi sarei persa l’occasione di stare insieme al mio Pel di Carota!

Allungai una mano verso la sua, con cui si stava puntellando sul letto: «Voglio stare sveglia, qui accanto a te; ci penserò stanotte a dormire.»

Il viso di Emile, dapprima sorpreso per la mia risposta fulminea, mutò in un’espressione dolcissima e poggiò il bicchiere sul vassoio per accarezzarmi il viso con la mano libera:

«D’accordo piccola strega, sono tutto tuo.»

A quelle parole, la mia emotività messa fin troppo alla prova, mi tradì definitivamente e  mi ritrovai in un fiume di lacrime di gioia nel giro di un battito di ciglia.

«Ehi, che ti succede, Pasi?»

Iniziai a tirare su con il naso annaspando per cercare di parlare: «Non… è … niente…»

«Come “non è niente”? Ho detto qualcosa che non va? Ti ho ferita in qualche modo? Non pensavo di …»

«No, no… anzi…»

Emile, sempre più preoccupato si avvicinò a me e mi prese il viso tra le mani.

«Allora cosa succede? Hai fatto qualche brutto pensiero?»

Feci cenno di diniego con la testa, cercando di riprendere il controllo del mio respiro e appena riuscii a calmarmi quel tanto che bastava a farmi parlare, ne approfittai per spiegare meglio ad Emile il mio stato d’animo.

«Sono felice, perché rimani qui, perché non vai via, perché sei tutto per me oggi.»

Il mio Pel di Carota assunse un’espressione contrita e mi strinse di colpo a sé, serrando la sua stretta.

«Mi dispiace così tanto, Pasi! Per te non ci sono mai e tu non ti sei lamentata nemmeno una volta! Ti ho lasciato sola troppe volte, sono inqualificabile.»

Mi strinsi a lui come se volessi fondere i nostri corpi e lasciai scorrere le ultime lacrime di gioia nel calore del suo abbraccio, finché ritrovata la voce, risposi:

«Ora sei qui e voglio pensare solo a questo, voglio stare con te oggi, solo con te.»

Il cuore mi scoppiava nel petto, sentivo una stretta micidiale che non mi faceva respirare, ma era un dolore dolcissimo, perché era il dolore della felicità, il dolore che indicava quanto io fossi profondamente innamorata del mio Emile.

«Sono qui, non me ne vado, piccola. Mi sei mancata troppo per potermi separare da te, ora.»

«Però mi devi promettere una cosa.»

«Cosa?»

«Che la smetterai di sentirti in colpa e che tornerai a sorridermi come prima. Non voglio musi lunghi, sono bastate queste due fontane ad incupire la giornata!»

Sentii Emile sorridere: «D’accordo ragazza indiana Piccolo Fiume, niente musi lunghi.»

Mi accarezzò i capelli e mi godetti ancora per un po’ quell’abbraccio, che, nonostante la temperatura estiva lo stesse rendendo infuocato, mi donava una sensazione di conforto e di tranquillità come nulla al mondo.

 

Appena mi riscossi da quell’ondata di emotività incontrollata, consumammo la nostra colazione e iniziai a raccontare ad Emile della mia settimana  e non mancai di aggiornarlo con le mie scoperte sul conto di Sofia:

«La piccoletta innamorata di mio cugino? Questa è bella!»

Era la prima volta che Emile parlava di Lucien chiamandolo con quell’appellativo e fui così felice, all’idea che iniziasse davvero a considerarlo parte integrante della famiglia, che sorvolai sulla velata critica alla mia amica.

«A quanto sembra sì… Rita dice che la sua presenza al Dada era di per sé indice dell’interesse di Sofi verso Lucien.» Emile sembrava sorpreso e divertito, non c’erano ombre sul suo viso e incoraggiata, continuai «Inoltre Lucien l’ha fatta arrossire e la cosa si è ripetuta quando l’ho nominato a casa sua.»

Il mio Pel di Carota continuava ad ascoltarmi incuriosito, mentre sgranocchiava i cereali rimasti nel vassoio. Eravamo rimasti sul letto a parlare: Emile era adagiato comodamente sui cuscini, mentre io ero seduta a gambe incrociate accanto a lui. Eravamo rimasti abbracciati finché la temperatura ce l’aveva permesso, ma quando avevamo iniziato a sudare c’eravamo visti costretti a separarci… almeno per un po’. Nonostante avessi le tende alle finestre, il calore arrivava imperterrito e a breve sarei stata costretta a chiudere le imposte per avere un po’ di refrigerio, anche se questo avrebbe significato rinunciare al sole.

«Incredibile, non poteva trovare una persona più difficile.»

«Chi, Sofi?»

«No… Lucien. La tua amica non mi sembra una persona facile a lasciarsi andare, sembra un limone appena colto!»

«Senti da che pulpito vien la predica!» Allungai una mano verso il vassoio e iniziai a sgranocchiare i cereali anche io.

«Stai insinuando che sono acido?» Emile mi guardò con aria sospettosa, ma la sua espressione mal celava un sorriso divertito.

«Come un limone acerbo!» Lo stuzzicai, rendendomi conto che quella mattina era di ottimo umore, senza contare che non avrebbe messo musi lunghi perché mi aveva promesso di non farlo.

«Piccola strega impertinente!»

Il mio Pel di Carota prese i cereali che stava per mangiare e me li lanciò contro a mo’ di coriandoli e la mia risposta non tardò ad arrivare: in un batter d’occhio quel letto si trasformò in un campo di battaglia e i cereali divennero solo dei proiettili, sparsi ovunque sulle mie lenzuola. Quando mi allungai per fare rifornimento e mi resi conto che le munizioni erano terminate, un lampo balenò negli occhi di Emile che colse l’occasione al volo per atterrarmi in un solo colpo facendomi il solletico:

«Ahahahaha!! Sei sleale! Ahahahah! Lo sai che al solletico non reggo!»

«I limoni acerbi sono fatti così, non lo sai?»

Continuava a sorridere soddisfatto, mentre gioiva della sua vittoria schiacciante: torreggiava piegato su di me e osservai il suo viso che emanava felicità, sentendomi totalmente appagata.

«Guarda che mi hai fatto, ho i cereali anche nei capelli!»

«Allora conviene farci una bella doccia.»

 

E lo fu, una bella doccia; una delle docce più bollenti che avessi fatto, nonostante l’acqua fosse a malapena tiepida.

 

Per riprenderci dalle fatiche di quella splendida mattinata, preparammo il pranzo insieme e fu in quel momento, tra qualche pomodoro da tagliare e due bistecche da cucinare, che ricordai di chiedergli delle informazioni su una persona in particolare:

«Emile, tu conosci Iulia?»

«Chi?»

«Iulia, la ragazza di Francesco, il tuo chitarrista.»

«Ah! Ora ho capito… Come hai fatto a conoscerla?»

Gli raccontai della sera in cui Iulia si presentò a me, in quel modo del tutto fuori dall’ordinario e della sua richiesta di vederci; Emile mi ascoltò serio, ma aleggiava un certo divertimento sul suo viso.

«Non la conosco molto, perché generalmente non voglio intrusioni quando proviamo, ma nelle volte in cui l’ho vista,  Iulia mi ha dato l’impressione di essere una ragazza vitale e fuori dagli schemi. È perfetta per Francesco: come lui, riesce a portare allegria ovunque vada.»

«Quindi credi che sia sincera? Che voglia davvero conoscermi?»

«Probabilmente si, così potrà parlare male di me, insieme a te.»

«Oh andiamo e perché dovrebbe?» La mia testa però andò con la memoria ad una delle poche frasi che mi aveva detto quella sera: “Scusami se te lo dico, ma ad iniziare dal frontman, sono sempre tutti così seri e pesanti.”

«Perché la nostra band, o meglio il suo insopportabile dittatore, toglie a Francesco del tempo prezioso per stare con lei… su questo probabilmente vi capirete in pieno.» Il viso di Emile continuava ad essere allegro, ma sentii una nota sarcastica nelle sue parole. Lo guardai corrucciata per fagli intendere che stava entrando nel melodrammatico e ci rise su. «Lamentele a parte, credo che voglia davvero conoscerti, per condividere con te la dura vita della compagna di un musicista: negli anni in cui abbiamo creato il gruppo e abbiamo iniziato ad esibirci, Iulia è stata l’unica presenza costante, nessuno di noi ha mai avuto una ragazza fissa per così tanto tempo… A parte forse, Claudio… ma la sua ex non era mai presente, ci odiava apertamente e si rifiutava di presenziare alle nostre serate, per cui alla fine, Iulia è sempre stata da sola.»

«Capisco… quindi è una specie di mascotte, per voi!»

«Sì, almeno quando dobbiamo esibirci, è sempre in prima fila a tifare per noi.»

«Che dolce, deve amare tanto Francesco.»

«Immagino di sì…»

«La prossima volta però, ci sarò anche io!» Esclamai, felice all’idea di poter dare anche a lui l’appoggio che Francesco riceveva da anni da Iulia.

Emile sorrise tra sé e sé: «Per ora non abbiamo in progetto altre serate, ci stiamo concentrando sul tour, ma non si mai, magari prima di partire riusciremo a fare qualche tappa nei locali, per promuovere l’album.»

«E allora ci sarò!»

Gli risposi cercando di essere più sorridente possibile, perché al solo nominare il tour imminente, il mio cuore si era contratto: non avrei visto Emile per mesi! Stare lontano da lui era sempre più una sofferenza fisica per me e se qualche settimana in cui eravamo stati più distanti, mi aveva ridotto a piangere come una bambina tra le sue braccia, come avrei potuto sopportare dei lunghi mesi di lontananza?

Iniziai a sentire il magone chiudermi la gola, ma cercai di farmi forza, per non mostrare quel malessere ad Emile, che però insospettito dall’improvviso silenzio, alzò la testa dalle bistecche e si girò in mia direzione.

«Cosa c’è? Non avevi detto niente musi lunghi?»

Aveva ragione, quella era la nostra giornata insieme, la nostra isola felice, non doveva esserci spazio per i musi lunghi e per i pensieri tristi, doveva essere una giornata all’insegna del buon umore!

Cacciai indietro le lacrime e mi riscossi dall’umore tetro, concentrandomi su quegli occhi che mi scrutavano preoccupati e sulla gioia di averli ancora lì davanti a me.

«È vero, niente musi lunghi oggi, finiamo di preparare perché sto svenendo dalla fame!»

 

Purtroppo per me, la mia giornata con Emile non era destinata a durare ancora a lungo: approfittando della giornata libera dal lavoro e dalle registrazioni, i GAUS avevano deciso di riprendere le audizioni per trovare il nuovo batterista, poiché la presenza di Claudio non sarebbe andata oltre il tour imminente. Emile era sinceramente dispiaciuto nel rivelarmi che nel primo pomeriggio, sarebbe dovuto andar via da casa mia ed io cercai di non farglielo pesare, anche se la tristezza velò il mio viso e mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia confortanti.

«So che non è la stessa cosa, ma potresti venire a casa mia, invece di restare qui da sola: ci sono mio padre e Lucien, saresti in loro compagnia e quando avrò finito con le audizioni, sarò di nuovo tutto per te, che ne dici?» 

Allentai l’abbraccio quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi: «Siii! È da tanto che non vedo Alberto e sono curiosa di vedere anche il suo dipinto!»

Emile mi sorrise felice e mi diede un bacio sulla fronte prima di tornare a stringermi a sé.

 

Arrivati a casa Castoldi, il mio Pel di Carota corse a cambiarsi, mentre io andai di filata nel laboratorio, alla ricerca di Alberto, dando per scontato che fosse intento a continuare il suo ritratto di Claudine. E infatti fu lì che lo trovai: seduto sul suo sgabello, intento a rifinire il prato ai piedi di sua moglie, che invece era quasi del tutto completata.

Alberto era così concentrato che riuscii ad avvicinarmi e ad osservare quel dipinto, senza che lui si rendesse conto della mia presenza; solo quando mi schiarii la voce per annunciarmi si bloccò un istante, come se fosse stato risvegliato da un sogno e si voltò in mia direzione.

«Bambina mia! Da quanto tempo non ti vedevo! Vieni qui e fatti abb…. No va, stavolta niente abbracci!»

Fece una risata, rivolgendo lo sguardo al suo camice ancora più sporco ed io gli andai incontro abbracciandolo dalle spalle, per dargli un bacio affettuoso su una guancia.

«Mi sei mancato tantissimo anche tu!»

«Ma mai quanto ti è mancato qualcun altro, vero? L’hai fatto mangiare, o hai solo consumato le energie di mio figlio?» Fece una delle sue più belle risate, mentre il mio viso diventava bordeaux: non mi sarei mai abituata a quelle battute, come diavolo faceva a scherzare sulla vita intima di suo figlio?

Un normale genitore avrebbe agito come uno struzzo, facendo finta di non sapere  ed evitando come la peste un argomento simile, invece lui lo affrontava così tranquillamente, come se non stesse parlando della sua progenie ma di un semplice amico o conoscente… Era davvero un uomo fuori da ogni schema e ancora non riuscivo a capacitarmene!

«Ed ora dove lo hai lasciato? È fuggito via a riprendere fiato?»

«Ma no! Uff… tra poco arriveranno i ragazzi perché hanno le audizioni per il nuovo batterista ed è salito a cambiarsi, dato che aveva gli abiti di ieri…» Abbassai la testa insieme al mio tono di voce, temendo un’altra battuta delle sue, che per fortuna non arrivò.

«Capisco, dovrebbe portarsi dei ricambi quando viene da te… Anche tu dovresti fare lo stesso qui, così non saresti costretta a mettere dei vestiti smessi di Emile. Ormai sei di casa bambina, non c’è alcun problema se ti fermi a dormire quado ne hai voglia.»

Alberto riusciva sempre a toccarmi il cuore, l’abbracciai grata per quelle parole così cariche d’affetto e da sopra la sua spalla guardai con attenzione il suo dipinto: a distanza così ravvicinata, potei notare i particolari del viso di Claudine, i riflessi tra i capelli, l’abito leggero che le fasciava il corpo, ma senza rivelare troppo le sue forme e il prato mosso dal vento. Tutto era in perfetta armonia, pervaso di colori brillanti ma non accesi e l’intera composizione emanava gioia di vivere e il grande amore di Alberto, infuso in ogni sua pennellata. «È meraviglioso, è ancora più bello ora che è quasi completo.»

«Ti ringrazio bambina mia, da quando ho iniziato, ogni momento libero lo dedico a questo quadro: riprendere i pennelli in mano è stato come un droga per me: una volta iniziato, non sono riuscito più a farne a meno. Mi sto rendendo conto solo ora di quanto mi sia mancata la pittura!»

Quello davanti a me era l’Alberto che si era spento vent’anni prima, il pittore che aveva rinunciato alla sua arte, per amore della sua famiglia. Compresi solo in quel momento la portata del suo sacrificio, solo guardando i suoi occhi malinconici e le sue mani fiere di essere imbrattate di colore, mi resi conto di quanto dovesse essergli costato abbandonare una parte di sé così importante come la pittura, per potersi dedicare a sua moglie e a suo figlio. E Alberto non aveva mai, nemmeno una volta, avuto parole dure contro la sua famiglia, non aveva mai mostrato del risentimento verso quelle due persone, che l’avevano involontariamente costretto a rinunciare a se stesso. Quale dolore doveva celarsi nel cuore di quell’uomo? O quanto amore puro e incondizionato?

«Continuerai a dipingere una volta terminato questa tela?»

«Non so, sono tornato a dipingere perché volevo donarle un ritratto, ma se il mio desiderio di creare dovesse continuare, è anche probabile che lo faccia; mi sento bene quando dipingo e questa casa presto si svuoterà, avrò bisogno di qualcosa che mi tenga un po’ di compagnia.»

Alberto aveva pienamente ragione: Lucien non sarebbe rimasto per sempre ed Emile presto sarebbe partito per il tour… Mi sentii stringere nuovamente il cuore all’idea della solitudine che avrebbe travolto sia me che l’uomo che avevo accanto e i miei occhi si velarono di tristezza.

«Coraggio, non pensarci ancora, il nostro testone è ancora qui, ci farà compagnia ancora per un po’, è inutile immusonirsi prima del tempo.»

Appoggiai il viso sulla sua spalla stringendomi di più a lui: «Hai ragione, però se ci penso, mi manca già così tanto!»

Alberto allungò una mano sulla mia guancia per farmi una carezza: «Lo so bambina, ma dovremo abituarci, è la vita che ha scelto per sé e non possiamo fare altro che accettarla.»

«Però io e te possiamo farci compagnia, vero?»

«Certamente piccola! Questa casa è sempre aperta per te, non lo dimenticare mai!» Feci un sorriso e gli diedi un bacio pieno d’affetto sulla guancia, accanto a cui avevo il viso.

«Voi due siete sospetti, mi basta girare le spalle per un secondo e vi ritrovo abbracciati.»

Io e Alberto sorridemmo felici al suono di quella voce che ci rimbrottava come consuetudine e insieme  voltammo le nostre teste in sua direzione.

«Bentornato a casa figliol prodigo, iniziavo a temere che fossi stato risucchiato dalle fate dell’amore.»

«Più che fate, direi da una sola strega che fa per dieci.»

«EMILE!»

Ora ci si metteva anche lui! Non avrei resistito ad essere presa in giro su un argomento così personale da entrambi; ma nessuno in quella casa, aveva il minimo pudore!?

Il mio Pel di Carota si avvicinò a noi e passando una mano tra i capelli del padre scompigliandoli, ripetendo il gesto che Alberto faceva con lui, si soffermò ad osservare il dipinto che ritraeva sua madre: «Stai migliorando papà, tutto sommato non te la cavi male.»

«Ragazzo, non devi mai sottovalutare chi hai accanto, ricordalo sempre!»

I due uomini più importanti della mia vita si scambiarono un sorriso felice, carico di amore e il mio cuore si riempì di gioia nel vederli così sereni: dopotutto, nonostante la tragedia della scomparsa di Claudine, il puzzle si stava ricomponendo e i suoi pezzi stavano tornando ai loro posti.

Anche se Emile sarebbe stato via per un po’ di tempo, sarebbe comunque tornato e nel frattempo Alberto avrebbe continuato a dipingere e chissà che non avrebbe ripreso la sua vita da dove l’aveva interrotta vent’anni prima!

Era a questo che aveva pensato Claudine, prima di uccidersi? Aveva deciso di porre fine alla sua vita, per liberare i suoi due uomini dalla sua presenza vincolante?

Mi si strinse il cuore a quel pensiero così triste e all’amore che era racchiuso al suo interno; un amore fatto di puro sacrificio, lo stesso identico amore che aveva portato Alberto a rinunciare ad una parte importante di sé.

«Posso chiedervi una cosa?» Non sapevo come avrebbero reagito alla mia domanda, per cui abbassai il capo e sentii, più che vedere, i loro sguardi su di me.

«Certo bambina, chiedi quello che vuoi.»

«Posso avere una foto di Claudine? O anche una vostra… di voi tre insieme…?»

Alzai il viso incapace di reggere la tensione per quella domanda improvvisa e vidi due paia di occhi che mi osservavano con dolcezza, tristezza e tantissimo amore. Ero accanto ad Alberto, per cui fu lui a raggiungere le mie mani unite, che si torturavano combattute.

«Ma certo che puoi averla, piccola mia, sei parte della famiglia, ricordi?»

«Vieni con me, streghetta, così puoi sceglierne una.» Emile mi allungò una mano con un’espressione dolce e sorridente sul viso, ma proprio in quel momento bussarono al citofono e il suo viso si fece improvvisamente serio.

«Devono essere i ragazzi… le vediamo dopo le foto, oppure può pensarci papà, ok?»

Gli feci un cenno di assenso e incoraggiante l’incitai ad andare ad aprire ai componenti della sua band. Si avvicinò a me per darmi un bacio e sparì diretto ai suoi doveri.

Appena Emile scomparve, sentii la voce di Alberto dietro le mie spalle: «È di buon umore oggi, eh? Fino a ieri aveva l’aria di un morto, si vede che la tua vicinanza lo rimette in sesto.» Il suo tono non era canzonatorio, appariva tranquillo e sollevato; mi girai verso di lui e gli risposi:

«Non credo sia a causa mia: ieri hanno terminato le registrazioni con Claudio, ed oggi riprendono i provini… io credo che sia perché Claudio sta uscendo dalla sua vita, anche se lentamente.»

«Come sempre ti sottovaluti, bambina mia!» Si tolse il camice e posando una mano sulla mia schiena a mo’ di abbraccio, mi fece cenno di uscire da quella stanza.

«Coraggio, andiamo a scegliere quella foto.»

 

 

Gli album con le foto di famiglia erano tutti radunati tra gli scaffali nel salotto: quando raggiungemmo quella stanza, Alberto scelse tra i vari volumi, quello che probabilmente conteneva le foto di tutta la famiglia e lo portò sul tavolo.

Guardai con commozione tutte quelle foto e vidi gli occhi del padre di Emile,  rattristarsi mano a mano che scorrevamo le pagine dell’album: le prime immagini ritraevano lui e Claudine insieme e felici e dovevano risalire ai mesi in cui si erano conosciuti. Mano a mano che si procedeva, iniziarono a comparire delle foto di Claudine incinta e mi salì il magone nel vedere il suo viso così felice e così languido. Uno scatto la ritraeva mentre osservava il suo ventre gonfio sovrappensiero, come se stesse comunicando silenziosamente con suo figlio: era così poetico, così perfetto nel gioco di luci e ombre e se era opera di Alberto, quella foto era la testimonianza del suo talento artistico anche come fotografo.

Rimasi a guardarla per un po’ di tempo, osservando il viso di Claudine, osservando quel ventre che racchiudeva una vita, la vita di Emile, che cresceva protetta dalle sue cure. Accarezzai  quell’immagine con un dito, preda di una strana tristezza.

«Di questa ne vado particolarmente orgoglioso: per fortuna avevo la macchina fotografica accanto a me, in quel periodo non facevo altro che foto a ma chère: era bellissima e non potendo realizzare ritratti così velocemente, rimediavo con le fotografie. Quel giorno Claudine era particolarmente serena e prima che perdessi quel momento, la fotografai estasiato; era uno spettacolo troppo bello per essere vero!.»

In quella foto c’era la vita di Alberto, c’era la sua famiglia e forse rivedere quelle immagini, ricordare delle emozioni così forti non gli stava facendo del bene, perché notai che i suoi occhi iniziarono a farsi lucidi.

«Alberto… forse non è il caso che ti faccia rivedere queste foto… Non voglio che tu soffra vedendole.»

Il padre di Emile mi poggiò una mano sulla spalla confortandomi: «Tranquilla bambina, non sto soffrendo, è bello rivedere qualcosa e qualcuno che ci ha portato la gioia nel cuore… vuoi questa foto?»

«No, no, assolutamente! Questa è tua, è così bella, così perfetta che non potrei mai prendertela! Andiamo avanti, ne sceglierò un’altra!»

Arrivammo alle foto in cui c’era anche Emile e mi resi conto che le immagini in cui tutta la loro famiglia era riunita e felice, erano davvero poche e in tutte quelle occasioni, il mio pel di Carota era davvero piccolo e sicuramente incapace di ricordare quei momenti.

Più si andava avanti, più si vedevano foto di Emile in compagnia solo di suo padre, se non del tutto solo, intento a suonare qualche strumento più grande di lui, o ad andare sul triciclo come un piccolo grande centauro. Era impressionante il modo in cui Claudine era scomparsa dalle foto nel giro di qualche anno.

«Uhm… se vuoi una foto di noi tre la scelta è ridotta, però qualcosa troverai di sicuro!»

E fu così. Trovai una foto che doveva essere risalente allo stesso giorno in cui fu scattata la foto che Emile teneva in camera sua. Claudine aveva la stessa pettinatura e lo stesso abito e anche lo sfondo era lo stesso: erano accomodati su una panchina in un parco pubblico e i due coniugi avevano un sorriso felicissimo sul viso, mentre Emile era in grembo a sua madre, infagottato negli abiti da neonato.

«Questa foto ce la fecero una settimana dopo la nascita di Emile, Claudine era appena uscita dall’ospedale e voleva ricordare quel giorno come l’inizio della nostra nuova vita, perché dopo aver fatto la foto, ci saremmo diretti a casa nostra per la prima volta in tre e da allora saremmo stati davvero due genitori, saremmo stati una famiglia.»

Ascoltando le sue parole, abbracciai la vita di Alberto con un groppo in gola.

«Perché è andato tutto storto? Perché è finita in quel modo, se era così felice? Non è giusto!»

Alberto allungò un braccio intorno alla mia schiena.

«Lo so bambina, lo so che non è giusto, ma evidentemente doveva andare così; è inutile angosciarsi ora per qualcosa che non si può cambiare.»

Feci un cenno di assenso con il viso e dopo un gran respiro profondo indicai la foto al parco: «Posso avere questa?»

 

 

Alberto era intento a riporre gli album con le fotografie nel suo scaffale, quando arrivò Lucien: non bussò, ma aprì direttamente la porta di casa; suo zio doveva avergli dato le chiavi per farlo essere indipendente e non farlo sentire un ospite.

«Si può sapere dove sei stato?» Gli chiesi ridendo, felice che si fosse ambientato così bene da avere una sua vita sociale indipendente dalla nostra.

«Oh, bonsoir Pasi, che piacere rivederti! Ero da Stefano, o meglio, siamo andati a vedere una partita di pallavolo.»

«Da soli? Non avete chiamato nessun altro?»

«Oui… Stefano ha detto che di sicuro Rita e Federico erano impegnati e non erano comunque interessati, tu e mon cousin non eravate reperibili e Sophie non sarebbe venuta.»

Ero già in procinto di arrabbiarmi per essere stata esclusa, ma dopo la risposta di Lucien, mi resi conto che aveva ragione: volendo godermi quella mattinata con il mio Emile avevo volontariamente lasciato spento il cellulare e probabilmente, anche Rita e Fede erano impegnati a ritagliarsi un po’ di tempo insieme… A pensarci bene la presenza di Lucien aveva salvato Stè dall’essere totalmente solo in casi come quelli, perché ovviamente Sofi non era da considerarsi come una compagnia su cui contare… Nel nominare la mia amica d’improvviso mi balenò in mente un’idea:

«Lucien non ti accomodare, andiamo da Sofia!»

«Eh? Pourquoi?»

«Perché io sono qui senza far niente e TU hai promesso che avresti parlato con lei, per chiederle di farci da insegnante di francese!»

«Oui, mais…non credevo che dovessi farlo subito!»

«Perché attendere? Cosa diceva Orazio? CARPE DIEM.» Gli presi la mano e lo trascinai via con me verso il salotto, avvisai Alberto che saremmo usciti e ci dirigemmo di filata verso casa di Sofi.

 

 

*****

 

«Ciao Simo; sì lo so che non ti piace che ti chiami così, ma oggi fai un’eccezione, ok? Oggi sono felice, davvero felice e vorrei che lo fossero tutti. Non sai cosa ho combinato prima di venire qui da te, eheheh!»

Uscendo da casa di Emile e Alberto, mi resi conto che, essendo domenica, sarei potuta andare a trovare mia sorella quel pomeriggio  mentre il mio Pel di Carota  teneva le audizioni.

E dato che avevo letteralmente rapito Lucien, per far sì che vedesse Sofi con la scusa dell’insegnamento, mi venne un’idea diabolica: arrivati sotto casa della mia amica, finsi di ricordarmi all’improvviso di dover andare a trovare mia sorella e lasciai un esterefatto Lucien solo soletto, prima che Sofi aprisse la porta di casa. Probabilmente stavo rischiando grosso, ma ciò che avevo appena detto all’immagine di mia sorella era la verità: quel giorno ero felice e volevo che tutti intorno a me lo fossero ed ero sicura che la presenza di Lucien, avrebbe reso interessante quel pomeriggio alla mia amica.

«Sai Simo, oggi mi è sembrato di vivere in un sogno… ricordi quando fantasticavo sulla mia vita futura insieme ad Emile? Oggi ho fatto un piccolo tuffo nel mio desiderato futuro, perché sono stata con lui per mezza giornata e c’eravamo davvero solo io e lui. Mi dispiace così tanto che tu non possa vivere un’esperienza simile, perché mi ha fatto così felice, mi sono sentita così vicina a lui, così parte della sua vita, che d’improvviso l’idea di lasciarlo in casa sua mentre teneva le audizioni, non mi ha fatto male, perché sapevo che era lì e che mi aspetta, perché oggi è rimasto con me e ieri è stato così dolce da venire a cercarmi fino davanti alla porta di casa!

Se la felicità si potesse distribuire, vorrei tanto farlo ora, perché se tutti potessero provare ciò che sento dentro di me, ci sarebbe molta meno sofferenza tra le persone che amo.

Vorrei poterti dare un po’ di questa felicità… mi sarebbe piaciuto tanto poterti dire queste parole dal vivo, magari ora sarei a fare da Cupido tra te e Stè anziché Sofi e Lucien… anche se Sofi ha lo stesso bisogno di una spinta che avresti avuto tu, siete entrambe così serie e chiuse!

Stè si sta riprendendo… sta meglio ora che è passato un po’ di tempo… vorrei vederlo felice Simo, vorrei sapere che anche lui ha trovato un po’ di pace nel cuore e mi chiedo se ci riuscirà mai… Quando penso a lui, e a quanto ti amasse, a quanto stia soffrendo per te, mi chiedo se troverà mai la forza di andare avanti e di cercare qualcun'altra… So che è indelicato parlare di questo davanti a te, ma non può vivere per tutta la vita pensando solo a chi non c’è più… Che poi non ho mai capito se ti piaceva o meno!

Mi manchi Simo… Anche se io e te litigavamo in continuazione, mi manca saperti accanto alla mia stanza, pronta a farmi tutte le ramanzine del caso, mi manca il tuo volto perennemente serio e lo sguardo d’accusa che mi rivolgevi… È strano come col tempo, quando perdi una persona, persino ciò che prima ti dava un fastidio enorme, d’improvviso diventi un dolce ricordo…

Simo, io sarò felice anche per te, porterò dentro di me questa felicità immensa e la dividerò sempre anche con te. Questo è il mio pegno, è il dono che voglio farti, voglio impegnarmi ad essere felice perché voglio donarti un pezzo della mia gioia: saremo felici in due, insieme, così avrai anche tu il tuo pezzetto di Paradiso terreno, anche se forse ovunque tu sia ora, stai già meglio. Ma io ho bisogno di sapere che hai vissuto, qui tra i mortali, tutto ciò che vale la pena vivere e visto che non può più accadere, m’impegnerò a farlo io per entrambe.

Ora vado perché voglio tornare da Emile e spero che Lucien non sia arrabbiato con me, ma dovevo lasciarlo da Sofi, dovevano stare un po’ insieme… Forse avrei dovuto fare questo anche con te, avrei dovuto spingerti verso Stè quando c’era la possibilità… Voglio rimediare anche a questo errore Simo!

A volte le persone hanno bisogno di una spinta per essere felici e non riescono a darsela da soli: a costo di essere bollata come impicciona, voglio dare quella gioia a chi mi sta accanto! Ci vediamo Domenica prossima sorellina, ti voglio bene.»

















________________________________________________________________

NDA

Mie care eccomi qui, finalmente ho aggiornato. ^ ^ 
Vi è piaciuta la seconda dose di diabete multistrato? 
Io vi ho avvisato che c'era da cariare i denti, quindi non sono responsabile di alcun aumento spasmodico dello zucchero nel vostro sangue xD *me se ne lava le mani*

Questo capitolo è nato in fretta, presa com'ero ancora dalla chiusura del precedente e subito dopo averlo concluso, mi sono decisa a passare da Sofia e Lucien, con il risultato che ora tra le mie storie su EFP, c'è anche lo spin off dedicato a questa coppia! :D *me gioisce soddisfatta*
Sarà un pò complicato per me dovermi dividere tra le due storie facendo attenzione a mantenere la coerenza degli avvenimenti, ma mi piace così tanto l'idea di descrivere due storie parallele, che troverò il modo per venirne a capo. ^ ^ 
Per la sua pubblicazione devo tutto a ThePoisonofPrimula e al suo amore incondizionato per Sofia e spero di non deludere né lei né chi di voi leggerà la mia nuova avventura, riuscendo ad immergermi in modo degno nella testa e nella vita della piccola del gruppo. ^ ^

Per chi fosse interessato, lo spin off è qui:

Love Sucks (L'amore fa schifo... si dice, ma sarà vero?)

per ora c'è il primo capitolo, ma a breve sarà inserito anche il secondo ^^ (Prim manca poco, mantieni gli amici in gabbia :P)

Inoltre, in questa settimana decisamente prolifica, anche la mia adorata admin Kira1983 ha finalmente pubblicato i primi due capitoli della sua storia originale ed io già la amo. La protagonista della storia è Dora, la classica ragazza timida e introversa che non riesce a relazionarsi con il mondo circostante, ma che una sera vedrà la sua vita cambiare radicalmente da un fatale avvenimento; e non si tratta di un incontro, ma di qualcosa di molto più violento e traumatico. Sin dal primo capitolo si comprende l'impostazione drammatica (siamo sempre figlie di Fuyumi Souryo xD) e l'approccio ai personaggi è profondo, ognuno è ben caratterizzato sin dall'inizio. È superfluo dirlo, ma ovviamente ve la consiglio se volete appassionarvi ad una storia, che ha tutte le carte in tavola per essere profonda e interessante. E poi è la trasposizione scritta di un manga che Kira stava disegnando e solo per questa particolarità, vale la pena di essere letta xD

Se sono riuscita ad incuriosirvi questa è la storia: Il fiore della notte e vi auguro buona lettura ^ ^



Angolo dei Ringraziamenti

Al punto in cui sono di questa storia, non posso che guardare alle spalle e notare quanto io sia stata fortunata ad avervi sempre accanto, sempre così entusiaste per ogni capitolo pubblicato. Siete con me da Settembre, sono trascorsi quattro mesi e voi siete ancora tutte qui, sempre pronte ad incoraggiarmi e spendere delle parole meravigliose sul mio conto. Scrivere è qualcosa che ha sempre fatto parte di me, ma solo in questi ultimi mesi sto davvero comprendendo quanto sia bello e appagante ed è solo grazie a voi, quindi non posso che rigraziarvi tutte in blocco, anche per il solo fatto di essere passate a leggere la mia storia.
Fiorella Runco, Concy, Vale, Saretta, Niky, Cicci,
Darkely, Ana-chan, Kira1983, ThePoisonofPrimula, Dreamer_on_heart.

Grazie a tutte voi perchè siete il mio sostegno, il mio incoraggiamento, la mia soddisfazione. Vi adoro, una per una!

Ai_line, Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu, lovedreams, samyolivieri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, ArchiviandoSogni_, green apple, incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, cris325, epril68, georgie71, Gracevelyn, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, sel4ever, smokeonthewater, Strega Mangia Frutta, Veronica91, _anda, _Calypso_

Grazie ad ognuna di voi, perchè il vostro appoggio silenzioso è altrettanto importante, altrettanto soddisfacente e mi spinge a continuare giorno dopo giorno.

ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29









 

 

Quando tornai a casa di Emile, le audizioni erano terminate e il mio Pel di Carota aprì la porta di casa con aria contrariata: «Ma insomma, giro un secondo le spalle e tu sparisci?»

«Sì, era per una buona causa! E poi tu eri impegnato, dovevo pur far qualcosa!»

Mi alzai sulle punte, per dargli un bacio e azzittirlo: non avevo intenzione di discutere, anche perché la nostra giornata anti musi lunghi non era ancora terminata. Emile chiuse la porta con l’espressione più perplessa che gli avessi mai visto sul volto.

«Cosa stai architettando? E Lucien, dove l’hai lasciato?»

Mi girai mostrandogli il mio sorriso migliore, soddisfatta di me per la mia genialata.

«È in compagnia, non preoccuparti.»

Mi guardò per un istante, con quella stessa espressione perplessa, ma quando la comprensione apparve sul suo volto, scoppiò in una risata di quelle che non gli avevo mai sentito fare: «Sei proprio impossibile! Ti rendi conto che stai scherzando col fuoco? Ti metti a giocare a Cupido, ora?»

Unii le mani dietro la schiena, sentendomi una ragazzina molesta colta su una marachella, ma anche soddisfatta del proprio operato:  «Sì lo so, ma se tutto andrà per il verso giusto, qualcuno mi ringrazierà.»

«Invece io ho idea che quel qualcuno ora stia pensando a tutto, tranne che a ringraziarti!»

Emile mi raggiunse e mi scompigliò i capelli con una mano, prima di circondarmi le spalle con il suo braccio. «E mentre i due piccioncini si stavano nutrendo del loro amore, tu che hai fatto?»

«Sono andata da Simona; non sto più andando ogni settimana e quindi quando ho un pomeriggio libero, ne approfitto.»

Mi diede un bacio sulla testa mentre la sua mano mi strinse più forte a sé: «Devo andare a trovare mia madre… è dal giorno del funerale che non vado da lei.»

«Allora la prossima volta che vado da Simo, vieni con me e facciamo la nostra bella visitina familiare.»

Emile mi chiuse nel suo abbraccio circondandomi completamente con le braccia: «Sei una gran donna Pasi… anche se t’impicci pericolosamente nella vita altrui!»

«Ma solo a fin di bene!»

«Ovvio… del resto se non fossi stata così, probabilmente nemmeno ci saremmo conosciuti.»

«Io invece penso che sarebbe avvenuto ugualmente perché…»

«… Perché siamo legati dal Filo Rosso del Destino.» Emile continuò la mia frase facendomi il verso, ma quando alzai il viso per osservarlo, vidi una luce divertita nei suoi occhi.

«Esatto e sono sicura che ci crederai anche tu. prima o poi!» Sorrise senza dire altro e a quel punto mi venne in mente, che quel pomeriggio poteva avergli donato una nuova speranza, mentre ero via: «Come sono andate le audizioni?»

Emile dette in un sospiro prima di rispondermi: «Non si sono presentati in molti, infatti abbiamo terminato presto… ma nessuno ci convince ancora… Odio profondamente Claudio, ma diamine se ci sa fare! Sarà difficile sostituirlo.» 

Abbassai di nuovo la testa stringendomi di più a lui.

«Prima o poi arriverà la persona giusta Emile, arriva sempre e Claudio non è l’unico batterista in gamba sulla faccia della terra!»

Il mio Pel di Carote sghignazzò: «Potrei mettere un annuncio a livello mondiale allora, magari ne trovo uno in India!»

«Uff, ma quanto sei stupido!» Lo sentii sorridere tra sé, quel giorno Emile era la rappresentazione del sole, era di umore splendido e non la smetteva più di sorridere e la mia felicità si moltiplicò nel vedere quel volto che adoravo, illuminato da quelle espressioni di serenità.

«Streghetta, ora però che ne dici se ci spostiamo da quest’ingresso?»

 

 

Dato che Alberto era preso dal suo dipinto, io ed Emile ci occupammo di preparare il pasto serale, per non distogliere l’artista dalla sua opera. Era la prima volta che cucinavo insieme a lui a casa sua, ma non era la prima volta quel giorno e la mia sensazione che tutto fosse completo e perfetto quando Emile era con me, si cementò nel mio cuore: volevo stare con lui, volevo condividere ogni più piccolo momento del quotidiano con il mio Pel di Carota.

Volevo uscire e tornare a casa sapendo che ci sarebbe stato lui ad accogliermi e che con lui avrei preparato il nostro pasto, volevo condividere l’atmosfera rilassante del dopocena, stare accoccolata accanto a lui, far l’amore con lui e addormentarmi tra le sue braccia, per poi risvegliarmi guardando il suo volto… Volevo il mio Emile, sempre e per sempre.

«Pasi? Ti sei imbambolata… oggi la cucina ti fa uno strano effetto.» Il mio Pel di Carota era alla mia destra, intento  come me a preparare qualche tartina per stuzzicarci l’appetito.

«Sarà l’odore del cibo che mi annebbia i sensi!»

«Ah sì? Proviamo a vedere.» Con sguardo malizioso  e un movimento fulmineo, che mi ricordò quello della mattina quando mi aveva bloccato sul letto, prese un po’ di maionese e me la spalmò sul naso.

«Ma che… vuoi la guerra Pel di Carota? E l’avrai!» Presi la mia salsa tartara e gliela spalmai sul braccio… il viso era decisamente fuori portata e poi l’infame si era tempestivamente spostato, per cui dovetti adattarmi al primo lembo di pelle che trovai; il suo contrattacco arrivò presto e in breve tempo ci ritrovammo spalmati di salse su tutto il corpo…

«Ehm… bonsoir.» … e fu in quel momento che comparve Lucien. 

Io ed Emile ci bloccammo, osservando il nuovo arrivato che ci guardava perplesso, ci guardammo negli occhi per un istante e scoppiammo a ridere, rendendoci conto di sembrare due bambini.

«Pardonnez-moi per l’interruzione, prego fate pure.»

Lucien fece un sorriso soddisfatto e fece per andarsene, quando Emile a sorpresa si rivolse a lui: «Se vuoi ce n’è anche per te, cousin.»

Sia io e che Lucien lo guardammo sorpresi: quel giorno il mio Pel di Carota sembrava davvero un’altra persona, era riuscito per la prima volta ad interagire di sua spontanea volontà con suo cugino e senza la solita rabbia che gli riservava da sempre! Non mi feci scappare quell’occasione e colsi il suo suggerimento al volo, prendendo la mia salsa tartara e spalmandone un po’ sull’avambraccio di Lucien, che rimase totalmente interdetto.

«Ha ragione Emile, ce n’è anche per te!» Lo guardai con sfida, sperando che si unisse a noi: guardò me e suo cugino alternatamente per qualche secondo, finché con uno scatto repentino, mostrando uno spirito d’osservazione non da poco, arrivò accanto al barattolo del paté di olive, facendone la sua riserva personale di proiettili, e passò al contrattacco.

E dopo poco tempo, comparve anche l’ultimo abitante di quella casa, che si affacciò in quella stanza, che era diventata un vero e proprio campo di battaglia: 

«Cosa diavolo sta accadendo qui?»

Lo spettacolo che offrimmo ad Alberto non era dei migliori: ognuno di noi aveva il suo barattolo con la salsa in una mano e l’altra sporca, che cercava un punto indifeso sul corpo dell’altro. Io cercavo di trattenere Lucien con un piede, mentre puntavo il mio dito sporco di tutte le salse usate, mischiate tra loro, verso il naso di Emile, che dal canto suo tratteneva il suo barattolo come se ne valesse della sua vita, tirando il volto in alto e allungando la mano “armata” di salsa sul braccio di Lucien, che cercava di staccarsi dallo sgambetto che gli stavo facendo, mentre la sua mano colpiva la fronte di Emile.

Le tartine erano rinsecchite sul tavolo e ovunque sulla mobilia, c’erano i segni delle nostre mani che, sporche di salsa, avevano cercato un punto d’appoggio.

«Vi rendete conto che questa è una cucina? Guardate come l’avete ridotta! Sembrate tre bambini delle elementari…»

Restammo bloccati ad osservarci a vicenda, cercando di non ridere delle nostre facce completamente coperte  da tutte le salse possibili, finché Alberto continuò la sua ramanzina.

«Vi faccio vedere io, come si fa la guerra!»

Prese la doccetta collegata al lavello della cucina e ci coprì letteralmente d’acqua, facendoci diventare un unico impasto con le salse appiccicate sui nostri corpi! Emile fu il primo a reagire, con scatto repentino ridusse le distanze che lo separavano da suo padre e gli spalmò sul viso, la sua scorta terribilmente calante di maionese, mentre io e Lucien l’incitavamo e subito dopo prendemmo coraggio per correre al contrattacco.

«Ragazzini sleali, vi affidate al numero, eh? Vi faccio vedere io chi è che comanda qui e dopo pulirete tutto il caos che avete fatto!»

E ne facemmo di caos: quando le nostre scorte terminarono, lo spettacolo che c’era in quella cucina era devastante: Alberto ci mise a lavorare sodo per ripulire tutto, non senza partecipare anch’egli alle pulizie notturne e quando dopo un’ora di fatiche erculee la cucina tornò a brillare, ci spedì nelle docce mentre si occupava della cena, che avvenne ad orari vampireschi…

Mi dimenticai del tutto di chiedere a Lucien se fosse arrabbiato con me per il tiro mancino che gli avevo fatto, lasciandolo da solo a casa di Sofi e non potevo dire se il suo umore sereno fosse indice che non era accaduto nulla di sgradevole dalla mia amica o se fosse solo dovuto al fatto, che finalmente Emile l’aveva trattato come uno di famiglia. Dal canto mio ero totalmente al settimo cielo, quello fu uno dei giorni più belli della mia vita, un giorno che avrei portato nel cuore per sempre.

E come al solito, Alberto aveva ragione: avrei dovuto portare qualche ricambio in quella casa, perché dopo aver fatto la doccia, usai un altro vecchio completo di Emile per rivestirmi.

 

 

*****

 

«Pasiiiiii!!! Sono quiiiii!!!»

Dopo aver chiesto sul suo conto al mio Pel di Carota, mi ero decisa a chiamare Iulia, per vederci una mattina e fare due chiacchiere insieme. Quella settimana avevo il turno pomeridiano e siccome la sera la volevo trascorrere con il mio Emile (casa discografica permettendo), optai per le ore mattutine per tutti gli altri impegni. Iulia fu felicissima di sentirmi e si rivelò disponibilissima  con i miei orari, così decidemmo d’incontrarci davanti ad un bar, per poterci prendere una granita e fare due chiacchiere.

Ero arrivata prima di lei ma mi fece attendere solo qualche minuto, prima che la sua voce mi chiamasse a tutto volume da qualche metro di distanza. Mi girai sorpresa: non ero abituata ad essere chiamata in quel modo, l’unico che lo faceva era Stè e di solito non usava il  mio nome. Iulia era visibilissima in mezzo alla folla, con il suo abbigliamento scuro sembrava un sole nero, nel mare di persone che popolavano la strada quel giorno, ma a discapito del suo abbigliamento lugubre, la sua voce e l’espressione del suo viso non facevano che ispirarmi una sola cosa: il sorriso.

Una volta raggiuntami, si chinò su di sé per riprendere fiato, doveva aver corso.

«Scusami…. ti ho…. fatto aspettare…»

«Ma no, che dici! Non c’era alcuna fretta, sei in perfetto orario.»

«Per fortuna… ho corso come una pazza…»

«Ma non c’era bisogno di affrettarsi in questo modo!»

Alzò il viso verso di me e i suoi lunghi capelli le coprirono in parte il viso.

«L’auto si è fermata all’improvviso e ho dovuto farmi qualche metro di troppo a piedi… temevo che te ne saresti andata via, stanca di aspettarmi.»

«Ma potevi chiamarmi! Sarebbe bastato che mi avessi avvisato e ti avrei aspettato! Anzi, vuoi una mano con l’auto?»

«Oddio hai ragione, che scema! Non ci avevo nemmeno pensato!!»

Iulia si rialzò e si mise a ridere di gusto, era davvero un tipetto allegro e sembrava anche molto autoironica… il suo modo di ridere così spontaneo fece sorridere anche me.

«Sarà stato il calore che ti ha offuscato i pensieri.»

«No, purtroppo, sono io che a volte sono davvero svampita e menomale che non sono bionda!»

Sorrisi a quella battuta, pensando che se Rita l’avesse sentita, si sarebbe alterata non poco: il biondo cenere dei suoi capelli aveva scatenato spesso delle battute sulla stupidità delle bionde, battute a cui reagiva ogni volta infuriandosi, proprio lei che normalmente era una persona così tranquilla e posata.

«Vuoi una mano con l’auto? Possiamo vedere insieme cos’ha…»

«Te ne intendi? Io credo di sapere cos’ha perché spesso mi lascia a piedi, la carogna, ma del resto è una Vecchia Signora, ha la sua età e non posso pretendere troppo da lei… però ci penseremo dopo, ora ho voglia davvero di qualcosa di fresco e di fare due chiacchiere.»  Mi prese a braccetto e senza nemmeno attendere una mia replica, entrammo nel bar.

Ordinammo le nostre granite e ci accomodammo ad un tavolino, posto nel fresco di un angolo, lontano dalla calca e soprattutto lontano dal calore devastante di quel mattino.

«Non sai che piacere mi abbia fatto, ricevere la tua telefonata! Non credevo che avresti risposto al mio invito, anche se ci speravo… avevo davvero desiderio d’incontrarti!»

«Grazie Iulia, sei così gentile… non credevo di essere così popolare!»

«Oh invece lo sei! Franz ti adora, dice che sei una persona sincera e divertente e che hai anche amici simpatici.»

Avevo capito benissimo a chi si riferisse… ancora mi vergognavo al pensiero degli aneddoti che Stè aveva raccontato sul mio conto a Francesco e Filippo… Una serie interminabile di figuracce, collezionate in otto anni di conoscenza; c’era materiale in abbondanza per scrivere una saga cinematografica!

«Sì, beh… diciamo che Francesco e Stè sono andati subito d’accordo.»

«Ti hanno messo alla berlina, vero? Franz quando ci si mette è spietato! Lo fa con affetto, ma quando prende di mira qualcuno, riesce a prenderlo in giro per qualsiasi cosa! Fil è più pacato, ma se si fa prendere dal fratello ci si mette anche lui e allora è davvero finita!»

Ricordai il giorno in cui incontrai per la prima volta i due gemelli e mi tornò alla mente il modo in cui si divertivano a sminuire le arie di superiorità di Emile. Sorrisi, rendendomi conto che le parole di Iulia erano vere: anche se con spirito bonario, quei due insieme erano capaci di minare l’amor proprio di chiunque…

«Pasi… scusami se te lo chiedo ma,  hai un nome particolare…»

E come da copione, ecco che tornava come sempre, il tormento che mi accompagnava da quando ero nata…

«Sì beh, ecco… in realtà è Pasifae, è un nome greco…»

«Che bello allora siamo cugine! Il mio è romano!» Il viso di Iulia si illuminò come quello di una bambina e la vidi anche unire le mani in un gesto di gioia. «Ho il nome della Gens Iulia, la famiglia a cui apparteneva Caio Giulio Cesare.»

«Allora probabilmente, i tuoi genitori conoscevano i miei!» dissi senza alcuna gioia; ogni volta che si tornava sull’argomento del mio nome, non riuscivo a trovarci nessun lato positivo, ancor più se l’associavo ai miei genitori, che continuavano a costituire per me, un problema da risolvere… Invece la mia interlocutrice sembrava del tutto entusiasta delle mie parole!

«Sarebbe bello scoprire che davvero si conoscono, sarebbe un segno del Destino!»

«Sì, magari erano compagni di classe alle superiori!» Iniziai a prendere gusto anche io a quell’idea strampalata, immaginavo persino i miei genitori in veste di studenti che parlavano con i loro compagni di classe...

«E magari sono stati anche presenti ai rispettivi matrimoni!» Iulia sembrava divertirsi davvero all’idea… sembrava una persona che si entusiasmava davvero con poco, avrebbe potuto fare concorrenza a Stè!

«Ma bando alle ciance, torniamo a noi: probabilmente ti sarà sembrato eccessivo il mio entusiasmo nel volerti conoscere, ma è la prima volta che riesco a parlare con la ragazza di uno di quei perdigiorno dei GAUS… soprattutto di Emile! Franz mi ha detto che state insieme da tanto tempo, come hai fatto? Le altre non sono durate che qualche mese scarso!»

«Beh… non so… oddio non che sia stato facile…»

Cercai d’ignorare il riferimento alle altre, per concentrarmi sulla sua domanda principale… Era meglio non istigare la mia gelosia latente, perché iniziavo davvero a temerla.

«No scusami, non volevo farmi gli affari tuoi, ti sarò sembrata un’impicciona! Era una domanda retorica, perché sono stupita e sono anche felice che quella testa dura sia più sereno, da quando ci sei tu.» Alzai il viso sorpresa da quell’affermazione: quanto sapeva Iulia sul conto di Emile? 

«In che senso?»

«Vedi, Franz ed io ci conosciamo da tanti anni e tra di noi non ci sono segreti: mi parla spesso del gruppo e dei loro problemi e mi ha sempre detto che il tuo ragazzo era intrattabile la maggior parte del tempo, anche se aveva talento e le sue scelte si erano rivelate quasi sempre giuste. E da quando è con te, Franz mi dice che Emile è migliorato: è più aperto ai loro pareri e anche se stanno attraversando un momento critico, lo vede più sereno, meno cupo… A parte quando il suo sguardo incontra quello di Claudio, perché in quel caso potrebbe scapparci il morto!»

«Sì… Emile si sta sforzando tantissimo, per sopportare la presenza di Claudio nel gruppo…»

«Per fortuna quel pallone gonfiato se andrà via, dopo il tour! Era ora che si allontanasse, lui e la sua ex ragazza che ci ha sempre snobbato, non li ho mai sopportati!»

«Emile mi ha detto qualcosa in proposito.»

«Quella tipa l’avrò vista due volte in quattro anni! Lei e Claudio litigavano in continuazione, perché diceva che il gruppo allontanava il suo ragazzo da lei, ma lei nemmeno ha provato a stargli accanto! Non l‘ho mai vista ad una delle loro serate, non è mai venuta a fare il tifo per il proprio ragazzo, né a portare un po’ di amici nei locali dove si esibivano… In realtà credo fosse gelosa della band, perché temeva di essere meno importante agli occhi di Claudio… Così prima che fosse lui a farlo, l’ha lasciato lei…»

Con quelle rivelazioni di Iulia, mi vennero in mente le parole di Claudio al riguardo: “Quell’ipocrita non mi ha permesso di andare a trovare la mia ragazza in ospedale quando si è ferita l’anno scorso” e compresi quanto quell’assenza al capezzale della sua ragazza, dovesse essere pesata nel  loro rapporto, tanto da spingerla a lasciarlo.

 «… e Claudio si è vendicato in quel modo ignominioso.»

Al solo ricordo di quel giorno, in cui quel tipo mi aveva messo le mani addosso, provocando la rabbia di Emile, arrossii di vergogna, d’imbarazzo e di rabbia e chinai il capo, incapace di affrontare apertamente il viso di Iulia.

«Non devi imbarazzarti Pasi, non è dipeso a te, è Claudio ad essere un verme viscido e schifoso.»

«Lo so, ma mi sento ancora così arrabbiata per il modo in cui sono stata usata contro Emile! E terribilmente in colpa per quello che ho scatenato…»

«Mah, secondo me invece, è stato un bene: a parte il tour, Claudio sarà fuori dai giochi e i ragazzi saranno liberi di trovarsi un altro batterista, che rispetti la loro politica e che non metta i bastoni tra le ruote nei momenti cruciali.»

«Io lo spero  davvero, Iulia, perché mi sento così terribilmente in colpa e ho visto Emile ridotto in pezzi dalla cattiveria di Claudio… Spero che se ne vada da quel gruppo il prima possibile!»

Iulia mi prese le mani tra le sue guardandomi con affetto: «Se ne andrà, stai tranquilla, dobbiamo solo pazientare un po’ e se ne andrà via per sempre dalle nostre vite e da quelle dei nostri ragazzi.»

Il modo in cui mi guardò, il tono della sua voce e il contatto delle sue mani, mi fecero sentire confortata e benvoluta e in quel momento provai un’assoluta felicità per averla conosciuta e per aver potuto finalmente condividere le mie paure e i miei pensieri relativi al futuro dei GAUS, con qualcuno che poteva comprendermi totalmente. A mia volta, iniziai a comprendere il desiderio di Iulia di conoscermi, per poter finalmente avere qualcuno con cui, come aveva detto Emile, dividere le gioie e i dolori dell’essere la compagna di un musicista.

«Ah! Prima che me ne dimentichi, grazie per il ciondolo Iulia, è bellissimo!»

«Davvero ti piace?»

«Sì, è bellissimo! Mi piace la forma e i colori usati, davvero originale!»

«Oh, quanto sono felice!» Rifece il gesto di battere le mani contenta, come una bambina  cui avevano promesso delle caramelle e mi fui contenta di averle dato quella soddisfazione… A patto che la mia idea fosse fondata…

«L’hai fatto tu, vero?»

«Con queste mani!»  disse, mostrandomi i palmi in alto orgogliosa.

«Ho sempre ammirato chi ha il dono della creatività, sei davvero brava!»

«Grazie! Ma quello che faccio io è nulla a confronto con certi geni, Pasi! Qualche volta devo portarti con me a qualche mercatino dell’artigianato e vedrai quante delizie e quanti capolavori possono nascere, da un paio di mani abili!»

«Ma anche tu sei brava!»

«Cerco di fare quel che posso: mi piace lavorare le paste sintetiche e più lo faccio, più mi vengono in mente idee diverse e sono felice quando ciò che creo piace… Anche se questa mia cliente ha disdetto all’ultimo secondo e senza nemmeno vedere il mio lavoro… Mi ha lasciato come una stupida, con il ciondolo pronto!»

«Fatti risarcire, allora! Hai impiegato tempo per farlo.»

«Sì, per quello non ci sono problemi, mi faccio dare sempre un acconto prima d’iniziare a lavorare, così se i clienti cambiano idea almeno ci guadagno comunque qualcosa.» Mi sorrise sodisfatta; a quanto sembrava Iulia non era una sprovveduta, nonostante quei suoi atteggiamenti che la facevano sembrare una bambina un po’ cresciuta.

«Hai un negozio?»

«No, ma mi piacerebbe, un giorno! Sto mettendo da parte il mio gruzzolo personale in previsione, ma è ancora tutto da decidere e poi se la carriera dei GAUS andrà avanti, Franz sarà spesso in giro, quindi per ora mi è più comodo avere il lavoro con me, senza dover restare in una sede fissa, così posso accompagnarlo ovunque vada!»

«Hai intenzione di seguirlo in tournée?!»

«Ti sembra così strano? Sarà via per mesi ed io non ho impegni fissi qui e poi avrà di sicuro bisogno di un sostegno, senza contare che  posso fare i miei lavori, ovunque ci sia un forno.»

«Allora, sarai la loro groupie!»

«Uhm… una groupie un po’ riservata… solo per uno dei chitarristi!» Ci mettemmo a ridere su quella battuta ma Iulia si fermò all’improvviso.

«Tu non verrai?»

«No… o meglio, non ne abbiamo nemmeno parlato, ma non credo che sia il caso: Emile non vuole che m’intrometta nella sua vita professionale e non posso che dargli ragione, perché quando l’ho fatto ho scatenato quel casino…»

«Ah è vero, Claudio sarà lì.»

«Già… probabilmente riuscirei anche a tollerare la presenza di Claudio, ma darei solo un problema in più ad Emile, che già fatica ad essere sereno in presenza di quel tipo... e poi io qui ho il mio lavoro e il mio impegno col centro.»

«Che centro?»

«Un centro d’accoglienza per chi ha problemi psicologici: io e il mio amico Federico aiutiamo chi ha problemi a confidarsi, oppure indichiamo a chi lo chiede, i centri migliori nel circondario per risolvere i singoli casi. Fede ha lavorato in una comunità per tossicodipendenti per anni e ha una grande esperienza con chi ha problemi psicologici, io facevo del volontariato insieme a lui e quando la comunità ha chiuso, abbiamo pensato di creare qualcosa personalmente, con le nostre poche risorse. Per ora è solo un piccolo centro di ascolto, ma col tempo se ci giochiamo bene le nostre, carte potremmo aprire anche noi una comunità o qualcosa di simile.»

«Wow! Pasi sono senza parole, tu e il tuo amico siete da ammirare, avete un progetto meraviglioso a cui dedicarvi! Ce ne fossero di più, di persone come voi!»

Iulia aveva il viso palesemente ammirato e quello sguardo mi fece arrossire; io continuavo a considerare il mio impegno sociale come qualcosa di normale, perché faceva parte del mio carattere dare aiuto quando potevo;  gli sguardi ammirati delle persone mi mettevano a disagio, perché non li capivo.

«Ma no, Iulia, non è nulla di che, mi piace e cerco di fare di una passione, qualcosa che mi impegni il tempo in modo proficuo.»

«Io continuo a pensare che tu sia da ammirare, non ho mai conosciuto qualcuno della tua età così prodigo verso gli altri… Viviamo in un mondo egoista e indifferente e il tuo impegno verso chi è fragile dentro è davvero unico!»

«Se ti fa piacere allora, qualche volta ti porto con me al centro, così conoscerai anche Fede e vedrai cosa facciamo.»

«Sììì! Mi piacerebbe tantissimo, grazie!» Quasi saltando dalla sedia, prese le mie mani nelle sue e mi guardò con una luce bambinesca negli occhi che mi fece sorridere di cuore: quella ragazza mi piaceva davvero tanto!

La mattinata trascorse velocemente in sua compagnia: Iulia era una persona socievole e molto loquace e aveva saputo ispirarmi fiducia presto, nonostante avessi notato anche degli atteggiamenti del tutto singolari in lei, come quell’ingenua spontaneità da bambina che mi aveva lasciato un po’ sorpresa.  A quel pensiero, ricordai le parole di Emile: “Iulia mi ha dato l’impressione di essere una ragazza vitale e fuori dagli schemi” e mi resi conto che quella descrizione combaciava perfettamente, con quello che avevo percepito su di lei. Iulia sprigionava una grande vitalità dal suo modo di fare e a volte lasciava del tutto spiazzati per la sua imprevedibilità.

Quando giunse per me, l’ora di andare a lavoro, mi abbracciò con calore: «Sono davvero felice di averti conosciuta, Pasi, mi piacerebbe se noi due diventassimo amiche.»

Ricambiai il suo abbraccio con sincero trasporto: «Anche a me ha fatto piacere conoscerti.»

«Visto che non ci sarai nel tour, voglio portarti più vicina al mondo dei GAUS: tieniti pronta, perché la prossima volta che mi farò sentire, dovrai ritagliarti qualche ora libera!»

«Ma che intenzioni hai?»

Mi staccai dal suo abbraccio sconcertata e Iulia si portò l’indice davanti al naso:  «Segreto! Ed ora vai, sennò fai tardi al lavoro. A presto, Pasi!» Mi diede un bacio sulla guancia e scappò via verso la direzione da cui era venuta.

Ero di nuovo senza parole, come quella sera a lavoro: cosa aveva voluto dire con quella frase? In che modo voleva portarmi più vicina al mondo dei GAUS?

Feci la strada verso il fast food riflettendo su quelle parole e su quella mattinata e solo arrivata a destinazione, mi ricordai che Iulia aveva l’auto ferma per strada e che non le avevo dato una mano a rimetterla in sesto.

 

*****

 

 

«Pronto?»

«Stè ho bisogno di una mano.»

«Cos’hai combinato stavolta, Testarossa?»

«Nulla, ho solo bisogno della tua tecnologia.»

«Uhm, chissà perché ho l’impressione che c’entri la famiglia di Emile…»

«Bravo Einstein! Puoi aiutarmi?»

«Certo, che domande fai? Vieni pure.»

«Perfetto, mi preparo e vengo da te.»

Mi ero appena alzata e prima che la mattinata scorresse in altre faccende, mi preparai ad andare da Stè per portare a termine quel piccolo lavoretto di cui avevo bisogno.

Alberto mi aveva donato senza pensarci due volte, una delle rare foto in cui lui e sua moglie si godevano l’inizio della loro avventura di genitori ed era anche una delle poche foto felici in cui erano presenti tutti e tre. L’avevo presa con gioia, ma dopo qualche giorno mi sembrò di aver tolto un tesoro prezioso da quella casa e dalla scatola dei ricordi di Emile e Alberto. Così in cerca di una soluzione, che mi permettesse di avere quella foto ma senza toglierla ai legittimi proprietari, trovai di nuovo un valido aiuto nella strumentazione tecnologica di Stè: avrei scannerizzato la foto, rendendola digitale, per poi farmela stampare, così avrei avuto la mia copia  senza togliere l’originale ai proprietari.

«Ho l’impressione che la casa di Emile sia un negozio di antiquariato… sarà per quello che restaura mobili antichi!»

«In effetti, l’arredamento ha alcuni dettagli che ricordano altri tempi.»

«In verità mi riferivo alle volte che sei venuta per modernizzare gli oggetti provenienti da quella casa, come le canzoni della signora Claudine… A proposito, Lucien ha parlato con Sofia?»

«Eh?»

«Per le lezioni di francese, Pasi!»

«Ah sì, giusto… Credo di sì, perché l’ho accompagnato io stessa da lei.»

«Come “credi”? Non eri presente?»

«Ehm… in realtà l’ho solo accompagnato… appena arrivati, me ne sono andata via.»

«COSA? E perché mai? Hai lasciato Lucien in pasto a Sofia? Oh cielo, l’avrà fatto a fette!»

«Quanto sei drastico, Stè! Sofi non è mica un orco!»

«Ma se tu sei la prima a litigarci!»

«Lo so, ma Lucien riesce a zittirla, ricordi? Senza la mia presenza in mezzo, sono sicura che se la sarà cavata alla grande.»

«Scusa, ma poi non sei andata a prenderlo? Com’è tornato a casa?»

«Non lo so di preciso: è tornato poco prima di cena, ma non abbiamo avuto modo di parlare…»

Sorrisi, ricordando quella sera stupenda che avrei conservato per sempre nel mio cuore: erano trascorsi due giorni da allora e non avevo avuto occasione di rivedere né Emile né tantomeno Lucien.

Il mio Pel di Carota poteva anche aver terminato le registrazioni, ma c’era ancora così tanto da fare alla casa discografica, che le sue serate finivano con l’essere risucchiate dai GAUS e a me non restava che attendere l’ora della nostra chiacchierata telefonica, prima di andare a dormire.

«Uhm… tu non me la conti giusta, Testarossa… Stai architettando qualcosa, vero?»

 Stè era un caro ragazzo, ma se c’era una cosa che non sapeva fare, era fingere e dirgli dei sospetti miei e di Rita sul conto di Sofia, non era contemplabile, perché anche se gli avessi fatto giurare di non fare battute in presenza di Sofi, sapevo che non avrebbe resistito, scatenando l’ira della nostra amica, che già stavo mettendo alla prova personalmente con il mio comportamento da Cupido.

«No Stè, te l’ho detto, era meglio per tutti se Lucien avesse parlato da solo con Sofi, perciò non sono entrata anche io… e poi ho dato per scontato che sapesse tornare a casa da solo, com’è accaduto, quindi non c’è alcun motivo per insospettirsi!»

«Mah… continuo a non essere convinto.»

Gli mostrai uno dei miei sorrisi più convincenti e cercai di cambiare discorso, per non finire col tradirmi: era difficile per me mantenere un segreto con Stè, lui era il mio confidente più grande, sapeva ogni piccola cosa sul mio conto e mi dispiaceva mentirgli, ma era a fin di bene: Sofia era una persona difficile e dovevo andarci con i piedi di piombo se volevo riuscire nel mio scopo, senza farla arrabbiare definitivamente con me e perdere la sua amicizia.

«Testa di Paglia… ricordi il discorso di qualche giorno fa, sulle vacanze?»

«Sì, certo... hai deciso dove andare?»

«Sì… o meglio, credo che per quest’anno non ci andrò.»

«Eh? E perché? Non ti danno le ferie?»

«Non so, non le ho ancora chieste a dir la verità… Il fatto è che Emile sarà impegnato tutta l’estate con la realizzazione dell’album e poi andrà via in tour… Voglio stare con lui Stè, voglio riuscire a sfruttare tutto il tempo possibile per stargli accanto, perché poi sarà lontano da me per mesi.» 

M’incupii al solo pensiero di trascorrere settimane e settimane senza il mio Pel di Carota e sapere che invece Iulia avrebbe seguito Francesco, non mi aiutava affatto. Ma sapevo che il mio posto non era con i GAUS, sarei stata totalmente d’intralcio e non avrei potuto abbandonare il mio mondo per Emile, non me lo sarei perdonato e non l’avrebbe fatto nemmeno il mio Pel di Carota. Ci eravamo ripromessi di non perdere noi stessi e le nostre vite, per annullarci in funzione della vita del nostro compagno/a e così avremmo dovuto procedere: Emile doveva andare in tour ed io dovevo restare qui con i miei amici, il mio lavoro e il centro. 

«Ho capito… Uhm… a questo punto allora credo che saremo tutti a casa, quest’anno.»

«Eh? E perché? Nemmeno Rita e Fede vanno in vacanza?»

«Non so di preciso, ma dubito che quei due, vogliano qualcuno tra i piedi! Ora che sono tornati ad essere una coppia, sicuramente vorranno farsi una vacanza romantica, non trovi?»

«Uhm, hai ragione… Però c’è So…»

«Testarossa, sii obiettiva: cosa mai potremmo fare io e Sofia insieme? A parte litigare, ovviamente!»  Stè aveva ragione, lui e Sofi erano poco compatibili: per quanto potessero funzionare in compagnia, tanto era impossibile che legassero quando erano da soli, c’era ben poco che li accomunasse… e poi se Sofi fosse andata via in vacanza, avrebbe messo delle distanze da Lucien e questo non doveva accadere!

«Allora dobbiamo organizzare più spesso qualche altra giornata al mare, almeno ci divertiremo un po’, staremo insieme e ci godremo come possiamo le vacanze… Anche se mi dispiace che per colpa mia ci rinunci anche tu!»

«Ma no, Pasi, non preoccuparti, lo sai che io trovo sempre modo d’impegnare il mio tempo e poi a dir la verità, dovrei studiare un po’ per i prossimi esami: quest’anno non sono stato troppo ligio al dovere e devo recuperare!»

Abbracciai Stè preda del senso di colpa e di un’improvvisa tristezza: ogni volta che accennava all’università, non potevo che andare col pensiero a Simona e l’associazione con il mio amico mi metteva immediatamente addosso una grande malinconia. In più con la mia decisione di stare accanto ad Emile, avevo anche precluso il suo divertimento estivo e anche se mi dicevo che ognuno è libero di gestirsi il tempo come vuole, senza dover dipendere dagli altri, non potei evitare di pensare di fare un torto al mio amico.

«Testarossa, non preoccuparti, mal che vada se sentirò il bisogno di prendermi una vacanza, chiederò a qualche mio collega di facoltà o a qualcuno dei miei fratelli… Sono pieno di risorse, lo sai.»

Annuii, lasciandomi confortare dal suo abbraccio.

«Su, ora mettiamoci al lavoro, per portare nel ventunesimo secolo quella fotografia.»

 

 

*****

 

«Pronto?»

«Allô Pasi?»

«Lucien?»

«Oui, c’est moi.»

«Che sorpresa, è la prima volta che mi chiami!»

«Oui… non posso usare mon portable ici e sto chiamando da quello di Oncle Albert…»

«Ah sì, vero, le tariffe estere ti ucciderebbero…»

«Oui, per questo ho chiesto a Oncle Albert ,se potevo usare son portable.»

«Allora, cosa ti ha spinto a chiamarmi?»

La mia mente era già in pieno fermento: stavo già immaginando una confessione e una richiesta d’aiuto per far breccia nel cuore strettamente protetto di una persona che conoscevo bene…

«Bien, qualche giorno fa, ho trovato un depliant sulle rassegne estive teatrali e ho letto che daranno l’Edipo Re, une tragédie greque… Ne ho parlato a Sophie e dice che forse poteva interessarti vederla… sia a toi  che a les autres…»

 Aveva parlato di una tragedia greca a Sofia… Iniziavo a pensare davvero che quei due fossero fatti l’una per l’altro!

Mi aveva sempre appassionato il teatro, aveva un certo fascino,  anche se quando a scuola i professori ci portavano a vedere qualche rappresentazione, io e Stè ci distraevamo in continuazione;  ma chissà perché, pensare a quei due che parlavano di teatro, mi dava l’impressione di un discorso tra cervelloni di quelli che passano in tv alle ore più tarde della notte... e che puntualmente mi facevano addormentare!

L’idea di Lucien tuttavia non era affatto male: di sicuro lui e Sofi nutrivano un interesse per il teatro maggiore del mio, o comunque diverso: io lo percepivo più emozionalmente, mentre quei due di sicuro sapevano vita morte e miracoli dell’autore e dei significati reconditi dietro la trama… Poteva nascere una serata interessante e non volevo perderla, perché Lucien e Sofia avevano ancora bisogno di Cupido!

«Certo che m’interessa! Verrò con piacere, Lucien!»

«Bien! Alors, ci pensi tu a chiamare les autres? Non vorrei sfruttare troppo le portable de mon Oncle…»

«Chi dovrei chiamare?»

«Rita, Federico e Stefano e confermare a Sophie chi ci sarà…»

A quel punto mi balenò nella testa un’altra idea per avvicinare i piccioncini: «A dir la verità, proprio non posso, ho finito il credito e non ho nemmeno il tempo di chiamare i ragazzi… Perché non vi organizzate tu e Sofi?»

«Moi e Sophie?!»

«Sì, anzi ora ti do il suo numero e poi devo scappare perché ho un impegno e non posso rimandare!»

 

Portai a termine con stile la mia nuova mossa da Cupido e non lasciai a Lucien il tempo di replicare… Stavo giocando col fuoco, sia con lui che con Sofi, ma finché mi fosse andata bene, avrei fatto di tutto per aiutare quei due a venirsi incontro! In effetti non sapevo nemmeno se Lucien fosse interessato alla mia amica, ma un sesto senso mi diceva che stavo agendo nella giusta direzione: se avevo visto bene, quei due erano legati dal Filo Rosso del Destino, proprio come me ed Emile e anche se prima o poi quel filo li avrebbe chiamati a sé senza il mio aiuto, ciò che avevo detto a Simo qualche giorno prima era vero: qualche volta le persone hanno bisogno di essere spinte verso la giusta strada da imboccare… Anche Fede aveva fatto così con me, quando mi aveva dato la foto da restituire ad Emile…

Certo non ero come Sofi, ma avevo avuto anche io i miei tentennamenti e come erano stati vinti loro, ero certa che forzando un po’ la mano, anche la muraglia che la mia amica aveva intorno al suo cuore, si sarebbe sgretolata mano a mano.

 

 

*****

 

«Pasifae!»

L’impegno che avevo accennato a Lucien c’era davvero, anche se non era così urgente come gli avevo fatto credere: non vedevo Emile da giorni e per quando sarei riuscita nell’impresa, avevo intenzione di fargli un regalo speciale,  così uscii di casa piena di entusiasmo per la mia idea. Ma per strada, all’improvviso fui bloccata da una voce che conoscevo bene e che non sentivo da tanto tempo: mi bloccai sul colpo e mi girai per salutare mia madre.

«Ma…mma.»

Era di fronte a me, ferma, con delle buste sotto braccio, che indicavano che fosse in giro a fare spese. Il suo viso era ancora smagrito e sofferente, i suoi capelli erano raccolti in una coda bassa e avevano un aspetto trascurato; l’immagine generale era la stessa che avevo lasciato mesi addietro, mia madre era un fantasma e mi si strinse il cuore nel vederla in quelle condizioni.

«Ti trovo bene, Pasifae.»

A quella affermazione, chinai lievemente la testa, sentendomi quasi in colpa perché a differenza sua, io in quel periodo ero felice e quella gioia traspariva sul mio viso.

«Sì, beh… è un buon periodo.»

«Sono contenta per te.»

Quella frase su quel viso distrutto, sembrava nascondere il significato opposto a quello enunciato… e  il mio senso di colpa continuò a crescere.

«Come mai sei da queste parti?»  Cercai di cambiare discorso, per poter avere una conversazione decente che non  andasse a finire con uno scontro o una recriminazione.

«Sono venuta a far spese, c’è una macelleria nei dintorni che  ha una carne che piace molto a tuo padre…»

Al solo nominarlo, sentii una fitta allo stomaco: ricordavo benissimo l’ultima volta in cui avevo visto mio padre… e al modo tragico e conflittuale in cui ci eravamo separati.

«Co… come sta? Come stai tu?»

«Come al solito, cerchiamo di elaborare il lutto e andiamo avanti.»

«Ma stai mangiando? Ti preoccupi per papà, ma a te ci pensi?»

Mia madre accennò un sorriso triste: «È bello vedere che ti preoccupi Pasifae, anche se non ti fai vedere da un po’.»

«È ovvio che mi preoccupi! Siete sempre i miei genitori… e lo sai che venire in quella casa non è facile per me!»

«Sì, lo so… tuo padre mi ha detto com’è andata l’ultima volta che sei venuta: gli hai mancato di rispetto e questo non dovevi farlo.»

Chiusi gli occhi per un secondo prima di fare un lungo respiro, per evitare di andare in escandescenza: in quel modo non avrei risolto alcunché.

«Sì, lo so di aver esagerato, ma nemmeno lui c’è andato leggero… e poi stavo cercando di difendere te!»

«Pasifae, io non ho bisogno di essere difesa! Conosco tuo padre da più di vent’anni e so come comportarmi con lui; non è cosa che ti riguardi.»

Iniziai a sentire il magone chiudermi la gola: ancora una volta i miei gesti venivano fraintesi, ancora una volta, i miei tentativi di comunicare venivano distrutti.

«Ci manchi… perché non torni a casa?»

Ricacciai indietro il magone e mi armai di un’improvvisa risolutezza: dovevo smetterla di sperare in un miracolo, dovevo prendere atto che la realtà era quella, che io e i miei genitori non saremmo mai andati d’accordo; dovevo accettarli così come erano, dovevo farmene una ragione.

«No mamma, non tornerò… cercherò di venire a trovarvi più spesso, ma non tornerò a vivere con voi.»

Mia madre calò la testa e si zittì ed io, incapace di mandare avanti ancora quella conversazione, tagliai corto.

«Ora devo andare… passerò presto a trovarvi, così potremo stare un po’ insieme.» Non ero affatto convinta sul quel “presto”, ma sperai di riuscire a mantenere quella parola, mentre mi accomiatavo da mia madre, lasciandomela alle spalle.

 

 

*****

 

«Pronto?»

«Ciao streghetta.»

«Emile! Hai finito prima stasera? Non aspettavo la tua telefonata prima di un’ora.»

«Sì, abbiamo lavorato tutta la settimana al missaggio dei brani ed oggi eravamo davvero esausti, così abbiamo finito prima.»

«Che bello, così magari ti riposi un po’.»

«Sì, infatti… Sei a casa?»

«Sì, ho appena finito di cenare… mi manchi!»

«Anche tu mi manchi… ma a questo rimediamo subito, vieni ad aprire la porta.»

Quasi lanciai il cellulare sul tavolo per lo scatto repentino che feci verso l’uscio di casa mia, il pensiero che il mio Pel di Carota fosse a pochi passi da me, mi aveva mandato su di giri per la felicità e quando aprii la porta e lo vidi arrivare sorridente, con il cellulare ancora in mano, gli saltai letteralmente addosso, aggrappandomi al suo collo.

«Sei qui! Sei qui!»

Emile restò senza fiato per la mia stretta improvvisa: «Piano Pasi, mi stacchi il collo!»

«Non m’interessa, dopo te lo curo, ora voglio stringermi a te!»

Si mise a ridere e mi strinse a sua volta:  «Se si stacca, voglio proprio vedere come farai a curarlo!»

«Ho un’ottima colla!»

Ci guardammo per qualche secondo con la felicità negli occhi, poi Emile si chinò verso di me e mi diede un meraviglioso bacio che sapeva di felicità.

 

*****

 

«Quindi come al solito, il vostro non è stato un incontro felice.»

«No… ma ormai inizio ad abituarmici.»

Dopo l’iniziale euforia di vederlo, avevo fatto entrare Emile in casa chiedendogli se avesse fame: mi piaceva l’idea di preparargli  la cena, ma il mio Pel di Carota aveva già mangiato nella casa discografica… Dubitavo che fosse stato un pasto sostanzioso, ma aveva bloccato ogni mia insistenza, così ci eravamo accomodati sul divano e, abbracciati l’una all’altro, avevamo parlato della nostra giornata… E per quanto riguardava la mia, il racconto comprendeva l’incontro con mia madre.

Emile mi stringeva forte a sé, come se volesse proteggermi dai brutti pensieri che, sapeva, mi stavano affollando la mente.

«Però da quello che mi hai raccontato, sembrava più disposta a parlarti, stavolta.»

«Sì è vero, ma quando ha difeso mio padre sul mio tentativo di difendere lei, mi sono sentita davvero persa… Perché non riesce a capirmi?»

Mi strinsi a lui più forte che potei, mentre parlavo mi resi conto di aver un bisogno immenso della sua presenza, delle sue braccia confortanti, del battito del suo cuore che mi dava sicurezza…

«Tua madre ha un altro modo di vedere le cose… e poi credo che qualsiasi donna difenderebbe il proprio uomo da chiunque, anche nel caso si trattasse di una figlia… non credi?»

«Forse hai ragione… io ti difenderei sempre e comunque!»

«Eccola, la mia strega combattiva!» Emile mi diede un bacio sulla testa, continuando a stringermi a sé.

«Probabilmente devo rinunciare all’idea di averli accanto a me: mentre le parlavo ho sentito che la mia era una battaglia persa, che volevo da loro qualcosa che non avrebbero mai potuto darmi… Devo accettarli così come sono, proprio come i genitori dovrebbero fare con i figli.»

«Però così soffriresti.»

«Soffro comunque. Emile! Almeno me ne faccio una ragione e vado avanti! Prenderò le cose come andranno, andrò a far visita loro, faremo due chiacchiere di circostanza e dopo un’oretta di parole superficiali, me ne andrò, avrò fatto il mio dovere di figlia e avrò mantenuto un contatto con loro, seppur del tutto formale… Se è solo questo ciò che potrò avere da loro, lo accetterò di buona grazia.»

Sentii la stretta di Emile farsi più serrata, mentre  mi poggiava una mano sul viso, per volgerlo verso il suo: «C’è qualcosa che posso fare, per aiutarti?» Lo guardai negli occhi, e vidi quel grigio azzurro offuscato dalla preoccupazione;  quella dimostrazione d’amore mi commosse e gli rivolsi un sorriso.

«Stammi vicino, non lasciarmi.»

«Questo mai.»

Mi stavo beando di quelle parole nel conforto del suo abbraccio, quando mi ricordai del suo regalo: mi alzai all’improvviso, lasciandolo del tutto sorpreso e salii le scale che portavano al soppalco per raggiungere la cassettiera, presi il pacchetto dal cassetto e tornai trionfante verso il mio Pel di Carota, che era rimasto ad osservare i miei movimenti, con la stessa espressione stupita.

«Questo è per te.»

La sorpresa sul suo viso lasciò spazio al sospetto: «Ho dimenticato qualche ricorrenza, per caso?» e il sospetto si tramutò in timore di aver commesso un grande errore di dimenticanza.

«Ma no! È una piccola cosa che volevo avessi, avanti apri!»

Emile fece un sorrisetto tornando all’espressione dubbiosa, prese il pacchetto e in un colpo solo sciolse il nastro che lo teneva chiuso, tirandone fuori il contenuto.

«Una chiave?»

«Sì… la chiave… di questa casa.» Emile sgranò gli occhi per la sorpresa. «Ho ripensato a quando ti ho visto sulla porta la settimana scorsa e che se avessi avuto le chiavi, avresti potuto dormire comodo appena arrivato… e poi mi piaceva l’idea di saperti in casa al mio ritorno… o al mio risveglio.»

Senza dire una parola, si alzò dal divano e mi abbracciò forte a sé ed io lo strinsi a mia volta, travolta da quell’abbraccio carico del suo amore.

«Grazie.»

Quella sola parola da parte sua, bastava a riempire pagine di significati: lui temeva che l’abbandonassi ed io volevo che fosse parte della mia vita con tutte le mie forze e quella chiave confermava che le nostre vite erano intrecciate indissolubilmente l’una all’altra; era un altro giro del filo che si avvolgeva intorno ai nostri mignoli, rendendo il nostro legame e la fiducia reciproca, ancora più solidi.

















_____________________________________________________________

NDA

Ave mie care, anche stavolta vi ho fatto attendere una decina di giorni per avere il capitolo, ma credo che ormai questo sia il ritmo di pubblicazione, quindi spero che siate clementi e che sopportiate l'attesa ^ ^
Come vi è sembrato? Credo che il cellulare di Pasi abbia funzionato più in queste righe che in tutti i capitoli messi insieme, l'ho fatto lavorare decisamente tanto xD
Credo di aver trovato un certo equilibrio anche nel dividermi tra le due storie e se la Musa mi sorriderà ancora, non dovrei avere troppi problemi a mandarle avanti entrambe con una certa regolarità. E se tutto va bene, mi piacerebbe dare alla luce anche un altro spin-off, a cui tengo davvero, ma che per ora resta a riposo... vedremo. ^ ^
Intanto mi concentro su queste mie due creature, sperando di mantenere l'nteresse in voi fino alla fine ^ ^




Angolo dei Ringraziamenti

Il mio Arigatou regolare va come sempre alle mie sorelle speciali, che mi sostengono praticamente da sempre e che riescono ogni volta anche con una sola parola a togliermi i dubbi su ciò che scrivo: Fiorella Runco, Saretta, Vale, Concy, Niky, Cicci, Darkely, Ana-chan, a cui si aggiungono la mia adorata admin Kira1983 e le mie colleghe speciali ThePoisonofPrimula, Dreamer_on_heart. Con le vostre recensioni mi aiutate ogni volta ad essere soddisfatta di ciò che creo e m'incitate sempre di più a continuare, siete davvero il mio sostegno più grande, grazie davvero a tutte voi!
E un GRAZIE grande quanto una casa va anche ad Androgynous, che ha recensito lo scorso capitolo con parole che ancora adesso mi commuovono e mi inorgogliscono, non ho nemmeno le parole per dirti quanto tu mi abbia fatto felice!!! ç_ç  *me piange di gioia come Pasi*

E grazie di cuore a tutte voi che leggete in silenzio e che avete messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite: 
Ai_line, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu
, lovedreams, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, green apple,
incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, cris325, epril68, georgie71, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, sel4ever, smokeonthewater, Strega Mangia Frutta, Veronica91, _anda, _Calypso_

Un mega ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30









 

 

Un bacio. Sento il calore delle labbra sulla mia pelle e poi un altro e un altro ancora. La sensazione di calore m’invade sempre più, risvegliando lentamente la mia coscienza dallo stato di oblio in cui si trovava. Sento brividi di piacere ovunque si posino quelle labbra e la coscienza prende il sopravvento, insieme alla sensazione di un dolce calore…

Quando riaprii gli occhi quella mattina, ancora inebetita e travolta da quelle sensazioni provate nel dormiveglia,  mi resi conto che tutto ciò che sembrava parte del mio sogno era più vivo che mai e nel girare lo sguardo, vidi un paio di occhi grigi che mi osservavano, corredati da un sorriso estatico.

«Buongiorno, streghetta.»

Emile era vicinissimo a me, disteso su un fianco, intento a reggersi la testa con un braccio e aveva un’espressione così serena e soddisfatta, da farmi pensare di essere in Paradiso: non potevano esistere risvegli così belli sulla terra!

«Scusami se ti ho svegliato, ma non ho saputo resistere… sei particolarmente invitante oggi.» restò ad osservarmi  ancora per qualche secondo e poi si chinò a darmi un bacio, nemmeno tanto casto, che mi risvegliò del tutto. In un attimo mi ritrovai avvinghiata a lui: le nostre gambe intrecciate, i nostri respiri sempre più affannosi…

A stento riuscii a formulare una frase di senso compiuto quando lentamente si staccò da me, per respirare.

«Se questo è il risveglio che mi riservi, non ti lascio andare più via.»

Emile sghignazzò soddisfatto e continuò a baciarmi tra il collo e la clavicola… «Purtroppo invece devo andarmene.» …per poi passare di nuovo a posare le sue labbra sulle mie.

«Noo… resta qui… con me…» Non avevo fiato e la mia protesta risultò alquanto debole.

«Mi piacerebbe, ma devo andare in bottega, non posso saltare il lavoro.» Mi diede un bacio sul lobo dell’orecchio…

«Prendi un giorno… libero…» Risposi ansimando…

 «Non posso… devo lavorare il più possibile ora…» un bacio sul collo, «…perché non credo che avrò ancora quel lavoro…» due baci sugli occhi, «…quando sarò tornato…» un bacio sul naso, «…dal tour.» un altro bacio infuocato, prima di staccarsi da me.

A malincuore sciolsi il mio abbraccio da lui, cercando di tornare in me, per poter portare avanti quella discussione: mi misi a sedere mentre Emile scendeva dal letto.

«Credi che ti licenzieranno? Non puoi chiedere, non so… delle ferie per malattia?»

«No, Pasi, non posso: ho già abusato fin troppo della pazienza e del buon cuore di Gustavo, non posso chiedergli dei mesi di ferie, per tornare da lui in modo sempre più saltuario. Una volta tornati dal tour, avremo sempre più da fare, se i primi mesi di vendita avranno esito positivo. Voglio dedicarmi completamente alla band: finora anche la casa discografica ci è venuta incontro, adattandosi con orari impossibili perché eravamo in forte ritardo, ma in seguito dovremo seguire i normali orari e dovrò essere libero di dedicarmi alla promozione dell’album, non avrò più tempo da dedicare alla bottega.»

«Tutto sta per cambiare.» 

Dissi quelle parole più a me stessa che a lui: non mi ero resa conto di quanto la vita di Emile potesse essere travolta dall’eventuale successo del suo album e sentirgli dire quelle parole mi aveva spaventato, come se la stabilità che stavo ancora faticando ad avere, fosse nuovamente in pericolo di crollare.

Avvicinai le ginocchia al petto e mi strinsi in un mutismo pieno di timori: Emile era in procinto di scendere le scale ma vedendomi in quello stato si avvicinò. sedendosi dal mio lato del letto.

«Cosa c’è che non va?»

Mi dannai per non essere stata capace di nascondergli il mio stato d’animo, ma non riuscii nemmeno a mostrargli un sorriso sereno. La mia testa era nascosta dalle gambe e biascicai la mia risposta  con la voce ovattata:  «Ho paura.»

«Paura? E di cosa?» sentii la mano di Emile che mi accarezzava la testa.

«Dei cambiamenti. Ho paura che qualcosa cambi in peggio. Ho paura di perdere quello che ho ora.»

«E tutto questo, in base al mio lavoro?»

La voce di Emile era scettica e un po’ divertita: sapevo che non avrebbe compreso e alzai la testa per spiegargli meglio le mie ragioni.

«Non è per il lavoro in sé, è il cambiamento che porterà! La tua vita cambierà, così come anche la mia…»

Il mio Pel di Carota mi guardò con un’espressione mista tra rammarico e durezza: «Pasi, lo sai che è questo che voglio, è questo che inseguo, non ho intenzione di cambiare strada e dov….»

«Sì lo so, Emile, non sto affatto mettendo in discussione questo e men che meno sto cercando di polemizzare! Ho solo paura di perdere ciò che ho ora…»

«Ma non perderai alcunché! La tua vita sarà sempre la stessa ed io ci sarò sempre.»

«Ma non come adesso…»

«Magari ci sarò anche di più: avendo solo la musica a cui dare conto, potrei avere più tempo per te, non c’hai pensato?»

Girai la testa in senso di diniego stringendo le labbra, guardandolo con rimorso per aver creato un problema, che per molte ragioni poteva essere del tutto inesistente. Emile si fece una risata e mi accarezzò il viso:  «Certe volte sei proprio una buffa bambina.»

«Scusami, non volevo farti preoccupare inutilmente…»

«Stai tranquilla e non angosciarti per delle sciocchezze: io sono qui non vado via; anzi inizia a liberare i cassetti, che porto qualche ricambio.» Rivolgendomi un sorriso incoraggiante, mi diede un bacio e si alzò diretto al piano sottostante.

«Emile!» vedendolo andar via, mi alzai sul letto allungandomi in sua direzione prima che scendesse del tutto le scale e il mio Pel di Carota si girò verso di me incuriosito.

«Mmh?»

«Ecco, volevo precisare che… ti ho dato quella chiave, ma non devi sentirti costretto a venire qui sempre. Se vuoi stare con tuo padre è più che logico e non pretendo che tu ti traferisca qui… Mi piaceva sapere che in qualsiasi momento tu voglia, puoi aprire quella porta e stare qui con me, ecco tutto.»

Il viso di Emile si addolcì di colpo sorridendomi: «Lo so Pasi, stai tranquilla, non mi sento sotto pressione, ho capito cosa intendevi con quel regalo… e sono felice che tu me l’abbia fatto.» continuò a sorridermi prima di girarsi verso i gradini e riprendere la sua discesa. Sentii per un po’ svanire le mie paure, confortata dall’immagine di quel sorriso dolce e rassicurante.

 

*****

 

«Eccoci qui!»

«E… dove siamo, di grazia?»

«Scendi da questo catorcio e vedrai!» Iulia mi sorrise soddisfatta, fermando l’auto.

Mi aveva letteralmente prelevato dal mio monolocale, una mattina: dopo avermi chiesto l’indirizzo di casa, mi aveva avvisato che entro mezz’ora sarebbe venuta a prendermi e nell’arco di una quarantina di minuti era al citofono. Avevo percorso tutto il tragitto in auto con la curiosità addosso, ma i miei tentativi di comprendere dove fossimo dirette, puntualmente facevano un grande buco nell’acqua perché quella ragazza mi rispondeva solo con un grande sorriso, aggiungendo qualche volta la frase criptica: «Aspetta e vedrai.»

Il tragitto non durò molto, in meno di tre quarti d’ora ci fermammo davanti ad un palazzo alto, provvisto di grandi vetrate: aveva tutta l’aria di essere sede di qualche tipo d’ufficio e rimasi ancor più senza parole a quell’idea. Cosa mai potevo aver a che fare con quell’edificio?

Scendemmo dall’auto e Iulia mi prese per mano: «Ti avevo detto che ti avrei fatto conoscere meglio il mondo dei GAUS, vero? Questa è la sede della casa discografica.»

Il mio sbigottimento, fu pari al sorriso soddisfatto della ragazza che avevo di fronte: tra tutte le cose che avrei potuto immaginare, non avevo affatto pensato ad una gita nella casa discografica che stava producendo l’album della band di Emile!

«Dai non fare quella faccia, vieni con me.» Iulia continuò a prendermi per mano e con la volontà di un automa, mi feci condurre all’ingresso dell’edificio.

Una volta entrate, ci dirigemmo subito verso l’ascensore e arrivate al quarto piano vidi l’insegna “RIOTRecords”, che campeggiava sul pianerottolo: una porta a vetri sulla destra aveva lo stesso nome e una volta aperta, mi trovai davanti ad una sala ampia, che dava su un lungo corridoio pieno di porte. La sala aveva sulla sinistra alcune sedie e sulla destra un bancone a cui verosimilmente, bisognava annunciarsi: Iulia vi si avvicinò con molta familiarità, salutò la ragazza addetta alla reception e in un batter d’occhio avemmo i nostri due pass.

«Come diavolo hai fatto?»

Ero del tutto sbalordita: se fossimo stati in qualche avventura fantasy, avrei pensato che avesse incantato quella ragazza con qualche sorta di magia, ma dato che non era lontanamente possibile, l’unica spiegazione poteva essere che… 

«Sono di casa qui, mi conoscono tutti.» …ecco, appunto!

«Ma com’è possibile? È un luogo aperto al pubblico? Ho capito! Sei una cantante anche tu!» Sgranai gli occhi sorpresa, felice di aver capito finalmente la realtà, ma il viso di Iulia non mi stava confermando quella teoria, nonostante sorridesse divertita.

«Nient’affatto Pasi, sono stonata come una campana!»

«Ma allora…»

«Non è merito mio, è a causa di mio padre… lui lavora qui, è uno dei discografici.»

Per la seconda volta in pochi minuti, restai totalmente a bocca aperta: Iulia era figlia di un pezzo grosso!  Ed io che pensavo che i suoi genitori fossero altri due insegnanti con poco senso dell’umorismo come i miei, invece l’ambiente in cui era cresciuta doveva essere stato totalmente diverso: doveva essere vissuta attorniata dalla musica, sin da piccola!

«E perché diamine non me l’hai detto prima?! Ho fatto la figura dell’imbecille!»

«Perché sennò si sarebbe persa la sorpresa e le facce che hai fatto sono impagabili, peccato che non abbia potuto fotografarti!» Fece una risata a mie spese che mi ricordò molto quella del suo ragazzo e capii quanto quei due dovessero condividere lo stesso animo burlone, oltre ad avere la predisposizione per il sorriso.

«Allora, ora basta scherzi e fammi capire: tuo padre è il discografico dei GAUS? È lui che li sta aiutando?»

«No, purtroppo non è lui, altrimenti credo che avrebbe buttato a calci nel sedere Claudio, trovando qualche soluzione migliore per i ragazzi; mio padre li ha solo presentati ad un suo collega che poi è diventato il loro personale produttore.»

«Quindi è tramite te che hanno avuto i contatti con questi studi!»

Iniziammo a camminare lungo il corridoio, mentre cercavo di comprendere meglio le dinamiche che avevano unito la vita privata di Iulia e la vita professionale del gruppo di Emile.

«Sì, in effetti ne ho parlato a mio padre, ma anche lui aveva in mente di portare i GAUS qui: io Franz e Fil ci conosciamo da quando eravamo bambini e mio padre ha visto crescere quei due, insieme alla loro musica. Una sera è venuto a sentirli in un locale e ha conosciuto anche il resto del gruppo, ma non volendo dare adito a chiacchiere, promuovendo il ragazzo di sua figlia, ha preferito presentare i GAUS ad un collega, sperando che il loro talento facesse il resto… E a quanto sembra ha funzionato, perché una volta entrati qui, non sono stati più abbandonati!»

«Che meraviglia Iulia, quindi è come se fossi anche la madrina del gruppo oltre che la sua mascotte! I ragazzi ti devono davvero tanto!»

«Ma no! Io ho solo accelerato un po’ i tempi, è la loro bravura che ha fatto il resto.»

Iniziai ad osservare quella ragazza con una coscienza nuova: mentre m’indicava i vari uffici e le rispettive competenze, la sentii così padrona di quel mondo, così capace di destreggiarsi in un ambiente su cui io avevo solo fantasticato, che d’un tratto mi sembrò di avere accanto non una coetanea, come me in cerca della sua strada, ma una donna adulta perfettamente inserita nel suo ambiente di lavoro. 

L’ascoltavo rapita da tutto ciò che sapeva di quel mondo e più ne parlava, maggiormente mi rendevo conto di esserne del tutto estranea e che, quella che era una parte preponderante della vita di Emile, io non la conoscevo affatto.

Mi raccontò che la RIOTRecords era nata da pochi anni, ma si era fatta conoscere subito come etichetta indipendente in grado di portare alla luce i musicisti che meno si adattavano alle regole di mercato delle majors e da questo derivava il loro nome: volevano essere un esempio di rivolta, contro lo strapotere del mercato discografico, capace di atterrare un artista se non aveva i favori delle grandi case produttrici.

Proprio come era accaduto a Claudine.

Non feci fatica ad immaginare l’entusiasmo di Emile nello scegliere quell’etichetta per farsi produrre; se era vero ciò che mi stava dicendo Iulia, era la casa discografica perfetta per lanciare i GAUS e soprattutto per andare incontro alle decisioni insindacabili di Emile, sulla gestione di tutto ciò che riguardava il suo gruppo.

«Quindi tuo padre è uno dei fondatori?»

«No, non ha tutto questo potere: al vertice ci sono due fratelli con un passato da musicisti, ma ormai si occupano solo  della parte amministrativa e commerciale. Mio padre e i suoi colleghi, sono quelli che agiscono sul campo, ascoltando le demo che arrivano sulle loro scrivanie e a volte andando a scovare potenziali talenti, nei locali in cui si fa musica live.»

«Quindi tu non hai fatto altro che suggerire a tuo padre dove andare!»

«Esatto! Come vedi ho fatto ben poco e anche mio padre del resto, perché quei ragazzacci sono bravi e non hanno bisogno di grosse presentazioni per farsi notare.»

«Hai ragione, sono davvero bravi… e dal vivo sono ancora meglio! È da tanto che non li ascolto mentre si esibiscono su un palco, mi piacerebbe risentirli in un’occasione simile.»

«Vedrai che accadrà presto, appena termineranno di mettere a punto l’album; non possono lasciarci senza un live, prima di andar via!»

«Già…» 

Puntualmente come ogni volta che si accennava a quel tour, il mio umore s’incupì, preda della paura di restare senza il mio Pel di Carota per mesi interi. Iulia non si rese conto del mio stato d’animo e ne fui felice, poiché non avrebbe potuto comprendere ciò che provavo, dato che lei avrebbe seguito Francesco durante il tour.

D’un tratto la voce della mia compagna mi distolse dai cupi pensieri in cui ero immersa: «Toh! Guarda un po’ chi c’è!»

Alla nostra destra si apriva un’ampia finestra che dava sul cortile interno dell’edificio, ma alla stessa nostra altezza permetteva di scorgere le persone che transitavano nel corridoio ortogonale a quello in cui ci trovavamo, tramite un’altra finestra uguale che vi si affacciava: voltai il viso in direzione del dito di Iulia e attraverso quei vetri vidi i GAUS intenti a parlare con qualcuno.

«C’è Anton con loro, avranno avuto una riunione improvvisa.»

«Anton?»

«Il loro discografico, vedi quel tipo alto con i capelli chiari e il codino.»

Il tipo in questione aveva l’aria di del tipico artista scova talenti: era sulla quarantina, alto e magro, quasi scheletrico a guardarlo bene. Indossava un gilet con qualche tipo di ricamo sopra e la camicia con le maniche arrotolate, i capelli erano lisci e biondi, non molto lunghi, ma raccolti in piccolo codino, che lasciava scoperto l’orecchio da cui pendeva un orecchino. Ad un’occhiata generale tutto sembrava tranne un  uomo d’ufficio e probabilmente non lo era affatto.

«Anton è slovacco e la sua cultura musicale così eclettica lo ha fatto scegliere da mio padre, per proporgli i GAUS.»

Il gruppo stava ascoltando il discografico parlare con a capo proprio Emile, che evidentemente ne era il portavoce e la cosa non mi stupì, conoscendo il modo imperioso in cui gestiva tutto ciò che riguardava la band. Feci un sorriso  a quell’idea, ma subito dopo mi resi conto che stavo assistendo ad una scena che apparteneva alla vita lavorativa del mio Pel di Carota e realizzai quanto fosse strano per me, osservarlo mentre sfoggiava il suo piglio professionale: ora quella gita improvvisa acquistava toni del tutto realistici, iniziavo davvero a collocare Emile in quel luogo, alle prese con documenti, presentazioni, riunioni e tutto ciò che serviva alla promozione di un album, iniziai a guardarlo con occhi nuovi, come se lo stessi conoscendo per la seconda volta.  

L’unica cosa che disturbava quel momento così speciale arrivò appena andai con lo sguardo al resto del gruppo: la mia gioia morì sul colpo trasformandosi in rabbia appena posai gli occhi su Claudio.

Era sfacciatamente soddisfatto e sicuro di sé, a debita distanza da Emile, ma ugualmente imponente:  tutti i suoi gesti emanavano sicurezza e quella tracotanza che gli avevo  sempre visto addosso, Anton parlava rivolgendosi prevalentemente ad Emile, ma lui puntualmente s’intrometteva nel discorso e ogni volta che lo faceva, vedevo il mio ragazzo irrigidirsi.  Nel vedere Claudio così sereno e sicuro di sé, sapendo quanto costasse al mio Pel di Carota quella presenza, mi salì una rabbia feroce: al pensiero che per essere in quel luogo in quel momento, aveva minato la tranquillità dell’animo di Emile e l’aveva costretto ad affrontare una sofferta scelta tra me e la band, sentii il classico prurito alle mani fremere sui miei palmi e venni travolta da una voglia impetuosa di fargli un occhio nero. Se l’avessi avuto a tiro, non avrei scommesso sulla mia diplomazia!

«Che ne dici, li raggiungiamo?»

Iulia mi osservava con una luce speranzosa negli occhi, ma non volevo scherzare col fuoco, non volevo dare in escandescenza in quel luogo, minando l’equilibrio precario all’interno dei GAUS mettendo Emile nuovamente nei guai.

«No, ti prego Iulia, non posso avvicinarmi a loro, non riuscirei a rispondere di me…»

La mia interlocutrice mi guardò per un attimo perplessa, ma poi la luce della comprensione apparve sul suo viso: «È vero, Claudio... che stupida, come ho fatto a non pensarci?»

«Non preoccuparti, non hai alcuna colpa… ti chiedo solo di allontanarci da qui!»

«Sì, sì certo, andiamo via, tanto i nostri ragazzi li possiamo vedere quando vogliamo, vero?»  Continuando a sorridere in modo conciliante, mi prese nuovamente per mano e andammo via da quel corridoio.

 

Iulia mi fece girare tutto l’edificio, instancabile nell’indicarmi ogni attività che si svolgeva in quel luogo, così quando uscimmo, mi ritrovai i piedi distrutti dal troppo cammino e la testa piena di termini e di situazioni, legate al lancio e alla promozione di un musicista e della sua opera. Ma in un angolo della mia mente continuavo a vedere Claudio, il suo viso soddisfatto e il suo atteggiamento arrogante e la rabbia all’idea che fosse in quel luogo grazie alla sua prepotenza, tornò ad impossessarsi di me. In quel momento compresi in pieno quanto costasse al mio Pel di Carota dover avere a che fare con quel tipo e doverlo avere dietro le spalle per tutta la durata del tour.

«Non vedo l’ora che questi mesi passino!» sussurrai debolmente, rivolta più a me stessa che alla mia interlocutrice, mentre aprivo la portiera della sua auto.

 

 

*****

 

«Je ne veux parler pas.»

«Se parli in francese, non ti capisco!»

«Très bien, alors Je parlerai toujours en français!»

«Oh Lucien andiamo! Cos’è questo modo di fare, ora? Sembri Emile!»

«…»

«Aaaah! Accidenti alla vostra testardaggine! Ma c’è qualcuno che non sia così testone nella vostra famiglia?»

«Testarossa calmati, è una cosa normale, in fin dei conti chi di noi non ha litigato con Sofia, almeno una volta?»

«Lo so Stè, però…»

Testa di Paglia non poteva minimamente comprendere ciò che si agitava dentro di me in quel momento: quella serata a teatro si era rivelata un totale disastro e sentivo dentro di me, di esserne la sola responsabile.

Avevo immaginato grandi risvolti tra i miei due protetti e avevo fatto in modo di farli stare vicini durante la rappresentazione, senza possibilità di distrarsi. Li avevo immaginati intenti a scambiarsi pareri e magari anche qualche sorriso (anche se Sofi non sorrideva mai di gusto… e speravo davvero che quel ragazzo potesse operare anche quel miracolo), ma a rappresentazione terminata, trovai un Lucien gelidamente adirato e Sofi chiusa nel suo mutismo risentito.

Avevo forzato la mano: quei due erano stati troppo vicini ed era accaduto qualcosa che li aveva allontanati ed io non avevo la più pallida idea di cosa fosse accaduto, per farli reagire in quel modo!

Dopo la rappresentazione, andammo a mangiare una pizza tutti insieme, ma durante tutta la cena quei due non fecero altro che ignorarsi e solo quando arrivò il momento di tornare a casa, il cugino di Emile diede il suo freddo e impersonale saluto a Sofi, gelandomi del tutto: non ero abituata a vederlo in quello stato, Lucien era sempre cordiale e gentile con tutti, sempre pronto a sorridere e quell’atteggiamento distante e freddo era terrificante… Cosa diavolo era potuto accadere, per cambiare in quel modo le cose tra loro due?

Tornò a casa in auto con me e Stè e durante il tragitto sperai di riuscire a strappargli la verità di bocca, invece ogni mio tentativo fu frustrato dal suo ostinato silenzio ed io non potei fare altro che sentirmi terribilmente in colpa, per aver rovinato la serata sia a lui che alla mia amica… Mi chiesi se Rita fosse stata più fortunata di me con Sofi, ma conoscendo quest’ultima, dubitai fortemente che si fosse lasciata andare a qualche confidenza.

«Sofia come al solito avrà detto qualcosa di troppo, almeno ora anche Lucien l’ha conosciuta in pieno!»

 Stè ironizzò sull’accaduto con la sua solita bonarietà, ma qualcosa mi diceva che l’umore del cugino di Emile, seduto alle nostre spalle, era ben lontano dall’atteggiamento del mio amico…

«Posso fare qualcosa?»  dissi a Lucien, tentando il tutto e per tutto per placare il mio senso di colpa.

«No Pasi, non c’è alcunché da fare e pour plaisir, smettila d’insistere, non voglio diventare maleducato.»

«Ok… scusami.»

Mi sentivo davvero a pezzi: era vero ciò che diceva Stè, prima o poi anche Lucien avrebbe dovuto scontrarsi con il carattere spigoloso di Sofi, ma vederlo così adirato, rendendomi conto di avergli rovinato la serata e probabilmente anche il suo rapporto con la mia amica, iniziò a farmi ricredere sui miei propositi di Cupido. Forse avrei dovuto lasciar fare al Destino il suo lavoro, mi ero intromessa troppo e avevo solo portato la situazione a peggiorare, rispetto a quanto avevo immaginato io.

Ammettendo che avessi avuto la giusta intuizione e che Sofi e Lucien fossero fatti l’uno per l’altra, con il mio comportamento avevo solo fatto sì che si allontanassero, avevo remato contro la mia volontà e avevo reso le cose ancora più difficili! Non avrei dovuto impicciarmi, aveva ragione Emile, avevo camminato su un campo minato ed era esploso ed ora non mi restava che raccoglierne i pezzi e fare le mie scuse alla mia amica.  Sì, sarei andata da lei per scusarmi il prima possibile e non mi sarei più impicciata della sua vita privata. Non potevo sfogare i miei sensi di colpa verso mia sorella su di lei, non potevo cercare di forzare la mano ad una situazione già precaria… Avrei dovuto interessarmi solo della mia vita, avrei imparato anche quella lezione una volta per tutte!

 

 

«Stè scendo anch’io qui, ma aspettami.»

 Quando Testa di Paglia si fermò davanti casa Castoldi, decisi di controllare se Emile fosse in casa: nello stato d’animo in cui ero, avevo bisogno di stare con lui, di sentire la sua presenza confortante accanto a me, così una volta arrivati fuori la sua abitazione, decisi di accertarmi che fosse rientrato.

«Controllo se Emile è in casa e ti faccio sapere se resto qui o se torno con te.»

«Ok Testarossa, ti aspetto qui.»

Non parlai a Lucien, del resto non era affatto dell’umore per farlo, tutte le energie da dedicare alla finta allegria, le aveva esaurite per la cena e a quell’ora probabilmente, voleva solo chiudere quella serata con una bella dormita. Salimmo le scale insieme ma in cupo silenzio, finché arrivati sul pianerottolo, svoltò a sinistra, verso l’unica stanza che non avevo ancora visto di quella casa e mi diede la buonanotte. Andai subito in camera di Emile per controllare che fosse lì e mi bastò aprire lievemente la porta per vedere la sua sagoma addormentata. Sentii un improvviso calore nel petto nel vederlo e mi precipitai a dare la buonanotte al mio amico, ansiosa di raggiungere il mio amato Pel di Carota. Testa di Paglia era rimasto in auto e si stava intrattenendo con i suoi mp3, poiché lo vidi andare a tempo con la testa… Almeno prima  che quella stessa testa si mosse per sbadigliare alla grande.

«Sicuro di farcela ad arrivare a casa? Sembri sul punto di crollare!»

«Ma no, stai tranquilla! Quando guido mi concentro, è l’immobilità a farmi venir sonno.»

Su quello aveva ragione: da quando lo conoscevo, Testa di Paglia era sempre stato una persona attiva e facile ad annoiarsi se costretto all’immobilità; di sicuro quei pochi minuti in auto, gli erano pesati più di qualche chilometro da percorrere, guidando.

«Resto qui Stè, Emile è in camera sua  e non ho voglia di tornare a casa mia, stasera.»

«Sei troppo giù di morale per questa faccenda, sicura che non ci sia qualcosa sotto?»

«Ma no, cosa vuoi che ci sia? Mi dispiace che Lucien e Sofi abbiano litigato, ecco tutto… e non mi spiego come quei due siano potuti arrivare a non rivolgersi la parola.» Il che non era così tanto lontano dalla realtà, per cui nonostante mentirgli continuasse a darmi fastidio, non sentii  su di me il peso di quella frottola.

«Uhm… tu non me la conti giusta, Pasi! Io non mi stupisco più di tanto, perché Sofia sarebbe capace di far imbestialire anche Buddha e questa tua preoccupazione mi sembra del tutto eccessiva. Vabbè, tanto se non vuoi parlarmene, non lo farai di certo sotto mia insistenza.  Allora, ci salutiamo qui?»

«Sì… buonanotte Testa di Paglia, grazie del passaggio.»

«Figurati! Buonanotte Testarossa, dormi bene. Salutami Emile.»

 Con un sorriso sereno come solo lui poteva avere, Stè andò via dopo avermi detto quella frase che riuscì ad incupirmi più della mia panzana. Quel suo “Salutami Emile”, era stato detto in modo del tutto sereno, ma c’era sul suo sorriso una piccola nota di tristezza. Forse era stato il mio umore tetro a farmi notare qualcosa che in realtà non c’era, ma pensare alla gentilezza del mio amico e  al fatto che da quella sera a casa mia, lui ed Emile non si erano più visti, mi riempì il cuore di tristezza. Il mio Pel di Carota mi aveva detto che non avrebbe più reagito in quel modo nei confronti di Stè, ma era anche vero che ancora non avevano avuto modo di relazionarsi e temevo che nonostante fosse davvero sommerso d’impegni,  Emile evitasse di proposito il confronto con Testa di Paglia, per non mettermi nuovamente in imbarazzo: sarei mai riuscita a vedere quei due andare d’accordo?

Con quei pensieri cupi, rinchiusi la porta di casa alle spalle e salii al piano superiore.  Dopo essermi data una rinfrescata in bagno, entrai in camera di Emile: era ancora immerso nel sonno e non aveva dato segni di avermi sentito entrare. Silenziosamente e con calma, mi avvicinai a lui e rimasi ad osservare il suo viso rilassato che riposava. Il solo guardarlo mi commuoveva, ogni volta che i miei occhi si posavano su di lui, mi sentivo serena e tranquilla, come se avessi potuto affrontare con forza tutte le tragedie di questo mondo, solo per il fatto che lui fosse accanto a me e ancora una volta mi sentii completa e in pace sentendo la solidità della sua presenza. M’infilai nel letto con cautela e l’abbracciai, sentendomi immediatamente protetta e serena.  Il calore del suo corpo e la familiarità del suo odore furono la mia ricarica: l’indomani avrei trovato sicuramente la forza, di affrontare le conseguenze del mio operato e di andare a trovare Sofia, per scusarmi con lei.

 

*****

 

«Buongiorno, moglie!» 

Quando aprii gli occhi quel mattino, vidi nuovamente il volto di Emile che mi sorrideva divertito e ancora semincosciente m’illuminai in un sorriso felice alla visione del suo volto. Ma quando il mio cervello si fu liberato dall’ottenebramento del sonno, riuscii a scorgere su quel viso che tanto amavo anche una sfumatura perplessa e solo allora mi resi conto che la notte precedente, gli ero piombata nel letto senza che lui ne sapesse il motivo.

«‘Giorno… visto che sorpresa?» gli dissi con un tono tra l’ironico e l’imbarazzato.

«Una bellissima sorpresa… anche se quando ho aperto gli occhi e ti ho vista, ho iniziato a pensare che ci fossimo sposati e che non lo ricordassi più…» a quelle parole persi tutta l’ironia per far spazio all’imbarazzo: ancora una volta ero stata invadente…

«Scusami, lo so che se avessi voluto la mia presenza, saresti venuto a casa mia, ma ieri sera avevo bisogno di stare con te e…»

«Ehi, ehi, Pasi calmati, non ho detto che non sia felice di vederti qui, stavo scherzando, era una battuta.» Abbassai il viso afflitta: ero ancora troppo giù di morale per comprendere le sue battute, quella faccenda di Sofia e Lucien mi stava pesando davvero tanto sulla coscienza…

«Cosa c’è, streghetta? Cos’è accaduto per farti stare così  giù di morale? Hai visto i tuoi genitori?» Emile mi fece una carezza sul viso per incoraggiarmi dolcemente a parlare ed io confortata da quel gesto tenero e pieno di calore, liberai tutte le mie preoccupazioni con lui, proprio come avrei voluto fare la sera precedente, se fosse stato sveglio.

«Ho combinato un disastro, Emile!» Mi rifugiai nel suo abbraccio mentre gli spiegai lo svolgersi degli ultimi avvenimenti e di quanto mi sentissi in colpa per aver forzato Sofia e Lucien a stare vicini.

«Uhm, immaginavo che sarebbe accaduto, la piccoletta è un osso duro… ma secondo me stai prendendo troppo drammaticamente la cosa: se quei due litigano non è certo colpa tua, non c’eri tu a innescare la lite, hanno fatto tutto da soli.»

«Ma se io non li avessi forzati a vedersi e a sedersi uno accanto all’altra, forse non sarebbe capitato, forse non sarebbero arrivati ai ferri corti, come invece è accaduto!»

«Pasi, è solo un litigio! Quante volte abbiamo discusso anche io e te? Non mi sembra che siamo arrivati ad ignorarci definitivamente…» ero ancora abbracciata al mio Pel di Carota che, vedendomi particolarmente turbata, iniziò ad accarezzarmi i capelli, in un gesto confortante e protettivo.

«Ho paura che Sofi non mi voglia più come amica, Emile! Ho paura che sia talmente arrabbiata con me per la mia intromissione nella sua vita, da non volermi più tra i piedi… So che non è una persona facile e probabilmente ti starai chiedendo anche cosa ci trovi d’interessante, ma io le voglio bene e non sopporterei di essere allontanata anche da lei, voglio vivere in pace con i miei amici!»

«Allora l’unica cosa che puoi fare è parlarle, dirle tutto a cuore aperto e vedere come reagisce. Se resti ancora così, con la paura di affrontare la realtà, ti fai solo del male. Va da lei il prima possibile e parlale chiaro, da amica. Se non capirà, allora probabilmente non avrà davvero compreso chi sei e si sarà rivelata un’amica molto superficiale.»

«Ma sono io in torto! Sono stata io ad  insinuarmi nella sua vita privata!»

«Lo so, ma credo che una persona che ti è amica, sia anche propensa ad ascoltarti e comprendere le tue ragioni… In fondo non le hai causato alcun problema grave, ha solo litigato con una persona e ho l’impressione che sia abituata a farlo!»

«Sì, ma…»

«Streghetta, tu sei un’adorabile rompiscatole: non ti fai mai gli affari tuoi e speri sempre di salvare gli altri da se stessi, ma lo fai perché hai buon cuore e nonostante ti si dica di smettere, tu continui imperterrita convinta della causa che hai abbracciato. E questa caratteristica fa di te una persona meravigliosa. Se ho imparato ad amare queste tue doti, io che ti conosco da poco, non credo che la tua amica ti metta alla porta per una scemenza simile.»

«Lo spero tanto, Emile…»

«Coraggio, andiamo a fare colazione così ti ricarichi e potrai affrontare Sofia con tutte le energie pronte.»

 

 

*****

 

«Nemmeno questa volta hai portato i ricambi?!»

«Ehm…no… non era previsto che venissi qui, ieri notte…»

«Bambina sei davvero cocciuta, come devo fare con te?»

«Ma non è la fine del mondo! Torno a casa e mi cambio.»

«Sei proprio senza speranze!»

Quando scendemmo a fare colazione, Alberto ebbe poco tempo per rimproverarmi, poiché doveva scappare a lavoro e il collega era già fuori la porta ad attenderlo. Per questo motivo non mi travolse con la sua ramanzina e non si soffermò a parlare con me come sempre bensì,  dando un bacio a me e una scrollata tra i capelli ad Emile, fuggì diretto alla sua giornata di lavoro.

«Certo che con questo calore, lavorare su un cantiere non dev’essere affatto facile.»

«Io lo odio!»

Sentendo quell’esclamazione, mi girai stupita in direzione di Emile: «Cosa?»

«Odio il fatto che debba buttare il suo talento in un cantiere edile, che potrebbe anche rovinargli le mani per sempre. Se solo fossi in grado di sostenere tutte le spese, l’obbligherei a dire addio a quel lavoro che non gli rende giustizia.»

Emile aveva i pugni serrati e lo sguardo di fuoco: era palese il senso di rabbia e impotenza che provava davanti al fatto di non poter fare qualcosa per migliorare la vita di suo padre e dopo aver visto Alberto dipingere, non potei che essere d’accordo con il desiderio del mio Pel di Carota. Cercando un modo per dargli conforto, gli presi la mano incoraggiante:

«È solo questione di tempo. Appena avrai il successo che meriti, potrai realizzare il tuo desiderio e lasciare che Alberto si occupi solo della sua arte.»

«È per questo che quest’album dev’essere perfetto! Deve vendere assolutamente! Ogni giorno che passa è sempre più intollerante per me, vedere mio padre che butta la sua vita in quel modo.»

«Avrà successo; ci stai mettendo l’anima nella realizzazione di quest’album e sono sicura che il pubblico percepirà tutto il lavoro che c’è dietro.» 

Emile mi guardò per qualche secondo e mi diede un bacio sulla fronte,  prima di cambiare del tutto argomento.

«Sbrighiamoci a far colazione, sennò farò tardi.»

 

 

Lucien non scese a farci compagnia; del resto non aveva un lavoro ad attenderlo e poteva permettersi di dormire fino a tardi, ma mi chiesi se fosse ancora giù di morale per la sera precedente. Mi sentivo terribilmente in colpa anche con lui e avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto fargli capire quanto fossi dispiaciuta di aver forzato la mano tra lui e Sofi…

Tuttavia mi resi conto che dicendogli ciò che avevo nella mente, avrei rivelato cose riguardanti la mia amica che forse lei non gli aveva detto e prima di fare qualcosa che di sicuro avrebbe messo chilometri di distanza tra me e Sofi, decisi di concentrare le mie scuse solo nei confronti di quest’ultima.

 

 

*****

 

Non appena giunsi davanti casa Gardini, la paura iniziò ad attanagliarmi: e se quella fosse stata l’ultima volta che avrei messo piede in quel luogo? Se Sofi non avesse voluto nemmeno parlarmi? Ero ad un metro dalla porta di casa sua e non riuscivo a percorrere quel breve spazio tra me e la verità, la paura mi stava immobilizzando del tutto. Ma Emile aveva ragione: non avrei potuto vivere a lungo evitando la realtà, era meglio affrontarla immediatamente e pagare le conseguenze del mio agire istintivo e imponderato. Feci un sospiro enorme e raccogliendo a me tutte le energie che avevo, mi diedi coraggio e bussai al citofono.

 

Quando aprì la porta di casa sua, Sofi mi accolse con un viso stanco e assonnato: probabilmente non aveva dormito bene e quella constatazione aumentò terribilmente il mio senso di colpa, al punto che non riuscii a dirle chiaramente quale fosse il motivo della mia visita.

«Ciao Sofi… mi sono ricordata che avevi ancora i miei vestiti e sono venuta a prenderli…» era una scusa ben poco credibile e sicuramente si leggeva la verità sul mio volto, ma non riuscii ad essere diretta con lei… Cosa che invece non mancò di fare la mia amica.

«Risparmiami le frottole, Pasi, so benissimo per quale motivo sei qui e non ho alcuna intenzione di risponderti!»

Come immaginavo, le mie paure stavano prendendo sempre più forma: Sofi era arrabbiata con me e probabilmente non avrebbe tollerato un minuto di più la mia presenza. Mi sentii del tutto scoraggiata e priva di speranze così, senza più nasconderle il mio stato d’animo, le chiesi mesta: «Posso avere i vestiti almeno?»

A quel punto non credevo più di avere una possibilità di vederla e mi preparai a darle il mio ultimo saluto da amica. Sofi però non reagì con irritazione come credevo, ma diede un sospiro e mi fece cenno di entrare. Tuttavia mi mancò il coraggio di seguirla mentre prendeva i miei vestiti e rimasi ferma sull’uscio della porta ad attenderla.

«Guarda che non ti ho messo alla porta, ti ho solo detto che non voglio parlare di ieri con te.»

Non ce la facevo più a reggere quella tensione e mentre la mia amica (se ancora lo era) si avvicinava, vuotai il sacco, lasciando scorrere i miei pensieri e il mio senso di colpa a ruota libera: «Sofi, io… volevo chiederti scusa… Lo so che ho esagerato, lo so che non sono una buona amica, che sono invadente, che non ho rispettato la tua volontà, ma credimi non l’ho fatto con cattiveria, non avevo alcuna intenzione di…»

«Ok, ora calmati Pasi, fermati!»  m’interruppe all’improvviso e le parole morirono sulle mie labbra. «Come ho detto prima, non ti sto mettendo alla porta… non sono arrabbiata con te fino a questo punto!»

Non mi stava mettendo alla porta… Allora dopotutto, non la stavo perdendo!

Anche se non potevo nemmeno dire che fosse felice di vedermi…

«Però sei arrabbiata con me…»

«Certo che sono arrabbiata, ma non per ciò che è accaduto ieri sera, non c’è motivo per cui debba prendermela con te, se litigo con qualcuno… e se devo dirla tutta la stai prendendo un po’ troppo tragicamente.»

Iniziavo a non capire: era arrabbiata con me per tutto il macello che avevo fatto, ma pensava che la stessi facendo tragica! Eppure avevo visto bene il modo in cui lei e Lucien si erano ignorati tutta la sera precedente e avevo visto quanta elettricità ci fosse tra loro… Come faceva a dire che stavo vedendo la cosa in modo troppo drammatico?  

«Ma Lucien…»

«Ma Lucien cosa, Pasi? È stato un semplice litigio, quante volte litighiamo anche io te? Non c’è nulla da dire al riguardo!»

Le stesse parole che mi aveva detto Stè… eppure non riuscivo a credere che fosse tutto così semplice… era mai possibile che sia io che Rita avessimo preso un granchio di proporzioni immani, perché Sofi non era minimamente interessata a Lucien?  

«Però sei arrabbiata con me perché ho cercato di spingerti vicino a lui.»

«Sì,  perché la mia vita privata deve restare tale, non voglio alcuna intrusione da parte di anima viva! E per fortuna quella situazione è terminata prima ancora che potessi dirti qualcosa.»

A quelle parole, iniziò a girarmi per la testa uno strano sospetto: «Sofi… non avrai litigato con Lucien solo per far smettere me!?»

«Cosa? Ma… NO! Certo che no! Cosa diavolo vai farneticando?»

«Il fatto è che proprio non capisco! Lucien è la persona più tranquilla che conosco e per farlo arrabbiare in quel modo, non riesco proprio ad immaginare cosa possa essere accaduto… Ha provato a baciarti e ti sei girata male verso di lui?»

«Eh? Ma no!»

Sofi mi diede le spalle all’improvviso turbata da quella domanda: avevo buttato a caso quella teoria stralunata per cercare di capire cosa fosse accaduto davvero, ormai la curiosità mi stava mangiando e non riuscivo proprio a capire cosa diamine fosse accaduto tra quei due, per farli reagire in quel modo… Ammettendo che non ci fosse stata alcuna connessione sentimentale, cosa che quel suo atteggiamento non confermava affatto…

«Ora smettila per favore, non è un argomento su cui voglio discutere, ok? Non sono cose che ti riguardino, sei venuta qui per sapere se fossi arrabbiata con te e ti ho detto che non lo sono, o meglio non al punto da metterti alla porta,  ora dovresti essere tranquilla!»

… Sofi però non era intenzionata a parlarne e dato che non volevo più giocare col fuoco e mi ero ripromessa di rispettare la sua privacy e di non intromettermi più nelle vite altrui, decisi di smettere di fare domande.

«Ho capito… ok Sofi, non ne parlerò più… scusami ancora.»

Ero ancora sull’uscio e non riuscivo a trovare la forza di avanzare in quella casa: nonostante Sofia mi avesse assicurato che non aveva intenzione di allontanarmi dalla sua vita, mi sentivo in torto marcio e troppo colpevole, per osare muovermi con disinvoltura in quell’abitazione, come un’ospite desiderata.

Ma mentre ero intenta nel mio personale Mea Culpa, Sofi mi stupì con una domanda che non mi sarei mai aspettata: «Pasi… tu credi che sia una persona sgradevole?»

Ero io quella che pensava di essere invadente ed ora lei se ne usciva con una frase del genere?!  

«Sgradevole? No, assolutamente, Sofi! Sei un tantinello acida e aggressiva, ma non sei affatto sgradevole e poi sai tantissime cose, ogni volta che sei con noi imparo qualcosa: non sai quante volte i tuoi esercizi di respirazione hanno aiutato anche me!»

«Già…. Sono una biblioteca vivente, vero?»

Solo allora mi resi conto di quanto la mia amica fosse strana quella mattina: aveva il solito tono acido nel rispondere, ma c’era in lei una cupezza insolita ed una malinconia nello sguardo, che non le avevo mai visto. Qualsiasi cosa fosse accaduta la sera precedente, doveva averle lasciato un umore davvero tetro addosso.

«Sofi… ecco, probabilmente ora sarò di nuovo la solita invadente, ma… sei giù di morale, vero? Non ti chiederò il motivo, però se posso fare qualcosa per te,  se vuoi confidarti o se solo vuoi svagare un po’ la testa… io sono qui.»

 Non volevo più parlare di Lucien, ma se in qualche modo, potevo dimostrarmi una vera amica nei suoi confronti, avrei tentato immediatamente di dimostrarle che non ero solo una stupida impicciona e che il mio affetto nei suoi confronti era autentico.

Sofi tornò a guardarmi negli occhi, prima di rispondermi: «Grazie Pasi ma sto bene, sono solo assonnata, ho dormito troppo oggi ed ora mi sento più stanca del solito.»

Ok, mi aveva lasciato nel giro delle sue amicizie, ma con quella frase era stata chiara, non dovevo più impicciarmi.

«Ah, ho capito… beh, allora vado via, scusami se ti ho infastidito.»

Girai le spalle rassegnata e mi diressi verso la porta, comprendendo che la mia presenza in quella casa non era più gradita, ma quando stavo per aprire la porta, Sofi mi stupì per la seconda volta nel giro di pochi minuti: «In realtà c’è qualcosa che mi ha innervosito: ho sognato mia madre.»

«Ah!»

Forse non era tutto perso: se Sofia aveva deciso finalmente di aprirsi a me su sua madre, probabilmente avevo ancora qualche speranza di esserle davvero amica!

«Non capitava da anni e non mi è piaciuto affatto.»

Mi sentii sollevata all’improvviso e tornai a respirare a pieni polmoni, libera da quella sensazione di soffocamento che mi stava intrappolando la gola. Per la prima volta da quando avevo bussato alla sua porta, riuscii a parlarle in tono sereno e naturale.

«Non sai quanto ti capisco, Sofi! Ogni volta che penso ai miei genitori ci sto male, ho anche visto mia madre qualche giorno fa e ho capito che forse hai ragione tu: se una persona ti allontana, probabilmente è perché non vuole più avere contatti con te, non vuole capirti e non vale più la pena di cercarla… Devo farmene una ragione.»

«Beh, io e mia madre di certo non abbiamo qualcosa da dirci, ma nel tuo caso è diverso: non posso di certo spingerti ad andarle incontro, ma  lei non ti ha abbandonato infischiandosene di te… Vuoi un po’ di caffè freddo?»

Finalmente mi spostai da quell’uscio dove avevo messo radici e con uno stato d’animo del tutto diverso da quello che avevo solo pochi minuti prima, seguii Sofi in cucina, dove ci accomodammo a parlare tranquillamente, mentre ci preparava una bella tazzina di corroborante caffè freddo.

Trascorremmo tutta la mattinata a chiacchierare e ritrovai finalmente la gioia di parlare con quella mia ispida amica, dalla corazza dura ma dal cuore generoso. Osservai il lavoro che aveva fatto sui miei abiti: con la colorazione erano diventati di un unico colore e le macchie che mi aveva lasciato Alberto erano state assorbite dal blu scuro, che aveva salvato in una volta sola il mio completo. Mi brillarono gli occhi dalla felicità, quante cose avrei dovuto imparare da Sofi! Se fosse stato per me, quei vestiti avrebbero fatto un triste viaggio nella pattumiera, invece lei aveva mille risorse casalinghe che io ignoravo del tutto e dato che ormai vivevo da sola, avrei fatto meglio a imparare tutti i trucchetti da brava massaia, che la mia amica sembrava conoscere a menadito, essendosi occupata della casa in cui viveva praticamente da sempre!

Felice per la salvezza dei miei abiti e ancor di più per quella della mia amicizia con Sofi, mi sentii finalmente serena e rilassata: rimasi a pranzo da lei e ci facemmo compagnia finché non giunse per me l’ora di andare a lavoro; lavoro che quel giorno fu molto più piacevole del solito.

 

 

*****

 

Con Sofi avevo risolto, ma con l’altra parte della mela, proprio non sapevo come comportarmi. Qualche giorno dopo la visita a casa della mia amica, io, Stè e Lucien ci vedemmo per una nuova lezione di francese: il cugino di Emile sembrava essere del suo umore abituale e ci richiamò all’ordine come sempre, tutte le volte che sbagliavamo; con la solita pazienza, senza dare segni d’insofferenza. Ma quando Testa di Paglia nominò Sofi, chiedendogli se gli avesse risposto in merito al farci da insegnante, l’espressione di Lucien s’indurì in un batter d’occhio  e ci rispose con tono glaciale, che avremmo dovuto chiedere direttamente all’interessata. Quei due non dovevano aver fatto passi avanti, anzi probabilmente non avevano mosso nemmeno un dito per venirsi incontro!

Mi ero ripromessa che non avrei più interferito e quindi non chiesi altro, ne cercai di carpire informazioni, però vedere Lucien in quello stato mi stringeva il cuore: era una persona così socievole e cordiale e quello sguardo gelido non si addiceva al suo volto sempre sereno, temevo che stesse soffrendo anche lui per quella situazione... Ero combattuta, tra il mio desiderio di aiutarlo e il monito fatto a me stessa di non impicciarmi, così feci finta di niente ma ribollendo d’ansia dentro di me.

Ansia che esplose nel momento in cui, appena usciti da casa di Stè,  Lucien mi diede i testi tradotti delle canzoni di Claudine.

Ero così felice che avesse trovato il tempo di farmi quel dono che l’abbracciai senza pensarci due volte, così come le parole mi uscirono di bocca, senza essere prima filtrate dal cervello.

«Oh Lucien grazie! Con il brutto momento che stai attraversando, hai avuto la gentilezza di tradurmi le canzoni di tua zia, sei un amore!»

Il cugino di Emile si stava abituando ai miei abbracci impetuosi e sorrise sulle prime, ma una volta sentite tutte le mie parole, il suo tonò risultò alquanto dubbioso: «Brutto momento? Quale brutto momento?»

«Ehm… ecco… Scusa, lo so che non devo impicciarmi e che la tua vita privata non deve assolutamente interessarmi…»

«Pasi… a quale brutto momento ti riferisci?»

Mi allontanò da sé per guardarmi negli occhi e colpita dall’intensità di quello sguardo, chinai la testa e mi accomodai su un muretto poco distante, feci un gran sospiro e vuotai il sacco:  «Mi riferisco al tuo litigio con Sofi… lo so che non vuoi parlarne ed io non voglio chiederti qualcosa al riguardo… però vedo che ci stai male e mi dispiace, perché ne risento anche io quando due persone a cui tengo litigano tra loro… è come se litigasse anche un pezzo di me.»

 Lucien s’irrigidì nel sentire il nome della mia amica, ma quando terminai di parlare dette in un sospiro e si accomodò accanto a me.

«Pasi tu es une fille très  gentille, ma non devi accollarti tutti i problemi degli altri. C’est vrai che non sono felice di aver litigato avec Sophie, ma è una cosa tra me e lei e tu non devi sentirti presa in causa, ne tantomeno essere triste. Sono cose che capitano.»

«Ma ci stai male!»

«Oui, parce que non mi piace litigare, ma non è qualcosa d’irrimediabile… sono solo arrabbiato, ma mi passerà.»

«Mi dispiace tanto!» Chinai la testa sconfitta, ricolma del senso di colpa che mi aveva schiacciato in presenza di Sofia e che tornò a fare capolino davanti alle parole di Lucien.

«Non è colpa tua, di che ti dispiaci? Non tutte le persone riescono a comprendersi e si finisce col litigare, non è niente di strano.»

«Ma io non lo sopporto! Non ce la faccio a vedere che litigate e che non parlate, non ce la faccio a pensare che quando ci riuniremo la prossima volta, v’ignorerete di nuovo come se non vi conosceste! Non voglio spaccature tra i miei amici!»

Quella parte meno nobile delle mie ragioni aveva finalmente fatto capolino: non potendo dirgli il motivo per cui mi sentissi terribilmente in colpa, esternai l’altra motivazione che mi faceva star male, ogni volta che pensavo a quei due che non si rivolgevano più la parola. Temevo di percepire di nuovo l’atmosfera tesa, temevo di vedere i loro volti che s’indurivano incontrandosi, temevo di respirare la stessa tensione che mi aveva fatto fuggire da casa mia. Non doveva capitare anche nel mio gruppo d’amici! Era già accaduto con la discussione sul comportamento di Emile ed ora si ripeteva questo clima di tensione, che non mi faceva dormire tranquilla: era mai possibile che non potessi vivere in pace e armonia all’interno di un gruppo di persone a me care?

«Mi dispiace che ci stai male in questo modo e devo dire che ti capisco in pieno: nemmeno io amo i litigi, soprattutto all’interno de ma famille, proprio per questo sono venuto qui, per riunire ciò che era stato diviso par ma mère… Però ci sono volte in cui bisogna tenere alto l’orgoglio Pasi… spero che tu possa comprendermi.»

Tenere alto l’orgoglio… già, Lucien era una persona che metteva spesso da parte l’amor proprio con Emile: si era fatto dire le cose peggiori da suo cugino senza battere ciglio e probabilmente tutti noi avevamo sottovalutato il fatto che anche lui avesse un orgoglio personale… E di sicuro Sofi non ci andava leggera, quando iniziava ad inveire contro una persona! Iniziai a comprendere quale potesse essere stato il motivo del litigio, ma non feci domande inopportune, rispettando la sua privacy e la sua volontà di tenersi per sé ciò che era accaduto tra lui e Sofi.

«Non credo di capire tutto, ma sull’orgoglio ti capisco e ti prometto che non tirerò più fuori quest’argomento, se non sarai  tu a volerlo.» Feci uno dei miei sorrisi più veri per rassicurare Lucien sulla mia sincerità.

«Bien, sono contento che tu abbia capito.» Mi sorrise di rimando e tornammo ad incamminarci.

 

*****

 

La musica è l’unica forma di comunicazione davvero universale. L’essere umano cambia modo di porsi, cambia gesti, usi e costumi a seconda del luogo in cui cresce e un gesto che in un luogo indica gentilezza, in un altro potrebbe significare odio o maleducazione.

La musica no.

La musica non la si può fraintendere, perché parla direttamente all’anima, fa vibrare le nostre corde e ci parla senza mistificazioni, senza incomprensioni… Riesce a farsi comprendere nell’intero universo di cui siamo parte.

Ecco perché le canzoni di Claudine mi sono entrate subito nel cuore: pur non conoscendone i testi, la loro melodia e il suono dolce e leggiadro della sua voce, mi arrivavano direttamente al centro del petto senza bisogno di essere interpretate.

Fu quindi una piacevole sorpresa, scoprire che quei testi non facevano altro che rinforzare la sensazione che ogni singola canzone mi aveva donato, quando le ascoltavo senza comprenderle. Lucien era stato attento a spiegarmi ogni licenza poetica contenuta nei testi, descrivendomi anche il significato di eventuali frasi fatte che in Francia avevano un significato particolare. Grazie alla precisione che lo contraddistingueva, attraverso quei testi capii molto dell’anima di Claudine ma anche qualcosa in più del modo di vivere dei francesi. In quelle canzoni c’era sempre un velo di malinconia: persino quando si trattava di amore felicemente vissuto, la voce della madre di Emile dava delle intonazioni malinconiche al brano e alcune di quelle canzoni mi commossero profondamente.

Claudine era davvero brava.

Lo stroncamento della sua carriera era stato una ferita che aveva colpito profondamente lei, ma aveva anche privato noi pubblico di una voce meravigliosa e di una lyricist davvero poetica e commovente. Immersa nella commozione, piansi le ennesime lacrime per la sua perdita, per la sua vita distrutta, per il dolore che aveva accompagnato lei e la sua famiglia negli ultimi anni.

Avrei fatto il possibile per sostenere Emile nella sua lotta.

Claudine meritava di essere conosciuta, meritava di ricevere il successo che le era stato negato. Compresi ancora di più la rabbia che il mio Pel di Carota si portava dentro e ricordando la sensazione di furiosa impotenza, provata vedendo Claudio nella casa discografica, mi resi conto che più m’immergevo nella vita del mio ragazzo, maggiormente comprendevo tutto ciò che lo spingeva a vivere ed andare avanti.

 

*****

 

Gl’incontri che facciamo, le esperienze che viviamo, non sono altro che allenamenti continui per far crescere il nostro animo, non sono altro che continui esercizi alla scoperta di se stessi e degli altri e ogni avvenimento apparentemente casuale, accade per darci un insegnamento che prima o poi capiremo.

E solo col senno di poi riusciamo a vedere la perfetta concatenazione degli eventi a cui partecipiamo.

Questa piccola grande verità, la compresi qualche sera dopo Ferragosto: non avevo preso le ferie e quindi avevo lavorato anche in quella settimana, poiché il fast food che mi consentiva di vivere, aveva deciso di restare aperto persino durante la metà di Agosto.

Furono giorni di fuoco: tutta la città aveva chiuso i battenti e i pochi che ancora non erano in vacanza, si riversarono tutti in quel locale, con il risultato che quella cucina diventò davvero l’antro dell’inferno, per me! Stella era in vacanza e Paolo si presentava a giorni alterni: era impossibile gestire tutto da sola e qualche volta mi trovai ad essere aiutata da Serena che, come me, non era ancora andata a godersi le meritate ferie.

«Mamma mia che caldo qui, non possiamo aprire la porta, Pasi? Sto sudando!»

«No, non possiamo, saremmo a vista di tutti e inoltre potrebbe entrare la polvere dell’esterno… dobbiamo sopportare.»

«Ma mi si scioglie il trucco, così!»

«E allora non truccarti!»

«Impossibile! Io devo essere sempre impeccabile, non ho mica la fortuna di avere un ragazzo che mi ama anche se sono sfatta, come te!»

«Molte grazie Serena, sei davvero gentile!»

«È la verità Pasi, se ti truccassi un po’, saresti di certo più carina e…»

«Serena IO STO LAVORANDO! Non ho bisogno di truccarmi e non ho bisogno di essere carina per la carne che cucino!»

«Mamma mia, quanto sei acida! Io lo dico per te sai, bisogna essere sempre belle e interessanti per il proprio uomo, altrimenti si stancherà di averti accanto!»

«Non so che gente frequenti tu, ma di certo Emile non è così superficiale!»

«Mah… intanto io questo Emile devo ancora vederlo… stasera resterò fino alla fine, voglio conoscerlo!»

«Ti vuoi concentrare un secondo, per favore? Abbiamo una montagna di ordinazioni!»

«Sì, sì, d’accordo… mamma mia cercavo di rendere l’ambiente un po’ più piacevole, come sei pesante!»

La mia collega era irritante come sempre e parlava tantissimo, mentre io cercavo di concentrarmi con le ordinazioni: le ore trascorse esclusivamente in sua compagnia sembravano davvero eterne! Tuttavia dovevo ammettere che Serena era una buona lavoratrice, seguiva diligentemente le mie direttive e dopo due giorni, divenne una presenza indispensabile per la mia sanità mentale.

Ma ciò che mi aveva detto era vero: nonostante il suo aiuto, a fine serata ero ridotta come uno straccio vecchio e avevo a mala pena la forza di tornare a casa. Per questo motivo, Emile venne a prendermi ogni notte a lavoro, accogliendomi ogni volta con il suo sorriso e i suoi corroboranti abbracci… e Serena che andava via sempre prima di me, era diventata un ammasso di curiosità al pensiero che il “fantomatico Emile”, come aveva iniziato a chiamarlo su suggerimento di Paolo, fosse dietro l’angolo e puntualmente non riuscisse a vederlo. Così quella sera decise che avrebbe allietato le mie ore di lavoro fino alla fine, pur di riuscire a vedere questo personaggio mitologico!

Quando finalmente giunse l’ora di chiudere, prima di dare una spazzata alla cucina, feci uno squillo al mio Pel di Carota per avvisarlo che poteva venire a prendermi e Serena saltò dalla gioia.

«Oh, che meraviglia! Finalmente, finalmente!»

Quella sua manifestazione di allegria mi sembrò fin troppo entusiastica e le rivolsi uno sguardo in tralice privo di benevolenza:  «Mi spieghi in che modo cambierà la tua vita, conoscere il mio ragazzo?» calcai volutamente il suono della parola mio: a buon intenditor poche parole!

«Oh, Pasi, non dirmi che sei gelosa! Come potrebbe il tuo Emile, interessarsi ad una sciacquetta bionda come me?»

Ahia, doveva avermi sentito durante una delle volte in cui la criticavo, insieme a Stella… Improvvisamente iniziai a sentirmi un verme: nonostante sapesse cosa pensavo di lei, Serena non si era mai comportata male nei miei confronti; era irritante e pungente, ma non mi aveva mai mancato di rispetto, né come persona né come collega… Avrei dovuto tenere a bada quell’acidità tipicamente femminile nei suoi confronti, anche se non avrei mai dovuto abbassare la guardia, soprattutto quando si parlava di Emile!

«Non capisco perché tu sia così interessata a lui.»

«Perché lo nomini sempre e sono mesi ormai che lo conosciamo attraverso ciò che ci racconti. Sono curiosa di vederlo in faccia, così almeno avrò un viso a cui associare quello che ci dici sul suo conto.»

«Uhm… ok, questo te lo concedo, ma sta’ attenta a come spargi i tuoi ormoni, perché io sarò lì a controllarti! Guai a te se ti prendi troppe libertà!»

Serena fece un sorrisino prima di parlare:  «Mi lusinga che ti senta minacciata da me, dopotutto allora è vero che chi disprezza vuol comprare.»

«COSA?»

Prima che potessi aggredirla con la scopa, uscì dalla cucina per andare a ripulire i tavoli e darmi il tempo di sbollire la furia che mi aveva travolto. Quella ragazza riusciva sempre a confondermi: aveva un lato sincero e gentile che puntualmente mi faceva pensare di essere crudele con lei, ma nel momento stesso in cui cercavo di rabbonirmi,  se ne usciva con qualche frase che m’irritava a morte!

Quando terminammo tutte le pulizie e finalmente chiudemmo tutte le saracinesche, scorsi nel parcheggio la sagoma del mio principe, in attesa all’esterno dell’auto: immediatamente m’illuminai in un sorriso e non feci in tempo a girarmi per salutare i miei colleghi, che Serena mi si avvicinò lesta:

«È lui, vero? Sì, sì, è lui!»

La guardai in tralice, irritata e mezza assordata dalle sue grida, che mi avevano trapanato un orecchio.

«Sì, è lui… Serena, sai come tornare a casa?» Iniziò a salirmi un orrendo sospetto e prima di ritrovarmi a fare da tassista alla mia collega, volevo accertarmi che ci fosse un’alternativa, mentre eravamo ancora con gli altri.

«Ma certo, non preoccuparti, Matteo mi dà uno strappo a casa.»

Matteo era il gestore del fast food: evidentemente si era mosso a compassione, dato che eravamo in pochi a lavorare eroicamente in quel periodo e si era offerto di riaccompagnare Serena a casa… Oppure le grazie della mia collega avevano parlato per lei… Qualunque fosse stata la ragione, tirai un sospiro di sollievo al pensiero che quell’incontro tra Serena ed Emile non sarebbe durato che qualche secondo.

«Ok, allora vieni con me e togliamoci questo dente!»

«Sìììì!!!»

Soddisfatta come non mai, Serena mi prese sottobraccio, mentre coprivamo la distanza tra noi e il mio Pel di Carota e giunti finalmente a destinazione, ebbi solo il tempo di osservarlo negli occhi, che Serena si presentò con la furia di un uragano.

«Quindi sei tu Emile! Oh, finalmente ti conosco! Io sono Serena, una collega di Pasi, lei non mi sopporta molto e credo che in fondo sia anche un po’ invidiosa di me, ma sai come siamo fatte noi donne, vero? Comunque sono davvero felice di conoscerti, Pasi ti nomina sempre e non vedevo l’ora di stringerti la mano! Posso stringerti la mano?»

Emile fu letteralmente  travolto dalle parole della mia collega e l’osservò sorpreso e anche un po’ perplesso… ma vidi sul suo viso una luce particolare, che non ero riuscita a notare in quei pochi secondi precedenti e compresi che doveva essere accaduto qualcosa… 

«Sì, sono Emile e non credevo di essere così famoso.» Continuò ad osservare Serena con curiosità, ma mentre tenne le sue mani saldamente infilate nelle tasche, vidi emergere un sorrisetto ironico sul suo viso: Serena lo stava divertendo?

«Oh sì che sei famoso! Non vedevo l’ora di conoscerti! Non vuoi darmi la mano? Guarda che non ho malattie, non ti trasmetto alcun virus, nonostante ciò che può averti detto Pasi.»

«EHI! Ma cosa vai…»

«In verità Pasi non mi ha mai parlato di te… Però hai ragione, è maleducato da parte mia non porgerti la mano, piacere di conoscerti, Serena» Le strinse la mano continuando a mantenere quel sorriso ironico sul volto e mi rabbuiai, al pensiero che trovasse divertente la compagnia della mia collega.

«Credo che Matteo ti stia chiamando!»

Serena si girò verso di me con una luce maliziosa negli occhi e un sorriso soddisfatto sul volto… 

«Certo, hai ragione, ora vado.» …si avvicinò a me e mi sussurrò ad un orecchio: «Non preoccuparti, potrei rubartelo quando voglio, ma te lo lascio.» e poi si girò verso Emile. «È stato un piacere, spero di rivederti presto!» Mandò un bacio volante in sua direzione, mi rivolse di nuovo quello sguardo malizioso e si allontanò cinguettando: «Sogni d’oro, Pasi!»

«Quella strega! Quella megera, come diavolo si permette?!»

Stavo per allungarmi in sua direzione, per darle un bel pugno sul viso, quando sentii Emile prendermi una mano.

«Lasciala stare, stai facendo il suo gioco, non vedi? Anche se mi piace vederti così gelosa.» Mi girai verso il mio Pel di Carota e vidi il suo volto più luminoso che mai: emanava luce, gioia, soddisfazione e mi guardava con una vivacità negli occhi che raramente gli avevo visto.

«Ti sei divertito a vedermi in difficoltà, vero? Brutto sadico che non sei altro!»

«Sì, devo dire che mi è piaciuto ciò che ho visto.» il suo sorriso aumentò diventando malizioso.

«Stai scherzando col fuoco, Pel di Carota! Fai solo un elogio a Serena e alle sue curve e ti cambio i connotati!»

Per tutta risposta Emile mi abbracciò e si mise a ridere: «Non m’importa un fico secco della tua amica e soprattutto non stasera.»

Ecco la conferma ai miei sospetti, era accaduto qualcosa.

«C’è qualche novità, vero?»

«Sì.»

«E cosa aspetti a dirmelo? Invece di parlare di quel…» Non feci in tempo a finire la frase, che mi ritrovai ad un’altezza vertiginosa: Emile mi sollevò da terra girando felice su noi stessi.

«Abbiamo il nuovo batterista, streghetta!»

Lo guardai in viso incredula: le sue iridi erano poco visibili alla luce notturna, ma quella luce febbrile che gli avevo visto poco prima, riluceva più viva che mai.

«Oh Mio Dio, Emile! Dimmelo di nuovo ti prego, dillo di nuovo!»

«Abbiamo trovato il nuovo batterista! Claudio sarà definitivamente fuori dai giochi!» 

Ecco a cosa erano serviti la gita alla casa discografica, l’osservare Alberto dipingere e ascoltare Claudine: quelle esperienze concatenate tra loro, mi avevano fatto immergere nel mondo di Emile, nella sua anima, nei suoi dolori e nelle sue speranze e quando mi diede quella notizia con la gioia negli occhi, ero pronta a comprendere la portata della sua felicità, cosa che avvenne quando sentii il mio cuore fare eco a quella gioia, con un’improvvisa esplosione di pura esultanza dentro di me.

«Oddio Emile! Oddio, che bello, quanto sono felice!»

Mi strinsi a lui così forte, che sentii il battito convulso del suo cuore fare cassa di risonanza col mio e in quel momento provai nuovamente la sensazione di essere diventata un tutt’uno con lui, di essere riuscita a comprenderlo al punto da sentirmi parte della sua essenza, parte della sua anima.

«Ora devi raccontarmi tutto!»

Solo pochi minuti prima ero distrutta dalla fatica e imbufalita con Serena, ma dopo quella notizia splendida, la felicità provata aveva rinnovato la scorta delle mie energie e risollevato il mio umore al punto da sentirmi così carica di adrenalina, che avrei potuto restare sveglia tutta la notte, ascoltando tutto ciò che il mio Pel di Carota aveva da raccontarmi su quella novità, che ci aveva donato una contentezza al di sopra di ogni altra.

«È assurdo se ci penso, perché avevamo la soluzione proprio sotto il naso e abbiamo atteso così tanto per trovarla!»

«Oh insomma, non tergiversare! Sto morendo dalla curiosità!»

Ci appoggiammo al cofano dell’auto, troppo presi da quella notizia per attendere persino di entrare nell’abitacolo, prima di parlarne.

«Oggi è tornato dal Canada un amico dei gemelli, Luca… fino a qualche mese fa, viveva qui e ci seguiva sempre durante le nostre serate nei locali...» Emile raccontava con calma ma gesticolava freneticamente, stava cercando di trattenere la gioia per farmi un resoconto migliore possibile. «Ha un laboratorio di Tattoo e piercing, ma ci ha detto che sarebbe andato a fare uno stage in Canada per migliorare le sue conoscenze…»

«In Canada? Non c’era un luogo più vicino?»

Emile tornò a sorridere maliziosamente: «Dato che l’istruttrice era una donna che aveva incontrato ad una fiera, immagino che dovesse migliorare un determinato tipo di conoscenza…»

«Ah… Ma questo cosa c’entra con il batterista?» La mia ansia cresceva di minuto in minuto, perché mi stava raccontando le cose partendo da Adamo ed Eva?  

«Adesso ci arrivo, non sei stata tu a chiedermi di raccontarti tutto?» Touchée…  «In pratica, Luca è tornato qualche giorno fa e quando i ragazzi l’hanno aggiornato sulla nostra situazione, si è offerto di sostenere l’audizione come batterista!»

«M-ma cosa c’entrano i tatuaggi con la batteria?» Forse spinta dall’ansia avevo perso qualche passaggio nel discorso…

«Ecco, per la fretta ho dimenticato di dirti la cosa essenziale:  oltre a fare tatuaggi, Luca suona la batteria da anni e seguendo il nostro gruppo da sempre, conosce a menadito  anche l’esecuzione dei brani.»

Ora mi era tutto chiaro!

«Ha mantenuto il tempo perfettamente, come se suonasse con noi da anni e quasi non si sente la differenza tra lui e Claudio!» Mentre mi diceva quest’ultima frase, la gioia di Emile esplose tutta sul suo viso e quella contenuta felicità che aveva mantenuto mentre parlava, fu libera finalmente di esprimersi. «Non potevo chiedere un dono migliore, Pasi, è tutto così perfetto che ho paura che sia un sogno!»

Totalmente coinvolta dalla gioia di Emile, l’abbracciai e lo tenni stretto a me: «Sono così felice! Così felice! Finalmente tutto gira per il verso giusto!»

Sentii le braccia del mio Pel di Carota che si serravano su di me: «Devono solo passare questi mesi di tour e poi sarò finalmente libero.»

Non replicai a quella frase, mi tenni stretta a lui, godendomi quel momento di totale felicità, mentre nel mio cuore le sue parole echeggiavano i miei pensieri: sarebbe stato un lungo e pesante tour, ma oltre ad essere l’ultimo scoglio da superare, sarebbe stato anche il trampolino di lancio per il cambiamento che ci stava aspettando. Era un male necessario che avrebbe riportato il sole nella vita di Emile e di conseguenza, nonostante temessi le implicazioni legate a quel cambiamento, non vedevo l’ora che arrivasse.

 















________________________________________________________________________________________

NDA

SCUSATEMIIII!!! GOMEN NASAI!!!! ç_ç

Un mese intero, è la prima volta in assoluto che faccio trascorrere così tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro e sono senza parole verso me stessa!
Purtroppo verso la fine del mese scorso mi è salito addosso un umore tetro e pessimista che non ha lasciato spazio all'ispirazione e non vi dico che fatica è stata cercare di scrivere due righe!
Per fortuna non mi sono data per vinta, soprattutto considerando che mai come questa volta, sapevo esattamente cosa scrivere e quindi anche sforzandomi, ho iniziato a mettere giù il testo, che poi per fortuna tra Giovedì e Venerdì ha preso la sua forma completa, grazie al ritorno della mia Musa che mi ha permesso di ritoccare tutti i punti scritti sotto un cattivo influsso e che apparivano freddi e privi di vita.
Venerdì inoltre, ho modificato alcune parti e aggiunto tutto il pezzo con Serena (che non era stata considerata nella prima stesura) e sono felice di averlo inserito perché personalmente mi sono davvero divertita a scriverlo xD (Ed ora Testarossa mi ammazza!)
Quando ho spedito il capitolo alla mia Beta, mi sono anche accorta che, alla faccia della mancanza d'ispirazione precedente, è risultato il capitolo più lungo che abbia scritto finora: 17 pagine di Word!!! Sono fiera di me :D
(Spero ovviamente che siano 17 pagine interessanti e non una sequenza di roba che non vi sia piaciuta, non c'è nulla di peggiore di un barboso e chilometrico capitolo!)
Per chi sta leggendo anche Love Sucks, chiedo scusa se la ripetizione del dialogo tra Pasi e Sofi è risultata noiosa; in un primo momento avevo pensato di riassumerlo, ma poi mi sono resa conto che avrei fatto un torto a Pasi, perchè era un momento importante e riassumerlo non sarebbe stato in linea con il resto del racconto, inoltre per chi non sta seguendo lo spin-off, ci sarebbe stata una lacuna importante e non era minimamente considerabile. Quindi spero che leggere la scena dal punto di vista di Pasi, sia risultato abbastanza gradevole da non farvi annoiare per la ripetizione :D
And Last bun not Least, vogliamo innalzare tutte un ALLELUJA perché finalmente è stato trovato il batterista?!
Ho fatto i salti di gioia insieme ad Emile e Pasi mentre Pel di Carota dava la notizia alla sua streghetta!!! ERA ORA!!!!


Angolo dei Ringraziamenti

Prima di tutto, grazie a tutte per aver atteso pazientemente l'arrivo di questo capitolo senza lamentele, siete state dolcissime e pazienti. Grazie Mille!!! :D
Ed ora ovviamente un grazie di dimensioni titaniche a:
Fiorella Runco, la mia beta-tomodachi sorella d'anima perché nonostante i mille impegni, trova sempre del tempo per me.
Grazie sorellina, sei un tesoro <3

Vale, Niky, Saretta, Concy, Cicci, le mie sister del cuore che sono sempre pronte a recensire, a darmi sostegno a farmi morire dalle risate (recensitrice folle, ce l'ho con te xD) e a far vivere i miei ragazzi dentro di loro, attraverso l'entusiasmo che dimostrano dopo ogni lettura. Vi adoro in blocco!!! <3
Ana-chan ed Ely, le mie sister in pausa, che non mancano di sostenermi a priori. Grazie tesore mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth, che ho scoperto essere anche una sorella Alexina (magnifica scoperta!) oltre che una delle lettrici più affezionate di questa storia. Grazie perché nonostante la febbre hai avuto la forza di leggere e commentare, grazie mille! :*
ThePoisonofPrimula, che oggi compie gli anni, e che nonstante stia attendendo spasmodicamente il prossimo capitolo di Love Sucks, spero trovi appagante anche la lettura di questo capitolo, come piccolo regalo di compleanno da parte mia. AUGURONI PRIMULINA!!!!!! :******
Kira1983, che si è legata a questa storia in un batter d'occhio e che continua a seguirla sempre con interesse e trasporto. Grazie Kiruccia!! :*
Inoltre un enorme grazie va a sel4ever, che mi ha rallegrato non poco con la sua recensione allo scorso capitolo, dicendomi che questa è tra le storie più belle che abbia letto! Grazie grazie e ancora grazie!!!

E un grazie dal più profondo del cuore va a tutte voi che leggete silenziosamente, che avete inserito questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lovedreams, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, green apple, incubus life, princy_94, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, costanzamalatesta, cris325, epril68, georgie71, IriSRock, Kira16, LAURA VSR, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, smile_D, smokeonthewater, Strega Mangia Frutta, Veronica91, _anda, _Calypso_
Grazie grazie e sempre più grazie!!


ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31







 

 

Pasi domani andiamo al mare, sei dei nostri?

 

                         

Stavolta no Rita, voglio stare con Emile, è una giornata importante.

 

 

Dal momento in cui Emile mi aveva dato la notizia dell’arrivo di Luca nella band, avevamo trascorso almeno un’ora seduti sul cofano dell’auto a parlare di quella meravigliosa novità, che avrebbe spazzato via una volta per tutte le ombre dalla vita professionale del mio Pel di Carota e solo quando terminammo tutte le parole e ci rendemmo conto che era giunta l’ora di metterci in auto, accesi il cellulare e vi  trovai il messaggio di Rita.

Quando ero immersa nel lavoro in cucina, spegnevo il cellulare, in modo da non avere distrazioni con telefonate o sms che potevano interrompere e intralciare la mia resa in cucina, per quel motivo quindi, lessi solo a quell’ora del suo invito per andare al mare, il giorno dopo.

Mi sarei dovuta alzare presto per essere con loro e considerata l’ora che avevo fatto, avrei dormito ben poco… Ma non era quello ad impedirmi di andare con i miei amici, potevo rinunciare tranquillamente a qualche ora di sonno, l’avrei recuperata di sicuro nei giorni a venire.

Ciò che m’impediva totalmente di essere con loro, nonostante le giornate al mare fossero per me una tentazione continua, era  il sapere che l’indomani sarebbe stata una giornata memorabile a cui non volevo rinunciare:  quel giorno ci sarebbe stato il cambio della guardia, Luca avrebbe portato in saletta la sua batteria e tutti gli oggetti di Claudio sarebbero stati finalmente messi da parte, in attesa di restituirglieli. Quel tipo odioso non aveva avuto più il coraggio di avvicinarsi a casa Castoldi e nonostante l’aria trionfante che assumeva nella casa discografica, sapeva benissimo che se si fosse presentato in quell’abitazione per reclamare il suo strumento, non avrebbe ricevuto una calda accoglienza… Per cui la batteria era rimasta ad uso e consumo dei GAUS per le audizioni, finché finalmente era giunto il giorno in cui avrebbero potuto disfarsi di qualcosa che ricordava costantemente ai ragazzi, l’odiosa presenza di quel vigliacco di Claudio. 

Sarebbe stata una giornata davvero importante per Emile e il suo gruppo e non volevo perderla, in più ero curiosa di conoscere il salvatore dei GAUS, questo Luca che già adoravo, per il solo fatto di aver riportato la serenità nello sguardo di Emile.

Avrei rinunciato a tutte le vacanze di questa terra, per poter essere con lui in quel giorno così importante! C’era solo un piccolo particolare che al momento, m’impediva la realizzazione di quel desiderio: dovevo ancora dire al mio ragazzo, che avrei voluto assistere a quel giorno memorabile…

Mi stava conducendo a casa e non sapevo se si sarebbe fermato a dormire o meno, per cui sarebbe stato meglio sfruttare il tempo del tragitto in auto, per rivelargli il mio desiderio… Eppure avevo delle remore nel chiederglielo…

Ero consapevole del fatto che il mio Pel di Carota mi parlasse molto più facilmente della sua vita professionale, tuttavia avevo sempre paura di essere troppo invadente, di essere oppressiva… Senza contare il fatto che la mia ultima intromissione era costata il batterista alla band, in un momento del tutto delicato.

«Emile…»

«Mh?» aveva gli occhi piantati sulla strada e non perse tempo a rivolgermi il suo sguardo.

«Ecco… avrei una cosa da chiederti…»

«Allora chiedila.»

«Temo la tua risposta.»

Frenò all’improvviso e appena trovò un punto libero, accostò, evidentemente preoccupato da ciò che volevo dirgli. Una volta spento il motore, mi rivolse il suo sguardo ansioso:

«Quando fai così, inizio a preoccuparmi… che hai combinato?»

«Nulla!»  risposi offesa; perché doveva pensare che ci fosse qualche casino dietro? Beh, in effetti conoscendomi, non aveva tutti i torti….

«E allora cos’è successo di così terribile da non riuscire a dirmelo? Mi fai sentire un orco!»

«Forse lo sei…» Mi rivolse uno sguardo ostile, stringendo gli occhi, fingendo risentimento.

«Pasi… vuoi dirmi che hai?» 

«Ecco… hai detto che domani Luca verrà a sostituire la batteria di Claudio con la sua… vero?»

«Sì…»

«Ecco… vorrei-tanto-essere-li-con-voi!» dissi quella frase tutta d’un fiato, per poi nascondere la testa tra le braccia, timorosa di vedere la sua reazione… In tutta risposta sentii un rumore sordo insieme ad un suo sospiro.

«Proprio non ce la fai, eh?» Alzai lo sguardo e lo vidi con la testa appoggiata al volante, totalmente vinto.

«A fare cosa?»  osai rispondere a bassa voce, con il viso sempre più basso e ancora nascosto dalle braccia.

«Ad essere messa in disparte… e a non avere paura di parlare… Non riesco a capire perché una persona come te, che non teme nemmeno le ire degli dei, possa aver paura di me!»

«Le ire degli dei? Emile ma come parli?!»

«Non tergiversare, tu! È la prima cosa che mi è venuta in mente, del resto hai un nome greco, perché non potresti temere le ire degli dei?»

«Non me lo ricordare per favore… lo sai che odio quel nome! Allora mi rispondi?»

«Sei tu che mi distrai! Hai perso la paura a quanto vedo… era solo un modo per farmi cedere?»

«Ma no! Non sono una gatta morta come Serena, io!» dissi risentita «Ho davvero paura di farti arrabbiare…»

Emile sospirò nuovamente: «D’accordo strega, vieni pure… ci vedremo nel dopo pranzo, prima che torni a lavoro.»

«Non potevi prendere la mattinata libera? Tanto Gustavo non c’è…»

«Non c’è, ma si fida di me! E non voglio venir meno alla sua fiducia, perciò domani lavorerò come sempre…»

«Posso venire con te?»

«EH?»

«Posso venire a trovarti a lavoro? Così potremo tornare insieme a casa tua, pranzare e attendere i ragazzi!»

«Pasi, io non vado a divertirmi…»

«Lo so, ma avevo voglia di vederti a lavoro… Tu sai quello che faccio e conosci anche i miei colleghi… Io invece non so nulla di te, non conosco l’ambiente in cui lavori e mi sembra di perdere qualcosa d’importante che ti riguarda!»

«Sei più capricciosa del solito, stasera.»

Già… ai suoi occhi dovevo sembrare davvero capricciosa… ma il pensiero che presto sarebbe andato via non mi dava tregua e sentivo costantemente il bisogno di sentirlo vicino a me… Dovevo farglielo capire in qualche modo.

«Emile… c’è una cosa che devo dirti…»

«Un’altra?»Un

«Sì… e forse capirai un po’ di più le mie ragioni dopo…»

«Ok… dimmi tutto.»

«Qualche giorno fa, sono stata con Iulia alla casa discografica… la vostra.» Emile non rispose, ma mi guardò sorpreso. «E vi ho visto mentre parlavate con il vostro produttore…» 

L’espressione del suo viso si fece perplessa, evidentemente non riusciva a capire dove volevo andare a finire con quel discorso e rimase in silenzio in attesa che continuassi.

«Io non sapevo che eravamo dirette lì, Iulia mi ci ha portato senza dirmelo, non volevo invadere la tua privacy…» mi fece il gesto di continuare, «Insomma, alla fine ne sono stata felice, perché ho capito qualcosa in più di te e del tuo mondo e mi sono resa conto che ci sono aspetti di te che io non conosco affatto… quindi ho pensato che vederti nell’ambiente in cui lavori, mi avrebbe fatto conoscere un altro lato  della tua vita, che finora mi è oscuro… Io vorrei sapere tutto di te, Emile! Vorrei conoscerti davvero, in tutti i tuoi aspetti e più tu ti ritrai, più io sento il bisogno di sapere… Ho sempre paura che tu non voglia aprirti completamente a me, invece io vorrei che non ci fossero segreti tra noi…»

Cercai di essere più convincente possibile e per questo la mia arringa fu un fiume di parole in piena… Fiume che si spezzò quando Emile mi strinse a sé.

«Pasi, lo so che è difficile starmi accanto, lo so che ti do poco spazio e che sono sempre sfuggente… ma non devi dubitare in questo modo di me. Non mi costa farti essere presente domani mentre cambiamo gli strumenti e se vuoi venire a visitare la bottega va bene, però non voglio in alcun modo sentirmi costretto a doverti includere in ogni cosa che faccio, solo perché tu ti senti esclusa. Io sono fatto così, ho bisogno dei miei spazi, non posso inserirti in tutto ciò che m’impegna e voglio che tu lo capisca, perché dobbiamo imparare a rispettare le nostre differenze prima di tutto. E sopra ogni cosa, non voglio più sentirti dire che hai paura di dirmi qualcosa. Sai tenermi testa senza problemi e non vedo il motivo per cui tu debba sentirti intimidita da me.»

Aveva ragione, le sue parole non erano aspre, ma sentivo in pieno la sua ferrea volontà di non lasciare che m’intromettessi in ogni aspetto della sua vita… Del resto non poteva essere altrimenti: da quando aveva dichiarato d’amarmi, il nostro legame aveva trovato più stabilità ed equilibrio, ma non dovevo dimenticare la sua paura che io diventassi troppo importante, persino più della musica… Dovevo essere più forte e invece stavo diventando solo più capricciosa!

«Scusami… lo so che a volte esagero… ma ho sempre bisogno di sapere che ci sei… Mi hai fatto così felice prima, parlandomi di Luca, che forse non avevo nemmeno il diritto di chiederti altro… Invece non riesco a frenarmi, sono sempre qui a chiederti di più…»

«Streghetta, io ci sono, mettitelo bene in testa, non vado da nessuna parte. Anche se mi allontano, l’incantesimo che hai lanciato su di me è forte e non mi permette di tenerti a distanza nemmeno se lo volessi ed io non lo voglio…» Rincuorata da quelle parole, mi strinsi maggiormente a lui.

«Rimani a dormire da me?»

«Ok… ma non fare storie se dovrò alzarmi presto!»

«Promesso!»

 

 

*****

 

La bottega di restauro dove lavorava Emile fu facile da raggiungere, anzi, avrei potuto percorrere quel tragitto ad occhi chiusi. Il mio Pel di Carota si era alzato prima di me per andare a lavoro e mi aveva lasciato un biglietto con l’indirizzo della bottega: quando lessi il nome di quella strada mi suonò del tutto familiare, anche se non riuscii a comprenderne subito il motivo. Ma prima d’incamminarmi,  di colpo me ne resi conto: su quella stessa strada c’era la scuola superiore che avevo frequentato per cinque anni!

Sono davvero strane le coincidenze della vita: fino ad un anno prima, quel luogo era la mia casa, percorrevo quella strada due volte al giorno tutta la settimana e non mi ero mai accorta di quel negozio all’angolo,  quel locale in cui Emile lavorava da anni.

Le nostre vite si sono sfiorate per tanto tempo senza essersi mai toccate e nel momento in cui non c’è stata più occasione d’incontrarci, ci siamo imbattuti l’uno nella vita dell’altra e viceversa… La vita ha proprio uno strano modo di andare avanti!

Passare davanti alla mia ex scuola mi fece uno strano effetto:  nonostante quegli anni avessero costituito per me una vera guerra, ora la guardavo con nostalgia, pensando ad un periodo della mia vita che si era concluso per sempre. Cinque anni in cui il mio unico immenso problema era costituito da quelle ore,  scandite dal tentativo di sopravvivere alle interrogazioni, ai professori e ai miei genitori insoddisfatti, evitando delle ramanzine e delle punizioni da parte di questi ultimi per il mio andamento scolastico, non proprio eccellente. Un periodo in cui io e Stè eravamo indivisibili: costantemente compagni di banco, nonostante costituissimo la coppia più rumorosa della classe.

A volte qualche insegnante aveva provato a dividerci, ma appena se ne andava, tornavamo ad occupare lo stesso banco, sapendo che gli altri professori non erano così severi. Ogni volta che litigavo con qualche compagno di classe (e capitava spesso, soprattutto contro gli odiosi secchioni egoisti che non ci aiutavano nemmeno se li imploravamo!) Stè se la rideva divertito, ma era sempre pronto a difendermi nel caso la situazione diventasse seria. Una volta si era beccato persino una sospensione, per avermi aiutato contro un nostro compagno di classe, che minacciava di dire all’insegnate che stavo copiando… E alla fine fummo sospesi entrambi e dovemmo rifare il compito da soli con il prof davanti, per non parlare delle punizioni piovute a raffica in casa!

Con i bidelli invece era tutto un altro paio di maniche:  le nostre passeggiate per i corridoi del liceo ci avevano fatto diventare i loro beniamini e avevamo sviluppato una grande amicizia con ognuno di loro, al punto da essere sempre informati persino sulle dicerie e i movimenti degli insegnanti.

Se c’era da sapere qualcosa sulla presenza o meno di un determinato professore ad una determinata ora, le due Teste di Fuoco avevano i contatti giusti, che in un battibaleno avrebbero dato l’informazione, aiutando la nostra intera classe a sopravvivere. L’assenza di un professore particolarmente severo era al pari di una festa nazionale, tutti noi diventavamo all’improvviso felici e rilassati come se fossimo in vacanza!

Rimasi ferma davanti ai cancelli della scuola per un po’ di tempo, osservando quell’edificio con gli occhi della memoria, immergendomi in cinque anni di ricordi, pensando a tutti i momenti vissuti su quei gradini dell’ingresso, alle riunioni con la classe prima di entrare, ai discorsi fatti in quel cortile, a tutti i litigi con i professori o tra i compagni di classe… E dopo quel piccolo tuffo indietro nel tempo, riassaporando una parte della mia vita che (scoprii al momento), iniziava a mancarmi, salutai ancora una volta quella scuola che sarebbe stata sempre una parte di me, mettendo alle spalle il mio passato per andare incontro al mio presente, che distava pochi metri da lì. 

 

 

La bottega di restauro era ufficialmente chiusa per le vacanze, ma Emile aveva chiesto a Gustavo il permesso di lavorare nel laboratorio, posto nel retro, per poter terminare i suoi incarichi prima di lasciare del tutto quel mestiere, così non mi meravigliai trovando la serranda abbassata sull’entrata principale e mi diressi  all’interno della traversa su cui faceva angolo l’edificio. Il laboratorio aveva un’entrata ampia, che avrebbe permesso l’ingresso anche ad un camion ed immaginai che fosse proprio quello l’uso a cui era destinato, in modo da poter scaricare direttamente in loco i mobili ingombranti come gli armadi. La serranda era aperta del tutto, ma  la porta a vetri satinati a due ante era chiusa, un chiaro invito a “non disturbare”… Del resto quando si lavora non è il caso di distrarsi, anche se quella porta chiusa era un gesto così tipico di Emile che sorrisi all’idea: in fondo anche se non l’avevo mai visto all’opera in quel luogo, avrei potuto immaginarlo chiaramente! 

Abbassai la maniglia e spinsi la porta… ma non si aprì… Evidentemente quella di chiudere le porte a chiave era proprio una mania… malfidato di un Pel di Carota!

«Emile! Sei lì dentro? La porta è chiusa… se non vieni ad aprire resto fuori!» Logica inoppugnabile Pasi, complimenti!

Attesi di sentire una risposta, ma non arrivò, allora iniziai a picchiare sul vetro cercando di non esagerare e continuai a chiamarlo.

«EMILE! Sei lì dentro oppure no?»

Ad un tratto sentii dei passi e intravidi la sua figura attraverso i vetri e quando aprì la porta capii perché non mi aveva sentito: aveva ancora un auricolare che gli pendeva dall’orecchio e l’altro emetteva una musica talmente alta da sentirsi a distanza… Ma quello era un dettaglio di cui mi resi conto in seguito, perché  rimasi per qualche secondo ad osservare la sua tenuta lavorativa. Emile indossava un camice bianco, imbrattato da qualche strana sostanza che gli lasciava macchie giallastre addosso e una mascherina gli pendeva sul collo: il suo aspetto era così insolito, che mi lasciò senza parole, sembrava quasi un’altra persona!

«Streghetta, ti sei ammutolita?» Tornai alla realtà distratta dalle sue parole e dissi la prima cosa che mi passò per la mente.

«Sembri un dottore!» 

Il mio Pel di Carota, mi osservò perplesso prima di comprendere la mia esclamazione e sorridere malizioso.

«Allora si accomodi signorina, cosa può fare per lei questo dottore?»

«Uhm… mi faccia vedere di cosa è capace!» 

Gli risposi  di rimando sfidandolo e in tutta risposta  avvicinò il volto al mio orecchio e mi sussurrò: «Non tentarmi, altrimenti chiudo prima.»

«Cosa stai aspettando?»  risposi con un fil di voce, già pronta a saltargli addosso.

«In effetti potrei farci un pensierino…»  continuò con lo stesso tono sussurrante e terribilmente eccitante… e come sempre, dopo avermi fatto andare a fuoco con due sole parole, si staccò da me «…ma devo prima finire qui.» mi diede un bacio e chiuse nuovamente la porta a chiave, prima di dirigersi all’interno del laboratorio.

«Uff, sei un mostro sadico!»

L’ambiente era ampio e vasto: le pareti erano alte e la stanza era anche profonda, poteva entrarci davvero un intero camion all’interno!

Sembrava essere una specie di garage riadattato per le esigenze di Gustavo.

Sulle pareti c’erano bacheche su cui erano affissi vari strumenti, ma la maggior parte dei muri era occupata da pezzi di legno e da mobili antichi in condizioni più o meno disastrate. In corrispondenza delle bacheche,  c’erano una serie di tavoli larghi e molte attrezzature di cui ignoravo lo scopo e nell’aria si sentiva l’odore del legno e di qualche sostanza chimica, che doveva essere usata per il trattamento dei mobili.

Seguii Emile fino al punto in cui tornò a lavorare e vidi che si stava dedicando ad una consolle con specchio incorporato: il ripiano era sporgente nella parte anteriore a formare un semicerchio, ma questo terminava prima di arrivare all’estremità, formando due virgole in corrispondenza degli spigoli. Le gambe della consolle avevano la tipica bombatura dei mobili di un tempo e anche la cornice dello specchio, presentava riccioli e curvature che non erano certo appartenenti alla nostra epoca. Sul ripiano erano presenti degli intarsi ed era proprio su di essi che stava lavorando Emile, che nel frattempo aveva rimesso la mascherina sul viso.

Restai a distanza immaginando che la sostanza che stava usando dovesse essere tossica ed evitai di farmi riprendere: trovai una sedia che doveva essere a disposizione di chi lavorava, essendo decisamente moderna e mi ci accoccolai su, osservando il mio Pel di Carota al lavoro.

Emile era intento a distribuire con il pennello quella specie di lucido e con un panno ne toglieva l’eccesso:  i suoi movimenti erano rapidi e sicuri, gesti tipici di chi li ha ripetuti talmente tanto, da farli quasi meccanicamente. Restai ferma ad osservarlo estasiata: era talmente concentrato da non rendersi nemmeno conto che fossi lì con lui, nonostante non avesse rimesso gli auricolari nelle orecchie. In quel momento mi ricordò terribilmente suo padre alle prese con il quadro di Claudine, talmente immerso nella sua arte da dimenticare totalmente il mondo all’esterno. 

Quando li conobbi, pensai che l’unica cosa ad accomunare quei due fossero i ricci, ma più li conoscevo e più mi rendevo conto di quanto Alberto ed Emile fossero davvero simili… e chissà che il mio Pel di Carota non avesse ereditato anche il talento artistico del padre, oltre che quello della madre… 

L’immaginai alle prese con tele e pennelli e pensai a quanto la sua immagine di cantante/pittore potesse risultare affascinante… A quel punto però, sentii una fitta terribile di gelosia pensando allo stuolo di ragazze che avrebbe attirato e mi dissi che tutto sommato, era meglio che rimanesse solo uno splendido frontman, dato che sicuramente mi avrebbe dato dei grandi grattacapi anche così, senza metterci anche l’aria da artista a tutto tondo!

«Streghetta… sei ancora tra noi?» mi girai in direzione della sua voce e vidi Emile con la mascherina in mano che mi osservava incuriosito.

«Sì, scusami… ero sovrappensiero… hai finito?»

«Sì, ho passato il lucido protettivo, ora deve seccarsi e quando tornerò nel pomeriggio potrò mettere da parte la consolle e dedicarmi al prossimo mobile.»

«Posso dare un’occhiata in giro?»

Mi sorrise conciliante… «Certo, fai pure.» … e iniziò a togliersi il camice, mentre facevo un giro per il laboratorio.

«WOW! E questi li hai fatti tutti tu?»  Ovunque guardassi c’era un mobile antico: che si trattasse di un armadio a tre ante o di uno specchietto da tavolo, ero immersa nel passato, ogni oggetto presente in quel luogo, recava in sé la memoria di un tempo ormai perduto, che poteva solo essere rievocato flebilmente attraverso quella mobilia muta, ma terribilmente affascinante.

«Non tutti, i mobili più antichi li lavora Gustavo… non sono così bravo!»

«A me sembri bravissimo!»

 Lo sentii avvicinarsi alle mie spalle e cingermi la vita con le braccia: «Perché tu mi guardi con gli occhi dell’amore.»

Mi appoggiai a lui e misi le mie mani sulle sue: «Sbagliato, sono convinta che tu abbia talento, potresti diventare un bravissimo restauratore!»

«Bene… lo terrò presente per la prossima vita, allora.»

«Stupido!» lo sentii sorridere: l’atmosfera era del tutto rilassata ed io mi sentivo totalmente a mio agio circondata dalle sue braccia e appoggiata a lui.

Nel silenzio che seguì mi guardai intorno, respirando l’aria dell’ambiente in cui il mio Pel di Carota trascorreva le sue giornate, cercando di assimilare visivamente ogni cosa e cercando di percepire ogni odore presente in quel luogo, per imprimerlo nella mia mente una volta per tutte.

«Hai mai trovato qualche oggetto personale antico, nei cassetti di questi mobili?»

«Ovvero, qualche vecchio diario, che rivelasse segreti romantici inconfessabili ,delle donne di alta classe?»

«Sì… una cosa del genere.»

«No, niente di quel tipo… ma ho trovato una vecchia edizione del Kamasutra dipinta a mano.» 

«EH?»  mi girai a guardarlo sorpresa e incuriosita… e lo vidi sorridere con gli occhi oltre che con le labbra.

«Scherzavo, piccola strega lussuriosa… Ho trovato solo un messale degli inizi del novecento, niente di eccezionale.» A quel punto tirai un pugno sullo sterno ad Emile e mi liberai dal suo abbraccio, infastidita e imbarazzata, mente lui si faceva una sana risata ai miei danni.

«Antipatico, ti diverti a prendermi in giro!»

Mi prese per una mano e mi attirò a sé: «Sì, perché adoro il tuo volto imbarazzato.» e mi diede un bacio che di casto non aveva nemmeno le sembianze…  «Ora che ne dici se questo dottore ti sottopone ad un bel check-up completo?»

 

*****

 

Dopo un antipasto ad alto carico energetico, il pranzo fu preparato alla velocità della luce: la fame ci divorava e cresceva sempre più l’ansia per l’arrivo dei ragazzi, così non ci sperticammo nel creare piatti elaborati. Ma mentre eravamo  intenti  in quelle faccende domestiche, Emile d’un tratto si rese conto di un’assenza in casa sua:  

«Chissà se Lucien viene a pranzo…»

Sapevo benissimo che non sarebbe stato dei nostri, dato che era al mare con il resto del gruppo, ma non volevo rivelare al mio Pel di Carota di aver rinunciato ad una giornata con i miei amici per stare con lui, temevo che potesse arrabbiarsi con me, dopo il discorso della notte precedente…  Così spostai l’argomento su un terreno che m’interessava sondare:

«Ora si che sembri un fratellino premuroso.»

Ero felice di vederlo pensare a suo cugino, di vederlo preoccuparsi della sua presenza a tavola e sorrisi incoraggiante, ma dal canto suo Emile mi guardò con la coda dell’occhio in un’espressione di sfida, senza aprir bocca.

«Su Testone, ammettilo che ti sei affezionato a lui!»

Fece un sorrisetto ironico e continuò a dedicarsi al pranzo, prima di rispondere: «È solo praticità, è ovvio che sapendo che ci sia anche lui, mi chieda se verrà a pranzare o meno… abbonderò con le porzioni, in caso torni.»

Testardo fino all’inverosimile! Sapevamo entrambi che il suo gesto d’includere Lucien nella lotta a suon di salse, di qualche giorno prima, era stato una silenziosa accettazione che suo cugino facesse parte della famiglia e ciononostante, non voleva ammettere ad alta voce che Lucien era riuscito a fargli abbassare le barriere e farlo ricredere sui suoi parenti francesi.

Rimasi ad osservarlo silenziosa, ma con uno sguardo di sfida che rifletteva perfettamente il suo: sentendosi osservato, si girò di colpo.

«Che c’è? Qualcosa non va?»

«Resterò qui ad osservarti, finché non ammetterai che Lucien ti è simpatico!» Emile mi guardò perplesso, smise di trafficare vicino alla cucina, incrociò le braccia e mi guardò con espressione di sfida.

«E perché mai dovrei ammettere una cosa simile?» Era sulla difensiva, eppure c’era una luce di divertimento negli occhi… Forse gli piaceva il mio modo di incaponirmi sulla sua testardaggine…

Che bella coppia di teste dure eravamo, ma questo era stato chiaro sin dal principio… Avevo sempre saputo che tra me e il mio Pel di Carota ci sarebbero stati più battibecchi che momenti di pace!

Incrociai anch’io le braccia imitandolo e accolsi la sfida divertita.

«Perché so che non lo farai mai se non ti costringo e so che Lucien merita questo riconoscimento.» continuò imperterrito ad osservarmi sulle difensive, ma un sorriso sghembo si disegnò sul suo volto e con una luce maliziosa negli occhi si chinò verso di me.

«È meglio di ciò che credevo… talmente meglio che credo di essermene innamorato.»

Se all’inizio di quella frase stavo già gongolando trionfante, quando la terminò mi sentii presa nuovamente per i fondelli e offesa gli tirai un pugno sul braccio: «Antipatico di un Pel di Carota, testardo e sadico!»

Emile dal canto suo incassò il mio colpo con noncuranza, iniziando a ridere divertito:

«Oddio Pasi, vedessi la faccia che hai fatto!»

«Ti odio!»

Incrociai le braccia risentita, mentre Emile si piegava in due dalle risate: «Ahahahhahahaahh!»

Ero davvero offesa per quel suo modo di prendersi gioco di me, eppure il suono delle sue risate, un suono che non avevo mai sentito così forte e così sincero, m’infuse una grande serenità nell’animo: chissà da quanto tempo Emile non rideva di gusto come in quel momento e anche se non mi era piaciuto il modo, ero davvero felice di avergli donato l’occasione per risollevarsi lo spirito, con una sana risata.

Amavo sentire la sua voce quando mi parlava, amavo sentirla ridotta ad un sussurro vicino al mio orecchio e l’adoravo quando si trasformava intensificandosi nel canto… Ma il suono di quella risata, d’improvviso mi sembrò la melodia più bella del mondo.

 

*****

 

Preparare il pranzo insieme al mio Pel di Carota si rivelò nuovamente un’esperienza piacevole e ancora una volta, mi resi conto di come un gesto quotidiano potesse assumere un valore così alto, se condiviso con la persona che ami… Probabilmente, persino andare all’ufficio postale per pagare una bolletta, sarebbe stata un’esperienza dolcissima se l’avessi condivisa con lui!

Una volta pronto, il nostro pranzo fu letteralmente divorato: più si avvicinava il momento, maggiormente ci sentivamo su di giri per l’imminente arrivo del giro di boa; non vedevo l’ora di conoscere Luca e fremevo all’idea di vedere la gioia sul volto di Emile, che dal canto suo iniziava ad essere sempre più sorridente.

A volte durante il pranzo lo coglievo perso in qualche pensiero tutto suo, con un sorriso soddisfatto e una luce letale negli occhi e capivo immediatamente che stava pensando al futuro dei GAUS senza Claudio. Io riuscivo solo a focalizzarmi sul senso di sollievo che provavo, ma per lui doveva aprirsi un mondo nuovo di possibilità: finalmente era libero di procedere secondo i suoi piani, di gestire l’andamento del gruppo secondo la sua volontà, senza intralci da parte di quel tipo odioso…

Il fuoco che emanava dallo sguardo quando si concentrava sul suo futuro da musicista, m’immobilizzava: Emile ardeva di determinazione, i suoi occhi rilucevano della luminosità dell’acciaio… Niente l’avrebbe mai distolto dalla musica, ecco perché non aveva minimamente contemplato l’idea di lavorare come restauratore, in quella vita.

Il suo futuro era la musica, per lei avrebbe vissuto e in lei avrebbe sempre creduto.

Al di là del desiderio di riscattare Claudine, in Emile la musica scorreva nelle vene insieme al sangue e anche se sua madre fosse stata diversa, anche se fosse stata una casalinga felice, sicuramente il mio Pel di Carota avrebbe scelto la musica. Non c’era altra via, non c’era un’altra scelta: senza musica, non poteva esserci nemmeno Emile.

 

Quando finalmente giunse l’ora e suonarono al citofono, andò alla porta correndo felice come una Pasqua: era così diverso dal ragazzo impassibile e sarcastico che conoscevo, che rimasi a riflettere su quanto gli avvenimenti funesti della sua vita lo avessero cambiato. Forse se Claudine fosse stata una madre normale, quel sorriso che gli vedevo ora sul viso non sarebbe stato un miracolo, ma avrebbe fatto parte del suo quotidiano… Emile sarebbe stato sicuramente un bambino più sereno e molto meno diffidente…

Purtroppo, con i se e i ma non si costruisce alcunché e smisi di perdermi in quelle riflessioni, per godermi quel presente in cui il mio Pel di Carota rideva e scherzava con i suoi compagni di band.

Davanti al cancello di casa, vidi parcheggiato un furgoncino nero con alcune immagini aerografate: dalla portiera del passeggero vidi scendere Francesco, mentre le porte posteriori venivano aperte da un tipo che non riconobbi e che doveva essere Luca. Dal furgoncino emerse Filippo, mentre gli altri due entrarono nell’abitacolo. Emile andò loro incontro, aprendo il cancello e dando una mano a prendere i pezzi della batteria e come tante formichine operaie, uno alla volta arrivarono verso di me, che li osservavo sulla porta.

In un’altra occasione mi sarei fiondata a dare una mano,  ma in quell’occasione mi sentii di troppo e rimasi ad osservare: quello era un momento speciale per loro, era un nuovo inizio, c’era dentro una collezione di speranze che non potevo comprendere e una mia intromissione anche solo per trasportare gli strumenti, mi sembrò inopportuna e indesiderata.

Il primo ad entrare in casa fu Filippo.

«Ehilà Pasi, da quanto tempo non ci vediamo!»  aveva le mani occupate da tre borse rotonde e poco spesse che di sicuro contenevano i piatti della batteria.

«Ciao Filippo! È trascorso davvero tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti!»

«Sì… da quando abbiamo cenato insieme qui… c’erano anche i tuoi amici, vero?  A proposito, come sta Stefano?»

«Benone, oggi è al mare a divertirsi.»

«Ah… il mare… quanto mi manca! Non so più da quanto tempo non vado a farmi una bella nuotata.» Eravamo ancora sulla soglia e gli altri stavano arrivando, per cui onde evitare di bloccare il traffico, mi spostai con il bassista in direzione della saletta e a quel punto, vedendolo armeggiare con il suo bagaglio, mi sembrò poco gentile non offrire il mio aiuto.

«Vuoi una mano a trasportare quelle borse?»

«Ah, sì grazie, predi questa… attenta però, Luca è geloso dei suoi bambini!» mi porse una delle borse che aveva in mano e dal suono prodotto, compresi che i bambini di Luca erano effettivamente i piatti. Con tutta l’accortezza di questo mondo, li portai nel sottoscala, appoggiando la borsa sul tavolo, una volta giunta a destinazione.

In breve fummo raggiunti anche dagli altri e Francesco non mancò di salutarmi calorosamente: «Pasi, ci sei anche tu? Che piacevole sorpresa! Come hai fatto a convincere Emile a farti stare qui? Sei davvero la donna dei miracoli!»

Quel ragazzo era sempre schietto e sincero… mi domandavo come riuscisse a ironizzare su quel lato del carattere di Emile, senza prendersi continue ramanzine… In fondo non faceva che sottolineare quello che anche Claudio aveva detto al mio Pel di Carota… però era anche vero che i toni usati erano del tutto differenti…  Non ne sapevo il motivo, ma di sicuro Emile rispettava Francesco molto più di quanto non facesse con il loro ex batterista.

Anche Francesco era sommerso di borse, molto più ingombranti rispetto a quelle di Filippo, che nel frattempo era scomparso, probabilmente diretto a prendere il resto dei bagagli.

«Ma quanto è grande questa batteria?» esclamai sorpresa.

«È bella ingombrante Pasi… forse non te ne sei resa conto perché è sempre in fondo al palco, ma è lo strumento più scomodo da trasportare, in assoluto! Infatti credo che una volta messa qui, Luca la sposterà solo per qualche serata importante!»

«Sbagli del tutto, questa non si sposta proprio! Per le serate ne ho un’altra a casa!» d’improvviso mi girai in direzione della voce proveniente dalle scale: Emile e un altro ragazzo stavano trasportando il pezzo più grosso della batteria, oltre ad avere a tracolla altre sacche lunghe e strette: ecco che finalmente potevo conoscere il salvatore dei GAUS.

«Ah ecco! Mi sembrava strano che facessi tutta la fatica di smontarla e riportarla qui, ogni volta!»

Francesco fece un sorriso ironico in direzione dell’amico, che una volta sceso le scale, fu finalmente alla portata della mia vista.

«Luca, lei è Pasi, la mia ragazza… Pasi, lui è Luca, il nostro nuovo batterista.»  Emile mi guardò divertito, sapeva che la mia curiosità in quel momento era ai massimi livelli e aspettava di vedere la mia reazione a quell’incontro.

«Quindi tu sei la famosa donna dei miracoli… piacere mio!»  Luca mi porse la mano con un’espressione che non riuscii a decifrare: sembrava serio, ma qualcosa nel suo viso mi diceva che non era affatto così… Aveva usato la stessa espressione di Francesco, per cui immaginai che si riferisse a qualche battuta che doveva aver scambiato con l’amico. 

Osservando bene quel viso, mi sembrò di averlo già visto: aveva i capelli corti e castani, spettinanti sulla testa con il gel, una fila di piercing all’orecchio destro, proprio come Emile e un paio di occhiali da vista sul naso, dietro cui si vedevano due occhi scuri che avevano l’aria di guardare a fondo le persone… Dove avevo già visto quel tipo?

«Mi stai facendo la radiografia o non ci vedi bene?» quanto tempo ero rimasta ad osservarlo? Complimenti Pasi,  nemmeno il tempo di conoscerlo che già hai fatto la prima figuraccia!

«Ehm, no, ecco mi stavo chiedendo dove ti avessi già visto… hai l’aria familiare…»

«Se frequenti i pub, allora l’avrai visto di sicuro mentre beveva come una spugna!»  intervenne Francesco, sorridendo in direzione dell’amico.

A quel punto Emile si avvicinò per chiarirmi le idee: «Forse l’hai visto durante qualche nostro Live… prima di partire ci seguiva sempre.»

«Sì, gufava contro Claudio, sperando che gli capitasse qualche accidenti!» Francesco continuò imperterrito a prendersi gioco dell’amico, che dal canto suo rispose senza fare una piega.

«Ovvio, quel tipo non mi è mai piaciuto…»

«Solo perché non usava il China *! Non credi di essere un po’ troppo classista?»

«No, io capisco subito di che pasta è fatta una persona e quel tipo oltre a non usare il China, è un perfetto imbecille!»

Di certo Luca non era uno che la mandava a dire… Almeno di sicuro non avrebbe tramato qualcosa alle spalle come Claudio, era centomila volte meglio avere accanto qualcuno, che anche rudemente ti spara le verità in faccia, piuttosto che un finto amico che ti accoltella alle spalle… Soprattutto alla luce degli ultimi eventi, se voleva raggiungere il suo obiettivo, Emile avrebbe dovuto circondarsi di persone fidate.

Durante quel battibecco tornò Filippo, portando con sé il resto del carico: «Qualcuno vada a chiudere la porta, non avevo le mani libere per farlo.»

Emile corse via diretto all’ingresso, mentre noialtri aiutammo il bassista a districarsi con le ultime sacche.

«Luca, guai a te se deciderai di spostare questa batteria!» disse con un accenno di stanchezza nella voce, dopo aver depositato tutto il suo bagaglio.

«Non preoccuparti Fil, la vecchia Betsy resta qui, nessuno la smuoverà!»

«Betsy?» chiesi curiosa e Francesco sorridendo mi aiutò a comprendere.

«Hai presente Robin Hood della Disney? Luca adora quel cartone al punto da aver chiamato la batteria come la balestra del corvaccio, che faceva la guardia al castello.**»

«A dir la verità era un avvoltoio, Frà.»  lo corresse Filippo.

«E vabbè, sempre uccellacci sono!»

«Eh no, non confondere, i corvi sono splendide creature, nonché simbolo della dea Morrigan***… uhm… ci starebbe bene un tatuaggio!» Luca prese un taccuino dalla tasca posteriore del jeans e iniziò a scribacchiare qualcosa, mentre io rimasi senza parole… Non sapevo se sorridere per il continuo scambio di battute a cui avevo assistito, o per il modo in cui il batterista si era totalmente alienato dal mondo circostante per concentrarsi sul suo disegno… 

Fu solo in quel momento che mi resi conto di un’assenza:  «Ma Maurizio non è con voi?»

«Aveva un impegno oggi e quindi non ha potuto partecipare al “rito”.» mi rispose Filippo e dopo una piccola pausa, suo fratello prese la parola.

«Ragazzi… non vorrei mettere zizzania ma… siamo sicuri di Maurizio?»

«Non vorresti, ma lo stai facendo, fratello!»

«Lo so Fil, ma sappiamo tutti quanto lui e Claudio siano legati… e sappiamo anche molto bene quanto poco si sia espresso su tutta la faccenda…»

«Sì, ma fino a prova contraria è ancora uno di noi e non possiamo incolparlo di qualcosa che non ha fatto.»

«E chi l’incolpa, Fil?! Sto solo dicendo che sarebbe meglio tenerlo sotto controllo.»

«A me quel tipo non piace, se ne sta sempre troppo zitto.»  disse Luca esordendo sull’argomento.

«Tu non fai testo, le persone che ti vanno a genio si contano sulle dita di una sola mano!»  rispose Filippo.

«A meno che non abbiano un bel paio di tette!» rincarò la dose Francesco e quando suo fratello gli rivolse un’occhiata rimproveratrice, si rivolse a me: «Senza offese, Pasi!»

«Ah figurati, fate pure come se non ci fossi!» ero abituata a quel genere di battute, ed ero felice di essere con loro in quel momento, anche se ciò che stavano dicendo nei riguardi di Maurizio mi metteva addosso una strana ansia. In quel momento sopraggiunse Emile, con delle buste che sarebbero state riempite dagli oggetti di Claudio. Vedendolo arrivare, Francesco gli andò incontro.

«Tu che ne pensi Duce, dobbiamo fidarci di Maurizio?»

«Duce?» risposi sorpresa, guardando Filippo che, dal canto suo, sorrideva divertito.

«Mio fratello ha battezzato Emile col termine Duce perché è il nostro esimio dittatore.» Il sorriso di Filippo si ampliò soddisfatto ed io rimasi inizialmente senza parole, ma dopo poco mi ritrovai a sorridere a mia volta,  trovando il soprannome decisamente indicativo del modo di fare di Emile, all’interno del gruppo.

Il Duce in questione invece, stava rispondendo alla domanda di Francesco:

«Di Maurizio mi fido poco, forse anche meno di Claudio, ma non posso gettarlo fuori dal gruppo solo perché non mi è simpatico… Teniamolo d’occhio e facciamo attenzione ai suoi movimenti, al primo errore è fuori.»

Emile aveva un tono deciso e sicuro, probabilmente rifletteva su quell’argomento da tempo, perché non aveva avuto la minima esitazione, nel dichiarare che sarebbe bastato un solo pretesto per mettere alla porta Maurizio. Del resto, i chitarristi non mancavano in giro e comunque  la sua presenza non era di vitale importanza, come lo era stata quella di Claudio in qualità di batterista: Emile avrebbe potuto sostituirlo senza problemi. Ciò che mi inquietava però, era l’idea che potesse tramare qualcosa alle spalle degli altri: se era davvero così legato a Claudio, come facevano ad essere così sicuri che non avrebbe creato problemi?

 

I ragazzi non si persero in ulteriori chiacchiere e in men che non si dica, smontarono la batteria di Claudio, rimasta in saletta per le audizioni e la impacchettarono bene e meglio per riportargliela, mentre Luca ripuliva meticolosamente la postazione, sostituiva il tappeto con il suo e montava con estrema cura e precisione tutti i pezzi della sua Betsy .

«Allora, quando si suona?» esordì, dopo aver provato il suono di ogni singolo pezzo.

«Al più presto, credimi! Purtroppo ora devo tornare a lavoro, ma se ci siete, nel fine settimana possiamo farci una bella suonata insieme.» Emile era appoggiato al tavolino: Luca non aveva voluto aiuti nel montare la batteria e i ragazzi erano rimasti a chiacchierare all’esterno della saletta, ma il mio Pel di Carota si era distratto varie volte per osservare il batterista al lavoro e ogni volta notavo nei suoi occhi, la stessa luce che gli avevo visto mentre pranzavamo. Sentivo la sua ansia di suonare come se la stessi provando direttamente: nel momento in cui la nuova formazione dei GAUS si sarebbe riunita, Emile sarebbe rinato, per cui potevo immaginare quanto dovessero sembrargli lunghi quei giorni, che lo mantenevano a distanza dalla musica.

«Duce, perché non organizziamo anche qualche live? Così ci sgranchiremo le ossa prima di partire e presenteremo anche quell’orso di batterista che ci ritroviamo ora!»

La luminosità dell’acciaio tornò a riflettersi negli occhi di Emile, che con un sorriso astuto rispose: «Ci stavo già pensando… lo faremo di sicuro!»

 

*****

 

«Quindi si sono riappacificati! Oh che bella notizia!»

Abbracciai Rita in preda alla gioia e a un sollievo senza pari: due giorni dopo la loro gita al mare, la mia amica mi aveva chiamato perché voleva stare un po’ con  me, ma soprattutto perché voleva parlarmi, così era venuta a trovarmi una mattina, mentre ero al centro.

Da quando mi aveva aperto gli occhi sull’interesse di Sofi nei confronti di Lucien, non avevamo più avuto occasione di discutere dell’argomento, né di confrontare le relative opinioni alla luce dei fatti. Dopo il loro litigio a teatro, le cui ragioni restavano oscure ancora ad entrambe, quei due si erano riappacificati andando al mare insieme e a quella notizia il mio senso di colpa si dileguò all’istante, ma in compenso la risolutezza di non impicciarmi più nella vita privata di Sofia, rimase saldamente ancorata alla mia anima. Non avrei più scherzato col fuoco, per cui se Rita avesse avuto altre idee, le avrei detto chiaramente che me ne sarei tirata fuori.

Ma a quanto sembrava, anche lei era del mio stesso parere: «Sofi è un osso duro, se c’intromettiamo troppo, rischiamo solo di peggiorare la situazione… Non ho mai fatto insinuazioni ma ogni volta che le ho chiesto cosa fosse accaduto tra lei e Lucien, si è chiusa a riccio su se stessa e so che quando fa così, c’è ben poco da fare. A questo punto mi limiterò ad osservarla da lontano, assicurandomi che sia più socievole possibile. Ultimamente sta dando proprio il peggio di sé e temo che crescendo s’inacidisca sempre più, invece di trovare un po’ di gioia nell’animo.»

«Io stento a capirla, però se tu hai visto giusto ed io ne sono stata molto convinta, credo che in qualche modo quei due si avvicineranno… se non dov’essere così, vorrà dire che non era Destino…. Ho rischiato di perderla e non voglio più intromettermi, la vita privata delle persone deve restare tale finché loro non ti danno il consenso d’immischiarti. Con Sofia non si può giocare d’azzardo, o almeno io non posso, non abbiamo abbastanza confidenza perché lei mi perdoni, come fa con te.»

«Ma dai Pasi, Sofi ti vuole bene.»

«Sì lo so… ma sai anche che non è brava a dimostrarlo e che è molto diffidente… Già con te che la conosci da sempre a malapena riesce ad aprirsi, figuriamoci con me!»

«Sì, è vero… infatti io e lei abbiamo fatto un patto proprio a questo riguardo... e qui entri in gioco anche tu!»

«No Rita, non voglio più immisch...»

«Aspetta, fammi finire… che ne dici di una bella settimana in montagna da me? Ci saremo tutti, sarà un’occasione per staccare dalla routine e per trascorrere una specie di vacanza lontano dal mondo. Saremo in totale contatto con la natura e ti assicuro che si sta davvero bene. Sofi mi ha promesso che cercherà di socializzare il più possibile con tutti questa settimana, proprio perché è sempre così restia a lasciarsi andare… magari ne puoi approfittare per rafforzare il tuo legame con lei… Ah, ovviamente è invitato anche Emile…»

 Rita aveva uno sguardo carico di speranza negli occhi e il Signore solo, sapeva quanto mi attirava quell’idea e quanto sarei stata felice di trascorrere una settimana attorniata dai miei amici e in compagnia persino del ragazzo che amavo… ma conoscevo Emile e sapevo che non avrebbe mai accettato di essere parte della comitiva.

Non si sentiva ancora a suo agio con i miei amici e una settimana in mezzo a loro, sarebbe stata infernale per lui… senza contare la presenza di Stefano… Inoltre con gl’impegni alla bottega e alla casa discografica, per non citare il desiderio di suonare con la nuova formazione, anche volendo non avrebbe avuto un minuto libero. Era impensabile che accettasse di essere con noi… e automaticamente era impensabile che io lo lasciassi da solo in città andandomene in montagna, sapendo di sprecare un’intera settimana a disposizione per vederlo!

Guardai Rita e il dispiacere per la risposta che stavo per darle mi contrasse lo stomaco, ma sapevo che nonostante Emile non avrebbe fatto alcun gesto per impedirmelo, se fossi andata con loro mi sarei dannata tutto il tempo, per aver sprecato giorni preziosi da dedicare a lui.

«Rita non sai quanto mi piacerebbe…»

«Ma non puoi.»

«Già… vedi ho poco tempo per stare ancora con Emile prima che parta e…» Eravamo sedute sul piccolo sofà messo in un angolo nella mia stanza e Rita poggiò una mano sulla mia, stretta a pugno sul grembo, confortandomi.

«Lo so Pasi, l’avevo già immaginato e sinceramente già sapevo la tua risposta. Tuttavia mi sembrava scorretto non tentare la sorte, chiedendoti personalmente di essere con noi.»

«Non sai quanto mi dispiace! Io vorrei essere davvero con voi, non sto prendendo questa decisione alla leggera, sai bene quanto ci tenga…»  ero un fiume in piena, speravo con tutto il cuore che la mia amica non mostrasse risentimento verso di me e soprattutto verso Emile, come mi era sembrato che avesse fatto tempo addietro a mare. «…è una decisione mia, Emile non c’entra, anzi sicuramente si arrabbierebbe con me sapendo che rinuncio, ma…»

«Pasi, calmati, ehi, stai tranquilla! Non ti sto incolpando, né lo sto facendo con Emile! Lo so che vuoi stare con lui perché a breve partirà e dovrai convivere con la sua assenza, lo capisco benissimo e non ti sto giudicando.»

«Non sei arrabbiata nemmeno con Emile?»

«Ma no… perché dovrei esserlo?»

«Perché quella volta al mare, hai appoggiato Sofia…» chinai la testa triste.

«Ma Pasi, quello è un altro discorso! Sì è vero, ho appoggiato Sofi, ma perché nemmeno io tollero quei comportamenti imbarazzanti in pubblico… Non ho nessun motivo per essere arrabbiata con Emile, non mi è piaciuto il modo in cui si è comportato, perché ha messo in imbarazzo te e Stefano che siete miei amici, ma non posso per questo criticarlo a priori. Il tuo ragazzo ha un carattere difficile e per certi versi somiglia molto a Sofi, per cui non posso che cercare di comprenderlo. Del resto non ha un passato facile alle spalle, da un certo punto di vista è naturale che abbia un modo enfatizzato di esternare ciò che sente. In generale si reagisce ai traumi sempre eccedendo, che si tratti di totale chiusura o di libero sfogo delle proprie emozioni.»

La psicologa che era in lei era sempre pronta a fare un’analisi delle persone che aveva accanto: Rita non era ancora laureata e già era vittima della deformazione professionale!

La sua analisi attenta dell’animo del mio Pel di Carota, ebbe un effetto calmante su di me: avevo temuto che i miei amici non lo vedessero di buon occhio e invece in quel momento miei dubbi iniziarono a svanire. Come speravo, avevano compreso il motivo che spingeva il mio Pel di Carota ad agire in quel modo eccesivo…o almeno la maggior parte di loro… perché dubitavo che Sofi comprendesse in pieno, nonostante fosse la persona che più avrebbe dovuto capire le ragioni di Emile.

Sollevata da quella constatazione, tornai ad abbracciare la mia amica.

«Non sai quanto mi faccia piacere, sentirti dire certe cose! Ho temuto che Emile vi fosse antipatico e non sapevo come gestire la situazione: l’idea che ci fosse dell’astio tra voi e lui mi immobilizzava, mi sentivo spaccata in due…»

«Oh Pasi, ma scherzi? Il tuo ragazzo non ha di certo un carattere facile, ma mai mi sognerei di metterti davanti ad una scelta! Del resto abbiamo anche noi un elemento complicato nel gruppo, saremmo degli ipocriti a non volere Emile tra noi, mentre perdoniamo a Sofi tutto ciò che dice.»

«È vero… lei odia sentirselo dire, ma è molto simile a lui e più gli sto a contatto, maggiormente riesco a capire lei… forse…»

A Rita sfuggì una risata: «Sofi si comporta da vecchia acida, ma poi teme di essere considerata una bisbetica… come ti dicevo, è un soggetto complicato.»

«Decisamente…»

«Spero che Lucien riesca ad ammorbidirla.»

«Pensi che ci riuscirà?»

«Chissà… io lo spero.»

«Ehi… c’è nessuno qui?» La voce di Stè all’ingresso del centro ci distrasse dalla nostra conversazione.

«Siamo qui, Testa di Paglia!»

Appena lo chiamai, quella pertica bionda fece capolino nella stanza e ci rivolse il suo solito sorriso solare:

«State confabulando qualcosa, vero? Avete la tipica aria del complotto, sulla faccia.»

«Stè, ma per chi hai preso?! Stiamo solo chiacchierando amabilmente, come due amiche che non si vedono da un po’.»

«Appunto, state confabulando… due donne sole sedute accanto non possono fare altro.» disse sorridendo, soddisfatto di sé.

«Ma no Stefano, le stavo dicendo della settimana in montagna.»

«Ah! Verrai con noi?» mi guardò son una piccola luce di speranza.

Avevamo già affrontato quel discorso, avevo già detto a Testa di Paglia che quell’anno non avrei trascorso le vacanze con loro, tuttavia vidi nei suoi occhi la speranza di avermi accanto come sempre in quella settimana di svago… e sapere di dover deludere anche le sue aspettative, mi fece sentire incredibilmente in colpa.

«No, Stè… mi dispiace ma non ce la faccio…»

«Ah… Capito.»

«Ti ricordi che te ne ho già parlato, vero? Emile a breve andrà via e non riesco a pensare di lasciarlo per una settimana, sapendo che in seguito non lo vedrò per mesi...»

«Sì, lo so Testarossa, in fondo già sapevo la tua risposta… Ma sai com’è, la speranza è sempre l’ultima a morire.»  mi rivolse un sorriso conciliante, ma sapevo che dentro di sé c’era rimasto male.

«Stè davvero, io verrei con tutto il cuore… ma so che poi me ne pentirei… Se potessi dividermi lo farei!» 

A quel punto Rita si alzò dal divano… «Vado a chiamare Fede, così chiacchierate da soli.»  …ed uscì dalla stanza, fermandosi a scambiare un’occhiata con Stefano, mentre quest’ultimo si avvicinava a me per accomodarsi sul bracciolo del sofà ed io continuai la mia arringa difensiva.

«Lo so che mi sono ripromessa di non perdermi dietro la sua vita, di non annullarmi, ma non ce la faccio ad allontanarmi da lui, sapendo che a breve sarà via da me per mesi…» Abbassai lo sguardo colpevole e Stè mi circondò le spalle con un braccio.

«Testarossa, sembra che ti stia giustificando più con te stessa che con me… Mi dispiace non averti tra noi, ci saremmo divertiti molto di più con la tua presenza… ma lo so quanto sia importante per te stare accanto ad Emile… Del resto non possiamo fare sempre tutto insieme, non siamo più a scuola…»

«Stè… mi sto perdendo di nuovo?»

La mia paura di annullarmi, stava tornando prepotentemente in quel momento: mi stavo comportando come mi ero ripromessa di non fare più, eppure non riuscivo a fare a meno di agire in quel modo… Ero davvero senza speranza? E se fossi caduta di nuovo nella vecchia abitudine di vivere in base agli impegni del mio ragazzo, finendo col perdere non solo me stessa, ma anche lui?

Alzai il viso verso Testa di Paglia, preda della confusione.

«Ricordi cosa ti ho detto, quando avevi paura di lasciarti andare a ciò che provi per Emile? Che ti avrei fatto notare quando avresti esagerato?»  gli feci un cenno di assenso «Allora, diciamo che sei ancora nel limite e che puoi goderti questi giorni con il tuo ragazzo, ma sappi che ti tengo d’occhio!»

Sorrisi al mio amico sollevata dalla sua risposta e, felice per aver ricevuto la sua comprensione, l’abbracciai: «Grazie Stè, sei la mia salvezza!»

«Ti aggiornerò se accadrà qualcosa d’interessante, così saprai tutto come se fossi con noi.»

«Sì! Mi raccomando non perderti i particolari, voglio sapere com’è il tempo, com’è la casa, com’è l’atmosfera …»

«… e se Sofia combina qualcosa con Lucien» mi sorrise divertito: allora anche lui sapeva…

«In che senso?»  provai a fare la vaga, non riuscivo a credere che persino lui si fosse reso conto di qualcosa!

«Nel senso che ho capito cosa cercavi di fare; sarò anche poco attento, ma ti conosco e ho fatto due più due, notando quanto impegno ci metti nel lasciare quei due sempre soli o vicini.»

Oddio… ero davvero stata scoperta persino da Testa di Paglia, ero proprio una pessima Sherlock!

Chinai la testa abbattuta: «Ci mettevo, Stè… Ora non voglio più intromettermi.»

«Addirittura?! Cosa è riuscito a fermarti in questo modo?»

«Ho rischiato di perdere l’amicizia di Sofi… e per quanto possa essere difficile comunicare con lei, io le voglio bene e non voglio perderla… Impicciandomi nella sua vita privata, non ho fatto altro che rischiare che mi mettesse alla porta.»

«Ma non l’ha fatto, vero?»

«No… ma c’è mancato poco.»

«Capisco… beh, in effetti Sofia sa come bloccarti l’iniziativa!» sorrise incoraggiante, di quel sorriso che adoravo e che riusciva a ridarmi coraggio ed energia. L’abbracciai nuovamente, ringraziando il cielo per avermi donato una persona così speciale.

«Stè… ti voglio bene.»

«Anch’io te ne voglio Pasi… te ne vorrò sempre.»

Stretta nel suo abbraccio confortante, ripromisi a me stessa che avrei trovato un modo per far convivere Emile e i miei amici: quell’anno era andata così, ma non volevo più essere costretta a scegliere, non volevo più sentirmi spaccata in due.

Fosse stata una delle ultime cose che avrei fatto, avrei trovato un modo per trascorrere il tempo libero insieme a tutte le persone più importanti della mia vita!

 

*****

 

«Ti rendi conto che hai rinunciato alle vacanze, per stare qui con me?»

Era inutile, del tutto inutile cercare di nascondere le cose al mio Pel di Carota… Ma del resto quello era un segreto che non poteva rimanere tale a lungo.

Il giorno stesso della partenza dei miei amici per la montagna, Lucien aveva chiamato Alberto (su sua personale imposizione) per avvisarlo di essere arrivato sano e salvo e di conseguenza, suo padre ne aveva parlato ad Emile… ed io avevo perso la mia copertura ignobilmente!

Quando arrivai a casa sua, la sera, mi accolse con un cipiglio serio che prometteva guai e capii all’istante che ci sarebbe stata una discussione tra noi: non trascorse nemmeno il tempo di entrare in casa che mi ritrovai in salotto a discutere! Ma non mi feci intimidire dal tono del mio Pel di Carota che, infuriato con me, non voleva sentire ragioni.

«Sì, e non m’importa! Voglio stare con te Emile, voglio sfruttare tutti i momenti che abbiamo a disposizione prima che tu parta!»

«Ma non sto mica per arruolarmi nella Legione Straniera!»

«Non m’interessa Emile, non è importante dove andrai, ma che non ci sarai… Per questo voglio stare con te quanto posso!»

Ne stavo facendo una dopo l’altra… Non facevo che dimostrarmi una ragazzina appiccicosa, eppure non riuscivo a smettere di comportarmi così… e in quel momento, nemmeno m’importava, perché nonostante mi fosse dispiaciuto rinunciare alla mia settimana di vacanza, ero felice di essere lì con lui, per quanto brevi potessero essere i nostri momenti insieme.

«E poi non potevo prendere le ferie all’improvviso, senza avvertire almeno quindici giorni prima!»

«Questa è una scusa, Pasi! Hai lavorato a Ferragosto, di sicuro potevi chiedere una settimana di riposo anche con poco preavviso.»

Sì, forse aveva ragione, ma  il pensiero non mi aveva nemmeno lontanamente sfiorato, per cui accantonai il discorso.

«Prenderò le ferie quando ne avrò davvero bisogno, non era di vitale importanza che andassi con gli altri in montagna.»

«Non era di vitale importanza che restassi qui! Pasi, quest’attaccamento non va bene… Non voglio che tu perda la tua vita, lo sai… non devi dipendere da me.»

«Lo so… e ti assicuro che riprenderò in mano la mia vita mentre non ci sarai, ma ora non ce la faccio a mettere distanza tra noi, sapendo che presto non ci sarai!»

«Ma si tratta solo di qualche mese! Non starò via un anno!»

«È irrilevante che sia una settimana, un mese o dieci anni! Voglio stare con te, ora.» Emile mi guardava con espressione tesa e un atteggiamento irrigidito che mostrava palesemente la sua preoccupazione…

«E quando tornerò? Manterrai la tua vita? Continuerai a rispettare i tuoi impegni?»

Mi avvicinai a lui e gli presi le mani: «Certo che lo farò, sarei davvero miserabile se vivessi solo in funzione della tua vita e sarei davvero arrabbiata con me stessa, se mi permettessi di scendere a quei livelli.»

Era vero, mi stavo concedendo quei capricci perché volevo stare con lui a tutti i costi, ma sapevo benissimo che una volta che Emile fosse andato via, avrei dovuto riprendere in mano la mia vita. Sarebbe stata una sconfitta terribile con me stessa se avessi ricominciato a perdermi dietro la vita del mio ragazzo, annullando completamente la mia e di sicuro nemmeno Emile avrebbe tollerato un comportamento simile… Per non parlare del fatto che non avrei più tollerato di separarmi in quel modo dai miei amici!

Osservando il mio volto deciso, Emile sembrò rassegnarsi e sospirò preoccupato: «Pasi, ti prego… promettimelo, promettimi che non ti perderai… Promettimi che resterai fedele ai tuoi progetti.»

«Te lo giuro Emile, sarò forte, resterò me stessa e sarai fiero di me!»

In tutta risposta si lasciò andare sul divano, poggiando la testa su una mano sconfortato.

«Hai la capacità di togliermi dieci anni di vita in preoccupazioni… Solo mia madre riusciva ad eguagliarti!»

«Emile, io non sono Claudine. Rilassati, non percorrerò la sua stessa strada.»

«Non lo stai dimostrando.»

«Oh, al diavolo! La stai facendo davvero lunga, smettila di preoccuparti una buona volta e sii felice di avermi accanto! O devo iniziare a pensare che io sia una presenza inopportuna e scomoda?»

Mi guardò con la sorpresa sul volto e rialzò la schiena irrigidendosi: «Non rigirare la frittata, Pasi! Lo sai benissimo che non è quello il punto: credi che non mi faccia piacere vederti? Non pensi che il fatto che dopo tanti mesi, io stia ancora insieme a te, significhi qualcosa? Qui non stiamo mettendo in discussione ciò che provo per te, ma il tuo attaccamento morboso.»

«Ah, io sarei morbosa ora, sarei morbosa!? Al diavolo Emile, non capisci un accidenti! Lasciarti agire come ti pare e piace è essere morbosi? Devi ancora vedere le ragazze morbose, mio caro!»

Ero davvero infuriata, quella frase non la meritavo affatto e non volevo passare per una specie di stalker, non dopo tutti quei mesi in cui avevo pazientemente atteso i suoi orari, proprio io che di pazienza ne avevo ben poca!

«Ho cercato in tutti i modi di venirti incontro senza pressarti, non si contano nemmeno le volte in cui ti sei negato ed io non ho mai fatto storie, perché sapevo quanto fosse importante la musica per te!» Mi avvicinai di un passo con i pugni chiusi dalla rabbia, mentre Emile similarmente a me stringeva con una mano il cuscino sul divano.  «Se cerco la tua compagnia prima di dovermi separare da te per mesi, non è perché sono morbosa, sto solo chiedendo di stare accanto al mio ragazzo più che posso, per sopportare meglio la distanza, sto solo cercando un po’ di attenzione, stupido egoista che non sei altro!»

«Ora sono anche egoista?! Mi sto preoccupando per te e sarei egoista?! Sto andando persino contro i miei stessi interessi, visto che hai preferito me alla compagnia di Stefano ed io sarei egoista?!»

«Sì, se io sono morbosa, tu sei egoista! Egoista e vigliacco!»

Si sa che quando si è infuriati, si dicono cose che non si vogliono dire ed io ne dissi una di troppo: appena sentì il termine “vigliacco”, Emile si alzò di colpo, mantenendo salda la presa sul cuscino e mi guardò con una furia negli occhi che mi fece paura per qualche istante, per cui ripresi a parlare immediatamente, prima che il discorso degenerasse.

«Sei vigliacco perché non riesci ad affrontare le tue paure, Emile! Perché hai talmente terrore di amare, che non ti rendi nemmeno conto di aver messo su una tragedia per un’inezia! Io non sono Claudine, non sto rinunciando ad una carriera, non sto perdendo me stessa e le mie aspirazioni, non è per una settimana persa che la mia vita andrà a rotoli… Non hai alcuna fiducia in me.»

Strinse maggiormente il cuscino nel pugno, per poi scagliarlo a terra dietro di sé e allontanarsi: avevo colpito nel segno, sapeva quanto me che avevo ragione e da stupido testardo ed orgoglioso qual era, aveva bisogno di rifletterci su come sempre, prima di accettare la verità che gli era stata mostrata senza veli. Sospirai sfinita da quella discussione e nell’attesa che quel testone ragionasse un po’, tornai nell’ingresso per stare con Claudine.

 

Alberto aveva finito il suo dipinto e per completare al meglio il suo tributo alla donna che amava, l’aveva appeso all’ingresso, sulla parete confinante con quella del salotto, quasi a voler indicare che quella era zona “consacrata” a Claudine, dato che la stanza da cui ero appena uscita, era più di tutte dedicata alla madre di Emile.

Il dipinto era stato incassato in una cornice di legno, elegante ma semplice proprio come lei e il legno scuro faceva risaltare i colori chiari e vitali del dipinto, come se Claudine potesse uscire da un momento all’altro da quella teca in cui era stata inserita.

Mi piaceva osservarla in quel ritratto: non avevo mai visto quella donna solare e sorridente e mi mancava più che mai. Mi sarebbe piaciuto tantissimo poterle parlare, poter sentire i suoi aneddoti di quando viveva in Francia, della sua carriera… ero sicura che avrei adorato il modo in cui mi avrebbe parlato di Alberto e di Emile.

Mi lasciai cadere a terra e incrociai le gambe, per poter essere più comoda mentre comunicavo con Claudine e continuai ad osservare quel volto sereno e felice.

«Perché il tuo amore gli ha insegnato solo ad aver paura di un sentimento simile? Perché non vede quanto ti ha fatto felice?»

Mi ritrovai a rivolgerle quelle parole senza nemmeno accorgermene: ero stata la prima a vedere solo gli aspetti negativi della scelta di Claudine, eppure in quel momento mi resi conto che lei era stata felice. Se Alberto l’aveva dipinta in quel modo, era perché aveva visto il sorriso negli occhi e nell’anima di sua moglie quando erano insieme, il loro amore le aveva dato gioia…

Ciò che era capitato successivamente era stata una tragica conseguenza di molti fattori, ma non poteva essere imputabile solo all’amore. Perché Emile non si rendeva conto che amare dona una felicità al di sopra di qualsiasi altra?

Perché non si lasciava andare a ciò che sentiva, senza dover per questo, aver sempre paura di perdersi? Aveva fatto grandi passi verso di me, verso di noi, aveva dimostrato più volte di amarmi, era stato persino costretto a scegliere tra me e la musica e non mi aveva nemmeno lontanamente messo a distanza…

Sapevo benissimo che mi amava: nonostante l’avessi accusato di non volermi accanto a sé, sapevo che ciò che sentiva per me era profondo e sincero, però a volte sapere non basta, a volte si ha un bisogno spasmodico di certezze e in quel periodo avevo bisogno di lui, avevo bisogno di sentirlo accanto, avevo bisogno che si lasciasse andare a ciò che provava per me.

Cosa c’era di male nel dimostrare di amare la persona che si ha accanto?

Perché questa lezione non l’aveva appresa da sua madre?

Emile era vissuto circondato dall’amore eppure aveva finito solo con il temerlo, era riuscito a vedere solo le conseguenze negative... Perché doveva farsi dominare così tanto dalle sue paure?

Una volta Rita mi disse, che il modo in cui reagiamo agli eventi della vita e ciò in cui crediamo, spesso sono il frutto dell’ambiente in cui siamo cresciuti e delle convinzioni che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Eppure sono convinta che ci sia altro, perché altrimenti io sarei dovuta diventare una persona fredda e ipocrita come i miei genitori, mentre Emile si sarebbe aperto totalmente ai sentimenti che provava, senza farsi remore di alcuna sorta. Di sicuro i genitori lasciano un’impronta in noi, che si rivelerà di basilare importanza durante l’arco della nostra vita, ma il modo in cui reagiamo agli eventi e le nostre convinzioni sono dettate anche dai caratteri personali: se la famiglia di Emile fosse stata la mia, sono sicura che sarei rimasta la stessa, con la sola differenza che mi sarei sentita molto più amata; ma di sicuro il mio carattere non sarebbe cambiato, perché da quando avevo conosciuto Alberto, tutto ciò che ero e ciò in cui credevo, si era solo rafforzato.

Persa in quelle riflessioni, mi ritrovai a sorridere al pensiero che io e il mio Pel di Carota fossimo stati scambiati nella culla! Il Destino ha uno strano modo di divertirsi a nostre spese: ci dona genitori che sono il nostro esatto opposto, con cui litigheremo per tutto l’arco della nostra vita, ci regala figli su cui gettiamo tutte le nostre aspettative di rivalsa verso una vita che non ci ha sorriso, solo per scoprire che la nostra progenie non ha alcuna intenzione di ricalcare le nostre orme, con conseguente delusione di entrambi… E a noi tocca districarci in mezzo a tutto questo caos di aspettative e delusioni!

 

Ero ancora persa nelle mie riflessioni, quando mi accorsi della presenza di Emile, che si stava accucciando a terra accanto a me. Restai in attesa, senza girarmi in sua direzione e dopo qualche secondo in cui raccolse i pensieri, prese a parlare con un tono di voce calmo e diretto.

«Tu non sai nemmeno quanto sei parte di me… non lo puoi sapere, ed io non ho nemmeno la capacità di fartelo comprendere… ma non pensare mai, nemmeno per un secondo che non ti voglia accanto.»

«Emile…»

«Aspetta, fammi finire.»

«Ok.»

«Detto questo, è chiaro che ci sono momenti nella vita di entrambi in cui non potremo essere presenti e questo discorso l’abbiamo già affrontato, ricordi?»

«Sì.»

«Bene…» tirò un sospiro prima di aggiungere altro. «Hai ragione, ho paura… Questo lo sai perché te l’ho detto sin dall’inizio e credo che ci vorrà ancora un po’, prima che questa paura svanisca del tutto… ed è vero che ti metto sempre in disparte…»

«Ma?» sapevo che c’era un ma da qualche parte, in attesa di spuntare e mi girai in sua direzione.

«Niente “ma”, hai ragione… ed io sto cercando di non farmi prendere dalle mie paure… Ma non è sempre facile»

«Il ma, c’era.» dissi secca e lo vidi sorridere.

«Scusami… non voglio farmi dominare dalla paura, ma ho bisogno di un appiglio per essere sicuro che  le cose tra noi andranno bene.»

«Andranno bene. Perché lo vogliamo, perché faremo in modo che sia così.»

«Ma…» E menomale che non c’erano ma!

Prima che potesse continuare a farsi avviluppare dai dubbi, lo presi per mano e continuai decisa, indicandogli il quadro:

«Emile, guarda tua madre in quel dipinto: vedi com’è felice? Vedi quanta gioia traspare nei suoi occhi?» si girò a guardare il ritratto di Claudine e mi fece un cenno di assenso. «Pensa a goderti quella felicità, pensa a provare quella stessa gioia… e abbi fiducia in me… abbi fiducia in noi.»

Mi resi conto che quelle parole erano dirette anche a me, perché io stessa ero stata preda della paura qualche giorno prima… Eravamo ancora al punto di partenza allora? Eravamo ancora fermi al nostro primo litigio da quando eravamo diventati una coppia?

No, il mio cuore sapeva che il nostro rapporto era cresciuto e si era rafforzato: quelle paure erano irrazionali, non tenevano conto dei progressi fatti e proprio per quel motivo, dovevo mettere un freno ai nostri dubbi, che ancora una volta, ci avevano allontanato.

Strinsi le mie mani su quelle di Emile, fissandolo negli occhi con sicurezza: tenne testa al mio sguardo e sfoderò un sorriso dolce e sincero, prima di darmi un bacio sulla fronte e prima che potesse dire altro, sentimmo la porta di casa aprirsi, per poi vedere comparire Alberto.

Il padre di Emile com’era suo solito, non si scompose davanti alla vista di noi due seduti a terra davanti al quadro.

«Riunione di famiglia? Perché non sono stato invitato?»

Sorridendo gli risposi: «Ti stavamo aspettando.» 

«In questo caso allora, non vi farò attendere ancora.» in poche falcate ci raggiunse, diede una scrollata ai ricci di Emile e si accomodò accanto a me, dandomi un affettuoso bacio sulla guancia.

«Allora, qual è l’oggetto in esame?»

«Alberto, com’era la risata di Claudine?»

«La risata? Intendi il sorriso?»

«No, no, intendo proprio la risata: che suono aveva? Le illuminava il viso? La rendeva diversa? Cose del genere, insomma.»

Il padre di Emile restò ad osservarmi per qualche istante raccogliendo i pensieri e poi tornò a voltarsi verso il quadro, riandando con la memoria ai tempi in cui Claudine rideva con lui.

«Era una risata cristallina e leggera… Tutto era leggero e soave in lei: persino quando inciampava, lo faceva con eleganza e leggiadria…»

Sentii un verso provenire da Emile e quando mi voltai verso di lui, lo vidi con il capo chino e un lieve sorriso sul volto: probabilmente conosceva a menadito queste descrizioni… o magari era riuscito a sentire anche lui quella risata e la stava ricordando insieme a suo padre.

«… anche gli occhi s’illuminavano e sembrava persino prendere colore! Claudine sorrideva spesso, ma il suo era un sorriso malinconico… Quando rideva di gusto invece, era davvero felice e osservarla mentre prendeva vita e si scrollava di dosso la sua malinconia mi rasserenava: era lo spettacolo più bello a cui abbia mai assistito.»

Gli occhi di Alberto si fecero lucidi e se non riuscii a comprendere pienamente la portata delle sue emozioni, capii con certezza le sue parole: pochi giorni prima, sentire ridere Emile mi aveva fatto provare le sue stesse sensazioni.

Appoggiai la testa sulla sua spalla, in cerca di un conforto da condividere.

«Mi sarebbe piaciuto sentirla ridere…»

«Puoi sempre immaginarla.» alzai la testa in direzione di Emile, che aveva appena parlato: anche lui osservava il quadro che ritraeva sua madre. «Osserva il suo viso sorridente e immaginala mentre parla, mentre ride, mentre scherza… con l’immaginazione puoi vederla in qualsiasi situazione.»

Era così che aveva fatto anche lui? Per quel motivo teneva con sé quella foto di loro tre felici? Per poter immaginare sua madre in tutte le situazioni in cui lui aveva desiderato vederla?

Gli sorrisi, nonostante non avesse staccato il viso dal quadro… «Hai ragione, lo farò di sicuro!» … e mi voltai anch’io verso Claudine sorridente:

«Era proprio bella.» 

A quell’esclamazione, fecero eco in coro, i due uomini che più di ogni altro avevano amato quella donna: 

«Era bellissima.»






















---------------------------------------

*Il piatto China è un piatto fondamentale per i suoi effetti (nelle batteria metal e hard rock non manca mai), utilizzato in una batteria o in un set di percussioni.
Questo strumento a percussione è cosi chiamato per la sua particolare forma somigliante al tipico copricapo a falde larghe dei contadini cinesi.
(Wikipedia
)

** Per chi non la ricorda ecco "La Vecchia Betsy"

***Morrigan (antico irlandese Mórrígan o Mórrígu, medio irlandese anche Mórríghan irlandese classico Móirríoghan), è una divinità della mitologia celtica.
Dea della guerra, della sessualità e della violenza, ama seminare l'odio e combattere in mezzo agli uomini assumendo a volte aspetti terrificanti. Molto più spesso compare in forma di corvo, essendo questo l'animale che si nutre dei cadaveri di coloro che sono morti in guerra. (Wikipedia)












______________________________________________________________________
NDA
Sì, ce l'ho fatta, HO AGGIORNATOOOO!!! *me esulta come se avesse vinto il terno al Lotto*
Non ho nemmeno parole per scusarmi con voi, per il ritardo MOSTRUOSO con cui sto pubblicando questo capitolo: bastava che attendessi un'altra settimana e sarebbero trascorsi DUE MESI dall'ultimo aggiornamento... Sono proprio imperdonabile!!!! *me si fustiga recitando l'Atto di Dolore*
Spero che siate comunque pietose e caritatevoli con questa povera autrice che si trova a vivere un periodo oscuro per quanto riguarda l'ispirazione, che purtroppo è più capricciosa e ballerina che mai. Soprattutto spero di non aver perso colpi con questo capitolo e che vi sia piaciuto come i precedenti, vista la mole di tempo che vi ho fatto attendere per leggerlo.
Come vi è sembrato Luca? In effetti non gli ho dato molto spazio e devo anche ammettere che il suo carattere è ancora in fase embrionale, però credo che le linee guida ci siano tutte, di sicuro non sarà un tipo ordinario...
Questo capitolo mi ha fatto sudare parecchio, perché se la prima parte mi è venuta in un getto d'ispirazione spontanea e mi ha reso soddisfatta, l'ultima parte mi ha lasciato un pò titubante, come da qualche mese a questa parte, per cui ora sono ancora più in ansia di sapere come è sembrato il tutto a voi che leggete; non sapete quanto i vostri commenti mi aiutino a darmi energia per andare avanti in questo periodo oscuro. ç_ç


Angolo dei Ringraziamenti

Cosa posso dire se non un GRAZIE immenso quanto l'universo, perché siete qui, mi seguite e mi sostenete, nonostante la dura attesa?
Vi ringrazio tutte, dalla prima all'ultima per il vostro sostegno continuo e incondizionato:
Fiorella Runco, la mia amata Beta, che ogni volta è pronta a sostenermi e a darmi della "genia" quando sento tutte le mie certezze crollare... Grazie tesoro mio, Pasi ed Emile ti dovranno sempre tantissimo <3
Vale & Niky, due del trio di Marte sempre pronte a recensire fulmineamente: adoro le vostre recensioni, adoro il modo in cui mi sostenete e adoro la follia della recensitrice folle dai molti nomi, che oltre a sostenermi, mi fa morire dal ridere ogni volta. Love Love immenso a voi, mie sorelle Marziane <3
Saretta, uno dei pilastri che mi sostengono sin da sempre, una delle mie sorelle sempre pronta a darmi fiducia ma, soprattutto, talmente innamorata di questa storia al punto da commuovermi. Non potrei chiedere una lettrice migliore di te mon trésor, grazie davvero tantissimo, per tutto quello che fai <3
Concy, la terza Echelon, nonché sorella granchiosa, che nonostante le ore contate e gl'impegni impossibili, riesce sempre a recensire i capitoli e a coinvolgersi nella lettura. È sempre un grande piacere ricevere la sua recensione, perché tra granchi ci si capicsce bene, vero sister? :D Grazie grazie grazie tantissimo :*
Cicci, ovvero mia moglie, che si sente stranamente più legata ad Emile che a Pasi (sarà l'effetto frontman, moglie?) e che come me, sta attraversando un periodo oscuro, sempre perché i granchi si comprendono in pieno e perché noi due andiamo in coppia come i Carabinieri, vero Cicci? :D Arigatou Ciccina mia <3
Ana-chan ed Ely, le mie sister in pausa, che mi sostengono a priori. Grazie tesore mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth, che nonostante millemila impegni, riesce sempre a ritagliarsi un pò di tempo per seguire questa storia e appassionarsi in un modo tale da farmi sentire sempre orgogliosa di ciò che scrivo. Grazie, grazie davvero!
ThePoisonofPrimula, anche lei sorella di Giappo-scleri, soprattutto di USUI-Giappo-scleri: insieme alla mia Beta siamo sempre in attesa che che il Pervertito di un Alieno ci faccia fare gli occhi a cuoricino con una delle sue azioni sconsiderate e imprevedibili. Oh Usui! <3 Finalmente ce l'ho fatta a pubblicare Primulina!!! Arigatou perché ci sei <3
Kira1983
, la mia adorata admin, nonché collega di editing, nonché socia di ricerche impossibili per Giappo-siti (ancora sto danzando felice per quelle Cels!!! *_*), nonché collega di scritture, che non manca mai di sostenermi con il suo affetto per questa storia. Grazie davvero di cuore <3
Inoltre un grandissimo GRAZIE va a Sheylen, mia omonima, con cui non solo condivido il nome, ma persino l'amore per il fantasy, per i manga e per il mondo magico dei Celti (a proposito, se vi piace il mondo delle Sacerdotesse dedite al culto della Dea Madre, così come le ha descritte Marion Zimmer Bradley, non perdete la sua storia "Figlia di una Strega", in cui il culto Celtico e quello Cattolico si scontrano proprio come ne "Le Nebbie di Avalon"). Con santa pazienza e grande trasporto, la mia omonima sta leggendo questa storia recensendo ogni capitolo, dedicandole quel poco di tempo libero che ha e non so nemmeno quanto ringraziarla per questo gesto così carino. Grazie, grazie, grazie davvero!!! <3

E grazie davvero a tutte voi, che silenziosamente seguite da mesi questa storia e a voi che l'avete inserita tra le preferite, le ricordate e le seguite:
demigirlfun, gigif_95, Heaven_Tonight, kiki0882, minelli69, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, incubus life, princy_94, Ami_chan, Camelia Jay, cara_meLLo, costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, IriSRock, iuliarose, Kira16, LAURA VSR, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, piccolina_1994, Queensol, sel4ever, smile_D, Strega Mangia Frutta, Veronica91, _anda Grazie grazie e sempre più grazie!!

ARIGATOU GOZAIMASUUUUUU!!!!



Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32







 

«Pronto?»

«Pasi sono Iulia.»

«Ciao! Come stai Iulia? Che bello sentirti!»

Erano trascorsi due giorni dall’inizio di quella settimana in cui i miei amici più cari, sarebbero stati lontani da me per le vacanze. Si trattava di poco tempo, eppure sentivo già tremendamente la loro mancanza: era difficile che non vedessi almeno uno di loro nell’arco della giornata e trascorrere quarantotto ore senza aver parlato almeno con Rita oppure con Stè, iniziava a mandarmi nel panico. Sapevo quanto fossero importanti per me, ma me ne resi conto maggiormente in quei giorni, in cui non erano disponibili… Persino Sofi mi mancava tantissimo! L’unico ancora nei paraggi era Fede, ma era immerso nel lavoro e nello studio e anche al centro ultimamente non si faceva vedere… La telefonata di Iulia fu quindi come una fonte d’acqua nel deserto, mi risollevò e mi diede l’opportunità di parlare con una persona amica.

«Sto bene grazie!»

«Ma questo non è il tuo numero, vero?»

«No questo è il numero di mia sorella, le sto scroccando una telefonata perché non ho un centesimo nella mia scheda.»

«Ah, capito.»

«Devono servire pure a qualcosa le sorelle, non credi?»

A quell’affermazione sorrisi malinconica: anche io in alcune occasioni, avevo tentato maldestramente di “prendere in prestito” il cellulare di Simona quando ero a corto di credito, ma mia sorella era sempre stata attenta a riporre il suo telefono lontano da occhi (e mani) indiscreti, col risultato che mai una volta ero riuscita ad usarlo e puntualmente reagivo pensando a quanto Simo fosse fastidiosa ed inutile…

«Pasi, ci sei ancora?»

«Sì, sì, eccomi.»

«È tutto ok? Ho detto qualcosa che non va?»

Iulia non sapeva di mia sorella e non aveva la minima idea di quanto la sua battuta mi avesse procurato una fitta al cuore, ma del resto come avrebbe potuto? Non era certo un argomento di cui parlavo facilmente e non volevo nemmeno intristire le persone con un discorso del genere, per cui anche in quell’occasione evitai di tirarlo in ballo e tergiversai.

«No, no, vai tranquilla è tutto ok, davvero.»

«Uhm… ok… ma se per caso avessi bisogno di parlare, conta su di me.»

«Ok, grazie.»

«…»

«Iulia…»

«Sì?»

«Per quale motivo mi hai chiamato?»

«Ah sì, che stupida! Stavolta ero io in sovrappensiero, sono proprio da ricovero!» la sentii ridere allegramente e sorrisi di quel suo modo d’essere così semplice e gioviale, che mi ricordava molto Testa di Paglia.

«Allora, in pratica ieri parlavo con Franz e mi ha detto che hai conosciuto anche tu Luca.»

«Sì, è vero.»

«Bene, dato che in pratica ora ci conosciamo tutti, che ne pensi se uscissimo insieme, una sera?»

«Tutti… cioè tutta la band, più me e te?»

«Esatto! Io, Franz e Fil conosciamo bene Luca e visto che per noi sarebbe una normale uscita tra amici, ho pensato d’includere anche te ed Emile.»

«E… Maurizio?»

«Sì, se vorrà unirsi a noi, anche lui sarà il benvenuto. Sai è un po’ musone e silenzioso quel ragazzo e a volte dimentico persino la sua esistenza!»

Iulia aveva ragione: Maurizio era sempre molto silenzioso, difficilmente esponeva i suoi pareri… questa constatazione, non fece che preoccuparmi maggiormente, alla luce dei discorsi fatti dai ragazzi nei suoi riguardi, qualche giorno prima. Ma tenni quella considerazione per me: Emile sembrava sicuro di sé e non volevo creare un caso dove non c’era… Anche se sentivo di volerne discutere con lui: mi ero ripromessa di non tacere più i miei dubbi e non l’avrei fatto nemmeno in questo caso, anzi soprattutto in quest’occasione, alla luce dei trascorsi tra me e Claudio.

«Mi sembra un’ottima idea! Ma perché lo stai dicendo a me e non ad Emile?»

«Perché ho bisogno di te per mettere in pratica la mia idea…»

«Ok, spara!»

 

 

*****

 

Sentire Iulia, mi aveva risollevato un po’ da quella sensazione di vuoto che provavo per l’assenza dei miei amici, ma il mio gruppo non era così facilmente sostituibile, non è facile rinunciare alla presenza di persone che ti conoscono da anni e che sanno ogni piccolo particolare di te.

Per cui, quando riuscii a ritagliarmi il tempo libero per andare al centro, fui così felice di vedere che Fede fosse presente,  che appena entrai nel suo studio, l’abbracciai di slancio.

«Ehi, non credevo di mancarti così tanto!» scherzò il mio amico, sorpreso dal mio gesto.

«Mi sento persa, Fede! Mi mancano gli altri e anche tu domani andrai via…» Dato che doveva lavorare, avrebbe raggiunto il resto del gruppo solo nel week-end, per trascorrere quegli ultimi due giorni di vacanza insieme agli altri.

«Pasi ma sono solo pochi giorni!»

«Lo so, ma senza di voi mi manca la terra su cui camminare.» mi accoccolai sulla sedia, portando le ginocchia al petto, per cercare un po’ di conforto. Fede dovette comprendere il mio senso di solitudine e sorrise benevolo:

«Prendiamo un gelato e parliamo un po’?»

 

Come al solito, il modo di fare del mio amico, riuscì a calmarmi: gelato alla mano e una buona dose di chiacchiere, fecero sì che la mia ansia da lontananza svanisse del tutto, sostituita dal solito calore familiare che provavo in compagnia dei miei amici. Tornai a sentirmi talmente a mio agio, che osai fare a Fede alcune domande personali che giravano nella mia testa da un po’ di giorni:

«Da quanto tempo non torni in quella casa in montagna?»

Ai tempi in cui lui e Rita erano una coppia di adolescenti, spesso era stato ospite della famiglia della sua ragazza. I genitori di Rita, non potendole dare una sorella o un fratello, non le avevano mai negato la compagnia di un amico/a e persino del suo ragazzo (dettaglio che invece lasciava sempre inorriditi i miei conservatori e arretrati genitori).

Fede sembrò riflettere su quella domanda per un po’, prima di rispondere:

«Credo che siano trascorsi almeno quattro anni.» Aveva un’aria concentrata nel ricordare, chissà che effetto gli avrebbe fatto, tornare in quel luogo pieno di momenti vissuti insieme.

«Io sarei emozionatissima al tuo posto, al pensiero di rivedere un luogo carico di ricordi… e poi mi chiederei di continuo se qualcosa sia cambiato, se la casa abbia subito ristrutturazioni o un nuovo arredamento, se le strade siano ancora uguali… E di sicuro tu e Rita avrete dei luoghi tutti vostri, in cui avrete vissuto momenti speciali… Magari anche un albero su cui avrete inciso le vostre iniziali!»

Iniziai ad immaginare scene da films romantici in cui i miei amici appena adolescenti, scoprivano il potere di quel sentimento nuovo che stavano provando per la prima volta e che li avrebbe uniti per sempre… Dovevo avere gli occhi sognanti, perché Fede mi guardò con aria divertita:

«Dovresti fare la scrittrice di romanzi rosa, sai? La  mia vita non mi è mai apparsa tanto romantica finché non l’hai descritta tu!» Fece un sorriso prima di rispondere alla mia domanda, mantenendo un’espressione serena.

«Di sicuro mi farà uno strano effetto: il ragazzino che ero quando ho messo piede in quel luogo per la prima volta, è diverso da ciò che sono ora, stesso il mio rapporto con Rita è diverso e anche la compagnia sarà diversa. Tuttavia quel luogo, almeno per ora, mi parla del passato, racconta un pezzo di vita che ho vissuto con lei… Forse rivederlo, mi farà proprio lo stesso effetto dell’essere tornato insieme a Margherita:  quello di giungere in un luogo che conosci, ma che ha subito cambiamenti capaci di sorprenderti.»

Le parole di Fede, iniziarono a solleticare la mia curiosità e a smuovere maggiormente il mio animo romantico. La sua storia con Rita la conoscevo per ciò che mi aveva raccontato la mia amica e sapevo il modo in cui lei l’aveva vissuta; Federico invece, essendo una persona riservata, non ne aveva mai fatto parola e non era nemmeno un tipo abituato a manifestare i suoi sentimenti. Quelle parole quindi, furono le prime che sentii riguardo a ciò che provava per la mia amica e mi venne spontaneo fargli altre domande in proposito:

«Cosa ti ha spinto a tornare insieme a Rita?» Fede non sembrò seccato dalle mie domande, anzi avrei potuto dire dalle espressioni del suo viso, che fosse sereno e lieto di parlare di quell’argomento.

«Quando mi sono reso conto di provare ancora qualcosa per lei, ho iniziato a dirmi che stavo solo rivivendo il passato e che forse, avevamo esagerato nel cercare di essere amici, dopo ciò che c’era stato tra di noi. Ma poi ho iniziato ad ammirare i nuovi aspetti di Rita: quella sua calma sicurezza, la capacità di organizzare la sua vita senza risentirne in stress e la voglia di dimostrare a se stessa di avere la capacità di crearsi una propria indipendenza. Quando eravamo adolescenti, tendeva a fare i tipici capricci da figlia unica: non era indisponente, né con me, né tantomeno con i genitori, ma non riusciva ad accettare un “no” facilmente e cercava di ottenere quello che voleva attraverso qualche moina…

All’inizio trovavo questi gesti carini, ma a lungo andare iniziarono ad infastidirmi, soprattutto perché nacque dentro di me, una forte rabbia nei suoi confronti. Essendo di famiglia benestante, Rita aveva il mondo ai suoi piedi, mentre io dovevo sudare e contrattare con i miei genitori anche solo per un paio di scarpe e quelle sue lamentele, a causa del rifiuto della madre di comprarle l’ennesimo abito firmato o la trousse più costosa in voga al momento, mi sembravano così infantili, così inutili e poco riguardosi, nei rispetti di chi non aveva la possibilità nemmeno di avere un abito di medio prezzo.»

Federico fece una pausa, ma restò concentrato nel passato: aveva lo sguardo focalizzato su un punto lontano nella stanza, totalmente assorto dai ricordi che stava riportando a galla.

«Poco prima che ci lasciassimo, litigammo furiosamente e quella volta le gridai in faccia tutta la mia rabbia. Le dissi di crescere, di non lamentarsi più per un abito che la madre non le comprava, che al mondo c’era gente che moriva di fame e che con i soldi di quell’abito avrebbe sfamato la propria famiglia per mesi… Le dissi anche che non volevo accanto qualcuno incapace di cavarsela da solo…»

«Quindi tu credi che Rita abbia deciso di vivere per conto proprio, per dimostrarti qualcosa?»

«Non lo so, Pasi… l’ultimo anno delle superiori, lo trascorremmo ignorandoci e persi ogni contatto con lei. Quando ci siamo ritrovati era al secondo anno di università e viveva già da sola… Non so se la sua scelta sia dipesa dalle mie parole o sia stata una sua precisa volontà. Sta di fatto che vederla così cambiata e maturata, contando il fatto che fossi cambiato anch’io, ha riacceso il mio interesse nei suoi confronti e alla fine, non abbiamo potuto evitare di affrontare il fatto che ci amassimo ancora.»

«E avete fatto bene! Il vero amore non conosce ostacoli, voi due siete legati dal Filo Rosso del Destino, non potreste mai separavi!»

Ero talmente entusiasmata da quel racconto, che mi allungai verso Fede, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Il mio amico a sua volta sorrise tranquillo:

«Credo che tu abbia ragione. Nonostante abbia provato ad allontanare Rita dalla mia vita, è tornata ad invaderla più prepotentemente di prima. Anche volendo, non credo che potrei mai staccarmi del tutto da lei.»

«Sono così felice quando sento queste cose! Fede devi assolutamente divertirti durante questi due giorni di vacanza: goditi il ritorno in quella casa, mantieniti appiccicato a Rita e fai l’amore con lei ovunque! Riempite quella casa di nuovi ricordi!»

Fede si fece una bella risata davanti al mio entusiasmo:

«D’accordo Cupido, premettendo che non saremo soli, cercherò di godermi questi due giorni al meglio.»

«Esatto! Dimostrate a Sofi che si sbaglia, che il Filo del Destino esiste e che voi due starete sempre insieme.» Appena terminai quella frase però, feci un sospiro, perdendo d’improvviso il mio entusiasmo:

«Come vorrei essere lì con voi… e come vorrei poter fare una mini vacanza anch’io, insieme ad Emile!»

Fede si avvicinò a me e mi diede un buffetto sul ginocchio:

«Arriverà il momento propizio anche per voi, sono sicuro che l’anno prossimo saremo tutti insieme in vacanza, Emile compreso!»

«Sì! Lo trascinerò per i ricci se oserà opporsi!»

«Dovrai prima arrivare a prenderli, quei ricci!» disse il mio amico, sorridendo.

«Lo trascinerò nel sonno, oppure prenderò uno scaletto, mi arrampicherò sulla sua schiena e mi ci incollerò, finché non saremo arrivati a destinazione!»

Fede si fece una grande risata, pensando a me che mi avvinghiavo ad Emile come una cozza allo scoglio e mi disse che sicuramente sarei stata capace di farlo davvero.

Contagiata dalla sua ilarità, iniziai a ridere anch’io, riempiendo di dettagli la mia scalata al Pel di Carota e per svariati minuti, il suono delle nostre risa, riempì la stanza in cui ci trovavamo.

È proprio vero che un momento condiviso in compagnia delle persone più care, è capace di scaldarti l’anima: quel pomeriggio trascorso insieme a Fede, riuscì a togliermi di dosso tutto il vuoto e la malinconia dei giorni precedenti.

 

*****

 

«Si può sapere dove stiamo andando?»

«Sorpresa, lo scoprirai tra poco.»

Alla fine della nostra chiacchierata telefonica, io e Iulia avevamo organizzato nei minimi dettagli quell’uscita di gruppo: la ragazza di Francesco aveva avuto davvero una bella idea, era da tempo che desideravo vedere Emile rapportarsi con i ragazzi della band anche al di fuori del contesto professionale. Da quando Alberto mi disse, la prima volta che lo vidi, che il mio Pel di Carota non faceva altro che intessere rapporti prettamente professionali con gli altri, mi ero sempre sentita in pena per lui.

Io riuscivo a stare in piedi esclusivamente grazie alla presenza dei miei amici e non riuscivo lontanamente a comprendere come Emile avesse potuto vivere per ventidue anni, senza avere lo straccio di un amico accanto. Speravo con tutto il cuore che Fede riuscisse a varcare le mura dietro cui si chiudeva, ma non c’era stata più occasione di vedersi, per loro… Senza contare che all’interno di una band dovrebbe esserci rispetto reciproco e la stessa visione delle cose e fino a quel momento, da quello che ero riuscita a vedere, tra i membri dei GAUS forse c’era del rispetto, ma non era ancora palpabile la coesione tra loro.

Dopo ciò che era accaduto con Claudio, Emile era diventato più morbido e accondiscendente verso il resto del gruppo, ma le sue brutte abitudini erano dure a morire, proprio come la continua paura sul nostro rapporto: restava ancora un piccolo despota, la cui parola doveva essere l’ultima su tutte le decisioni riguardanti il futuro dei GAUS. In un clima simile, se non ci fosse stato anche dell’affetto vero e sincero, quanto a lungo, i ragazzi avrebbero sopportato quel dispotico modo di fare?

Emile doveva cementare l’unione con i GAUS, doveva diventare amico dei suoi musicisti.

E la proposta di Iulia cadde come il cacio sui maccheroni, mi sembrò l’occasione perfetta, per iniziare a far socializzare davvero il mio Pel di Carota con il resto della band.

Ma per far sì che questo accadesse, sia io che la mia interlocutrice, fummo d’accordo nel non far sapere ad Emile di quella serata fino all’ultimo momento, onde evitare che inventasse scuse per defilarsela.

Per questo motivo, avevo convenuto con Iulia che avrei condotto personalmente quel Testone al punto in cui ci saremmo riuniti, per poi arrivare tutti insieme alla meta della nostra serata.

Ero riuscita a strappargli l’uscita e a darmi anche le chiavi dell’auto: ben sapendo che non avrebbe avuto impegni con la band per quella sera, due giorni prima gli avevo manifestato il mio desiderio di uscire insieme. Emile non era una persona socievole e se c’era una cosa che poco amava, era ritrovarsi in mezzo ad una folla, per cui erano state rare le volte in cui, libero dagli impegni con la band, aveva deciso di mettere il naso fuori casa. Anche se tutte le volte che gli manifestavo il mio desiderio di vita mondana, non si tirava indietro.

E quella volta non fu da meno. Con un’unica eccezione però: gli avevo detto che in quel caso, avrei deciso io dove andare e che sarebbe spettato a me condurre l’auto. Ovviamente, quel Venerdì risultò libero dagli impegni e di conseguenza, gli toccò sopportare di essere scorazzato dalla sottoscritta, senza nemmeno sapere dove fossimo diretti.

«Non posso avere nemmeno un indizio miserabile?»

«No, sono categorica, dovrai avere pazienza.»

«Lo sai che sei una strega sadica, vero?»

«E tu lo sai che sei un curiosone? E poi dici a me che non mi faccio mai gli affari miei!»

«Sono due cose diverse, Pasi! Qui non c’entra la vita altrui, è la mia curiosità che sta impazzendo!»

Sorrisi divertita: «Di’ la verità, sapere che qualcosa sfugge al tuo controllo ti dà fastidio, vero? Ti ricordi quando mi hai prelevato da casa di Rita senza dirmi dove andavamo? Ecco, ora sai come mi sentivo.»

«Ti stai vendicando allora, strega malefica!»

Il tono di Emile era fintamente risentito e sentivo una nota di divertimento nella sua voce, così azzardai un’occhiata veloce verso di lui, prima di tornare sulla strada. Aveva un sorriso soddisfatto e nonostante stesse calando il buio, vidi una luce nei suoi occhi che mi fece sorridere appagata: stava morendo di curiosità, ma si stava divertendo da matti!

 

Arrivammo al punto d’incontro e vidi il furgone di Luca già parcheggiato e i ragazzi tutti in attesa all’esterno: con loro c’era anche Maurizio e ne fui davvero felice.

«E loro cosa ci fanno qui?»

Emile rimase del tutto sorpreso, non si aspettava affatto che avremmo avuto compagnia quella sera.

«Sei deluso?»

«No… sono… sorpreso, spiazzato… non capisco!»

«Bene, non è necessario che tu capisca.» gli diedi un bacio veloce ed uscii dall’auto per salutare Iulia, che mi stava venendo incontro:

«Pasiiii! Ce l’hai fatta allora! Come sono contenta!» Mi abbracciò saltellando mentre il resto del gruppo ci raggiungeva.

«Ehi Duce, alla fine ce l’ha fatta a convincerti, Pasi è davvero la donna dei miracoli!»

«A dir la verità, non sapevo un accidenti! E continuo a non sapere… »

Staccandomi dall’abbraccio di Iulia, lo vidi lanciarmi un’occhiata velenosa ed io di rimando, lo guardai con un sorriso soddisfatto.

«Quindi non sai nemmeno dove siamo diretti?» continuò Filippo, con tono sorpreso.

«No… anzi se qualcuno di voi me lo dicesse, gliene sarei grato!»

Osservai i ragazzi guardarsi complici e successivamente, Luca si rivolse a me con un sorrisetto stampato sul viso: «Allora Pasi, seguici e non perderci di vista.»

Lui e Maurizio si allontanarono in direzione del furgone, mentre i gemelli diedero una pacca alla spalla di Emile, prima  di seguirli sghignazzando.

«Che bastardi!» Emile sorrise lievemente e s’incamminò con me verso la portiera dell’auto.

«Preferisci che guidi io?»

«No, no, guido io: ricordi le condizioni? Tu sta’ buono al tuo posto!» gli feci un gran sorriso e tornammo in auto.

Ci volle un’oretta per raggiungere la meta e durante tutto il tragitto, Emile cercò di distrarsi ascoltando musica, ma qualche volta lo scorgevo con la coda dell’occhio, intento ad osservare la strada, cercando silenziosamente di capire dove fossimo diretti.

Quando raggiungemmo la litoranea, lo vidi rasserenarsi, dandomi l’impressione di aver raggiunto qualche conclusione, ma restò in silenzio, come se volesse accertarsi di ciò che aveva dedotto.

«Ti sei arreso, allora?» Fremevo per sapere cosa stesse pensando.

«No… sto valutando.»

«E non vuoi valutare ad alta voce con me?»

«No… mi hai detto che non devo  chiedere, per cui resterò in silenzio.»

«Ma fare ipotesi non è chiedere…»

«Streghetta… sei per caso curiosa di sapere?» mi guardò con un’espressione maligna e soddisfatta: era riuscito a ribaltare la situazione con un semplice silenzio, ora ero io quella che fremeva per sapere cosa gli passasse per la testa!

«Oh al diavolo! Come ci riesci? Perché deve finire sempre così?»

«Così come, scusa?» Mi guardò con finta aria sorpresa: si stava divertendo un mondo, l’infame!

«In questo modo: con me che scalpito in preda alla curiosità! Non è giusto, sei tu all’oscuro, non io!»

«Forse non lo sono più… o forse semplicemente, so attendere meglio di te.»

Lo guardai con astio:

«Ti odio.»

E in tutta risposta, si fece una risatina e si avvicinò al mio orecchio:

«Io no.»

Il malefico sapeva quanto riuscisse a deconcentrarmi quel suo modo di fare e dovetti fare appello a tutto l’autocontrollo di cui ero a disposizione per non sbandare… La serata stava andando improvvisamente tutta a mio svantaggio!

Aggrottai la fronte e mi chiusi in un silenzio risentito, per tutto il resto del tragitto: con la coda dell’occhio, vedevo Emile osservarmi di tanto in tanto per poi sghignazzare, contento di aver ribaltato la situazione. Di sicuro stava morendo di curiosità, ma non trapelava nulla dal suo volto, né dai suoi gesti: aveva un autocontrollo invidiabile! Solo quando fummo prossimi al punto d’arrivo ed iniziai a rallentare, tornò a parlarmi.

«Hai preso una sciarpa?»

«In pieno Agosto?»

«Sì, devo coprire la gola, se non voglio che l’umidità del mare mi tolga la voce.»

Avendo accostato l’auto lungo la litoranea, fu facile dedurre per lui dove fossimo diretti, ma non sapeva ancora tutti i particolari. O almeno lo speravo…

«Vedrai che non ne avrai bisogno, la tua gola sarà al calduccio.»

Nel frattempo, i ragazzi scesero dal furgone: iniziarono a prendere le cataste di legna e tutto l’occorrente per la nostra serata e fu allora che Emile comprese completamente.

«Un falò?!»

 

*****

 

Adoravo il mare.

In tutte le sue forme.

Lo adoravo quando era calmo e placido e mi sentivo viva quando era in tempesta. Lo amavo d’estate, caldo e accogliente e l’amavo d’inverno, freddo, lontano e malinconico.

E ovviamente, l’adoravo tantissimo di notte.

Amavo il modo in cui la luna si rifletteva frazionata dalle acque, amavo il rumore delle onde nel silenzio della notte e dell’oscurità e amavo trascorrere le ore notturne estive, davanti ad un fuoco sulla spiaggia con il mare a farci da cornice.

Non stavo nella pelle perciò, all’idea di trascorrere una bella serata estiva davanti ad un fuoco, sulla spiaggia, insieme al ragazzo che amavo.

 

Una volta compresa la meta della serata, Emile si dette da fare per dare una mano ad allestire il fuoco e in breve tempo ci ritrovammo tutti sui nostri teli, pronti a condividere un pasto, una bevuta ed una serata tranquilla, tipicamente estiva.

Questo tipo di serate, ero solita viverle in compagnia dei miei amici e non averli con me quella volta, mi mise addosso una strana malinconia: mi sentivo proiettata in un altro mondo, fuori contesto e avvertii la sensazione di non essere del tutto completa.

Ma da un altro punto di vista, ero felicissima.

Ero felice perché finalmente io ed Emile avevamo avuto una serata speciale, dedicata al solo divertimento. Ed ero felicissima che il mio Pel di Carota fosse finalmente uscito con la sua band per puro piacere, senza alcuna motivazione professionale.

Probabilmente era la prima volta che si concedeva un’uscita simile ed ero felice che fosse con i suoi musicisti: dovevano cementare la loro unione, dovevano essere amici prima di essere colleghi, se volevano andare avanti!

 

Disposti com’eravamo, fu facile riuscire a parlare tra noi: dopo aver mangiato i panini super imbottiti che aveva preparato Iulia e aver bevuto le birre portate da Luca, la serata proseguì serena, pervasa da un’atmosfera rilassata e intima che solo la notte, il fuoco e un po’ d’alcool riescono a dare. Emile ovviamente non fu un chiacchierone, ma partecipò ai discorsi senza problemi e persino Maurizio interagì, con mia somma gioia. Forse se avessero trascorso più serate simili, quei ragazzi sarebbero riusciti a cementare i loro rapporti anche con il chitarrista e magari tutti i dubbi sulla sua lealtà al gruppo, si  sarebbero volatilizzati.

Nonostante la sensazione d’incompletezza iniziale, quella serata si rivelò molto piacevole anche per me e spinta dall’atmosfera tranquilla, provai a sperare che si avverasse anche un piccolo desiderio personale:

«Andiamo a fare il bagno, più tardi?»

«Non è possibile: non voglio rischiare.»

«Ma cosa? Temi uno squalo assassino?»

«No streghetta, temo l’umidità. Se mi espongo troppo, potrebbe risentirne la voce. E poi non ho nemmeno il costume…»

«Ma non devi mica cantare domani e il costume l’ho portato io.»

«Lo so, ma non posso nemmeno sapere quanto mi durerebbe un eventuale abbassamento di voce, per cui non voglio rischiare.»

«Uff!»

Sconsolata, mi lasciai andare su di lui: sapevo che non avrebbe acconsentito. 

Nonostante le mie rassicurazioni, prima di accendere il fuoco Emile continuò a preoccuparsi per la sua voce e cercò un modo per proteggersi la gola, finché si ricordò di aver lasciato in auto la sua kefiah di salvataggio e andò subito a prenderla per coprirsi. Sapevo quindi che non avrebbe accettato di rischiare fino a quel punto, ma avrei voluto fare un romantico bagno notturno con lui e quindi tentai ugualmente la sorte, ben sapendo di avere poche speranze. 

L’idea che avesse bocciato la mia proposta m’innervosì al momento, ma poi riflettendoci su, mi dissi che tutto sommato, anche senza fare il bagno si stava divinamente bene: eravamo seduti su un telo che ci proteggeva dalla sabbia umida, Emile era appoggiato ad uno spuntone roccioso ed io ero accoccolata tra le sue braccia, dandogli la schiena. Quell’abbraccio mi circondava e mi dava calore facendomi sentire amata, protetta e in comunione totale con lui, mentre la luce e le fiamme del falò davano a quella notte stellata, un’atmosfera serena e accogliente.

Dopo la mia richiesta, come se fosse stato lui a ricevere un rifiuto, Emile improvvisamente si ritirò nei suoi pensieri: gli capitava spesso di chiudersi in quel modo e sapevo che era parte di quel suo carattere introverso per cui, pur non comprendendo questa propensione al mutismo, normalmente non lo importunavo, interrompendo quei momenti di comunione con se stesso.

Ma quella sera non volevo che si estraniasse, non quando si trovava finalmente in compagnia.

«A cosa stai pensando?»

«Guardavo le stelle: è così immenso il cielo, così vasto, che ogni volta che l’osservo non posso evitare di pensare a quanto siamo piccoli, a quanto poco lasciamo di noi, rispetto a questa vastità immensa…» poggiò il mento sulla mia testa «… eppure, nonostante questo pensiero sia così poco rassicurante, osservare il cielo stellato mi mette calma, mi rasserena. Come se stessi  dialogando con l’universo intero… strano, eh?»

Gli feci un cenno affermativo con la testa e alzai gli occhi verso quell’immensità scura che ci sovrastava, costellata di punti luce che sin dalla notte dei tempi, erano stati un punto di riferimento per gli esseri umani. Forse Emile non aveva tutti i torti, forse nel nostro continuo guardare al cielo, c’era il richiamo inconscio alla voce del Creato, all’essenza di tutto ciò che era l’Universo… era vero che guardando il cielo ci si sentiva più sereni…

Quante cose di noi stessi in quanto creature viventi, ancora non sapevamo… Quando mi soffermavo a riflettere su certi argomenti, mi rendevo conto che la nostra società, così “evoluta” e in avanguardia in molti campi, stava perdendo di vista proprio l’essenziale: il suo contatto con il creato, la ragione per cui noi esseri umani, come tutti gli esseri viventi, eravamo lì su quel pianeta in quell’universo.

Erano quesiti così immensi, eppure così universali…

Questo era il lato positivo del mutismo di Emile: osservando e riflettendo, a volte si poneva delle domande che mi  portavano a considerazioni che non avrei mai avuto altrimenti o che semplicemente, lasciavo che rimanessero in un angolo del mio cervello a riposare.

Quelle considerazioni  esistenziali però, ebbero fine presto, poiché all’improvviso, il  vociare di Francesco interruppe il corso dei miei pensieri:

«Allora Duce, smettila di fare lo scansafatiche e intonaci una canzone.» aveva una chitarra in mano, ma sembrava propenso a porgerla ad Emile.

«Mi fate lavorare anche stanotte?  Se io canto, tu suoni bello mio!»

«Fil perché non canti tu?»

La domanda di Iulia mi aveva colto totalmente di sorpresa: non avrei mai immaginato che il bassista dei GAUS fosse un cantante!

«Filippo, tu canti?»

«Beh, oddio no… cantavo nel coro della chiesa…»

«Appunto Fil! E se non ricordo male, hai anche una bella voce, forza canta!»

«Ma no, sono fuori esercizio… voglio risparmiare le vostre orecchie!»  Filippo rise divertito, ma notai il lieve imbarazzo sul suo viso nell’essere all’improvviso, al centro dell’attenzione. A quel punto intervenne Emile:

 «Allora facciamo così: Francesco suona, io canto e Filippo mi accompagna come seconda voce.»

«Perché non fate qualche duetto, Duce? Magari guardandovi negli occhi con amore… sareste una bella coppia.»

«E se invece cantassimo tutti insieme? I più bravi copriranno le stecche dei peggiori e ci divertiremo tutti, che ve ne pare?» disse Filippo, togliendosi dagli impicci ed io accolsi l’idea con gioia:

«Sono d’accordissimo! Cantiamo tutti insieme!»

«Sì ma io non suono.»  continuò imperterrito Francesco, sfidando Emile che, dal canto suo, prese la chitarra sorridendo malefico, la qual cosa mi costrinse a spostarmi per dargli modo di poggiarla in grembo.

Probabilmente, Francesco prese quel puntiglio perché voleva godersi la vicinanza della sua ragazza, dato che appena si liberò della chitarra, Iulia si appoggiò a lui come avevo fatto io poco prima con il mio Pel di Carota. Non saprei dire se quella presa di posizione indispettì Emile o gli diede fastidio il fatto che fossimo stati costretti a separarci, sta di fatto che in risposta al puntiglio di Francesco, iniziò ad intonare delle note che fecero morire dal ridere sia Luca che Filippo.

 

Lay beside me

Tell me what they've done

Speak the words I wanna hear

To make my demons run

The door is locked now



Conoscevo quella canzone, era “Unforgiven II” e tutto sembrava, tranne divertente… Non riuscivo a comprendere per quale motivo avessero reagito in quel modo…

Io li guardai sorpresa e quando vidi anche Iulia sorridere mentre Francesco guardava Emile sconvolto, mi venne spontaneo chiedere il motivo di quelle reazioni:

«Ma cosa succede?»

Fu Filippo ad illuminarmi: «Devi sapere che Francesco odia con tutto il cuore i Metallica, per cui ogni volta che partono le note di un loro brano, fa quella faccia e si rifiuta di ascoltare.»

A quel punto, compresi in pieno lo sguardo perfido di Emile: si era vendicato del capriccio di Francesco ed ora suonava con una luce divertita negli occhi, mentre il suo chitarrista diventava blu.

 

Lay beside me

Under wicked sky

The black of day

Dark of night

We share this paralyze

The door cracks open

 

«Ok, ok, ho capito! Dammi quell’arnese!» allungò la mano per prendere la chitarra, ma Emile, sadico, si scansò continuando imperterrito a suonare:

 

But there's no sun shining through

Black heart scarring darker still

But there's no sun shining through

No, there's no sun shining through

No, there's no sun shining



Incapace di tollerare una nota di più, Francesco si alzò stizzito:

«Quando avrete finito con questo strazio, chiamatemi!»

A quel punto Emile iniziò ad alzare la voce:

 

What I've felt

What I've known

Turn the pages

Turn the stone

Behind the door

Should I open it for you?

Yeah

What I've felt

What I've known

Sick and tired

I stand alone

 

Tutti se la ridevano, persino Iulia ridacchiava, richiamando senza successo il suo ragazzo e ben presto mi unii a loro ridendo di gusto, per poi seguire il nostro cantante, in un coretto allegro e scanzonato.

Quando il mio Pel di Carota terminò di suonare quel pezzo e intonò un’altra canzone, Iulia si alzò per riportare all’ovile Francesco, Luca si accese una sigaretta e iniziò a battere le mani sulle gambe a tempo di musica, mentre Maurizio restò chiuso nel suo solito mutismo e Filippo canticchiò sommessamente. Io mi godetti la voce di Emile che in quel frangente, accompagnata solo dalla chitarra, risultava più calda e mi faceva vibrare le corde dell’anima con quel tono così graffiante che avevo sempre amato.

Quando Francesco tornò tra di noi, sembrò avere ancora un’espressione risentita e si accomodò accanto al fratello: si guardarono per la frazione di un secondo, sorrisero di un divertimento tutto personale e in seguito il primo accompagnò Filippo, alzando la voce, in modo che lo facesse anche suo fratello. Non so se Francesco fece quel gesto per dare sicurezza al gemello, che sembrava vergognarsi del suo timbro vocale, o solo per partecipare attivamente al coretto, ma quell’occhiata che si scambiarono mi trasmise calore e fui felice di aver visto un accenno del loro legame, quella sera.

Ero sensibile ai legami familiari, non avendo un buon rapporto con i miei genitori e ancor più rispetto al rapporto tra due fratelli/sorelle. Mi piaceva trovare negli altri ciò che io non avevo avuto: anche se mi rendeva malinconica, era bello vedere come due fratelli potessero essere davvero uniti.

Iulia si accomodò accanto a Francesco, ma mentre i due gemelli canticchiavano, la vidi rivolgersi a Luca che, finita la sua sigaretta, era rimasto a battere il tempo sulle sue gambe. Anche loro due sembravano avere una buona familiarità, ma non mi stupii dato che erano amici da tempo. L’unico che interagiva poco tra noi era Maurizio, così quando alla fine della seconda canzone, Francesco disse che avrebbe scelto lui la successiva, scatenando un dibattito, ne approfittai per avvicinarmi al silenzioso chitarrista:

«Non ti stai divertendo?»

Mi accomodai accanto a lui e sembrò quasi intimidito dalla mia vicinanza, allontanandosi da me, seppur impercettibilmente: mi rivolse uno sguardo quasi spaventato, ma ciò che mi meravigliò fu che per la prima volta riuscii a vedere l’espressione dei suoi occhi.

Maurizio tendeva a coprirsi il viso con acconciature tipicamente Emo: una frangia scomposta era perennemente chinata sulla sua fronte e spesso gli copriva gli occhi. A volte era stirata su un lato del viso, altre volte invece era più gonfia e calata su tutta la larghezza della fronte. Quella sera, grazie alla luce diretta del falò, riuscii a vedere oltre le ombre di quei capelli, che sembrava portare come una maschera che celasse il suo animo al resto del mondo. Dopo l’iniziale stupore, tornò a guardare davanti a sé, prima di rispondermi:

«Sì, è una bella serata.»

«E perché non canti anche tu? È più bella l’atmosfera se cantiamo tutti insieme.»

«Non sono bravo a cantare…» parlava quasi per monosillabi: mi ricordò terribilmente Emile quando lo conobbi. Il mio Pel di Carota aveva le sue ragioni per essere diffidente verso gli altri, ma Maurizio perché lo faceva? Possibile che anche nel suo caso si celasse qualche trauma personale, dietro la sua chiusura?

«Nemmeno io sono brava, ma tanto quando si canta insieme non si sente!» gli sorrisi conciliante… e lo vidi accennare un sorriso:

«Si sente, si sente… la nota stonata si sente sempre.» il suo tono sembrò amaro… che si riferisse a se stesso con l’aggettivo “nota stonata”?

«Un bravo musicista sa coprire la nota stonata… e poi anche lei ha il diritto di esistere!» incrociai le braccia al petto e lo guardai, calcando l’assoluta convinzione della mia teoria. Maurizio tornò a guardarmi con una luce perplessa nello sguardo, prima di rivolgersi di nuovo al fuoco:

«Sì… forse hai ragione.»

«Certo che…»

«Pasiiii!» Iulia interruppe il mio discorso, prendendomi per un braccio. «Dai vieni con me, fammi compagnia.»  

Mi alzai, trascinata dalle sue mani.

«Ma dove andiamo?»

«Qui sulla spiaggia, facciamo una passeggiata.»

 

*****

 

Quella era una serata davvero magnifica: il mare era tranquillo e si sentiva solo il rumore dello sciabordio a riva, la luna illuminava il cielo di quella luce fredda e ovattata dall’umidità, sembrando quasi una presenza evanescente e intorno a noi la serata era relativamente silenziosa, visto che distavamo qualche metro dalla strada e dai rumori del traffico. Era una notte da sogno e trascorrerla in compagnia, fu la scelta migliore in assoluto.

Soddisfatte di come avevamo organizzato la serata e del suo esito, io e Iulia iniziammo a gioire della nostra perfetta collaborazione e facemmo il punto delle situazioni più soddisfacenti della serata, ridendo di tutti i momenti sereni che avevamo vissuto e della riuscita interazione di Emile con i suoi musicisti. A quel proposito, mi venne in mente la scena tra Iulia e Luca e la curiosità mi assalì:

«Tu e Luca siete molto amici?»

«Io e Luca? Uhm… a dir la verità, non lo so nemmeno se siamo amici o semplici conoscenti… perché?»

«Curiosità… è bello vedere che hai legato con gli amici del tuo ragazzo… forse perché vorrei tanto che Emile  facesse lo stesso con i miei…»

«Ah, capisco… beh, devi mettere in conto che le due situazioni sono diverse, io non ho il carattere di Emile e soprattutto, conosco Luca praticamente da sempre.»

«E allora come fai a dire che siete solo conoscenti?»

«Perché in un modo o in un altro, me lo sono sempre ritrovato accanto.»

Feci la faccia più confusa che avevo… questa descrizione non collimava con il mio concetto di “conoscente”…

Iulia rise e poi continuò.

«Che faccia hai fatto Pasi! Ma hai ragione, non ti ho  detto tutto: Luca era un mio compagno di classe alle medie e poi il caso ha voluto che diventasse anche il ragazzo di mia sorella.»

«Davvero?!»

«Sì! Tutti credevano che Flavia avrebbe finito col fare coppia con Fil, sai era carino vedere due sorelle con due fratelli… ma a quanto sembra quei due non sono minimamente interessati l’uno all’altra.»

«Allora non può essere un conoscente, Luca in pratica è come un fratello per te!»  ripensai a Testa di Paglia e al pensiero che se fosse riuscito a diventare il ragazzo di Simona, ne sarei stata davvero felice, perché avrei avuto un ulteriore conferma che Stè era parte della mia famiglia…

«Beh, no… non è che ci conosciamo poi così tanto: a scuola non parlavamo molto, io avevo il mio gruppetto mentre lui se ne stava con il suo e lui e Flavia ormai si sono lasciati, quindi è solo un amico… Un fidato e caro amico, di Franz e Fil.» mi sorrise conciliante.

«Ah, capito… beh non è detto che non diventiate amici anche voi!»

Le sorrisi speranzosa e d’improvviso, mi venne in mente un altro dettaglio:

«Ma anche tu e tua sorella siete gemelle?»

«No, Flavia è più piccola di me di un anno, ma ci somigliamo molto, almeno esteticamente.»

«Proprio come…» stavo per aggiungere “me e Simona”  a quella frase, quando mi bloccai di colpo.

«Come chi, Pasi?» Iulia mi guardava dubbiosa, in attesa di risposta: in fondo non aveva senso nasconderle di mia sorella, avrebbe accresciuto maggiormente in me il dolore per averla persa e inoltre non era qualcosa di cui vergognarsi… 

«Proprio come me e mia sorella: eravamo molto simili esteticamente, ma non potevano esserci due persone più diverse.»

«Eravate

«Sì… Simona è morta sette mesi fa…»

Il viso di Iulia, da curioso si fece d’improvviso pallido e un’espressione di assoluto dispiacere le si dipinse sul volto:

«Oh, mio Dio Pasi, io non ne avevo idea! Davvero scusami, ti ho riempito la testa di storie tra me e mia sorella e non ho fatto altro che farti star male! Scusami davvero!»  mi prese la mani tra le sue, guardandomi con un volto in cui campeggiava un senso di colpa che non sopportavo.

«No Iulia, non preoccuparti, puoi parlarne quanto vuoi.  Evitare l’argomento non mi farà riavere mia sorella indietro e ormai me ne sono fatta una ragione, stai tranquilla.» le sorrisi, ma non potevo scommettere su quanto fosse realmente aperto, perché nonostante le parole che le avevo rivolto, pensare a Simona mi causava ancora troppo dolore per poterne parlare alla leggera. Iulia continuò ad osservarmi col viso costernato e senza dire altre parole, si avvicinò a me e mi strinse in un abbraccio:

«Vorrei poterti aiutare in qualche modo… non oso nemmeno immaginare il dolore che ti stai portando dentro… se io perdessi mia sorella, mi sentirei persa!»

«Beh in verità, il nostro rapporto non era molto profondo… io non capivo lei e lei non capiva me… ma avrei voluto tanto riuscire a farlo… avrei tanto voluto esserle più vicina.»

Nel parlare di Simona, mi sfuggì una lacrima e la mia voce s’incrinò: Iulia commossa, mi strinse più forte a sé.

«Pasi se vuoi parlarmene, starò zitta e muta ad ascoltarti finché vorrai sfogarti… Tendo a chiacchierare troppo, ma sono anche capace di ascoltare.» mi guardò seriamente, cercando di mostrare la sua buona fede.

«Lo so… e ti ringrazio davvero tanto…» portai una mano al viso per asciugarmi quella singola lacrima traditrice, «… però non frenarti nel parlarmi di tua sorella, a me fa piacere sentire le tue storie e non voglio che tu non ti senta libera di essere te stessa… ok?» Toccò a me guardarla con espressione decisa.

«Ok…» mi rivolse ancora il suo sguardo preoccupato, finché, come dopo essere stata colta da un’improvvisa consapevolezza esclamò:

«Oh, mio Dio: quindi tu hai perso tua sorella ed Emile la madre, nel giro di pochi mesi?»

«Sì, in effetti è così… bella coppia, eh?»  sorrisi ironica.

«Cielo che storia! Però sono sicura che questo vi ha avvicinato davvero tanto, è nel dolore che spesso si formano i legami più forti.»  Oppure se ne spezzano altri, pensai, riandando con la mente al rapporto dei miei genitori, che avevo visto più freddo e distante.

«Sì, è probabile… in effetti, abbiamo trascorso insieme più momenti critici che sereni!»

«Allora dovete rimediare! Dovete assolutamente riempire la vostra unione di momenti felici, per scacciare la tristezza dai vostri cuori!»

«È quello che cerco di fare… GAUS permettendo!» dissi, con una nota più amara di quanto avessi voluto, nella voce.

«Lo so che è difficile Pasi… ma sono sicura che una volta terminata la promozione di quest’album, ci sarà più spazio anche per noi, nelle loro vite.»

«Lo spero… ma d’altronde, sapevo a cosa andavo incontro stando con Emile… e anche se per me è difficile, mi farò forza e mi abituerò a doverlo dividere con la musica. Senza di lei sarebbe incompleto, è una parte imprescindibile del suo essere e se dovesse privarsene, sarebbe solo una persona a metà, che non avrebbe molto da offrire né a se stesso, né a me.»

«WOW! Pasina sei davvero saggia!»

Stavolta toccò a me ridere, guardando l’espressione sorpresa di Iulia: «Non ho detto nulla che tu non pensi già.»

«È vero… ma in qualche modo sentirlo dire, fa un altro effetto… è bello rendersi conto che abbiamo la stessa visione della cosa!»

Iulia mi abbracciò felice: più la conoscevo, maggiormente mi rendevo conto di quanto dovesse essersi sentita sola all’interno di quel ristretto gruppo di supporto dei GAUS, di cui lei era sempre stata unico membro.

Con tutta certezza, a lungo andare ci saremmo conosciute ugualmente, ma in quel frangente, ringraziai il Destino che mi aveva messo in quel fast food, che mi aveva accompagnato con Serena (per quanto insopportabile fosse) e che una sera come un’altra, aveva fatto sì che Iulia fosse in quel luogo, inconsciamente pronta per incontrarmi.

 

*****

 

Come tutte le cose della vita, anche quella serata meravigliosa terminò, non prima di averci visto ancora intorno al falò, a chiacchierare. Quando l’umidità iniziò a farsi pressante e la legna fu sul punto di terminare, decidemmo di andarcene. Lungo il tragitto, ci fermammo a prendere una crêpe alla Nutella e prima di arrivare alle nostre rispettive abitazioni, ci salutammo nello stesso punto in cui ci eravamo incontrati all’andata.

Quella notte rimasi a dormire da Emile, concludendo alla perfezione una serata già meravigliosa.

Prima di addormentarci però, iniziai ad arrovellarmi con alcune domande.

«Emile…»

«Mmm…?»

Nonostante avessi guidato io anche al ritorno, il più stanco tra i due era il mio Pel di Carota, che sembrava già mano nella mano di Morfeo.

«Pensi davvero che Maurizio vi tradirà?»

Come se avessi sganciato una bomba, lo vidi aprire immediatamente gli occhi prima di guardarmi:

«Come ti vengono alla mente queste cose, a quest’ora?»

«Non so… beh no, lo so… stavo ripensando a questa serata e mi è venuto in mente che quando ci ho parlato, Maurizio mi ha dato l’impressione di avere qualcosa da nascondere, ma non ho visto cattiveria nel suo sguardo… mi ha ricordato te.»

«Me?»

«Sì… ha quello stesso modo di fare diffidente che hai anche tu…»

«Avrà la coda di paglia.»

«Ma per cosa, scusa?»

«Perché è amico di Claudio.»

«Ma non gli si può fare una colpa per le sue amicizie!»

«Lo so, infatti non l’abbiamo buttato fuori dal gruppo…»  Emile sbadigliò «… ma evidentemente lui si sente colpevole lo stesso… E di certo non poteva comportarsi serenamente nei tuoi confronti, dato il modo in cui il nostro ex batterista si è comportato con te.»

«Hai ragione, a questo non avevo pensato… Ma quindi pensi che in rispetto a Claudio, manterrà sempre un certo distacco verso di voi?»

«Non lo so Pasi e comunque a quest’ora non riesco a pensare granché… di certo anche se dovesse tradirci, non potrà far nulla per metterci i bastoni tra le ruote: l’album è registrato, il contratto è firmato, non può ricattarci in alcun modo e seppure decidesse di sparire da un momento all’altro, posso sostituirlo senza battere ciglio.»

Mi strinsi a lui ripensando a quelle parole: Maurizio non mi era sembrato un cattivo ragazzo e sperai che le cose tra lui e la band si potessero risolvere in futuro senza dover arrivare a un’altra separazione.

Prima che il mio Pel di Carota ritornasse ad abbracciare Morfeo, decisi di torturarlo un’ultima volta: il completo successo di quella serata, sarebbe dipeso dalle risposte che mi avrebbe dato.

«Emile…»

«Mmm…?»

«Come hai fatto a vivere senza amici?»

A questa domanda, si girò su un lato, costringendomi ad allentare la presa su di lui. Si puntellò la testa con un braccio, mi mostrò un sorriso ironico e mi rispose:

«Stanotte sei in vena di domande esistenziali?»

«Giuro che non apro più bocca, dopo.» portai le dita sulla bocca in un gesto infantile che non facevo da quando ero alle elementari, Emile sorrise abbassando sconfortato la testa e dopo un sospiro mi rispose.

«Non ne sentivo il bisogno.»

«Ma non è possibile! Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci comprenda, qualcuno con cui condividere ciò che amiamo o ciò che facciamo!»

A quel punto lo imitai prendendo la sua stessa posizione: ora eravamo perfettamente uno di fronte all’altra, potevo guardarlo direttamente negli occhi, mentre mi rispondeva.

«Ho sempre avuto la musica per questo. Se c’era lei, non mi sentivo solo. E soprattutto, la musica non è ipocrita, come gli esseri umani.»

«Ma non sono tutti ipocriti!»

«Quelli che ho conosciuto io, sì.»

«Uhm… ok, allora diciamo che sei stato sfortunato… ma i ragazzi della band non sono ipocriti, stasera ti sei divertito, vero?» qualche altra domandina precisa come quella e il quesito sarebbe stato risolto…

«Sì, è stata una bella serata.»

«E non è bello condividere qualcosa con gli altri esseri umani?»

«Certo che lo è, ma per le relazioni bisogna essere portati. Io non sono socievole come te, non so stare in compagnia, non mi sento a mio agio. Stasera è andata bene perché si trattava dei ragazzi, che conosco da tempo, ma con un altro tipo di compagnia non garantisco che mi sarei divertito allo stesso modo.»

Probabilmente stava alludendo al mio gruppo di amici e la cosa per un attimo mi rattristò, ma lo scopo della serata sembrava pienamente raggiunto, per cui mi focalizzai su quel pensiero appagante senza dare spazio a riflessioni cupe... anche perché Morfeo stava richiamando anche me e non avevo la forza di pensare ancora a lungo!

«Quindi in compagnia del tuo gruppo ti senti bene, a tuo agio, vero?»

«Sì, perché li conosco da tempo.»

«Quindi usciresti di nuovo con loro?»

«Pasi, dove vuoi andare a parare con questo interrogatorio?»

Lo guardai soddisfatta: «Non credi che una band di musicisti che siano anche amici, sia molto più solida e attraente?»

Sul viso di Emile, fece capolino un sorriso di comprensione.

«Sei proprio una strega.»

 

*****

 

 

«Stèèèèè!»

Quella settimana d’isolamento dai miei amici, giunse alla sua fine e il giorno stesso in cui tornarono dalla loro vacanza, mi precipitai a salutare il mio migliore amico. C’incontrammo davanti ad un bar, per prendere qualcosa di fresco e chiacchierare un po’, ma quando lo vidi arrivare, incurante della folla, gli corsi incontro e gli saltai letteralmente al collo, abbracciandolo.

«Quanto mi sei mancato, Testa di Paglia!»

«Anche tu mi sei mancata, Pasi!»

Era stato difficile vivere quella settimana senza i miei amici, la famiglia che avevo scelto per me, ma più di tutti mi era mancato lui, i suoi sorrisi, i suoi abbracci e quell’animo solare che sapeva risollevarmi anche solo respirando la stessa aria.

Durante quella settimana di vacanza, il mio migliore amico aveva provveduto a chiamarmi quasi ogni giorno, per raccontarmi l’andamento delle vacanze. Mi aveva raccontato di quanto fosse grande la casa dei genitori di Rita, del bosco circostante, del paesino tranquillo a pochi chilometri di distanza e di come avesse incontrato tante persone simpatiche. Mi raccontò della prima escursione per i boschi con Sofi, quella più lunga e bella fatta insieme a Rita e quella finale fatta con tutto il gruppo riunito, all’arrivo di Fede.

E non si lesinò dal raccontarmi, seppur per sommi capi, come procedeva il rapporto tra Sofi e Lucien, raccontandomi del giorno in cui il cugino di Emile era stato accanto alla nostra amica, perdendosi l’escursione per prendersi cura di lei, della volta in cui era stato capace di farla giocare ad un videogame e di quell’ultima escursione, in cui Sofi sembrava aver trovato una luce nuova in se stessa, quando una caduta rovinosa di Lucien l’aveva fatta ridere di gusto. Ero contenta che quei due si stessero avvicinando: Sofi aveva i suoi ritmi ed io intromettendomi, avevo solo creato confusione, forzando qualcosa che era destinato a formarsi lentamente.

Non credevo che in quella cronaca giornaliera, Stè avesse tralasciato qualcosa, per cui mi sorpresi quando rivedendoci, tornò sull’argomento.

«C’è una cosa che non ti ho detto, Testarossa.» Ci eravamo accomodati sulla solita panchina del parco, con la nostra bibita fresca in mano.

«Spara allora, che aspetti?» Il suo viso si fece grave e malinconico ed iniziai a preoccuparmi: cosa diavolo era accaduto?

«Durante questa settimana sono stato davvero bene: l’aria era pura e c’era una temperatura fresca che risollevava l’animo… ho pensato a quanto stessi patendo tu qui e mi è dispiaciuto per te!» mi fece un sorriso un po’ malinconico e proseguì «Ma a metà della vacanza, c’è stata una giornata in cui ha piovuto a dirotto tutto il tempo: ero annoiato perché non potevo fare alcunché all’esterno e dovevo restare chiuso in casa, anche se poi Rita mi ha dato qualcosa da fare…» fece una piccola pausa, prima di continuare, come a darsi coraggio: «Il giorno dopo, il cielo è rimasto grigio e cupo e quando mi sono svegliato, mi sono abbattuto nel rivedere quel cielo ombroso… e mi è venuta in mente lei…»

Mi si strinse il cuore in un morsa di ferro: Stè era forte e portato al sorriso, ma sapevo che dentro di sé, il suo cuore era ancora ridotto ad uno straccio. E compresi perché non me ne aveva parlato per telefono: quello era un dolore troppo grande e troppo intimo, dovevamo condividerlo di persona, donandoci il sostegno reciproco, come avevamo sempre fatto.

L’abbracciai senza aprire bocca e lui continuò il suo racconto:

«Non so perché mi sia venuta in mente quella mattina: il giorno prima, tutta quella pioggia mi aveva dato fastidio perché volevo uscire, ma la cosa è finita lì. Quella mattina invece, ho iniziato a pensare che con la presenza di Simona, quel luogo sarebbe stato bellissimo anche con un cielo così triste e pesante. Nel pomeriggio ho fatto una passeggiata nel bosco per cercare sollievo, mi mancava l’aria in casa e ho sperato che una passeggiata nei boschi mi avrebbe fatto bene…» lo sguardo di Stè si fece distante, «… ho trovato una roccia e mi ci sono seduto su ma è stato peggio: ho guardato il paesaggio e ho sentito una fitta nel petto, perché avrei voluto averla accanto a me in quel momento. Ma a differenza di tutte le altre volte in cui ci fantasticavo su, dicendomi che prima o poi ce l’avrei fatta, stavolta sapevo che non avrei più avuto occasioni per provare a dirle ciò che sentivo…» mi strinsi più forte a lui «E sai la cosa più penosa qual è stata? Rendermi conto che mi sarebbe bastato anche solo vederla in lontananza, anche ammirarla da lontano, pur di sapere che fosse ancora viva.»

Testa di Paglia serrò le sue braccia intorno a me, ma tra i due a commuovermi fui io, travolta dal mio dolore e dal suo e dal senso di colpa per non essergli stata accanto in quel momento.

«Stè mi dispiace così tanto… se fossi stata lì, avresti potuto sfogarti con me… invece ti sei tenuto tutto dentro…» Inspiegabilmente, sentii il mio amico sorridere…

«Non preoccuparti per questo, hai avuto una degna sostituta.»

«Rita.»

La nostra amica–mamma era la persona più adatta a cui confidare certi stati d’animo, aveva sempre una parola confortante per tutti. Non dubitai che fosse stata una mia degna sostituta, se non persino più brava di me nel dargli conforto. Anche se l’idea di essere stata sostituita, non mi stava risultando gradevole…

«No Testarossa, non si tratta di Rita… sto parlando di Sofia.»

«EHHHH?!»

Mi staccai sorpresa da quell’abbraccio: Sofia che consolava Stefano, era una scena da universo parallelo! Cosa diavolo le era accaduto? E cosa diavolo era successo tra loro due, per avvicinarsi così?

«Esatto: la nostra piccola Nonna Sofia ha avuto la mia stessa idea e passeggiando per il bosco, si è imbattuta in me e le mie lacrime.»

Il mio sguardo doveva essere allucinato, ma ero soprattutto curiosa di sapere come si fosse svolto quell’evento che aveva dell’incredibile.

«Si è avvicinata a me e mi ha incitato a parlare, mi ha ascoltato e poi mi ha stretto la mano.»

«W-O-W!»

Quel gesto, fatto da qualcun altro sarebbe stato un normale segno di empatia, ma conoscendo Sofi e quanto fosse difficile per lei esternare ciò che sentiva, si trattava di un grande passo in avanti!

Sull’onda di quei pensieri ebbi anche la risposta alla mia domanda: Sofi e Stè erano accomunati da un sentimento inespresso, da un amore che non avevano rivelato e sicuramente la nostra amica, non doveva aver avuto difficoltà ad immedesimarsi nel dolore di Stefano.

«Sono davvero senza parole… Che cambiamento!»

«Già… Sofi sta screscendo… chi l’avrebbe mai detto che ti avrebbe sostituito!»

«Sì, ma non facciamone un’abitudine, eh!? Sono io il tuo padre confessore!» cercai di mantenere un tono ironico, ma dentro di me sentii una forte gelosia, al pensiero che Stè avesse trovato una nuova confidente. Sapevo di essere una persona possessiva e in quel momento compresi che avrei sempre lottato per difendere il mio legame con il mio migliore amico e con tutte le persone che amavo.

Stè mi sorrise e tornò ad abbracciarmi: «Non preoccuparti Testarossa, lo sai che la mia preferita sei tu.»

Come una bambina capricciosa che è stata appena accontentata, sorrisi soddisfatta e m’immersi nuovamente tra le braccia del mio amico, godendomi quel momento di calore umano che tanto mi era mancato.

 





















_______________________________________________________

NDA  

Posso dirvi che sono quasi emozionata? Eh, posso? Vabbè, ve l'ho detto. 
È trascorso talmente tanto tempo da quando ho pubblicato il capitolo precedente, che stavo dimenticando persino cosa si prova ad aggiornare questa storia. 
In questi mesi non sono stata del tutto ferma: nonostante la mia Musa sia stata bastardissima e molto capricciosa, ho ugualmente continuato a scrivere e tra qualche one-shot da contest e un paio di capitoli sofferti di Love Sucks, ho messo su anche questo che doveva essere l'ultimo di Rosso come il Destino. Ma alla fine, i sei mesi trascorsi dall'ultimo aggiornamento, si sono fatti sentire anche qui, perché questo capitolo 32, è arrivato ad essere lungo esattamente 32 pagine, per cui ho deciso di dividerlo. 
Quindi, posso dirvi in via ufficiale che avete appena finito di leggere il penultimo capitolo. Non credo di allungarmi ancora, come ho già fatto ripetute volte, quando ho annunciato il termine e poi ho continuato a scrivere, perché il prossimo capitolo è praticamente completo, devo solo limare alcune imperfezioni e al massimo, aggiungere dettagli. Ma non credo che possa allungarsi al punto da essere diviso ulteriormente, anche se posso dirvi sin da adesso, che sarà un capitolo bello lungo, anche più di questo. Per cui, se preferite una lettura più breve divisa in due parti, fatemelo sapere e agirò di conseguenza, altrimenti preparatevi ad una lunga lettura (almeno mi faccio perdonare questo ritardo ignominioso!)  :D

Ovviamente, spero che ciò che abbiate letto, vi sia piaciuto e che nonostante l'estremo ritardo di pubblicazione, siate ancora legate a questa storia e non vi siate stancate di attendere. Per me è molto importante, perché è il mio primo figlio e sarò sempre legata ai miei bambini per cui sarei davvero felicissima, se anche voi che l'avete letta, foste legati ad Emile e Pasi e a tutti gli altri personaggi. Spero di non deludervi sul finale e spero che una volta terminata, questa storia rimanga in qualche modo, con voi. Di me, ovviamente, sarà sempre parte, una parte davvero importante e profonda.

Il prossimo (e *sigh* ultimo) capitolo, sicuramente non tarderà come questo, conto di pubblicarlo nel giro di un paio di settimane al massimo. 

E giusto perché sono un grande bradipo e perché tutto ciò che faccio è sempre un po' sofferto, arrivo solo al penultimo capitolo, con le immagini dei miei bambini. Ho impiegato due vite per trovare i visi perfetti per tutti loro e purtroppo, in alcuni casi (per non dire in quasi tutti) ho dovuto armeggiare di Photoshop per rendere l'aspetto giusto (viso, capelli, occhi etc etc) con risultati non sempre eccelsi. La foto che ritrare Francesco e Filippo è abbastanza orrida e conto di cambiarla o di migliorarla, ma almeno, potete farvi un'idea dei volti di quei due. So che sicuramente, arrivati a questo punto, avrete tutte un'immagine precisa di loro, ma almeno, sapete come li vedo io :D 

Questo è l'album in cui potete vedere tutti i volti dei miei bambini:

Rosso come il Destino per immagini - Album Fotografico


Per ora è scarno, ma
conto di riempirlo con altre immagini che rammentino alcuni momenti della storia, oltre a mostrare i volti di tutti i personaggi. 
Hope you Like it ^_^
 

Ah, stavo per dimenticare: se volete sentire, Unforgiven II, la canzone che Emile canta sulla spiaggia (per la gioia di Francesco xD), è  qui sotto, sia in versione originale che acustica (più simile a come l'ha cantata Emile):



*Disclaimer*
A me questa song piace e non ho nulla contro i Metallica, sia chiaro, mi dissocio dalla mia creatura! :P

Buon ascolto ^_^





Angolo dei Ringraziamenti 

Un grazie di proporzioni cubitali, ve lo meritate esclusivamente per la pazienza che avete avuto, nell'attendere quest'aggiornamento. Odio far aspettare, ma purtroppo, la mia Ispirazione è stata davvero pessima, se non inesistente per mesi. 

I grazie più sentiti, vanno come sempre alla mia beta/tomodachi Fiorella Runco, madrina ufficiale di questa storia, che per prima mi ha invogliata a pubblicarla e che ogni volta che legge un capitolo, mi fa sentire come se avessi scritto un capolavoro <3 
Un milione di grazie alle mie sorelline speciali, che hanno letto questa storia sin dall'inizio: Niky, Vale, Concy, Saretta: con le vostre recensioni e l'affetto che avete dimostrato a questo racconto, senza contare la partecipazione emotiva, avrei perso una delle maggiori spinte a continuare. Un grazie infinito non ve lo leva proprio nessuno! Così come un grazie immenso va alla mia Cicci, che ha letto una serie interminabile di capitoli in pochi giorni, rimettendosi in pari con gli aggiornamenti e scoprendo una certa affinità con Emile, che è ormai il suo gemellino (e come  potrei non adorarti per questo, moglie? <3<3<3). 
Un grazie immenso va Dreamer_on_earth e a ThePoisonofPrimula/hitori_janai, che si sono legate ad Emile e Pasi in modo splendido: ogni vostra recensione, mi ha fatto sentire speciale, ogni vostra dimostrazione d'affetto verso i miei bambini, mi ha riempito di gioia. Grazie, grazie, grazie, davvero! <3<3
Un grazie grandissimo va a KiraYashal, la mia adorata admin, perché si è appassionata dal primo capitolo e ha a cuore questa storia al pari di chi l'ha seguita dalla sua nascita. Grazie davvero tantissimo, per il tuo affetto e la partecipazione! 
E un grandissimo grazie, va  a Sheylen, la mia omonima, che sta leggendo questa storia, lasciando puntualmente una recensione ad ogni capitolo,  nonostante i numerosi impegni la tengano lontana dal sito spesso e volentieri. Grazie davvero tantissimo. <3
E grazie tanto ma davvero tanto ad Ana-chan ed Ely, perché anche se si sono fermate nella lettura, so che hanno apprezzato questa storia e che continuano a sostenermi. Grazie sorelline, davvero tanto tanto ma proprio tanto!  
Un grandisimo e immenso grazie va anche ad Airis, una delle mie bloodysisters, che nel giro di tre giorni, ha letto questa storia tutta d'un fiato, facendomi sentire davvero molto, ma molto, ma molto contenta e soddisfatta. Non sai che gioia mi hai dato sister, grazie davvero tantissimo!!!!!

E ovviamente, grazie tantissimo a tutte voi che leggete in silenzio, che avete avuto la pazienza di attendere che aggiornassi, senza abbandonare questa storia e che mi fate sentire in grado di scrivere qualcosa che possa appassionare. (me lo lasciate un ricordo al prossimo capitolo? *me fa gli occhi dolci*) 
Grazie davvero a tutte voi, dalla prima all'ultima!!

demigirlfun Heaven_Tonight, Jude92, lillay, Minelli, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, incubus life, JennyChibiChan, kikka_love94, princy_94, Ami_chan, Amy_, Camelia Jay, chicchetta, costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, gigif_95, IriSRock, Iulia_E_Rose, jejiia, KarlyCatt, kiki0882, LAURA VSR, Lilly Aylmer, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina Queensol, sel4ever, smile_D, Veronica91, you are special, _anda

Grazie grazie e sempre più grazie!! 

ARIGATOU GOZAIMASU!!!!!!


Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33









Nei giorni successivi, mi misi in pari con il resto del gruppo: chiamai Rita e andai a trovare Sofia e saltai letteralmente addosso a Lucien, quando tornai in quella che era diventata la mia seconda casa. Nonostante fosse con noi da pochi mesi, ormai lo consideravo parte integrante del gruppo e mi stupii quando, rivedendolo, realizzai quanto mi fosse mancato anche lui.

Io e le distanze, proprio non andavamo d’accordo.

E questa constatazione non fece che incupirmi.

I giorni passarono in fretta e i GAUS terminarono tutte le pratiche per il lancio dell’album: Settembre era iniziato e il tour era ormai prossimo.

Emile era ogni giorno più entusiasta, più energico. Vedevo il suo sguardo accendersi di quella luce d’acciaio sempre più spesso ed ero consapevole che in cuor suo, non vedeva l’ora di partire per conquistare i palchi su cui si sarebbe esibito.

Non potevo essere infelice a causa di qualcosa che lo rendeva così elettrizzato e vivo, per cui iniziai paradossalmente, ad amare anch’io l’idea che presto sarebbe partito.

Volevo quanto lui che la sua musica fosse conosciuta e apprezzata.

Avevo la sua stessa volontà che riuscisse dove sua madre si era arresa.

E soprattutto, avevo giurato a me stessa, che sarei sempre stata un appoggio per lui.

Non potevo permettermi di odiare qualcosa che rappresentava la sua felicità, soprattutto quando vedevo il suo sguardo finalmente acceso di vita.

Anche se la sola idea di separarmi da lui, continuava a causarmi delle grosse fitte al centro del petto.

A due settimane di distanza dalla partenza del gruppo per il tour, anche la grafica della copertina e dell’intero booklet del CD erano stati completati e il prodotto finito era già in mano della band.

Il disegno di Alberto fu inserito come cover rispettando la volontà del frontman e sopra di esso, campeggiava il nome della band con il titolo del CD: Made of Steel .

All’interno, una serie di foto della band (sia al completo che dei singoli componenti), accompagnava le lyrics di dieci dei dodici brani; essendone due, puramente strumentali.

Eravamo nella sua tana nel sottoscala, quando Emile mi porse la prima copia del CD tra le mani. Appena giunta a casa sua, mi condusse direttamente nell’ambiente adiacente alla saletta e arrivando prima di me al tavolino, prese quell’oggetto prezioso dal ripiano, per poi porgermelo con un sorriso estatico.

Appena mi resi conto di cosa si trattasse, tremai per l’emozione: era tutto così professionale, così simile ai dischi che avevo lasciato in camera mia e consumato a iosa, quando vivevo con i miei genitori!

Realizzai in quel preciso istante, che il mio Pel di Carota stava per diventare un vero professionista e che entro pochi mesi, la sua musica sarebbe stata conosciuta da milioni di persone.

«Streghetta, cos’hai?»

Emile mi guardava incuriosito, mantenendo una luce di pura soddisfazione nello sguardo e quella scintilla d’acciaio che gli avevo visto sempre più spesso negli ultimi tempi, quell’acciaio che dava il nome all’album e che rappresentava tutti i colpi di martello ricevuti dalla band, per poter essere forte e indistruttibile come quel metallo.

«Non ho parole, Emile!»

«Tu, sei senza parole? La fine del mondo è proprio vicina, allora!» fece quella battuta senza perdere minimamente l’entusiasmo e quella luce vitale negli occhi.

«Non so davvero che dire, è… stupendo, meraviglioso, è come una magia… Abbiamo parlato così tanto di quest’album, ti è costato così tanta fatica… ed ora eccolo qui, così piccolo, eppure così grande… così carico di lavoro, sacrificio e speranza…»

«Wow, menomale che non sapevi cosa dire!»

«Tu non sei emozionato? Io sto tremando e non è nemmeno roba mia!»

Emile mi sorrise affettuoso: «Non sto più nella pelle, ma prima di dare sfogo alla mia soddisfazione, voglio testare l’impatto delle nostre canzoni sul pubblico. Solo allora potrò lasciarmi andare davvero all’entusiasmo.»

«Pignolo come sempre.»

«Realista semmai: è inutile farsi prendere dalle illusioni, senza aver prima avuto un riscontro con la realtà.»

«Ha ragione tuo padre, tra voi due il più vecchio sei tu.»

«Questo vecchietto però gode dei tuoi apprezzamenti, se non erro.»

«Sì… a volte.» tenni un’aria fintamente sostenuta, preparandomi al contrattacco del mio rossino, quando la mia attenzione si concentrò su qualcos’altro: «E queste?»

Sul tavolino nella stanza adiacente alla saletta, c’era una serie di fotografie di Emile e di tutta la band.

«È il resto del photoshoot che è servito per il booklet del CD. Queste sono le foto che non sono state più utilizzate, ce ne hanno dato una copia.

Essendo adattato al formato del CD, il booklet era di dimensioni ridotte e le foto della band al suo interno, non particolarmente dettagliate. Quelle sul tavolo invece, avevano delle dimensioni notevoli e potei ammirarne tutti i dettagli.

Il fotografo aveva usato un filtro grigio, che dava a tutto il servizio una luce metallica e cupa da cielo nuvoloso, ma nonostante quei toni scuri, i capelli di Emile restavano accesi come lingue di fuoco.

Tutti i membri della band avevano un’aria grave e decisa e tutto il photoshoot ricordava l’acciaio del titolo dell’album. Ognuno di loro aveva anche il suo personale primo piano, in cui risaltava la luminosità degli occhi e la fiera volontà nello sguardo.

Persino Claudio sembrava un soggetto interessante e carismatico: per un momento dimenticai persino l’odio smisurato che mi travolgeva al solo guardarlo e lo percepii come se fosse un perfetto estraneo e vidi un volto interessante, che avrebbe sicuramente attratto le fans.

Ma io lo conoscevo bene e quella sensazione durò solo per qualche istante, dopo tornò ad essere il solito arrogante, odioso, perfido e maligno vigliacco, che aveva gettato Emile nello sconforto più nero a causa del suo stupido rancore. Guardando quella foto di Claudio, gongolai pensando che nell’album successivo, quell’immagine sarebbe stata sostituita da quella di Luca. Mi sarebbe piaciuto vederlo protagonista di quel photoshoot che stringevo tra le mani: con i suoi piercing e i suoi tatuaggi, sarebbe stato perfetto, ritratto nella luce metallica e fredda di quel servizio fotografico.

Feci un silenzioso sospiro e mi diedi forza, pensando che tutti i passi fatti fino a quel momento, non facevano altro che ridurre il tempo di Claudio insieme ai GAUS. Ormai la sua carriera con loro stava percorrendo il tratto in discesa e avremmo dovuto solo stringere i denti per un po’, prima di liberarci definitivamente di lui.

Quasi come se fosse un passaggio rituale, misi alle spalle quella foto fastidiosa e mi concentrai sulle altre. Oltre ad essere ritratti singolarmente, i gemelli erano i protagonisti una foto in cui erano insieme, dandosi le spalle mentre la luce cupa illuminava il volto di uno per lasciare in ombra l’altro, come se fossero il corrispettivo musicale dello Yin e dello Yang. Era una foto di grande effetto e mi dispiacque che non fosse stata inserita nel booklet, sperai che la casa discografica, decidesse in seguito, di sfruttarla per qualche altro tipo di promozione.

Andai avanti e vidi anche la foto di Maurizio: era insieme alla sua chitarra e osservava avanti a sé, verso l’orizzonte. Aveva un’aria distante e pensierosa, molto simile a quella che aveva nella realtà.

Probabilmente se, come pensavo, i gemelli avevano avuto qualche difficoltà nel rimanere seri davanti all’obiettivo, per Maurizio sarà stato estremamente facile assumere quell’aria cupa e concentrata.

Le foto migliori le avevo conservate per ultime, per potermele godere in pieno. Il mio Emile era terribilmente fotogenico: qualsiasi fosse lo stile della foto, la sua risultava sempre una figura che comunicava con l’osservatore.

Così come osservava direttamente il pubblico quando cantava, allo stesso modo aveva uno sguardo diretto e penetrante verso l’obiettivo. Il grigio dei suoi occhi non faceva che richiamare il metallo dell’acciaio, come se lui fosse l’esatta incarnazione dello spirito che pervadeva quell’intero album.

E quando il suo viso era distante, allora era la sua figura a raccontare di sé e sopra ogni cosa, lo erano quei riccioli ribelli che sfuggivano al controllo e che catturavano l’osservatore con le sue lingue di fuoco, in mezzo a tutto quel grigio metallico.

Mi resi conto con un improvviso contrarsi del cuore, che Emile era nato per stare sul palco, era destinato a parlare alle folle, era scritto nel suo DNA che dovesse diventare un frontman. Volente o nolente, avrei dovuto dividerlo con il pubblico e uno stuolo scalmanato di fans… Perché ovunque fosse stato, ne avrebbe sicuramente avuti di fans, avrebbe sicuramente avuto un impatto sul pubblico tale, da restare per sempre impresso nelle loro menti.

Sì, Emile era destinato al successo, ne ero certa.

Al successo e alle fans invadenti.

Prima me ne sarei fatta una ragione e meglio avrei accettato quella realtà, quando si fosse avverata.

«Streghetta… ti sei incantata di nuovo?»

Mi girai verso di lui, con ancora le foto in mano e l’abbracciai: d’un tratto sentii il bisogno urgente di stringerlo a me, per ricordare ad entrambi che lui era mio, che nessuno avrebbe mai dovuto osare mettere le sue mani su di lui.

«Ehi! Pasi, che c’è?»

«Niente… voglio stare così per un po’, voglio stringerti a me.» Con un movimento leggero, Emile prese le foto dalle mie mani e le poggiò sul tavolo, per poi stringermi a sé a sua volta:

«Possiamo restare così quanto vuoi.»

Serrai la mia stretta sulla sua vita sottile, avrei voluto fondermi con lui in quel momento, per poter essere sempre insieme, ovunque fossimo andati.

«Emile… io ti amo.»

Non era la prima volta che glielo dicevo: da quella mia confessione un po’ burrascosa, nella saletta dell’ospedale, avevo ripetuto ciò che provavo per lui tante volte, ma in quel momento sentii così forte dentro di me la profondità dei miei sentimenti, che mi sembrò di dirglielo per la prima volta in assoluto. Probabilmente quella era davvero la prima occasione in cui tutto il mio essere, tutta la mia anima, i miei muscoli e le mie ossa, dichiaravano all’unisono il mio amore ad Emile.

E forse il mio Pel di Carota percepì quella differenza sottile, perché a sua volta strinse maggiormente il mio corpo al suo e poggiò il viso sulla mia testa, quasi come se volesse ripiegarsi intorno a me:

«Sei la mia casa, Pasi.» prese una piccola pausa, mentre il mio cuore subì un arresto istantaneo «È da te che vorrò sempre tornare, è da te che tornerò sempre.»

Rimasi in silenzio, commossa da quelle parole, tremante per la portata delle emozioni che stavo provando in quel momento: ero felice, ma ero anche spaventata al pensiero che tutto ciò potesse terminare, terrorizzata all’idea che potessi perdere per un motivo o un altro, quel pezzo di Paradiso che stavo costruendo insieme ad Emile.

«Quando partirò, porterò con me la tua chiave, ne farò un ciondolo che terrò sempre con me e non toglierò mai. E quando tornerò, la prima cosa che farò, sarà usarla per venire da te. Mi mancherai tantissimo, mia piccola e adorabile strega.»

Avevamo affrontato quel discorso sempre dibattendo, ognuno fermo sulle proprie prese di posizione: quella era la prima volta che Emile sembrò comprendere la mia tristezza e la mia paura al pensiero del distacco da lui e quella frase così dolce e rassicurante fu una benedizione, un piccolo sigillo che riuscì ad arginare le mie paure irrazionali.

A quel punto la mia commozione prese il sopravvento e finii col piangere lacrime silenziose, abbracciata al mio Emile, che altrettanto in silenzio, continuò a tenermi stretta a sé, accarezzandomi la testa con una mano.



*****



Più si avvicinava il momento della partenza di Emile, maggiormente trascorrevo il tempo libero a casa sua. Sapevamo entrambi che la mia presenza costante poteva rischiare di soffocarlo, ma era anche vero che in quella casa, mi sentivo talmente a mio agio, talmente bene, che non era necessario che trascorressi esattamente tutto il tempo in sua compagnia. Mi bastava sapere che condividevamo le stesse mura, potevo anche trascorrere la maggior parte della giornata in compagnia di Lucien o di Alberto, ma sarei stata rilassata sapendo che in qualsiasi momento avessi voluto, mi sarebbe bastato fare un passo per vedere il mio Pel di Carota.

La domenica ormai, era fissa la mia presenza a pranzo in casa Castoldi: era l’unico giorno in cui tutti gli abitanti di quella casa fossero presenti e quello del pasto era il momento più adatto per stare tutti insieme e unire i vari elementi della famiglia.

In una di quelle occasioni, quando avevamo appena finito di prendere il caffè, d’un tratto Emile si rivolse a suo cugino:

«Lucien vieni, ti faccio vedere ciò di cui ti parlavo.»

«Oui.»

«Ehi, non crediate di scamparvela così! Ci sono i piatti da lavare, scansafatiche!» Alberto richiamò i due ragazzi ai loro doveri, ma stava sorridendo soddisfatto nel vederli allontanarsi insieme.

«Sai cos’hanno da dirsi, quei due?» mi chiese, con un sorriso estatico sul volto, mentre iniziava a sparecchiare.

«Per niente… forse Emile vuole fargli vedere il CD, non parla d’altro ormai!» dissi fintamente risentita, aiutando Alberto a ripulire.

In quell’ultimo periodo, quel testone del mio ragazzo doveva essere talmente felice e soddisfatto, da sentirsi ben predisposto verso gli altri o forse in virtù del fatto che a breve sarebbe partito, aveva capito che la famiglia è un bene prezioso… Fatto stava, che Emile aveva ufficialmente messo da parte i suoi pregiudizi nei confronti di suo cugino.

Quando Lucien era arrivato in quella casa, quei due avevano trascorso del tempo forzatamente insieme, quando si erano trovati alle prese con il pranzo da preparare o i lavori domestici da dividersi e pian piano, Emile aveva messo da parte quel suo atteggiamento aggressivo e pieno d’odio, che aveva mostrato quando il cugino era giunto dalla Francia, anche se aveva mantenuto una certa distanza tra loro, non permettendo al francese di avvicinarlo. Ma da quando Lucien era tornato dalle vacanze, il mio Pel di Carota aveva iniziato ad abbattere anche quell’ultimo muro, avvicinandosi al cugino attraverso discorsi su libri e musica, arrivando persino a trovarsi d’accordo con lui nei riguardi di qualche autore che amavano entrambi.

Era una gioia per gli occhi vedere quei due seduti uno di fronte all’altro che conversavano e a volte li lasciavo soli volontariamente, per far sì che cementassero il loro legame.

«Sono così felice che finalmente abbia accettato Lucien.»

«Anch’io bambina mia, anch’io… Claudine sarebbe stata felicissima di vedere suo figlio e suo nipote che parlano come due fratelli. Sperava di riuscire a tornare in Francia e di farsi accettare da Odette attraverso i bambini. Diceva che la nuova generazione avrebbe potuto cancellare i dissidi tra le loro madri. Lucien aveva due anni quando ma chère rimase incinta e all’epoca era figlio unico; Claudine sperava di poter far giocare insieme i bambini e di farli crescere come due fratelli.» Alberto sorrise, ricordando i desideri di sua moglie e non potei che fare lo stesso, soprattutto tenendo presente che forse, almeno quel sogno di Claudine, poteva finalmente realizzarsi.

«Sono sicura che sarà così e magari Emile avrà voglia di conoscere anche il resto della famiglia, in seguito!» dissi quella frase con impeto, ma subito dopo averla detta, mi resi conto che forse stavo diventando troppo ottimista…

«Di questo non ne sarei tanto sicuro, bambina, sappiamo benissimo quanto sia testardo quel ragazzo, vero? Ma mai dire mai, potrebbe stupirci!» Alberto rise ed io rimasi in silenzio, mentre gli davo una mano a lavare le stoviglie, crogiolandomi in quell’attimo di pura felicità.

Non è necessario vivere avventure fuori dal comune o sentirsi dire frasi plateali, per scoprire la felicità. Quella vera, quella più essenziale e pura, è nelle piccole cose. È nel calore di un abbraccio, in un sorriso scambiato con una persona a cui vuoi bene, in una battuta di spirito compresa solo da te e dal tuo migliore amico, è nel vedere al tuo risveglio il volto della persona che ami o nell’aiutare colui che reputi al pari di un padre, a risistemare la cucina, condividendo la gioia di vedere due persone che amate, andare finalmente d’accordo.

Ero immersa in quelle riflessioni, con un sorriso sereno sul viso, quando d’un tratto, Alberto mi distolse dai miei pensieri: «Pasi, seguimi.»

«Ora? Ma… e i piatti?»

«Lasciali lì, li faranno quei due scansafatiche! C’è una cosa che devo darti.»

«A me? Ma perché? È successo qualcosa?» seguii Alberto nel salotto.

«Ricordi quando ti ho sporcato il vestito con i colori? Ricordi cosa ti dissi? Che ti avrei ripagato per il danno.»

«Ma no! Ancora stai pensando a quella faccenda? Il vestito è recuperato, non è rovinato definitivamente, perciò non stare più a preoccuparti!»

«Non esiste, ho sempre pagato i miei debiti e sempre lo farò e comunque sia, è troppo tardi ormai, il tuo risarcimento è pronto.» Il padre di Emile, si arrestò accanto alla credenza.

«Non puoi portarlo indietro al negozio… qualunque cosa sia?»

«È letteralmente impossibile, a meno che tu non conosca qualche formula chimica per far tornare indietro nel tempo gli elementi…»

Quella risposta mi lasciò alquanto perplessa.

«Che vuoi dire? Mi ha preso un kit da “Piccolo Chimico”?»

Alberto si sporse verso il retro del mobile e allungò un braccio a prendere qualcosa, che evidentemente era stato nascosto in quel punto… Nel frattempo, si fece una risata sentendo la mia domanda.

«Bambina ma cosa vai a pensare? È qualcosa di molto più semplice… tieni, aprilo.» mi porse un pacco dalle dimensioni notevoli, ma dal volume molto piatto… Era di forma rettangolare e aveva tutta l’aria di essere…

«È tuo, vero? È opera tua?» dissi emozionata, prima ancora di aprire il pacco, al solo pensiero che Alberto avesse dipinto un quadro esclusivamente per me.

«Coraggio aprilo, inizio ad avere l’ansia da prestazione!» Il padre di Emile sorrise come sempre, ma c’era una piccola nota di tensione nella sua voce: era davvero in ansia di sapere se mi sarebbe piaciuto il suo quadro! Come poteva lontanamente supporre il contrario? Dopo tutte le opere che avevo visto nel suo laboratorio, mi ero fatta un’idea ben precisa del suo stile e sapevo che qualunque cosa avesse dipinto, l’avrei letteralmente adorato per quel senso di vitalità e di gioia di vivere che sapeva infondere persino alle nature morte. E invece quell’uomo che amavo come un padre, era lì davanti a me, come un inesperto ragazzino, in preda all’ansia di sapere se la sua opera fosse stata gradita o meno.

Iniziai ad aprire il pacco, mentre gli risposi per tranquillizzarlo.

«So già che l’amerò, non c’è bisogno che ti agiti, comprerei tutti i tuoi quadri ad oc…»

Non terminai la frase, perché d’improvviso la gola mi si chiuse e la commozione mi zittì del tutto: avevo aperto il pacco solo nella sua parte superiore, ma le teste che vidi spuntare da quel dipinto, mi toccarono il cuore come se avessi già visto l’opera completa.

I membri della famiglia Castoldi, in quel quadro erano tutti vicini, tutti adulti e sorridevano felici uno accanto all’altro. E già così, quel dipinto era un cimelio, perché rappresentava il sogno utopistico di Emile e di Alberto, di avere Claudine serena e felice accanto a loro… un sogno che non si sarebbe mai avverato. Ma ciò che mi fece crollare del tutto, fu vedere accanto a quelle teste, anche una quarta, dai capelli neri e dal sorriso sbarazzino, quel sorriso che non mi abbandonava mai…

«Allora, ti piace? Mentre dipingevo il ritratto di ma chère, mi sono reso conto che avrei potuto continuare a dipingere il suo volto in tutti i modi e con tutte le espressioni che preferivo. Così ho deciso di mettere Claudine nel luogo che più di tutti l’attendeva: accanto alla sua famiglia. E a quel punto ho deciso che avrei potuto fare anche di meglio, avrei potuto dipingere la famiglia al completo.»

La mia reazione a quelle parole e al dipinto che si era svelato lentamente ai miei occhi, fu così improvvisa e forte, che sorprese anche me: m’inginocchiai a terra, scossa dalle lacrime che scorrevano violente e inarrestabili sul mio viso. Ero talmente felice di vedere il mio volto accanto ai loro, ero così immensamente felice di vedermi parte di una famiglia, che quando mi resi conto della violenza di quell’emozione, iniziai a singhiozzare sonoramente.

«Ehi, piccola mia, cos’hai?» Alberto si chinò accanto a me preoccupato e mi abbracciò mentre io, ancora scossa da quelle lacrime violente, riuscii solo a ricambiare quel gesto, senza proferire parola.

«Pasi, c’è qualcosa che ti ha turbato in quel quadro? Se è così non prenderlo, non ti preoccupare, ne farò un altro per te.»

Feci un cenno di diniego con la testa e provai ad abbozzare una risposta: «È… è… bellissimo… sono… felice…» e continuai a singhiozzare…

«Oh beh, allora credo che la tua felicità tra poco ci farà chiamare un idraulico!» risi a quella battuta e continuai a stringermi a lui.

«Coraggio bambina, cos’è questa valle di lacrime? Non ti si addice! Su, fammi un sorriso.»

Alberto alzò il mio viso verso il suo e fece una smorfia buffa con il viso, che riuscì a farmi ridere.

«Oh, così ti voglio, vedo che la mia cura funziona… sei fortunata, sennò sarei dovuto passare alla terapia d’urto: il solletico.»

«No, no, il solletico no!» Finalmente trovai il fiato per parlare e riuscii a riprendere il controllo di me, necessario a non avere più i singhiozzi.

«Visto, sei tornata a parlare: le minacce funzionano!» sorrisi ancora lacrimante e mi asciugai quelle ultime gocce traditrici.

«Io… non so da dove iniziare a ringraziarti… Questo quadro è bellissimo, perché ci siete tutti voi e ci siamo tutti noi… Non mi sono mai sentita parte di una famiglia così come in questa casa e vorrei tanto che Claudine fosse ancora qui con noi…» a quel punto un sospetto tremito nella voce, mi costrinse a prendere una pausa per riprendere il controllo, mentre io e Alberto restavamo inginocchiati accanto al dipinto «Non potrò mai ringraziarti abbastanza, per avermi donato una famiglia a cui appartenere.»

Alberto mi guardò con tutto l’affetto di cui era capace e mi strinse in un abbraccio: «Continui a sottovalutarti, bambina mia. Quello che ho fatto è niente rispetto a ciò che hai fatto tu per tutti i componenti di questa famiglia. Includerti era il minimo che potessi fare.»

Mi crogiolai nella stretta affettuosa di quell’uomo adorabile, ma dopo poco fui distratta dalla voce di Emile, che doveva essere tornato in cucina, insieme a Lucien:

«Gliel’ho detto anch’io, ma non ha voluto asc… ma dove sono andati? Ehi papà! Ci hai lasciato tutto questo caos da rimettere a posto?!»

Alberto sorrise soddisfatto, prima di rivolgersi a me, sottovoce: «Che ne dici, andiamo ad aiutarli?»

«Ma dove diavolo si sono cacciati quei due, basta che giro lo sguardo per un attimo e spariscono!»

Sorrisi sentendo la preoccupazione di Emile: aveva sempre scherzato sul legame tra me e suo padre, ma quell’ansia improvvisa iniziava a farmi pensare che fosse davvero geloso.

«Saranno nel laboratorio, Oncle Albert non doveva darle il quadro?»

«È vero… beh allora iniziamo a far qualcosa, altrimenti diranno che siamo due scansafatiche!»

A quel punto, io e Alberto ci alzammo e andammo in cucina, ma il padre di Emile non aspettò di essere visto, per farsi sentire:

«Voi due infatti, siete degli scansafatiche! Altrimenti non vi sareste alzati così in fretta, prima ancora che terminassimo di prendere il caffè.»

Emile trasalì per la sorpresa, non si aspettava di sentirci arrivare dalla stanza attigua: «Ma che dia… Si può sapere che facevate lì? Giochiamo a nascondino, ora?» il suo sguardo si posò su di me e dovette vedere i miei occhi gonfi di lacrime, perché la sua espressione si oscurò di preoccupazione all’istante: «Pasi, cos’hai? È successo qualcosa?» venne immediatamente accanto a me, accarezzandomi il viso.

«Credo che il mio regalo le sia piaciuto anche troppo.» disse Alberto, sorridendo ed io feci un cenno affermativo con il viso:

«È bellissimo… non avrei mai potuto chiedere di meglio.»

«Posso vederlo?» disse Lucien incuriosito, mentre Emile mi abbracciò protettivo.

«Sì, è di là in salotto.»

«Andiamo, sono curioso di vederlo completato.» il mio Pel di Carota sciolse l’abbraccio, prendendomi per mano.

Tutti e tre andammo in salotto e rimasi accanto al mio ragazzo, mentre in silenzio guardava se stesso accanto ai suoi genitori e a me.

Lucien apprezzò subito: «C’est trés beau. Sembra quasi una fotografia.»

«Già… una foto da una vita parallela.» disse Emile, con un tono malinconico… e prima che l’atmosfera si potesse appesantire, feci una battuta:

«Ora Alberto dovrà farne un altro con Lucien!»

Il mio Pel di Carota sorrise e rispose alzando la voce, per farsi sentire volutamente, da chi non era accanto a noi: «No, no, se mi ritrae di nuovo con i capelli verdi, è meglio se la smette ora di fare il pittore da strapazzo!»

«Ancora questa storia? Se sei daltonico non è colpa mia!» Alberto rispose direttamente dalla cucina, senza nemmeno avvicinarsi a noi. Ecco che ricominciavano a beccarsi!

«I miei occhi ci vedono benissimo, sono quelli di qualcun altro che risentono dell’età!»

«Intanto il vecchietto in questione è stato lasciato da solo a fare la cucina… siete un branco di lavativi!»

Ci ritrovammo a ridere tutti e tre e con il sorriso sul viso, tornammo dal “vecchietto”, che proprio come un anziano, stava continuando a borbottare sulle nuove generazioni che non sapevano cosa fosse il sacrificio e il duro lavoro.

Quel quadro l’avrei appeso con grande orgoglio accanto al mio letto, mi avrebbe salutato al risveglio ogni mattina, ricordandomi qual era la famiglia a cui appartenevo.



*****



Alla fine, arrivò il giorno ics, da me tanto temuto. Ma due giorni prima che i GAUS partissero per il tour, la band ci regalò un live nella nuova formazione, così potei finalmente sentire Luca alla batteria e riascoltare la voce di Emile dal vivo, direttamente su un palco. Il locale scelto per salutare il pubblico che da anni aveva seguito e sostenuto la band, fu il Dada e mai scelta mi sembrò più adatta, dato che personalmente, era stato in quel locale che era nato il mio amore per Emile e per la sua musica.

La scelta non fu del tutto casuale nemmeno per la band: essendo il Dada tra tutti quella della zona, il locale più frequentato, se non quello storico che aveva visto esibirsi i GAUS sin dai primi tempi della loro formazione, era il luogo più adatto a raccogliere tutti i fans e promuovere la vendita del CD, da una settimana in commercio. Sicuramente con quell’esibizione, si sarebbero assicurati una buona fetta di acquirenti per la loro prima fatica musicale.

Quando rimisi piede in quel locale, venni travolta dall’emozione: c’ero stata altre volte da quella sera, ma quella era la seconda volta che ci andavo per sentire Emile e il paragone con la volta precedente, fu automatico. Allora ci ero andata per sfidarlo, per assicurarmi che quel gruppetto da quattro soldi, non fosse niente di eccezionale rispetto ai miei amati TresneT e invece fui sconfitta su tutti i fronti, perché da quella volta, Emile era entrato di prepotenza nel mio cuore per scombussolarmi la vita e quella sera, la prima sera in cui rimasi totalmente ammirata dal suo modo di cantare, non riuscii a dormire.

In quella seconda occasione invece, conoscevo benissimo i brani, conoscevo tutti i componenti della band, e avevo imparato a conoscere la luce e l’ombra che caratterizzavano il frontman. Quell’esibizione la sentivo mia in parte, perché ero a conoscenza di tutti i retroscena, di tutti i passi condotti dai GAUS, per arrivare su quel palco, in quella sera.

Ero ansiosa di assistere a quella performance e di vedere il pubblico in estasi; speravo con tutto il cuore che in quelle ore, tutti i presenti sarebbero stati fatti a fette dall’esibizione prepotente dei GAUS.

Insieme a me come di consueto, venne Stè, proprio come quella fatidica prima volta, con l’aggiunta di Lucien, che aveva ritardato la sua partenza per la Francia, proprio per poter ascoltare suo cugino e che, alla luce del rapporto che si era creato fra loro, era emozionato quanto me, all’idea di assistere a quell’esibizione.

Il resto del mio gruppo di amici non si unì a noi: Rita e Fede avevano i rispettivi impegni e avevo messo in conto sin dall’inizio che non sarebbero stati presenti, ma l’assenza di Sofi mi stupì. Ero convinta che avrebbe presenziato, non di certo per Emile, dato che non le era simpatico, ma per stare insieme a Lucien, considerato che negli ultimi tempi non avevano avuto modo di vedersi spesso. E invece, la mia riservata amica aveva declinato l’invito, dicendomi che doveva studiare in vista degli esami che erano ormai prossimi… Chissà cosa le passava per la mente!

Ma a rendere quella serata ancora più speciale, fu la presenza di Alberto.

Fino ad allora, il padre di Emile non aveva mai potuto ascoltare suo figlio sul palco, perché era sempre stato impegnato ad accudire Claudine. Quella era la prima volta anche per lui, oltre che per suo nipote. Alberto però, non volle venire con me e i miei amici, mi disse che sarebbe apparso al momento opportuno e che non voleva appesantire noi ragazzi, con la presenza di un “vecchietto”. Ribattei che lui era il genitore più lontano dall’essere un vecchio che avessi mai conosciuto, ma non volle sentire ragioni: la testardaggine era una dote comune in quella casa!

Nonostante fossimo solo in tre, decidemmo di arrivare al locale relativamente presto per poterci accaparrare un tavolo in prima fila: non avevo alcuna intenzione di assistere al live dei GAUS con le teste degli altri astanti davanti al viso e non avrei mai permesso a me stessa, di non essere in linea diretta con gli occhi di Emile. Quel palco poteva anche dividerci nei nostri ruoli di cantante e pubblico, ma non avrebbe messo ulteriore distanza tra me e il mio Pel di Carota!

Come se stessimo ripetendo i passi di quella prima volta, arrivammo alle ventuno e trovammo il locale ancora sgombro dalla folla: nel momento in cui mi diressi trionfale verso un tavolo in prima fila, vidi che seduta ad uno di essi, c’era Iulia. Non avevo pensato minimamente a chiamarla, perché davo per scontato che fosse venuta con le sue amiche e vederla da sola a quel tavolo, mi fece sentire improvvisamente in colpa. Dal canto suo invece, Iulia mi venne incontro sorridendo, com’era suo solito, senza darmi l’impressione che fosse adirata con me.

«Pasi! Ma dove ti eri cacciata?»

La guardai perplessa, di cosa stava parlando?

«Ciao Iulia! Non mi aspettavo di trovarti già qui… per cosa sono in ritardo?»

«Come “per cosa”? Hai perso le prove!»

«Le pro… Iulia, tu da quanto sei qui?» Non potevo credere alle mie orecchie: quella ragazza doveva essere nel locale da ore!

«Dalle sei! Sono venuta con Franz, così avrei potuto assistere alle prove… credevo che ci fossi anche tu.»

«N-no… non sapevo nemmeno che potessi venire a quell’ora!»

Iulia mi guardò sconvolta: «Non ci posso credere! Ma Emile quella bocca per che cosa la usa?»

«…»

«Sì vabbè, a parte le cose piacevoli, ovviamente! Perché non te l’ha detto?» sembrava davvero sorpresa che Emile non me ne avesse parlato…

«Non lo so, forse non c’ha pensato.»

«Uhm… in effetti non è abituato… non ha mai portato qualche ragazza alle prove…»

Al solo pensiero di Emile insieme a qualcun’altra, sentii il mio stomaco contrarsi: continuavo imperterrita ad essere gelosa del suo passato, nonostante sapessi che fosse un sentimento del tutto inutile.

«Però a pensarci bene, nemmeno io li ho seguiti tanto spesso, anche se avrei voluto… Immagino che il Duce abbia fatto sentire la sua volontà in molti casi.»

Già, Emile non avrebbe tollerato la presenza di persone deconcentranti come una fidanzata. Quella che doveva essere l’unica volta in cui si fosse concesso uno strappo alla regola, era finita con un bel litigio corale tra lui e Claudio e tra lui e me… era ovvio che non mi avesse chiesto di essere con loro al locale, per assistere alle prove!

«Iulia! Amoore come stai?»

Mi voltai verso la voce che aveva interrotto i miei pensieri: due ragazze erano appena arrivate e si erano avvicinate a noi, con l’intento di salutare la mia compagna.

«Isa, Deb! Da quanto tempo!»

Nonostante le parole della mia interlocutrice fossero amichevoli, il tono usato non lo sembrava affatto: Iulia sembrava fingere una gentilezza che non provava, il suo tono di voce era alterato, sapeva di finto, come se stesse recitando una pantomima.

«E la tua amica? Non l’ho mai vista prima.» disse una delle due, una ragazza che aveva un aspetto simile a quello di Iulia: il suo abbigliamento era altrettanto scuro, ma più barocco, corredato com’era di un corpetto rosa cipria dai merletti neri, che sovrastava una lunga gonna nera. Un’acconciatura ricca di boccoli scuri e un trucco altrettanto pesante completavano il quadro, dandole l’aspetto di una bambola inquietante.

«Oh lei è Pasi, la ragazza di Emile.»

«QUELL’ Emile?» disse la seconda: una ragazza abbigliata di borchie, con i capelli biondo platino cortissimi e il trucco pesante: alla luce della rivelazione di Iulia, mi guardò con un nuovo interesse, scandagliando ogni centimetro del mio corpo ed io m’irrigidii in atteggiamento di sfida, aspettando la sua prossima esclamazione. «Piacere mio, mi chiamo Isa.» mi allungò una mano poco convinta, che strinsi con vigore.

«Il piacere è tutto mio.»

Le risposi con voce ferma e decisa: se pensava d’imbarazzarmi col suo modo di fare, aveva del tutto sbagliato soggetto e gliel’avrei fatto capire subito!

«Ma che piacere conoscere la nuova ragazza di Castoldi! Io sono Deb.» Nonostante l’aspetto non propriamente allegro, Deb mostrò un atteggiamento molto più socievole nei miei confronti, rispetto alla sua amica; mi abbracciò calorosamente e mi rivolse uno sguardo allegro, prima di aggiungere: «Benvenuta tra noi.»

Nonostante l’apparente cordialità, quella frase mi lasciò scettica e balbettai un “Grazie” poco convinto.

«Andiamo Isa, lasciamo che Pasi si ambienti… ci vediamo dopo, ragazze.»

Trascinandosi l’amica, si allontanò da noi, lasciandomi perplessa.

«Cosa diavolo intendeva con “Benvenuta tra noi”?» dissi a Iulia, senza nemmeno attendere che quelle due fossero abbastanza distanti da non sentirci. La mia compagna fece una smorfia prima di rispondere:

«Stai lontana il più possibile da quelle due, sono delle iene.»

«Eh?»

«Deb ha la capacità di mettere zizzania tra le persone più unite e Isa è il suo cagnolino fedele.»

«Eppure sembrava tanto cordiale.»

«Sì, è il sorriso di chi ti dichiara guerra.»

«Quindi mi è stata dichiarata guerra? E per quale motivo?»

«Invidia. Deb un paio di anni fa, era la vocalist di una gothic band che aveva anche la sua buona fetta di pubblico. Ma accadde qualcosa all’interno del gruppo e i Bleedingthornes si sciolsero e da allora, Deb non fa altro che tentare di entrare nelle band altrui… e nei letti dei loro componenti!»

«Ah…»

«Un anno e mezzo fa, durante un contest a cui parteciparono i GAUS mentre lei era la guest di una band, ci provò con Franz.»

«E ovviamente lei sapeva benissimo che lui era il tuo ragazzo…»

«Certamente: ero con loro e sono stata tutto il tempo accanto a lui, tranne durante l’esibizione e quando sono stati dietro le quinte.»

«Ho capito… e quindi tu pensi che possa provarci anche con Emile?»

Al solo pensiero di quella tipa che provava ad allungare le sue mani addosso al mio ragazzo, mi sentii ribollire il sangue nelle vene: le avrei staccato la testa a morsi piuttosto che permetterle di avvicinarsi a lui!

«Ne sono più che certa. Le piace provarci con quelli già impegnati… gode quando riesce a dividere una coppia, si sente potente. Con me e Franz non c’è riuscita, ma siamo stati quasi gli unici ad uscirne indenni…»

Cercai con lo sguardo quelle due nuove conoscenze e vidi che Deb in quel preciso istante, stava parlando con un ragazzo, dandosi arie da donna vissuta: mi fidavo di Emile, ma non avrei mai permesso che quella tipa si avvicinasse a lui!

«Isa la segue sempre?»

«Sì, è il suo cagnolino: fa tutto ciò che Deb le dice di fare.»

«Come Claudio e Maurizio?»

«Sì… solo che questo caso è più complicato: Isa è innamorata di Deb.»

«Ah.»

«Già… e ovviamente lei lo sa, ma non fa assolutamente nulla per risparmiare all’ “amica”, la visione di lei che ci prova con tutti. Le piace l’idea di avere potere su Isa.»

«Ma sembra una telenovela!»

«In effetti lo è. Nell’ambiente ci conosciamo tutti e come spesso capita nei gruppi sociali, vuoi per collaborazioni musicali, vuoi per puro intrattenimento personale, si stringono relazioni in continuazione all’interno di questa comunità.»

«Un modo gentile di dire che tutti si passano tutti, in pratica.»

«Sì, detto in parole povere, questo è il succo del discorso. Questo è un ambiente ipocrita e difficile, Pasi, inoltre anziché collaborare, i vari musicisti cercano di farsi le scarpe l’un l’altro per poter emergere… e quando ci si mettono in mezzo le case discografiche è anche peggio!»

Guardai sconcertata Iulia e una domanda fece capolino nella mia testa: «A-anche le altre… le ex di Emile erano dell’ambiente?»

«Forse ce n’è stata una… Sinceramente non saprei risponderti con certezza, Emile non ha mai fatto venire qualche ragazza ai live, probabilmente voleva tenerle lontane da quest’ambiente…»

«No, probabilmente voleva tenerle lontane da lui.»

Come aveva cercato di fare anche con me. Non voleva mischiare i suoi affari personali con la musica.

Invece io ero in quel locale, a dargli sostegno, a sentirlo suonare nuovamente sul palco dopo mesi…

«Ma tu sei qui però e questo, è importante.» disse Iulia, cercando di distogliermi dai miei inutili attacchi di gelosia. Ma il suo tentativo fu superfluo, perché stavo già sorridendo, rincuorata al pensiero che quelle fantomatiche ex che mi avevano preceduto e di cui ero patologicamente gelosa, non fossero mai state dov’ero io in quel momento.

«Sì, ci sono e ci sarò sempre!» dissi decisa, guardando in direzione di Deb, raccogliendo silenziosamente la sua sfida.

«Così ti voglio vedere, Pasina! Dovremo essere forti, dovremo lottare per difendere ciò che è nostro e perché saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.»

«Hai ragione. Spero che ciò non accada mai, ma sono pronta a tirare fuori gli artigli, se dovesse essere necessario.» Iulia mi sorrise soddisfatta e in quel momento, Stè mi chiamò. Feci cenno al mio amico che li avrei raggiunti al tavolo e mi rivolsi alla mia compagna: «Se sei sola, perché non vieni a sederti al tavolo con noi?»

«Oh no, stai tranquilla, tra poco arriveranno le mie amiche. Io sono arrivata prima per sentire le prove, ma le altre mi raggiungeranno presto.»

«Ah, ok… ma se per qualsiasi caso volessi unirti a noi, un posto per te al tavolo c’è sempre.»

«Grazie Pasina!» Iulia mi diede un bacio affettuoso sula guancia e si accomiatò, mentre io raggiunsi i miei amici.

Quando mancava una ventina di minuti all’inizio dell’esibizione, nel locale regnava il caos: era impossibile riuscire a capire le parole del vicino senza dover alzare la voce e c’era anche il rischio che qualcuno si poggiasse sullo schienale della tua sedia e che finisse a darti una gomitata dietro la nuca!

Ero seduta accanto a Stè che a sua volta aveva Lucien accanto, perciò Testa di Paglia sarebbe stato il mio interlocutore principale, anche se il caos che si era creato intorno a noi, non permetteva molto dialogo nemmeno col proprio vicino!

Tuttavia, Stè decise di sfidare il caos infernale e iniziò a parlarmi: sulle prime faticai non poco per capire cosa diceva, ma quando captai alcune parole e capii qual era l’argomento del discorso, d’improvviso il mio udito divenne perfetto.

«COOOOSA!?»

«È così Testarossa, hai capito bene.» Stè mi guardava con un’espressione soddisfatta, per avermi sorpreso con quell’affermazione.

Non riuscivo a credere a ciò che avevo sentito: Emile aveva chiamato il mio amico per parlargli! Al sentire quella notizia, un’ansia terribile s’impadronì di me: temevo di sapere cosa si fossero detti.

«Ehi, stai bene? Sei impallidita all’improvviso…»

Stè sembrava parlare dell’argomento in tono tranquillo, non sembrava risentito; forse non c’era motivo di preoccuparmi…

«Ma... p-perché? Per quale motivo? Cosa voleva da te?»

«Proprio quello per cui stai facendo quella faccia preoccupata!» Stè continuava a sorridere e a prendermi in giro bonariamente, ma io non riuscivo a rilassarmi affatto!

«Oh mio Dio! Stè io…»

«Sta’ tranquilla Pasi, non c’è stata alcuna discussione: Emile è venuto per scusarsi personalmente con me, per il suo modo di fare nei miei confronti.»

Se fossi stata la protagonista di un cartone animato, in quel momento avrei dovuto raccogliere i pezzi della mia mascella sparsi sul tavolo, poiché quella fu la sensazione che mi pervase: ero del tutto sbigottita! Emile mi chiedeva scusa facilmente quando capiva di sbagliare, ma conoscendo la sua chiusura verso gli altri e la gelosia che lo pervadeva se solo nominavo Stè, sapere che fosse andato di proposito da lui per scusarsi, mi lasciò senza fiato! Dovevo avere un’espressione alquanto idiota poiché il mio amico si fece un’altra grande risata a mie spese:

«Testarossa dovresti vedere la tua faccia!»

«E come vuoi che stia?! Sono del tutto senza parole!» riuscii a riprendermi quel tanto che bastava per ascoltare ciò che Testa di Paglia aveva da dirmi.

«In effetti ha lasciato sorpreso anche me. Ero consapevole che avesse dell’astio nei miei confronti, ma sai bene che non essendo la prima volta che capita, non ci ho dato troppo peso… Evidentemente lui si è reso conto che ci soffrivi, perché mi ha detto chiaramente che cercherà di non comportarsi più in quel modo astioso per il tuo bene, ma ha aggiunto anche, che per lui sarò sempre una spina nel fianco.»

Testa di Paglia fece un’espressione perplessa e ironica: per fortuna non l’aveva presa male, nonostante Emile non fosse stato così remissivo nel porgere le sue scuse.

«Come al solito gli manca l’umiltà… mi dispiace che ti abbia detto una cosa del genere!»

«Ma no Pasi, non c’è nulla per cui offendersi: mi ha parlato con calma, senza alterarsi, mi ha detto semplicemente come stanno le cose, in modo che io sappia il motivo del suo comportamento una volta per tutte.»

«E come stanno davvero le cose? Cosa ti ha detto di preciso?» Non ero ancora serena, il pensiero di Emile e Stè che si confrontavano, mi creava ansia e un senso di catastrofe imminente!

«Questo resterà tra me e lui. Tu però rilassati, volevo solo fartelo sapere per farti sentire meglio.»

«E come faccio a sentirmi meglio, Stè!?» La mia voce iniziò a salire di tono… per fortuna eravamo circondati dal caos e nessuno mi aveva sentito. «Prima mi dici che Emile ti chiama per parlare con te e poi non mi spieghi cosa ti ha detto e pensi che debba rilassarmi così!? Da quando, fai comunella con il mio ragazzo? Non eravamo amici io e te?!»

Il mio amico fece un enorme sorriso affettuoso e mi diede un buffetto sul viso:

«Noi saremo sempre amici Testarossa, ma ci sono cose che non posso dirti. È una cosa tra uomini. Prendila come l’inizio dell’amicizia tra me ed Emile.»

Mi sorrise raggiante e mi lasciò di nuovo senza parole: Emile e Stè amici… cosa diavolo si erano detti? Possibile che un incontro tra loro, non fosse sfociato nel sangue? Ero davvero preda dell’ansia, con l’intento di riempire di domande il mio amico, finché non si fosse arreso e mi avesse detto tutto riguardo quella faccenda, ma la mia curiosità era destinata a non essere appagata, almeno non quella sera, perché d’improvviso si spensero le luci e si accesero quelle sul palco.

Emile era al centro, come sempre in prima linea, nuovamente abbigliato di nero, ma stavolta i pantaloni in pelle e la cintura borchiata, gli davano un look più aggressivo ed incisivo. Come al solito, quel total black, faceva risaltare per contrasto i suoi riccioli rossi, che sembravano catalizzare tutta la luce. Alla sua destra, a stento riuscii a vedere Maurizio, che sembrava volersi nascondere nelle zone scure del palco, mentre Luca direttamente dietro Emile, nonostante ricevesse la luce, restava nascosto in buona parte dalla sua batteria: “Lola”, nipote della vecchia Betsy, per anzianità di acquisto. Mi scappò un sorriso pensando a quella mania di dare i nomi ai propri strumenti musicali e osservai il resto del gruppo: Francesco era alla sinistra di Emile, molto più vicino a lui di quanto non lo fosse Maurizio, ma quella era una scelta che andava al di là dei rapporti tra loro; i due gemelli rischiavano di urtarsi con i propri strumenti se fossero stati troppo vicini e visto che il frontman non aveva strumenti con sé, avvicinarsi a lui era la scelta migliore. Filippo era posizionato più indietro rispetto a suo fratello a metà strada tra Francesco e Luca e quella sera, aveva lasciato i capelli sciolti, rendendo ancora più palese la somiglianza con il suo gemello. Tutti i componenti dei GAUS sembravano abbigliati di nero o al massimo blu, a parte Francesco che aveva scelto d’indossare un paio di jeans. Di Luca non avrei saputo dire molto, dato che vedevo a mala pena il suo viso, ma sembrava indossare un gilet direttamente sulla pelle, senza maglietta.

Quando iniziarono a sentirsi le prime note, dimenticai tutti questi dettagli sul look della band e iniziai ad immergermi nel mondo musicale di Emile e dei GAUS.

Nonostante li avessi sentiti svariate volte, quella sera dovevano essere carichi di entusiasmo all’idea della partenza, perché suonarono tutti con un’energia tale, da rendere il suono molto più forte e incisivo. La loro musica risuonava nel mio battito cardiaco, l’onda sonora degli amplificatori, sembrava far vibrare i tavoli e tutto ciò che v’era poggiato sopra. Gli assoli di Francesco mettevano i brividi e la batteria di Luca era potente: avevo sentito Claudio molto più spesso e sapevo di cosa era capace e Luca ne era davvero un degno sostituto, aggiungendo quel tocco personale un po’ più freddo e spigoloso, ma di grande effetto.

Il brano quasi omonimo al titolo dell’album, Steel, era energico e deciso, con profondi accordi di basso e forti impennate di chitarra:

I’m made of steel

My blood is strong

My flesh is unbreakable

Show me your strenght

I’ll beat you

Sono fatto d'acciaio

Il mio sangue è forte

La mia carne è indistruttibile

Mostrami la tua forza

Ti batterò

Ci ritrovammo tutti in piedi a battere le mani a tempo, qualcuno cercò persino di pogare, ma lo spazio libero tra il pubblico e il palco era talmente esiguo, che non era possibile spostarsi più in là di qualche centimetro.

Fu emozionante riascoltare Ghost as I am, la canzone dedicata al dolore di Claudine, quella che sentii al Sandbox e che mi commosse quando compresi di che parlasse…

I see your world

But do you see mine?

I’m a ghost now

Nobody can see my scars

Nobody can hear my scream

Io vedo il tuo mondo

Ma tu vedi il mio?

Sono un fantasma ora

Nessuno può vedere le mie ferite

Nessuno può sentire il mio urlo

A quel punto mi venne spontaneo guardarmi intorno, in cerca di Alberto, ma la folla era talmente tanta, che fu letteralmente impossibile vederlo senza dovermi alzare e girare lungo tutto il locale. Sperai che fosse riuscito ad entrare prima che si fossero spente le luci, perché suo figlio quella sera stava dando il meglio di sé.

La voce di Emile era calda, impetuosa, aggressiva: quel tono graffiante era così profondo e carico di emozioni diverse, che ogni canzone mi scuoteva l’anima, ogni brano riusciva a infondermi dei sentimenti diversi. Sentivo le sue corde vocali vibrarmi nel sangue, percepivo ogni piccola variazione di tonalità come se fossi stata sul palco accanto a lui e riuscivo ad emozionarmi, anche per un singolo acuto o un passaggio sussurrato. Quella sera, sentii il mio amore per lui scoppiarmi dentro, come se fosse stato troppo grande da trattenere nel mio corpo.

Ma non c’era solo quello.

Più l’ascoltavo, maggiormente sentivo aumentare il mio orgoglio per Emile: il pubblico l’ascoltava rapito, non si perdeva una sola nota e non si distraeva in chiacchere. Il locale era piccolo, ma c’era la stessa atmosfera da concerto che si trova negli stadi o nei grandi edifici appositi: sapevo che la maggior parte del pubblico era costituito da fans e da persone che conoscevano bene la band, ma vedere l’effetto che quella musica stava facendo su tutte quelle persone, non fece che rendermi felice all’idea che quella reazione, si sarebbe potuta moltiplicare con un pubblico molto più vasto, durante i prossimi mesi di tour. Ero davvero orgogliosa del mio Emile!

Cercai con lo sguardo Lucien, per sapere se condivideva la mia stessa emozione e lo trovai totalmente rapito: la sua espressione era concentrata, ma un lieve sorriso indicava che si stava godendo lo spettacolo. Non riuscii ad attendere la fine dell’esibizione per chiedergli un parere e allungandomi verso di lui, gli diedi un colpetto sulla schiena. Si voltò verso di me e gli feci un cenno per chiedergli cosa ne pensasse: in tutta risposta mi fece un grande sorriso, si allungò verso di me lungo la schiena di Stè e mi disse ciò che stava provando:

«È davvero bravo, sono sbalordito. Sono felice di essere riuscito ad ascoltarlo, ne valeva la pena.»

Il mio orgoglio crebbe sentendo quelle poche parole: sapevo che Lucien provava un sincero affetto nei confronti di suo cugino e vedere che a quel sentimento era stata aggiunta anche l’ammirazione, mi fece gongolare di soddisfazione. Di sicuro al suo ritorno in Francia, Lucien avrebbe parlato del talento di Emile e la fama della sua bravura sarebbe giunta alle orecchie di quella famiglia, che aveva sempre fatto finta di non conoscerlo, che aveva messo alla porta lui, suo padre e soprattutto sua madre. Emile sarebbe diventato famoso e avrebbe fatto vedere a tutti di che pasta era fatto!

Sorridendo in direzione di Lucien, tornai a concentrami sulle note che stavano vibrando in quel locale proprio nel momento in cui Luca diede dei colpi di batteria che mi fecero capire immediatamente di quale canzone si trattava: era l’intro di uno dei brani strumentali, Ocean, in cui Emile avrebbe suonato una parte col violino. Era un brano che avevo sentito poche volte, ma che era profondo e vario, nella sua parte ritmica importante, fino passare a quella più lirica in cui il violino sembrava quasi l’unico strumento in azione.

Durante l’esecuzione di quel brano, precisamente nella parte con la batteria, ricordai come se fosse un’improvvisa rivelazione, perché Luca mi fosse sembrato familiare: l’avevo già visto.

Proprio in quel locale, proprio quella sera in cui avevo sentito i GAUS per la prima volta. Era stato lui a darmi il flyer con le tappe delle esibizioni nei locali, era lui quel ragazzo che si era limitato a porgermi quel volantino, per poi sparire prima ancora che potessi finire di dirgli quanto mi erano piaciuti i suoi amici!

In quel momento mi parve ancora più chiaro che quella sera, si stesse chiudendo un cerchio, per dar vita ad un altro ciclo di eventi.

I ragazzi alternarono delle covers alle proprie canzoni, per poter dar modo al pubblico che non li conosceva, di apprezzare ugualmente la loro musica e verso la fine della serata, intonarono Highway to Hell, che scatenò il pubblico in un coro energico e compatto… E con mio estremo fastidio, vidi alcune ragazze avvicinarsi al palco, che non avevano remore ad agitarsi “seguendo la musica”, mettendo in mostra le proprie grazie sotto il naso di Emile. Fui invasa dalla gelosia come una furia ed ebbi persino il timore che tra quelle scellerate ci fosse Deb, in procinto di scagliare il suo primo attacco. Ma dopo un attimo in cui vidi rosso, mi tornarono alla mente le parole di Iulia:

“Dovremo essere forti, dovremo lottare per difendere ciò che è nostro e perché saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.”

Sì, dovevo essere forte e sopportare l’esuberanza di certe ragazze, dovevo sostenere Emile e avere fiducia in lui.

Sarei stata davvero un misero sostegno per lui, se avessi creato scompiglio per quattro ochette starnazzanti durante la sua esibizione. Dovevo rendermi più forte e fiduciosa, se volevo essere un valido sostegno per lui, nei momenti critici.

Avevo avuto già modo di assaporare un momento simile e sapevo benissimo quanto avesse rischiato di mandare in frantumi i progetti di Emile e della band intera. E sapevo altrettanto bene che, nonostante fossi stata la causa involontaria dei suoi guai, il mio appoggio nell’accettare le condizioni di Claudio, avevano aiutato Emile a superare quel momento buio della sua vita personale e professionale.

Mi ero sempre chiesta come le compagne dei musicisti più affermati, affrontassero la vita e riuscissero ad essere accanto ai loro uomini nei momenti di crisi professionale.

Sid e Nancy si erano distrutti reciprocamente, così come Jim e Pam, per non parlare di Courtney e Kurt*… però ci sono anche donne come Alison Stewart, che vivono accanto al loro uomo da più di trent’anni, che hanno osservato silenziosamente ogni piccolo passo fatto dall’assoluto anonimato, fino al successo mondiale, senza vacillare, senza mai lasciare il proprio ruolo di compagna, anche quando la fama del suo Paul, iniziava a creare dei gossip velenosi sulla loro vita privata, anche quando i singoli componenti degli U2 avevano attraversato momenti di crisi esistenziale tali, da mettere in discussione l’intero futuro della band.

Sarei stata in grado di essere una Alison anch’io? Avevo giurato a me stessa di non venir meno al mio ruolo di sostegno verso Emile e dovevo essere in grado di mantenere a tutti i costi quel solenne proposito.

Il mio Pel di Carota si stava per affacciare in un mondo vasto, crudele e spietato. Avrebbe potuto incontrare la fama più grande o l’ignominia più profonda per un semplice gioco della fortuna, oppure farsi strada nonostante tutto, solo grazie al suo talento, alla sua testardaggine e alla ferma volontà di andare avanti contro tutto e tutti.

E per farlo aveva bisogno anche del mio sostegno.

Non avrei mai dovuto vacillare.

Emile era mio, anche se dovevo sopportare la vista del pubblico femminile che lo guardava adorante, anche se dovevo dividerlo con la musica, anche se lei l’avrebbe portato via da me per un po’ di tempo e se gli avesse donato dei momenti di puro sconforto.

Lui era mio ed io ero il suo sostegno, nel presente, come lo sarei stata nel futuro.

Ero appena giunta a quella considerazione che m’infuse forza e coraggio, quando quella stessa forza, rischiò di annientarsi dietro un’emozione fortissima.

Il termine dell’esibizione era prossimo, il repertorio personale dei GAUS era terminato e al massimo rimanevano un paio di covers. Ma a quel punto, Emile prese il microfono per parlare:

«Siamo giunti alla fine di questa serata e vi ringrazio a nome di tutta la band, perché siete stati un pubblico magnifico. I brani che avete ascoltato potete trovarli nel nostro album…»

Forse avevo fatto male i conti ed era giunto direttamente il momento del commiato, con la presentazione dei membri della band.

«… tranne il prossimo.»

C’era ancora un brano? Allora avevo davvero sbagliato i conti.

«Il prossimo brano non è riuscito ad entrare nell’album perché si è completato in ritardo. Vogliamo farvelo ascoltare perché lo sentirete in futuro e perché dovevo dedicarlo alla persona che me l’ha ispirato, la persona che ha contribuito a far sì che fossi su questo palco stasera. »

Doveva essere una nuova canzone dedicata a Claudine… immaginai la commozione di Alberto e mi preparai ad ascoltarla, ma a sorpresa, Emile si girò in mia direzione:

«Questa canzone è per te, Pasi. Spero che possa farti capire quanto io ti ami.»

In quel preciso istante, il mio cuore si fermò: l’emozione che provai rendendomi conto che Emile aveva scritto una canzone pensando a me e il fatto che avesse detto davanti a tutti che mi amasse, mi fece tremare le gambe e solo il puntuale sostegno di Stè, fece sì che non cadessi a terra, nonostante fossi comodamente seduta.

E quando la musica iniziò, rimasi totalmente esterefatta, perché quel brano lo conoscevo!

Quella melodia era la stessa che stava componendo quel giorno sotto l’albero di magnolia, quella dolce melodia che aveva suonato con l’armonica, mentre ci godevamo quel pomeriggio di pace insieme!

I’m here in the shadows

And I think of you

Your smile is a ray of light

That shine on me

Sono qui tra le ombre

E penso a te

Il tuo sorriso è un raggio di luce

Che splende su di me

Quelle parole le ricordavo, perché quando le avevo lette su quel foglietto dimenticato a casa mia, le avevo amate all’istante… E quando giunse il ritornello, ritrovai le parole che Emile mi aveva detto solo due settimane prima:

You’re my home, baby

I will always go back to you

I will always be with you

You’re my safe place, baby

My soul dream of you

My heart belong to you

Tu sei la mia casa, baby

Tornerò sempre da te

Sarò sempre con te


Tu sei il mio luogo sicuro, baby

La mia anima sogna te

Il mio cuore appartiene a te

Quel brano parlava di noi, della nostra storia, del modo in cui entrambi eravamo entrati nel sangue dell’altro. Ma era anche una dolcissima dichiarazione d’amore, costruita nel tempo, attraverso momenti bui e difficili e attimi di pura perfezione.

Ripensai alle parole di Alberto sul dipingere la persona che amava:

“Dipingere la persona che ami è un’impresa difficile ma anche la più gratificante, è un omaggio a ciò che lei rappresenta per te, un omaggio a ciò che riesce a lasciarti dentro, al modo in cui la tua vita muta drasticamente per il solo fatto che lei è lì con te”

Lui aveva messo la sua arte a servizio del suo cuore e dei suoi sentimenti e suo figlio aveva fatto altrettanto con me: in quel momento mi stava dichiarando il suo amore attraverso la sua musica!

Non avrei potuto ricevere una dichiarazione d’amore più bella, profonda e vera né da lui, né da nessun altro.

Se la prima volta che mi aveva rivelato i suoi sentimenti, quelle parole erano state intrise di paura, quella canzone era invece piena di gioia e riusciva a trasmettermi ciò che Emile sentiva dentro di sé e che lui non era mai stato capace di descrivere, privo della musica.

Percepii in una parte della mia coscienza, il braccio di Stè che mi sosteneva ancora, ma tutta la mia attenzione si concentrò in quel brano e su tutto ciò che si portava dentro. A completamento di quel momento così emozionante, vidi risplendere al collo di Emile qualcosa sotto i riflettori: non potevo esserne certa, ma dato che non era sua abitudine portare ciondoli, supposi che dovesse essere la mia chiave, quella che gli avevo regalato per dargli la possibilità di entrare in casa mia ogni volta che avesse voluto, quella che, come mi aveva detto, avrebbe portato con sé durante il tour…

Si poteva morire di felicità? In quel momento pensai che fosse una realtà a me molto prossima, perché temetti che il cuore non avrebbe retto a tutta la gioia che mi scoppiò dentro.

Sentii le lacrime bagnarmi il viso mentre Emile cantava guardandomi negli occhi: tutto ciò che mi circondava sparì dalla mia visuale, non c’era più nessuno accanto a noi: dimenticai Sté, dimenticai Lucien e Alberto… Dimenticai le fans invadenti, Isa e Deb e tutto quel mondo difficile che quella sera ci attorniava… In quell’istante c’eravamo solo io ed Emile, la mia felicità e la musica che in quel momento ci stava unendo.

Emile mi amava, ne ero sempre stata certa, ma ricevere una canzone scritta da lui appositamente per me, fu la prova del nove, fu la certezza che il mio Pel di Carota, aveva trovato un modo per unire quelle parti di se stesso che l’avevano fatto tremare, davanti a ciò che provava per me. Grazie a quel brano, io e la sua musica eravamo diventate un tutt’uno, ci eravamo unite, sostenendoci a vicenda e dando modo al mio Emile, di esprimere in una sola volta tutti i suoi amori.

Non avrei potuto ricevere regalo più grande e le lacrime di felicità che scorrevano sul mio viso, risposero per me a quella meravigliosa dichiarazione d’amore, mentre Emile continuava a cantare osservandomi.

In quell’istante, con i suoi occhi fissi nei miei e il sorriso di pura felicità che ci stavamo scambiando, fui assolutamente certa, che io e il ragazzo che stava cantando su quel palco non ci saremmo mai separati.

Le parole di quella canzone divennero anche le mie: Emile era la mia casa, era da lui che avrei fatto sempre ritorno, era con lui che avrei voluto vivere tutti i giorni della mia vita. Ci sarebbero stati sicuramente altri momenti bui, avremmo litigato tante altre volte e altrettante volte avremmo chiarito, innumerevoli volte si sarebbe allontanato da me per seguire la sua musica ed io altrettante volte l’avrei seguito nel suo cuore, come lui sarebbe rimasto nel mio mentre l’attendevo e costruivo il mio futuro.

Qualsiasi ostacolo ci avrebbe presentato la vita, l’avremmo affrontato insieme, anche a suon di litigi e battibecchi com’era ormai nostra tradizione, ma niente ci avrebbe mai separato.

Non l’aveva fatto la gelosia per Stè e nemmeno la mia intromissione nella sua vita professionale e nemmeno le distanze più vaste ci sarebbero riuscite, nemmeno i dolori più grandi o le delusioni più cocenti, perché i nostri mignoli erano legati da un filo rosso che non si sarebbe mai spezzato, un filo rosso come il mio carattere da fiammifero, rosso come i ricci di Emile… Rosso perché era il Filo del Destino che lega due persone fatte per stare insieme.






















------------------------------------------------

Highway To Hell = Canzone degli AC/DC



*Jim e Pam = Jim Morrison e Pamela Courson. Jim era stato il cantante del gruppo blues rock psichedelico The Doors. Pamela è stata la sua compagna storica. [Per info: Wikipedia]

Sid e Nancy = Sid Vicious e Nancy Spungen. Sid era il bassista del gruppo punk Sex Pistols e Nancy la sua compagna storica. [Per info: Wikipedia]

Courtney e Kurt =Courtney Love e Kurt Cobain. Kurt era il cantante del gruppo grunge Nirvana; Courtney, sua moglie fino al suicidio del cantante, canta nel gruppo The Hole. [Per info: Wikipedia]

In tutti e tre i casi, le coppie sono andate incontro alla propria autodistruzione, vittime di violenza, droghe e stati depressivi.

Alison e Paul = Alison Stewart e Paul Hewson. Paul, conosciuto meglio con il soprannome di Bonovox/Bono, è il cantante del gruppo rock U2. Alison è sua moglie e compagna da tutta la vita. [Per info: Wikipedia]










___________________________________

NDA
Ecco. Non so che dire. Ho annunciato la fine di questa storia così tante volte, che ora che è giunta davvero, non so nemmeno come affrontarla. Quando ho messo la parola fine a questo capitolo (dopo aver scritto metà di esso in una sola serata, presa da un'ispirazione folle che non mi era mai capitata prima), mi sono sentita davvero felice e appagata. E non solo perché finalmente sono riuscita a portare a termine qualcosa, ma anche perché ero ancora così piena della gioia di Pasi, che sentivo dentro di me la sua stessa felicità. Però, insieme a quest'appagamento, mi è venuta addosso anche una strana sensazione di vuoto, perché sapevo che non avrei più scritto sul suo conto, che non sarei stata più in compagnia di Testarossa e Pel di Carota e di tutta la combriccola.
Anche se a dir la verità, resta ancora dentro di me la volontà di scrivere un seguito a questa storia e dare voce anche all'amore di Alberto e Claudine con uno spin-off a loro dedicato. Entrambe le ipotetiche storie, hanno già un capitolo quasi terminato, ma da qui a dire che saranno terminate, ci vuole ancora tempo. Se mai riuscirò nell'intento di portare a termine questi due progetti, spero che siate felici all'idea di restare ancora un po' con i miei bambini ^ ^
A questo proposito, se ci fosse qualcuna di voi che volesse essere avvisata nel caso pubblicassi una delle due storie, potete farmelo sapere sia tramite recensione, che tramite messaggio privato, oppure potete contattarmi direttamente tramite il mio profilo facebook.
Spero con tutto il cuore che questo capitolo sia stato abbastanza appagante per tutte: immagino che ognuna di voi avesse in mente l'ultimo atto ideale e lungi da me avere la presunzione di soddisfare tutte le vostre aspettative, ma visto che questo era il finale che avevo sempre avuto in mente, sin da quando questa era una storia con appena diciannove capitoli, lunga meno di cento pagine (ed ora siamo a quota 302!), non avrei mai potuto concepire un modo diverso per chiuderla.
E a questo proposito, non so se avete notato, ma ufficialmente questa storia risulta ancora in corso. Questo non perché non sia finita o io sia preda dell'Alzheimer (oddio, forse un po' sì...), ma perché nonostante quello che avete letto sia a tutti gli effetti il capitolo finale, c'è ancora un piccolo extra in serbo per voi, che pubblicherò al più presto, per cui non togliete ancora Rosso come il Destino dalle storie seguite, perché c'è ancora una piccola cosa da leggere. ^ ^

E per concludere in bellezza, ho due piccole aggiunte grafiche da mostrarvi. La prima, non è altro che un disegnino di poco conto, che ritrae Emile e Pasi così come li ho immaginati e che putroppo la mia mano non ha reso al 100%, ma essendo il mio primo esperimento di colorazione digitale con ombreggiature sfumate, mi ha lasciato soddisfatta dal punto di vista coloristico. ^^
La seconda invece, è la copertina dell'album dei GAUS, con il disegno di Alberto. È in una versione semplificata rispetto a quanto avevo immaginato il disegno di Castoldi Sr. perché la mia apatia cronica non mi ha permesso di mettermi con pazienza a riprodurlo davvero, ma almeno potete farvi un'idea. xD


Emile e Pasi || Cover CD


Spero che vi piacciano. ^ ^



Angolo dei Rigraziamenti

Eccomi qui, ancora una volta a ringraziare tutte voi che mi avete seguito fino alla fine. Grazie tantissimo alla mia sorellina/beta Fiorella Runco, sarà sempre a lei che dovrò la nascita di questa storia, sarà sempre grazie a lei, se Emile e Pasi hanno avuto modo di essere conosciuti da più persone, senza restare imprigionati in un anonimo file di Word nel mio pc.
Grazie tesoro, grazie di tutto, grazie per gli incoraggiamenti che mi hai dato, per tutte le volte che mi hai tolto qualsiasi dubbio e per l'entusiasmo con cui hai sempre accolto la lettura di ogni capitolo. Grazie davvero tantissimo sorellina, sei un tesoro prezioso. <3
Grazie mille a tutte le mie sorelline che hanno letto e commentato questa storia sin dalla sua nascita, che sono state una presenza costante e un supporto immancabile: Vale, Niky, Concy, Cicci, Saretta (e a quest'ultima va un immenso e incomparabile grazie per avere ospitato la mia storia nel suo blog, pubblicizzandola persino su twitter: grazie all'infinito Mon Trèsor, non ho nemmeno parole adatte per dirti quanto mi ha commosso questa tua partecipazione. <3).
Grazie sorelle mie, siete state la mia luce nel buio. :*
Grazie tantissimo a KiraYashal, hitori_janai e Dreamer_on_earth, perché mi avete fatto sentire costantemente il vostro affetto e la vostra partecipazione a questa storia, perché le vostre considerazioni sono sempre state importanti per me e perché mi avete fatto sentire capace di trasmettere delle emozioni attraverso le parole. Grazie davvero tantissimo!
Grazie tantissimo a Sheylen, che in egual modo si è appassionata alla lettura e un grazie immenso ad Airis che non vedeva l'ora di avere questo capitolo sotto gli occhi per poter leggere il gran finale, dopo essersi immersa totalmente in questa storia. Grazie anche a Grace, per il suo interessamento e per le belle parole che mi ha detto dopo aver letto solo il primo capitolo. Mi fate sentire davvero soddisfatta, in un momento in cui la mia autostima sta toccando fondi oceanici.
Grazie anche ad Ana-chan ed Ely, per il loro sostegno silenzioso e implicito.
Grazie a sel4ever per la sua recensione al capitolo scorso, perché mi ha dato una profonda gioia leggere che questa storia le era mancata tantissimo. Grazie per il tuo affetto, grazie davvero!
Grazie mille a tutte voi, dal profondo del cuore!


Grazie tantissimo anche a voi tutte che avete messo questa storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
demigirlfun, elspunk93, Heaven_Tonight, Jude92, lillay, Minelli, samyoliveri, smokeonthewater, Tattii, Thebeautifulpeople., Aly_Swag, firstlost_nowfound, incubus life, JennyChibiChan, kikka_love94, princy_94, Ami_chan, Amy_, Camelia Jay, chicchetta, costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, gigif_95, IriSRock, Iulia_E_Rose, jejiia, KarlyCatt, kiki0882, LAURA VSR, Lilly Aylmer, matt1, myllyje, nicksmuffin, Origin753, petusina, Queensol, smile_D, Veronica91, you are special.


Mi farebbe piacere se lasciaste due righe a quest'ultimo capitolo, per farmi sapere cosa ne pensate di tutta la storia. ^ ^


Stavolta devo ringraziare anche chi sta all'apice di tutto, coloro grazie ai quali ho capito quanto sia bello leggere, coloro che mi hanno trasportato nei loro mondi dai quali non mi staccherò finché vivrò.
Grazie prima di tutto a Fuyumi Souryo, per le sue storie dolci, romantiche ma anche realiste, prive di fronzoli, crude e amare, per avermi dato più di un esempio su ciò che vorrei ci fosse in una storia d'amore. La ringrazio soprattutto per aver creato Rei e Kei, quest'ultimo soprattutto, perché Emile è nato prendendo una grande ispirazione da lui.
Essendo questa la prima storia che porto a termine, non posso che ringraziare i miei esempi viventi di ciò che debba essere uno scrittore: Margaret Weis & Tracy Hickman, una donna e un uomo che sono stati capaci di creare personaggi così veri, da farmeli entrare nel sangue.
A loro devo la nascita di almeno due dei miei personaggi, perché se non ci fosse stato Caramon, non sarebbero esistiti né Stefano, né Alberto.
(E se non ci fosse stato Raistlin, Emile e Sofia sarebbero stati decisamente più simpatici xD)
Se Weis&Hickman non avessero creato un gruppo di amici come protagonisti delle loro storie, il gruppo di Pasi forse non avrebbe avuto l'importanza che ha avuto.
Ringrazio a questo proposito anche Kazuya Minekura, perché se non ci fossero stati i suoi quattro scalmanati protagonisti, alcune dinamiche nei rapporti all'interno del gruppo di Pasi non avrebbero visto la luce.



Grazie a tutti voi, davvero. Sarà anche una semplice storiella pubblicata su un semplice sito di Fanfiction, ma per me conta davvero tantissimo averla scritta e averla portata a termine, ecco perché stavolta, non potevo evitare di scrivere un papiro di ringraziamenti. ^ ^



Arigatou Gozaimasu, Minna!


Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Bonus Track ***


 

Bonus Track

 





 

«È questa la casa?»

«Sì, è questa… Sicuro che non vuoi che ti accompagni?»

«Sì. Ti ringrazio Stefano, sei stato gentilissimo, ma questa è una cosa che voglio fare da solo.»

«Ok, buona fortuna allora, spero che ti ascoltino.»

«Lo spero anch’io… grazie di tutto.»

«Di nulla figurati, per Testarossa questo ed altro.»

 

Non era stato facile parlare con Stefano, ma dopo aver rotto il ghiaccio, mi sembrava di essermi tolto un gran peso dallo stomaco.

Avevo preso il suo numero di telefono dal cellulare di Pasi, evitando che lei mi vedesse e in tutta segretezza l’avevo contattato, per chiedergli se potevamo vederci. Avevo rimandato quell’incontro per troppo tempo e prima di partire per il tour avrei dovuto affrontare quella grossa spina nel fianco. Fortunatamente,  Stefano accolse la mia telefonata senza dare segni di fastidio o di risentimento e acconsentì di buon grado ad incontrarmi. Non era facile per me accettare quel legame tra lui e Pasi e ancor più, ammettere di essere stato davvero incivile e fin troppo aggressivo nei suoi confronti, ma quel suo modo di fare sempre così tranquillo e socievole, mi aveva aiutato molto ad esternare dei sentimenti che difficilmente avrei mostrato a qualcun altro che conoscessi così poco. Senza troppi giri di parole, gli dissi chiaramente che per me lui sarebbe stato sempre una spina nel fianco e nonostante il tono duro con cui gli avevo parlato, Stefano non aveva battuto ciglio e mi aveva risposto in tutta tranquillità che ne era consapevole, ma che avrei dovuto conviverci per il resto della vita… O almeno finché Pasi avesse voluto la sua amicizia, perché lui non ci avrebbe mai rinunciato.

Mi aveva davvero sorpreso la sua determinazione: quel ragazzo sembrava una persona che prendeva tutto alla leggera, ma quando si trattava di qualcosa a cui teneva, sapeva essere deciso e caparbio. Mi ricordava, a tratti, mio padre: avevano lo stesso modo di fare gioviale che nascondeva un carattere deciso nei momenti importanti e alla luce di quella considerazione, dovetti ammettere a me stesso che tutto sommato, quel ragazzo non era male, anzi, iniziava persino a starmi più simpatico!

Del resto se tra lui e Pasi c’era un affetto così profondo, se la mia streghetta era così legata a lui, doveva essere perché Stefano era davvero una brava persona. Eppure, se solo pensavo al rapporto profondo che li univa, non riuscivo a darmi pace.

Non riuscivo ad ignorare la gelosia che mi prendeva quando pensavo alla mia ragazza in compagnia del suo migliore amico. Forse dipendeva dal fatto che in vita mia non avevo mai stretto un legame così forte con qualcuno e quindi non potevo davvero capire come facessero quei due ad essere così uniti… o forse era solo quella dannata insicurezza!

Non ero mai stato un insicuro, avevo sempre avuto fiducia in me e nelle mie capacità e mi fidavo di Pasi, eppure pensare al fatto che provasse un affetto così forte verso un altro ragazzo, mi bruciava dentro come se fossi stato su una pira. Non riuscivo a rassegnarmi che al mondo ci fosse una persona che la conosceva  meglio di me, che avesse diviso con lei attimi che io non avrei mai potuto vivere, che conosceva aspetti della mia strega che io non avrei mai visto… Se solo mi fermavo a rifletterci su, mi sembrava d’impazzire!

Non mi piaceva sentirmi travolgere da quella gelosia e men che meno mi piaceva sentirmi così insicuro, ecco perché sentii il bisogno di parlare chiaro a Stefano: sapevo che in futuro avrei trovato un modo per trattenermi, ma sapevo anche che sarebbero capitate occasioni in cui non l’avrei fatto e non volevo far soffrire Pasi, non volevo metterla in imbarazzo. Per questo motivo decisi di chiarire a Stefano che non era mia intenzione mettermi in mezzo, ma che non avrei nemmeno potuto trattenere sempre ciò che provavo.

Dopo avergli parlato, mi sentii meno in colpa per averlo aggredito verbalmente a casa di Pasi: ero stato davvero incivile, soprattutto considerando che avevo assicurato alla mia ragazza che quella sera non avrei creato scompigli e invece avevo messo in imbarazzo sia lei che tutti i suoi amici…

Almeno dopo averne parlato, sia io che Stefano eravamo consapevoli di cosa pensavamo l’uno dell’altro e sarebbe stato più facile per entrambi accettare i nostri comportamenti e sopportare la vicinanza reciproca. Anche se avevo l’impressione, che quel ragazzo non avesse alcun problema ad avermi nei paraggi…  Come al solito, ero io quello complicato!

Avevo sempre saputo di avere un carattere difficile e avevo sempre pensato che nella vita non mi sarei mai concesso il lusso di avere una relazione seria: stare insieme a qualcuno richiede compromessi e attenzioni, senza contare la deleteria tendenza ad annullare se stessi in funzione dell’altro…

Non avevo mai permesso a me stesso di farmi prendere da una ragazza fino a quel punto: non avrei mai commesso lo stesso errore dei miei genitori. Al centro della mia vita doveva esserci solo ed esclusivamente la musica, lei doveva essere la ragione della mia esistenza.

Questo era il mio credo, la mia filosofia di vita… Finché non è arrivata Pasi.

Da quando l’avevo incontrata, il mio mondo si era ribaltato: aveva messo a soqquadro le mie priorità e mi aveva messo involontariamente davanti ad una scelta che mai avrei voluto fare, ma mi aveva anche aiutato a risalire dal fondo, mi aveva sorretto innumerevoli volte,  nonostante io l’avessi sempre messa in un angolo, nonostante avessi continuato a darle poco spazio.

Ero una persona difficile da amare, eppure lei lo stava facendo ed era grazie al suo amore se ero riuscito ad andare avanti, durante uno dei periodi più bui della mia vita.

Ecco perché decisi di ripagarla in qualche modo, prima di partire per il tour. Motivo che mi aveva spinto a parlare con Stefano, perché dopo avergli detto ciò che avevo dentro di me, mi sentii più libero di chiedergli il favore che mi aveva portato dov’ero in quel momento.

Prima di partire per la tournée, dovevo assolutamente fare quello che ero in procinto di compiere… Sperando che potesse essere un incontro civile e non uno scontro di lotta libera.

Avevo chiesto a Stefano di condurmi in quel luogo, perché non conoscevo l’indirizzo esatto e l’unica persona che poteva dirmelo, era l’unica a cui non volevo far sapere che fossi intenzionato ad andarci.

Una volta andato via il mio accompagnatore, rimasi ad osservare quell’abitazione: solo qualche mese prima Pasi viveva lì e nel momento in cui avrei varcato la soglia, sarei entrato nel suo passato, avrei conosciuto una parte della sua vita che apparteneva a ciò che ancora non conoscevo di lei. Probabilmente il mio desiderio di conoscere tutto ciò che la riguardava, aveva avuto un ruolo importante nel farmi prendere quella decisione e assaporai quel momento, bloccato tra il desiderio di andare avanti e la contemplazione di quell’attimo in cui stava per mutare qualcosa nel nostro rapporto.

Quando mi decisi a compiere quel passo verso casa sua, riportai alla mente il discorso che avevo preparato e bussai alla porta concentrato: in un modo o in un altro, avrei detto ciò che mi premeva far sapere.

Venne ad aprirmi suo padre. Non avevo ancora avuto modo d’incontrarlo, ma la parentela con la mia  strega era palese sul suo volto: avevano gli stessi tratti somatici e gli stessi occhi verdi, che però nel caso del suo genitore, erano molto più spenti e non avevano quel guizzo vitale che adoravo osservare sul volto di Pasi.

Mi guardò con evidente sorpresa e curiosità sul viso, perciò mi affrettai a presentarmi.

«Buonasera, lei è il signor Vittorio Isoardi?»

«Sì, sono io… Chi mi cerca?»

«Sono Emile Castoldi… Sono il ragazzo di sua figlia Pasi.»

Vidi il suo sguardo indurirsi e prima che potesse cacciarmi in qualche modo, mi affrettai a continuare la mia presentazione: «Pasi non sa che sono qui e non voglio nemmeno farglielo sapere. Sono venuto perché credo che stiate commettendo un grave errore nel tenerla lontano dalle vostre vite, come se fosse un’estranea, senza sapere alcunché al suo riguardo… ad iniziare dalla mia esistenza.»

La diplomazia non era mai stata il mio forte, davvero non riuscivo ad essere gentile nemmeno all’interno di una sola frase… Sperai di non aver iniziato col piede sbagliato, ma ero consapevole che serviva uno scossone per svegliare i genitori di Pasi dal loro coma indotto e dall’orgogliosa indifferenza che rivolgevano alla loro ormai unica figlia.

«La vedo soffrire ogni giorno per un rapporto che non riesce ad avere con voi, che siete le persone più importanti della sua vita e non riesco a capire il motivo per cui voi che l’avete cresciuta, non vediate tutte le qualità che la contraddistinguono e che ne fanno la splendida persona che è.»

Come volevasi dimostrare, suo padre mi guardò con un’espressione sempre più diffidente e minacciosa e mi rispose con poca grazia: «Ma lei come si permette di venire a bussare a casa mia, per sputare sentenze gratuite dal perfetto estraneo quale è? Per quello che mi riguarda potrebbe essere un qualsiasi truffatore, spacciatosi per una persona che non conosco! Non abbiamo niente da dirci, il rapporto con mia figlia non è affare che le compete.»

Vittorio stava per chiudere la porta di casa: dovevo insistere in qualche modo, a costo di sembrare un perfetto maleducato, così poggiai una mano sulla porta per contrastarne la chiusura.

«Sua figlia è venuta qui il mese scorso e avete avuto una discussione, perché lei l’ha accusata di aver abbandonato la famiglia e qualche tempo dopo ha incontrato sua moglie per strada, con cui ha avuto un’altra discussione.  Come potrei sapere una cosa simile, se non avessi parlato con Pasi?»

La porta si arrestò e il padre della mia streghetta, mi guardò dal poco spazio ancora rimanente tra l’anta e l’uscio: «Cosa vuole lei, da noi? Il rapporto con nostra figlia non è affar suo.»

«Lo è dal momento in cui ho scelto di starle accanto, perché voglio vederla felice ed ora non lo è. Le mancate e vi sente ogni giorno più lontani.»

La mia mano era ancora ferma sulla porta e continuai a fronteggiare deciso il volto dell’uomo che avevo davanti. Stavo rischiando di ferirmi: se Vittorio avesse deciso di chiudere la porta violentemente, questo avrebbe potuto pregiudicare la mia capacità di suonare, ma ero intenzionato a non farmi sconfiggere per nessuna ragione al mondo.

Per fortuna le mie parole dovettero risultare convincenti, in qualche modo, perché il padre di Pasi finalmente aprì la porta e seppur riluttante, mi fece entrare: «Smettiamola di dare spettacolo e parliamo come si deve, in casa.»

Pasi aveva ragione: quell’uomo avrebbe fatto di tutto pur di non far parlare i vicini!

Appena varcai la soglia di casa, vidi arrivare in lontananza quella che doveva essere la madre della mia ragazza. Aveva un aspetto patito: i segni della sofferenza erano ben visibili nelle occhiaie profonde, nel volto emaciato e nei capelli sciupati. Quella donna non si curava più di se stessa da tempo. Mi ricordò terribilmente mia madre e sentii una fitta al cuore nel ripensare a lei: quel vuoto mi avrebbe segnato per il resto della vita e al solo pensiero che anche Adele potesse finire nello stesso stato di mia madre, sentii ancora più forte il desiderio di fare qualcosa per avvicinarla a sua figlia, che di sicuro sarebbe stata in grado di farla risalire dal pozzo di sofferenza in cui era caduta, di ridarle la gioia di vivere e la speranza, come aveva fatto con me.

Rimasi sull’uscio senza perdermi in inutili convenevoli e iniziai a parlare appena la madre di Pasi fu abbastanza vicina da sentirmi.

«Non voglio imporvi la mia presenza più di quanto sia necessario, quindi andrò direttamente al sodo: vostra figlia è una persona eccezionale. È stata in grado di ridarmi fiducia negli esseri umani nel modo più eroico che io conosca: con la pazienza, la dedizione e l’amore incondizionato. Senza il suo appoggio, probabilmente ora sarei solo un mucchio di rabbia tenuta insieme a stento, invece grazie a lei sono riuscito a riprendere i fili della mia vita. Vostra figlia è in grado di donare un amore infinito alle persone di cui si circonda, quello che fa con tutti ha qualcosa di miracoloso; so che voi non date peso al suo impegno comunitario e mi permetto di dirvi che state sottovalutando uno dei pregi più grandi di cui è dotata.»

«Ho capito, lei è un altro di quei perditempo della comunità, allora.»

Vittorio mi guardò con superiorità, come si guarda un insetto fastidioso e iniziai ad avvampare di rabbia: sicuramente i miei piercings e le parole che avevo detto, mi avevano bollato ai suoi occhi come un “drogato”,  qualcuno che è considerato solo feccia perché nella vita ha preso la strada sbagliata. Odiavo le persone che si fermavano a giudicare dall’apparenza e quelle piene di pregiudizi vecchi e assurdi: se fosse stato un perfetto estraneo, avrei sicuramente risposto per le rime a quell’uomo che viveva con i paraocchi. Ma mi ero ripromesso di dire tutto ciò che avevo intenzione di far sapere loro, prima di uscire da quell’abitazione e se mi fossi fatto prendere dall’ira, nessuno avrebbe più dialogato civilmente. 

«No, io non appartengo alla comunità, la mia esperienza è del tutto personale:  Pasi è stata accanto ad una donna malata, ogni santo pomeriggio per mesi, sacrificando tante ore della sua vita senza nemmeno essere pagata, ma solo per poterle dare conforto e per aiutare me e mio padre. Ha riportato il sorriso in casa nostra salvando tutti i suoi abitanti, è una gran donna e dovreste iniziare a conoscerla davvero per quella che è,  non per quello che fa ai vostri occhi.»

«Non tollero quest’atteggiamento: non solo entra in casa mia con la forza, ma si permette anche di sentenziare…»

«Mi sono permesso esclusivamente perché ho visto troppo spesso sul viso di Pasi, il dolore per non essere apprezzata e accettata da voi. I genitori sono dei pilastri per ogni essere umano e lei finora ne ha sempre fatto a meno. Pasi è forte, ha affrontato due lutti nell’arco di pochi mesi quasi del tutto da sola, riuscendo persino a dare appoggio a chi soffriva come lei. Ma anche le persone più forti hanno bisogno di avere il sostegno e l’affetto di coloro che amano e Pasi ha bisogno di voi, ha bisogno dei propri genitori e di un affetto incondizionato. Quello stesso affetto che lei dona a tutti, senza chiedere altro in cambio.» 

«Quando l’ho vista non mi sembrava che stesse male.»

Sua madre prese parola per la prima volta dopo il mio monologo, la sua frase aveva una nota di disappunto, eppure sentivo anche una reale preoccupazione dietro di essa.

«Apparentemente non mostra alcun dolore, ma ogni volta che la vedo osservare mio padre, ogni volta che noto quanto lui sia ciò che di più vicino ad un genitore lei abbia, sento la sua tristezza. Il suo sguardo si vela ogni volta che accenna a voi… perché deve soffrire per la vostra mancanza, quando siete entrambi vivi?»

Il mio pensiero corse nuovamente a mia madre, ma non dovevo permettere che il mio dolore offuscasse la mia mente e mi distraesse dal mio scopo.

Volsi lo sguardo in direzione di entrambi, sperando di essere stato il più convincente possibile: avevo solo le parole da parte mia, non avrei potuto aprire le loro teste e modificare i loro pensieri. Dovevo solo sperare  di essere stato abbastanza convincente da far breccia nella loro orgogliosa ostinazione… quella stessa ostinazione che ogni volta mi faceva cedere alla volontà della mia strega.

«Meno di un anno fa, avevate due figlie ed ora vivete come se fossero morte entrambe. Perché avete deciso di mettere alla porta, l’unica figlia che vi è rimasta? Cosa ha fatto di così sbagliato, per non meritare il vostro affetto?»

Forse mi ero spinto troppo oltre, ma dovevo giocarmi tutte le carte, dovevo rischiare di essere insolente, per farli riflettere. Vidi Adele stringersi il petto, come se stesse cercando di trattenere un grande dolore, mentre Vittorio divenne il ritratto della rabbia.

«È lei che ha scelto di andarsene da casa! Non l’abbiamo mai messa alla porta! Non accetto che lei venga in casa mia ad offendermi!»

«Può anche non averle chiuso la porta in faccia direttamente, ma con la sua freddezza e chiusura, le ha precluso ugualmente la possibilità di dialogare e avere un rapporto sincero con voi!» iniziai ad alterarmi anch’io, l’ostinazione di quell’uomo era davvero irritante!

«Se ne vada immediatamente, fuori da casa mia!»

«Mia madre è morta e non potrò più abbracciarla finché vivrò. So quanto si sta male quando si perde una persona cara e so che questo dolore, dovrebbe servire per capire che dobbiamo viverci le persone care finché sono in vita: non uccidete Pasi prima del tempo!»

Adele iniziò a piangere e scappò via, mentre Vittorio cercava un modo per farmi uscire da quella casa. Ma io ero piantato davanti alla porta e se non mi fossi spostato, nessun uscio sarebbe stato aperto.

«Chiamo la polizia, la farò arrestare per violazione della privacy!»

«Quanto vi terrà in piedi l’orgoglio? Quanto vi aiuterà a superare il dolore per la perdita di vostra figlia? Trovate logico piangerne una morta e allontanare l’altra ancora viva? Mi auguro che possiate rifletterci su.»

Vittorio aveva la cornetta del telefono in mano, ma non aveva ancora composto alcun numero.

«Le chiedo scusa per questa invasione, ma le chiedo di riflettere su ciò che le ho detto: Pasi è ancora viva e ha bisogno dei suoi genitori, ha bisogno di piangere Simona con voi, ha bisogno di andare avanti e di sentirsi appoggiata da chi le ha dato la vita. Non uccidetela, non eliminatela dalle vostre esistenze.»

Rimasi per qualche secondo ancora fermo in quell’ingresso: di Adele non c’era più traccia, ma sentivo i suoi singhiozzi in lontananza, mentre Vittorio era ancora fermo con la cornetta in mano e lo sguardo basso, fisso su un punto non ben definito. 

Sentii di aver detto tutto ciò che era in mio potere e mi decisi a concludere quella visita forzata.

«Non si scomodi a chiamare la polizia, levo subito il disturbo… Arrivederci.»

Senza attendere una replica, aprii la porta e andai via da quella casa, mettendomi alle spalle tutto il dolore e le parole scomode che vi avevo lasciato dentro, con la speranza di essere riuscito a seminare in quelle due persone devastate da dolore, la volontà di riabbracciare davvero, la loro unica figlia.

























___________________________________________

NDA - the last one

Eccomi qui, è questa è davvero l'ultima volta. La storia ora è davvero conclusa. *me tira su col naso*
Spero che abbiate apprezzato questo capitoletto extra, perché mi è piaciuto per una volta, entrare nei pensieri di Emile e dargli anche la possibilità di ripagare Pasi per tutto ciò che la ragazza ha fatto per lui. Non so se il suo gesto avrà delle conseguenze, ma mi piaceva mostrarvi che nel Pel di Carota c'è un piccolo Darcy, che silenziosamente cerca di risolvere i problemi della sua amata, senza farsene un vanto. 
Aspetterò di sapere i vostri pareri, per chi vorrà darmeli. ^ ^

Grazie a tutte per essere arrivate fin qui.

















 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=803999