Rosso come il Destino di Deilantha (/viewuser.php?uid=133509)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Bonus Track ***
Capitolo 1 *** Capitolo 01 ***
“In
Giappone si dice che ogni persona quando nasce porta un filo rosso
legato al
mignolo della mano sinistra.
Seguendo
questo filo, si potrà trovare la persona che ne porta
l'altra estremità legata
al proprio mignolo:
essa
è la persona cui siamo destinati, il nostro unico e
vero amore, la nostra anima gemella.
Le
due
persone così unite, prima o poi, nel corso della loro vita,
saranno destinate
ad incontrarsi,
e
non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che
ciò
avvenga, o la distanza che le separa,
perché
quel filo che le unisce non si
spezzerà mai,
e
nessun evento o azione potrà impedire loro di ritrovarsi,
conoscersi, innamorarsi.”
Capitolo 1
Era
una strana creatura Emile. Ma l’amavo. L’amavo con
tutta me
stessa.
E
amavo il suo nome francese, unico lascito di una madre che si era
arresa tropo presto alla depressione, dimenticandosi di tutto e di
tutti,
vivendo un’esistenza grigia
dove il
figlio e il marito erano ombre ai margini della sua coscienza. Ma pur
vedendola
così assente, Emile amava immensamente sua madre: in passato
era stata una
cantante di discreto successo, poi si era innamorata ed era fuggita via
col suo
uomo, abbandonando “momentaneamente” la carriera,
convinta di poterla recuperare.
Invece la casa discografica non
gradendo questa fuga, le rescisse il contratto, lei rimase incinta e
d’un
tratto il suo mondo cambiò. Pensò di potersi
dedicare anima e corpo alla nuova
vita che cresceva dentro di lei, già si vedeva madre felice
ricolma d’amore e
già pensava ad un rilancio della sua carriera… ma
la depressione post partum
l’aveva travolta e non ne era più uscita.
Emile
era cresciuto ascoltando la voce di sua madre: aveva la musica
nel sangue e prima ancora di saper parlare, già cantava.
Perciò non c’era da
stupirsi se a 22 anni era un prodigio nel canto e un polistrumentista
talentuoso che nel suo piccolo faceva parlare di sé.
Lo
conobbi durante un concerto: ero con i miei amici, felice come una
Pasqua perché eravamo riusciti a portarci tutto il nostro
gruppo (cosa molto
rara!), persino
quella gran poltrona di
Sofia che non si schiodava mai da casa propria e dal suo mondo
interiore. Io
amo circondarmi delle persone care, amo riempirmi la vita di emozioni
condivise, di dolori vissuti in gruppo e di gioie amplificate e questo
era il
concerto di uno dei miei gruppi preferiti, i TresneT:
ascoltare dal vivo la
loro musica era già un’esperienza travolgente per
me, ma riuscire a
condividerla con tutti i miei amici più cari, cantare
insieme le loro canzoni,
sarebbe stato indimenticabile!
E
in effetti fu così… ma non nel senso che
immaginavo! Mentre facevamo
la fila per accedere al luogo in cui si sarebbe tenuto il concerto, ero
a dir
poco su di giri, mi muovevo in continuazione parlando a raffica con
tutti,
tessendo le lodi del
gruppo e
raccontando la storia della vita di ogni componente: dal batterista con
un
passato da
alcolista, passando al
bassista ex violinista per finire al cantante appena uscito da una
crisi
d’identità, che gli era valsa la scrittura dei
brani dell’ultimo album… Ero nel
pieno del mio papiro elogiativo quando le mie orecchie iniziarono a
sentire un
brusio di fondo che stonava con la mia composizione: c’era
qualcuno che stava
criticando i TresneT! Al loro
concerto! Mi stizzii immediatamente, pietrificata al solo pensiero che
tra noi
ci fosse qualcuno che non li venerasse e a quanto sembrava, era proprio
così!
Nella
fila accanto alla mia, ma indietro di due posizioni, un tipo
alto e magro, con i capelli rossi, corti ma lasciati più
lunghi sulla parte
superiore della testa a formare un piccolo cespuglio riccio e una fila
di
piercing all’orecchio destro,
stava
parlando con altri due ragazzi: aveva il viso volto in un atteggiamento
di
disprezzo, agitava una mano mimando un accordo di chitarra/basso (da
cui capii
chi stava criticando) e non si faceva scrupoli ad alzare la voce. I
suoi amici invece,
qualche scrupolo se lo facevano, dato che uno dei due lo guardava
sorridendo
con imbarazzo mentre l’altro era totalmente a disagio, ma a
quanto pareva, il
tipo sprezzante non ne teneva
affatto conto, perché continuò imperterrito nella
sua sequela.
Mi
fumavano le orecchie per la rabbia, che doveva essere ben evidente
sul mio viso, dato che Margherita mi prese il braccio guardandomi
preoccupata
mentre Stefano diceva a Federico:
«Ecco che Testarossa
parte, ci sarà da divertirsi!»
“Testarossa”
era il soprannome che mi aveva dato Sté quasi in
un’altra
vita: mi conosceva praticamente da sempre, eravamo stati compagni di
classe
alle medie e alle superiori (ovvero fino all’anno precedente)
e sapeva
benissimo quanto poco ci mettevo a scaldarmi quando mi toccavano
qualcosa a cui
tenevo con tutto il cuore. Da qui il soprannome di Testarossa,
come quella di un fiammifero e non per il colore dei
capelli, che invece erano di un nero cupo dai riflessi blu; una specie
di
Morticia Addams col caschetto, ma senza il suo charme! E la suddetta
mancanza
si mostrò proprio in quell’occasione, nel momento
in cui persi le staffe ed
iniziai a ribattere ad una conversazione a cui non ero stata invitata a partecipare.
«Scusami ma
perché
sei venuto a questo
concerto se i TresneT non ti
piacciono?! Non ti
accorgi che le tue critiche stanno dando fastidio a tutti? È
come se arrivasse
un prete in una riunione di Mussulmani a dire “State
sbagliando fede”: chi ti
dà il diritto di venire a rovinarci il concerto?!» sentii il silenzio che si
era formato d’un tratto nelle
nostre due file: stavo dando spettacolo e la folla era in attesa della
risposta
per sapere se avrebbe ricevuto un bell’intrattenimento
nell’attesa di entrare.
Sentivo
Stè che ridacchiava alle mie spalle mentre gli altri si
tendevano in preda al disagio… Sofia di sicuro si stava
pentendo amaramente di
essere venuta!
Ma
tutto questo contorno di persone m’interessava ben poco:
ormai ero
lanciata nella mia battaglia personale in difesa dei miei eroi e non
volevo
uscirne sconfitta in alcun modo, tutto il mio essere era pronto a
ricevere la
risposta del rossino che mi stava guardando interdetto.
O
almeno lo era stato per i primi secondi, mentre ascoltava
l’intro
della mia arringa. Ma mano a mano che parlavo, ho visto il suo volto
mutare dal
sorpreso al sarcastico.
«Ecco perché non
sopporto voi fans esagitati, come sentite un minimo di critica
costruttiva
rivolta ai vostri idoli senza macchia, dimenticando che sono comuni
esseri
umani, partite in quarta pronti all’attacco senza nemmeno
sapere di cosa si
tratta!»
Esagitata
a me? Beh sì, in effetti lo ero, ma come si permetteva lui,
che nemmeno mi conosceva?! Nell’arco di due minuti aveva
offeso i miei dei
della musica e anche la sottoscritta, questa era un’onta che
andava lavata via
col sangue!
«Potrò anche
essere
esagitata, ma almeno non mi presento ad un concerto di un gruppo che
evidentemente disprezzo, con il solo scopo di criticarlo e dar fastidio
a chi
invece l’apprezza! Sembra quasi che tu ne sia invidioso e sia
venuto qui per
infangarli come la volpe con l’uva!»
feci un sorrisetto soddisfatto, occhio per occhio, offesa per offesa!
Ma la mia
soddisfazione durò poco, quello lì era un osso
duro!
«Un altro motivo per
cui non sopporto i fans esagitati: non avendo argomenti plausibili,
mettono in
mezzo il solito discorso dell’invidia. Se proprio ci tieni a
saperlo sono qui
perché mi hanno invitato, non avrei mai speso un soldo di
mia volontà per
assistere ad un concerto di una boyband
dalle ore contate e non sono venuto qui con lo scopo di dar fastidio,
dato che
conversavo tranquillamente con i miei amici e non ero di certo a tenere
un’arringa pubblica, come sta facendo qualcun altro in questo
momento!»
Mi
guardò con aria di sufficienza e un sorriso soddisfatto: era
riuscito a stravolgere la situazione, ero io ora ad apparire la
disturbatrice
che monopolizza l’attenzione e disturba il pubblico in
attesa! E aveva dato
della boyband ai TresneT!
Oddio come non lo sopportavo!
«Io non sto
disturbando proprio nessuno, difendo il gruppo che amo e se non te ne
fossi
accorto, non sono l’unica qui che è venuta per
ascoltarlo e non per criticarlo!
Eri liberissimo di non accettare l’invito se ti fanno tanto
schifo o non avevi
nient’altro di meglio da fare?»
Oh,
l’avevo messo a posto, Testarossa=2, Rossino Odioso=1!
Vidi
il suo sguardo lampeggiare per un momento, ma all’improvviso,
campeggiò un sorriso astuto sul suo volto, come per un
ripensamento repentino:
«Considerato che
volente o nolente, sto dando spettacolo e sto anche pagando per farlo,
a questo
punto ti lancio un invito ad ascoltare la vera musica: se sei
così convinta che
i tuoi idoli siano il miglior gruppo del mondo, domani sera vieni al Dada alle 22:00, così capirai
cosa
significhi ascoltare un vero gruppo! Anzi venite tutti, visto che ci
siamo!»
A
queste parole si alzò un polverone di domande: erano tutti
curiosi
di sapere chi si sarebbe esibito, incuranti delle ripetute offese date
al
nostro amato gruppo: quel tipo terribilmente irritante aveva
approfittato della
caciara per fare pubblicità a qualche gruppetto di belle
speranze ed era
riuscito ad attirare l’interesse di tutta la sua fila!
Miscredenti!
Ed
io che avevo lottato anche per loro!
A
quel punto ero rossa di rabbia ed ero stata battuta, perché
non
avevo più possibilità di replicare, visto il
vociare che si era creato intorno
a lui. Sentivo Stè che rideva a crepapelle, divertito come
non mai dal mio
spettacolo: era uno dei miei migliori amici e forse l’unico
che non mi faceva
pesare questo carattere impulsivo che mi trovavo, essendo sempre
divertito
dalle mie “passionali argomentazioni”, come le
chiamava lui ed era una panacea
per me, che spesso mi pentivo di aver parlato un po’ troppo.
Mi alleggeriva il
senso di colpa per non aver tenuto la bocca chiusa e mi faceva sentire
meno sbagliata.
Ma in quel momento l’avrei fucilato! Ero troppo arrabbiata e
mortificata per
soprassedere a ciò che era appena accaduto e le sue risate
mi facevano sentire
ancora più ridicola!
«Che ti ridi tu
stupido!? Potevi anche parlare e aiutarmi, non piacciono forse anche a
te i TresneT? O sotto sotto anche
tu sei come
quell’imbecille lì e vieni solo per criticare?!»
Ero
al culmine della rabbia e sentivo già
l’umidità salirmi negli occhi,
quando Margherita mi prese per le spalle e riuscì a placare
il fuoco che mi
stava divorando.
«Calmati
Pasi, ti stai agitando troppo e ti stai rovinando la
giornata, vuoi dargliela vinta in questo modo? Ora rilassati e
dimenticalo, sei
con i tuoi amici e stai per ascoltare il tuo gruppo preferito, dieci
minuti fa
eri al colmo della gioia, torna in quello stato d’animo e non
pensare più ai disturbatori
fastidiosi.»
Margheritina
mia, menomale che c’era lei! Con la sua calma mi
riportava sempre a ragionare e a non farmi arrivare ad un passo
dall’ulcera,
era la mia medicina personale!
«Hai ragione Rita,
ora mi calmo, non vale la pena rovinarsi una giornata splendida per un
deficiente!» Caricai
l’ultima parola di tutto il mio
disprezzo, prima di fare un respiro profondo
per ritrovare la calma, come mi aveva insegnato Sofia, che
praticava yoga
ormai da anni e spesso ci dava dimostrazioni pratiche di quanto una
respirazione regolare e profonda potesse calmare l’animo
più sconvolto.
Dopo
quest’avvenimento a dir poco fastidioso, cercai di non
pensare
più a quel tipo odioso e di godermi la giornata: la fila
iniziò a scorrere più
velocemente (e non poteva farlo prima?!), i cancelli si aprirono e fui
proiettata
nel mio piccolo Paradiso! Il concerto fu bellissimo ed io me lo godetti
tutto,
ma ogni tanto mi saliva alla mente quello che avevo sentito dire da quel tipo
insopportabile prima di
infuriarmi: “Due accordi ripetuti continuamente cambiando
solo il background
non sono musica, è commercio spietato”,
questa frase mi rimbombava nella testa ogni volta che
sentivo il
chitarrista o il bassista e iniziai a sentire i brani in modo critico.
La
musica era sempre stata sinonimo di trasporto emotivo per me, mi
appassionavo
ad un brano quando mi trasmetteva emozioni, quando senza nemmeno
capirne il
testo, sentivo un magone improvviso, oppure avevo voglia di gridare al
mondo la
mia felicità. Ma ora quel tipo iniziava a farmi percepire la
musica da un punto
di vista tecnico più che emozionale: era così che
la percepiva lui? Sentiva
solo la tecnica senza farsi trasportare dalle emozioni? Che razza di
musica
ascoltava allora? Magari era un fissato di robetta classica o di
strumenti
suonati in modo improbabile pur di sembrare dei geni creativi! Ed io mi
stavo
perdendo il concerto per pensare a certe cose!
Alla
fine della serata, Stè esordì con:
«Allora Testarossa,
a che ora vengo a prenderti domani?»
Lo
guardai interdetta, non avevamo parlato di uscire, né
avevamo alcun
appuntamento…
«Di cosa stai
parlando Testa di Paglia?»
La
mia originalissima contromisura al soprannome di Stè: aveva
i
capelli biondissimi, tant’è che alle medie lo
prendevano in giro chiamandolo
svedese e siccome non era facile trovare capelli così chiari
intorno a noi, quando
iniziò a chiamarmi “Testarossa”, decisi
di controbattere con la stessa moneta,
criticando il colore dei suoi capelli. Ok, è vero che la sua
era stata una
trovata più originale, rispetto alla pura critica fisica, ma
ad una ragazzina
di undici anni colta nel suo punto più debole e facile a
perdere le staffe
senza ragionare, al momento non venne nulla di più originale
in mente! E poi
quell’anima sempre allegra di Stè non se la prese
minimamente, anzi, ci fece
una risata su e accettò il soprannome di buon grado.
Così in classe iniziarono
a chiamarci Le Teste di Fuoco, e
diventammo una coppia indivisibile!
«Sto parlando
dell’invito del tuo nuovo fan, l’esibizione di
domani al Dada alle 22:00»
Sgranai
gli occhi per lo sbigottimento: Stè voleva dare
soddisfazione
a quel tipo! E si aspettava che ci andassi anche io!
«Ma
dico stai scherzando vero?! Non darò una soddisfazione
simile a quello lì nemmeno se mi pagano! Non
andrò a sentire un gruppetto da
quattro soldi facendo il suo gioco!»
Stè
mi guardò divertito, come qualcuno che ti conosce talmente
bene
che sa già cosa farai prima ancora che tu stessa ci abbia
pensato.
«Ok, allora passo a
prenderti alle 21:00, così arriviamo presto e non ti perdi
lo spettacolo!» e
come al suo solito, si fece una
bella risata. Margherita, Fede e Sofia non furono minimamente
interpellati
perché sapevamo che non sarebbero venuti: Sofia
ci aveva già donato la sua uscita settimanale e
mai sia che facesse bis,
Rita era “super impegnatissima” come diceva lei,
tra università, palestra e
lavoro part-time (persino il suo nome preferiva accorciarlo in qualcosa
che
fosse sbrigativo e facesse perdere meno tempo!), Fede aveva il lavoro
nella
comunità che era la sua vita, quindi come al solito,
rimanevamo io e Stè, Le Teste di
Fuoco, sempre pronti a fare
casino quando ce n’era occasione. E
tutto sommato era vero, volevo andarci per sentire che razza di gruppo
stava
promuovendo quel tipo!
________________________________
NDA
Questa è la prima storia che pubblico che non sia una
one-shot. Finalmente, a quanto pare, la mia ispirazione
sembra essere un pò più duratura, per cui sono
altamente felice di poter iniziare a pubblicare qualcosa che non si
fermi ad un solo capitolo!
Perciò, al di là del riscontro che
potrà avere con i lettori, sono davvero felice e soddisfatta
per averle dato la luce. Ovviamente spero che la mia piccola creatura
possa piacere e che lasci qualcosa ai lettori, come sta
facendo a me che la scrivo.
Ringrazio come sempre la mia Tomodachi, Iloveworld,
perchè è diventata la mia Beta Reader,
perchè mi ha spronato a scrivere qualche mese fa quando ci
siamo conosciute e perchè lo fa tutt'ora col semplice fatto
di esserci. :*
Grazie
mille per essere passati da qui ^ ^
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Capitolo 2 *** Capitolo 02 ***
Capitolo 2
Trascorsi
quel giorno pensando a come affrontare la serata: cosa dire
in caso avessi incontrato quel rossino (sperando di non doverlo
vedere!) e come
reagire in caso il gruppo mi fosse piaciuto… Ma
quest’ultimo pensiero
lo tenevo stretto dentro di me e
nessuno mai avrebbe sentito dalla mia bocca parole di elogio per questo
fantomatico gruppo di dei della musica! No, lo avrei criticato e me ne
sarei
tornata a casa piena di gioia e soddisfazione! Però
andandoci avrei fatto il
gioco di quel tizio, pagando per sentire il suo gruppetto…
Il
suo gruppetto….
Il
suo gruppetto!
Vuoi vedere che era un
musicista anche lui! Ma certo, perché non c’avevo
pensato prima?! Era venuto al
concerto dei TresneT per osservare
la
“concorrenza”, ecco perché li criticava
ostentatamente! Allora dovevo andarci
di sicuro a sentirlo! Non m’importava più di
dargli soddisfazione, di fare il
suo gioco e di finanziare la sua esibizione, dovevo vedere che razza di
musicista tronfio ed esaltato era, per vendicarmi in seguito con la
più aspra
delle critiche!
Stè
passò a prendermi in perfetto orario e anche io stranamente
ero
stata del tutto puntuale, come tenne e precisare anche Testa di Paglia:
«WOW! Non ho atteso
che un minuto, deve proprio interessarti parecchio
quest’esibizione! Da quanto
ti stavi preparando?»
Stè
mi conosceva troppo bene per non sapere che la mia rara
puntualità
era frutto di una preparazione ben studiata da tutto il pomeriggio:
vestito,
trucco e parrucco non sono cose che si possono inventare in
mezz’ora,
soprattutto quando scendi in guerra e devi mostrare il meglio di te!
«Uff, non posso
nasconderti mai nulla! Stasera sono armata fino ai denti Testa di
Paglia, devo
essere al meglio e non c’è nulla di più
galvanizzante per l’animo di una donna,
del sentirsi perfettamente preparata!»
Stè
si fece una delle sue belle risate allegre:
«Non finirete mai di
stupirmi voi donne, avete la capacità di dare
profondità alle cose più stupide!»
e così dicendo fece partire
l’auto.
Arrivammo
al Dada verso le
21:30, in tempo per evitare la folla dell’ultimo secondo e
aggiudicarci un
piccolo tavolino da cui goderci lo spettacolo: il
locale era nato per ospitare esibizioni
artistiche di ogni genere ed era provvisto di un bel palco che rendeva
ogni
spettacolo visibile da qualsiasi posizione. Era aperto ormai da dieci
anni e
sembrava essere un evergreen, c’era sempre folla al Dada!
In
poco tempo infatti, tutta la sala si riempì e il vociare
divenne
insopportabile, finché finalmente qualcuno salì
sul palco, presentò il gruppo e
con la prima nota si accesero anche le luci su di esso: da
lì in poi il tempo
per me si fermò.
Avevo
avuto la giusta intuizione, il rossino era il cantante del
gruppo: al centro del palco, abbigliato totalmente di nero, la sua
chioma
accesa risaltava come il fuoco ardente di una torcia, e proprio come
una fonte
di luce, rubava la scena al resto del gruppo. Non era particolarmente
dinamico,
come molti frontmen che vanno su e
giù per il palco al pari di un acrobata, bensì
cantava restando fermo al suo
posto, ma seguendo con il corpo il ritmo della musica e girandosi di
tanto in
tanto verso gli altri membri del gruppo. C’era
però qualcosa che lo rendeva assolutamente
carismatico, qualcosa a cui non ero pronta: la sua voce. Era aspra e
graffiante, ma aveva qualcosa che ti arrivava al cuore,
un’asperità di quelle
che ti causano una fitta, che non dimenticherai più. Cantava
con passione,
mettendoci tutto se stesso; sentivo che in quel momento stava
trasmettendo le
sue emozioni agli astanti, incurante del fatto che
l’ascoltassero o meno. Guardava
il pubblico mentre cantava, con un’espressione intensa che
quasi mi faceva
paura, ma avevo l’impressione che cantasse per qualcuno che
non era lì, come se
stesse dialogando con un ascoltatore invisibile e volesse fargli
arrivare le
sue parole. Credo
di essere rimasta
pietrificata per tutta la serata, perché riesco a ricordare
solo lui, che canta
e che ad un certo punto prende una chitarra e si getta in un assolo che
mi ha
messo i brividi. Ricordo solo che all’accendersi delle luci
in sala, nel caos
degli applausi e delle urla, ho visto Stè che mi guardava
sorridente e
soddisfatto:
«Credo proprio che
sia valsa la pena di venire qui stasera, vero?»
Lo
guardai come se provenisse da un altro pianeta, poi mi riscossi e
feci un pallido cenno di assenso:
«Non ho mai sentito
qualcuno cantare in questo modo Stè! Sono sbalordita!»
Testa
di Paglia mi diede un pizzicotto sulla guancia, in un gesto
affettuoso di supporto e andò a prendere due birre. Io ne
approfittai per osservare
la gente intorno a me: molti
astanti stavano andando via, altri invece come il mio amico, erano
andati a
rifornirsi per un’ultima bevuta e pochi altri erano intenti a
parlare
animatamente. Qualcuno era sotto il palco indicando gli strumenti,
erano in
cinque e di sicuro parlavano del gruppo perché avevano un
volto molto simile a
quello che sentivo di avere io, ma c’era anche una certa
soddisfazione in più.
Molto probabilmente erano dei fans che conoscevano bene quei musicisti.
Solo
allora mi accorsi che uno di loro aveva dei depliants in mano e che li
stava
distribuendo girando per la sala, finché arrivò
anche al mio tavolo:
«Ciao, scusa se ti
disturbo, se ti è piaciuto il gruppo stasera, volevo
lasciarti questo flyer con le
prossime date, così potrai
sapere dove trovarli se vuoi sentirli ancora.»
Era
un ragazzo con gli occhiali e un orecchio tempestato di piercing,
sicuramente coetaneo e amico del gruppo del rossino, che li stava
aiutando a
promuoversi.
«Grazie, lascia pure
qui.» mi ritrovai a dire prima
ancora di rendermene
conto, «Sono
sba…»
avevo iniziato a commentare
l’esibizione con lui, ma si era già allontanato
verso il prossimo tavolo «…lordita..».
Guardai
il flyer: avevano
tantissime date, tutte nei locali dei dintorni
e anche qualcuna a chilometri di distanza, in fondo
all’opuscolo c’era
anche la notizia che stavano incidendo il loro primo album: non erano
così
principianti allora! Per incidere dovevano avere una casa discografica
che li
aveva sentiti e apprezzati e soprattutto, dovevano avere una buona
fetta di
pubblico che li amasse e seguisse da tempo!
Nel
retro del flyer c’erano
i nomi dei componenti del gruppo e li scorsi tutti cercando il nome che
m’interessava
conoscere: bassista, chitarrista, batterista, secondo
chitarrista… cantante:
Emile Castoldi. Aveva un nome straniero e un aspetto non proprio
comune, ma non
avevo sentito nella sua voce un accento particolare che denotasse la
sua
appartenenza ad un’altra nazionalità. Forse era un
nome d’arte? O forse aveva
dei genitori fantasiosi!
Iniziai
a fantasticare sulla famiglia Castoldi, al tipo di persone che
la componessero, considerato che quel tipo che tanto mi aveva sconvolto
ne
faceva parte e non mi accorsi che Stè nel frattempo era
tornato.
«Allora, quando
andiamo a risentirli?»
alzai
il capo all’improvviso sentendo la sua voce:
«Vuoi seguire il
loro tour Testa di Paglia?»
dissi sorpresa all’idea.
«Perché no
Testarossa?! Sono bravi e non puoi dire che non ti siano piaciuti;
invece di
buttare le serate da un locale all’altro senza meta, almeno
ne trascorriamo
qualcuna sentendo bella e buona musica.»
Aveva
ragione, era bella e buona musica e in quel momento realizzai
che il rossino, quell’Emile, mi aveva dato una lezione e che
io avevo perso la
sfida su tutti i fronti!
Non
risposi a Stè, iniziai a bere la mia birra e cambiai
discorso,
anche se nella mia testa mi arrovellavo per cercare di convivere con la
rabbia
di aver dovuto dar ragione a quel tipo e lo sbigottimento per aver
scoperto
melodie nuove e decisamente emozionanti ad un passo da casa mia.
Solo
quando Stè mi riaccompagnò a casa decisi di
rispondere:
«D’accordo,
andiamo!»
Testa
di Paglia mi guardò perplesso:
«Andiamo dove Pasi?»
Avevo
esordito all’improvviso dopo un lasso di tempo trascorso in
silenzio, e giustamente Stè non sapeva di cosa stessi
parlando.
«Andiamo a sentirli
di nuovo! Voglio riascoltarli e capire se sono davvero così
talentuosi o se è
stato solo l’effetto del primo impatto con la loro musica che
mi ha scioccato!»
Avevo
trovato un misero compromesso con me stessa: non volevo alzare
ancora la bandiera bianca, mi dovevo dare una seconda
possibilità e provare a
me stessa che mi ero fatta condizionare, che ad un secondo ascolto non
sarebbero
stati poi così eccellenti.
«D’accordo
Testarossa, sei sempre la solita testarda ed è inutile che
ti faccia notare che
ormai non te li leverai più dalla testa, tanto me lo dirai
tu tra qualche
tempo!» con uno dei
suoi
migliori sorrisi e uno dei soliti caldi abbracci mi salutò ,
dandomi la buonanotte.
Ma
la mia notte non fu così buona: sognai Emile che cantava,
che mi
guardava soddisfatto e mi derideva con una luce maliziosa negli occhi
perché si
era dimostrato più capace dei TresneT,
più bravo di molti musicisti affermati e mi aveva mostrato
che aveva ragione,
che la sua arroganza aveva un buon motivo di esistere.
******
«Pasifae sei sveglia?»
«Mmmmm»
«Pasifae?»
«Mmmm….mamma che
c’è?!»
«Io e tuo
padre andiamo, ricordati che ci siete solo tu e Simona oggi in casa.»
«Mmm»
«Ok, ti lascio un
bigliettino, ciao.»
Percepii
che mia madre mi stava dando un bacio prima di andar via, ma
quando mi svegliai non ricordavo più nulla di quello che mi
disse. Non che avessimo
fatto un grande discorso: cercare di svegliarmi è sempre
stata un’impresa degna
di Frodo Baggins e in questo caso, dopo una notte costellata di sogni
sgradevoli, ero molto più che assonnata! Perciò
quando mi alzai mi guardai
intorno sorpresa di non vedere anima viva in casa.
Poi
lessi il bigliettino di mia madre: lei e mio padre erano andati al
matrimonio di un cugino, a cui io e mia sorella avevamo ben pensato di
non
partecipare, così per tutta la giornata avremmo potuto
goderci un placido
silenzio. A dir la verità la mia famiglia era tutto
fuorché rumorosa: sempre attenti
a mantenere una buona reputazione per il vicinato, i miei genitori non
avevano
mai alzato la voce, tenuto un volume troppo alto o fatto rumori
molesti. L’unica
fastidiosa della famiglia ero io! Erano sempre tutti così
compiti e
impassibili, sempre pronti ad accogliere il
lato pesante e tetro della vita senza mai concedersi un giorno di
allegria… Non
avevo mai visto i miei genitori
prendersi un giorno di ferie, andare a cena fuori,
viaggiare… Doveri e
sacrifici, sacrifici e doveri, questo era il binomio perfetto di Adele e Vittorio Isoardi!
E
mia sorella Simona non era da meno: tranquilla, ponderata e pignola,
non la vedevo mai adirarsi, mai innervosirsi per qualcosa.
L’unico segno che
fosse adirata era dato dal corrucciarsi delle sue sopracciglia!
Capoclasse a
vita, beniamina di tutti gli insegnanti, sempre capace in ogni cosa che
faceva,
era l’orgoglio dei miei genitori: era anche in procinto di
laurearsi in
ingegneria e non osavo immaginare
l’uragano di orgoglio genitoriale che avrebbe investito la
casa in cui vivevo…
e che avrebbe messo per contrasto la sottoscritta nell’ombra
più cupa
dell’infamia!
Io
ero la pecora nera.
Quella
che urlava, quella che si agitava e diceva tutto quello che le
passava nella testa, ma soprattutto, ero quella che non aveva uno scopo
nella
vita. Avevo terminato le scuole superiori da qualche mese e non mi ero
ancora
decisa ad iscrivermi ad una facoltà universitaria: ormai
tutti i miei coetanei
erano presi dai corsi, Stè incluso, anche se lui la prendeva alla leggera
(come era suo
solito), mentre io ancora non sapevo nemmeno se iscrivermi o no. O
meglio,
fosse stato per la mia sola volontà, ne avrei fatto
volentieri a meno! La
scuola è sempre stata un incubo per me: chiusa in quelle
quattro mura a fare il
soldatino ubbidiente che risponde come vogliono i prof, senza poter
esprimere
un parere personale e sempre con l’ansia da prestazione per
ogni
interrogazione! Quando sei figlia di due professori, e sorella minore
di un
topo di biblioteca, tutti si aspettano da te come minimo il 100% e se
risulta
che tu sia un genio è tanto di guadagnato! Invece io a mala
pena riuscivo ad
arrivare al sette: stare sui libri mi opprime, anche se poi leggere mi
piace,
ma il solo pensiero di dover studiare pagine e pagine, di dover
forzatamente
memorizzare tutto e impararlo alla perfezione per la gioia altrui, mi
faceva
salire l’orticaria e un senso di nausea profonda!
Ma
come fai a dire ai tuoi genitori che rinunci agli studi? Per fare
cosa poi?
Avessi
avuto uno straccio di idea almeno!
Fede
appena diplomato era entrato a lavorare in una comunità per
tossicodipendenti: era un lavoro impegnativo e difficile, ma lui
l’adorava e
senza pensarci mezza volta aveva rinunciato agli studi per stare
accanto a
persone che “hanno bisogno di calore umano”,
per usare le sue parole. Qualche volta sono andata anche
io a dare il
mio contributo come volontaria e l’esperienza è
stata davvero interessante
e profonda, credo che mi piaccia
dare una mano a chi ha perso un po’ di luce lungo la strada. Ma come potevo dire ai miei
illustrissimi e
acculturati genitori che rinunciavo allo studio?
Ho
iniziato a sentirmi a disagio nella mia famiglia praticamente da
quando riesco a ricordare: ero la piccola di casa, la pestifera, quella
che
turbava la quiete e quando sono andata all’asilo, quella che
litigava con i
compagni che la prendevano in giro perché non sapeva dire il
proprio nome.
Sfido
chiunque a cinque anni a dire PASIFAE e a ricordarsi nello
scriverlo, che c’è un dittongo che non va letto!
Tutto merito della
brillantezza di mia madre, che da professoressa di greco e amante di
tutto ciò
che è ellenico, decise di darmi il nome della regina di
Creta, moglie di
Minosse e madre di Arianna… e del minotauro!
Quanto
odiavo il mio nome!
Ridicolo,
fuori moda e bersaglio facile per domande idiote e insulti
di vario genere: “Pasifae non sa il suo nome! Che razza di
nome è Pasifae?! Ma
sei turca? Ma sei straniera? E come si scrive? Allora sei una mucca! A
Pasifae
piacciono i tori!” e via dicendo scadendo sempre
più nel volgare mano a mano che
crescevo e incontravo idioti pronti a deridermi! Così per
gli amici e per tutti
quelli che incontro ora, io sono solo PASI, semplice, criptico e senza
pretese!
Guardai
l’orologio: erano le 11:00, avevo decisamente dormito troppo!
Ma quando inizi a sognare cantanti dai ricci rossi a cespuglio che ti
guardano
con aria di sufficienza mentre tu non sai se adorarlo o odiarlo, sfido
io a
dormire di meno e svegliarti riposata! Per fortuna i miei genitori non
c’erano
e potevo godermi ugualmente una bella tazza di latte e cereali! Ero in
procinto
di prepararmi la
mia ricca colazione
quando squillò il telefono:
«Pronto?»
silenzio. Sentivo qualcuno dietro
la cornetta, ma evidentemente non c’era desiderio di parlare,
altra cosa che mi
faceva saltare i nervi!
«Senti, se non hai
voglia di parlare o sei hai intenzione di dare fastidio, hai preso la
persona
sbagliata, sono già di pessimo umo…»
D’un
tratto sentii qualcuno che parlava mentre io sbraitavo infuriata:
«Pasi sono io.»
Simona
mi stava chiamando da un telefono pubblico, altrimenti avrebbe
usato i nostri cellulari per chiamare... ma dove si trovava? Doveva
essere in
facoltà ora!
«Simona, è tutto
ok?» la sentivo
restia a parlare e la
mia ansia crebbe di colpo: «È
successo qualcosa Simo!?!»
Di
nuovo il silenzio e poi dopo qualche secondo, un sospiro profondo:
«Pasi sono al pronto
soccorso, mi sono rotta una gamba!»
«CHECCOSAA?!»
Simona,
Miss Perfezione, si era fatta male! Cosa diavolo aveva combinato
per rompersi una gamba?!
«Ma chi… Che hai
combinato? O meglio, com’è successo? Qualcuno ti
ha spinto? Ti hanno picchiato?»
«N-no tranquilla,
non è accaduto niente, solo…puoi venire a
prendermi? Gli altri se ne sono
andati e non posso tornare da sola a casa...»
Gli
altri… quindi era con qualcuno, o meglio lo era stata.
«Vengo subito Simo,
aspettami!» corsi a
cambiarmi, pensando con rammarico alla mia tazza di latte e vestendomi
in tutta
fretta, scesi le scale che davano nell’ingresso e cercai le
chiavi
dell’auto…per ricordarmi che non ce
n’erano! Una era con i miei genitori e
l’altra l’aveva Simona. Dannazione! Poi mi resi
conto che c’era ancora un mezzo
di trasporto in rimessa, per quanto misero potesse essere: la mia bici.
Così
ringraziando il cielo di aver deciso
di
mettere i pantaloni, risparmiandomi un’altra salita in camera
mia per
cambiarmi, uscii di casa diretta all’ospedale con la mia
fedele due ruote.
*****
Arrivai
all’ospedale in poco tempo, parcheggiai la bici e salii al
pronto soccorso: Simona era nel corridoio, aveva già una
fasciatura alla
caviglia ed era in attesa del controllo dell’ortopedico.
Appena la vidi, mi
precipitai da lei e le chiesi senza troppe cerimonie:
«Cosa diavolo è
accaduto? Non è da te cacciarti in questi guai!» infatti, quella di solito
era una mia prerogativa…
«S...sono caduta
dalle scale in facoltà, mi hanno urtato e ho perso
l’equilibrio mentre scendevo...»
Simona non mi guardò in faccia
mentre parlava, sembrava davvero mortificata, non l’avevo mai
vista così... umana!
Mi sedetti accanto a lei e le diedi un buffetto su una delle mani che
teneva
tese sulle gambe:
«Dai su, non è la
fine del mondo, ti rimetterai presto» e
per
una volta nella vita non sarò io il bersaglio del
malcontento dei nostri
genitori, pensai con cattiveria, ma me ne pentii subito, non
era colpa di Simona
se era una figlia modello, ero io che non andavo bene in quella
famiglia!
D’improvviso
mi resi conto che al ritorno dall’ospedale, avrei dovuto
guidare l’auto, lasciando incustodita la bici!
L’auto di Simona era una misera
utilitaria senza un portabagagli degno di quel nome, era impensabile
potervi
inserire la mia due ruote…. Dovevo chiamare qualcuno che la
portasse nella
propria auto e in quel caso c’era solo una persona che poteva
farlo.
«Simo scusami un
attimo, devo fare una telefonata.»
«Non vorrai chiamare
mamma e papà?!»
Mi
guardò col terrore negli occhi: lei che era la gioia dei
nostri
genitori, temeva le loro ire?! Ed io allora come avrei dovuto
comportarmi?! Ero
una continua delusione per loro, mi sarei dovuta contorcere in preda
alla
disperazione ogni volta che sapevo di averli rattristati?!
«No no, sta
tranquilla, devo risolvere una questione pratica, di trasporto.»
Ero
a far la fila per il telefono (nella fretta avevo dimenticato il
cellulare, e a quanto pareva era una situazione comune a molti, visto
che
c’erano almeno cinque persone davanti a me in attesa di usare
l’unico telefono
pubblico del pronto soccorso) tenendo d’occhio Simona, quando
all’improvviso
dal corridoio vidi comparire Emile! Stava parlando con un dottore e
aveva
l’aria concentrata: anche un suo familiare si era cacciato
nei guai? Ma
proprio in posto simile dovevo
incontrarlo? Dopo i brutti sogni che mi aveva causato,
l’istinto di andargli
vicino e tirargli un pugno su quel viso saccente era quasi
incontenibile!
Poi
però notai che accanto a lui c’era una donna
minuta, bruna e
silenziosa. Il dottore le stava dicendo qualcosa ma lei guardava
dinanzi a sé
come se non lo ascoltasse, mentre Emile era il ritratto della
concentrazione:
ascoltava ogni singola parola mentre circondava la donna con un braccio
e
quando il medico si allontanò, fece sedere la sua compagna
con gentilezza, si
accoccolò di fronte a lei parlandole con un sorriso gentile
sul viso e le diede
un dolcissimo bacio sulla fronte prima di alzarsi e lasciare la donna
in
compagnia di un’infermiera. Mi resi conto di essere rimasta
fissa ad osservarlo
per tutto il tempo e mi riscossi solo quando qualcuno dietro di me mi
fece
segno che il telefono era a mia disposizione (e di quelli che
attendevano che
mi sbrigassi ad usarlo!).
*****
Stavo
tornando da Simona, ripensando alla scena di poco fa, quando
vidi tornare Emile e sentii anche una voce dall’altro capo
del corridoio:
«Testarossa!»
Eccolo
Stè, il cavaliere senza macchia e senza paura sempre pronto
ad
aiutarmi (soprattutto se c’era Simona di mezzo): di solito
non mi dava fastidio
la sua esuberanza nel chiamarmi ovunque a gran voce, io ero la prima a
farlo; ma
in questo caso, quell’appellativo tanto familiare, aveva
fatto girare anche
un’altra testa, veramente rossa, nella direzione di
Stè e seguendo i suoi passi,
gli occhi di Emile arrivarono su di me.
_____________________________________
NDA
La scrittura di questa
storia continua con piacere e gioia per me e sono commossa
dall'entusiasmo con cui le mie sorelline hanno accolto il primo
capitolo, per
cui se anche il secondo vi entusiasmerà non potrà
che farmi felice, visto che ne ho scritti una decina finora e spero vi
possano piacere tutti (egocentrica me xD) ^ ^
Tuttavia, se avete
critiche e/o suggerimenti sono pronta ad accoglierli, il confronto fa
bene alla crescita interiore ^ ^
Grazie mille a tutti voi
che avete letto e a chi recensirà e come sempre, un grazie
immenso alla mia Tomodachi - Beta Reader Iloveworld,
sempre
pronta a consigliarmi e a condividere con me questo momento di
creatività entusiasmante :*
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 03 ***
Capitolo
3
L’imbarazzo
che mi colse fu innaturale: non sapevo cosa dire sentendo
quegli occhi su di me e vedendo la preoccupazione sul volto di
Stè, poi vidi
Emile passare davanti a noi con quella donna, senza degnarci di uno
sguardo e
tornai in me.
Brutto arrogante, poteva almeno
fare un cenno di saluto!
Mi
ero proprio arrabbiata: avevo trascorso gli ultimi tre giorni
sempre col suo volto nei miei pensieri, salutarmi era il minimo che
potesse
fare! E il fatto che probabilmente non mi aveva notato la sera prima al
Dada e di certo non poteva sapere
che
l’avevo sognato, erano particolari insignificanti, rispetto
al malumore che mi
stava causando da troppo tempo ormai!
La
mia dignità offesa però dovette cedere
momentaneamente il passo ad
una realtà più immediata, perché
Simona era andata dall’ortopedico e Stè era
una maschera di preoccupazione:
«Pasi, mi vuoi dire
cosa è successo?»
Il
fatto che mi chiamasse per nome era indice della sua
serietà: Stè
era innamorato di Simona da tempo immemore, ma non aveva mai trovato il
coraggio di confessarglielo. Lei era più grande di tre anni,
sempre così seria
e compita e incuteva un certo timore: di sicuro Testa di Paglia temeva
di risultare
un bimbo sciocco e inetto davanti agli occhi di mia sorella. Se molte
cose
della vita, Stè le prendeva con leggerezza e filosofia,
quando si parlava di
Simona era totalmente insicuro e tragico! Aveva avuto le sue storie e
credo che
alcune delle sue ex ragazze le avesse amate in qualche modo, ma nessuna
era
riuscita mai a distoglierlo da mia sorella.
Cosa
ci trovasse in lei era un mistero per me! Eravamo quasi due
estranee, io non capivo lei e lei non capiva me e nessuna delle due
sembrava
intenzionata a cambiare le cose: era così fredda e
distaccata, sempre pronta a
parlare di doveri e mai di piaceri…non ricordo una sola
volta in cui fossimo
uscite insieme a divertirci! Come poteva Stè, il giullare
del nostro gruppo, essere
travolto così tanto da una persona che era il suo esatto
contrario?
In
quel momento però il suddetto giullare aveva
tutt’altro aspetto e
se non mi fossi decisa a parlare, sarebbe imploso per l’ansia
e me lo sarei
portato sulla coscienza per tutta la vita.
«Stai tranquillo
Testa di Paglia, non è niente di grave»
o almeno lo speravo: eravamo in attesa che Simona uscisse col verdetto
dell’ortopedico, «Simo
sta
bene, è solo terrorizzata al pensiero di dirlo ai nostri
genitori!»
A
quel punto mi scappò una risatina, che Stè non
gradì affatto: che
brutto effetto gli faceva mia sorella, era irriconoscibile!
«E dai Stè! Non
fare
quella faccia! Cosa vuoi che sia una piccola caduta dalle scale, che
non ha
nemmeno provocato lei, davanti alla sua perfezione? Mamma e
papà non le diranno
nulla, anzi la coccoleranno e le cadranno ai piedi servendo e riverendo
la loro
figlia prediletta!»
Stavo
iniziando a parlare in modo maligno e acido, in quel pronto
soccorso si erano concentrate troppe persone irritanti e se non mi
zittivo
subito, avrei potuto dire qualche cattiveria di troppo.
«Scusa Stè... lo
so
che sei preoccupato per Simona ed io sono una perfetta imbecille, ma
è che ho
dormito male e poi non ho fatto colazione e sono venuta qui di corsa e
c’era
anche quello lì…»
«Quello lì chi?» disse Stè con
l’aria più sorpresa
del mondo; evidentemente preso dalla preoccupazione, non aveva notato
la
presenza di Emile nemmeno quando gli era passato accanto.
«Uff,
quello lì, Emile, il cantante! Quello di ieri e
dell’altro
ieri e.. di oggi! È diventato un incubo, lo ritrovo ovunque
io vada!»
anche nei sogni, aggiunsi mentalmente.
«Ah
sì? E che ci faceva qui?»
«E cosa vuoi che ne
sappia!?» Risposi
stizzita:
non c’era nulla da fare, quel tipo tirava fuori il peggio di
me!
«Ti ha detto
qualcosa? Ti ha riconosciuto?»
«Credo di no, l’ho
visto da lontano e poi è passato dietro di te quando sei
arrivato, senza
degnarci di uno sguardo!»
Parlandone,
tornò a riassalirmi la rabbia per quel comportamento che
dal mio punto di vista del momento, era decisamente poco educato.
«E beh, cosa volevi
che ti dicesse? Sicuramente era preoccupato per qualcuno se si trovava
qui e
non credo che si ricordi di te. Anche se quando avete discusso hai dato
il
meglio delle tue capacità… Io mi ricorderei
certamente di quella tua testolina
calda!»
Così dicendo mi
appoggiò una mano sulla testa ed io sconsolata
l’abbracciai.
Ho
sempre adorato gli abbracci, generano calore e creano
un’intima
comunicazione tra due persone; credo che riescano a trasmettere affetto
e conforto
molto più di tante parole e considerato che la mia famiglia
era un tantinello
rigida e fredda, ogni volta che potevo abbracciare Stè o
qualcun altro dei miei
amici, ne coglievo l’occasione al volo. Loro erano la mia
vera famiglia, il mio
porto sicuro, le persone care che avevo scelto io e non una stupida
linea di
sangue, che finora mi aveva portato solo rogne e incomprensioni!
Mentre
ero lì a bearmi del caldo abbraccio di Stè,
sentii un rumore
dietro di me e un attimo dopo Testa
di Paglia era accanto ad Emile che cercava di sorreggere la signora
accanto a
lui, che aveva avuto un mancamento:
«Facciamola sedere
qui.», disse
Stè, facendo
accomodare la signora sulle sedie che erano accanto a noi.
«Ti ringrazio.» fu la lapidaria e formale
risposta
di Emile che le si accomodò accanto: «Ti
sei affaticata troppo vero? Riposa un po’ qui.»
Parlava
a quella donna con una voce dolcissima, non smetteva di
proteggerla con il suo abbraccio e di accarezzarle il viso;
com’era diverso dal
ragazzo spocchioso e velenoso che avevo visto due giorni fa, diverso
anche dal
cantante che mi aveva causato quegli stupidi sogni... ma quante
personalità
aveva questo tipo?! Quella però, era una domanda che non
aveva la benché minima
importanza, ero troppo intenta ad osservare quella scena che mi
lasciò dentro
una sensazione troppo complessa per poterla sviscerare in quel momento.
«Posso dare una
mano? Vado a prendere del tè freddo o un po’
d’acqua?»
disse Stè, sempre pronto ad aiutare il prossimo.
«Non preoccuparti, grazie,
ci andrò io appena si sentirà meglio»
fu la risposta di Emile, di nuovo sintetico, cortese e freddo come il
polo
Nord!
«Tranquillo, non
è
un disturbo, dimmi solo cosa prendere: è meglio
l’acqua o le serve un po’ di
zucchero?» Emile
alzò lo sguardo
su Stè come se stesse valutando la serietà delle
sue parole e mi accorsi per la
prima volta che aveva degli occhi chiarissimi, di un grigio quasi
evanescente.
«Del tè
è meglio,
grazie.» disse con
un lieve
sorriso di cortesia.
«V...vado
io Stè, tu resta qui in caso esca Simona, non sei
ancora riuscito a vederla ed io ho bisogno di fare due passi.»
Così
dicendo andai via di corsa in cerca di un distributore automatico
o di un bar che avesse il tè più zuccheroso del
mondo e che fosse lontano abbastanza
da farmi mettere ordine nei miei pensieri. Ero in subbuglio, ero
rimasta ferma
come un’ebete ad osservare tutta la scena e questo non era da
me! Normalmente
ci sarebbero stati dei tafferugli tra le due Teste di Fuoco su chi
dovesse
prestare aiuto per primo, invece stavolta, ero stata totalmente inutile
e
inattiva.
Cosa
diavolo mi stava accadendo?!
Perché
in presenza di Emile, non riuscivo più ad articolare parola?
Eppure
due giorni prima gliene avevo dette di cose!
E
non ero di certo una che si teneva i propri pensieri per sé!
Arrivai
al distributore automatico, presi il tè e feci un bel
respiro
profondo come mi aveva insegnato Sofia e ripresi la padronanza di me (o
almeno
ci speravo), decisa a non comportarmi più come una perfetta
imbecille. Quando
li raggiunsi, i due ragazzi stavano parlando e la signora si era
svegliata:
porsi il tè ad Emile, che mi ringraziò con la
solita gentilezza formale e
fredda e delicatamente lo fece bere alla sua compagna. Guardando i loro
visi
così vicini, mi accorsi che si somigliavano moltissimo: la
signora aveva i
capelli castani, lievemente mossi e
lasciati lunghi sulle spalle, ma i lineamenti del viso
erano la
fotocopia di quelli di Emile, gli occhi in particolare erano gli
stessi, anche
se quella donna non aveva luce in essi e non lessi alcuna emozione su
quel
viso.
In
quel momento arrivò Simona su una sedia a rotelle con la
caviglia
ingessata: Stè
corse da lei,
sostituendosi immediatamente all’infermiere che spingeva la
sedia. Rendendomi
conto che in quel momento Testa di Paglia poteva offrire a mia sorella
un
conforto migliore del mio, restai dov’ero e facendomi forza
per non perdere
l’attimo, mi rivolsi ad Emile:
«Va meglio?»
Ero
in piedi, appoggiata al muro e alla mia destra erano seduti la
fonte di tutti i miei ultimi disagi e quella che doveva essere sua
madre.
«Sì grazie, basta
un
po’ di zucchero per farla star meglio»
Incoraggiata
da quella risposta così “logorroica”,
osai porre un’altra
domanda:
«Capita spesso?»
«Ogni volta che sta
troppo tempo fuori di casa.»
Emile
abbassò lo sguardo su quel volto così simile al
suo, tornando a dargli una
dolcissima carezza; sua madre doveva essere davvero molto malata.
«Non
c’è una cura?
Conosco tante persone che sono riuscite a guarire con la chemio,
nonostante la
sofferenza che pro…»
«Mia madre non ha il
tumore, in quel caso forse ci sarebbe stata una speranza! Ma per la sua
depressione
non c’è cura che tenga!»
Il
suo tono si fece d’improvviso amaro e rabbioso e capii di
aver toccato un tasto
dolente che era meglio evitare.
Depressione!
Come avevo fatto a non accorgermene?!
Nella
comunità dove lavorava Fede c’erano alcuni
residenti che ne
erano affetti e conoscevo i sintomi, eppure non li avevo riconosciuti
guardando
lo stato in cui versava la signora… Pensandoci bene, non
avevo mai visto
qualche vittima della depressione in quelle condizioni!
«Sc- scusami, non
dovevo impicciarmi così...»
«Non fa nulla, anzi,
vi ringrazio per essere stati così gentili. Ora dobbiamo
andare, ringrazia il
tuo amico da parte mia.»
aiutò
sua madre ad alzarsi e si allontanò dandomi le spalle,
mentre Stè e Simona
arrivavano accanto a me.
*****
Mia
sorella se l’era cavata con poco: uno stiramento del tendine,
ovvero ingessatura per un paio di settimane alla caviglia e poi
riabilitazione
senza alcun bisogno di operare. Dubitavo che avrebbe scatenato
un’ira funesta
nei miei genitori anche se si fosse davvero rotta un osso quindi, non
mi
preoccupai minimamente della loro reazione… anche
perché al momento la mia mente
era troppo occupata a liberare la matassa di emozioni che si
accalcavano
caotiche in me. Quella
mattina mi ero
svegliata con istinti omicidi verso Emile, in tumulto tra la rabbia di
due
giorni prima e l’adorazione (tutta da confermare!) per la sua
esibizione della
sera precedente e dopo quella mattina in ospedale, ci si metteva anche
una sensazione
dolorosa di commozione e tristezza che non mi lasciava più!
Se fossi andata
avanti di questo passo, sarei finita al manicomio! Quante emozioni
può gestire contemporaneamente
un essere umano?! Personalmente, ne stavo provando già
troppe!
*****
Come
previsto, i miei genitori non furono particolarmente duri con
Simona: erano palesemente contrariati per l’inconveniente, ma
la preoccupazione
ebbe la meglio su quell’irritante imprevisto che avrebbe
rimandato di due
settimane i programmi di studio di mia sorella.
Un pomeriggio ero diretta
in camera mia prima di andare in comunità, quando passando
davanti la camera di
Simona, la sentii piangere: non riuscivo a credere alle mie orecchie!
Appoggiai
la testa alla porta della stanza per
sentire meglio e dovetti confermare ciò che avevo udito: la
donna di ghiaccio
piangeva! Restai stupita dalla rivelazione che mia sorella fosse
più umana di
quanto pensassi e in uno slancio improvviso di affetto entrai in camera
sua.
«Posso entrare Simo?»
Era seduta davanti alla sua
scrivania, ma mi dava le spalle e scorsi un movimento repentino delle
mani dal
viso verso una tasca, di sicuro stava celando un fazzoletto:
«Ormai sei entrata, che
cosa vuoi? E non chiamarmi Simo, lo sai che mi dà fastidio
quando accorci il
mio nome!»
Il mio momento di affetto
fraterno stava per fare un bel retro front, quando mi dissi di provare
ancora a
capire il motivo di quel comportamento. Ero troppo curiosa di sapere
cosa fosse
successo per rendere Simona in quello stato, poteva mai essere dovuto
tutto al
fatto che avrebbe rallentato i suoi studi di due settimane?! Non osavo
pensarlo, al suo posto avrei fatto i salti di gioia per quel motivo!
«C’è qualcosa che ti
turba?
Ho avuto l’impressione che fossi triste…»
«Non ho niente! Sto bene.»
Ad un tratto mi resi conto
che quell’atteggiamento mi ricordava quello di Emile
all’ospedale, prima che
acconsentisse a farsi aiutare (nel frattempo evitai come la peste di
soffermarmi sul pensiero
del rossino in
quel frangente): probabilmente mia sorella stava valutando quanto fossi
sincera, ed iniziai a percepirla sotto una luce nuova.
«Simo, cioè no, Simona, se
c’è qualcosa che ti turba... insomma... dopotutto
siamo sorelle.»
«E te lo ricordi solo ora
che puoi bearti della mia sconfitta vero! Sei venuta qui col pretesto
di fare
la buona sorellina per vedere con i tuoi occhi la mia disperazione e
gioirne!
Che soddisfazione dev’essere per te vedermi criticata da
mamma e papà, per una
volta non sei tu l’oggetto dei loro dispiaceri!»
Ero esterefatta! Quali
dispiaceri aveva visto? E di quale sconfitta stava parlando?
«Dispiaceri?! Quello lo
chiami dispiacere?! Ma se a mala pena ti hanno detto qualcosa! Non ho
visto
nemmeno l’ombra di un’arrabbiatura sui loro volti,
erano semplicemente
infastiditi, quello non era un dispiacere!»
Ed io lo sapevo benissimo, visto che tante volte mi
avevano riempito la
testa con la frase: “Quanti
dispiaceri
ci causerai ancora?!”
«Oh Pasifae smettila! Tu
non capirai mai come mi sento, è inutile parlare con
te!»A questo punto il
retro front era lì che scalpitava per farsi sentire e
cedetti all’istinto:
«Scusami tanto se per una
volta ho pensato di essere una sorella per te! Io potrò non
capirti, ma nemmeno
tu hai mai fatto un minimo sforzo per capire me! Non preoccuparti, non
ti
disturberò più, ora andrò a gongolarmi
in giro perché mia sorella starà per due
settimane a casa con una caviglia ingessata e ne sarò
felice, perché sono una
sorella menefreghista e maligna!»
Chiusi con rabbia la porta
di camera sua e andai da Federico furiosa.
*****
Era giunto il giorno in cui
il gruppo di Emile si sarebbe esibito al
Soapbox, un locale a
qualche chilometro
di distanza e da tempo io e Stè avevamo progettato di
andarci. Testa di Paglia come
ogni pomeriggio dall’incidente, venne a trovare me passando sempre, guarda caso, negli
orari in cui poteva trovare
Simona libera dai suoi studi casalinghi: l’ingessatura aveva
rallentato le
ricerche per la tesi, ma la scrittura e la revisione, nonché
i libri di testo
per il test d’ingresso alla Scuola di Specializzazione erano
lì a portata di
mano!
Stè aveva appena finito la
sua “casuale” conversazione quotidiana con mia
sorella e venne in camera mia
per organizzare l’uscita per quella sera:
«Testarossa, che ne pensi se
chiamiamo anche gli altri?»
«E tu pensi che vengano? A
sentire Emile? Ti rendi conto che l’ultima volta in cui siamo
stati tutti
insieme, rossino compreso, non si sono sentiti proprio a loro
agio?!»
«E vabbè, ma quello ormai
è
passato, non siete riusciti a parlare in modo civile l’altro
giorno? E poi non
andiamo lì per parlare con lui, ma per stare insieme e
ascoltarlo mentre canta,
non avrà modo di interagire col nostro gruppo! E
poi… stavo pensando di
chiedere anche a Simona di venire con noi…»
«ASSOLUTAMENTE NO!»
Ecco il
motivo di quella trovata! Sapeva benissimo
che era improbabile che qualcuno dei nostri amici uscisse con noi
durante la
settimana, era solo un pretesto per depistarmi e non farmi focalizzare
sul vero
motivo: portare Simona!
«Io con quella non ci esco!
Non ho mai avuto una sorella e ora più che mai non la
ritengo tale e non voglio
rovinarmi la serata con la compagnia sgradevole di
un’estranea!»
Dal giorno della nostra discussione,
io e Simona non ci eravamo più rivolte nemmeno una parola,
tra noi si era
stipulato un patto silenzioso: io non interpellavo lei e lei non
interpellava
me, ci ignoravamo cordialmente durante tutto l’arco della
giornata.
«Pasi sei troppo dura con
lei, è la prima volta che si trova in una situazione
simi...»
«Proprio per questo ero
andata a darle sostegno! Perché io la conosco fin troppo
bene la situazione in
cui è lei, anzi, conosco situazioni ben peggiori! E il
risultato della mia
attenzione è stato di sentirmi dare della meschina e di
voler gongolare della
sua sconfitta!»
«Tu non la capisci Pasi...»
ancora questa storia?
«Oh beh, tu si invece,
vero?! Tu che sei così simile a lei, vi comprendete a
menadito ormai, siete
pappa e ciccia! Esci con lei visto che siete diventati così
amici!»
Mi stavo spingendo troppo
oltre, stavo per toccare il suo punto debole, ma non riuscivo a
fermarmi e
temevo ora di aver combinato un casino!
«Non è caduta dalle
scale.»
«Cosa?»
Restai interdetta dalla sua
risposta, mi aspettavo un’esplosione d’ira di
quelle terrificanti (mai arrivare
a far arrabbiare le persone allegre e gioviali, si scatena
l’Apocalisse!) e
invece Stè si limitò a tirare un sospiro prima di
darmi quella risposta a
bruciapelo.
«Di che stai parlando?
Cosa? Chi? Che significa?»
«Simona non è caduta dalle
scale, si è fatta male cadendo dalla moto.»
Di tutte le cause
improbabili che potevano esserci, questa era una di quelle che meno mi
aspettavo. La moto! E quando mai Simona aveva guidato una moto? Quando
mai
aveva manifestato interesse per una moto! I miei genitori le
disprezzavano
perché per loro erano solo fonte di guai e ovviamente, anche
lei si era
allineata al pensiero di casa ed ora venivo a scoprire che non ne era
poi così
convinta…
«Ma come è potuto
accadere?! Lei odia le moto.»
«In verità no, non le odia.
Non le preferisce e credo che non ne userà mai una a
prescindere da quello che
le è accaduto, ma quel giorno aveva voglia di farsi un giro,
voleva staccare
per un momento dalla monotonia delle sue giornate e non le era sembrato
un
peccato così grave, così è andata a
farsi un giro con un
suo collega di facoltà…»
In quel momento mi tornarono
in mente le parole di Simona “gli
altri
se ne sono andati”.
«…ma hanno avuto un piccolo
incidente e sono caduti entrambi, il suo collega non si è
fatto nulla di grave,
invece lei ne ha pagato le conseguenze…»
E il vigliacco del suo
esimio collega, ha ben pensato di filarsela dal
pronto soccorso prima di incappare nelle ire dei miei!
«…ed ora non riesce a darsi
pace, perché si sente una stupida, per una volta che si
è lasciata andare ha
finito anche col rimetterci. Pasi tua sorella ha vissuto sempre
all’ombra dei
vostri genitori, cercando di compiacerli in ogni campo della sua vita,
per non
vedere mai sul loro volto l’espressione di disappunto che
mostrano a te. Lei
t’invidia, perché tu sei forte, perché
li contrasti e vivi a modo tuo senza
sentire il peso della loro considerazione su di te.»
«Ma questo non è vero
Stè!
E tu lo sai quante volte sono corsa a sfogarmi da te!»
«Io sì, ma tua sorella no.
Lei ha sempre visto che li affrontavi a viso aperto e non ti curavi di
loro e
segretamente avrebbe voluto avere la tua stessa capacità di
controbattere alla
loro volontà, ma ha sempre avuto paura di farlo.»
Ora sì che vedevo Simona
sotto un’altra luce!
Non era affatto la donna di
ghiaccio che sembrava, anzi, era piena di paure che nascondeva
vergognandosi
come una ladra. Quindi probabilmente, anche lei aveva voglia di viversi
qualche
piacere, qualche benedetta futilità per alleggerirsi le
giornate piene di
doveri e sacrifici, sacrifici e doveri!
«Ok, chiediglielo pure, io
provo a vedere se gli altri fanno il miracolo!» iniziavo a
vedere Simona sotto
un altro aspetto, ma la rabbia non mi era ancora passata abbastanza da
parlarle
direttamente.
*****
Come volevasi dimostrare,
il gruppo non si riunì al completo, ciononostante andammo al
Sandbox in quattro: Simona aveva
acconsentito alla proposta di Stè e anche Fede aveva detto
di sì. Riuniti in
quell’improbabile quartetto, andammo incontro ad una serata
che si prospettava
interessante.
_____________________________________________
NDA
Stavolta il capitolo
è un pò più
lungo: ho unito quelli che originariamente erano 3° e
4° perchè a distanza di tempo mi sono resa conto che
erano terribilmente corti e spezzavano il discorso (dovevo essere in
stato allucinogeno quando ho fatto la divisione! xD ).
Spero che anche
questo terzo capitolo vi sia piaciuto, intanto continuo
a ringraziarvi tesore mie perché mi seguite e m'incoraggiate
ad andare avanti: è una gioia scrivere, ma
è una felicità ancora più grande
sapere che ciò che creo piace a chi la legge.
Grazie alla mia
beta-tomodachi Iloveworld,
alla mia Cicci,
e alle mie sisters speciali: Apina,
Vale, Ana-chan e Saretta;
grazie di cuore ^ ^
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 04 ***
Capitolo
4
Il
Sandbox
era più grande del Dada:
da un
ingresso non molto vasto, si accedeva alla sala vera e propria
scendendo una
lunga scalinata trasparente e una volta scesi, ci si sentiva come dei
pesci
rossi in un acquario! O almeno quella era l’impressione che
avevo io ogni volta
che ci andavo: tutte le pareti divisorie, piccole o grandi che fossero,
erano
in plexiglass trasparente, dando l’impressione di essere
tutti contenuti in una
grande scatola per essere messi in mostra! Probabilmente essendo
interrato come
locale, l’architetto che l’aveva progettato voleva
dargli una parvenza di
leggiadria e la sensazione di essere all’aperto, ma per un
claustrofobico non
credo avrebbe funzionato! Era un luogo non proprio adatto anche a mia
sorella
che, costretta a camminare con le stampelle, aveva un’enorme
difficoltà a
scendere quelle scale scivolose e trasparenti.
Ma,
inutile dirlo, Stè colse l’occasione
per sorreggerla e aiutarla a scendere, assistito da Fede in
avanscoperta.
Mentre mia sorella si godeva le attenzioni verso di lei (che ovviamente
non le
stavo dando e non avevo intenzione di darle), iniziai a guardarmi
intorno
appena la discesa dei gradini mi consentì
di vedere la sala: conoscevo benissimo quel luogo, ma
quella sera non
riuscivo a smettere di cercare qualcuno
con lo sguardo, non osavo chiedere a me stessa il motivo di
quell’ansia e non
volevo nemmeno fingere indifferenza verso ciò che sentivo.
Molto probabilmente
era solo la voglia di capire se il secondo ascolto di quel gruppo mi
avrebbe
fatto provare le stesse emozioni della volta precedente, la mia ansia
aveva
solo questo semplice motivo ed era giustificatissima!
Riuscimmo
a trovare un buon
posto per noi quattro, che fosse anche
nei pressi del palco, così da poter ascoltare meglio: Fede
si accomodò accanto
a me, non avendo alcuna confidenza con mia sorella e ben sapendo che
comunque
le attenzioni di Simona erano richieste da qualcun altro alla mia
destra.
Sentivo
crescere sempre più dentro di me
una strana inquietudine, sentivo un’ansia strana e a volte mi
accorgevo di
essere in tachicardia e dovevo tranquillizzarmi con un respiro
più lento: Stè
quasi mi dava le spalle e per fortuna non vedeva lo stato in cui
versavo. Ma
Fede mi era accanto e temevo qualche suo commento: non ero mai stata
brava a
celare le mie emozioni e quei due ragazzi in particolare, mi leggevano
dentro
al pari di un telepate!
Fede
era un figlio dei fiori mancato:
sempre tranquillo e pacifico, non amava le discussioni e si sentiva a
disagio
ogni volta che io e Testa di Paglia finivamo a dibattere con qualcuno: era indifferente che fosse
in tono aggressivo
(la sottoscritta) o gioviale (Stè), non amava turbare la
quiete e l’equilibrio
che si crea quando gli esseri umani si rapportano tra di loro con il
sorriso e
la gentilezza, anziché con le urla e con le offese;
Peace&Love era il suo
motto preferito! Aveva
uno spirito
sensibilissimo agli animi altrui, ed ecco perché amava
rendersi utile in
comunità, riusciva a donare la sua calma e il suo sorriso a
chiunque gli si
avvicinasse, un vero e proprio calmante naturale! Anche se in quel
momento,
quel dono non stava assolutamente facendo effetto su di me.
«Cosa
c’è Pasi? Sei tesa per la presenza di Simona?
Tanto non la sentirai nemmeno, ci
penserà Stefano a fartela dimenticare!»
Sorridendo, mi diede un colpetto sulla schiena a mo’ di
conforto.
«Hai
ragione Fede, le sto dando troppa importanza!»
Cercai
di essere più convincente
possibile e di dissimulare il mio stato, non volevo rivelare il vero
motivo
della mia strana ansia… ma qual era questo vero motivo? Non
mi ero detta poco
prima che volevo semplicemente accertarmi del talento di quel gruppo?
Non c’era
nulla di cui vergognarsi in questo, perché non volevo
renderlo palese?
Mi
stavo torturando interiormente con
queste domande senza risposta, quando all’improvviso si
spensero le luci e le
note iniziarono il loro lungo discorso.
L’intro
musicale del primo brano fu
lungo, così dovetti attendere un po’ di
più per vedere il cantante rispetto
alla volta precedente, ma quando accadde
sentii un tuffo al cuore che quasi mi fece sobbalzare per lo stupore,
finché
non diventò un dolore sordo che mi accompagnò per
tutta la serata.
Volevo
accertarmi del loro talento, ma
raggiunsi una ben altra consapevolezza. L’esibizione dei GAUS
fu grandiosa:
l’effetto che mi fecero fu lo stesso della volta precedente
ma in modo
amplificato, perché stavo iniziando a comprendere i
sentimenti che avevano
spinto il cantante a scrivere
alcuni
brani. Giunse il momento di una canzone che parlava di apatia, di
sofferenza
nascosta da un velo grigio, di un dolore congelato in uno stato di
catalessi
perché troppo forte per essere affrontato e capii che quella
canzone parlava di
sua madre: iniziai persino a sentire dell’umidità
sospetta sul mio viso, ma ero
troppo presa da ciò che stavo ascoltando per curarmene.
All’improvviso
mi venne in mente una
storia che avevo letto tempo fa: Three*.
Parlava di due ragazzini entrambi immersi nel mondo della musica: lei
una Idol promettente, lui un vero
genio
talentuoso: in quel momento mi sentivo come Rino, la ragazzina, quando
assistette per la prima volta alla performance di Kei e
s’innamorò perdutamente
della sua musica e in seguito anche di lui.
Come
Rino, avrei voluto sentire la voce
di Emile per tutta la vita, avrei potuto vivere solo di quelle note e
sentii
dentro di me la voglia di vederlo e conoscerlo. Ma come poteva accadere
ciò? Io
non ero Rino e lui non era Kei. Non l’avrei ritrovato
l’indomani nella mia
classe o meglio ancora, nel mio stesso
banco, come era capitato alla Swan**!
E inoltre mi stavo immedesimando nelle protagoniste di due
storie
d’amore, il ché implicava
che fossi
innamorata di Emile…
No
questo non poteva accadere! Ero uscita
con le ossa rotte dalla mia ultima storia, avevo giurato a me stessa
che mai
più mi sarei innamorata in quel modo, mettendo il mio
orgoglio sotto i piedi e
diventando l’ombra di me stessa. E con un tipo come Emile non
poteva essere
altrimenti: o mettevi a tacere l’orgoglio, oppure ci litigavi
di continuo! Ma
in quel momento, mettendo io stessa i bastoni tra le ruote alle mie
argomentazioni, iniziai a pensare al ragazzo che avevo visto
all’ospedale, così
dolce, così protettivo, così diverso
dall’arrogante saccente che avevo conosciuto
la prima volta… quel ragazzo che mi aveva fatto provare un
immenso calore nel
cuore…
No,
non poteva essere! Non potevo
innamorarmi di lui!
La
mia serata trascorse nel tumulto interiore
sfrenato, alla luce di quella nuova consapevolezza che non volevo
accettare. Per
fortuna nessuno badava a me, perché Stè era preso
sia dalla musica che dalla
compagnia alla sua destra e Fede non apriva bocca, il ché
poteva significare
che era interessato a ciò che sentiva. Non mi accorsi che
per la maggior parte
della serata, era rimasto ad osservare il mio volto in preda al
subbuglio
interiore.
*****
Nei
giorni successivi, le mie giornate
trascorsero nel tentativo di trovare un compromesso con me stessa per
dimenticare tutto il caos che mi aveva investito negli ultimi tempi.
Ero quasi
riuscita a convincermi che mi ero solo fatta trasportare dal momento e
che
avevo lavorato di fantasia, quando arrivò una telefonata che
smontò tutte le
mie convinzioni:
«Pronto,
Pasi?»
«Fede?
È successo qualcosa in comunità?»
«No
no, tranquilla, ti chiamo per chiederti un favore.»
«Ah,
ok! Dimmi tutto.»
«Ecco,
hai presente l’altra sera, quando siamo usciti in
quattro… l’esibizione…»
Ecco
qualcosa che non doveva essere
nominata! Il mio umore prese immediatamente un’impennata
verso il basso:
«Sì,
Fede, ho presente, che c’è? Vai dritto a dunque!»
«S-sì
ok, allora in pratica… hai presente…»
«Di’
un’altra volta “hai presente” e non ti
ascolto più! Che hai oggi?! Perché tutta
quest’indecisione?!»
Non
era da lui essere così titubante nel
chiedere un favore, non era uno che amava chiederli, ma sapeva anche
che a volte
non se ne può fare a meno e questo doveva essere uno di quei
casi…
«Vabbè
vado al dunque: Emile vende una cassettiera che voglio comprare per la
comunità
e siccome tu lo conosci, mi chiedevo se volessi accompagnarmi a casa
sua per
prendere il mobile.»
«…»
«…»
«Pronto?
Pasi? Sei ancora in linea?»
All’improvviso
iniziarono a ronzarmi le
orecchie e sentii il cuore scoppiarmi nel petto: Fede aveva intenzione
di
portarmi nella tana del lupo!
«Fede
ma cosa cavolo stai blaterando?! I-io non conosco proprio nulla e
nessuno, non
so nemmeno dove abiti e che aspetto abbia casa sua, a mala pena ricordo
il suo
volto!»
Bugia
grossissima questa, quel viso ormai
ce l’avevo stampato nella mente come se mi fosse stato
tatuato direttamente nel
cervello!
«Dai
ti prego! Fammi compagnia! E poi ho bisogno anche di un altro parere
sul mio
acquisto!»
«Portaci
qualcun altro della comunità. Saprà darti un
parere migliore del mio!»
«È
lui vero, il motivo della tua domanda?!»
Altro
ronzio improvviso e assordante
nelle orecchie: cosa intendeva con quella frase e quel cambiamento
improvviso
di tono?
«C-cosa?
A cosa ti riferisci Fede?»
«La
domanda che mi hai posto qualche pomeriggio fa, quando sei venuta in
comunità
dopo aver litigato con Simona: la domanda su quanto possa diventare
pericolosa
la depressione… riguardava Emile.»
Stava
per cadermi il cellulare di mano
per lo sbigottimento più totale in cui mi aveva lasciato
quella domanda: come
diavolo aveva fatto a capirlo!? E cosa potevo dirgli ormai che non mi
portasse
ad esternare qualcosa che non volevo accettare?!
«È
per sua madre… la madre di Emile soffre di depressione, ma
non ha gli stessi
sintomi dei residenti della comunità, è
totalmente assente, come un guscio
vuoto! Non avevo mai visto qualcuno vivo ma morto dentro!»
«Capisco.
Ho visto come lo guardavi l’altra sera Pasi e dalla tua
reazione ho capito che
ci tieni a lui, perciò ti sto invitando a venire con me. Non
negare a te stessa
ciò che è già palese.»
Fede
era stato uno dei miei angeli
custodi quando era finita la mia precedente storia. Ero totalmente a
pezzi
all’epoca e lui, Stè e Rita... e a modo suo anche
Sofia, mi avevano dato il
conforto e il sostegno necessario a ritrovare la serenità.
Ma il processo era stato
lungo e avevano assistito a tutto il decorso iniziato con la mia rabbia
infinita verso
tutto il genere maschile,
per finire con il proposito di non farmi soggiogare più da
nessuno. Con la
spiccata sensibilità che si trovava e l’ottimo
spirito di osservazione, quella
sera Fede aveva sicuramente impiegato qualche minuto per capire cosa si
stava
agitando nel mio cuore mentre sentivo Emile cantare.
Emile.
Solo il pensare al suo nome mi faceva
battere il cuore… Ma io non volevo cedere, non ero pronta a
questo! Avevo già
abbastanza problemi per conto mio senza il bisogno di andare a
complicare tutto
con l’amore! Mi bastavano gli amici a darmi calore e
sostegno, non volevo un
uomo accanto che mi sconvolgesse l’esistenza! Io non avevo
freni quando amavo,
dimenticavo troppo me stessa e diventavo qualcuno che non riconoscevo
più. No,
non ero pronta!
Però
volevo rivederlo… ed ero
sinceramente preoccupata per sua madre…
«Non
so cosa tu abbia visto Fede e non m’importa, ti
accompagnerò, ma solo per non
farti sentire solo!»
e poi
sussurrai un timido: «Grazie.»
*****
La
casa di Emile si trovava in una zona
tranquilla un po’ in periferia, una specie di quartiere
d’élite riservato a chi
aveva qualche spicciolo in più per permettersi una villetta.
Infatti quella non
era una casa da comuni mortali. Non era grande, ma aveva un sentore di
antico e
di nobile nonostante fosse di sicuro moderna: era in stile vagamente
vittoriano, bianca, a due piani, con un po’ di giardino
avanti e un garage
accanto. La famiglia Castoldi non doveva passarsela male!
Appena
Fede bussò al citofono mi salì la
solita tachicardia e iniziai a pentirmi di averlo accompagnato, ma non
ebbi il
tempo nemmeno di muovere un passo ed eclissarmi nell’auto,
perché Emile ci aprì
la porta e ci venne incontro.
Quando
ci salutò ci fece accomodare in
casa, senza dare segno di avermi riconosciuta e ci condusse in una
delle stanze
sul retro al pian terreno. Era una stanza grande e luminosa, era
completamente
bianca e circondata da finestre e aveva tutta l’aria di
essere una stanza
originariamente esterna alla casa. Le pareti erano costellate di
dipinti:
paesaggi, nature morte, astratti di vario genere e qualche ritratto, i
colori
erano brillanti e ogni dipinto, persino le odiose nature morte,
sprizzavano
vita. Quella era davvero una stanza nata per sentirsi la vita addosso!
Emile
ci condusse verso la cassettiera:
era tutta in legno, semplice nello stile ma
con degli intarsi al centro dei cassetti e del ripiano:
era fatta in uno
stile che richiamava altri tempi. Fede se ne innamorò
all’istante:
«Che
bella! È fatta proprio bene e i cassetti sono grandi e
profondi, proprio quello
che ci serviva! Starebbe benissimo nella sala comune!»
Fede
ovviamente si riferiva alla
comunità: da qualche tempo ci illuminava con le sue idee per
rendere quel luogo
in cui si raccoglievano storie tristi, più accogliente e
meno deprimente e la
sua ultima fissazione era di rifare la mobilia. Quando andammo al Dada, Stè vide
l’annuncio di questa
cassettiera in vendita e pensò (con qualche giorno di
ritardo, visto che la
preoccupazione per Simona gli aveva cancellato tutto il resto dalla
mente) di
avvertire Fede.
«Scusa
la domanda indiscreta, ma per quale motivo te ne disfi? Sarebbe
perfetta in
questa casa!»
La
domanda di Fede interessò anche me,
del resto ormai tutto ciò che riguardava il padrone di quei
riccioli rossi
m’interessava come se ne dipendesse la salvezza del mondo!
«È
inutile in questa casa, già c’è
abbastanza mobilia. Ho iniziato a restaurarla
per piacere personale, ma poi mi sono reso conto che non sapevo cosa
farci e
quindi ho deciso di venderla.»
Scrollò
le spalle con noncuranza,
chiudendo il discorso sempre nel solito modo lapidario.
«L’hai
restaurata tu? Complimenti! È
un tuo hobby?»
«Non
esattamente: lavoro part-time in una bottega di restauro del mobile
antico e qualche
volta faccio dei lavori in proprio.»
«Complimenti,
hai davvero una bella manualità!»
«Grazie,
è un dono che ho ereditato da mio padre: i quadri in questa
stanza li ha
dipinti tutti lui.»
Alla
luce di quella rivelazione,
riguardai i dipinti sotto una luce nuova: un padre pittore, un artista!
E
all’improvviso notai dei cavalletti adagiati in un angolo e
degli scaffali
pieni di colori e pennelli. Pensai per un istante a mio padre, sempre
così
rigido e severo, preso solo dai giornali e dagli scacchi e iniziai a
fantasticare sul tipo di genitore che potesse essere questo padre, che
dipingeva e sicuramente imbrattava i suoi vestiti con i colori.
«Allora
tuo padre è un artista famoso?!»,
gli feci quella domanda senza accorgermene nemmeno, spinta
dall’entusiasmo.
«No,
ha smesso di dipingere quando mia madre si è ammalata»
Il
mio entusiasmo calò repentinamente
così com’era arrivato, l‘atmosfera si
era improvvisamente fatta pesante al
sentire quelle parole e per fortuna Fede cambiò discorso.
«Ehm,
allora se non ti dispiace, chiamo in comunità per sentire
che ne pensano, ok?»
Così
dicendo si allontanò per fare la sua
telefonata, lasciando Emile e me in un silenzio opprimente che non
sopportavo
più. Così mi decisi a prendere parola:
«Come
sta tua madre? Cioè voglio dire, non so se ti ricordi di me,
ci siamo visti al
pronto soccorso qualche giorno fa e...»
«Mia
madre sta bene grazie. E sì, mi ricordo di te, avvocato
difensore dei TresneT!»
Nell’attimo
in cui mi aveva dato quella
risposta, Emile aveva cambiato espressione dal rigido più
totale al sarcastico
più malefico che avessi mai visto su quel volto: ora mi
stava guardando con un
sorrisetto in tralice soddisfatto per avermi lasciato a bocca aperta.
Quel
disgraziato si ricordava di me dal primo giorno in cui ci eravamo
scontrati e
ha sempre finto di non conoscermi! Non che sapesse molto sul mio conto
in
effetti, ma mai che avesse dato un cenno di riconoscimento!
«E
se non sbaglio eri anche al Dada vero?
Come ti è sembrato ascoltare la vera musica?!»
Continuava
ad infierire e mi guardava con
aria soddisfatta: aveva alzato le sopracciglia in
un’espressione di scherno e
finta curiosità, che stava per far partire il mio gancio
destro più forte!
«Quella
la chiami musica? Non mi è piaciuta affatto, per me non vale
la pena di essere
ascoltata!»
Che
bugia enorme stavo dicendo pur di
salvare la mia dignità offesa! Mai gli avrei dato la
soddisfazione di
elogiarlo, in quel momento lo stavo detestando con tutto il cuore!
«Certo
è ovvio, non potresti mai dire la verità,
poiché implicherebbe una critica
implicita ai tuoi eroi, giusto? La tua reazione ha risposto alla mia
domanda
per te.»
Sorrise
soddisfatto e guardò innanzi a sé,
pieno di orgoglio e tronfio per avermi dato quello scacco.
«Senti,
io non sono venuta qui per essere insultata da te…», d’improvviso si
fece serio e fermò la mia arringa con una
mano, per cui mi zittii all’istante: una musica iniziava a
sentirsi da lontano
e ad un ascolto più attento, sembrava provenire da qualche
parte all’interno
della casa.
«Dannazione!»
Con
il viso coperto da una preoccupazione
profonda, Emile corse via all’improvviso lasciando me e Fede
soli in quella
stanza.
------------------------------------------------
*Fuyumi Souryo,
“Three”, GP Publishing, 2009
**Stephenie
Meyer, “Twilight”,
Fazi Editore, 2006
____________________________________________________________
NDA
A gentile richiesta ("il
quarto non c'è!!!") e a furor di popolo (tanto per dire xD),
anche questo capitolo
ha preso visibilità, e spero vi sia piaciuto *me ha l'ansia
da prestazione cronica* come gli altri ^ ^
Come sempre è
doveroso ringraziare le mie tesore che mi seguono sempre con calore e
affetto: Iloveworld,
Cicci,
Niky, Saretta, Ana-chan, Vale, ed
Ely.
Grazie mille a tutte voi
sorelline mie <3
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 05 ***
Capitolo 5
Rimasi
inebetita per un’istante,
scioccata da quel movimento repentino, ma dopo un attimo mi riscossi e
seguii
Emile, curiosa e anche un po’ preoccupata. Sentivo i suoi
passi che avanzavano
verso l’ingresso e incurante del fatto che fossi in una casa
non mia e che
stessi curiosando in faccende in cui non ero stata invitata a
partecipare,
cercai di concentrarmi per sentire i suoi passi e raggiungerlo. Non mi
curai
nemmeno del fatto che Fede fosse o meno dietro di me: tutto il mio
essere,
nonostante fosse stato appena messo alla berlina, cercava Emile ed era
preoccupato per il guaio a cui di sicuro stava andando incontro.
Raggiunsi
la stanza dove aveva svoltato e
arrivata sulla soglia lo vidi mentre circondava con le braccia la
madre, che in
camicia da notte, era davanti ad una finestra immobile. La musica che
sentimmo
proveniva da un giradischi nel salotto, la stanza in cui eravamo ora:
una donna
dalla voce melodiosa e delicata cantava una melodia un po’
soft ma rilassante.
Non capii subito in che lingua si esprimesse perché nel frattempo osservai
Emile che cercava di
riscuotere sua madre e mi sentii pietrificata non sapendo cosa fare:
«Mamma,
calmati, mamma!»
«C’è
qualcosa che posso fa…»
«Spegni
quel dannatissimo giradischi!»
Saltai
al tono di voce così forte e
carico di rabbia con cui si rivolse a me e mi precipitai a spegnere.
Fede nel
frattempo si era materializzato accanto ad Emile e lo aiutò
a mettere a sedere
la madre: ora che potevo vederla in viso, mi resi conto che stava
piangendo.
«Cos’è
successo?!» chiese
Fede,
assumendo immediatamente il suo atteggiamento professionale e sicuro,
di chi si
ritrova ogni giorno accanto a persone psicologicamente più
fragili.
«Non
è niente, me la cavo da solo, aspettatemi di là.» come al solito, Emile
rifiutava l’aiuto altrui, persino in
una situazione critica come quella.
«Se
le serve un tranquillante, posso somministraglielo io, in
comunità…»
«Ho
detto che faccio da solo!»
Emile
alzò di nuovo la voce, il suo viso
era una maschera di rabbia e i suoi occhi avevano preso il colore
intenso
dell’azzurro. Ma Fede era un osso duro, sapeva come
comportarsi in questi
casi:
«Emile,
so quello che faccio, non disprezzare l’aiuto che ti viene
offerto volontariamente.»
Fede
gli appoggiò una mano sulle spalle e
dovette infondere ad Emile un po’ della sua calma naturale,
poiché si rilassò
all’istante, riprendendo il controllo di sé.
«Dev’essere
riaccompagnata su in camera sua, questa stanza è deleteria
per lei.» a quel
punto mi accorsi del luogo
in cui ci trovavamo: era una grande stanza dai parati nelle
tonalità calde del
senape e legno, mobilia
di legno scuro
arricchiva l’ambiente e sulle pareti erano appese le stampe
di alcune riviste,
delle fotografie in bianco e nero e delle locandine in cui campeggiava
il volto
della madre di Emile, in cui era riportato il nome di Claudine Flaubert
come
nuova stella della musica francese.
Francese!
Ecco qual era la lingua di
quella canzone!
Francese
come il nome di Emile… Sua madre
era francese! Ed era una cantante!
O
forse era meglio dire che era stata una
cantante…
I
due ragazzi portarono la signora
Claudine in camera sua, aiutai Fede a somministrarle un tranquillante,
mentre
Emile le accarezzava il viso come gli avevo visto fare
all’ospedale e quando la
madre sembrò essersi addormentata, ci fece cenno di uscire
dalla stanza (che
pensò bene di chiudere a chiave) e ci fece accomodare nel
salotto offrendoci da
bere.
«Vi
chiedo scusa per la mia maleducazione di poco fa, ma non mi aspettavo
che
accadesse una cosa simile, mia madre non esce da quella da stanza da
tempo.»
«Era
la sua voce che stava ascoltando prima, vero?»
osai chiedergli; iniziavo a capire che quando era in quello
stato, Emile era più propenso a parlare... almeno un
po’ più del solito!
«Sì,
in gioventù era una promettente cantante con una carriera
tutta in salita e
quando si riascolta le vengono queste crisi!»
Emile strinse i pugni mentre parlava, di sicuro quello non
era un argomento piacevole e non amava condividerlo con gli altri.
«S-se
hai bisogno di una mano, io e Fede sappiamo come comportarci in questi
casi.» dannata
balbuzie! Ma perché
dovevo sempre parlare come una stupida quando più volevo
essere sicura di me?!
«Vi
ringrazio per l’offerta, ma questo è un caso
isolato. Normalmente c’è sempre
qualcuno accanto a lei, oggi abbiamo lasciato la giornata libera
all’infermiera
perché ci sono io in casa e non mi aspettavo che le venisse
una crisi.»
Fede
lo stava osservando da quando
eravamo tornati nel salotto, di sicuro gli stava leggendo dentro.
«Capisco.
In ogni caso, hai il mio numero Emile, se dovessi avere bisogno,
chiamami senza
problemi.» Fede non
riusciva
a non prendersi a cuore una persona in difficoltà!
*****
Tornai
a casa ripensando a ciò che avevo
appena scoperto sulla famiglia Castoldi: avevo sempre più la
convinzione che
gli abitanti di quella casa conservassero tutti un dolore
così grande da non
poter essere condiviso, o almeno avevo capito che Emile non riusciva a
parlare
né del padre né della madre in modo sereno.
Nemmeno io riuscivo a farlo con i
miei e probabilmente era una caratteristica di noi post adolescenti in
cerca
della nostra individualità (che spesso non era in linea col
pensiero di chi ci
aveva generato), ma il mio caso non era così pieno di
sofferenza come quello
che vedevo riflesso sul volto di Emile ogni volta che accennava alla
situazione
della madre.
Ancora
una volta standogli a contatto, mi
ero ritrovata in un turbine di emozioni contrastanti:
Emile
riusciva a farmi zittire, a farmi balbettare, a farmi
arrabbiare a morte
e a colpirmi al cuore nel giro di qualche minuto! Ogni volta che
pensavo a lui
o che mi trovavo in sua compagnia, perdevo il senso di me stessa e
questo mi
spaventava perché se mi sentivo così conoscendolo
appena, non osavo immaginare
l’effetto che mi avrebbe fatto se mi fossi data il permesso
di accorciare le
distanze tra noi. Non che ci fossero le premesse, avevo
l’impressione di non
essergli molto simpatica e del resto, non credo che io facessi il
contrario nei
suoi riguardi...
Quella
situazione stava raggiungendo un
punto di stasi, che probabilmente avrebbe finito con lo scemare: non
avrei più
rivisto Emile, non avrei più pensato a lui e tutto questo
caos interiore
sarebbe sparito lasciandomi libera! Libera di cosa però,
ancora non sapevo.
Tuttavia, mi resi conto che all’idea di non rivederlo
più, nonostante mi
facesse saltare i nervi ogni volta che lo vedevo, nonostante avesse
quell’aria
saccente e spocchiosa che aizzava i miei istinti omicidi
pericolosamente in
avanti, iniziavo a sentire un vuoto dentro e un dolore lancinante al
centro del
petto.
*****
«Pasifae,
mi spieghi che intenzioni hai?»
La
voce improvvisa di mia madre mi colse
impreparata: ero diretta all’auto per vedere Stè,
quando sentii quella voce e quel
tono che mise in allarme tutto il
mio essere; c’era una bella discussione in arrivo!
«A
cosa ti riferisci mamma?»
inutile
tentativo di fare la gnorri il mio, ma dovevo pur difendermi!
«Non
fare la finta tonta, sai benissimo di cosa sto parlando: sta arrivando
Novembre, i tuoi amici hanno preso tutti la loro strada mentre tu
continui a
vagare senza meta tutto il giorno e non ti decidi a scegliere una
facoltà
universitaria: sai che manca poco allo scadere delle iscrizioni? Hai
già perso
la possibilità di iscriverti nelle facoltà a
numero chiuso, vuoi perdere un
anno così perché non ti decidi a scegliere?»
Eccoci
qua, diretti al punto dolente,
sapevo che questo momento sarebbe arrivato, dovevo affrontare il
discorso “rinuncia
agli studi”. Posai le chiavi dell’auto sul mobile
all’ingresso e mi preparai ad
affrontare una discussione difficile.
«Mamma,
è da un po’ che ci penso e avevo intenzione di
dirvelo proprio in questi giorni…»
bugia grandiosa ovviamente, chi
ci pensava più agli studi?! Per me l’argomento era
chiuso, peccato che non
l’avessi fatto presente a chi
aspettava
la mia risposta!
«...
io stavo pensando di non andare
all’università…»
«Cosa?!
E perché mai? Vuoi provare l’anno prossimo con
qualche facoltà a numero chiuso?
Se è così basta iniziare a prepararsi da ora,
puoi prendere i testi e iniziare
anche a studiare qualcosa così recupererai il tempo perso
e…»
«No
mamma, intendo dire che non voglio affatto continuare gli studi.» bomba sganciata, quello
era
l’inizio dell’Apocalisse!
«Pasifae,
io… noi, siamo sempre stati comprensivi con te, abbiamo
sempre cercato di non
importi le cose e farti scegliere con la tua testa, ma è
chiaro che ora stai
perdendo di vista un obiettivo importante…»
«E
quale sarebbe mamma? Avere un pezzo di carta attaccato alla parete del
salotto
di cui potervi vantare con gli amici? Presto avrete quelli di Simona,
che ne
collezionerà di sicuro abbastanza per entrambe!»
«Non
si tratta di questo! È importante per te, perché
non puoi presentarti da
qualche parte senza una laurea alle spalle, perché non
è comprensibile che tu
rinunci ad un’istruzione che molti altri ragazzi faticano a
crearsi! Ci sono
giovani che fanno sacrifici enormi per studiare e tu che hai la
possibilità di
farlo comodamente senza pensare ad altro, getti via questa
possibilità
precludendoti delle
porte aperte nel
futuro!»
Ancora
i sacrifici! Sembrava quasi che i
miei genitori fossero
dispiaciuti del
fatto che non dovessi sudarmi nulla!
«Le
porte che dici tu non m’interessano! Ci sono tantissime
strade aperte per me,
il mondo non è fatto solo di laureati mamma! Ci sono
artigiani di tutti i tipi,
bravissimi, che non hanno avuto bisogno di quel pezzo di carta,
esistono tanti
tipi di lavoro bellissimi e appaganti che non hanno bisogno di un
“dottor”
davanti al nome per essere ammirati!»
Come chi dipinge e mette la sua passione
in quello che fa... o chi canta con tutta la sua anima...
«E
tu vorresti andare a lavorare presso una bottega? Presso un artigiano?
Tu che
hai a disposizione la possibilità di migliorarti e
conoscere…»
«Mamma
non è con lo studio che si migliora! E la conoscenza non
è solo sui libri! Il
mondo è pieno di persone e di avvenimenti e di luoghi tutti
da scoprire! La
vita è un insieme di scoperte! I libri non sono la risposta
a tutto! E non
trovo nulla di male nell’andare a lavorare presso un
artigiano!» se Emile è riuscito a dare nuova vita a
quella cassettiera vecchia, se
le ha donato una nuova bellezza, perché mai si dovrebbe
denigrare il lavoro
manuale che dà così splendidi risultati?
«È
così dunque, vuoi metterci questa vergogna addosso! Tu, la
figlia di due
professori, che va a fare la ragazza di bottega presso qualche manovale!»
Eccolo
lì il nocciolo del discorso: la
solita figuraccia con i vicini, le apparenze! Non ci vidi
più dalla rabbia, ero
stanca di tutte quelle idee antiquate che mi facevano mancare
l’aria e che
avevano causato un trauma non indifferente in mia sorella, che non si
sentiva
libera di essere se stessa.
«Se
è questo che ti disturba, potete anche disconoscermi! Tanto
non sono mai stata
la figlia modello per voi, vi siete sempre vergognati di me
perché alzavo la
voce, uscivo fino a tardi e mi circondavo più di amicizie
maschili che
femminili! Se non siete contenti di avermi in questa casa non
c’è alcun
problema, me ne vado!»
Probabilmente
stavo combinando un vero
disastro, mi stavo mettendo alla porta senza uno straccio di lavoro o
un luogo
in cui rifugiarmi, ma non me ne curai affatto; ero troppo stanca di
quella casa
e di quella famiglia, non volevo restare in quelle mura un attimo di
più, così
ripresi in mano le chiavi dell’auto, ma poi ci ripensai, le
posai e mi diressi
al garage per prendere la bici, diretta a casa di Stè.
*****
«Testarossa
che hai combinato? Hai il volto che fa paura!»
Per
tutta risposta mi buttai tra le braccia
di Stè e mi feci coccolare dal suo caldo abbraccio. Testa di
Paglia era un
ragazzone alto un metro e novanta:
un
armadio a muro pieno di allegria e calore umano e i suoi abbracci erano
il mio
conforto più grande, il rifugio sicuro dopo le discussioni
più brutte che avevo
con i miei genitori.
«Io
la odio!»
Stè mi strinse un
po’ per darmi la sua comprensione e rimanemmo per qualche
istante così finché
non mi ripresi:
«Hai
litigato di nuovo con i tuoi?»
feci un cenno di assenso, ancora abbracciata a lui.
«Con
mia madre: mi ha detto che se non mi iscrivo
all’università per andare a
lavorare, sarò la vergogna della famiglia! Questo
è sputare in faccia al lavoro
altrui e ai sacrifici degli altri! Loro sanno solo bearsi di quel
termine
facendosi grandi, ma alla fine i veri sacrifici non sanno nemmeno dove
sono! Li
odio, sono dei bigotti e falsi, non li voglio più come
genitori!»
«Calmati
Testarossa, sfogati un po’ ora, ma non dire cose
così cattive, sono sempre le
persone che ti hanno messo al mondo!»
«Quello
è il mio unico legame con loro! Non ho nient’altro
in comune con quelle
persone, non sono figlia loro e non voglio stare un minuto di
più in quella
casa!»
«E
dove vorresti andare?»
Mi
staccai da Stè per vederlo in faccia,
ma poi abbassai lo sguardo, non avendo una risposta da dargli:
«Non
lo so ancora… ma voglio trovarmi un lavoro e andarmene via
da quella casa, non
riesco più a vivere in questo modo, mi sento soffocare!
Persino Simona inizia a
cedere! Come potrei resistere ancora, dopo essermi sentita dire che
sono la
loro vergogna!»
Avevo
nominato mia sorella e d’improvviso
mi ricordai il motivo per cui ero diretta da Stè prima di
discutere con mia madre:
l’avevo sentito poco prima al cellulare e mi era sembrato un
po’ giù di morale,
il che voleva solo dire che Simona c’entrava qualcosa.
«Basta
parlare di me ora Testa di Paglia, sono venuta qui perché ti
ho sentito un po’
sottotono prima: c’è qualcosa che non va?» Stè si
rabbuiò per un attimo, poi mi sorrise ma con gli occhi
tristi di chi non riesce a celare davvero ciò che sente.
«Stai
tranquilla Testarossa, non è nulla.»
«Invece
c’è qualcosa, Stè! Quando
stai così è a causa di mia sorella, ti ha fatto
qualcosa? Ti ha trattato male?»
A
Simona avevano tolto il gesso ed ora
faceva fisioterapia, ma nel frattempo, le visite
“casuali” di Stè e la serata
trascorsa insieme avevano avvicinato i due e iniziavo a sperare che
finalmente
Testa di Paglia avesse avuto la possibilità di dichiararsi,
soprattutto visto
che Simona lo stava aiutando a capirci qualcosa di matematica. Il mio
biondo
amico aveva scoperto di amare quella materia e si era iscritto a quella
facoltà
che reputavo frequentata da soli geni mezzi alieni che non avevano
alcun nesso
con noi esseri umani “normali”. Così
quando Stè ci disse che si sarebbe
iscritto a Matematica, si trovò davanti i miei occhi
praticamente fuori dal
cranio per quanto erano sgranati. Mai avrei pensato che il mio compagno
di
casini si sarebbe rivelato un apprendista secchione-genio!
Aveva
iniziato a seguire i corsi con
molta tranquillità, com’era suo solito, perdendosi
anche qualche lezione qua e
là, convinto di poter recuperare; ma poi si era reso conto
che la matematica va
seguita e che lui aveva iniziato con il piede sbagliato,
così per recuperare
aveva chiesto una mano a Simona, che in quanto prossima alla laurea in
ingegneria informatica, di matematica ne aveva una signora conoscenza!
Ormai
iniziavo a considerarlo non solo il mio migliore amico, ma anche un
futuro
membro della mia famiglia, probabilmente l’unico membro che
mi sarebbe mai
stato a cuore! Ma a quanto sembrava, le cose non erano così
rosee.
«No
Pasi, non mi ha fatto o detto nulla di male… è
che…»
tirò un sospiro «...credo
proprio di non avere speranze con lei!»
«Stè
ma questo lo dici da cinque anni! Non è una
novità che mia sorella sia l’unica
al mondo a farti sentire insicuro e ad abbatterti! Continuo a non
capire cosa
tu ci trovi in lei, ma ultimamente inizio anche a pensare che tu le
faccia
bene, la vedo più serena, per quanto lei lasci trapelare
quello che sente!»
«Davvero
è più serena? Io non vedo cambiamenti Testarossa!
La frequento da un po’ ormai,
ma sembra sempre un pezzo di ghiaccio nei miei confronti, non riesco a
capire
cosa provi...»
«Stè,
quello non riesco a capirlo nemmeno io! Simona è un rebus e
anzi, io credo che
tu sia l’unica persona in grado davvero di comprenderla!
Ricordi cosa mi
dicesti quel pomeriggio? “Tu non la capisci”,
invece tu ci riesci! Mia
sorella si è confidata con te, sei stato l’unico
che sia riuscito mai a farla aprire, a farle mettere a nudo una sua
paura. Stè
tu hai un legame speciale con lei, la capisci e lei si fida di te come
se ti
conoscesse da una vita!»
«Ma
mi conosce da una vita! Sono otto anni che frequento casa tua!»
«Sì
ma per vedere me, non lei! Quanto avete parlato voi due in questi otto
anni?
Quanto sapete l’una dell’altro e viceversa? Eppure
tu sei riuscito a farla
parlare!»
«Perché
ero lì quando aveva bisogno di qualcuno con cui farlo
Pasi…»
«No
Stè, perché a quel punto avrebbe potuto anche
parlare a me! Se avesse solo
voluto sfogarsi, avrebbe preso la prima persona a caso e
l’avrebbe fatto,
invece ha mentito, mantenendo la sua facciata di brava ragazza e solo
con te è
riuscita a mettersi a nudo, solo con te ha abbassato le sue difese!» Cosa
che non ha fatto Emile con me!
«Non
so Testarossa, sono confuso...»
Non dirlo a me Testa di Paglia! Io ho un
caos dentro che non potrei nemmeno descrivertelo!
«Stè
fatti coraggio e credi in te stesso; io sono convinta che se tieni
duro, potrai
farcela!» quella era
una
frase che inconsciamente, rivolgevo anche a me stessa.
Abbracciai
Stè per dargli un po’ di
conforto quando squillò il mio cellulare: era Fede.
«Non
ho mai ricevuto così tante chiamate da te come in questi
ultimi giorni! Ti stai
forse innamorando di me?»
iniziai a prenderlo in giro, desiderosa di cambiare un po’
argomento e di
rilassarmi con due chiacchiere stupide.
«Oh
sì PASIFAE, non hai idea di
quanto io t’ami, ad iniziare dal tuo bellissimo nome!» questa me l’ero
cercata:
Fede=1, Stupida
Pasi=0.
Non
avevo intenzione di ribattere e
continuare all’infinito un discorso che mi faceva saltare i
nervi… soprattutto
in quel giorno in cui tutto ciò che mi ricordava mia madre
doveva essere
bandito!
«Ok,
ho capito cambiamo discorso… cosa c’è
Fede? Serve una mano in comunità?»
«A
dire il vero non proprio, ma in qualche modo è collegato;
vieni appena puoi, ti
aspetto.»
così dicendo, chiuse
la chiamata lasciandomi alquanto
perplessa: che cosa significava quella frase?!
_________________________________________
NDA - ovvero:
Angolo dei
Ringraziamenti xD
Lo so che mi dite che
non ce n'è bisogno, ma io vi ringrazio lo stesso
perchè il vostro appoggio è prezioso :*
Grazie di cuore alla mia
tomdachi/beta Iloveworld
[pubblicità progresso: andate a leggere la sua storia "Ali
d'argento" perchè anche se è work in
progress, i
capitoli finora pubblicati sono una meraviglia *_*] e tutte le mie
sorelle : Ana-chan, Cicci, Ely, Niky, Saretta e Vale.
Grazie di cuore, per le
belle parole di elogio, gli incoraggiamenti e l'entusiasmo.
<3<3<3<3
E grazie come sempre a
tutti coloro che passeranno di qui e si fermeranno a leggere ^ ^
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 06 ***
Capitolo 6
«E
tu mi hai fatto venire qui, per questo!?»
Lo
guardai a dir poco allibita: il motivo
per cui era richiesta la mia presenza era una foto che Fede aveva
trovato nella
cassettiera, che IO avrei dovuto restituire ad Emile!
«Pasi,
io qui ci lavoro, non posso entrare e uscire quando voglio! Tu conosci
casa
sua, conosci lui e non impiegherai molto a restituirgliela.»
«Ma
chiamalo e digli di venire a prendersela! Io che c’entro nei
vostri affari?» era
la seconda volta in quella giornata
che facevo la gnorri e la seconda volta che venivo sbaragliata.
«Ancora
tenti di nasconderti? Ti sto offrendo la possibilità di
rivederlo su un piatto
d’argento stupida! Approfittane, a meno che tu non ti sia
decisa a prendere in
mano la situazione trovando occasioni per farlo…», mi guardò con
un sorrisino sarcastico molto simile a quello
che avevo visto sul volto di Emile: ma si stavano prendendo tutti gioco
di me?!
«Fede,
apprezzo molto i tuoi tentativi di trovarmi un ragazzo, ma credo
proprio che tu
abbia sbagliato soggetto! E poi non ho mai detto di volerne uno,
né tantomeno
di essere interessata ad Emile Castoldi!»
Purtroppo
il volume alto della mia voce,
che zittì un po’ tutti in quella sala comune, mi
smentì drammaticamente…
Fede
com’era suo solito non si scompose,
al pari di Stè capiva benissimo che dietro le mie urla
c’era un conflitto che
ancora non avevo avuto modo di risolvere e aspettava paziente che
sbollissi la
rabbia e iniziassi a ragionare.
«Testolina
dura, ho capito che ci vorrà del tempo prima che tu ammetta
a te stessa ciò che
è palese per tutti, però nel frattempo, visto che
io non sono coinvolto e vedo
più razionalmente di te, permettimi di dirti una cosa: Emile
non è un tipo
semplice, ho capito che fa il duro per proteggersi, per allontanare da
sé chi
potrebbe fargli del male. Hai visto anche tu che con qualche parola
chiara e
ragionevole, ha abbassato la guardia e si è mostrato
diverso. Quindi non ti
fermare alle apparenze, non lasciare che il tuo orgoglio ti chiuda gli
occhi e
non ti faccia raggiungere ciò che quel ragazzo protegge
dentro di sé. Osserva al
di là del muro che erge tra sé e gli altri e
guarda chi è veramente. Solo
allora potrai essere sincera con te stessa e ammettere con cognizione
di causa
cosa provi per lui. Ed ora prendi questa foto e fila via da lui.» così dicendo mi
diede la foto
insieme ad un altro foglio e mi buttò fuori dalla
comunità senza troppe
gentilezze.
Aprii
il foglietto, c’era un numero e un
appunto di Fede:
Visto
che sicuramente non avrai la forza di presentarti a casa sua, ti lascio
il numero del suo cellulare, così potrai avvertirlo tramite
telefonata o sms e
proteggerai la tua dignità :P
Fede
era un demone travestito da angelo! Ma Dio solo sapeva quanto ero
felice che
lui e Stè fossero nella mia vita!
*****
Come
preventivato da Fede, non ebbi la forza di presentarmi su due piedi a
casa di
Emile, inoltre era molto facile che non fosse in casa se lavorava, per
cui la
cosa migliore da fare era avvertirlo tramite cellulare: se
l’avessi chiamato
però, ero certa che mi avrebbe assalito l’idiota
balbuzie da quindicenne in
amore, quindi optai per un sms (e sentii il sorriso soddisfatto di Fede
dietro
la mia testa, anche se non ero più lì con lui).
Mi
accomodai su una panchina nei giardini pubblici e dopo
mezz’ora di scritture e
riscritture e revisioni e controlli del testo (doveva essere un sms
senza
fronzoli, senza errori grammaticali, senza alcuna testimonianza che
avessi una
voglia matta di vederlo; mai gli avrei dato una simile soddisfazione!),
mandai
il messaggio mentre l’ansia fece poltiglia di me, che restai
in attesa di
risposta. Quest’ultima per fortuna non si fece attendere
molto: dopo un paio di
minuti arrivò, mandando il mio cuore in gola, mentre lottavo
con la sensazione
che potesse uscirmi dal petto da un momento all’altro.
Emile
rispose che stava per uscire da lavoro, quindi se gli avessi detto
dov’ero mi
avrebbe raggiunto: gli spiegai dove mi trovavo e attesi che arrivasse.
Nel
frattempo iniziai a guardare quella fotografia con attenzione.
C’erano tre
persone ritratte, un uomo una donna e un neonato: avevo riconosciuto la
signora
Claudine anche se in quella foto il suo sguardo era diverso come il
giorno lo è
dalla notte! Era felice, aveva una grande luce negli occhi ed era
davvero bella!
Accanto a lei c’era quello che doveva essere suo marito: un
bell’uomo alto dai
capelli ricci portati lunghi fino alle orecchie, con un sorriso allegro
che mi
ricordava molto quello di Stè; il padre di Emile doveva
essere una persona
altrettanto allegra e serena… o forse lo era stato un
tempo... Quello che per
deduzione logica doveva essere Emile, era un fagottino in braccio alla
madre,
avvolto negli abiti enormi dei neonati che insieme alle braccia della
genitrice,
non lasciavano vedere molto del piccolo che proteggevano, ma
già si intravedeva
quella chioma rossa che lo contraddistingueva.
Mi
innamorai all’istante di quell’immagine: nella mia
famiglia i sorrisi da foto
erano sempre falsi, appena accennati e ovviamente di circostanza,
mentre in
questa istantanea c’erano due persone davvero felici che
mostravano la loro
gioia a chi la guardava; erano riusciti a trasmetterla persino
attraverso il
negativo!
In
un secondo momento però mi assalì la tristezza:
la felicità di Claudine dov’era
andata a finire? Perché si era spenta in quel modo?
Perché ora in quella
famiglia non c’era più la gioia che tanto gli
avevo invidiato due secondi
prima?
Ed
Emile... Emile era riuscito mai a vedere quel sorriso felice sul volto
di sua
madre? Di certo non poteva ricordarsi il momento in cui fu scattata la
foto e
non sapendo nulla sulla causa della malattia di Claudine, mi chiesi
quanti anni
avesse avuto suo figlio quando la madre aveva perso definitivamente il
sorriso.
Fu osservando la testa rossa di quel neonato che mi resi conto anche di
un
particolare: entrambi i genitori di Emile avevano i capelli
castani… allora da
dove proveniva quel color carota che tempestava i miei sogni da
settimane?
«Scusa
se ti ho fatto attendere, ma oggi c’era un traffico
impossibile!»
Per
poco non saltai dalla panchina: Emile comparve dietro le mie spalle
senza
annunciarsi e sicuramente mi aveva anche visto mentre osservavo la foto
della
sua famiglia! Mi alzai in tutta fretta decisa a fuggire via per la
vergogna,
poi mi resi conto che doveva aver corso perché era
affannato: ci teneva così
tanto a quella foto? Del resto non poteva essere altrimenti,
probabilmente era
l’unica immagine felice della sua famiglia, come poteva non
essere importante
per lui?
«Ma
hai corso? Hai l’affanno! Non c’era bisogno di
affrettarsi, vieni siediti…»
«Non
ce n’è bisogno… sono solo fuori
esercizio… dov’è la foto?» la
solita
gentilezza! In questi casi mi chiedevo davvero cosa ci trovassi in lui!
«E...eccola,
la tenevo in mano per non rovinarla in borsa…»
«Grazie,
scusa per il disturbo.»
«Ma
no figurati, non avevo nulla da fare! C-come sta tua madre?»
Ero sinceramente
preoccupata per la signora Claudine così osai chiedere, ben
sapendo che mi
aspettava un'altra frase lapidaria della serie: “Non sono
fatti tuoi”.
«Oh
sta molto meglio, oggi mi ha cacciato dalla sua stanza e si
è chiusa dentro!»
«Cosa?
Allora sta meglio!» Si era risvegliata! Ero felice che fosse
più reattiva, ma
osservando con attenzione il volto di Emile, mi resi conto che parlava
con la
solita maschera arrogante e sarcastica.
«Certo,
non lo sai che chi soffre di depressione ha dei momenti di calo totale
e in
seguito un’euforia innaturale?! Alcune volte si è
arrampicata sui tetti per
mettersi a ballare e l’abbiamo dovuta trascinare
giù!»
Quel
discorso stava assumendo dei toni surreali, iniziavo a credere che
Emile si
stesse prendendo gioco di me...
«Ah
davvero? Beh allora è una persona fantasiosa!»
stetti al suo gioco: se credeva che fossi una stupida da
impressionare
si sbagliava alla grande!
«Oh
sì, certo! A volte ha delle energie invidiabili: anni fa
cacciò anche mio padre
dicendo che non lo voleva più nel suo letto, mettendolo in
imbarazzo davanti
alla famiglia riunita!» Emile si era curvato leggermente su
di me e mi guardava
di nuovo con quell’espressione tra il divertito e
l’arrogante, come se mi
volesse dire “Sei una stupida se credi che ti dica la
verità”.
«Una
volta ha anche tentato di uccidermi
sai?!»
Vabbè
questo era troppo, a quel gioco stupido infantile e perverso non volevo
starci
più ed esplosi:
«Senti
tu, stupido borioso saccente, io sono davvero preoccupata per tua madre
e non
tollero che mi si tratti come un’imbecille prendendosi gioco di me e delle mie
buone intenzioni! Se
tu non riesci a capire quando una persona è sinceramente
preoccupata, beh
allora ti compatisco!»
«Mi
compatisci?» gli occhi di Emile si strinsero in una fessura
mentre si ergeva su
tutta la sua statura mettendo distanza tra di noi. In quel momento
sentii la
sua furia irradiarsi come un’aura dal suo corpo:
«Tu
mi compatisci? Sai cosa mi sembri? Una mocciosa impicciona che non
arrivando al
suo scopo inizia a denigrare ciò che voleva raggiungere! Sei
proprio come
credevo al concerto dei TresneT,
una
bambina che non avendo argomenti insulta con la più banale
delle offese! Mi
stai attorno da settimane, t’impicci dei miei affari e della
salute di mia
madre fingendoti una gentile crocerossina, ma sai che
c’è’? Di persone come te,
finte missionarie, ne ho viste a bizzeffe! Sai quante persone hanno
mostrato a
me e mio padre i loro volti misericordiosi, infilandosi in casa nostra,
solo
per spiare la situazione e spettegolare sulla salute di mia madre?! Sai quanti hanno offerto
il loro aiuto per
poi sparire alla prima crisi ingestibile?! Non me ne faccio nulla della
vostra
carità, non voglio la vostra pietà e non
m’interessa il vostro falso aiuto!»
Ora
sì che era furioso, ma lo ero anche io! Per chi mi aveva
preso? Io una
pettegola! Proprio io che odiavo tutte le chiacchiere di cortile e la
tipica
frase dei miei genitori “Poi la gente che ne
pensa?”!? Come osava paragonarmi a
loro!
«TU
NON SAI NIENTE DI ME STUPIDO IDIOTA! Non sai nulla di come sono, non
sai nulla
di quello che faccio e vedo che non ti sei preso nemmeno la briga di
farlo!
Fede ti ha detto che io e lui trattiamo con le persone psicologicamente
fragili
da tempo e hai visto tu stesso che siamo stati in grado di gestire la
crisi di
tua madre! Se fossimo stati dei pettegoli saremmo solo rimasti a
guardare e poi
saremmo scappati via a riportare l’accaduto, riempiendolo di
urla che tua madre
non ha dato e di scene drammatiche che non ci sono mai state! Eppure Fede te
l’ha anche detto! E sembravi
aver capito che eravamo felici di darti una mano! Invece sei solo un
pallone
gonfiato che ha le manie di persecuzione! Tieniti la tua stupida foto e
sparisci dalla mia vista! Anzi no, me ne vado io!»
Così
dicendo, girai le spalle a quel ragazzo che aveva osato paragonarmi ai
miei
genitori e mi allontanai, prima che la furia che mi pervase in quel
momento mi
portasse a salire su quella panchina e allungare le mani sul suo collo
per
strangolarlo!
Feci
qualche passo per schiarirmi le idee, poi mi fermai quando capii che
ero
lontana da occhi indiscreti: cercai di prendere a pugni un albero, ma
il
risultato fu deleterio per le mie nocche, così decisi di
rilassarmi con qualche
dose di respirazione profonda.
D’improvviso
mi resi conto che quel giorno avevo detto a mia madre che me ne andavo
di casa,
ma che non avevo uno straccio di luogo in cui rifugiarmi!
A
casa non ci sarei tornata di sicuro, avevo il mio orgoglio da difendere
e
volevo dimostrare ai miei di avere seri propositi, quindi avrei dovuto
rimediare un letto per la notte e l’indomani iniziare a
cercarmi un lavoro.
Dove
potevo andare? Chi poteva ospitarmi?
Ma
certo! Margherita!
*****
Margherita,
che voleva farsi chiamare Rita, era una donna di mondo. O meglio ne
aveva tutta
l’aria: era di famiglia benestante e desiderosa di avere la
sua indipendenza;
così una volta scelta la facoltà universitaria,
nonostante non abitasse lontano
da essa, decise, utilizzando i suoi fondi per gli studi, di trovarsi un
appartamento per poter studiare in pace e iniziare a vivere in modo
indipendente
dalla famiglia. Aveva trovato un lavoro part-time e, essendo una
fissata della
forma fisica, trovava anche il tempo per cure estetiche e palestra e i
suoi
studi non ne erano minimamente compromessi: una specie di genio! In
questo era
molto simile a Simona, ma al contrario di mia sorella, Rita amava
divertirsi:
magari centellinava le uscite, programmava i suoi impegni, ma quando
serviva
una mano lei c’era, era una buona amica e aveva sempre una
parola di conforto
per tutti.
Rita
e Fede erano più grandi di me e Stè, avevano
l’età di Simona, ventitré anni e
forse per questo erano così protettivi nei nostri confronti
e molto
probabilmente io vedevo in loro un fratello e una sorella che non avevo
mai
avuto, se non addirittura dei genitori! Rita aveva scelto un piccolo
appartamento in cui vivere da sola, ma mi aveva sempre detto che in
caso di
bisogno, quelle mura erano casa mia e sarei sempre stata la benvenuta
lì.
Motivo per cui, in quel momento di sconvolgimenti importanti della mia
vita,
decisi di rifugiarmi nella tana che mi attendeva da anni.
Appena
le dissi cos’era accaduto con mia madre, fece spazio
nell’armadio per metterci
la mia roba (che immaginava andassi a prendere) e mise a mia completa
disposizione tutti i suoi spazi. Poi mi fece accomodare sul divanetto
in cucina
e mi chiese come stavo.
«Non
c’è solo questo, vero Pasi? Ti vedo
particolarmente giù di tono oggi.»
«Diciamo
che il litigio con mia madre è stato l’inizio, ma
poi la giornata è andata
sempre peggio!»
Raccontai
per sommi capi della telefonata di Fede e la litigata furibonda con
Emile, le
dissi di cosa mi aveva accusato e quanto profondamente mi avesse
offeso, le
spiegai del giorno al pronto soccorso e di come quel ragazzo fosse
diverso quando
era in compagnia della madre. Rita ascoltò senza battere
ciglio finché non
terminai il mio racconto.
«Certo
che tu e quel tipo non riuscite proprio a parlare come comuni mortali!
Tu
t’inalberi per un nonnulla, lui offende senza troppe
remore... che bella
coppia!»
«Non
siamo affatto una coppia! Assolutamente non ho nulla da spartire con
quello
lì!» a parte il fatto che mi avesse offesa
terribilmente e fatta sentire
un’emerita idiota per essermi preoccupata per lui e per la
sua famiglia!
«Pasi,
si vede lontano un miglio che quel tipo t’interessa, tu forse
non te ne sei
resa conto, ma ti sei già presa a cuore tutto quel che fa e
quello che lo
riguarda, seguendo le sue esibizioni e preoccupandoti della madre. Sono
certa che
anche Fede sia arrivato a questa conclusione, altrimenti non ti avrebbe
spedito
ad incontrarlo!»
Rita
mi aveva circondato le spalle con un braccio e mi consolava, proprio
come avrei
voluto che facesse una sorella: mi sentii realmente piccola e indifesa
in quel
momento. Lei e Fede erano davvero i miei fratelli/genitori, soprattutto
alla
luce del loro passato.
Erano
stati insieme quando frequentavano le scuole medie superiori e a detta
loro si
erano amati davvero molto. Però crescendo si erano resi
conto di essere
cambiati e che i quindicenni che si erano innamorati, erano diventati
diciottenni
insoddisfatti che non sapevano più cosa volevano,
così di comune accordo si
erano lasciati e adesso erano buoni amici.
Non
che troncare la loro storia fosse stato facile.
Non
si erano più sentiti per qualche anno, allora non
c’erano le premesse per
venirsi incontro e guardarsi sotto altre spoglie che non fossero solo
quelle
dell’ex. Ma con qualche anno di distanza e qualche esperienza
di vita che li
aveva fatti crescere, quando si erano ritrovati si erano anche accorti
di
riuscire ad essere buoni amici ed ora guardavano con
serenità e senza alcuna
recriminazione al loro passato. Io non sarei mai riuscita ad essere
amica di un
mio ex ragazzo, probabilmente perché le mie storie erano
finite sempre in
litigi… Sapevo di non poter piacere a tutti e comprendevo
che le critiche
spesso erano costruttive, ma quando qualcuno a cui tenevo mi criticava,
alzavo
subito le barriere e attaccavo a mia volta! Ero così stanca
di essere criticata
da chi invece volevo solo che mi sostenesse, che non riuscivo a
mantenere un
contegno razionale né tantomeno pensare di rivedere un mio
ex ragazzo senza
ripensare a tutto ciò che aveva avuto da ridire sul mio
conto! Ed ora mi stavo
innamorando di un tipo che non solo criticava gratuitamente, ma
riusciva anche
a farmi sentire una vera stupida…
«Rita
non voglio!» assumendo la voce lagnosa di una bambinetta mi
rifugiai tra le braccia
della mia madre acquisita: «Ti ricordi come sono stata male
quando è finita la
storia con Alessio? E quali sono stati i miei propositi quando tutto
è passato:
basta farmi mettere l’orgoglio sotto i piedi dal primo
ragazzo che capita! Non
ti sembra che io sia stata umiliata già abbastanza?! Non
voglio innamorarmi di
un tipo simile! Non voglio impegnarmi in quest’altra
battaglia, che mi lascerà
solo più incattivita e cinica!»
«Pasi
ti stai fasciando la testa prima di romperla: chi ti dice che sia una
storia
destinata finire? E soprattutto, se te ne sei innamorata, evidentemente
hai
visto qualcosa in lui che ti ha colpito, al di là del suo
caratteraccio. Lo sai
che gli esseri umani
sono un insieme di
tante piccole sfumature di carattere, siamo creature terribilmente
complesse e
ciò che vedono di noi gli altri, non sempre corrisponde a
ciò che veramente
siamo. Probabilmente Emile ha solo un modo di fare aggressivo che
nasconde
qualche insicurezza. Certo se ti fa star male, se quando pensi a lui
sei solo triste
e arrabbiata, allora forse non ne vale la pena... ma se ti è
capitato più volte
di sentirti emozionata all’idea di vederlo, se la sua voce o
il suo nome o
qualsiasi più piccola cosa a lui connessa ti scombussola,
allora significa che
il tuo cuore sta
già sognando e tu devi
solo adeguarti alla sua volontà.»
Che
belle parole sapeva dire Margherita, com’era dolce e sognante
il suo modo di
vedere le relazioni umane! Nessuno avrebbe mai pensato che una persona
così
attiva e presa dall’epoca moderna fosse così
sognatrice, eppure anche lei
nascondeva dentro di se un animo tale! Probabilmente aveva ragione,
dovevo
concedere al mio cuore il beneficio del dubbio e cercare di capire chi
si
nascondeva dietro quegli occhi di ghiaccio, quel sorriso sarcastico e
quelle
parole taglienti. Anche Fede mi aveva spronato a farlo, forse dovevo
davvero
credere ai miei amici/genitori! D’un tratto però
mi resi conto di un
particolare non indifferente: stavamo facendo i conti senza
l’oste, perché io
non avevo la più pallida idea di cosa Emile provasse per me
e se pensavo alla
lite avuta qualche ora prima, potevo sicuramente affermare che mi
disprezzasse
non poco!
Mi
stava salendo di nuovo la rabbia al pensiero del modo maleducato e
gratuitamente velenoso in cui mi aveva trattato, quando sentii il
cellulare
squillare: potevano essere i miei genitori? Erano in ansia per me? Non
osavo
pensarlo!
Mi
staccai dall’abbraccio di Rita per prendere il telefono e
vidi un numero che
non conoscevo, accettai la comunicazione e per poco non mi cadde il
cellulare
di mano quando sentii la voce di Emile:
«Ciao…
volevo chiederti scusa per prima, sono stato davvero maleducato e
sgarbato, ho
capito dopo di averti insultato gratuitamente, perché ora
avrei davvero bisogno
di aiuto e mi sono reso conto che tu e Federico siete stati bravissimi
con mia
madre l’altro giorno...»
Dopo
l’iniziale sorpresa di sentirlo, iniziai a ragionare: Emile
si stava scusando…
ma ad Emile serviva anche un aiuto immediato… Avevo il
sospetto che se sua
madre non avesse avuto bisogno di me all’improvviso, quella
telefonata non
avrebbe mai avuto luogo!
«Perché
non chiami Federico, di sicuro lui è meno invadente e
persecutore di me!»
Non
potevo cedere così su due piedi, non ero certo il suo
cagnolino, gli avrei
fatto vedere di che pasta ero fatta!
«Federico
non può venire e mi ha detto di chiamare te!»
Parlò a denti stretti con un tono
che mal celava la sua irritazione: quindi ero la sua ultima scelta! Era
stato
costretto a chiamarmi dal precipitare degli eventi... E cosa gli faceva
pensare
che avrei acconsentito?
«Quindi
mi stai dicendo che non volevi chiamarmi, ma sei stato costretto a
farlo perché
non avevi via d’uscita e ti è toccato anche
scusarti!» Ah come gongolavo! Per
una volta ero io a guardarlo dall’alto in basso, anche se
solo metaforicamente!
Beccati questo rossino malefico: Pasi=1, Pel-Di-Carota=0!
«Sì,
lo so sono un bastardo cinico e opportunista e capirò se mi
dirai che posso anche
andarmene al diavolo, io e mia madre, ma a quel punto potrò
anche immaginare
che davvero non t’importi nulla di lei, perché io
devo assolutamente uscire,
mio padre non è in casa e mia madre non può stare
da sola!»
Assurdo,
mi stava chiedendo un aiuto e tuttavia lo stava pretendendo rigirando a
suo
favore il mio discorso! Oddio che voglia di strangolarlo che avevo!
Però
sentivo anche la sincera preoccupazione nella sua voce e tutto sommato
quando
avevo offerto il mio aiuto ero stata sincera...
Decisi
di andare, tuttavia feci ancora un po’ la preziosa:
«L’infermiera
non c’è? Non hai detto che ce
n’è una fissa accanto a tua madre?»
Pausa.
Si sentì un sospiro e poi Emile tornò a parlare:
«Non
riesco a contattarla, la sera normalmente è libera
perché c’è sempre qualcuno
di noi in casa, quindi non è tenuta ad essere
rintracciabile!» disse a denti
stretti, trattenendo di sicuro qualche bell’insulto: doveva
essere davvero
disperato… «Vabbè, fa nulla, scusami
per il disturbo e scusami ancora se sono
un imbecille!»
«D’accordo
ora vengo, ma dammi un po’ di tempo perché non ho
l’auto.»
«Ok…
grazie.»
*****
Quando
arrivai, Emile aprì le porte di casa prima ancora che
bussassi, di sicuro stava
di vedetta dietro la porta con l’ansia addosso! Mi rammaricai
di non averlo
fatto attendere di più, ma poi pensai che il fatto stesso di
chiamarmi e di
chiedere il mio aiuto dovevano essere stati una bella punizione al suo
orgoglio
spocchioso e mi godetti quel momento di superiorità. Entrai
e con un debole cenno
del capo a mo’ di saluto,
iniziò a
parlarmi:
«Mia
madre ora dorme, ma sarebbe meglio restarle accanto, non ha avuto altre
crisi,
ma ultimamente è più imprevedibile del solito,
per cui è meglio tenerla sotto
controllo…» si fermò un istante, con
l’aria combattuta, poi si decise a
guardarmi in faccia: «Scusami davvero per oggi e per poco fa,
ti ho trattata
davvero malissimo e invece tu sei qui a darmi una mano: dammi anche
dell’idiota
o insultami come preferisci, stavolta non ribatterò
nulla!»
Mi
stava guardando per la prima volta con uno sguardo sincero, privo di
del solito
sarcasmo o della rabbia: quelli erano gli occhi del suo animo, gli
occhi della
persona che lui proteggeva da tutti? Mi sentii ipnotizzata da quel
grigio
azzurro così limpido e intenso e non riuscii a dir alcuna
parola velenosa:
«È
successo qualche imprevisto grave?» andai dritto al sodo, non
volevo discutere,
ma non volevo nemmeno minimizzare l’accaduto, così
cercai per lo meno di sapere
il motivo per cui alle otto e mezzo della sera io mi ritrovassi in una
casa
sconosciuta a prendermi cura della madre di Emile.
«No,
per fortuna… mio padre è fuori casa
perché stasera sarei dovuto restare io con
mia madre, ma all’improvviso mi hanno chiamato i ragazzi per
un’esibizione
organizzata all’ultimo minuto e mi sono ritrovato a non saper
chi chiamare e...
il resto lo sai.» abbassò di nuovo la testa
colpevole, per poi tornare a
parlare: «Scusami davvero… sono proprio un
imbecille borioso!»
Restai
davvero senza parole. Solo qualche ora fa mi aveva riempito di insulti
ed ora
non la smetteva di chiedere scusa: ma chi era il vero Emile?!
«Senti,
finiamola con queste scuse, ok? Sei inquietante ora, non ci sono
abituata! Tu hai
esagerato, io ho esagerato; ora
mettiamoci un
macigno su e non pensiamoci più!»
Mi
guardò con un misto di stupore e di divertimento sul viso,
poi fece un
sorrisetto appena accennato diretto più a se stesso che a me
e annuì.
«Ora
devo proprio andare, ma appena mi libero torno subito a casa. Se ti
viene
sonno, in camera di mia madre la poltrona è reclinabile, se
hai fame la cucina
è a tua disposizione. Hai avvisato i tuoi che sei
qui?» Quell’ultima domanda mi
lasciò interdetta: credeva che fossi una bimbetta? E poi non
volevo affatto
pensare ai miei genitori in quel momento!
«È
tutto ok, stai tranquillo! Il mio numero ce l’hai se vuoi
controllare ogni
tanto come va, quindi ora muoviti o farai tardi, ci vediamo
dopo!» e così
dicendo sfoderai un bel sorriso rassicurante, che ebbe
l’effetto di far
sorridere anche lui:
«Allora
a più tardi, ciao!» e dopo avermi lasciata
inebetita per quel sorriso improvviso,
chiuse la porta di casa dietro di sé,
uscendo dalla mia visuale. Così, mi ritrovai
sola (o quasi) in casa di
Emile: al piano di sopra mi aspettava la signora Claudine, ma prima di
andare
da lei, avevo il desiderio spasmodico di osservare la casa in cui
viveva il
protagonista dei miei turbolenti sogni.
_____________________________________________
NDA
"Qualcosa
si muove all'orizzonte... i nostri eroi riusciranno ad avere una
conversazione civile, prima o poi? La risposta nella prossima
puntata" xD
E
dopo questo delirante commento, passo allo scopo principale di
quest'angolo: i ringraziamenti a tutte le mie sorelline che mi seguono,
si entusiasmano e rendono la sottoscritta felice e orgogliosa ^ ^
Grazie
all'infinito a Iloveworld,
Ana-chan, Cicci, Ely, Vale, Niky e
Saretta. Grazie davvero tesore mie!!!
E grazie anche a tutti
coloro che si fermeranno a leggere, e a chi segue questa
storia con interesse. Grazie grazie grazie!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 07 ***
Capitolo 7
Mi
sentivo una ladruncola curiosa per cui camminai in punta di piedi per
gran
parte del tempo: la mia coscienza mi stava dicendo di andare
direttamente al
piano di sopra, ma un’altra parte di me mi ricordava che
dovevo ancora cenare e
che quindi almeno in cucina dovevo pur andarci… E a quel
punto mi venne in
mente, che forse anche Claudine aveva fame. Avevo visto la madre di
Emile solo
in due occasioni e in nessuna di esse aveva aperto bocca, ma non potevo
credere
che fosse così fosse così immersa nella sua
tristezza da rinunciare anche a parlare ed esprimersi, doveva pur avere
dei momenti di “lucidità”!
Decisi
quindi di chiedere alla signora se avesse fame e salii le scale che
davano alle
stanze da letto: bussai alla porta ma non sentii alcuna voce, quindi mi
permisi
di entrare. Claudine apparentemente dormiva, mi avvicinai cercando di
far un
po’ di rumore in modo da annunciarmi, ma nulla si mosse nel
letto, così arrivai
accanto alla signora e mi accertai che dormisse. Decisi quindi di
scendere per
consumare il mio pasto, ma una volta fuori dalla stanza, mi
assalì la voglia di
vedere la camera di Emile: volevo conoscere il suo rifugio, il luogo in
cui
avrebbe dovuto esserci tutto ciò che lo riguardava; volevo
sapere tutto di lui ormai, volevo capire chi era davvero, se mi stavo
perdendo dietro un’immagine illusoria che avevo creato io,
oppure se il mio cuore aveva visto nella giusta direzione, capendo
prima della mia mente.
Le
stanze al piano di sopra non erano molte: dalle scale si accedeva ad un
corridoio che si estendeva a destra, lasciando lo spazio a sinistra
solo per un
ambiente, probabilmente un’altra stanza da letto. La camera
della signora
Claudine era la prima a destra, accanto c’erano due bagni e
di fronte altre due
stanze. Mi diressi verso queste ultime… e scoprii che
entrambe erano chiuse a
chiave!
Disgraziato, non si fidava proprio!
Una voce dentro di me mi
disse che
considerato ciò che stavo facendo, aveva decisamente
ragione, ma stizzita la
misi a tacere e cercai di curiosare nella stanza in fondo a sinistra, ma
risultò chiusa anch’essa!
Che
nervi, il mio momento da Sherlock Holmes rovinato prima di nascere!
Stizzita
con Emile e la sua eccessiva sfiducia, scesi in cucina, mi preparai un
panino e
andai nel salotto, quella che sembrava la stanza dedicata al passato di
Claudine. Ero curiosa di ascoltarla e di saperne di più,
volevo capire chi
fosse quella donna che aveva rinunciato a vivere; la solita vocina mi
disse di
non attardarmi lasciando la donna Claudine sola, ma pensai al suo sonno
profondo e infilai le cuffie per ascoltare il giradischi: la sua voce
era come
la ricordavo, dolce e delicata e il suo modo di cantare era sempre un
po’ soft,
una vera chanteuse!
Sfogliai
qualche rivista ordinatamente riposta negli scaffali, ma erano tutte in
francese e capii qualcosa solo dalle immagini: vidi Claudine Flaubert
radiosa
mentre riceveva dei riconoscimenti, ma soprattutto articoli di cronaca
rosa in
cui la signora compariva con un uomo, il padre di Emile, Alberto
Castoldi. Da
quanto riuscivo a capire, la stampa francese si era concentrata
più sui
pettegolezzi che sulla carriera della signora Claudine: probabilmente
era stata
una vittima del gossip più spietato a discapito dei suoi
meriti professionali.
Iniziavo a capire quanto Emile potesse odiare le persone invadenti e
pettegole
se i paparazzi avevano messo mano nel distruggere la carriera della
madre. A
quel punto decisi che era giunta l’ora di fare ciò
per cui ero venuta: presi
qualche altra scorta di cibo, gironzolai per il salotto in cerca di un
libro da
leggere e salii da Claudine.
Era
ancora addormentata, così mi accomodai sulla poltrona. Stavo
iniziando a
sbucciare una mela quando sentii un fruscio di lenzuola e alzando lo
sguardo,
vidi la madre di Emile che mi osservava:
«Tu
non sei Sabrina.» probabilmente si riferiva
all’infermiera.
«No,
sono Pasi signora, stasera ci sono io con voi.»
«Sei
giovane.» in effetti la mia non era proprio la tipica
età da infermiera…
«S-sì,
sono ehm.. un’amica di Emile.» più
o
meno…
«Il
mio Emile è un bravo bambino vero? È
così tranquillo, così dolce, così
assennato… » Claudine era rimasta tutto il tempo
col capo sul cuscino, senza
mostrare la minima volontà di alzarsi a sedere, ma
all’improvviso la vidi
piangere e per un attimo andai nel panico!
«Io
non lo merito, è così buono Emile, io non sono
una brava madre… non sono capace
di fare la madre! Mon Emile è stato sfortunato! Mon petit
Emile!»
La
tristezza che traspariva da quelle parole mi strinse il cuore: Claudine
era
divorata dal senso di colpa per essere stata una madre assente e come
ogni
depresso che si rispetti, non era in grado di reagire. Posai la mela
che stavo
sbucciando e mi allungai ad accarezzare il capo di quella donna triste
per
darle un po’ di conforto:
«Non
è vero Claudine, non siete una cattiva madre. Sapeste come
vi guarda Emile! Vi
ama tanto e non è affatto arrabbiato con voi...»
Claudine
alzò il viso dal cuscino e iniziò ad osservarmi
attentamente.
«Non
è arrabbiato? Ma io sono stata cattiva con lui!
L’ho lasciato nella culla! L’ho
lasciato a piangere! Sono stata cattiva!»
«È
tutto passato, Emile non ci pensa più, non vi
preoccupate» continuai ad
accarezzarla per tranquillizzarla, mentre sentivo quegli occhi chiari
che
sondavano il mio volto, «Vi va una mela? La stavo sbucciando
proprio ora…»
Claudine
fece un cenno affermativo con la testa, così
l’aiutai a mettersi a sedere e
ripresi a sbucciare la mia mela, dandole gli spicchi mano a mano che li
tagliavo.
Guardai quella donna minuta mentre mangiava: il suo avambraccio era
terribilmente magro e il suo volto appariva più scavato
rispetto all’ultima
volta che l’avevo vista: chissà da quanto tempo
non faceva un bel pasto
soddisfacente! Asciugai
le lacrime dal
suo viso ma nemmeno se ne rese conto; doveva essere persa nei suoi
pensieri in
profondità, a ricordare qualche altro doloroso stralcio di
vita che non
riusciva a sopportare.
D’improvviso
si adagiò sul cuscino e chiuse gli occhi, dando
l’impressione di essere troppo
sfinita per fare alcunché, così smisi di darle la
frutta e la riadagiai nel
letto. A quel punto, dagli occhi chiusi di Claudine emersero altre
lacrime:
«Io
voglio bene al mio bambino…»
Parlò
senza aprire gli occhi, persa nella sua tristezza e nel senso di colpa;
allungai la
mano
sul suo volto per accarezzarlo come avevo visto fare ad Emile,
finché non la
vidi scivolare del tutto nel sonno.
Le
discussioni di quel giorno e i malumori consecutivi erano stati
terribilmente stancanti: dopo poco sentii che anche i
miei occhi chiedevano
riposo e mi addormentai, ma prima di perdere i sensi del tutto,
passò nella mia
mente l’immagine del giradischi in salotto che non avevo
spento.
*****
«Pasi… Pasi.»
«Mmm»
«Pasi…
sono tornato… sei libera ora.»
«Mmm
solo un attimo, mamma.»
«Pasi,
alzati che è tardi, o farai tardi a scuola!»
«Mmm»
Aprii
gli occhi malvolentieri, pensando che avrei dovuto affrontare un altro
giorno
di scuola. e mi ritrovai davanti il volto di Emile che mi
osservava divertito!
Balzai in un attimo sulla poltrona con il cuore in gola per la sorpresa
e
sentii quel diavolo rosso che se la rideva sommessamente.
«Paura
dei professori o della mamma?» mi sussurrò
malignamente, attento a non
svegliare la sua di madre.
«Divertente,
proprio divertente!» sbuffai, rendendomi conto che aveva
trovato un modo
encomiabile per svegliarmi di colpo!
«Visto
che non ti svegliavi, mi sono affidato
all’inventiva!» e continuò a farsi la
sua risatina malefica tra sé e sé.
«Potevi
anche lasciarmi dormire visto che c’eri!» risposi
irritata; possibile che
riuscisse a trovare un modo per prendersi gioco di me anche quando
dormivo?!
«Non
sarebbe stato cortese lasciarti dormire in quella posizione scomoda,
ora sei
libera di andare a riposare in modo degno» solo allora mi
resi conto di essermi
addormentata poggiando la testa sul letto, mentre accarezzavo il volto
di
Claudine… Emile mi aveva visto in
quell’atteggiamento così confidenziale?
Probabilmente no, altrimenti di sicuro sarebbe andato in escandescenza,
anche se agitandosi
avrebbe potuto svegliare
sua madre…
Probabilmente
aspettava di scendere al piano di sotto per farmi la ramanzina,
però il suo
viso sembrava sereno, molto sereno ora che ci pensavo…
«Andiamo
giù, così non svegliamo mia madre.»
Eccolo lì, l’inizio di un altro
battibecco…
vabbè ormai ero sveglia e fosse mai che avessimo un discorso
civile! Scendemmo
le scale e arrivammo in cucina,
Emile si diresse verso il frigorifero.
«Vuoi
un po’ di latte?»
«N-no
grazie, sono a posto così.»
Se
la stava prendendo comoda: stava forse pensando a cosa dirmi? O forse
in
effetti non c’era una ramanzina da farmi…
«Ti
sono piaciute le canzoni di mia madre?» …
sì, la ramanzina c’era!
A
quelle parole ricordai di aver lasciato il giradischi con la lucina
accesa,
mostrando palesemente e svergognatamente, di aver frugato in casa
sua…
Ma
se dovevo essere ripresa, tanto valeva reagire subito senza subire e
considerato che gli avevo appena fatto un grosso favore, poteva
tranquillamente
evitare di adirarsi per una cosa simile. Così con tutto il
mio coraggio, feci
la faccia da poker più credibile che avessi e risposi.
«Sì,
ha una bella voce.» e aggiunsi «è molto
dolce.»
«Sì,
è vero» senza l’alone di un sarcasmo o
un accenno di rimprovero nella voce,
venne a sedersi al tavolo proprio di fronte a me, con il suo latte
davanti.
«È
stata tranquilla? Hai avuto problemi?»
Emile
mi osservava con calma mentre mi chiedeva della madre, e si stava
gustando il
suo latte; questa probabilmente era la prima volta che parlavamo in
modo
civile!
«Nessun
problema: si è svegliata e ha mangiato una mela e poi si
è riaddormentata»
Non
volevo riportargli la nostra conversazione, perché avevo
l’impressione che
fosse un argomento troppo intimo e che la mia intromissione, seppure
involontaria, fosse del tutto fuori luogo.
«Credo
di essere crollata anche io dopo un po’!» dissi con
un po’ d’imbarazzo; Emile
sorrise lievemente.
«Beh,
non è di certo un lavoro divertente, quello! A proposito,
dimmi quanto ti devo,
prima che me ne dimentichi.»
Voleva
pagarmi? Non avevo nemmeno pensato a quella eventualità!
«Ma
no, io l’ho fatto con piacere, non ce
n’è bisogno! Anche in comunità
presto volontariato, non vado lì per essere
pagata...»
«Ma
in comunità non vai di notte, cadendo addormentata in modo
scomodo e per niente
rilassante.»
«Non
importa, Fede dice sempre che dare calore umano è la cosa
più importante, al di
là di come avviene, ed io la penso allo stesso
modo.»
«Calore
umano?»
«Esatto;
quello che si dona quando si aiuta chi è in
difficoltà o si consola chi è
disperato o il semplice atto di condividere qualcosa insieme. Fede
è un
distributore instancabile di calore umano, mi è
d’esempio!»
Iniziai
ad infervorarmi parlando dell’ammirazione che nutrivo per il
mio amico, così
capace di avvicinare le persone e percepire ciò che si
portano dentro. L’entusiasmo
doveva essere altamente palese sul mio viso, perché Emile
fece un lieve sorriso.
«Federico
è una bella persona e ci sa fare con gli altri.»
Ricordai
com’era stato capace di calmare Emile con un solo gesto della
mano e una frase
e immaginai che anche il ragazzo di fronte a me stesse riportando la
mente a quello
stesso momento.
«In
qualche modo però voglio sdebitarmi con te; innanzitutto,
non puoi andartene a
casa da sola a quest’ora ed io non posso accompagnarti o
lascerei sola mia
madre. Vado a sistemare il letto nella stanza degli ospiti,
così potrai
riposare lì.»
«Ma
no che dici, non ce n’è
biso…» feci uno sbadiglio colossale, mentre
Emile
sorridendo uscì dalla cucina.
Mi
affrettai a seguirlo e l’aiutai a preparare il letto per me:
ero in una delle
stanze che avevo trovato chiuse a chiave, per la precisione in una
delle due di
fronte alla stanza di Claudine. Le pareti erano color caramello, un
letto in
legno scuro era disposto sulla destra della stanza mentre la parete di
fondo
aveva due finestre che davano sulla strada, coperte da tendine.
L’arredamento
era scuro ma semplice e tutto l’ambiente aveva
un’aura accogliente. Finimmo di
mettere a posto il letto ed Emile si apprestò ad uscire
dalla
stanza.
«Ti
lascio riposare, domani troverò un modo per sdebitarmi con
te.»
Era
già sulla porta quando d’improvviso la mia
coscienza parlò per me.
«Scusami
se ho ascoltato i dischi di tua madre, so che è stato un
atto maleducato da
parte mia ma...»
«Non
preoccuparti, la voce di mia madre dev’essere
ascoltata!» disse questa frase
abbassando lievemente il capo e indurendo la voce e capii che la
carriera della
signora Claudine o meglio, quello che supponevo fosse la sua mancata
realizzazione, fosse il perno su cui si ergeva tutto il dramma di
quella casa.
«Posso
continuare ad ascoltare le sue canzoni?» Emile si
voltò con la sorpresa sul viso.
«Mi
piace la sua voce e… in qualche modo mi rilassa, mi fa
sentir bene… mi
piacerebbe ascoltare tutto ciò che ha inciso!»
Mi
guardò con un’espressione indecifrabile sul volto,
poi sorrise lievemente.
«Da
piccolo amavo ascoltarla quando ero triste o quando ero arrabbiato:
sentire la
sua voce era un po’ come ricevere un suo abbraccio
confortante e aveva
l’effetto di farmi star meglio.»
Immaginai
Emile bambino, con l’istinto di correre a rifugiarsi tra le
braccia di sua
madre, ma impossibilitato a
riceverne il
caldo abbraccio: quante volte anche io avevo desiderato il conforto dei
miei
genitori! E com’erano state rare le volte in cui ero riuscita
ad ottenerlo! Io
ero cresciuta mettendo distanza tra me e loro, invece Emile cercava
ancora la
presenza della madre nella sua vita, altrimenti non avrebbe mai assunto
un
atteggiamento così dolce nei suoi confronti.
«Che
bello! La voce di mia madre invece mi mette ansia.» mi
accoccolai sul letto,
sentendo un’improvvisa sensazione
d’intimità pervadere quella stanza.
«Forse
perché ti fa da sveglia!» Emile prese a
sogghignare prendendomi in giro, mentre
si voltava del tutto in mia direzione.
«Uff...
e non solo, mi fa anche da allarme se rientro tardi, se alzo troppo la
voce, se
assumo atteggiamenti “poco consoni”….
È una tortura! Mi sta sempre col fiato
sul collo!»
Piegai
le ginocchia e le portai al petto per stringerle a me, Emile chiuse la
porta
alle spalle e vi si appoggiò.
«Probabilmente
sarei contento anche di sentirla opprimermi se fosse un modo per avere
mia madre
accanto.»
A
quelle parole mi sentii davvero un’ingrata priva di tatto per
essermi
lamentata di qualcosa che lui desiderava tanto avere.
«Scusami,
sono una stupida insensibile!» poggiai la testa sulle mie
ginocchia, incapace
di guardarlo in viso.
«Non
preoccuparti, non era una recriminazione, ormai me ne sono fatto una
ragione.»
«Non
c’è proprio verso che guarisca?»
«Ormai
sono vent’anni che versa in queste condizioni, ci sono stati
momenti in cui
sembrava star meglio, ma più tempo passa e meno
possibilità ci sono che si
riprenda… e ultimamente sta peggiorando.»
«E
i farmaci?»
«Quella
roba ha solo finito di distruggerla! Le hanno dato tutti i tipi di
antidepressivi, ma non c’è stato niente da fare,
anzi, le hanno solo minato maggiormente
la salute! È tutt’ora in terapia, ma serve solo a
farla dormire e a non farle
fare sciocchezze.»
«Per
sciocchezze intendi…»
«Suicidio,
sì… ha già tentato tre volte di
uccidersi in questi anni e ogni volta l’abbiamo
salvata per miracolo!»
«Scusami,
non voglio farti un interrogatorio, né voglio farti
ricordare momenti
spiacevoli… e può sembrarti una sciocchezza bella
e buona quella che sto per
dirti ma… credo di essermi affezionata a lei stasera e mi
piacerebbe saperne di
più sul suo conto.»
Il
sonno mi aveva tolto ogni inibizione: parlavo davvero senza freni,
incurante di ogni possibile reazione irritata di Emile.
Quest’ultimo si lasciò
cadere a terra, appoggiando la testa alla porta e sorrise.
«È
facile affezionarsi a lei, nei brevi momenti in cui interagisce con
noi, riesce
sempre ad essere come la sua voce: dolce e delicata.»
«Tuo
padre dev’essersi innamorato di lei perdutamente,
allora!» cambiai posizione,
sdraiandomi in tutta lunghezza sul letto, in cerca di una posizione
più comoda.
«Mia
madre è l’amore della sua vita: ha sempre detto
che ama e amerà solo lei finché
sarà al mondo ed io ho il sospetto che troverà un
modo di farlo anche
nell’aldilà!» Emile socchiuse gli occhi
sorridendo, immerso in qualche ricordo
personale, poi continuò riportandomi alcuni aneddoti che suo
padre gli aveva
raccontato riguardo la storia d’amore con la madre.
Venni a sapere così che Alberto Castoldi
era un artista emergente in mostra in una galleria d’arte
quando Claudine Flaubert, nota cantante in ascesa, vide le sue opere e
volle conoscere il suo autore. Appena incontratisi i due
s’innamorarono sul colpo e Claudine disse senza troppe remore
ad Alberto che lui sarebbe stato con lei per sempre e il pittore
sembrava essere d’accordo, tant’è che
dopo solo tre mesi decisero di sposarsi!
Trascorremmo
qualche ora parlando in tutta tranquillità, con
un’intimità e una confidenza
che mai mi sarei aspettata di avere: crollavo dal sonno, eppure non
volevo
andare a dormire, volevo godermi il più possibile quel
momento di assoluta
confidenza con Emile.
Solo
qualche ora prima avevamo discusso furiosamente e la mia giornata,
già non
esaltante, era diventata un vero incubo; mai avrei pensato che si
sarebbe
conclusa con me sdraiata su un letto in casa di Emile e noi due che
parlavamo
fino all’alba come due vecchi amici.
*****
Quando
mi svegliai, non mi resi conto di dov’ero: quello non era il
mio letto e non
ero di certo in un luogo a me familiare. Ma dopo qualche secondo mi
ricordai
della giornata surreale che avevo vissuto il giorno prima e soprattutto
della
fase notturna: iniziai a sentire una calda felicità
irradiarsi dal mio petto al
pensiero di essere riuscita ad avvicinare Emile senza litigarci,
soprattutto
perché improvvisamente quella notte aveva iniziato a
parlarmi apertamente,
senza più barriere. Probabilmente avendo capito che non
fingevo quando dicevo
di voler aiutare Claudine, sentiva di potersi fidare un po’,
ma non osavo
sperare che si fosse deciso a trattarmi senza stupidi preconcetti!
Piuttosto
iniziai a comprendere un dato importante su di lui: le porte del cuore
di
Emile, si aprivano passando dalla camera di sua madre.
Quella
mattina mi aspettavano tanti nuovi cambiamenti: dovevo trovare un
lavoro e
prendere la mia roba per cambiarmi (e avevo decisamente bisogno di una
doccia!), dovevo dire ai miei che non avrei più vissuto con
loro e avrei dovuto
cercare anche un luogo in cui vivere, non volendo restare a far da
parassita
nell’appartamento di Rita. Prima però dovevo
alzarmi dal letto e uscire da
quella casa.
Aperta
la porta della stanza, mi ritrovai nel corridoio immerso nel silenzio:
non
avevo la più pallida idea di che ora fosse né
tantomeno di chi fosse in casa a
quell’ora. Molto probabilmente la signora Claudine aveva
l’assistenza
dell’infermiera, ma gli altri due abitanti della casa erano
lì? Sarei uscita silenziosamente
come una ladra senza salutare e/o ringraziare nessuno? Mi diressi verso
la
stanza di Claudine (almeno avrei salutato lei!) e trovai la porta
aperta. Un
uomo stava cambiando le lenzuola del letto, mentre una voce proveniva
da dietro
una porta socchiusa nella parete di destra: doveva trattarsi
dell’infermiera che
aiutava Claudine a
lavarsi, per cui l’uomo alle prese con cuscini e copriletti,
doveva essere il
padre di Emile! Percepì la mia presenza e si girò
nella mia direzione:
«Buongiorno!»
Un
viso allegro e un sorriso caloroso mi diedero uno dei
“buongiorno” più belli
che avessi mai ricevuto: quell’uomo era davvero molto simile
a Stè!
«Buongiorno!»
la sua allegria mi mise immediatamente a mio agio e la
balbuzie-da-vicinanza-di-stupido-arrogante,
che mi prendeva in presenza di Emile non ebbe modo di venire a galla.
«Dormito
bene?»
«Sì
grazie, ho dormito benissimo!» senza nemmeno accorgermene mi
avvicinai al letto
per dare una mano e ricambiai il suo sorriso mentre sprinacciavo il
cuscino.
«Emile
è al lavoro ora, ma credo che te l’abbia detto,
no?» mi disse mentre preparava
quel lato del letto che avrebbe accolto la moglie.
«In
verità no, ma del resto non è importante che io
lo sappia…» restai ferma
accanto al letto lievemente perplessa per quella affermazione.
«Uhm…
deduco che non abbiate parlato molto allora stanotte, vi siete dati
alla pazza
gioia, eh?» e
dopo aver fatto
quest’insinuazione che trovai alquanto sospetta, si fece una
bella risata
sincera… Avevo come l’impressione che il signor
Alberto non sapesse il motivo per
cui io ero lì quel giorno…
«Ehm
…in che senso mi scusi?» feci la gnorri, con la
speranza di aver capito
male…
«Oh
beh, non credo di dovertelo stare a spiegare io cosa succede se un
ragazzo porta la propria ragazza a casa
sua…»
OH
MIO DIO!
L’imbarazzo totale mi avvolse nel giro di
un istante: il padre di Emile stava tranquillamente scherzando
all’idea che io e suo figlio avessimo passato la notte
insieme… a letto!
«Oh
nononononono! Non è come pensa! Io ho dormito da sola,
cioè, non sono...» respira
Pasi respira!
Feci
un breve sospiro: «Sono
venuta qui ieri
sera per accudire la signora Claudine perché Emile ha avuto
un imprevisto e
siccome è tornato tardi, sono rimasta a dormire...»
«Un
imprevisto? Gli è successo qualcosa?»
L’espressione sul volto di quell’uomo
cambiò repentinamente dal gioviale al preoccupato.
«Nono,
è stato chiamato per un’esibizione improvvisa e
quindi mi ha chiesto di stare
accanto alla signora mentre era via. È tutto ok, io so
quello che faccio, mi
creda, ho esperien…»
«Sì,
sì, figurati, se Emile ha chiamato te significa che sei in
gamba, non ne ho
dubbi… È che poteva avvertire me, così
sarei tornato a casa! Ma ovviamente,
non avrà voluto rovinarmi il giorno di vacanza e se
l’è vista da solo. Mio figlio è votato
al martirio!» rise ironico, ma c’era anche una
punta di rassegnazione nel suo tono.
Arrivò
l’infermiera con la signora Claudine: cercai di salutare la
mia compagna
notturna, ma non sembrava riconoscermi; quando il marito
l’aiutò a mettersi a
letto, girò lo sguardo verso di lui e fece un debole
sorriso. Alberto ricambiò
il sorriso con amore e le diede un bacio sulla fronte
e una carezza sul viso, proprio come avevo
visto fare ad Emile, ma con un sentimento di diversa origine: in quei
gesti
c’era un amore così forte da essere palpabile, non
era l’amore che nascondeva
il desiderio di essere notato e amato che doveva essere
nell’animo di Emile,
era amore per la donna della sua vita, quella donna che non avrebbe
lasciato
per nessuna cosa al mondo. Guardandoli ripensai alle parole di Emile,
che la
notte prima mi erano sembrate quelle di un figlio che idolatra il
proprio
genitore, invece mi resi conto che aveva perfettamente ragione: il
signor
Alberto aveva tutta l’aria di essere capace di amare sua
moglie anche da un
altro piano di esistenza.
Scendemmo
insieme in cucina e come un ripetersi della stessa scena, anche lui mi
fece
accomodare nello stesso posto in cui mi ero seduta la notte precedente
insieme
a suo figlio.
«Hai
avuto difficoltà con Claudine?» disse,
mentre preparava un caffè per
entrambi.
«No,
nessun problema, come ho già detto a suo figlio, sua moglie
ha mangiato una mela
e poi si è riaddormentata.» e omisi il fatto che
mi fossi assopita anche io…
«Così
tu non sei la sua ragazza… e non sei
un’infermiera… Devi essere davvero
speciale se mio figlio si è fidato di te al punto da
affidarti sua madre!»
A
quel punto l’imbarazzo tornò a travolgermi
«Beh
ecco… diciamo che non sono stata proprio la sua prima
scelta…» e che se si
fosse fidato davvero non avrebbe
chiuso a chiave tutte le porte di casa!
«Capisco,
ecco spiegato l’arcano!»
Alberto sorrise divertito, prima di continuare,
«Vedi, devi sapere che
mio figlio non è proprio un chiacchierone e purtroppo le
condizioni di Claudine
lo hanno reso ancora più chiuso verso gli altri, quindi
è difficile che si fidi
tanto di qualcuno che non sia qui per lavoro… a proposito, avete pattuito un
compenso?»
«No,
o meglio, non
l’ho voluto; è stato un
piacere per me aiutare vostra moglie, d’abitudine presto
volontariato alla
comunità, perciò anche in questo caso non
è stato un problema assistere la
signora Claudine…»
Alberto
venne a tavola con le tazzine e ripetendo lo stesso gesto del figlio,
si
sedette guardandomi con stupore.
«Impressionante,
sei davvero fuori dal comune, ragazzina!»
«No… Non è niente
di che…» avevo il viso nel fuoco: non avevo mai
ricevuto simili complimenti in vita mia. Agli occhi dei miei genitori,
il mio volontariato era sì un gesto lodevole, ma nella loro
ottica mi sottraeva tempo per ciò che era
più importante: lo studio. Nel mio gruppo poi era cosa
normale, essendoci anche Fede che faceva molto di più di me.
Per cui non mi ero mai sentita così speciale nel fare quello
che facevo, e quel complimento improvviso mi dette davvero tanta gioia.
Alberto
era un uomo alto sulla quarantina: i capelli castani che gli avevo
visto in
foto erano ora screziati di grigio e molto più corti, ma
riconobbi ugualmente
gli stessi ricci di Emile, probabilmente l’unica cosa che i
due avessero in
comune esteticamente. Gli occhi erano scuri, ma emanavano luce e
vitalità, gli
zigomi erano alti e una fossetta nel mento dava al suo viso
un’espressione di
immediata allegria e simpatia. Quell’uomo mi piaceva
davvero!
«Sarei
felice se Emile riuscisse a fidarsi di te ancora, gli unici suoi
compagni sono
la musica e i ragazzi con cui suona; non è mai stato capace
di stringere rapporti
duraturi con qualcuno che
non fosse per
un suo fine preciso. Sono convinto che se avesse la
possibilità di far carriera
da solo, non si farebbe scappare la minima occasione! Non suona insieme
ai GAUS per piacere
o per amicizia, ma solo per interesse:
mio figlio mette la musica al primo posto nella sua vita e non si rende
conto
che i rapporti interpersonali sono altrettanto importanti.»
Sentii
tangibile la preoccupazione nella sua voce, in contrasto col suo volto
predisposto al sorriso.
«Purtroppo questo suo atteggiamento non
è nemmeno del tutto colpa sua: Claudine ha avuto una
depressione post partum molto acuta e da allora non si è
più ripresa. Emile è cresciuto nella speranza di
ricevere le attenzioni della madre, osservando medici, ficcanaso e
falsi guaritori che si sono avvicendati in questa casa, promettendo
guarigioni sicure che non sono mai avvenute e ha dovuto trascorrere gli
anni dell’infanzia sballottato negli asili o con mille
babysitter perché io non potevo badare a lui. E
ciononostante, non ho mai visto un segno di rancore nei sui occhi,
né verso di me, né tantomeno verso sua madre. Ha
buon cuore il mio ragazzo, ma ultimamente glielo vedo mostrare sempre
di meno.»
Istintivamente
allungai una mano su quella di Alberto, che tratteneva la tazzina di
caffè sul
tavolo: mi commossi vedendo la preoccupazione sul suo volto e il senso
di colpa
per aver offerto al figlio un’infanzia infelice e solitaria.
E ancora una volta
ripensai alle recriminazioni e alle accuse che imputavo ai miei
genitori, che
al di là di tutto, erano sempre stati presenti nella mia
vita, seppur non nel
modo che volevo io. Alberto poggiò l’altra mano
sulla mia e continuò «Stagli
accanto, ehm…»
«Pasi,
mi chiamo Pasi.»
«Ah
grazie. Stagli accanto, Pasi. Sei una brava ragazza, aiutalo a fidarsi
di te,
aiutalo a ritrovare la speranza e la fiducia nelle persone.»
Mi
guardò con una supplica negli occhi a cui non riuscii a
resistere «Ve
lo prometto! Gli starò accanto, non lo lascerò
andare alla deriva!»
Non
avevo la più pallida idea di come avrei fatto a mantenere
fede ad una promessa
simile, considerato che non sapevo nemmeno se avrei rivisto
più Emile, ma non
riuscii a negarmi a quegli occhi che chiedevano di ricevere una
speranza... e
d’altronde, anche io desideravo rivedere il ragazzo con cui
avevo parlato
quella notte, e non il tipo borioso e arrogante con cui mi ero
scontrata
finora. Se il vero Emile era quello che avevo appena conosciuto, se il
suo modo
di fare così antipatico e aggressivo era una corazza che si
era costruito, avevo
intenzione di scalfirla se non infrangerla! Volevo conoscere
l’anima di Emile,
non quell’armatura con cui si proteggeva!
Alle
mie parole, Alberto fece un sorriso raggiante e quasi si commosse, poi
mi diede
un buffetto sulla mano e si alzò.
«Puoi
tornare quando vuoi a trovare Claudine se ne hai voglia» Mi
guardò in tralice
somigliando improvvisamente al figlio, per comunicarmi un significato
nelle sue
parole che non era stato espresso, ma che era quello più
importante per lui: vieni a trovare Claudine
quando Emile è in
casa.
«E
chiamami Alberto e dammi del tu, con un po’ di fortuna vedi
mai che si diventa
parenti!» salì al piano di sopra
sorridendo di gusto, mentre il mio viso
tornava ad ardere!
*****
Tornai
a casa per prendere i miei indumenti e tutti i miei effetti personali,
pronta a
trasferirmi provvisoriamente da Rita e sperai che in casa non ci fosse
anima
viva. Avevo scelto un orario in cui solitamente i miei genitori erano
assenti:
non mi andava di incontrarli, non dopo i mille dubbi che mi stavano
assalendo.
Parlare con Emile e successivamente con suo padre, mi aveva fatto
capire
quanto poco fortunata fosse la loro famiglia, ma quanto affetto ci
fosse tra i
suoi componenti. Mi ero sempre lamentata
dell’oppressività dei miei genitori ma
Emile mi aveva fatto capire che per quanto potesse essere
insopportabile, era
la testimonianza del loro amore verso noi figli e in fondo era la
benvenuta se
indicava che tua madre e tuo padre ci tenevano a te.
Però
nonostante avessi una famiglia a suo modo presente, invidiavo
profondamente i
Castoldi: nonostante tutte le sfortune e le assenze,
all’interno
di quella
famiglia regnava l’amore, l’amore puro e vero,
senza recriminazioni, senza odi. L’amore incondizionato di
Alberto per
sua moglie, quello altrettanto forte per suo figlio, l’amore
di Emile per sua
madre e di sicuro anche per suo padre e l’amore che avevo
visto persino nello
sguardo spento di Claudine, nelle sue lacrime quando parlava di Emile e
nel suo
sorriso dolce quando guardava il marito. Io ero fortunata ad avere
entrambi i genitori
con me e in perfetta salute, ma avrei
fatto volentieri a cambio con la famiglia di Emile!
Con
questi pensieri entrai silenziosamente in casa mia e mentre stavo per
dirigermi
in camera da letto, apparve Simona sulla porta della sua stanza.
_______________________________________
NDA
Mentre rileggevo questo
capitolo prima di pubblicarlo, mi sono resa conto che fa uno strano
effetto tornare indietro con la storia quando sei ad un passo dal
concluderla. In questi giorni sto scrivendo il capitolo 19 e con molta
probabilità (salvo colpi improvvisi d'ispirazione folle),
sarà anche l'ultimo. Se da un lato mi dipiacerà
prendere le distanze dai miei ragazzi, da un altro è un bene
poiché urge che riprenda le attività che ho messo
da parte per dedicarmi a questa storia... e poi
chissà che non mi venga in mente un seguito xD
Vabbè scleri
personali a parte, come sempre ringrazio tutte le mie tesore che mi
seguono, si entusiasmano e m'incoraggiano ad andare avanti: Iloveworld, Ana-chan,
Saretta, Niky, Vale, Cicci ed
Ely in primis, seguite
da tutte le sisters di Facebook che si sono fermate a leggere qualche
capitolo e che hanno apprezzato la storia.
Inoltre ringrazio tutti coloro
che seguono questo racconto, coloro che si sono fermati a leggere anche
un solo capitolo e tutti coloro che per un motivo o un altro, sono
passati, passano e passeranno da qui.
Grazie grazie grazie!
Arigatou Gozaimasu!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 08 ***
Capitolo 8
«Si
può sapere che intenzioni hai?»
L’accoglienza
di Simona fu calorosa come mi aspettavo, di sicuro aveva trascorso le
ultime
ventiquattro ore aspettandomi per farmi la ramanzina da sorella
maggiore, così
come richiedeva il suo compito!
«Simo
cosa vuoi? Me ne vado subito perciò non rompere!»
non avevo proprio voglia di
stare a sentire le sue chiacchiere su quanto stessi facendo preoccupare
i
nostri genitori, ne avevo le tasche piene delle loro ansie e
preoccupazioni!
«Hai
idea di quanto fossero preoccupati mamma e papà? E non
chiamarmi Simo!» appunto...
«Sì, Sim… SIMONA, ne ho idea
perché tu ogni volta ci tieni a sottolineare
quanto profondamente io li abbia delusi!» Stavo per superarla
diretta in camera
mia, quando mi fermò con una mano sul mio braccio:
«Pasi
non fare sciocchezze! Se solo fossi meno dura con loro…
è per il tuo bene che
agiscono così, non lo capisci?»
«Per
il mio bene? Ah quindi è per il mio bene che mi riempiono la
vita di musi
lunghi e visi delusi, che mi criticano per qualsiasi cosa io faccia e
che mi
facciano sentire la figlia più sbagliata del mondo?! Sono
commossa da tanto
affetto, ma quasi quasi non ne ho bisogno!» e mi staccai con
forza la mano di
mia sorella da dosso. Simona però non si arrese e mi
seguì:
«Pasi
tu sei troppo dura con loro, se solo li ascoltassi qualche
volta...»
«Come
fai tu, sorella modello? Andando in moto di nascosto perché
sei troppo
vigliacca per far sapere loro, che anche tu vuoi divertirti di tanto in
tanto
nella vita? Almeno io mostro il mio vero volto e non fingo di essere
chi non
sono!» avevo esagerato e Simona mi diede uno schiaffo sul
viso con tutta la rabbia
che si trovava in corpo «Oh finalmente una reazione! Simona
la donna di
ghiaccio, Simona la Perfetta, la Sorella Maggiore da cui prendere
esempio, È
UMANA!» feci una risata amara «Ti rendi conto che
è la prima volta in vent’anni
che ti vedo reagire!? Ti rendi conto che quei due ti hanno trasformata
in un
automa?! Tu sei un essere umano Simona! Reagisci, difenditi, lotta per
quello
in cui credi, non permettere a nessuno di dirti chi essere e cosa fare
nella
tua vita! Ti stanno uccidendo e tu li difendi! Ti hanno tolto il
sorriso e tu
sei qui a dire quanto siano dispiaciuti per me! Pensa un po’
a te ogni tanto!»
Le
urlai contro tutto quello che avrei voluto dirle nell’arco di
quegli anni,
finalmente avevamo un confronto diretto come avremmo dovuto avere da
sempre,
come due vere sorelle.
«Io
non posso pensare a me! Perché devo essere brava anche per
te! Devo dare loro
la soddisfazione che tu non dai, devo essere da esempio e devo farli
gioire
perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono cura di me
da sempre e voglio
essere degna del loro amore! Sei tu che non li ami, tu sei
un’egoista e non
capisci quanto ci tengano a te e quanto soffrano a vederti buttar via
la tua
vita nell’ozio! Ed io che pensavo che fossi forte…
invece sei solo una bambina
capricciosa! Sparisci, vattene di qui, non sarai tu a ripudiare noi, ma
io a
farlo con te! Da oggi non sei più mia sorella, non voglio
più saperne di
un’egoista mocciosa con cui non si può parlare in
modo maturo!» con le lacrime
agli occhi e il volto pieno di rabbia, Simona mi volse le spalle e si
chiuse in
camera sua.
Rimasi
per qualche secondo immobile nel corridoio, poi mi diressi in camera
mia per
fare i bagagli.
Lasciai
un biglietto ai miei genitori spiegando loro che non sarei stata
più un
intralcio, che andavo a vivere in modo indipendente, che mi sarei
trovata un
lavoro e che non sarei mai tornata da loro a chiedere di riaccogliermi.
Potevano anche cancellarmi dallo stato di famiglia perché
non sarei stata mai
più un peso per loro. Fu una delle decisioni più
chiare e nette che presi nella
mia vita, ciononostante, mentre scrivevo quel biglietto nulla
impedì a qualche
lacrima di scorrermi sul viso.
*****
Tornai
da Rita per depositare le mie valige: avevo preso lo stretto necessario
per
cambiarmi e qualche libro a cui ero maggiormente affezionata, compresa
la
storia di Rino e Kei: sfogliarla mi dava coraggio e fiducia che le mie
speranze
potessero realizzarsi. Quella notte trascorsa con Emile mi aveva fatto
abbassare la guardia: il ragazzo con cui avevo parlato in modo
così naturale e
semplice aveva creato una breccia in quel muro di orgoglio che avevo
eretto per
difendermi da me stessa. Ogni volta che mi ero innamorata, avevo
compiuto il
grande errore di dimenticare chi ero e cosa volevo, pur di stare
accanto al
ragazzo del momento: il mio desiderio di essere amata era
così forte da farmi
perdere di vista il mio amor proprio, dimenticando le mie
priorità, amalgamandomi
ai bisogni del mio lui a discapito dei miei.
Diventavo
un’altra persona: la Pasi combattiva
che non vuole rinunciare alle proprie passioni si annullava ed io
finivo col
non riconoscermi più, col perdere ogni cosa che mi
identificasse, col perdere
la mia stessa personalità. E di conseguenza, quando la mia
mancanza di
carattere innescava la noia e la routine nel rapporto di coppia, esso
finiva ed
io mi ritrovavo a non sapere più chi ero e non avere
più nessuno a cui
amalgamarmi.
I
miei amici avevano assistito ogni volta impotenti alla mia
autodistruzione
finché dopo l’ultima storia, avevo deciso di
essere forte e di dedicarmi solo a
me stessa, lavorando sulla mia autostima fino a renderla invulnerabile.
Solo
allora avrei potuto affrontare una nuova storia d’amore. Non
credevo affatto
che quel momento fosse giunto, però quel lato
così dolce di Emile, quel modo
così diretto di rivolgersi a me e la semplicità
con cui da perfetti sconosciuti
eravamo finiti a parlare per tutta una notte mi avevano scosso ed
iniziavo a
pensare che quella fosse la volta buona, il momento adatto per farmi
trasportare da ciò che provavo, senza aver paura di perdere
me stessa.
Inoltre,
avevo avuto anche il benestare di suo padre!
Alberto
dava l’aria di essere un uomo con la testa per aria,
socievole ma poco
realista, invece era riuscito a capire con poche parole quanto io
tenessi a sua
moglie e a suo figlio e a incoraggiarmi a frequentare Emile
perché riteneva che
la mia vicinanza potesse fargli bene… Ero davvero senza
parole, ma ero felice
perché mi sentivo più sicura di me: avevo uno
nuova vita ad attendermi, piena
di nuove responsabilità ma anche di nuove soddisfazioni,
come solo la vita da
persona indipendente può darti. Restava solo da trovare la
base di partenza per
erigere quella nuova vita: un lavoro.
*****
«Testarossa
ma allora fai sul serio!»
Stè
si presentò a casa di Rita senza preavviso e
iniziò a parlare senza tante
cerimonie:
«Sono
andato a casa tua convinto di trovarti lì come al solito,
invece tua sorella mi
ha detto che te n’eri andata e che avevate discusso di nuovo
e che non avrebbe
mai più risposto ad una domanda sul tuo conto…
Cosa diamine ti passa per la
testa?!»
Non
avevo mai visto Stè così serio al di
là del discorso “Simona” (e il fatto che
l’avesse chiamata tua sorella,
la
diceva lunga su come il problema fosse ancora vivido): era il terzo di
una
famiglia numerosa di cinque figli (tutti biondissimi), cresciuti
nell’affetto e
nella solidarietà familiare più spiccata e ogni
volta che litigavo con i miei
se ne dispiaceva, perché sapeva quanto fosse importante
vivere in una famiglia
unita e solidale e sapeva quanto la famiglia fosse importante a priori.
Per cui
non era affatto d’accordo con la mia idea di andarmene da
casa, visto che il
mio non era solo un trasferimento in cerca d’indipendenza, ma
un vero e proprio
divorzio dai miei genitori e da mia sorella.
«Oh
senti Stè, non ti ci mettere anche tu e non osare difendere
Simona! Sono stanca
di sentirmi la pecora nera, stanca di essere criticata per quello che
non
faccio e anche per quello che faccio! Da loro ricevo solo facce deluse
e
contrariate, mai una volta li ho sentiti elogiarmi o farmi sentire
speciale…» come ha fatto
in un solo giorno il padre di
Emile «…
mai una volta ho visto
l’orgoglio sui loro volti per il solo fatto che fossi parte
della famiglia! Non
li voglio, rinuncio a loro, siete voi la mia famiglia! Lo siete sempre
stati e
sempre lo sarete!»
A
quella affermazione Rita mi diede un bacio e mi circondò le
spalle con le
braccia, mentre Stè continuava a guardarmi contrariato.
«Ti
ci metti anche tu ora a guardarmi così!? Dillo anche tu
allora, dillo che sono
una delusione per te, dillo che t’aspettavi di meglio e che
ho fatto soffrire
la tua adorata Simona, dillo quanto io sia crudele ed egoista e
infantile!»
iniziai a piangere per la rabbia nel ricordare la discussione avuta con
mia
sorella e mi resi conto di quanto tutta quella situazione mi facesse
soffrire,
ma quanto fosse anche irrimediabile.
Stè
non era mia madre o mia sorella e nemmeno mio padre; Stè era
il mio compagno di
marachelle, la persona che mi conosceva meglio al mondo e vedendomi in
quello
stato mi diede un caldo abbraccio:
«Non
ti dirò mai che sei una delusione Testarossa, non ti
farò mai così male; se
credi che questa sia la scelta migliore per te,
l’accetterò e ti sosterrò
qualunque cosa decida di fare, ma ti chiedo solo di non chiudere
definitivamente le porte ai tuoi genitori: avrai sempre il nostro
sostegno, ma
il sangue non è acqua e niente al mondo può
sostituire la famiglia.» Immersa
nel caldo abbraccio del mio amico, continuai a sfogare il mio pianto
finché non
buttai giù tutte le lacrime che avevo trattenuto fino ad
allora.
*****
La
ricerca di un lavoro non stava dando buoni esiti: ogni volta che facevo
un
colloquio finivo col sentirmi dire che ero troppo qualificata o troppo
poco
esperta, così non sapendo se essere un piccolo genio o
un’inetta, andavo avanti
sempre più irritata, ma decisa a non demordere: non avevo
altra scelta, avevo
preso la mia decisione e non sarei più tornata indietro, ero
indipendente ora e
avrei dovuto rimanerci a tutti i costi! Rita era propensa a tenermi con
sé
anche a vita: aveva un ricco fondo per mantenersi con gli studi e in
più aveva
il lavoro part-time e una bocca in più da sfamare non
costituiva un problema
per lei, ma io mi sentivo un parassita e desideravo con tutta me stessa
trovare
un modo per essere indipendente almeno economicamente. Il passo
successivo
sarebbe stato quello di trovare almeno una stanza (se non un tugurio) tutta per me.
Inoltre
non vedevo Emile da settimane: non avevo scuse per presentarmi a casa
sua, né
tantomeno avrei potuto chiamarlo per chiedergli di vederci, non ero
così
propensa a buttarmi in qualcosa che non sapevo nemmeno se avesse un
futuro. Però
mi mancava, mi mancava terribilmente e da
quando eravamo riusciti a parlare
quella
notte, da quando si era creata quella confidenza tra noi
così calda e
accogliente, non riuscivo a non pensare a lui e a quanto avrei voluto
trascorrere
altre ore simili in sua compagnia. Così ripiegavo
ascoltandolo, seguendo i suoi
live e guardandolo da lontano, nella speranza di essere notata, ma
anche con la
paura di rendermi vulnerabile, svelando il mio interesse per lui con la
mia
presenza costante, durante le sue esibizioni.
Le
cose iniziarono a girare per il verso giusto un giorno in cui Fede mi
comunicò
di aver trovato un lavoro per me nelle cucine della
comunità: era gestita per
lo più dagli stessi residenti, ma quel grand’uomo
del mio amico era riuscito a
trovare il modo d’impiegarmi in cucina, facendo leva col
proprietario sulla mia
generosità di volontaria e sul debito di riconoscenza della
comunità nei miei
confronti. Così dall’indomani avrei lavorato in
cucina, in un ambiente che per
di più conoscevo a menadito e in cui ero amata e rispettata!
Ero al settimo
cielo e non mi preoccupai nemmeno di chiedere a quanto era stato
pattuito il
mio compenso, l’importante era aver trovato un impiego!
Appena lo dissi a Rita,
ne fu così contenta che decise che quella sera avremmo
festeggiato con una
bella pizza: incredibile ma vero, si usciva tutti insieme di nuovo!
Ero
al culmine della gioia e niente avrebbe potuto farmi stare meglio o
rovinarmi
quel momento, almeno così credevo, finché mi
arrivò una telefonata del tutto
inaspettata:
«Pronto
Pasi? Sono Emile.»
Lo
sapevo benissimo chi era! Avevo memorizzato quel numero sin da quando
gli mandai
l’sms per la foto di famiglia e appena lo vidi sul display
del cellulare, il
mio cuore subì un arresto momentaneo.
«Emile!
Ciao come stai? È successo qualcosa a Claudine?»
non vedevo altri motivi per
cui avesse dovuto chiamarmi… ma quanto ero felice di sentire
la sua voce!
«No
no, tranquilla mia madre sta bene… volevo dirti che ho
trovato il modo di
sdebitarmi con te.»
Incredibile!
In tutti questi giorni non aveva fatto altro che pensare a come
ringraziarmi,
per averlo aiutato con sua madre! Non si poteva dire che non fosse uno
di
parola!
«Ma
non ce n’era bisogno! Quante volte ti devo ripetere che
l’ho fatto con
piacere?!»
«Sei
libera tra un’ora? Se mi dici dove abiti passo da te a darti
il mio
ringraziamento.» Ops! In quel momento non avevo una
casa… Potevo dirgli di
passare da Rita, ma l’idea di rivelargli che avevo lasciato i
miei genitori mi
metteva addosso una certa ansia: temevo la sua reazione, oppure mi
sentivo in
colpa per aver gettato al vento qualcosa che lui avrebbe voluto avere
con tutto
se stesso? Improvvisamente ebbi un’illuminazione:
«Facciamo
così, sei libero stasera? Io e i miei amici andiamo a
mangiare una pizza, mi
farebbe piacere se venissi anche tu, così mi porti anche il
tuo pensiero non dovuto!»
ero al settimo cielo per la
mia trovata geniale: i miei amici ed Emile insieme a me a festeggiare
il mio
nuovo lavoro, cosa potevo chiedere di più dalla mia vita
(una voce dentro di me
disse “che Emile mi amasse”, ma la misi subito a
tacere)!?
La
risposta che ebbi però non fu quella che mi aspettavo:
«Mi
spiace ma stasera ho le prove col gruppo, sono libero solo tra
un’ora: appena
torno da lavoro e prima di andare a provare… rimandiamo ad
un altro giorno?»
Restai
abbattuta all’idea di non averlo accanto quella sera,
così decisi che se avessi
potuto vederlo anche per cinque minuti, me lo sarei fatto bastare:
anche se non
gli avessi detto il motivo della mia felicità, il fatto
stesso di vederlo in
quel giorno speciale mi avrebbe reso ancora più felice!
«Allora
facciamo così, vengo io a casa tua, così hai il
tempo di arrivare direttamente
lì da lavoro ed eviti di fare le corse per le
prove… e poi ho voglia di rivedere
la signora Claudine!»
Mi
giocai machiavellicamente l’asso nella
manica, ma non era finzione la
mia, avevo davvero desiderio di rivedere sua madre e anche suo
padre… Volevo
vedere tutta la famiglia Castoldi, come se fossero delle persone a me
care da
tempo!
«Ok,
allora ci vediamo fra un’ora a casa mia, non ti
ruberò molto tempo, così potrai
andare a divertirti!» Non
sarà lo stesso
senza di te, pensai, ma mi dissi subito che stavo diventando
troppo
sdolcinata e cancellai quel pensiero sul nascere.
*****
Dissi
a Rita che sarei tornata in tempo per cambiarmi ed uscire, lasciai
Stè con un
punto interrogativo sul viso e mi diressi verso casa di Emile: era ad
una certa
distanza dall’appartamento in cui mi ero trasferita,
così decisi di muovermi
seduta stante con la speranza di prendere subito un autobus. Fui
fortunata, lo
trovai dopo dieci minuti così prima ancora dello scadere
dell’ora, ero già
sotto casa Castoldi. Non volendo rendere palese la mia ansia di
vederlo,
presentandomi in anticipo, rimasi come una scema in un punto davanti
casa,
cercando di non farmi notare; ad un certo punto sentii dei passi in
avvicinamento e mi tuffai dietro un albero nascosta
nell’ombra, sperando di non
essere stata notata.
Illusa.
«Hai
perso qualcosa dietro quell’albero, Pasi?» ecco la
solita voce che si prendeva
gioco di me... mi aveva vista eccome!
«Oh
ciao Emile, avevo l’impressione di aver perso
l’orecchino...» solo dopo aver
tirato fuori questa patetica scusa, mi ricordai di non averne
indosso… Ero
stata colta in flagrante di nuovo, non facevo che collezionare
figuracce! Emile
sogghignò e m’invitò ad entrare.
«Aspettami
un minuto qui, arrivo subito.» appena giunti
nell’ingresso, Emile scomparve al
piano di sopra e dopo poco scese suo padre: una staffetta perfetta e
super
organizzata!
«Ciao
Pasi, che piacere vederti! Non sei più passata a
trovarci…» il signor Castoldi
mi diede un caloroso abbraccio mentre sentii la voce di Emile che lo
rimproverava:
«Papà,
ma è mai possibile che tu debba stritolare chiunque entri in
questa casa?! Così
le fai fuggire le persone!» la sua voce non era aspra, era
solo vagamente
stizzita, ma sembrava più uno scherzo tra di loro che un
vero e proprio
rimprovero. Alberto infatti, sorrise di rimando al figlio:
«Almeno
io le faccio sentire a casa, non come uno che conosco che è
cortese come il
ghiaccio del Polo Nord!»
«Aha,
certo e infatti è meglio essere
soffocati da un abbraccio non richiesto!» rispose Emile,
scendendo le scale per
tornare nella nostra direzione.
«Io
trasmetto il mio calore, semifreddo di un figlio!» a
quell’appellativo, Emile
fece un dei suoi sorrisetti e venne invaso dalla mano del padre che
staccandosi
da me gli scompigliò i capelli e gli dette un bel bacio
affettuoso sul viso, dal
quale Emile non si scansò: evidentemente, queste erano
scaramucce a cui i due
erano abituati, un modo tutto loro per dirsi “ti voglio
bene”. Quasi mi
commossi vedendo così palese l’amore tra i due:
poteva anche non essere
d’accordo con me, ma io invidiavo Emile, perché
dava e riceveva amore dai suoi
genitori. D’un
tratto emerse dal
salotto, con una pila di dischi in braccio:
«Ecco
il mio ringraziamento, questi sono tutti per te.»
I
dischi in vinile di sua madre, ancora imbustati, mai aperti! Rimasi di
stucco:
«I
dischi di Claudine! Sono senza parole Emile, io non posso
accettare...»
«Certo
che puoi, hai detto che volevi sentirla, no? Questi erano in magazzino
in cerca
di qualcuno che li apprezzasse e dato che ancora dovevo sdebitarmi con
te per
il grande aiuto che mi hai dato l’altra sera, non posso che
fartene dono.»
Rimasi
di nuovo senza parole: Emile aveva il volto sereno e sorridente, io ero
in
tumulto e non mi accorsi che Alberto nel frattempo era andato via.
«È
un regalo troppo grande, non posso…»
«Accettali
ti prego, se davvero ami la voce di mia madre questi sono tuoi; la
faresti
felice!» e farei felice anche te vero?
«G-grazie
mille, davvero, io…»
fu nel momento in
cui allungai le mani per prendere il mio regalo, che sentimmo Alberto
urlare il
nome di sua moglie ed Emile gettò all’aria il suo
carico per salire di corsa le
scale:
«Mamma!»
Da
lì in poi la situazione precipitò.
____________________________________
NDA
Ho ufficialmente
terminato di scrivere questa storia *me disperata e triste*: sono in
lutto! Sto revisionando gli ultimi capitoli, nel dubbio di aver
dimenticato qualcosa d'importante, ma già sento la
mancanza dei miei ragazzi, come una madre che lascia andare via i
propri
pargoli per la loro strada.... T_T
E dopo
quest'interessante considerazione, che mi fa sembrare una mangaka folle
che scrive tra le tavole della sua opera, passo ai più che
dovuti ringraziamenti verso le mie sorelle: grazie
all'infinito alla mia beta Iloveworld
che
mi segue sempre, si entusiasma e m'incoraggia, e che purtroppo negli
ultimi giorni non riesce a connettersi per problemi di linea (torna
presto Tomodachiiiiii!!!). Un grazie speciale va alle mie seguaci
più che puntuali, che attendono con ansia i capitoli, li
leggono appena pubblicati, e sono sempre piene di entusiasmo per
ciò che scrivo: grazie grazie grazie sempre
più dal profondo del cuore a Niky, Vale e Saretta; siete
il mio sostegno costante <3
Mille grazie ad Ana-chan
che è altrettanto piena d'entusiasmo e m'incoraggia ad
andare avanti, a Cicci,
Ely e
a tutte le sisters che sono passate di
qui.
E grazie mille a tutti
coloro che passeranno da qui di cui non conosco l'identità:
è sempre soddisfacente sapere che ciò che scrivi
piace. ^ ^
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 09 ***
Capitolo
9
Salii
di corsa anch’io le scale e mi diressi subito in camera di
Claudine: il signor
Alberto stava strappando convulsamente le lenzuola del letto creando
delle
fasce e correva nel bagno, Emile era rimasto a guardare per la frazione
di un
secondo, poi si era precipitato giù a chiamare
un’ambulanza. Ascoltando le sue
parole capii cos’era accaduto: Claudine aveva tentato di
uccidersi tagliandosi
le vene!
L’ambulanza
come al solito avrebbe impiegato troppo tempo per arrivare al pronto
soccorso,
così decisero di portare personalmente la donna in ospedale:
aiutai ad aprire
gli sportelli dell’auto e ad adagiare la signora che per
fortuna respirava
ancora, anche se era incosciente e mi offrii di stare seduta accanto a
lei sul sedile
posteriore.
«Tu
stanne fuori!» urlò Emile in mia direzione.
«No,
io vengo con voi.» replicai senza battere ciglio.
«Non
è una cosa che ti riguarda!» si girò
improvvisamente a guardarmi con il volto
furioso per la preoccupazione, ma io non cedetti, ero seriamente
preoccupata
per Claudine e volevo stare accanto anche alla sua famiglia.
«No
Emile, io vengo con voi. Sono preoccupata anch’io e mi sento
coinvolta, dato
che ero qui quando l’avete trovata ed è meglio non
stare a perdere tempo in
inutili chiacchiere ora.»
Gli
parlai senza alzare la voce ma con tono deciso, pensando al modo in cui
Fede era
riuscito a farsi ascoltare da lui e sembrò fare effetto,
perché smise di
ribellarsi e mi permise di salire in auto.
Fu
una corsa senza fine: Alberto guidava, Emile gli era accanto, io ero
proprio
dietro di lui e non riuscivo a guardarlo in viso, ma dal silenzio
opprimente
che c’era in quell’auto si comprendeva la
gravità della preoccupazione di
entrambi. Avevo la testa di Claudine sulle gambe e scorsi i due polsi
insanguinati adagiati sul suo corpo. Emile mi aveva raccontato che sua
madre
aveva già tentato tre volte di uccidersi e con questo si
arrivava al quarto… Quante
altre volte avrebbero dovuto fare una simile corsa contro il tempo
finché non
fosse stato troppo tardi? Non osavo trovare una risposta a quella
domanda.
Arrivati
al Pronto Soccorso gli infermieri erano già pronti con la
barella; dissi ad
Alberto che mi sarei occupata io del parcheggio dell’auto, in
modo da
permettere a lui e suo figlio di correre dentro immediatamente: mi
diede una pacca
sulla spalla in tutta fretta e mi consegnò le chiavi.
Fortunatamente
trovai subito parcheggio e fui in grado di raggiungerli in poco tempo:
Claudine
era già sotto controllo medico, Alberto era andato a
sbrigare le pratiche di
ricovero, Emile era in piedi nel corridoio, immobile.
«Vedrai
che ce la farà, l’abbiamo portata qui in tempo,
tornerà presto a casa da...»
Emile ignorò totalmente quello che gli stavo dicendo e
dandomi le spalle si
allontanò. Volevo seguirlo, ma volevo anche sapere come
stesse Claudine: per
fortuna Alberto arrivò quasi all’istante e chiesi
a lui delucidazioni.
«Le
hanno detto qualcosa? Come sta?»
«La
stanno controllando ora, ma credo che sia fuori pericolo,
l’ultima volta c’era
molto più sangue in giro e si è
salvata» quindi anche la volta precedente aveva
tentato di dissanguarsi!
«Gliel’avevo
detto di togliere quelle forbici da lì, Sabrina lo sapeva
che non doveva
dimenticarle assolutamente in quel bagno!» Alberto
sprofondò su una sedia con
la testa tra le mani ed io rimasi per un momento impassibile, poi mi
accomodai
accanto a lui e gli poggiai una mano sulla spalla:
«Adesso
non ci pensi, per fortuna è stato velocissimo ad
accorgersene, se la signora se
l’è cavata in condizioni peggiori, stavolta non ci
saranno problemi, non si
disperi.»
Alberto
in tutta risposta alzò la testa e mi osservò per
un momento che mi parve
eterno, poi poggiò una mano sulla mia:
«Grazie,
sei una cara ragazza. Vai da Emile, avrà di sicuro
più bisogno di te in questo
momento.» Feci un cenno di assenso e mi precipitai in sua
ricerca.
Lo
trovai in una saletta d’attesa: mi dava le spalle e guardava
fuori dalla
finestra.
«Emi…»
«Si
dice che non ci sia due senza tre… a quanto sembra
è vero anche che non c’è tre
senza quattro e di sicuro ci sarà anche un cinque e un sei e
un sette... finché
arriverà il giorno in cui allenteremo la guardia o
arriveremo un secondo più tardi
e non ci sarà più scampo!» Emile stava
dando voce ai miei stessi pensieri, a
cui non riuscivo a dare una risposta che mi consolasse, per cui rimasi
in
silenzio.
«Per
quanto ancora dovremmo venire qui a “salvarla” se
lei non vuole più stare con
noi? È poi giusto farlo? È giusto legarla al
nostro desiderio egoistico di
averla con noi? Forse se la lasciassimo andare una volta per tutte,
sarebbe
finalmente felice!»
«Non
puoi parlare così Emile! Tu saresti il primo a soffrirne se
la perdessi!»
«Quello
che provo io non ha importanza, si è sacrificata abbastanza
per me, è ora che
abbia la sua pace.»
«Ma
anche tu ti sacrifichi per lei, come lo fa tuo padre, è il
vostro amore che ve
lo fa fare…»
Improvvisamente
si voltò:
«Non
capisci! È colpa mia! È tutta colpa mia! Se non
fossi nato, se non mi avesse
avuto non sarebbe caduta in depressione, se il suo amore per me non
fosse stato
così grande, avrebbe potuto abortire e rifarsi una carriera
ed oggi sarebbe
felice! È tutta colpa mia, io non dovevo nascere
dannazione!»
Il
suo viso era una maschera di tormento e disperazione, i suoi occhi
erano di un
azzurro intenso e mi apparivano più grandi del solito,
contornati da un
arrossamento che indicava l’inizio di un pianto a dirotto,
che di sicuro
cercava di trattenere, stringendo convulsamente le mani in due pugni
serrati.
Ero pietrificata, non l’avevo mai visto così
fragile e disperato e non avevo
ancora compreso davvero la tortura che viveva dentro, il conflitto
interiore e
il senso di colpa che sentiva per essere vivo: Emile colpevolizzava se
stesso
per essere nato!
Tante
volte mi ero sentita fuori posto nella mia famiglia, ma mai avevo
provato un
simile senso di colpa e disperazione! Avevo invidiato la sua famiglia e
il
rapporto così schietto con suo padre ed ora invece mi
rendevo conto che dentro
di sé, Emile aveva una disperazione profonda che non poteva
essere lenita.
Tornò
a darmi le spalle e vidi la sua schiena tremare: di sicuro stava
lottando
contro le lacrime e non voleva farsi vedere da me in quello stato.
A
quel punto persi ogni dubbio, ogni inibizione: corsi in sua direzione e
l’abbracciai appoggiandomi alla sua schiena tremante.
«Non
dire più sciocchezze simili Emile! La tua vita è
un dono, non è una punizione,
nulla di ciò che è fatto per amore è
sbagliato! E sono sicura che la tua
presenza è una gioia per molte persone, che si
dispererebbero se tu non ci
fossi! I…io ti amo Emile e se tu non esistessi, nella mia
vita ci sarebbe un
vuoto incolmabile.»
«No.
Non devi amarmi, non voglio che tu mi ami! Mia madre ha perso se stessa
per
amor mio, mio padre ha abbandonato il suo sogno e il suo talento,
spaccandosi
la schiena con un lavoro che non rende giustizia alle sue
qualità, solo per
amore. A che serve amare se si rinuncia a se stessi?»
Avevo
trovato la forza di accettare ciò che provavo per lui nel
momento in cui
speravo che le mie parole gli fossero di conforto, ma la sua reazione
fu più
dura di quanto avessi immaginato. Emile s’incolpava per
essere nato e metteva
distanza tra sé e gli altri perché temeva
l’amore! Temeva quel sentimento così
forte che trascinava via la razionalità e tutti i sogni
personali. Temeva di
perdere se stesso o che qualcuno lo facesse per amor suo: quanto
eravamo simili
e opposti nelle nostre paure!
Ciononostante,
aveva bisogno di sentirsi amato, come ogni essere umano,
perché non fece nulla
per staccarsi da me: le sue parole mi cacciavano, ma il suo corpo
tradiva ciò che
sentiva davvero.
«Io
non rinuncerò mai a me stessa per amore! Ho troppo orgoglio
per buttarlo al
vento e vivere solo in funzione della felicità altrui. E non
ho intenzione di
allontanarmi da te! Puoi anche cacciarmi, evitarmi, puoi tornare a
guardarmi
con astio come la prima volta che ci siamo incontrati, ma io non mi
allontanerò
da te Emile! L’amore non è una maledizione e te lo
farò capire in un modo o in
un altro!»
Lo
strinsi più forte a me, pronta a ricevere il contraccolpo
del suo corpo che voleva
allontanarmi, invece sentii i suoi singhiozzi e il suo corpo tremante
che
cedeva al pianto.
Rimanemmo
così per quello che mi sembrò un tempo eterno,
sospesi in quel momento di
dolore, conforto, e più pura umanità,
finché Emile cadde in ginocchio, cedendo
alla fatica e alla sofferenza troppo a lungo repressa ed io mi
accoccolai
accanto a lui, adagiando la sua testa su di me, in modo che potesse
appoggiarsi
e sfogare tutto il suo dolore.
*****
Emile
pianse tutte le sue lacrime: lo tenni stretto a me con la sensazione
che
potesse spezzarsi da un momento all’altro; mai prima di
allora provai un
desiderio così forte di proteggere qualcuno.
Tra
le mie braccia, quello che solo qualche settimana prima avevo
considerato un
saccente borioso pieno di sé, in quel momento aveva
l’aria di essere solo un
bambino impaurito, con un bisogno enorme di essere amato e una
solitudine
interna di proporzioni immani.
Restammo
in silenzio, ogni parola era superflua in quel momento:
c’eravamo solo io e lui
e il calore umano che stavamo condividendo. Sfinito dal lungo pianto,
Emile
finì per addormentarsi ed eravamo ancora in quello stato
quando Alberto ci
trovò: restò ad osservarci per qualche secondo
con la commozione negli occhi,
poi si accoccolò accanto a me e ci abbracciò. Ero
restia a smuovere Emile per
non svegliarlo, così rifiutai quando suo padre volle
spostarlo e rimanemmo per
un po’ seduti a terra, in quella saletta, a parlare.
«Ti
abbiamo rovinato la serata.» esordì Alberto in
tono dispiaciuto.
«Ma
che dice? Ho scelto io di venire con voi. So che può
sembrare assurdo ma… io
voglio davvero bene a sua moglie e sono preoccupata sul
serio!»
Alberto
sorrise dolcemente:
«Prima
di tutto, smettila di darmi del lei, mi fa sentire vecchio! E chiamami
Alberto!» ricambiai
il suo sorriso e feci un debole
cenno d’assenso «Grazie per essergli accanto. Credo
di non averlo mai visto
così vulnerabile come in questo momento…
finalmente è riuscito ad aprirsi con
qualcuno!»
Il
viso di Alberto emanava amore e preoccupazione e sentii il desiderio di
rassicurarlo, anche se non sapevo come:
«Vorrei
poter fare qualcosa in più per lui…»
«Stai
già facendo tanto, credimi! Emile non si apre
con nessuno. Io e lui parliamo sempre e sin da quando era
bambino ho
voluto instaurare un rapporto schietto tra noi, ma per quanto possa
parlarmi
apertamente, non mi ha mai mostrato il dolore che si porta dentro.
È sempre
stato un bambino tranquillo e responsabile… fin troppo!
Forse perché non
sentendosi protetto, ha deciso di contare solo su se stesso.»
Alberto
s’intristì, avvolto dal senso di colpa per non
essere stato un padre presente.
«No
si... ti sbagli! Emile ha capito benissimo i sacrifici che
ha…i fatto per lui!
Io credo che non volesse essere un peso, comportandosi da
irresponsabile senza
rispetto per il tuo duro lavoro!»
In
quel momento all’improvviso vidi con gli occhi della mente
mia sorella e
ricordai le sue parole: “Devo
farli
gioire perché loro mi hanno messo al mondo e si prendono
cura di me da sempre e
voglio essere degna del loro amore”, ma accantonai quel
pensiero che in quel
momento rappresentava solo un fastidio.
Gli
occhi di Alberto si velarono per un attimo di commozione:
«Claudine
era una cantante all’inizio della sua carriera, ma aveva
già ricevuto dei
riconoscimenti per la sua musica, stava per lanciare l’ultimo
album quando ci
siamo conosciuti. Era bella ed eterea, venne ad una mostra che stavo
tenendo a
Parigi: ero arrivato in Francia in cerca di successo e quella doveva
essere il
mio trampolino di lancio.»
Il
padre di Emile stava tornando indietro nel tempo con la mente e vidi il
suo
volto illuminarsi al ricordo di quei momenti.
«Appena
ci conoscemmo, capimmo che eravamo fatti l’uno per
l’altra e lei me lo disse
seduta stante. Era così vitale, così felice! Il
solo vederla o anche il
pensarla mi faceva stare bene… in tre mesi decidemmo di
sposarci! Ma non
avevamo fatto i conti con la stampa e il giudizio popolare. La casa
discografica non gradì questa decisione: Claudine aveva
appena vent’anni e
volevano dare di lei l’immagine di una ragazza fresca e
“pura”, quest’idea di
sposarsi non collimava con quelle della casa discografica,
così le imposero di
scegliere tra carriera e amore: non batté ciglio e scelse
me, convinta di
riuscire a riprendersi in futuro la sua carriera… Ma dopo
poco rimase incinta,
così decise di dedicarsi alla famiglia. Ce ne andammo dalla
Francia: la
famiglia di Claudine non l’aveva mai amata poiché
era la figlia di un
adulterio. Sua madre l’aveva avuta con un altro uomo e la
testimonianza è qui
accanto a noi: nella famiglia di Claudine nessuno ha i capelli
rossi.»
Guardai
la testa fiammeggiante di Emile: si portava addosso anche
quell’eredità allora!
«Claudine
si innamorò della casa in cui viviamo e la comprò
su due piedi: la serra venne
trasformata in un laboratorio, in modo da ricavare uno spazio per me e
la mia
arte.» ripensai a quella stanza luminosa tappezzata di tele e
a quel cavalletto
abbandonato in un angolo, testimonianza di un sogno accantonato...
«Eravamo
felici, ma sapevo che Claudine sentiva la mancanza del
canto… poi arrivò Emile
e dopo il parto iniziarono le crisi depressive. All’inizio
erano normali sfoghi
di pianto: aveva sognato di essere una madre perfetta, come quella
madre che
aveva avuto accanto per pochi anni, ma Claudine era giovane e non aveva
mai
avuto figli: alle prime disattenzioni iniziò a sentirsi
incapace… Dopo
le prime crisi di pianto iniziò a
rifugiarsi in salotto per ascoltarsi, senza più badare al
bambino. Un giorno
trovai Emile che
piangeva disperato
nella culla e lei che cantava in salotto felice. Decisi allora di
ricoverarla e
di abbandonare la carriera artistica: la mia famiglia aveva bisogno di
me ed
era più importante di qualsiasi ambizione.»
Non
vidi traccia di rimpianti sul viso di Alberto: aveva rinunciato a se
stesso
anni prima, ma il suo amore era così grande da essere felice
della sua scelta anche
a distanza di tanto tempo. Com’erano state infantili e
sciocche le mie storie
d’amore in confronto ad un sentimento così grande
e puro! Sarei mai stata in
grado di rinunciare così a me stessa senza rimpianti? Forse
aveva davvero
ragione Simona, ero un’immatura egoista!
«La
stampa iniziò ad incuriosirsi sulle nostre vicissitudini
familiari, stuoli di
paparazzi e curiosi iniziarono a bussare alla nostra porta con finta
solidarietà
solo per poter spettegolare… Quando Emile frequentava le
scuole elementari,
alcuni suoi compagni di classe furono spediti a casa nostra, per
permettere ai
loro genitori di venire a curiosare e da allora mio figlio non permette
a
nessuno di oltrepassare la porta di casa. E se si verificava
un’eventualità
simile, ha sempre fatto sì che andassero via
presto.»
Ripensai
alle battute sarcastiche sulle condizioni di sua madre che fece quel
giorno al
parco quando litigammo: il suo era un modo di testare la
sincerità degli altri,
voleva spaventare i curiosi allontanandoli con frasi plateali, in modo
che non
disturbassero la sua famiglia! Emile si era costruito una spessa
corazza
intorno a sé…
«Alberto…
tu sei stato un padre eccezionale, non devi accusarti di nulla!
Ciò che Emile
conserva dentro di sé è frutto del suo carattere
e non del tuo comportamento! I
genitori fanno quello che possono, ma i figli sono persone indipendenti
con
caratteri spesso differenti e non per questo manca l’amore o
il riconoscimento
dei meriti verso
chi ha dato loro la
vita!»
Mi
guardò con affetto e mi poggiò un braccio intorno
alle spalle:
«Sei
proprio una ragazza saggia!» sì certo, a parole
ero saggia ma perché non avevo
mostrato la stessa saggezza e comprensione verso la mia famiglia?
*****
Claudine
rimase ricoverata all’ospedale e Alberto restò
lì per la notte: avrei voluto
dargli il cambio ma il giorno dopo avrei avuto il mio primo giorno di
lavoro e
non potevo assentarmi o presentarmi senza aver dormito; così
il padre di Emile
chiese a suo figlio di accompagnarmi a casa. Quest’ultimo da
quando si era
risvegliato non mi aveva rivolto la parola… Non che ce ne
fosse stata
occasione: ci dirigemmo direttamente nella camera di Claudine e dopo
poco
Alberto ci disse senza troppe cerimonie che era inutile che noi due
restassimo
lì. Così volenti o nolenti, ci ritrovammo insieme
soli in quell’auto. Non
volevo che Emile scoprisse che non abitavo con i miei, ma del resto non
conoscendo l’ubicazione della casa in cui avevo abitato fino
a qualche giorno
prima, nessuno poteva impedirmi di fingere che l’appartamento
di Rita fosse la
mia vera abitazione. Ero immersa in quelle elucubrazioni machiavelliche
quando il
mio accompagnatore, finalmente si decise a parlare:
«Ti
chiedo scusa per la scena pietosa a cui hai assistito, ti prego di
dimenticarla,
non ero molto in me prima.»
Il
suo tono era formale e rigido, stava
rialzando la barriera tra noi:
«Non
c’è niente di cui scusarsi, hai avuto una
reazione più che normale, chiunque si sarebbe sconfortato in
una situazione
simile...»
«Non
io. Ormai dovevo esserci abituato, invece sono stato patetico e
debole!»
strinse con forza il manubrio dell’auto.
«Non
è vero, non sei stato debole! Sei umano e tutti gli esseri
umani hanno bisogno
di esternare qualche volta le loro sofferenze…»
«Non
sono tutti come te, Pasi! Io non amo aprire bocca per dire il primo
pensiero
che mi passa per la testa! Ho sempre usato la razionalità
per domare certi
pensieri assurdi e quello di oggi non ero io!»
«Io
invece credo che fossi più tu in quel momento che nel
quotidiano.» ignorai la
velata offesa che sentii nelle sue parole, perché mi ero
ripromessa di non
cedere all’ira e dimostrami forte… anche se non
avevo idea di quanto del
sarcasmo di Emile sarei riuscita a sopportare prima di andare in
escandescenza!
«Tu
non sai niente di me Pasi! Come puoi dire di sapere chi sono, se
nemmeno mi
conosci!?» già, come potevo dirlo…
eppure ne ero convinta!
«Io
credo che non serva conoscersi a fondo certe volte per capirsi
e...»
«…E
innamorarsi? Come hanno fatto i miei romantici genitori? Seguendo un
sogno che
poi li ha uccisi? Vivendosi questo grande amore che ha portato loro
solo
sofferenza e li ha annientati? Puoi credere davvero a cose
simili?»
«Sì
Emile, ci credo, perché ho visto gli occhi di tuo padre e ho
visto quanto lui
ancora ami tua madre e quanto ami te! Se non credi in qualcosa che hai
davanti
agli occhi tutti i giorni, in cosa credi allora?» arrivammo sotto casa di Rita
in quel momento:
Emile spense l’auto prima di rispondermi.
«Nella
musica. Credo nella musica. È la mia sola ragione di vita,
ciò che darà un
significato alla mia esistenza sulla terra! Sono nato con questo
talento, mia
madre mi ha trasmesso l’amore per il canto e per la musica e
finché avrò vita,
il mio unico obiettivo sarà diventare famoso. Lo scopo della
mia vita è quello
di riscattare i miei genitori e farli conoscere a quel mondo che ha
ucciso i
loro talenti! Non ci sarà altro prima per me. La mia vita
è votata alla musica
e al riscatto di chi mi ha messo al mondo.»
Rimasi
a guardarlo senza parole mentre mi apriva il suo cuore: quale spirito
di
sacrificio imperversava in quel ragazzo che stava accanto a me? Emile
vedeva la
sua vita come uno strumento di riscatto per i suoi genitori, aveva
trovato un
modo per sopportare il senso di colpa per essere nato, attraverso la
musica,
per realizzare ciò che sua madre non era riuscita a fare:
diventare famosa. E
questo includeva rinunciare a tutto il resto, soprattutto, mi resi
conto in
quel momento, significava rinunciare ad amare…
«Sono
felice che ti stia a cuore la salute di mia madre Pasi e potrai venire
a
trovarla quando vuoi, ma non venire con un secondo fine,
perché mia madre è la
sola persona che beneficerà della tua presenza nella mia
famiglia!» mi stava
dicendo chiaramente e senza troppi giri di parole che non aveva
intenzione di
dare peso a ciò che gli avevo detto, che
l’amavo… A quel punto non ressi più e
replicai:
«Emile,
io non ho intenzione di essere una bimbetta appiccicosa che ti ronza
intorno
tutto il tempo, quello che ti ho detto è ciò che
sento, ma questo non significa
che coglierò tutte le occasioni per seguirti e toglierti
l’aria che respiri! Tu
credi che io non conosca te, ma ancora un volta, devo farti presente
che sei tu
a non conoscere me, quindi cerca di non trarre conclusioni troppo
affrettate e
piuttosto cerca di aprire gli occhi su quelle idee strampalate che ti
frullano
nella testa! La musica potrà essere importante per te
perché, e solo Dio lo sa quanto
me ne pentirò a dirlo, sei straordinariamente bravo e meriti
tutta la fama del
mondo, ma la musica non è tutto nella vita! E un giorno ti
guarderai allo
specchio e ti renderai conto che non ti basterà! Magari
sarai ricco,
multimiliardario e famosissimo, magari riscriverai la storia del Rock,
ma quel
giorno ti renderai conto che l’amore che tu vuoi gettare al
vento ti mancherà e
ti scaverà un buco nell’anima che non ti
darà mai la serenità! Nemmeno la
musica ti appagherà come vorresti, perché
ciò che ti può donare il cuore di un
essere umano, non lo potrai mai avere da nient’altro al
mondo!» Cercai
di essere più calma possibile mentre
gli rivolgevo quelle parole esasperata, ma contavo poco sulla pacatezza
del mio
tono: se c’era una cosa che mi costava fatica, era parlare
con calma quando
esprimevo un concetto che mi stava a cuore! «E adesso
scusami, ma devo proprio
andare, buonanotte!»
Scesi
dall’auto senza guardarlo: se avessi lasciato agire il mio
istinto, avrei
cercato di stare il più possibile con lui per non lasciarlo
solo con i foschi
pensieri che di sicuro gli avrebbero fatto compagnia quella notte, ma
sapevo
che sarei stata solo un peso per lui in quel momento. E poi dovevo
pensare
anche alla mia di vita, che stava cambiando repentinamente e sembrava
quasi che
mi stesse lasciando indietro: avevo rinunciato ad una pizza con gli
amici, alla
festa per il mio nuovo lavoro, per stare con Emile e la sua famiglia;
non ne
ero pentita, ma ancora una volta avevo messo i miei desideri in secondo
piano e
mi resi conto di temere di non essere cambiata affatto. In compenso,
quando
aprii la porta dell’appartamento di Rita, la vita che avevo
lasciato indietro
quella sera, era
lì che mi attendeva.
_______________________________________
NDA
Vi è piaciuto il capitolo? Avete voglia di dare due ceffoni
ad Emile per la sua cocciutaggine? Vi sentite in totale empatia con
Pasi? Niente di tutto ciò? BENE. xD
Questa parte della storia è una di quelle che ho abbozzato
mentre ero alle prese con i capitoli precedenti: scriverla prima di
giungerci
cronologicamente mi ha aiutato a delineare gli eventi che avrebbero
portato alle situazioni qui descritte, che rappresentano uno dei climax
più importanti di tutto il racconto poiché viene
alla luce ciò che Emile si porta dentro.
Aspetto di sapere le vostre considerazioni e reazioni e spero di
avervi intrattenuto piacevolmente anche questa volta ^ ^
L'Angolo dei
Doverosi Rigraziamenti come sempre è dedicato
alle mie sorelle speciali che mi sostengono e mi pubblicizzano anche!!!
Sono davvero commossa per l'affetto che mi dimostrate tesore mie, ad
iniziare dalla mia Beta desaparecida (torna Tomodachi,
tornaaaaaa!!! ç_ç) Iloveworld che
per prima mi ha incoraggiato a pubblicare, a Saretta che mi
sta ospitando nel suo blog per pubblicizzarmi, Niky che non
perde occasione per dire al mondo quanto le piaccia questa
storia, e la Cicci
che pur rimanendo indietro con la lettura, crede in me e mi pubblicizza
persino in pagina!
A voi va il mio più grande e immenso ARIGATOU GOZAIMASU!!!!
Un grandissimo Arigatou
va anche a tutte le altre sister affezionate che mi seguono sempre e il
cui sostegno è di vitale importanza per me: Vale che prima
o poi avrò sulla coscienza (ti prego non mi morire
ancora!!), Concy
che nonostante quello che dica, si è
rivelata un'eccellente scrittrice (e guai a te se dici il
contrario!) Ana-chan
che con i problemi di salute che si ritrova, pensa a quanto le
dispiaccia aver dovuto interrompere la lettura (amore pensa
prima a guarireee!!!)!
E ne approfitto anche per fare gli auguri di compleanno alla sister Ely, che oggi
fa cifra tonda!! Auguroni Baldry del mio cuor <3
Grazie mille a tutti coloro che si fermeranno a leggere, chi mi segue
silenziosamente e anche a chi dopo la lettura non ha apprezzato.
Grazie a tutti per essere passati di qui!
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
«Perché
non mi hai detto niente?»
Saltai
con il cuore in gola e accesi la luce: Stè era in piedi,
accanto al divano:
doveva essere rimasto nell’appartamento di Rita ad attendermi
per farmi qualche
ramanzina… ultimamente ne stavo collezionando un
po’ troppe, soprattutto da
lui!
«Testa
di Paglia mi hai messo paura! Che stai facendo lì al buio a
casa di Rita tutto
solo? E a cosa diavolo ti riferisci?»
«Ti
aspettavo, perché quando hai avvisato Rita che non saresti
più venuta, ho
iniziato a chiederle cosa ti stesse accadendo e lei e Fede mi hanno
spiegato...
perché non ti sei confidata con me? Perché non mi
hai detto nulla di
quell’Emile?»
«E
tu sei qui a fare la veglia per una cosa simile? Stè ma
è assurdo! È capitato,
io non volevo nasconderti proprio nulla! Figuriamoci se proprio con te
io debba
avere dei segreti!» ero del tutto sincera in quel momento,
Testa di Paglia
conosceva tutto di me, non avrei mai potuto nascondergli qualcosa,
anche perché
mi leggeva come un libro aperto! «Rita
e
Fede sono giunti alle loro conclusioni da soli… sai come
sono fatti, ti dicono
ciò che senti prima ancora che tu te ne renda
conto!» e poi che ti dovevo dire
Testa di Paglia, se nemmeno io riuscivo a
parlare a me stessa!?
«Ti
stai allontanando da me a causa di Simona?» era
terribilmente serio, temeva di perdermi
perché lui era innamorato della sorella che mi aveva
ripudiato! Ma come gli
venivano in mente certe cose?!
«Stè
ma stai scherzando!? Io non ti allontanerei mai! Soprattutto ora, voi
siete ciò
che ho di più caro al mondo, come potrei
allontanarti!» in quel momento mi resi
conto di aver bisogno di uno dei suoi caldi abbracci e mi diressi a
passo
svelto verso di lui «Non pensare mai più una cosa
simile stupido! Come farei
senza di voi? Come farei senza di te?!»
Per
fortuna, Stè aveva un carattere allegro e gioviale e non
sapeva restare di
cattivo umore a lungo, così mi avvolse in uno dei suoi caldi
abbracci.
«Scusami
Testarossa, certe volte mi vengono queste idee strampalate…
è che
all’improvviso ho avuto paura di non conoscerti
più: te ne vai di casa, fuggi
dietro a questo tipo senza dirci nulla, abbandonando una serata con noi
tutti…
non riuscivo a credere che fossi tu!» dalla descrizione di
Stè mi resi conto
che ai suoi occhi apparivo davvero strana… e cercai di non
badare al modo in
cui parlava di Emile… ne avevo abbastanza di discussioni per
quella sera!
«Hai
ragione, sono stata più impulsiva del solito, scusami tanto
se non ti ho detto
nulla!» Affondai il viso in quel caldo abbraccio e iniziai a
cedere alla
stanchezza «Possiamo rimandare le chiacchiere? Sono stanca
morta e domani
inizio a lavorare…»
*****
Il
lavoro in cucina era impegnativo, ero un po’ il jolly della
situazione: da
lavapiatti ad aiuto cuoco, dai pavimenti ai fornelli, dove
c’era da dare una
mano c’era Pasi a disposizione. Quel primo giorno
m’impegnai per dare una buona
impressione e apparire più volenterosa che mai: non avevo
dormito affatto bene
e mi sentivo stanchissima, avevo sognato Simona che mi faceva la
ramanzina per
poi trasformarsi in Emile che mi guardava con una certa diffidenza
negli occhi,
prima di voltarmi le spalle e allontanarsi… Non era stato
affatto un bel sogno
e ne stavo pagando le conseguenze con la stanchezza che mi sentivo
addosso, ma non
volevo compromettere il
mio futuro a causa di sogni e discussioni con tipi poco malleabili dai
riccioli
rossi! Oddio, sapevo benissimo che quello non era proprio il lavoro
della mia
vita: il compenso mensile che avrei ricevuto non mi sarebbe mai bastato
per
permettermi una casa, per quanto piccola potesse essere e quindi ero
costretta
per il momento a continuare a vivere da Rita, che per fortuna non aveva
alcun
problema al riguardo.
Quel
primo giorno cercai di concentrarmi esclusivamente sul lavoro, che si
riduceva
nella prima parte del giorno: una volta riassettato la cucina dopo
pranzo,
potevo considerarmi libera, per la cena non ci sarebbe stato bisogno
del mio
aiuto (anche perché avrei ripulito il giorno dopo tutto il
macello lasciato!)
Così nel pomeriggio potevo continuare a fare volontariato,
oppure prendermi gli
impegni che volevo. E a quel proposito, i miei pensieri erano sempre
verso i
Castoldi: volevo vedere Claudine, sapere come stava, volevo rivedere
Alberto
che riusciva a darmi serenità… e ovviamente
volevo rivedere Emile, che invece
era all’apice delle mie preoccupazioni. Suo padre aveva detto
che Claudine lo
faceva star bene e probabilmente era quella l’essenza del
vero amore… ed
io avevo detto ad Emile che l’amavo…
però, come
poteva essere vero ciò se mi provocava più
preoccupazioni e brutti sogni di
chiunque?
Riandai
col pensiero alla notte di chiacchiere trascorsa
nell’intimità e confidenza più
totale e ricordai il modo in cui i suoi sorrisi più belli mi
riempissero di
gioia… ma c’era quel suo lato così
duro, così inflessibile, che avrebbe
richiesto molto lavoro da parte mia per cercare di scalfirlo e mi
chiesi se
fossi davvero capace di provare un amore così intenso e una
dedizione così
grande, da perseguire il mio scopo anche se Emile non mi voleva accanto
a sé,
anche se non mi avesse mai amato… Forse era davvero giunto
il momento di
parlare a Stè, che di amore unilaterale e dedizione ne
sapeva di certo più di
me.
Quel
pomeriggio lo chiamai e decidemmo d’incontrarci per parlare
di tutta quella
situazione: gli raccontai tutto ciò che era accaduto da
quando mi ero
presentata con Fede a casa di Emile, fino a quella notte in cui
Claudine aveva
tentato per la quarta volta il suicidio. Testa di Paglia mi
ascoltò senza
battere ciglio, concentrato nel sentire tutta la storia, per potersi
fare
un’idea precisa della situazione.
«Testarossa,
devo dire che come ti cacci tu in situazioni spinose, non ci riesce
nessuno!»
«Uff,
questo lo so Stè!» eravamo in un giardino
pubblico, seduti su una panchina,
avevo portato le ginocchia al petto e ci stavo tuffando la testa dentro
affranta, così il
mio amico mi circondò
le spalle con le braccia per consolarmi:
«Tu
sei sicura dei sentimenti che provi?»
«Sì
e no… cioè, al momento di dirgli che
l’amavo ero convintissima delle mie
parole, ma poi ho cominciato ad averne paura! Ho paura di non essere
capace di
provare un amore davvero così grande da sopportare un
rifiuto ed ho paura di
farmi trascinare troppo da esso… ho combinato un
guaio!» e gettai di nuovo la
testa sulle ginocchia sconfortata, pensando alla promessa che avevo
fatto ad
Alberto, di stare accanto ad Emile e che in quel momento non credevo
affatto di
riuscire a mantenere!
«Testarossa,
io credo che tu abbia dentro di te molta forza e che se hai detto
quelle parole
ad Emile è perché sai
che è la verità.
Amare senza essere corrisposti non è un viaggio facile, ma
il tuo cuore non
riesce a farne a meno, tutto il tuo essere risponde al desiderio di far
felice
quella persona, anche se sai che non potrai mai averla come vorresti.
Non c’è
modo di sottrarvisi Pasi, quindi credo che capirai presto se il tuo
amore è
sincero e forte o è solo un illusione che hai voluto vivere
per qualche tempo.»
«E
se dovessi scoprirmi innamorata di lui al punto da dimenticare me
stessa? Io
non voglio Stè!»
«Questo
non succederà Pasi, perché non te lo
permetterò! Ti ho visto già troppe volte
perderti dietro storie senza futuro e non voglio rivederti in quello
stato! La
prossima volta che inizi ad annullarti per un uomo vengo a prenderti
per quella
testa di fiammifero che ti ritrovi e ti rinchiudo in casa
finché non riprendi la
sanità mentale!» Stè si fece una delle
sue risate speciali ed io lo seguii, liberando
dal mio cuore un po’ di angoscia. Testa di Paglia era davvero
il mio angelo
custode!
*****
«Andiamo
a trovare Claudine più tardi?»
Fede
comparve all’improvviso alle mie spalle mentre ero a pulire
la cucina. Erano tre
giorni che lavoravo e in quel lasso di tempo non avevo avuto modo di
sapere
come stesse Claudine, né di parlare con il resto della sua
famiglia. Non volevo
chiamare Emile e sentirmi dire che lo stavo seccando e non sapevo come
rintracciare Alberto…L’unica cosa da fare era
andare direttamente all’ospedale,
così avrei mostrato a quello stupido che non era lui il
centro dei miei
pensieri e che non usavo Claudine per arrivare alla sua virtuosa
persona! Finalmente
iniziai a sentirmi più energica e sicura di me, quel momento
d’incertezza non
mi era affatto piaciuto, non ero io quella ragazzina spaventata e
dubbiosa!
«Sì
Fede, ho proprio voglia di vederla, voglio sapere come sta!» e non sto sperando che Emile sia lì in
ospedale!
*****
Alberto
era seduto accanto a Claudine, tenuta sotto controllo dai farmaci:
appena mi
vide si alzò, mi venne incontro con un sorriso immenso e mi
abbracciò contento
e mi sentii avvolgere nuovamente dall’ondata di calore e di
affetto che ormai
provavo per quell’uomo:
«Pasi!
Iniziavo a sentire la tua mancanza! Come stai piccola?»
Gli
presentai Federico e gli chiedemmo delle condizioni di Claudine: la sua
vita
era fuori pericolo, ma i medici stavano pensando di tenerla sotto
controllo in
un centro specializzato per le malattie mentali: quattro tentativi di
suicidio
erano decisamente tanti ed era chiaro che i soli familiari non potevano
più
contenere quegli eccessi. Alberto si opponeva, non voleva che la donna
che
amava finisse internata, sapeva che da quei luoghi non c’era
modo di uscirne
vivi e non voleva condannarla ad una vita lontano dagli affetti.
«Emile
che ne pensa?» mi trovai a chiedere quasi senza accorgermene:
chissà perché
temevo che lui non fosse dello stesso parere…
«È
d’accordo con me, non accetterebbe mai di sapere sua madre
rinchiusa in un
luogo simile.» per
fortuna, avevo avuto
una sensazione del tutto sbagliata! «Ma dobbiamo mostrare ai
medici che siamo
in grado di occuparci di lei, probabilmente dovremmo aumentare la
presenza di
infermieri...»
«Ma
questo vi costerà troppo!» parlai di nuovo senza
trattenermi: non erano fatti
miei, ma ormai li sentivo tali! «Non
c’è
alcun familiare che possa darvi una mano? Un
amico…»
«Pasi,
ragazza mia, hai visto qualcuno intorno a noi che non fosse Sabrina...
o tu?»
mi prese le spalle con le mani «Emile ed io possiamo contare
solo su noi due, è
sempre stato così e sempre lo sarà.
Vorrà dire che mi troverò un secondo
impiego o farò doppi turni… in qualche modo ce la
cav…»
«Vi
aiuterò io! Verrò io a darvi a una
mano!»
«Non
posso chiederti una cosa simile...»
«Sì
invece! A me fa piacere stare accanto a Claudine e non ho bisogno di
essere
pagata, il pomeriggio e la sera sono libera, quindi quando volete posso
darvi
il cambio e stare accanto a lei!»
«E
la tua vita? Vuoi sacrificarla a far da balia a mia moglie invece di
divertirti
con gli amici?»
«Troverò
il modo di conciliare tutto! Dimmi solo quando venire e
correrò a dare una
mano!»
A
quel punto anche Fede prese parola:
«Se
avete bisogno ci sono anche io, non sentitevi abbandonati, anche a me
fa
piacere dare una mano.» Alberto ci guardò commosso
e ci diede un grande
abbraccio.
*****
Iniziò
così la mia nuova vita, scandita dal lavoro mattutino e il
pomeriggio in casa
Castoldi. Emile e Alberto avevano concordato che servivano almeno due
persone
che potessero alternarsi accanto a Claudine, così la sera
cercavano di esserci
entrambi (e se Emile aveva le prove col gruppo o qualche esibizione, in
quel
caso Fede avrebbe dato una mano notturna) mentre di pomeriggio
c’ero io con
Sabrina e di mattina c’era Emile sempre con Sabrina a cui
avevano raddoppiato
il turno. Nonostante il mio aiuto, restava ancora il bisogno di
qualcuno che si
alternasse ad Emile di mattina, con conseguente aumento del compenso di
Sabrina,
per cui Alberto cercò di raddoppiare le sue ore di lavoro:
era un manovale in
una ditta edilizia, ma essendo abile in tutto ciò che
chiedeva manualità,
iniziò a proporsi anche come giardiniere o tutto fare per i
piccoli lavoretti di
ristrutturazione delle abitazioni. Emile dal canto suo,
iniziò a prendersi
qualche lavoro dalla bottega e a portarsela a casa per lavoraci mentre
era con
sua madre.
Il
mio turno iniziava e finiva alternandomi ad Emile, per cui almeno per
qualche
minuto, ci saremmo visti mentre ci davamo il cambio e questo breve
momento di
contatto costituiva per me la speranza di poterlo avvicinare di nuovo.
Il primo
giorno in cui entrai in quella casa in veste di badante per Claudine fu
proprio
Emile ad aprirmi: il suo aspetto era votato alla più
assoluta rigidità e tutto
di lui mi allertava a non avvicinarmi troppo.
«Ciao.»
il suo lapidario e polare saluto mi fece capire immediatamente che non
voleva
indugiare in chiacchiere.
«Ciao
Emile… tuo padre ti ha…»
«Sì
mi ha detto tutto. Grazie per l’aiuto che ci offri. Te ne
sono grato.» si
teneva a distanza a da me, il suo viso era
granitico, privo di espressione e quelle parole prive di calore
sembrarono
provenire dalla bocca di un automa. Cosa pensava che potessi fargli,
saltargli
addosso e rubargli la virtù?! Quell’atteggiamento
iniziò a darmi sui nervi!
«Senti…»
«Sabrina
è su con mia madre, se hai bisogno di sapere qualcosa, lei
risponderà a tutto,
è qui dalla mattina e conosce tutti i suoi bisogni. Io ora
devo andare, buona
giornata.»
Chiuse
la porta dietro di sé, senza darmi modo di continuare la mia
arringa a malapena
iniziata, senza darmi diritto di replica… Mi aveva appena
fatto capire di non
voler avere alcun tipo di contatto con me!
Quell’atteggiamento spocchioso mi
fece imbestialire sul momento, ma non ero lì per divertirmi,
avevo un compito
importante da assolvere: Alberto
contava
su di me e non volevo deluderlo; del suo irritante figlio mi sarei
preoccupata
in seguito. O almeno speravo di riuscire a farlo. Il tempo accanto a
Claudine
quel giorno scorse lento, la mia testa era piena di sentimenti confusi
e
contrastanti: continuavo a sentire il desiderio di stare accanto ad
Emile, ma
contemporaneamente quel suo atteggiamento m’istigava a
lasciarlo perdere o a
strozzarlo una volta per tutte! Quel pomeriggio mi chiesi persino se ne
valeva
davvero la pena di farmi trattare in quel modo, da una persona che
aveva
sfacciatamente rifiutato ciò che sentivo per lui, ma poi
ripensai all’Emile che
accudiva con dolcezza sua madre, a quel ragazzo che sapeva sorridermi
con vera
gioia lasciandomi del tutto inebetita, al bambino impaurito e tremante
che
avevo visto qualche giorno prima in ospedale e sentii di nuovo il
desiderio di
proteggerlo.
Solo
lui riusciva a confondermi in quel modo, a farmi provare
così tanti sentimenti
contrastanti nei suoi confronti: non riuscivo a capire come dipanare la
matassa
dei miei sentimenti in quella situazione, il desiderio di stargli
accanto stava
combattendo ferocemente con la rabbia dentro di me e forse
quest’ultima in quel
momento stava avendo la meglio. Non avevo la più pallida
idea di come avrei
fatto, ma non volevo dargliela vinta, non volevo ritirarmi con la coda
fra le
gambe! Gli avrei dimostrato in qualche modo che non ero una ragazzina
sbavante
che viveva per ogni suo respiro, gli avrei dimostrato che lui non era
il motivo
per cui andavo in quella casa, che saltargli addosso non era la parte
centrale
dei miei pensieri! Non avrebbe visto il mio volto triste per il modo in
cui si
rivolgeva a me e non avrei più tentato di parlargli, gli
avrei fatto vedere di
che pasta ero fatta!
La
mia battaglia con lui sarebbe iniziata l’indomani, quella
sera mi fu concesso
tempo per prepararmi ad affrontarlo, poiché a darmi il
cambio fu Alberto, che
rincasò prima di suo figlio.
«Stanca?»
mi chiese dopo il suo caloroso abbraccio.
«No
affatto, il tempo è volato!» insieme alla
spudorata fandonia, sfoderai il
migliore dei miei sorrisi per rassicurarlo: vedevo ancora sul suo volto
la
preoccupazione per avermi costretto a stare ogni pomeriggio accanto a
sua
moglie e volevo fargli capire quanto occuparmi di Claudine costituisse
un
piacere e non un dovere. Alberto mi guardò per qualche
minuto sondando le mie
espressioni e d’un tratto si rattristò:
«Emile
è stato scortese con te?»
Al
sentir nominare la causa del mio malumore, sentii la rabbia far
capolino sul
mio viso per un istante, quel tanto che bastò ad Alberto per
capire e sospirare:
«Quando
gli ho detto che saresti venuta ad accudire Claudine, l’ho
visto irrigidirsi,
ma poi ha convenuto con me che saresti stata di grande
aiuto… quel figlio mio è
davvero irrecuperabile! Ti chiedo scusa per il suo comportamento
scortese,
certe volte è…» decisa a non aggiungere
altri fardelli sulla schiena di
quell’uomo adorabile, mi ripromisi di non mostrarmi
arrabbiata con suo figlio e
di non palesargli alcun fastidio potessi provare, entrando in quella
casa.
Appoggiai una mano sul suo braccio per rassicurarlo e gli risposi:
«Non
preoccuparti, Emile non è stato scortese, è tutto
a posto.» tranquillo Alberto, tuo
figlio non ha capito
con chi ha a che fare!
*****
Come
da copione, la mia battaglia con Emile iniziò il giorno
seguente: mi accolse
con lo stesso atteggiamento rigido ed io gli risposi con un bel sorriso
sincero e senza
dargli modo di dire altro, mi diressi
subito al piano di sopra, con la più cordiale indifferenza
di cui fossi capace.
Sentii i suoi occhi che mi osservavano mentre salivo le scale e nel
momento in
cui arrivai all’ultimo gradino, la porta di casa si chiuse.
Sorrisi soddisfatta
di me e iniziai il mio pomeriggio accanto a Claudine: Pasi=1 Stupido
Emile=0!
La
scena iniziò a ripetersi ogni giorno e ogni volta che lo
vedevo, dovevo
sforzarmi per non prendere a sberle
quel viso così rigido e formale, ma la soddisfazione di non
dargli modo di
trattarmi con sufficienza mi bastava a sostenere quella piccola recita
di
qualche minuto. Trascorsero in questo modo un paio di
settimane, in cui la nostra situazione giunse
ad una stasi, finché verso la metà della terza
settimana ad accogliermi in casa
ci fu solo Sabrina e la situazione si ripeté uguale nei
giorni successivi.
Iniziai a sospettare che mi stesse evitando di proposito e
tornò ad assalirmi
un’insana irritazione.
Col
passare dei giorni però, mancando il quotidiano scontro,
l’irritabilità si
trasformò in un’improvvisa malinconia: eravamo
così distanti in quel periodo,
non c’era alcun punto di contatto tra noi, non
c’era più nemmeno quel breve e
veloce saluto, che più che altro era un incontro di box
travestito da uno
scambio di convenevoli! Mi mancava la familiarità che
eravamo riusciti ad avere
settimane prima, mi mancavano i suoi gesti gentili e il suo
sorriso… iniziai a
temere di non riuscire più a vederlo e il fatto che ogni
pomeriggio fossi in
casa sua, dove lui viveva, dove era se stesso nel profondo, mi spinse a
voler
sapere qualcosa in più sul suo conto, almeno in modo
indiretto.
Così
un pomeriggio in cui Claudine era controllata dalle cure di Sabrina,
decisi di
riprovare a curiosare alla ricerca della camera di Emile: avevo voglia
di
sentirlo a me vicino, volevo trovarmi anche se solo per qualche minuto,
nello
stesso luogo in cui trascorreva una parte della giornata, volevo
sentire la sua
presenza nell’aria… provai ad aprire la porta
della camera adiacente
a quella in cui avevo dormito e per pura fortuna la trovai aperta!
Avevo il
cuore che pulsava all’impazzata, mi sentivo una ladruncola ma
mi dicevo che in
fondo Emile se l’era cercata col suo
comportamento… così aprii la porta ed
entrai.
La
stanza doveva avere le stesse dimensioni di quella adiacente, ma
sembrava molto
più piccola a causa delle librerie che la tappezzavano:
c’erano scaffali e
scaffali pieni zeppi di dischi in vinile e CD e impianti stereo di
tutti i tipi,
quello era un santuario della musica! C’erano anche un
violino, una chitarra e
una tastiera e in fondo alla stanza, a ridosso delle finestre
c’era la scrivania
preceduta solo dal letto, la cui testiera poggiava sulla parete di
sinistra, in
modo speculare rispetto alla stanza accanto. Sul comodino
c’era solamente una
lampada e una foto: quella foto che Fede aveva trovato nella
cassettiera e che
ora era inserita in una cornice in bella mostra. Mi accovacciai davanti
al
comodino e osservai nuovamente l’immagine di quella famiglia
che non aveva mai
avuto molti momenti felici come quelli e accarezzai con le dita il
vetro del
portafoto sul volto di ognuno di loro, ma quando arrivai sulla testa di
Emile,
su quel punto luminoso che sporgeva dalle braccia della madre, iniziai
a
commuovermi e desiderai nuovamente di poter proteggere quel ragazzo
dalla
sofferenza che si portava dentro.
Uscii
dalla stanza, sentendo di aver violato un terreno sacro e tornai da
Claudine.
Approfittando
del mio ingresso in camera, Sabrina si prese una pausa ed io rimasi ad
osservare
la madre di Emile mentre riposava nel letto con aria tranquilla:
considerata la
scelta di Alberto di tenerla in casa e di non farla ricoverare in
qualche
centro specializzato, i medici avevano optato per una cura
più intensa,
imbottendola di farmaci per farla stare tranquilla. Di conseguenza,
riusciva a
stare sveglia per molto poco e quando accadeva, era sempre
più intontita... Ogni
giorno che passava la vedevo sempre meno presente e sempre
più come un
fantasma: come può ridursi così una persona che
amava la vita come lei? Una
persona così fiduciosa nella vita, da prenderla
così come viene senza pensare
alle conseguenze, perché sa che in un modo o in un altro se
la caverà…
Probabilmente
era più giusto il comportamento previdente dei miei genitori
o almeno su carta
avrebbe dovuto risparmiare qualche problema, ma era così
freddo! Ero convinta
che anche Claudine non si fosse mai pentita delle sue scelte,
semplicemente il
Destino le aveva riservato dei colpi troppo forti e il suo animo
delicato ne
aveva risentito in modo irreversibile…
Le
presi una mano pallida e smagrita tra le mie per sentire un contatto
tra noi:
«Grazie
Claudine, grazie a te e Alberto sto imparando, sto crescendo e sto
capendo
qualcosa in più anche di me. Grazie perché amo
questa casa piena di amore, amo
il modo in cui la tua famiglia ti ama e amo la gioia di vivere che mi
hai
trasmesso, attraverso i racconti di Alberto ed Emile… e
grazie per averlo messo
al mondo! Lui non è d’accordo, ma io benedico ogni
giorno il fatto che esista e
che l’abbia incontrato, al di là di come
andrà a finire tra noi.»
Non
saprei dire se Claudine fosse consapevole o meno della mia presenza e
delle mie
parole, ma quando tacqui, vidi una lacrima scorrere da uno dei suoi
occhi...
una singola e solitaria lacrima che non saprei dire se fosse di dolore
o di
gioia.
*****
Quella
sera organizzammo di nuovo la nostra pizza semplicemente per vederci e
stavolta
non ci furono imprevisti di sorta. Non vedevo Sofia da quel fatidico
concerto
dei TresneT, di un giorno che
sembrava appartenere ad un tempo lontano: da quando avevo incontrato
Emile, la
mia vita si era rivoluzionata! Sofia era la più piccola del
gruppo: aveva un
anno in meno di me ma era straordinariamente intelligente,
così i genitori
avevano pensato di farle iniziare la carriera scolastica con un anno di
anticipo, per cui ora era già al primo anno di
università. Piccola, con mossi
capelli castani che amava lisciare, occhi scuri che si perdevano in
solitarie
riflessioni e un viso sempre rilassato, Sofia era la rappresentazione
della
calma. Per quanto fossi incline io ad agitarmi, così lei ne
era totalmente
immune: praticava yoga da anni e valutava tutta la sua vita e le
persone
intorno a sé con estrema razionalità. Con il suo
carattere distaccato e anche
un po’ filosofeggiante, sembrava essere la vecchietta saggia
del gruppo: se
Fede e Rita erano i miei genitori e Stè il mio compagno di
marachelle, Sofia
poteva essere classificata benissimo come la nonna!
«Sofi,
qualche sera devi venire a casa mia, così facciamo una
seratina tra ragazze io
tu e Pasi!»
esordì Rita,
lasciandomi sorpresa. “Rita l’impegnata”
che organizzava una serata…
incredibile! Normalmente bisognava fare una domanda in carta bollata
con un
mese di anticipo prima di ricevere una sua risposta affermativa, con i
mille
impegni che si ritrovava era un’impresa farle ritagliare
dello spazio libero ed
ora era lei stessa a proporlo!
«Rita…
sei sicura di star bene?»
le
dissi senza troppi giri di parole.
«Sì
Pasi, perché? Non posso aver voglia di stare un
po’ con le mie amiche?»
mi guardò con aria innocente e
quasi offesa.
«Ma
certo che puoi, solo che… mi meraviglio che tu riesca a
trovare il tempo per
farlo!»
«Sai
Pasi, in questi ultimi tempi, mi sono resa conto che il mondo gira
vorticosamente
ed io voglio girare con lui, ma a volte ci fa perdere il senso delle
cose: io
corro tutto il giorno, persa tra mille impegni e poi mi rendo conto che
non ho
stabilito un rapporto umano da tempo! Sarà che avendoti in
casa con me, sto
riscoprendo la gioia di avere qualcuno accanto, ma ultimamente ho una
voglia
matta di stare con le persone che mi fanno stare bene!»
«Per
la miseria Rita, quanta saggezza all’improvviso! Ma
perché io e Federico
dobbiamo restarne esclusi?» ecco
Stè con la sua paura di essere escluso da tutto…
«Testa
di Paglia stai diventando ossessivo! Una riunione tra ragazze a volte
è
benvenuta, voi uomini certe cose non potete capirle!»
mi piaceva l’idea di una specie di pigiama party con le mie
amiche, rendeva tutto così intimo e confidenziale e non ne
avevamo mai fatto
uno!
«Devo
forse renderti noto, che la prima persona con la quale tu ti sia mai
confidata sono
stato io, Testarossa?»
«Uffa
Stè! Sempre a sottolineare dettagli stai!»
«Io
la trovo una bella idea, le ragazze hanno bisogno di stare tra loro ed
è vero
che ci sono cose che noi non possiamo capire…» Fede come sempre era il
comprensivo e conciliante del gruppo,
inoltre mentre parlava rivolse uno sguardo d’intesa a Rita
che sorrise felice….
Ancora non avevo ben chiaro se tra quei due ci fosse ancora qualcosa o
se il
loro modo di comprendersi era dovuto alla vecchia intimità
che avevano
condiviso in passato... stava di fatto che Stè fu
sbaragliato ed io gongolai
con una bella pernacchia in sua direzione!
«Stamane
leggevo di un’antica leggenda cinese tramandata anche in
Giappone, sul legame
che unisce chi è destinato a stare insieme nonostante le
avversità.»
Sofia aveva preso magicamente la
parola, spuntando dal nulla con un discorso che apparentemente non
aveva alcuna
connessione col nostro discorso…
«Si
dice in Giappone che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al
dito
mignolo e che quel filo rosso è collegato a quello della
persona a cui siamo
destinati. Nonostante la vita separerà quelle persone o non
le farà incontrare
presto, il filo rosso che lega i loro mignoli prima o poi li
guiderà uno
dall’altra perché il loro destino è
quello di stare insieme. Mi è venuta in
mente ora perché sentendo i vostri discorsi, penso che sia
normale temere di
perdere le persone che si amano, ma credo anche che se è
Destino che certe
persone entrino a far parte della nostra vita, in un modo o in un altro
ci
saranno sempre accanto a noi, anche se non sono invitate ad un pigiama
party o
non si vedono da mesi.»
eccola qua la mia nonnina saggia! Poche parole ma ben dirette! Ma
ovviamente,
non tutti hanno lo stesso parere e Rita non era dello stesso avviso:
«Non
sono del tutto d’accordo, credo che il Destino ce lo creiamo
noi con le nostre
mani. Se io non facessi tutto quello che faccio, non potrei avere anche
i
riscontri che ho, non posso pensare che la mia vita sia gestita da
qualcuno al
di sopra di me, che tiri i fili relegandomi al ruolo di un burattino,
la mia
vita è mia e la gestisco come voglio!»
Iniziò
così uno dei nostri discorsi
notturni sulla vita e sulle sue leggi: il bello di parlare tra amici
è proprio
quello di sentire diversi modi di pensare e di vedere le cose, ti apre
gli
occhi, ti fa vedere l’intera esistenza sotto molteplici
aspetti e sai anche che
quando giunge il tuo turno di parlare, la tua opinione avrà
lo stesso impatto
sugli altri e sarà rispettata anche se non
condivisa… erano quelli i momenti
che amavo di più, non mi sarei mai staccata da loro quattro,
sentivo una
felicità immensa nel petto ogni volta che trascorrevo del
tempo in loro
compagnia!
*****
Quella
notte invece di dormire, ripensai
a quella leggenda giapponese: aveva un concetto così
romantico! Mi chiesi se
quel filo rosso che portavo al mignolo, fosse collegato a quello di
Emile: in
quei giorni eravamo così distanti che mi sembrava
impossibile l’idea di
avvicinarci fino a quel punto; sembrava
che il Destino volesse separarci più che unirci!
Il
Destino… volevo credere ad un concetto
simile? Implicava l’idea che qualsiasi cosa provassi a fare
sarebbe stato
inutile se non fosse stato deciso dal Fato. Il che mi lasciava
interdetta:
significava che se non fosse stato benedetto dal Destino, qualsiasi mio
desiderio sarebbe stato irraggiungibile! E quindi anche gli sforzi di
Emile per
crescere e diventare famoso sarebbero potuti fallire se non era destino!
Di
certo gradivo di più l’idea che
fossimo noi a crearcelo con le nostre azioni e i nostri
comportamenti… Eppure
l’idea di un Destino che voleva me ed Emile uniti, mi
consolava e mi dava
coraggio per credere che tutto si sarebbe sistemato… in
qualche modo!
Il
primo segnale del Destino lo ricevetti
il giorno dopo a casa Castoldi: la stanza di Emile aveva la porta
socchiusa e
non ressi alla tentazione: entrai un attimo per salutare nuovamente
tutto ciò
che lui amava e per sentirlo accanto a me indirettamente, quando notai
sul
comodino un biglietto su cui c’era scritto il mio nome!
Pasi
Isoardi,
sei pregata di leggere!
Era un vero e proprio
invito a cui non potevo dir di no! Così aprii la busta e
lessi il contenuto del
biglietto:
Ti è
piaciuta la stanza? La prossima volta che entri qui dentro
però,
attenta a non
lasciare delle ditate sul vetro, non è
facile toglierle via dopo!
Maledizione! Come al solito
ero stata imprudente e mi aveva scoperto! Aveva notato il passaggio
delle mie
dita sulla foto, che vergogna! Visto però che non sembrava
particolarmente
arrabbiato, e che nonostante tutto, aveva lasciato di nuovo la porta
aperta in
camera sua, decisi di usare la solita faccia da poker e gli risposi,
lasciandogli quello stesso biglietto ma con un messaggio altrettanto
pungente:
A dir la
verità, l’ho trovata un po’ trascurata,
gli strumenti avevano un filo di polvere, dovresti pulire
più spesso!
Ero
soddisfatta di potergli rendere pan per focaccia ancora una volta e il
fatto
che sentissi terribilmente la sua mancanza iniziava ad irritarmi, ma
sopra ogni
cosa ero felice di tornare a comunicare con lui, seppur con un misero
scambio
di battute acide, che poi a dirla tutta, costituivano la maggior parte
del
nostro colloquiare!
Dopo
l’iniziale euforia cominciai a pensare al motivo di quel
gesto: era solo
irritato? Ero stata scoperta spudoratamente, ma il fatto che mi avesse
lasciato
un biglietto per comunicare con me mi faceva ben sperare che sentisse
un po’ la
mia mancanza, anche se di sicuro non era paragonabile a quella che
sentivo io
nei suoi confronti.
Ripensai
alle parole di Stè: “Amare in modo unilaterale non
è un viaggio facile, ma non
puoi farne a meno”. Iniziavo a rendermene conto: nonostante
fosse una delle
persone più irritanti che avessi mai conosciuto, nonostante
avesse alzato una
barriera ciclopica verso di me proprio quando io avevo abbassato la mia
rivelandogli cosa provavo per lui, qualsiasi cosa facessi, qualunque
esperienza
vivessi, non ero capace di togliere Emile dalla mia testa e soprattutto
dal mio
cuore.
______________________________________________
NDA
Questo
è stato davvero lungo come capitolo, uno dei più
lunghi che abbia scritto. A dira la verità proprio oggi gli
ho dato una sistematina, ritoccando alcune parti che non mi
convincevano; infatti ero dubbiosa se pubblicare entro stasera o meno,
ma poi una vocina mi ha esortato a muovermi (:****) ed eccoci qua!
Spero vi sia piaciuto ^ ^
Come sempre vi ringrazio dal profondo del cuore tesore mie,
perchè i vostri commenti allo scorso capitolo mi hanno
entusiasmato tantissimo, non credevo che prendesse a questo punto e
posso ritenermi davvero soddisfatta di me, se addirittura sono riuscita
a rivaleggiare con la zia Steph per qualcuno <3
(troppo onore, davvero!).
Grazie davvero di cuore mie sorelline: Iloveworld, Vale, Niky, Concy, Saretta, le mie fan-lettrici
affezionate, Anan-chan, lettrice in pausa,
Cicci, ed
Ely.
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Il
giorno dopo andai a curiosare di nuovo in camera di Emile, per vedere
se mi
avesse risposto: avevo un’ansia da aspettativa enorme, mi
batteva il cuore
mentre entrai in quella stanza alla ricerca di un frammento di
comunicazione
fra me e lui: e scoprii che c’era, Emile mi aveva risposto!
Trovai un nuovo
biglietto con un nuovo messaggio:
Hai ragione,
c’è un po’ troppa polvere; ci pensi tu,
visto che sei
diventata un’abituale frequentatrice di camera mia?
Sempre
il solito venefico e sarcastico! Ma stavolta iniziavo a prenderci
gusto: in
qualche modo, inconscio o meno che fosse, avevamo trovato un modo per
comunicare e mi venne in mente il detto “Volere è
Potere”: l’idea del Destino
creato con le proprie mani iniziò a prendere punteggi nella
mia classifica
personale! Risposi anche questa volta alle sue provocazioni:
Mi
spiace, ma una sciocca esagitata come me
potrebbe far danni ai tuoi preziosi strumenti musicali…
è meglio che non li
tocchi!
A
quel punto mi feci una bella risata: iniziavo davvero a divertirmi!
Emile
rispose nuovamente alla mia frase e iniziammo così un gioco
tutto nostro fatto
di battutine sarcastiche e punzecchiature, che mi ricordavano un
po’ il modo in
cui Emile si rivolgeva a suo padre. Sperai che questo significasse che
stesse
abbassando di nuovo le barriere verso di me e che ci fosse davvero una
speranza
di avvicinarlo. Trascorsero così alcune settimane: ogni
pomeriggio il mio primo
pensiero era quello di leggere il messaggio di Emile e di rispondergli
prima di
concentrarmi su Claudine: avevo il solito batticuore ogni volta che mi
avvicinavo alla sua stanza, mi assaliva la gioia ogni volta che leggevo
ed ero
raggiante dopo aver risposto. Quello scambio di battute giornaliero era
diventato il mio punto di riferimento quotidiano, il mio corroborante,
il mio
elisir di felicità.
Iniziai
a capire cosa intendeva Alberto, quando diceva che Claudine lo faceva
star bene:
nonostante non ci vedessimo, sentivo Emile vicino a me. Anche se non
sapevo
molto al suo riguardo, sentivo che si era ricreata
quell’intimità nata una sera
in quella camera degli ospiti accanto alla sua stanza. In quei giorni
mi sentii
davvero felice!
Come
ogni cosa al mondo però, anche quel gioco
terminò. Entrai un pomeriggio in
camera di Emile pronta a leggere il nuovo biglietto ed invece trovai
proprio
lui che leggeva, seduto accanto al letto! Mi balzò il cuore
in gola per la
sorpresa!
«Stavolta
niente biglietto.» mi disse senza alzare la testa dal libro,
ma con un
sorrisetto soddisfatto sul viso. «Dannazione Emile! Potevi
anche avvertirmi che
eri qui!» Dio mio quanto sono
felice di
rivederti!
«Per
perdermi questo spettacolo? Assolutamente no!» Emile si fece
una bella risata e
mi guardò con quella luce maliziosa negli occhi che indicava
che si stava
divertendo un mondo… sulle mie spalle! Ma non riuscivo ad
essere arrabbiata con
lui, rivederlo e per di più così sorridente, mi
donava una gioia incontenibile
che superava qualsiasi altra emozione potessi mai provare in quel
momento.
«Che
ci fai qui?» gli chiesi, ritrovando la parola e la risposta
non si fece
attendere:
«È
camera mia fino a prova contraria, anche se l’hai
subaffittata!»
Corrugai
le sopracciglia contrariata…
«Io
non l’ho…» …e feci un respiro
profondo:
«Voglio
dire, esimio signor Castoldi, che gradirei sapere per quale motivo lei
si trova
in questa casa e non è a guadagnarsi il pane a
lavoro?»
Emile
mi stava osservando con divertimento, si stava godendo in pieno
l’effetto delle
sue parole e della sua presenza su di me: che adorabile bastardo sapeva
essere!
«Per
rispondere alla sua domanda così gentilmente formulata, si
dà il caso che oggi
io abbia le prove col gruppo e che quindi abbia preso il pomeriggio
libero e
nel frattempo che attendo i miei stimati colleghi musicisti, ho pensato
di
leggere qualcosa, nella mia
stanza.»
il sorriso divertito di Emile gli illuminava il volto, in quella camera
rischiarata dalla luce esterna sembrava l’emanazione del
sole, con la sua
chioma fiammeggiante e gli occhi ridenti e restai per un attimo
abbagliata
dalla sua luminosità.
«Pasi,
è tutto ok?» il cambiamento di tono nella sua voce
mi destò dalla mia
catalessi:
«Eh?
Sì sì, è tutto ok… ero
sovrappensiero.» Emile restò perplesso per qualche
istante, poi riprese a parlare: «Seguimi.»
«Eh?»
«Vieni
con me un attimo.» cosa voleva ora?
Scendemmo
le scale e voltammo verso il salotto: Emile si diresse verso un pacco
posto sul
mobile:
«Vedi
questo? È tuo. Sono i dischi di mia madre: stavolta li ho
protetti, così potrai
portarli a casa tua senza rischio di romperli.»
I
dischi in vinile di Claudine! L’ultima volta che ero stata in
procinto di
averli non avevo fatto in tempo a prenderli dalle mani di Emile, che
gli
caddero rovinosamente a terra... Da quella volta non ne parlammo
più e credetti
di averli persi ormai, invece se n’era ricordato e aveva
avuto anche la premura
di proteggerli questa volta!
«Ero
ancora in debito con te, dovevo ripagarti!» quel gesto
così premuroso, quel
sorriso così sincero… in quel momento il mio
cuore scoppiò di gioia: quanto era
bello e quanto l’amavo! Senza pensarci un secondo
l’abbracciai con le lacrime
agli occhi.
«Pasi!»
Emile sussultò e s’irrigidì: di sicuro
non si era aspettato una reazione
simile!
«Scusami
Emile, ora mi stacco, è che… grazie, sono
così felice!»
«Ma
non ho fatto nulla!» non ricambiò il mio
abbraccio, ma sentii che si rilassava,
non era più teso sentendomi vicina a lui.
«Hai
fatto tanto credimi, grazie!» rimasi per qualche secondo a
godermi quel
contatto con Emile, finché sentii Sabrina che mi chiamava e
mi staccai per
correre in direzione delle scale ed occuparmi di Claudine.
Quando
i Castoldi acquistarono quella casa, Claudine si premurò
subito di adattarla
alle esigenze sue e di suo marito trasformando alcuni ambienti,
così la serra
divenne un laboratorio perfetto per l’arte di Alberto e il
piano interrato fu
ristrutturato con l’edificazione di una sala prove
insonorizzata per la musica
di Claudine. Purtroppo quella stanza non fu mai usata da chi
l’aveva voluta, ma
andò a beneficio di suo figlio, che si ritrovò in
casa una sala prove a disposizione
per la sua band. Quel pomeriggio perciò i GAUS si riunirono
in casa Castoldi
per provare i loro brani, lasciando me nel tumulto interiore.
Mentre
ero con sua madre, non facevo che pensare al fatto che Emile fosse in
quella
stessa casa a pochi metri di distanza: pensai alla gioia che mi aveva
donato
ricordandosi di me, al suo sorriso luminoso e ripensai anche al
batticuore
provato abbracciandolo, alla sensazione estatica che avevo provato
poggiando il
mio corpo contro il suo… quello sarebbe stato un problema
grosso: l’attrazione
fisica!
Sarei
riuscita a tollerare il mio desiderio di sentirlo, toccarlo, baciarlo
senza
poter fare mai una di queste cose? Sarei riuscita a guardarlo e a
parlargli
tranquillamente (per quanto ne fossimo mai stati capaci), pensando a
quanto
invece avrei voluto saltargli addosso e farlo mio? A quel punto non
sapevo più se
fosse stato un bene
rivederlo o meno!
La
tortura continuò anche nei giorni successivi: Emile aveva
preso tutta la
settimana libera e provava nella saletta allestita nel piano interrato
della
casa; lo vedevo di sfuggita mentre passava per andare in camera sua o
viceversa
quando ne usciva e ogni volta mi salutava con qualche parola fugace,
prima di
scendere a provare. Essendo la saletta insonorizzata, non sentivo la
musica
proveniente dal basso, ma percepivo le vibrazioni degli strumenti
attraverso il
pavimento quando mi ritrovavo al piano terra e puntualmente ero presa
dal
desiderio e dalla curiosità di scendere quelle scale e
raggiungere Emile.
Vederlo
era sempre più una sofferenza fisica e a quella se ne
aggiunse un’altra un
pomeriggio in cui conobbi il resto del suo gruppo: ero in cucina quando
risalirono dalla saletta per venire a dissetarsi. I compagni di Emile
erano
quattro: il batterista, Claudio, era un tipo alto e ben piazzato, con
qualche
chiletto di troppo ma braccia muscolose che avevano fatto di sicuro
palestra, a
differenza di Maurizio, il chitarrista, che invece sembrava perdersi
dietro lo
strumento a causa del suo fisico gracile. Quei due erano gli stessi
tipi che
avevo visto con Emile al concerto dei TresneT,
eppure non ricordavo di averli visti sul palco… Ma era anche
vero che quando
sentivo cantare Emile, tutto il resto spariva… Gli altri due
componenti del
gruppo, Francesco e Filippo, erano due gemelli e suonavano
rispettivamente la
chitarra solista e il basso. Entrambi erano un po’
più alti di Emile che di
sicuro superava il metro e ottanta,
ma
meno di Claudio che rivaleggiava con Testa di Paglia ad altezza. I due
gemelli
avevano lo stesso fisico slanciato ma muscoloso e i capelli lunghi e
scuri, che
Francesco portava ricci e sciolti mentre Filippo li lisciava e li
legava con
una coda bassa. Mi ispirarono subito simpatia, erano allegri e
socievoli e il
modo in cui prendevano in giro Emile mi divertiva tantissimo.
Il
mio amato Pel di Carota tendeva ad essere terribilmente arrogante e
saccente
(più del solito) quando si parlava di musica e i due
fratelli sapevano smontare
le sue teorie con una semplice battuta di spirito!
Maurizio
parlava poco mentre Claudio sembrava fosse lì solo per caso,
ma fu lui ad un
certo punto a darmi la notizia che non mi aspettavo.
«Allora
è tutto pronto per la partenza?»
Partenza?
Di quale partenza stava parlando?
«Sì
Claudio, domani alle 15:00 abbiamo l’aereo quindi stasera non
datevi ai bagordi!»
rispose Emile.
«Partite?!»
gli chiesi sorpresa.
«Sì,
iniziamo un piccolo tour europeo: la nostra casa discografica ha deciso
di farci
esibire in qualche live internazionale come band di supporto, per
testare
l’impatto sul pubblico prima di lanciarci con
l’album.»
Il
viso di Emile sprizzava gioia e orgoglio da tutti i pori, ma nonostante
fossi felice
per lui, sentii un tuffo al cuore al pensiero che il giorno dopo non
sarebbe
stato più in quella casa e che avrebbe messo dei chilometri
di distanza tra
noi.
«E…
quanto starete via?» Cercai di nascondere la tristezza che mi
avvolse
all’improvviso.
«Un
mese circa: gireremo tra Germania, Inghilterra e Francia con cinque
tappe per
nazione e dovute pause tra loro per spostarci e organizzarci.»
«Capisco…
beh, sono davvero felice per voi!» feci il migliore sorriso
che riuscii a
stiracchiare sul mio volto e mi congedai da loro prima di mostrare
tutto il
vuoto che iniziai a sentire dentro.
Un
mese!
Un
mese senza vederlo né sentirlo, senza avere contatti di
alcun genere con lui!
Avevamo
avuto momenti di distanza tra noi, ma non erano mai stati
così lunghi e
soprattutto non doveva capitare ora che iniziavo a sentire un bisogno
fisico di
averlo accanto a me! Sarei riuscita a sopportare una tale assenza?
Del
resto non potevo fare altrimenti…
*****
Quando
entrai in quella
casa il giorno dopo
sapendo che Emile non ci sarebbe stato, sentii la tristezza avvolgermi,
per cui
cercai di non pensarci e andai direttamente nella stanza di Claudine.
Ma poco
prima che finisse il mio turno, avvertii il bisogno di entrare nella
camera di
quell’adorabile rompiscatole per sentire in qualche modo la
sua presenza: un
libro lasciato aperto, un bicchiere d’acqua dimenticato sulla
scrivania, una
penna solitaria, o anche solo il suo odore. Invece la stanza era in
ordine
perfetto: sul comodino non c’era alcun biglietto ad
attendermi e nessuno era
seduto a leggere, non c’era alcuna traccia recente di Emile a
parte il fatto
che avesse dormito in quel letto ore prima. A quel pensiero, spinta
dalla
profonda malinconia, mi ci accomodai e un secondo dopo mi ci ero del
tutto
sdraiata su. Non mi resi conto del tempo che passava finché
non comparve
Alberto sulla soglia della stanza:
«Stanchezza
o malinconia?» si accomodò sul letto accanto a me:
avevo il viso sprofondato
nel cuscino e cercai di non pensare alla vergogna di essere stata colta
in
flagrante: scioccamente avevo lasciato la luce accesa in una stanza che
doveva
essere disabitata… Per fortuna si trattava di Alberto che
non si scomponeva per
alcuna cosa al mondo!
Tuttavia
incapace di rispondergli, mugugnai un: «Mmmm!»,
al che appoggiò una mano comprensiva sulla mia
spalla.
«Ti
manca, eh?»
«Tantissimo!»
era inutile tentare di mascherare, non
sarei mai riuscita a fingere con Alberto, tantomeno in
quella situazione
in cui qualsiasi altra risposta sarebbe parsa per quella che era: una
semplice
scusa.
«Coraggio
ragazza mia il tempo scorre, anche se in questo momento ti sembra
eterno e quando
meno te l’aspetterai lo rivedrai comparire qui, stanco ma
soddisfatto e di
sicuro felice di rivederti.»
A
quelle parole osai staccare la faccia dal cuscino, Alberto stava
insinuando
qualcosa a cui non riuscivo a credere.
«Davvero
pensi che lo sarà? Felice di vedermi?» mi
guardò con affetto, gli occhi colmi
di un’emozione inespressa:
«Piccola,
tu non ti rendi conto di quanto lo stai rasserenando, non
l’ho mai visto così
tranquillo e sorridente come in questi ultimi tempi! Sei una
benedizione per
questa casa, ma soprattutto per lui.» lo guardai sorpresa,
non avevo la minima
idea di aver avuto qualche effetto su Emile!
«Davvero?!
Non lo dici solo per consolarmi?» non potevo crederci, certo
ero felice che si
rivolgesse a me senza astio ed era tornato a sorridermi sereno come
dopo quella
nottata trascorsa a parlare… ma non credevo di avergli
migliorato la vita, non
osavo credere di avere un qualsivoglia effetto su di lui!
«Ti
assicuro Pasi, che di tutte le ragazze che ho visto accanto a mio
figlio, tu
sei stata l’unica in grado di farlo sorridere in quel
modo!»
«Ma
forse è felice perché le cose col gruppo vanno
bene e poi si diverte a
prendermi in giro, ecco tutto!»
«Devi
avere più fiducia in te ragazza! So che mio figlio
è un osso duro: si è sempre
circondato di ragazze adoranti, ma duravano molto poco, non gli vedevo
mai
negli occhi un sincero affetto verso di loro, perché
è restio, molto restio, a
legarsi a qualcuno. Invece ora lo vedo più felice e non
è dovuto al gruppo, è
una felicità ben diversa quella che vedo nei suoi occhi, una
felicità che viene
dal cuore… abbi fiducia e pazienza e ti accorgerai che ho
ragione!» Guardai Alberto
con speranza, il suo volto così affettuoso e amorevole mi
commosse e l’abbracciai
di colpo.
«Lo
spero tanto!» Quell’abbraccio
emanava
affetto puro e sincero, mi dava conforto, mi dava coraggio, mi
sosteneva e mi
dava speranza; adoravo gli abbracci di Stè perché
erano molto simili, ma quello
di Alberto era un abbraccio che sapeva di padre: un padre che mi era
sempre
mancato, un padre che avrei voluto fosse come lui… Ancora
una volta, invidiai
Emile per la sua famiglia.
*****
Per la
serata del nostro pigiama party, Rita fece
grandi spese: siccome in camera sua tre lettini sarebbero stati troppo
ingombranti, pensò bene di acquistare direttamente un
matrimoniale in modo da
stare tutte e tre vicine e nel caso fosse servito, aggiungere il
singolo a
distanza molto ravvicinata.
Iniziai
a sospettare che quella manovra fosse collegata agli sguardi tra lei e
Fede
dell’altra sera, ma finché nessuno dei due avesse
accennato alla cosa, il mio
era solo un pettegolezzo spicciolo. Mi ripromisi di indagare con “scioltezza
e noncuranza” quella sera: le
riunioni tra ragazze non erano forse il momento per antonomasia per
raccontarsi
segreti intimi e confidenziali?!
E
a proposito di confidenze: Sofia ancora non sapeva di me ed
Emile… Me ed Emile…
Già fantasticavo che esistesse un me ed Emile!?
Le
parole di Alberto mi avevano dato speranza : chi meglio di un genitore
conosce
l’animo del proprio figlio?! A parte forse i miei…
Ultimamente
mi capitava spesso di pensare a loro. Non ero pentita della mia scelta,
che era
rafforzata anche dal fatto che né mia madre tantomeno mio
padre, avevano fatto
il minimo tentativo per cercarmi. Probabilmente si erano chiusi nel
loro
orgoglio ferito, di genitori in attesa che la figliuol prodiga tornasse
a testa
china da loro per scusarsi… e questo non sarebbe accaduto
mai! Tuttavia,
invidiavo ogni giorno di più il rapporto tra Emile e suo
padre (invidiandogli
il padre soprattutto!), sentivo un nodo alla gola al pensiero di non
avere dei
genitori simili. Ma ciò che avevo detto ad Alberto sui
caratteri dei figli del
resto era valido anche al contrario: i genitori ci capitavano, non li
sceglievamo e stava a noi figli decidere se accettarli o meno
così com’erano,
senza recriminazioni. A quanto sembrava, io non ero riuscita ad
accettarli.
Probabilmente peccavo di troppo orgoglio o semplicemente ero
un’egoista, come
diceva Simona…
Simona…
Che
più di una volta avevo paragonato ad Emile…
Che
probabilmente avevo giudicato troppo duramente…
Eppure
non riuscivo a pensare di cercarla, non dopo le dure parole che mi
aveva
rivolto ripudiandomi! Di nuovo, il mio orgoglio mi teneva lontano dalla
mia
famiglia. Forse ci sarebbe stato un giorno, crescendo, in cui mi sarei
resa
conto di essere una sciocca e l’avrei cercata, ma non era
ancora giunto quel
momento. Per ora non riuscivo a pensare a mia sorella con
razionalità e senza
rabbia.
*****
«Quindi
alla fine, tu sei innamorata di lui, lui lo sa ma fa finta di
niente.» riassunto
di Sofia, perfetto e letale, della mia situazione sentimentale.
«Grazie
per avermi demolito in un secondo Sofi!» aggrottai le
sopracciglia decisamente contrariata
da quell’analisi spietata.
«Però
se ho ben capito, suo padre ti ha dato delle speranze,
giusto?» La mia amata
Rita era sempre pronta con una parola buona, per questo
l’adoravo! «Sai, io
credo che la vita sia sempre piena di sorprese e che ti dia quello che
cerchi
proprio quando meno te l’aspetti.» il viso della
mia amica era improvvisamente
solare e radioso… le mie antenne mi dicevano che il mio
sesto senso aveva
ragione… «Devo dirvi una cosa ragazze…
forse io e Fede torniamo insieme!»
«LO
SAPEVO!» ero così esultante per aver capito tutto
prima ancora che me lo
dicesse, che non riuscii a contenere la gioia e feci un salto sul letto
mentre
urlavo a squarciagola!
«PASIII!
Non urlare o sveglierai tutti!»
«Scusami
Rita, è che l’avevo immaginato e sono troppo
contenta di avere ragione, tu e
Fede siete fatti l’uno per l’altra!»
Ero
raggiante, i miei amici-genitori avrebbero fatto coppia sul serio! La
loro
intesa era troppo speciale per essere solo amicizia!
«Pasi
stai dimenticando che ho detto “forse”! Non siamo
ancora sicuri di fare quel
passo… sai stavolta se le cose non dovessero andar bene
sarebbe molto più
doloroso… potrebbe finire anche la nostra
amicizia.»
«E
perché dovrebbe finire tutto?! Rita sono quasi dieci anni
che vi conoscete e se
vi siete resi conto di amarvi ancora, allora significa che è
Destino, come
diceva la leggenda di Sofia! Vero Sofi?» mi girai verso di
lei, per avere
sostegno nella mia teoria.
«È
probabile, ma non la trovo una ragione adatta per incitarli a tornare
insieme.»
quella risposta mi lasciò di stucco: non era esattamente il tipo di sostegno che mi
aspettavo…
«Ma
Sofi, non sei stata proprio tu a dire che credi che alcune persone sono
destinate a stare insieme?» non riuscivo davvero a capire
secondo qualche
criterio stavolta stesse contraddicendo le sue stesse parole!
«Sì
certo, ma lo dicevo in senso generico: qui si tratta di progettare un
futuro
con una persona con cui già in passato le cose non hanno
funzionato e non si
può mettere la testa sotto la sabbia davanti a questa
realtà, giustificandosi
con un mito romantico senza fondamento.» la logica di Sofia
aveva la
caratteristica di essere sbaragliante e di irritarmi a
morte… al diavolo la
razionalità, io volevo crederci!
«Invece
io sono convinta che Fede e Rita sono anime gemelle predestinate a
stare
insieme!»
Rita
accennò un sorriso: «Pensi che dovrei vivermi
questa storia? Riprovarci senza
pensare al futuro?»
«Sì,
diamine! Vi conoscete da una vita, sai com’è fatto
Fede, conosci tutto sul suo
conto e se ancora ti fa battere il cuore l’idea di stare con
lui, io dico che
il vostro amore non si è mai spento ed ora è
pronto per essere vissuto!» Rita
mi prese una mano e mi guardò con la speranza negli occhi,
probabilmente
aspettava di sentirmi dire proprio quelle parole per decidere. Sofia
però la
fece tornare nel dubbio:
«Dal
mio punto di vista, è uno spreco di energie. Non ha
funzionato una volta,
perché dovrebbe funzionare la seconda? Proprio
perché vi conoscete, dovreste
sapere che ciò che vi ha separato una volta potrebbe farlo
di nuovo… per quello
che ne so, nessun ragazzo vale la pena di rovinare
un’amicizia o di soffrire
come fa Pasi!» Nonna Sofia aveva mostrato il suo lato
più amaro: non avevo la
più pallida idea di quale fosse il motivo , ma quella
ragazza aveva un’acidità
verso gli uomini degna di una quarantenne single!
«Sofi,
tu devi uscire più spesso di casa e incontrarli i ragazzi,
non sono mica tutti
così odiosi! E poi perché devi sottolineare il
mio modo di soffrire, c’è per
caso una classifica?! Mi
fai sembrare
una stupida!»
«E
questo ora che cosa c’entra! Io sto bene come sto, davo solo
un parere
personale vedendo come ne soffrite voi due quando le cose vanno
male!»
«E
la stupida Pasi è la prima in classifica per masochismo
sincronizzato! Molto
gentile da parte tua!»
«Se
non sai accettare la realtà dei fatti non è colpa
mia, guarda come sei ridotta
per uno che non mostra nemmeno di tenerci a te!” –
«Non
è vero! Emile ci tiene a me!» Alberto
ne
è convinto e voglio crederci!
«Ragazze
dai, non litigate, siamo qui insieme per la prima volta, voglio che sia
una
bella serata per tutte, chissà quando ricapiterà
di nuovo!»
L’intervento
di Rita ci salvò da quello che sembrava l’inizio
di una bella litigata. Sofi
aveva toccato un tasto dolente per me, proprio come io avevo fatto con
lei, ma volgendo
lo sguardo al viso della nostra amica, ci ricordammo del motivo per cui
eravamo
lì: noi tre ci conoscevamo da quattro anni circa e non
eravamo mai riuscite a
stare così… Rita aveva pienamente ragione, non
potevamo sprecare la serata in
quel modo, chissà se ci sarebbe stata una seconda occasione!
Una
seconda occasione… ed ecco che mi tornava in mente
Simona…
Probabilmente
mi sarebbe piaciuto vivere una serata simile anche con lei, parlare e
confidarci come amiche ma soprattutto come sorelle… Forse
era arrivato il
momento di affrontarla… eppure c’era ancora
qualcosa dentro di me che si
rifiutava. Così rimandai di nuovo al mittente quel pensiero
fastidioso e tornai
a godermi la mia serata tutta al femminile che, archiviata la
discussione con
Sofia, con la sua atmosfera di complicità fu una panacea per
me e allontanò
momentaneamente anche i pensieri malinconici su Emile.
Alla
fine ci addormentammo tutte nel lettone di Rita e un attimo prima di
chiudere
gli occhi, pensai che se lei e Fede fossero tornati insieme, sarebbe
giunto per
me il momento di traslocare…
_____________________________________
NDA
Salve a tutte sorelline! Come avete potuto notare, quella testa dura di
Emile si è riavvicinato a Pasi... quanto durerà
questa volta? Si accettano scommesse xD
La mia fase di revisione di questa storia sembra non avere fine:
sarà che sono una maledetta pignola (mica siamo
pesanti, vero Cicci? xD), sarà che l'ultima parte
non mi soddisfa in pieno, o sarà che non voglio staccarmi
dai miei ragazzi, ma mi trovo ancora con la voglia di scrivere e di
raccontare, come se avessi tralasciato dettagli importanti nei prossimi
capitoli. Questo per dirvi che se riesco nel mio intento, probabilmente
riuscirò ad andare oltre i 19 capitoli e a prolungare la
vostra lettura (e delle voci agonizzanti mi chiesero
"Pietàààà!"), spero che le
Muse mi sorridano ^ ^
L'Angolo dei
Ringraziamenti come sempre è dedicato alle mie
sorelle speciali: Iloveworld
(momentanemanete disconnessa), Saretta, Niky, Vale, Cicci, Concy, Ana-chan ed Ely.
Più sento il vostro desiderio di leggere e saperne di
più, maggiormente sono soddisfatta di me e di ciò
che ho creato. Non sapete quanto mi faccia felice sapere di essere in
grado di donare emozioni a chi legge, grazie davvero per esservi
entusiasmate così tanto a questa storia da non vedere l'ora
di avere il capitolo nuovo. Grazie per tutto il vostro sostegno, per
l'opera di PR che fate a mio vantaggio (<3) e per l'empatia che
dimostrate verso i miei ragazzi. Grazie davvero all'infinito!
Vi adoro!
Grazie mille anche a coloro che mi seguono silenziosamente, e a chi ha
messo questa storia tra le preferite; non sapete quanta soddisfazione
mi date!
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
A
volte la vita, quando vede che non prendi decisioni chiare, decide per
te. È
una lezione che ho imparato in modo netto e lapidario.
Era
trascorso qualche giorno dal nostro pigiama party e continuavo ad avere
in
mente mia sorella: sempre più s’insinuava in me il
desiderio di rivederla e
parlarle, finché un giorno quest’esigenza divenne d’improvviso
impellente e mi decisi a fare il
passo per incontrarla. Ma non volevo chiamarla e sentirmi accusare per
telefono, volevo prenderla di sorpresa e costringerla ad affrontarmi e non volevo nemmeno
andare a casa dei miei
genitori col rischio di vedere anche loro… così
chiamai Stè, che di sicuro
sapeva tutti i movimenti di Simona e avrebbe saputo dirmi dove potevo
raggiungerla.
Attesi tutto il tempo della chiamata ma non mi rispose, probabilmente
aveva lasciato
il cellulare lontano da sé… proprio quel giorno
in cui avevo fretta!
Quel
giorno sentii una strana ansia, d‘un tratto vedere mia
sorella diventò qualcosa
di vitale per me e non riuscii a spiegarmi il motivo di questa
sensazione così angosciante.
Ero immersa in quelle fosche elucubrazioni quando mi arrivò
un sms:
Vieni
immediatamente in ospedale, Simona sta male!
Mi
si ghiacciò il sangue nelle vene: il messaggio di
Stè era serio, molto serio,
il che significava che mia sorella era davvero in pericolo! Chiesi
immediatamente l’auto a Rita e mi fiondai
all’ospedale, arrivai
all’accettazione e chiesi dov’era ricoverata, salii
di corsa le scale con il
cuore in gola: probabilmente c’erano anche i miei genitori ed
io non volevo
vederli, ma in quel momento era più importante vedere mia
sorella e sapere come
stava, il resto sarebbe venuto da solo!
Quando
raggiunsi il corridoio che portava alla sua stanza, vidi il mio amico
che mi
veniva incontro: aveva lo sguardo stravolto e le lacrime gli rigavano
il volto.
«Stè
cosa diavolo...»
«Ero
con lei…mi stava aiutando con matematica, come al
solito… è svenuta
all’improvviso! È arrivata qui
incosciente… Non posso credere che sia accaduto!
Era con me due ore fa! Ed ora…»
Corsi
immediatamente alla porta della camera dove avevo visto il mio amico un
attimo
prima e vidi che era vuota.
«Stè….cosa
significa… dov’è Simona?!»
«Non
ce l’ha fatta Pasi… Simona se
n’è andata.»
Sentii
il mio corpo perdere calore e consistenza, il mondo ruotava intorno a
me ed io
non riuscivo a muovermi, congelata in quel momento mentre la mia mente
assimilava il significato delle parole di Stè.
«No!
Non può essere! Non è vero! Cosa mi stai
dicendo!?» alzai
il tono della voce e il mio amico si
avvicinò per abbracciarmi:
«Ha
avuto un infarto Pasi e non si è ripresa
più.»
«No…
non è possibile! Un infarto! A ventitré anni?!
No! Dov’è mia sorella? La voglio
vedere! Dov’è?!»
Mi
divincolai dall’abbraccio di Stè e corsi senza una
meta in tutto il corridoio
nella speranza di trovare la stanza di Simona, finché non mi
fermò di nuovo:
«Simona
non è qui, la stavano operando quando non ce l’ha
fatta… la staranno portando
in camera mortuaria ora.»
Ero
in uno stato di allucinazione: sentivo la mia voce gridare e tremavo
tutta… non
c’era posto nella mia testa per alcun pensiero lucido a parte
uno:
«Voglio
vederla! Portami da lei!»
Giungemmo
di corsa e senza parlare alla camera mortuaria, ma il solo sentire mia
madre
che piangeva, mi bloccò il respiro: ad un tratto persi tutte
le forze e il
coraggio e fuggii come una forsennata, come una preda che vuole
scampare alla
morte, come un delinquente che vuole fuggire dalle manette…
Fuggii
senza guardare dove andavo, senza rendermi conto delle persone che
urtavo,
consapevole solo dell’odore nauseante delle medicine e la
sensazione di soffocamento
che mi chiudeva la gola… Arrivai all’esterno senza
sapere come, senza nemmeno
rendermi conto se Stè mi avesse seguito o meno. Come un
automa cercai l’auto e
una volta dentro, mi chiusi lì e piansi, piansi fino a
sconquassarmi il petto,
fino a sentirmi svenire. Piansi per quella sorella che non avevo mai
avuto, che
non avevo mai capito… piansi per il nostro rapporto
condizionato dalla rabbia,
per quello che sognavo di avere e che non avrei mai potuto
realizzare… Piansi
perché mi sentivo colpevole di averla abbandonata a se
stessa e la mia
punizione l’aveva pagata lei con la sua vita!
*****
«Sì
è qui con me ora, l’abbiamo trovata nella mia
auto, era immobile, non parlava e
non ascoltava, così Stefano l’ha presa in braccio
e l’ha messa al lato
passeggero ed io l’ho riportata a casa…
Sì, era distrutto anche lui, non so di
chi mi devo preoccupare di più, è una notizia
terribile!»
Non
ricordo come tornai a casa di Rita, avevo solo la vaga sensazione di
qualcuno
che mi prendeva in braccio e mi portava a casa… ero sul
divano nella cucina
dell’appartamento dalla sera precedente, non avevo voluto
spostarmi per dormire
con la mia amica, volevo solo stare sdraiata su quel divano e non
pensare…
volevo solo dormire e sognare mia sorella che mi prendeva per mano e mi
parlava
dei suoi sogni e mi raccontava dei ragazzi e mi chiedeva di
Stè… volevo solo
stare con lei, nient’altro era importante, né il
cibo né le parole... Non
volevo sentire, non volevo vedere… il mio unico desiderio
era stare con Simona
mei miei sogni. Rita ogni tanto si avvicinava e mi chiedeva se volessi
qualcosa, cercava di farmi parlare, mi chiedeva se avessi voluto
sfogarmi con
lei… non ci riuscivo. Non ero in grado di parlare,
l’unico segno che fossi
ancora viva era dato dal mio alzarmi per andare in bagno, poi tornavo a
sdraiarmi sul divano in posizione fetale a piangere e a cercare di
sognare mia
sorella.
Trascorsi
in quel modo tre giorni, davanti ai miei occhi si alternarono i volti
di Fede,
Rita e Sofia… Stè non era mai apparso e immaginai
che il suo stato non dovesse
essere migliore del mio... ma nulla in quel momento aveva importanza
perché mia
sorella non c’era più. Non ebbi la forza di andare
nemmeno al funerale, restai
lì su quel divano a piangere… finché
ricevetti una visita che non mi sarei mai
immaginata di avere.
Nel
pomeriggio di quel quarto giorno di catalessi, qualcuno
bussò alla porta e mentre
Rita andò ad aprire iniziai
a pensare a
chi tra Fede e Sofia potesse essere a quel punto; ma invece delle
solite
espressioni preoccupate dei miei amici,
ritrovai davanti ai miei occhi, il volto di Emile.
«Pasi...
ho saputo solo ieri, quando ho chiamato mio padre.»
Emile
era lì davanti a me! Invece
di essere in
tour era lì... com’era possibile!?
«Che
ci fai qui?» parlai in tono piatto, come un automa, per pura
reazione ad una
tale sorpresa, senza nemmeno alzare la testa dal divano.
«Sono
venuto appena ho saputo: ho preso il primo aereo e sono arrivato
direttamente
qui… Federico mi ha detto dov’eri.»
già, Emile aveva il numero di Fede…
Poggiò
una mano sulle mie:
«Posso
fare qualcosa per te?»
Il
contatto con la sua mano, quel calore improvviso che a discapito di
tutto, mi
diede una gioia immensa, sciolse il velo di ghiaccio che stava
rivestendo il
mio cuore ed esplosi in un pianto a dirotto:
«Se
n’è andata via Emile! Simona è andata
via, mi ha lasciato qui prima che potessi
parlarle, prima che potessimo diventare sorelle! Dovevamo
riconciliarci! Non
doveva andare via così! Dovevamo essere sorelle davvero!
Perché se n’è andata
via? Perché?! L’ho abbandonata Emile!
L’ho abbandonata a se stessa e mi ha
lasciato! È colpa mia, è tutta colpa
mia!»
Finalmente
diedi voce al mio senso di colpa e liberai il mio cuore dalla morsa in
cui lo
tenevo segregato; Emile mi fece sedere e mi tenne stretta a lui,
avvolgendomi
col suo abbraccio per non farmi andare in pezzi, nello stesso modo in
cui io
avevo cercato di tenerlo insieme il mese prima. Stretta in
quell’abbraccio,
finalmente diedi sfogo a tutto il mio dolore, piansi e urlai e
continuai ad
incolparmi per aver lasciato sola una persona che avrei voluto da
sempre
accanto a me.
Specularmente
a quanto avevo fatto per lui, Emile non lasciò la presa del
suo abbraccio
nemmeno quando il mio pianto terminò. Mi tenne accanto a
sé, mi poggiò una mano
sulla testa per darmi conforto ed io rimasi, per un tempo che mi parve
infinito, avvolta dal suo abbraccio. Quando riacquistai un
po’ di lucidità, osservai
lo zaino che aveva lasciato a terra accanto al divano e iniziai a
fargli le
domande che la mia mente aveva accantonato:
«Hai
abbandonato il tour per venire qui?»
«Era
il minimo che potessi fare, tu mi sei stata accanto quando sono caduto
a pezzi,
non potevo non ricambiare il tuo gesto.»
«Non
ce n’era bisogno.» grande bugia la mia; ero
abbastanza cosciente da rendermi
conto che la sua sola presenza era riuscita a scuotermi come non erano
riusciti
a fare tutti i miei amici… o quasi tutti…
«Non
puoi rinunciare al tour!»
«Infatti
non ci rinuncio, starò qui solo un giorno, domani
tornerò per finire il tour…
ma ti chiamerò ogni sera.»
Tutta
questa gentilezza mi sorprendeva, possibile che questo atteggiamento
fosse
dettato solo dalla riconoscenza?
«Non
preoccuparti, non ce n’è bisogno, non sono sola,
ho i ragazzi con me!»
«Non
vuoi sentirmi?» La voce di Emile sembrava quasi risentita, ma
non volevo
essergli di peso in alcun modo:
«Non
voglio che ti senta in dovere di fare alcunché,
già venire qui è stato tanto,
hai la tua carriera a cui pensare, non preoccuparti per me!»
Non
riuscivo a credere che quell’Emile che mi aveva detto
chiaramente che nella sua
vita c’era spazio solo per la musica, fosse disposto a fare
un gesto così
premuroso per me se non dettato dalla riconoscenza o dal sentirsi in
debito.
«Non
è un dovere Pasi… non lo è
affatto.» Mi strinsi più forte a lui, come se ad
un
tratto, avessi paura che andasse via.
«In
effetti non so se riuscirò a chiamarti ogni sera, ma quando
potrò lo farò di
sicuro, ok?» La sua voce era calma, bassa e dolce…
la sentivo rimbombare dalla
sua gabbia toracica, a cui ero appoggiata. Sembrava arrivarmi
direttamente
nelle ossa e cullarmi come una ninna nanna.
«Si,
ok.»
«Domani
passerò di nuovo prima di partire.»
«Non
andartene ora! Resta qui con me!» gli cinsi la vita con le
braccia, non potevo
sopportare l’idea di staccarmi da lui: era confortante la sua
presenza, mi dava
sollievo e bloccava per un po’ lo scorrere incessante delle
lacrime… Era come
un calore improvviso dopo una notte all’addiaccio, un camino
acceso dopo una
camminata nella neve… Non volevo tornare nel buio umido e
solitario del mio
dolore… almeno non subito!
«Non
preoccuparti, non vado da nessuna parte, resto qui con te.»
*****
Emile
rimase con me tutto il giorno, senza dirmi nulla, senza alcuna frase di
circostanza: era lì, mi teneva stretta tra le sue braccia e
m’incitava a
mangiare la frutta che Rita aveva sbucciato per me, rispondeva alle mie
parole
se gli chiedevo qualcosa e continuava ad accarezzarmi la testa. Era un
momento
tragico della mia vita, uno dei peggiori che avessi mai vissuto, eppure
un
angolo del mio cuore si stava beando di quel momento di dolcezza e
affetto che
avevo sempre bramato.
Il
giorno dopo come promesso, tornò a farmi visita prima di
tornare in Germania e
al suo tour: la sua presenza fu una benedizione per me
perché mi diede forza,
mi donò l’energia necessaria a smettere di
trascorrere le giornate come uno
zombie e iniziare a reagire. Quando arrivò a casa di Rita mi
trovò intenta a mangiare:
negli ultimi quattro giorni non avevo ingerito alcun alimento e il mio
stomaco
iniziava a far sentire le sue ragioni. Emile fu felice di vedermi
reagire, ma
contemporaneamente fu anche meno affettuoso del giorno prima, come se
il suo
lasciarsi andare fosse stato solo un modo per darmi forza e una volta
ottenuto
lo scopo, non fosse più necessario. Rimase per qualche ora,
finché arrivò il
momento di andar
via, dicendomi che mi
avrebbe chiamato appena avesse avuto un momento libero: prima di
congedarsi mi
guardò per con un’espressione indecifrabile, mi
diede un bacio sulla fronte e
mi disse:
«Sii
forte.» e se ne andò.
Ed
io quel giorno mi ripromisi di esserlo, forte. Per non deludere lui,
per non
deludere me, e perché c’era un’altra
persona che aveva terribilmente bisogno
della mia presenza.
*****
Andai
da Stè quel giorno stesso: non ero ancora pronta a
riprendere tutte le normali
attività, almeno finché non avessi affrontato del
tutto la situazione. E il
primo passo per l’accettazione di ciò che era
accaduto, era parlarne con Testa
di Paglia, che si era rinchiuso nel suo dolore quasi quanto avevo fatto
io.
Sua
madre mi accolse con un abbraccio e qualche frase di circostanza, mi
spiegò che
Stè trascorreva tutto il tempo in camera sua e che ne usciva
solo per mangiare
e per andare al cimitero. Fede e Sofia erano venuti anche da lui per
vedere
come stava, ma nonostante Stè fosse apparentemente in uno
stato migliore del
mio, le attenzioni esterne non avevano avuto alcun effetto sul suo
animo.
Quando
entrai in camera sua nemmeno si girò in mia direzione: era
seduto davanti alla
scrivania, con i libri di matematica aperti davanti agli appunti di
Simona e
continuava ad osservarli come se mia sorella potesse materializzarsi
attraverso
l’inchiostro. Mi avvicinai a lui e l’abbracciai
dalle spalle:
«La
solita scrittura precisa, eh?»
Iniziai
a commuovermi vedendo i numeri e le frasi tracciate dalla mano ferma e
decisa
di mia sorella: quante volte aveva cercato di aiutarmi a scuola in
quello
stesso modo?!
Stè
fece un cenno di assenso:
«La
matematica acquistava un altro aspetto spiegata da lei.»
Sentii la sua voce
tremare e poggiai la mia testa sulla sua spalla destra:
«Non
sarà lo stesso senza Simo.»
Stè
appoggiò una mano sulle mie:
«No
Testarossa, non sarà lo stesso…» e dopo
un attimo di silenzio aggiunse: «Sono
stato uno stupido!»
Le
lacrime ormai avevano preso vantaggio sul mio viso, e non feci nulla
per
fermarle:
«Allora
sei in buona compagnia Testa di Paglia, perché io sono stata
più stupida di te!»
«Mi
manca Pasi! Mi manca in modo orribile, sento un vuoto qui nel cuore e
sento una
rabbia terribile dentro di me! Perché non le ho mai detto
cosa provavo per lei?
Perché ho atteso e atteso… che cosa diavolo
attendevo Testarossa!? Ora non c’è
più, mi ha lasciato indietro e non saprà mai
quanto era importante per me!»
«Lo
so Stè, lo so! Ma almeno tu le sei stato accanto e sono
sicura che fossi una
presenza importante nella sua vita... non come me che l’ho
lasciata a se
stessa, senza darle la forza che m’invidiava, senza aprirmi a
lei, senza
diventare davvero sorelle! Io l’ho abbandonata
Stè! E questo non me lo
perdonerò mai!»
Rimanemmo
per un po’ in quella posizione, confortandoci e sostenendoci,
poi iniziammo a
celebrare il nostro personale funerale parlando di Simona e di tutti i
nostri
ricordi legati a lei: non cercammo di consolarci a parole, entrambi ci
sentivamo arrabbiati con noi stessi per averla persa prima ancora di
stabilire
con lei il rapporto che sognavamo di avere e questo comune sentimento
ci univa
più di tante parole.
Dopo
qualche ora, Stè mi accompagnò alla tomba di
Simona: lui ci andava ogni giorno per
portarle un fiore e per stare in sua compagnia. Se quando mia sorella
era in
vita aveva dovuto trovare sempre qualche scusa per farlo, ora il mio
amico era
libero di andare da lei quando voleva e dirle tutto a cuore aperto,
sperando
che ovunque si trovasse ora, Simona recepisse le sue parole.
Vidi
la sua foto, la moltitudine di fiori che aveva ricevuto, i messaggi dei
colleghi di facoltà, osservai tutto il mondo di mia sorella
attraverso le testimonianze
di chi l’aveva amata e mi assalì
un’altra ondata di pianto per quella vita
spezzata così presto, prima che i suoi sogni potessero
davvero realizzarsi. Io
e Stè ci saremmo visti qui almeno una volta a settimana, per
stare insieme
tutti e tre: avremmo raccontato a Simo quello che facevamo,
l’avremmo resa
partecipe di tutta la nostra vita ed io le avrei raccontato tutte le
mie ansie
e le mie paure e i miei dubbi sullo strano rapporto che avevo con
Emile. Non le
avrei più nascosto nulla di me, sarei stata la sorella che
avrei voluto essere,
almeno quello lo potevo ancora fare.
----------------------------------------------
NDA
*Cammina timidamente
temendo ritorsioni*
Ehm... salve a tutti...
Ci siete ancora? *me pensa a due lettrici in particolare che
minacciano in continuazione di restarci secche* Spero di non avervi
traumatizzate troppo con questo capitolo drammatico; non
avevo nulla contro la povera Simona (le ho anche chiesto scusa per come
l'ho trattata ç_ç), ma la sua dipartita mi
è risultata necessaria: gli eventi tragici della vita ci
cambiano e sia Pasi che Emile hanno subito uno scossone dentro dopo
ciò che è accaduto, scossone che era necessario
ad entrambi per andare avanti e crescere.
Quindi PLEASE non
linciatemi e non mi morite, il prossimo capitolo sarà
più lieto, ve l'assicuro! *sbatte gli occhietti con fare
convincente*
L'Angolo dei Ringraziamenti
come sempre va alle mie sorelle (che spero siano sopravvissute alla
lettura): Iloveworld, Vale, Niky, Saretta
(sempre presenti con i loro commenti, l'incitamento a pubblicare e il
loro entusiasmo per me così prezioso <3), Cicci, Ely, Ana-chan e Concy (di cui
attendo con ansia di leggere il prossimo capitolo: sister
pubblicaaaaa!!!).
Sarò
ripetitiva, ma vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per il vostro
sostegno, e per l'incoraggimanto che mi date ogni volta che
pubblico un capitolo.
GRAZIE GRAZIE
GRAZIE
<3
Grazie a tutti, voi che
vi fermate a leggere e che vi appassionate, aiutando questo racconto
(e i miei ragazzi) a vivere.
ARIGATOU GOZAIMASU!!!!
MESSAGGIO
PROMOZIONALE.
in
una FF
letta poco fa, ho trovato un annuncio che trovo
delizioso e ho pensato di postarlo qui:
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
Non
vuole essere una critica acida, bensì un messaggio simpatico
così come
è stato concepito, per sensibilizzare chi legge non alla mia
causa in
particolare, ma a quella di chiunque abbia mai scritto qualcosa in vita
sua.
E'
un messaggio che io stessa dovrò far mio in
qualità di
recensore, poichè dovrei essere più sensibile
alla causa in quanto io stessa autrice.
Fine
dello Spot xD
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
Nei
giorni seguenti la
mia vita ritrovò una
strana e onirica monotonia: avevo deciso di tornare a lavoro subito,
perché Rita
aveva rinunciato ai suoi impegni per starmi accanto e non volevo farle
perdere
altro tempo, né farla preoccupare ancora inutilmente. Pur di
non lasciarmi sola
non era nemmeno andata a trovare Stè, lasciando a Fede e
Sofi il gravoso
compito di far da spola tra noi due. Inoltre stare in casa a piangermi
addosso,
non era mai rientrato nel mio modo di vivere e soprattutto in una
circostanza
come quella, che non aveva alcun modo per essere risolta, non avevo
alcuna
scusa per restare tra le pareti domestiche. Così mi gettai
sul lavoro,
m’impegnai in qualcosa che richiedesse la mia concentrazione
e che non mi
costringesse a stare sola con in miei pensieri… Tuttavia
questa risolutezza
l’applicai solo al lavoro, poiché non mi sentivo
ancora pronta per rivedere
Claudine e Alberto.
Il
mio senso di colpa e quello di Stè mi avevano fatto
comprendere quanto gli
esseri umani fossero fragili e quanto la loro vita fosse appesa ad un
filo, quanto
sia nostro dovere parlare chiaro con chi amiamo, aprirci a loro
finché possono
sentirci e reagire a ciò che diciamo. Non avrei mai
più avuto occasione di
rivedere il volto di Simona, quel volto così simile al mio
eppure così diverso,
non avrei più potuto parlarle, scontrarci,
aprirci… Avevo perso una persona
importantissima nella mia vita e mi ripromisi che non sarebbe mai
più accaduta
una cosa simile.
Per
questo motivo, prima di tornare a casa Castoldi, in
quell’ambiente così caldo
in cui regnava l’amore familiare più puro, prima
di rivedere l’uomo che avrei
voluto come padre, mi decisi una volta per tutte ad affrontare i miei
genitori,
per dir loro personalmente ciò che avevo lasciato in quel
biglietto.
Bussai
alla porta di casa (quanto tempo era trascorso dall’ultima
volta che ero stata
lì! Quella era stata anche l’ultima volta che
avevo visto Simo…) e vidi mia
madre che apriva la porta. Appena si rese conto che ero io, mi diede un
sonoro
schiaffo, ma dopo nemmeno un secondo mi abbracciò in
lacrime.
*****
«Perché
non sei venuta al funerale? Era tua sorella!»
Eravamo
seduti nel soggiorno, mi sentivo un’ospite in quella casa e
tremendamente a
disagio davanti agli occhi accusatori dei miei genitori. Quella domanda
postami
da mio padre sciolse il momento d’imbarazzante silenzio che
si era formato tra
noi.
«Non
ce l’ho fatta… stavo troppo male.»
I
miei genitori erano seduti uno accanto all’altra di fronte a
me, osservandomi
con un misto di dolore e rancore negli occhi e probabilmente con il
desiderio
di capire chi fosse in realtà, quella figlia che avevano
generato e che non
riuscivano a comprendere.
«Ti
aspettavamo… Credevamo che il tuo stupido orgoglio
l’avresti messo da parte
almeno per dare l’ultimo saluto a tua sorella… Ci
odi a questo punto?» mia
madre aveva il volto provato dalla sofferenza e dalla tristezza, mi si
strinse
il cuore nel vedere riflesso sul suo volto lo stesso mio dolore,
sommato al
dispiacere di vedere l’unica figlia rimasta in vita che le si
rivoltava contro.
Iniziai a dirmi di averla giudicata troppo severamente e pensai che
forse
potevo provare in quel momento così delicato, ad
approfittarne per
riavvicinarmi a lei e a mio padre: magari in quel momento erano
più disponibili
al dialogo, magari avrebbero voluto capirmi meglio per non perdere
anche
me… Sentii
le mie barriere protettive
abbassarsi e aprii loro il mio cuore:
«Io
non vi odio! E non è stato l’orgoglio a tenermi
lontano da Simona… Mi sentivo
in colpa… mi sento in colpa tuttora.»
«In
colpa? Con noi? Ma questo cosa c’entra con tua
sorella?»
«No,
non con voi… ma con lei!»
«Con
lei? E per quale motivo?»
«Perché
non le sono stata accanto quanto avrei dovuto, perché non
sono stata una buona
sorella per lei.»
Sperai
che potessero capire da dove nasceva il mio rammarico senza
alterarsi… mia
madre si zittì; fu mio padre a continuare.
«Pasifae,
non è solo con tua sorella che hai mancato, eppure non vedo
sensi di colpa da
parte tua nei nostri confronti! Non è una scusa plausibile,
almeno al funerale potevi
presentarti! Già tutti ci chiedono che fine tu abbia fatto,
con la tua assenza
alle esequie hai dimostrato a tutti di non amare più alcun
membro della tua
famiglia, senza contare che ci hai gettato la vergogna in faccia
fuggendo via
così!»
Le
mie speranze di essere capita andarono in frantumi
nell’istante in cui mio
padre prese parola: l’apparenza!
Tutto
si riduceva a quello, anche il dolore era solo un mezzo per dimostrare
quanto
la nostra splendida famiglia fosse legata! I miei genitori erano
arrabbiati
perché non avevo dato l’ultimo saluto a mia
sorella, ma ciò che premeva loro in
maggior parte era la figura che avevano fatto davanti a familiari e
conoscenti
con il mio più totale disinteresse nei loro confronti!
«Ecco,
lo sapevo! Simona era un pretesto per farmi notare quanto profondamente
vi avessi
messo la vergogna addosso! È sempre quello il nocciolo del
problema! L’apparenza,
il dovere, il sacrificio e la
buona condotta per non far parlare i vicini! Voi non vi rendete nemmeno
conto
di quanto il vostro modo di fare abbia fatto del male a Simona, di
quanto siate
oppressivi! Se non fosse stato l’infarto a portarcela via,
probabilmente mia
sorella si sarebbe suicidata prima o poi!»
Presa
dall’ira mi alzai in piedi e i miei genitori fecero
altrettanto: mia madre mi
diede un altro schiaffo sul viso, scandalizzata e offesa dalle mie
parole,
mentre fu mio padre a replicare alle mie dure accuse:
«Ti
rendi conto di quello che dici? Sono senza parole! Come abbiamo potuto
crescere
una figlia simile?!»
Arrabbiata,
delusa e amareggiata per la piega che aveva preso il nostro confronto,
cercai
di chiudere il discorso:
«Non
ti preoccupare papà, questa è l’ultima
volta che mi vedi!»
Mi
stavo voltando per andarmene quando mia madre mi prese per un braccio:
«Pasifae
ferma! Ho già perso una figlia, non voglio perdere anche
te!» Mi girai a
fronteggiarla con parole amare sulla bocca:
«Di’
piuttosto che saresti stata contenta di perdere me anziché
la tua diletta
primogenita! Io non sono mai stata il vostro orgoglio e non lo
sarò mai, è inutile
che ci giriamo intorno!» Il
mio
risentimento esplose senza barriere, compresi che con loro due non
avrei mai
potuto instaurare il rapporto che desideravo, non avrei mai avuto
ciò che Emile
aveva con suo padre…
«Non
dire sciocchezze simili! Sei nostra figlia e ti amiamo al pari di
Simona, anche
se non condividiamo il modo in cui vivi.»
«Mamma
questa è la mia vita e voglio viverla a modo mio! E se non
vi piace, non vi
disturberò ancora con la mia presenza.»
Mia
madre continuava a tenermi il braccio e mi osservava con il viso
contratto dal
dolore. Si ammutolì alle mie parole e mio padre
continuò per lei:
«Pasifae
stai esagerando, nessuno ha detto che devi sparire dalle nostre vite,
vogliamo
solo che tu riveda il tuo modo di vivere, ma questo non significa che
non ti
vogliamo qui con noi.»
«Io
non tornerò qui papà, non siamo fatti per vivere
insieme e lo sai anche tu!
Guarda come stiamo: ero venuta per parlare di Simona, per cercare di
farmi capire,
per aprirvi il mio cuore e invece siamo solo riusciti a recriminare e
ad
erigere barriere tra noi!»
In
quel momento a mia madre tornò la forza per continuare a
parlare:
«Ci
vuoi abbandonare così allora? Ci stai ripudiando
perché non siamo i genitori
che vuoi?»
«No
mamma, non vi abbandonerò, voi non sarete i genitori che
voglio, ma anche io
non sono la figlia che volete, in questo proviamo la stessa delusione!
Ma siete
sempre coloro che mi hanno messo al mondo, quelli a cui devo la mia
vita e
quelli che mi hanno cresciuto, in un modo che non comprendo ma che
è comunque
basato sull’affetto ed io nonostante tutto vi voglio bene. Ma
non posso venire
a vivere qui con voi, non gioverebbe ad alcuno di noi tre.»
Mia
madre e mio padre si ammutolirono, apparentemente vinti dalle mie
argomentazioni e vidi nascere la comprensione sui loro volti: anche
loro
sapevano che le mie parole erano vere, che per quanto ci si possa voler
bene,
quando si hanno dei caratteri incompatibili, quando si vede la vita in
due
ottiche opposte, non c’è legame che tenga, la
convivenza diventerebbe un vero e
proprio incubo. “Se
ami qualcuno devi
lasciarlo libero di andar via”; avevo letto questa frase su
qualche muro a
scuola e mi tornò alla mente in quel momento, mentre ero in
procinto di testare
l’amore dei miei genitori, soprattutto la loro propensione a
lasciarmi andar
via, libera di vivere a modo mio.
Mia
madre lasciò andare il mio braccio e chinando il capo, mi
disse:
«Ti
chiedo solo di non dimenticarti di noi» in
quel momento tornai a vederla fragile e disperata e il cuore
tornò a contrarsi
per qualche secondo, prima che la mia razionalità avesse la
meglio:
«No
mamma, non potrei mai dimenticarvi. Ci vediamo presto.»
Mi
voltai definitivamente diretta all’uscio e chiusi la porta
alle mie spalle
dicendo addio alle mie illusioni, abbracciando la nuova realistica
consapevolezza sul tipo di rapporto che avrei instaurato con i miei
genitori.
*****
Tornare
a casa di Emile mi fece uno strano effetto: l‘ultima volta
che ero stata in
quel luogo, tutto era diverso e la mia unica preoccupazione era la
malinconia
che sentivo perché lui non era lì. Da allora
erano cambiate alcune cose dentro
di me, avevo perso delle speranze ma ne avevo acquistate di nuove:
Emile mi
chiamava appena poteva, la prima cosa che faceva era chiedermi come mi
sentissi
e quando gli dicevo davvero come stavo, solo allora, passava a
raccontarmi del
tour e del successo che sembravano avere col pubblico. Era sempre
gentile e pacato,
eppure sentivo una nota di distacco in lui e continuavo a temere che
quella
premurosità fosse solo dettata da un suo senso del dovere
per ripagarmi per le
cure che prestavo a sua madre. Con lui il mio proposito di non
rimandare il
confronto con chi amavo era inutile, quel confronto c’era
già stato e avevo
ricevuto anche il benservito, eppure il nostro rapporto sembrava ora
più
confidenziale di prima, più intenso… potevo
davvero sperare di essere speciale
per lui o la sua gentilezza era solo formalità?
Sapendo
che sarei tornata da loro, Alberto rincasò un po’
prima per salutarmi: appena
mi vide mi salutò con un caldo abbraccio:
«Come
ti senti piccola?»
«Va
meglio ora, anche se non credo che mi riprenderò
mai.»
«Se
ti va di parlarne io ci sarò sempre ad
ascoltarti.» Mi guardò col solito viso
affettuoso e sentii il sincero attaccamento che aveva nei miei
confronti.
Senza
Emile in casa e senza di me a dargli una mano nel pomeriggio, Alberto
si era
ritrovato totalmente solo a dover prestare le cure a Claudine e non
potendo
rinunciare al lavoro per un mese intero, aveva dovuto chiedere aiuto ad
un
altro infermiere, che si alternava a Sabrina durante il giorno, mentre
la sera
Claudine era accudita esclusivamente da suo marito. In una situazione
simile,
non era stato in grado di venire a trovarmi e vidi nei suoi occhi un
sincero
dispiacere per non essermi stato accanto in quei momenti
così bui. Riscaldata
da quell’affetto e desiderosa di farlo sentire meno in colpa,
l’abbracciai.
«Grazie.»
Probabilmente
non aveva la più pallida idea di quanto avesse preso
importanza la sua presenza
nella mia vita, al contrario io in quel momento mi resi conto che di
quella
famiglia non avrei più potuto fare a meno; ne amavo ogni
singolo componente e
non avrei mai più potuto concepire la mia vita senza di
loro.
*****
Una
volta riprese le mie attività quotidiane, i giorni
iniziarono a scorrere via:
ero tornata alla mia routine e la mia vita sembrava essere come
l’avevo
lasciata, col solo dettaglio che un dolore forte e opprimente mi
premeva sul
cuore ogni giorno e che se solo mi fermavo a pensarci, venivo
schiacciata dal
senso di colpa. Cercai di non lasciarmi andare alla disperazione,
tentando di
pensare ad altro ogni qual volta il mio cuore sembrava pesarmi come un
macigno,
ma se non pensavo a Simona, spuntava l’altro mio cruccio, che
per forza di cose
era stato messo in secondo piano, ma che continuava a infestare i miei
sogni.
Emile
in quegli ultimi tempi non si era fatto sentire, non avevo sue notizie
da più
di una settimana: nei primi giorni di silenzio pensai semplicemente che
fosse
troppo occupato con il tour, ma quando si fecero più
numerosi, mi dissi che
probabilmente si era stancato di quelle formalità e iniziai
a temere di
ritrovarlo nuovamente distaccato e formale, una volta tornato a
casa…
Quanto
avrei potuto reggere ancora una situazione così logorante?
Eppure sapevo che
non avevo modo di sottrarmi a lui e a ciò che scatenava in
me ogni volta che lo
vedevo o lo sentivo: non avevo scelta, ormai ne ero consapevole, non
avrei
potuto fare altro che amarlo, qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi
cosa
avesse fatto nei miei confronti.
Un
tardo pomeriggio come tanti di quei giorni tutti uguali, scanditi
dall’alternarsi del dolore e della malinconia, allo scadere
del mio turno con
Claudine, invece di congedarmi Alberto mi trattenne con sé:
«Ho
preparato una cosa deliziosa. Vieni con me in cucina!» mi
prese la mano e mi
trascinò al piano terra.
«Ma
Claudine è sola...»
«Non
preoccuparti, Sabrina è ancora con lei, e poi ci metteremo
poco!»
Alberto
aprì il frigorifero e ne trasse due coppe di un dolce freddo
al cioccolato dall’aria
più che invitante:
«L’hai
fatto tu?!» gli chiesi sorpresa.
«Ebbene
sì! Sono un ottimo pasticcere, sai! Questa è una
delle mie specialità, la Coppa
Lussuria!» ed era proprio una lussuria dei sensi quel dolce!
Strati di
cioccolato alternati a biscotti e panna con una spruzzata di Nutella in
superficie, qualcosa che alzava
il tasso
glicemico a livelli epici e metteva anche dei chiletti addosso, ma che
almeno
una volta nella vita si doveva provare! Ero immersa nella delizia di
quel dolce
quando sentii la porta di casa aprirsi:
«Stanco
per il viaggio? Vieni a rallegrarti con noi, siamo in
cucina!» disse Alberto,
prima di infilarsi un cucchiaino stracolmo di bontà in
bocca: aveva le labbra
contornate di cioccolata e sembrava un bambino alle prime prese col
cibo, io
non dovevo essere da meno e ne ebbi conferma quando Emile comparve
sulla soglia
della cucina e si fece una grande risata:
«Siete
ridicoli! Due bambini ingordi!»
Si
appoggiò all’uscio della porta, lasciando andare
la valigia a terra accanto a sé
per osservarci divertito. Era visibilmente stanco eppure per me era uno
spettacolo: la sua figura alta e longilinea, quella pelle chiara che
risaltava
sull’abbigliamento blu scuro, il sorriso luminoso, gli occhi
lucenti e quella
chioma rossa che sembrava avere vita propria… Ero
così felice di vederlo!
Dentro di me ero preda dalla gioia più grande e quel sorriso
così spontaneo e
vero rivolto non solo a suo a padre ma anche a me, mi fece tornare
tutte le
speranze. Per di più, nonostante avessi dovuto sentire una
grande agitazione
nel rivederlo, la familiarità della scena e quel senso di
intimità che si era
creato in quel momento tra noi, non diedero spazio al mio cuore per
mettersi a
battere più velocemente e reagii alla sua battuta con tutta
la naturalezza del
mondo, come se non ci vedessimo che da poche ore:
«Saremo
anche ingordi ma siamo nel Paradiso ora! Non sai cosa ti stai
perdendo!» e
presi un’altra cucchiaiata di quella delizia.
«E
chi ti dice che voglia perdermelo!?» entrò in
cucina e si diresse direttamente
verso il frigorifero, l’aprì, prese la sua coppa e
si accomodò di fronte a me,
accanto al padre, che gli assestò un bacio al cioccolato
sulla fronte dandogli
il bentornato. Uniti da quella delizia che, seppure non era in grado di
togliermi il dolore dal cuore, era riuscita a darmi un benvenuto
momento di
felicità e di serenità, trascorremmo una
mezzoretta a parlare insieme in
armonia, come le famiglie a colazione delle pubblicità.
*****
«Sono
felice di vedere che stai reagendo.» mi disse Emile quando
suo padre andò a
congedare Sabrina per prendere il suo posto accanto a Claudine.
«Sì,
era inutile comportarmi in quel modo poco dignitoso, non avrebbe fatto
bene né
a me, né a…
a Simona.»
«Tante
volte mi sono chiesto come reagirei se perdessi mia madre…
Sai ogni volta che
ha una crisi mi preparo al peggio e non solo allora! Però
resta il fatto che
lei è ancora qui e nonostante mi dica di essere preparato a
perderla, credo che
nessuno di noi lo sia mai quando una persona cara se ne va.»
«Già…
non si è mai preparati. Simona mi mancherà per il
resto della mia vita e non
finirò mai d’incolparmi per non essere stata una
buona sorella con lei.» Emile
non replicò a quella affermazione, anche lui aveva un senso
di colpa non
indifferente verso sua madre anche se di natura diversa e capiva il mio
stato
d’animo. Rimanemmo in silenzio per un po’, entrambi
immersi nei propri
pensieri, finché Emile riprese a parlare:
«Pasi,
mi sono reso conto di non averti mai ringraziato per essermi stata
accanto
tutto il tempo quando mia madre ha tentato il suicidio.»
calò improvvisamente
la testa sentendosi colpevole.
«N-no
Emile che dici! Non ti preoccupare! E poi hai fatto altrettanto per me,
questo
vuol dire tanto credimi, vale più di tante parole, ti sei
sdebitato completamente!»
«Non
l’ho fatto per sdebitarmi... O meglio, non solo per
quello.»
Allora
il suo non era solo un gesto di gratitudine come credevo! Ma
allora…
«Quando
mio padre mi ha detto di tua sorella, ho pensato immediatamente a come
potevi sentirti
e ho capito che volevo stare accanto a te, che non volevo farti
affrontare quel
dolore da sola, così ho preso il primo aereo utile e sono
venuto.» lo ascoltai
senza aprire bocca, troppo in ansia, troppo agitata per dire qualsiasi
cosa:
Emile mi stava forse per dire…
«Pasi,
io… io ho capito di amarti… e la cosa mi
terrorizza!» Emile alzò gli occhi
verso i miei, mi guardò con un’espressione
tormentata sul viso: perché doveva
rendere così complicato un sentimento così
bello?! Mi amava! Emile aveva appena
detto di amarmi! Non riuscivo a crederci, non mi uscivano le parole di
bocca!
«Lo
so che detta così non è affatto una dichiarazione
romantica, ma non posso
nasconderti tutto ciò che provo, sia i lati positivi che
negativi. Ti dissi
tempo fa che la mia vita è votata al riscatto dei miei
genitori e che finché
avrò vita la musica avrà sempre la precedenza su
tutto ed è ancora così! Però
da quando sei entrata nella mia vita, sento che stai
prendendo prepotentemente un posto nel mio
cuore: ho lottato con me stesso per tenermi
a distanza da te ma ho capito che non riesco e non voglio mandarti via!
Ma non
voglio venir meno alla promessa che mi sono fatto, non voglio venir
meno a mia
madre: tu e lei ora vi state dividendo tutto ciò che
c’è dentro di me e sono
terrorizzato all’idea di perdere di vista i miei obiettivi!
Riesci a capirmi?»
Gli
occhi di Emile erano di un azzurro intenso, vedevo le acque agitate del
suo
animo rispecchiarsi nelle sue iridi cangianti e capii la tremenda
battaglia che
infuriava nel suo animo: non voleva perdere di vista il suo giuramento,
ma non
voleva perdere nemmeno me. Mi amava a questo punto! Mi amava quanto
amava sua
madre e questo lo spaventava perché non credeva di poter
amare così due persone
diverse! Aveva giurato a se stesso di vivere solo per la musica, si era
negato
il lusso di legarsi a qualcuno e invece ora si era ritrovato a
combattere (e a
perdere) davanti a ciò che sentiva per me!
Gli
presi le mani che in quel momento si stava torturando e con una calma
che non
avevo mai avuto prima in vita mia, gli risposi:
«Sì,
ti capisco, perché io stessa ho combattuto prima di
accettare ciò che provo per
te. Ma ora capisco anche che le nostre vite sono brevi e che dobbiamo
viverci
il più possibile le persone che abbiamo accanto, trovando un
giusto equilibrio
tra i nostri sogni, i nostri doveri e le persone che amiamo. Io non ti
chiederò
mai di rinunciare alla musica Emile, né di scegliere tra lei
e me. E non
rinuncerò mai a me stessa per starti accanto, non
rinuncerò ai miei sogni o a
ciò in cui credo. Io ti amo e che Dio mi benedica, ho il tuo
amore e questo è
ciò che conta, perché sono certa che riusciremo a
venirci incontro e a superare
gli ostacoli per il solo fatto che entrambi vogliamo il bene
dell’altro.»
Dove
mi fossero uscite parole così ponderate e decise non lo
capii mai, forse aveva
fatto capolino quella saggezza che Alberto diceva di vedere in me o
forse
lasciai che il mio cuore parlasse con la sua nuova consapevolezza.
Fatto sta
che dovettero avere effetto su Emile perché quando finii di
parlare, staccò le
sue mani dalle mie per prendermi il viso e baciarmi.
Mi
colse di sorpresa ma reagii immediatamente al suo bacio: le sue labbra
mi
cercavano, erano assetate e desiderose, ed io avevo sognato
così tanto quel
momento che non avevo la minima intenzione di staccarmi da lui. Sentivo
il suo
bisogno di me e conoscevo benissimo il mio, il nostro fu un lungo bacio
tanto
atteso e voluto, carico di speranza e desiderio.
L’abbracciai
forte a me, ero così bramosa di lui, che non volevo
staccarmi per niente al
mondo:
«Non
allontanarti da me, restiamo cosi.» gli sussurrai, mi strinse
forte a sé nello
stesso modo, sospirando il mio nome ed io mi sciolsi di
felicità tra le sue
braccia.
*****
Avrei
voluto godermi quella serata insieme ad Emile, ma sapevo che doveva
essere
stanco per il viaggio, inoltre non volevo iniziare ad essere
appiccicosa, anche
se ero sicura che entrambi avessimo il desiderio di trascorrere del
tempo
insieme. Ma quando gli dissi che tornavo a casa, mi rispose che se
avessi atteso
il tempo di una doccia, mi avrebbe accompagnato lui personalmente:
staccando le
mani dalle mie, mi diede un bacio e si avviò al piano di
sopra.
Ancora
non riuscivo a crederci: Emile mi amava!
Sentivo
ancora l’eco di quel bacio appassionato che ci eravamo
scambiati, così carico
di parole non dette e sentimenti repressi, che mi batteva forte il
cuore al
solo pensarci! Per un attimo pensai alla follia di quel momento: avevo
un
dolore immenso nel cuore, eppure ora quello stesso cuore batteva
all’impazzata
per la felicità… L’essere umano
è davvero un insieme di contraddizioni!
Salii
anch’io al piano di sopra per condividere quella gioia con
un’altra persona che
di sicuro sarebbe stata felice quanto me ad apprendere la notizia.
Entrai nella
stanza di Claudine: Alberto le stava dando un brodino mentre lei lo
osservava
con sguardo perso; quando fu palese la mia presenza, al padre di Emile
bastò
guardarmi due secondi negli occhi per capire che c’era
qualcosa di nuovo e
bello nell’aria:
«Finalmente
lo ha ammesso!» la sua era un’affermazione
più che una domanda ed io feci un
cenno d’assenso incapace di dar voce alla mia gioia:
possibile che Emile si
fosse aperto a suo padre? O forse più semplicemente, Alberto
aveva compreso
senza bisogno di parole cosa si agitasse nell’animo
tormentato di suo figlio…
«Oh
bambina, sapessi come sono felice! Vieni qua che voglio abbracciarti
come si
deve!» Si alzò dalla poltrona con le braccia
aperte ed io mi fiondai verso di
lui, per farmi avvolgere dall’abbraccio di
quell’uomo che desideravo fosse mio
padre.
«Era
ora figliolo! Menomale che ti sei deciso!» Alberto
urlò all’improvviso in
direzione del figlio, chiuso in bagno nella stanza accanto ed io mi
feci
piccola al pensiero dell’irritazione che di sicuro doveva
provare ora, sentendosi
prendere in giro da suo padre… ma un’altra parte
di me gongolava tantissimo!
Adoravo vederlo mentre perdeva la sua aria di superiorità e
il suo freddo
contegno: lo rendeva più umano, più reale,
più adorabile!
«Cherié
notre petit Emile est heureux finallement!» Alberto si
rivolse a Claudine in
francese, probabilmente era un modo per arrivare più
facilmente alla sua anima,
o era solo un vezzo, ma Claudine si volse verso suo marito e fece uno
stanco
sorriso, come se in un angolo della sua mente avesse compreso tutto
ciò che era
accaduto:
«Mon
petit Emile, est un bon fil.» rispose ed io ne fui sorpresa:
«Ti
ha risposto! Allora interagisce con te!» mi staccai
dall’abbraccio di Alberto
per guardarlo negli occhi.
«Qualche
volta piccola mia, quando le parlo in francese, qualche volta riesco ad
attirare la sua attenzione. Se poi le dico che Emile è
felice, è quasi sicuro
che reagisca, anche se in un modo del tutto distaccato dal
discorso.»
Ecco
perché Alberto non si rassegnava e non voleva rinchiuderla
in una clinica:
Claudine in qualche modo dava ancora dei segnali e al di là
di tutto, era viva,
per cui poteva ancora capire cosa accadeva intorno a lei ed esserne
stimolata!
Iniziai a sognare un giorno in cui come per magia, la madre di Emile si
svegliasse di colpo e tornasse a vivere, abbandonando una volta per
tutte
quello stato di catalessi che faceva soffrire tutti gli abitanti di
quella
casa. Sarebbe stato bello vederla muoversi attivamente, sentire la sua presenza, sentirla
parlare, ridere,
scherzare… di sicuro ne avrebbe giovato anche
l’animo sofferente di Emile!
Dopo
qualche minuto quest’ultimo sbucò
sull’uscio della porta e con aria inacidita
disse:
«Abbiamo
finito di fare mercato, sbandierando i fatti altrui al
vento?» Non capii se si
riferisse a me o a suo padre, ma m’importò poco,
adoravo troppo vederlo in
imbarazzo!
«Oh
insomma non fare l’acido, sembri una vecchia
zitella!»
«E
tu sei un’infida strega! Coraggio andiamo.»
«Vai
via Pasi? Non ti fermi a dormire qui?»
Ad
un tratto mi feci viola all’idea di dormire nella stessa casa
di Emile dopo ciò
che ci eravamo detti: di sicuro avrei trascorso la notte insonne prima
di
decidermi a saltargli addosso! Probabilmente visto il modo in cui mi
aveva
baciato, l’idea non lo repelleva, ma qualcosa mi diceva che
avrebbe avuto
ancora più paura di me se mi fossi lasciata andare in quel
modo. Per cui decisi
che sarebbe stato meglio se avessi messo distanza tra me ed Emile
quella
notte...
«N-no...
ecco... domani devo andare a lavorare, e... Emile è stanco
per il viaggio...»
balbettai anche più del solito e sapevo che quella risposta
avrebbe innescato
qualche battuta che non volevo sentire:
«E
quindi stasera non è il caso che vi divertiate,
capito!» Alberto colpì
immediatamente il segno e com’era suo solito si fece una
bella risata mentre il
mio volto prendeva tonalità dal fucsia
all’amaranto! Emile che si era
avvicinato a Claudine per salutarla, rispose
con una solita battutina acida:
«Eh
no, il divertimento l’abbiamo lasciato tutto a te che, noto,
te la stai
spassando! Vieni Pasi, andiamo.» Allungò una mano
in mia direzione per
invitarmi ad unirmi a lui. Salutai Alberto con un caldo abbraccio e
diedi un
bacio sulla guancia di Claudine che si voltò lievemente in
mia direzione,
sorridendomi col suo abituale flebile sorriso e mi affrettai a prendere
la mano
di Emile che mi attendeva in direzione della porta.
*****
«Perché
non mi hai detto che non vivevi più con i tuoi?»
Eravamo
fermi sotto casa di Rita ed Emile esordì con questa frase
appena spense il
motore dell’auto.
«Non
sono rimasto tanto sorpreso
nel sapere
che stavi dalla tua amica, quanto nel rendermi conto che la sua casa
era la
stessa che credevo fosse quella che dividevi con la tua famiglia! Ho
avuto un
momento di perplessità su quanto di vero io sappia di
te.»
«Vorresti
dire che per una cosa che ho omesso
già hai dei dubbi sul fidarti o meno di me?!»
«Diciamo
che ti ho vista sotto un’altra luce!» Lo sguardo di
Emile era insieme ironico e
in attesa di ricevere una risposta, così mi decisi a
parlare:
«Beh…
ecco… Avevo timore di deluderti. Tu desideri così
tanto avere tua madre accanto
ed io invece ho lasciato i miei genitori… temevo la tua
reazione!»
Mi
feci piccola, in attesa dell’ira per aver detto e/o fatto una
stupidaggine,
invece Emile parlò con calma:
«Ciò
che dici è vero, dentro di me spero sempre che un giorno mia
madre si risvegli
con la voglia di vivere e che torni ad essere presente nella nostra
vita… Ma
questo non significa che gli altri si debbano sentire in colpa se non
vanno d’accordo
con i propri genitori! È una scelta tua, che presumo avrai
ponderato
attentamente, quindi se hai deciso che questo è il meglio
per te, io non ho
nulla da rimproverarti. E poi cosa temevi? Che ti facessi la ramanzina?
Come se
non fossi capace di rispondermi per le rime!» Fece un
sorrisetto ironico, ma
non era malefico come il suo solito, era un sorriso caldo, lo stesso
sorriso
che rivolgeva a suo padre quando gli rispondeva: quel sorriso mi
scaldò il
cuore e mi buttai decisa tra le sue braccia.
«Sei
proprio venefico!» Emile si fece una risata e mi
circondò con il suo abbraccio:
«Adoro
vederti imbarazzata.» mi prese il viso dal mento e lo
sollevò verso il suo, «Adoro
vedere come i tuoi occhi si agitano in preda al tumulto interiore, come
le tue
guance diventino più rosa e come il tuo viso assuma
quell’espressione indifesa
di bambina.» avvicinò il suo volto al mio e mi
diede un caldo bacio. Le sue
labbra continuarono a esplorare il mio viso, baciò il mio
naso, la mia fronte,
i miei occhi... e poi scese lungo il collo… e
all’improvviso si staccò.
«Ora
vai sennò facciamo tardi, sogni d’oro mia
adorabile streghetta.» mi diede un
altro bacio e a malincuore mi separai da lui.
*****
Inutile
dire che quella notte non dormii granché, il mio sonno fu
costellato di sogni
strani: sogni dolci, sogni bollenti e sogni tristi. La gioia infinita
che
provavo si mischiava al dolore ancora troppo fresco per Simona, il suo
viso e
quello di Emile si alternavano e a volte si confondevano e in certi
momenti non
sapevo più nemmeno se essere felice o piangere.
----------------------------------------------------
*
"Tesoro, il nostro piccolo Emile è felice finalmente!"
** "Il
mio piccolo Emile è un bravo figlio"
_____________________________________________________
NDA
ALLORA, siete contente
stavolta? xD
Capitolo lungo (come
piace alla sister Vale ^ ^) e, come
promesso senza lacrime e direi che per la parte finale un bel ALLELUJA
ci sta
tutto! xD
Ci sono voluti 13
capitoli e una triste dipartita, ma il nostro eroe finalmente ha
ammesso ciò che prova per Pasi, e ora siamo tutti
più felici! ^ ^
[Deilantha Meyer's Corner]
(Sulla scia della zia Steph, consigli musicali relativi al
capitolo xD)
Mentre ricontrollavo
questo capitolo, complice una certa ossessione finnica che imperversa
da qualche tempo, ho pensato ad una canzone degli HIM perfetta per
sottolineare il momento in cui Emile si dichiara a Pasi.
Si chiama "
Scared
to Death"
e alcuni versi dicono così:
"Sono
spaventato a morte,
Sono
spaventato a morte
d'innamorarmi
di te
...
E
tu sei dolce come un veleno"
Se volete
sentirla tutta vi lascio i links al Video
e al Testo
Io la sto
canticchiando anche ora xD
Angolo dei
Ringraziamenti:
Amori mieiiiii!!! Il capitolo precedente
è stato duro e impietoso e credetemi, mi sono commossa
anche io mentre lo scrivevo, ho sofferto insieme a Pasi per la perdita
di sua sorella. Per questo ho deciso che doveva meritarsi una
felicità che compensasse almeno in parte il suo dolore ^ ^
Ma veniamo al dunque: le vostre reazioni al capitolo sono state
altrettanto forti, e non mi ero nemmeno resa conto che ciò
che avevo scritto potesse scatenare una tristezza e una sofferenza
simile, per cui mi dispiace per avervi fatto star male (e spero di aver
compensato con questo capitolo ^ ^), ma vi ringrazio ancora
immensamente perché la vostra partecipazione al dolore di
Pasi, ha reso la mia bimba viva anche dentro di voi, e non solo dentro
di me. Grazie un milione di volte perché se non ci foste
voi, questa storia sarebbe solo un file di Word messo in una cartella
in un hard disk di un pc qualsiasi.
Grazie davvero tesore mie, di cuore <3
Grazie infinite anche a chi ha messo questa storia tra le preferite, le
ricordate e le seguite. Grazie mille davvero!
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Capitolo 14
Nonostante
la situazione tra me ed Emile avesse raggiunto una svolta importante,
la nostra
vita continuò a scorrere quasi nello stesso modo: la mattina
io lavoravo e
quando andavo a casa sua nel pomeriggio, lui era a lavoro.
Così riuscivamo a
vederci solo se mi attardavo dopo il mio turno con Claudine, ma anche
quelle
occasioni erano rare, poiché Emile aveva le prove col gruppo
quasi ogni sera.
Così finiva che l’unico giorno che potesse essere
dedicato a noi risultava la
Domenica, anche se io avevo l’appuntamento con Stè
e Simona.
Una
Domenica pomeriggio decidemmo d’incontrarci nel parco
cittadino: sarei andata
lì dopo l’incontro con il mio amico e ci saremmo
visti nei pressi dell’albero
di magnolia. Era un albero enorme che campeggiava in un angolo
più appartato
del parco: nei dintorni non c’erano panchine, per cui era
facile trovare spazio
per adagiarvisi e trascorrere del tempo in tranquillità a
contatto con la
natura.
Trovai
Emile seduto ai piedi dell’albero, intento a scrivere. Il
solo vederlo mi
faceva esplodere una grande gioia nel cuore: ancora non riuscivo a
credere che
solo pochi mesi prima aveva destato in me un odio profondo ed ora ero
lì a
sentirmi la più fortunata ragazza della terra
perché avevo il suo amore (e
anche il suo terrore, aggiunse la solita voce nella mia mente e come al
solito
l’ignorai…)!
Lo
chiamai da lontano, urlando
il suo nome:
«Emiiii!»
e lo vidi aggrottare le sopracciglia per un secondo per poi guardarmi
con una
calda luce negli occhi mentre mi avvicinavo.
«Gradirei
che non rovinassi il mio nome in quel modo!» mi disse in tono
acido, a cui
risposi per le rime:
«E
come preferiresti? Emiluccio? Emilove? MILLY?»
Mi
accomodai accanto a lui mentre mi divertivo a stuzzicarlo e lui mi
guardò in
tralice prima di rispondermi:
«Emile.
Va bene così com’è stato concepito. Non
ha nulla che non va.» Evidentemente, al
contrario di me, era fiero del nome che portava.
«Come
sei acido, tutti amano i miei nomignoli affettuosi! Solo tu
e…» Simona. Un’altra
cosa che avevano in comune.
«Emile,
verresti con me la prossima volta che vado a trovare Simo? Mi sarebbe
piaciuto
che vi foste conosciuti, sono sicura che sareste andati
d’accordo.» portai le
ginocchia al petto, com’era mio solito quando avevo bisogno
di conforto, mentre
attendevo che mi rispondesse. Lo sentii posare i fogli su cui stava
scrivendo
per circondarmi le spalle con un braccio e mettermi una mano sulle
ginocchia:
«Ne
sarei felice, verrò con piacere. Ed ora posso salutarti come
si deve?» Alzò la
mano dalle mie ginocchia per portarla al mio viso e girarlo verso il
suo, in
modo da darmi il suo caldo bacio, prima di offrirmi la spalla a cui
appoggiarmi.
«A
te non piace il tuo nome, vero? Altrimenti non daresti nomignoli agli
altri per
renderli simili al tuo.» una spruzzatina di sarcasmo velava
le sue parole, poi tornò
improvvisamente serio: «Dovresti esserne orgogliosa invece,
perché identifica chi
sei, perché è il primo atto d’amore che
fa un genitore verso il figlio. Il tuo
nome non parla solo di te, ma anche di loro.»
«È
facile parlare per te! Il tuo nome è bello, è
semplice da pronunciare e sono
sicura che i tuoi genitori l’abbiano
scelto con amore. Il mio nome è orribile! Antiquato,
incomprensibile e dettato
solo dalla passione di mia madre verso i suoi libri, non di certo verso
di me!»
Mi strinsi più forte a lui, cingendogli la vita.
«Credi
che i tuoi genitori non ti amino?» Emile mi
circondò con le braccia
avvolgendomi.
«Sì,
mi amano… ma a modo loro ed è un modo
incompatibile col mio!» dopo poco
aggiunsi: «Ed ora che non
c’è Simona a
farli sentire orgogliosi, non potrei mai tornare a casa con loro e
vivere ancora
di più nella sua ombra.»
«Non
ho mai detto che tu debba farlo. Sei libera di scegliere chi amare e
come
farlo, la vita è la tua.»
«Tu
però questa scelta non te la dai, Emile! Quante persone ami
davvero? Con quanti
esseri umani hai interagito aprendo loro il tuo cuore?»
Sentii il suo corpo
irrigidirsi, forse quell’argomento era ancora troppo spinoso
da affrontare…
«Per
me non è facile aprirmi, Pasi. Non ho la tua stessa
bontà d’animo e fiducia nel
prossimo e già essere qui con te come siamo ora, per me
è un miracolo! Sei la
mia piccola streghetta dei miracoli.» Mi strinse di
più a sé e mi baciò la
testa, mentre a mia volta cinsi la sua vita con più forza.
Mi stavo beando di
quel momento quando notai, poggiato a terra, il foglio su cui stava
scrivendo:
era uno spartito.
«Stavi
componendo! Senza strumenti!?» Rimasi stupita dalla sua
capacità di percepire
la musica senza averla intorno.
«Non
esattamente… ho questa con me.» si girò
alla sua sinistra e prese qualcosa che
si trovava al suo fianco, ma che prima non ero riuscita a vedere:
un’armonica! Se
la portò alla bocca e iniziai a sentire
una dolce e calda melodia, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare:
avvolta
dal braccio di Emile, stretta alla sua vita sottile e immersa nella sua
musica,
in quel momento mi sentii davvero felice e serena.
*****
«Pasi
hai un secondo?»
«Fede
che diamine! Cosa c’è? Perché
quell’espressione, che succede?»
Ero
alle prese con la pulizia del pavimento nella cucina della
comunità, quando il
mio amico mi chiamò all’improvviso, con un tono di
voce allarmante: era
sull’uscio della porta, vedevo solo la sua testa castana
sbucare come fosse
stata evocata e per poco non mi fece fare un salto.
«Stasera
sei libera? Devo parlarti di una faccenda importante e questo non
è il luogo
adatto.»
«Sì,
ok… c’entra per caso Rita?» Ero curiosa
di sapere come stava vivendo lui
quest’idea di tornare insieme alla sua ex ragazza e buona
amica e non riuscii a
trattenere la mia voglia di sapere.
«Rita?
N-no no, non c’entra nulla lei e poi cosa dovrei dirti,
scusami?» Il suo viso
era lievemente contrariato, ma vedevo la nota di divertimento che
celava… mi
stava stuzzicando sapendo che morivo di curiosità!
«Sì
sì bravo, fai lo gnorri… tanto prima o poi
saprò tutto!» Fede fece un sorrisino
ma subito dopo tornò serio: «Rita non
c’entra Pasi, è qualcosa di più serio,
perciò voglio parlartene più tardi. Ci vediamo al
solito posto, ok?»
Il
solito posto era la pizzeria dove eravamo abituati a riunirci in
gruppo, il
proprietario era Andrea, un ragazzo di ventotto anni, che ormai era
diventato
nostro amico a furia di vederci lì: c’era sempre
un trattamento speciale per
noi cinque rumorosi, poiché diceva sempre che la nostra
presenza scaldava
l’ambiente… E posso immaginare di chi era la
“colpa” se le nostre conversazioni
fossero udibili da tutti!
Quella
sera però eravamo solo io e Fede davanti alla nostra pizza e
ad una discussione
che risultò davvero importante.
«COOOSA?!
Ma non possono! E perché? Ma non è
giusto!»
«Lo
so… sono amareggiato anche più di te credimi,
considerando che ci lavoro da
anni!»
Fede
era cupo in viso, aveva trascorso quegli ultimi anni donandosi
totalmente a quella
comunità, prima come volontario mentre era ancora alle
superiori e in seguito
lavorandoci a pieno ritmo ed ora gli avevano detto che avrebbe chiuso,
che i
proprietari avevano problemi finanziari e dovevano vendere lo stabile
ad un
privato che di certo non voleva lasciarlo al pubblico ma goderselo
personalmente.
«E
tutti quei ragazzi come faranno? Dove andranno? E noi? Tu
soprattutto!»
«Non
lo so Pasi... Anche se sto accarezzando l’idea di aprire un
centro tutto mio…»
«WOW,
che bella idea Fede! Non avresti nessun superiore a cui dare conto e
con la tua
bravura riusciresti di sicuro ad aiutare tutti!»
«Grazie
per la tua fiducia, mi è di grande sostegno. Però
ci sono molti problemi da
affrontare prima che questo desiderio si possa realizzare, problemi
soprattutto
burocratici e finanziari.»
«Sì
ma potresti iniziare con un piccolo centro, Rita a breve si
laureerà e potrebbe
sostenerti anche lei in qualità di psicologa!»
«Non
è tutto così semplice, Pasi: Rita ha davanti a
sé ancora molti anni di studio e
non voglio bloccare la sua carriera in un progetto che non ha
desiderato. Inoltre
ci vogliono dei capitali non indifferenti anche in caso di un piccolo
centro:
servono le attrezzature, i medici, gli infermieri da pagare…
Però qualcosa
voglio metterlo su… e mi piacerebbe avere anche il tuo
aiuto.»
«Il
mio aiuto? E come… in che modo?»
«Tu
ci sai fare con le persone, riesci a farle aprire, riesci a farle
sorridere:
guarda cosa sei riuscita a fare con Emile!»
«Ma
io ho solo cercato di prendere esempio da te!»
E poi non credo di aver fatto tutto questo miracolo con Emile, se mi
ha detto di essere terrorizzato da ciò che sente per me!
«Non
è solo quello Pasi, tu hai qualcosa che porta la gente ad
aprirsi a te e sono
sicuro che saresti un valido aiuto.
Ora
come ora ho poche carte dalla mia parte, perciò pensavo di
aprire un centro
d’ascolto o qualcosa di simile a cui dedicarsi più
come volontariato che altro…
Ma nel frattempo, voglio iscrivermi a scienze infermieristiche in modo
da avere
un titolo che dia credibilità alla mia posizione e se Rita
sarà dei nostri, in
futuro, potremmo diventare un centro specializzato nel dare aiuto
psicologico e
in futuro magari aprire
anche una
comunità.»
Ero
esterefatta, Fede aveva pensato davvero a tutto, stava mettendo in
gioco il suo
futuro calcolando ogni passo: doveva averci pensato a lungo e ponderato
ogni
cosa… Lui sì che aveva le idee chiare sul suo
futuro, non come me…
«Sarebbe
davvero bello Fede! Però io che potrei fare? Non ho un
titolo, non ho nulla…
che ruolo ho nel tuo progetto?»
«Pasi
deve diventare anche il tuo progetto. Io so che ti piace stare in
comunità e
aiutare gli altri e so di poter contare su di te, ma voglio che tu ne
prenda
piena coscienza, voglio che anche tu ci creda e che faccia tuo questo
progetto.
Pensaci bene, se l’idea ti piace e senti di potertici
dedicare, sali a bordo e
non preoccuparti del resto. Se non ti senti abbastanza coinvolta, non
ci
saranno problemi, sei liberissima di non accettare. Le cose tra noi non
cambieranno per questo.»
«Ok
Fede; ci penserò e ti darò una risposta a
breve… ed ora finiamo questa pizza
che è davvero squisita!»
*****
Le
parole di Fede mi rigirarono nella testa nei giorni successivi:
impegnarmi con
lui significava occuparmi di qualcosa che sarebbe stata con me per il
resto
della vita. Avevo dei dubbi su quanto potessi essere davvero utile al
suo
progetto e mi chiedevo anche se fosse questo il mio obiettivo.
Non
ero mai riuscita a trovare qualcosa che mi prendesse al punto da
potermici
dedicare anima e corpo per l’intera mia esistenza, ma era
anche vero che come
diceva Fede, mi piaceva prendermi cura degli altri e dare una mano a
chi ne
aveva bisogno… forse era davvero questo lo scopo della mia
vita. Ne avrei
voluto parlare ad Emile che, al contrario mio, era così
deciso e vedeva così
chiaramente davanti a sé, ma in quei giorni non riuscivamo a
vederci, era
sempre impegnato con la band perché dovevano lanciare il
loro primo album e tra
una prova ed una riunione, non ci vedevamo dalla Domenica precedente,
trascorsa
al parco. Inoltre dentro di me sapevo
che quella fosse una scelta che avrei dovuto prendere da
sola, valutando
bene ciò che volevo io dalla vita e come agire per
ottenerlo, al di là di
quello che poteva pensarne Emile. Mi ero ripromessa di non annullarmi,
di non vivere
la mia vita in funzione di quella del mio ragazzo, per cui quella era
una
scelta che dovevo prendere da sola, senza condizionamenti altrui.
Perché sapevo
che qualunque cosa avrebbe detto il mio Pel di Carota, mi sarebbe
rimasta nella
testa, influenzando la mia decisione.
*****
Riuscii
a vedere Emile solo la domenica successiva, poiché come
promesso, venne con me all’appuntamento
con Simona.
Testa
di Paglia era già lì quando arrivammo: era
davanti alla tomba e rivolgeva a
mia sorella i suoi pensieri mentre
poggiava i fiori nel vaso. Al nostro
arrivo ci fece uno dei suoi sorrisi, anche se non erano più
gli stessi di
prima.
Con
Simona era andata via anche una parte di Stè. Il dolore per
averla persa,
sommato al rimpianto di non averle mai rivelato cosa provava per lei,
avevano
gettato un’ombra su quel carattere così solare e
sempre pronto al sorriso. La
spensieratezza che era il suo tratto principale, aveva ora un tono
più greve,
una malinconia di fondo che lo rendevano un sole crepuscolare e non un
astro al
colmo della sua potenza luminosa.
Tuttavia
il sorriso sul suo viso non si era spento: Stè era
così, l’allegria era parte
del suo essere come quella sua chioma sbiadita e avrebbe sempre reagito
sorridendo, ai colpi della vita.
Il
sorriso che ci rivolse fu uno dei più caldi che riuscisse ad
avere in quel
periodo: quel nostro appuntamento settimanale era un momento importante
per
entrambi, per riconciliarci con noi stessi e per avere la speranza che in un modo o in un altro,
Simo ci ascoltasse
e ci perdonasse. Emile fu felice di accompagnarmi ma
quando arrivammo, lo sentii irrigidirsi: salutò
il mio amico e poi restò muto tutto il tempo, forse per
darci modo di svolgere
le nostre abituali chiacchiere con mia sorella. Notai però
che osservò con attenzione
la foto di Simo, quasi come se volesse carpire da essa informazioni su
chi era
stata Simona Isoardi. A quel punto allora, io e Stè
iniziammo a raccontargli
aneddoti del passato: io di quando eravamo piccole e giocavamo insieme,
un
tempo in cui anche se litigavamo, eravamo più unite, mentre
Stè gli descriveva
tutti i particolari che solo un innamorato riesce a cogliere
così attentamente
della persona che ama, come una ruga d’espressione, un
broncio impercettibile,
un cambiamento d’intensità nello
sguardo… Eravamo così presi dai nostri
racconti che non ci
rendemmo conto del
tempo trascorso, finché Emile aprì bocca per
avvertirmi che sarebbe dovuto
andare a provare con la band.
Stè
a quel punto si offrì di accompagnarmi, così
rimasi lì mentre il mio Pel di
Carota se ne andò in silenzio, dopo averci salutato.
«Chiacchierone
come al solito, eh?» disse Stè ironicamente.
«Già,
lo sai che è di poche parole… e poi noi siamo
stati davvero logorroici!» Risi
scherzandoci su, ma avevo l’impressione di aver visto
un’ombra cupa sul suo
volto che m’inquietava... avrei indagato successivamente sul
quell’espressione
tetra!
«Mi
dispiace che Simona non l’abbia conosciuto… ho
l’impressione che si sarebbero
capiti al volo.»
«È
probabile Testarossa, hanno entrambi una malinconica risolutezza nello
sguardo,
sarebbe stato interessante vedere come avrebbero interagito.»
l’espressione di
Stè era sinceramente incuriosita da quell’ipotesi
e mi senti sollevata nel
vedere che almeno per qualche secondo, la malinconia lo aveva
abbandonato. Poi però
un pensiero mi balenò nella mente e senza pensarci, pur
sapendo che l’avrei
nuovamente incupito, gli chiesi :
«Come
stai facendo con la matematica?»
Tra
i nostri amici le sole che avessero proseguito gli studi erano
Margherita e
Sofia, ma la prima studiava psicologia e la seconda filosofia;
Stè avrebbe
dovuto affidarsi a qualche insegnante privato per andare
avanti…
«Per
ora vado avanti da solo, è riuscita a farmi comprendere
molte cose… Mi manca
terribilmente Testarossa! Sento un vuoto dentro di me e se solo ci
penso non
riesco a stare in piedi! Per fortuna sono una persona che pensa
poco!» Sorrise
di se stesso a quell’affermazione, poi continuò:
«Non perderti dietro stupidi
dubbi Pasi. Non permettere che nulla al mondo ti ponga dei freni tra te
e lui,
viviti questo rapporto fino in fondo!»
La
serietà repentina con cui Testa di Paglia mi
parlò mi commosse nel profondo:
sentivo il suo dolore e i suoi rimpianti come se fossero stati i miei e
desiderosa di dargli forza l’abbracciai.
«Te
lo prometto Stè. Te lo prometto!»
*****
«Pasi,
bambina, Federico mi ha detto che lo sostituisci tu stasera?»
«Sì,
aveva un impegno e mi ha chiesto se potevo sostituirlo.»
«Ma
sei qui da oggi, sarai stanca!»
«Nient’affatto!
Ho letto tutto il tempo e le ore sono volate via, e poi non potrei mai
lasciarti da solo!»
Anche
quella sera come sempre, Emile aveva le prove con il gruppo: erano ad
un passo
dall’incisione dell’album
e si stavano
concentrando il più possibile per ottenere una buona
esecuzione dei brani. Di
conseguenza Alberto restava da solo ad accudire Claudine e Fede veniva
a dargli
una mano.
Ma
quella sera, e sospettai di
conoscerne
il motivo, il mio amico era impegnato così mi chiese di
sostituirlo sapendo che
ero già lì dal pomeriggio, dando per scontato che
mi facesse più che piacere
restare nella stessa casa in cui sarebbe stato Emile. E come al solito,
aveva
pienamente ragione: avevo promesso a Stè che avrei vissuto
in pieno la mia
relazione, ma in quei giorni tutto c’era tranne le premesse
per far sì che
accadesse. Sapevo quanto Emile tenesse alla musica, ma non riuscivamo
più a
vederci e al telefono era sempre di corsa… sentivo
più la sua mancanza in quel
periodo che nelle
precedenti occasioni in
cui eravamo stati distanti! Dopo
avermi aperto il suo cuore, speravo di
riuscire a trascorrere più tempo con lui, speravo di
riuscire a comprenderlo e
a stargli vicino come non ero riuscita a fare fino ad
allora… invece lo sentivo
più sfuggente, sempre preso dal suo gruppo e dalla
carriera… Sperai quindi di
riuscire a strappargli anche una mezz’ora di tempo quella
sera, pur di averlo
un po’ per me.
«Sai
che ti dico Alberto? Quasi quasi cucino io! Sono stata qui tutto il
tempo a far
nulla, mentre tu sarai di sicuro stanco; resta qui con Claudine, appena
la cena
sarà pronta ti avverto.»
Feci uno dei
miei sorrisi più convincenti e vidi un’espressione
di dolcezza comparire sul
viso di Alberto. prima che mi avvolgesse in uno dei suoi calorosi
abbracci:
«Sei
proprio una cara ragazza!»
Ero
felice di potermi
dedicare a loro in
qualche modo: cucinare per Alberto, Claudine ed Emile mi faceva sentire
utile,
mi sentivo appagata perché,
seppur in
modo minimo, li ricambiavo per tutto quello che avevano donato al mio
spirito e
soprattutto mi faceva sentire a casa.
Mi
era sempre piaciuto cucinare: essendo una buona forchetta, apprezzavo
la gioia
di un buon pasto fatto con amore e quando abitavo con la mia famiglia,
capitava
che preparassi il pranzo quando mia madre faceva tardi;
qualche volta Simona mi dava una mano, era
una di quelle rare occasioni in cui sentivo di essere un membro
effettivo della
mia famiglia, uno di quei momenti che avrei conservato per sempre nel
mio cuore…
Anche
se Alberto aveva l’aria di cavarsela in cucina (come
pasticciere era di sicuro
bravissimo), volevo dare a quella famiglia almeno per una sera, il
calore di un
pasto completo e più egoisticamente, pensai, volevo sentirmi
un po’ a casa mia
in quel luogo divenuto per me così familiare.
Mentre
cucinavo, fantasticai pensando ad una serata in cui tutta la famiglia
Castoldi
potesse riunirsi intorno ad un tavolo, mangiando e chiacchierando
insieme; una
scena simile non l’avevano mai vissuta e in quel momento mi
sentii davvero
triste per loro. In qualche modo io ero riuscita ad avere ricordi
simili: nonostante
l’attrito tra me e i miei genitori, ero riuscita a vivere dei
momenti felici
con loro, invece gli abitanti della casa in cui mi trovavo, con tutta
probabilità non si erano mai nemmeno seduti a quel tavolo
per mangiare. Alberto
avrebbe cenato in camera con Claudine e immaginai che quella fosse una
routine
per lui. Emile di conseguenza cenava da solo? O raggiungeva i suoi
genitori in
quella stanza? Più
li conoscevo e più mi
rendevo conto che lo stato di salute di Claudine, aveva condizionato
quasi ogni
aspetto della loro vita: un impulso di rabbia mi assalì a
quel pensiero e d’improvviso
iniziai a comprendere quel nucleo d’amarezza che il mio
ragazzo aveva
all’interno di sé.
Quando
terminai di preparare la cena, mi accinsi a portarla al piano di sopra
e ad un
passo dalle scale sentii aprirsi la porta di casa: Emile mi
guardò con il volto
stupito e l’aria interrogatoria:
«Che
ci fai qui?»
Era
ancora sull’uscio, la porta era ancora aperta: evidentemente
tutto si aspettava
tranne la mia presenza in casa sua a quell’ora.
«Ho
preparato la cena!» Lo guardai sorridendogli felice, ero
soddisfatta di me e
sperai di vederlo sorridere allo stesso modo... ma non fu
così,
«Sei
rimasta qui per preparare la cena?! Mio padre non sta bene?»
Vidi l’apprensione
comparire sul suo volto...
«No
no, Alberto sta benissimo, Fede non è potuto venire stasera
e lo sostituisco,
così ho deciso di cucinare io mentre tuo padre si rilassava
dopo una giornata
di lavoro. Aspettami torno subito.»
Portai
la cena ad Alberto e Claudine e tornai in cucina, sperando di poter
avere
almeno il tempo di cenare con Emile. Lo trovai in piedi ad osservare le
pentole
e i piatti in attesa di essere riempiti:
«Non
ti piacciono gli spinaci? C’è anche il pollo,
oppure ti preparo qualcos’altro…»
mi avvicinai a lui cingendogli la vita, non ci eravamo ancora salutati
e
desideravo avere un contatto fisico con lui. Emile si voltò
in mia direzione
con un’espressione seria sul viso:
«Pasi
io...» non seppi mai cosa stava per dirmi perché
bussarono alla porta, «Sono i
ragazzi… devo proprio andare!»
«Almeno
dammi un bacio!»
Mi
sentii una bambina che fa i capricci, ma avevo bisogno di un contatto,
di un
segno che c’era ancora qualcosa che ci teneva uniti, non lo
vedevo da una
settimana e non eravamo riusciti a scambiarci che due parole! Emile mi
prese il
volto con le mani e mi diede un bacio intenso e quasi dolente, prima di
staccarsi da me e scomparire con il suo gruppo nel piano interrato di
casa.
Rimasi per un po’ senza parole: mi aveva baciato come se
fosse un addio e d’un
tratto sentii una strana angoscia dentro di me... Copiando il suo
gesto,
osservai anche io le pentole e i piatti, il mio vano e stupido tentativo di avere intorno
a me una famiglia
riunita e mi si bloccò l’appetito.
Salii
al piano di sopra per dare il cambio ad Alberto e lo trovai sul letto,
addormentato abbracciato alla sua Claudine: mi commossi a vederli
insieme in
quella posizione così naturale e dolce. Presi una coperta e
lo coprii e mi
accomodai sulla poltrona, osservando quella coppia che sapeva amarsi
nonostante
tutto e tutti, invidiando il loro legame così vero e
profondo.
Saremmo
riusciti ad amarci così anche io ed Emile? E
perché mi aveva baciato in quel
modo?
Sperai
che la mia inquietudine fosse solo dovuta a stupidi dubbi da innamorata
e
tentai di rilassarmi, ma quella sensazione di angoscia non sembrava
allontanarsi da me.
*****
Quando
aprii gli occhi rimasi totalmente inebetita per ciò che
stavano vedendo: non
avevo la più pallida idea di dove fossi, ma davanti a me
c’era Emile addormentato,
seduto a terra e appoggiato con la testa al bordo di un letto. Spostai
lo
sguardo intorno a me e mi resi finalmente conto di dove fossi e cosa
fosse
accaduto: eravamo in camera di Alberto e Claudine e doveva essere
trascorsa
qualche ora da quando ero salita a dare i cambio al padre di Emile
trovandolo
addormentato… Evidentemente avevamo fatto tutti una
staffetta del sonno, poiché
dopo il mio palese crollo onirico, doveva essere arrivato il mio Pel di
Carota
che aveva seguito tutti noi seguaci di Morfeo.
Feci
un sorriso guardandoci: eravamo crollati tutti in posizioni
tutt’altro che
comode: i genitori di Emile erano ancora abbracciati, io ero
appallottolata su
quella poltrona e il mio adorabile rossino era nella posizione
più scomoda di
tutte. Eppure, tutti riuniti a dormire insieme in quell’unica
stanza,
sembravamo davvero una famiglia e sentii un’ondata di calore
e felicità
invadermi.
Restai
qualche minuto ad osservare i miei compagni di dormita, poi mi decisi a
svegliare
Emile che di sicuro stava dormendo malissimo. Gli diedi un bacio sulla
guancia
e lo chiamai a bassa voce: aprì gli occhi quasi
all’istante, aveva il sonno
decisamente leggero! Mi guardò dapprima sorpreso, ma dopo
qualche istante la
consapevolezza di dove fossimo gli tornò sul viso e
accennando un sorriso si
stiracchiò:
«Ti
sei addormentato in una posizione scomodissima, così non
riposerai!» Mi
inginocchiai accanto a lui.
«Tsk,
ero venuto a svegliarti e invece mi sono addormentato anche io, che
pappamolle!»
Fece un sorriso di scherno verso se stesso e gli accarezzai il viso:
«Devi
essere davvero stanco, vai a riposare.»
Emile
chiuse gli occhi sentendo la mia mano sul suo viso e si
lasciò andare a quel
conforto per qualche secondo, poi mi prese la mano e la calò
tenendola stretta
nella sua:
«Non
prima di aver accompagnato te a casa.»
«Non
preoccuparti per me, torno a casa da sola.» vedendolo
così tranquillo e dolce
nei miei confronti, l’ansia
che avevo
provato qualche ora prima parve scomparire
e mi rincuorai al punto da sentirmi appagata per quei
pochi secondi
d’intimità trascorsi insieme.
«Assolutamente
no, ti accompagno, andiamo.» si alzò
d’improvviso e mi aiutò a risollevarmi,
facendo attenzione a non svegliare i suoi genitori.
Durante
il tragitto in auto non parlammo molto, eravamo entrambi stanchi ed io
ero
felice del solo fatto di stargli accanto, così mi godetti
quel silenzio insieme
a lui. Una volta arrivati a casa di Rita però mi scoprii del
tutto restia a
staccarmi da lui e invece di salutarlo l’abbracciai:
«Mi
sei mancato così tanto in questi giorni!»
Emile ricambiò il mio abbraccio e
poggiò una mano sulla mia testa:
«Mi
dispiace, ma è un momento importante per il gruppo
e...»
Il
gruppo… iniziai a sentire una nota di rancore verso quei
ragazzi e ciò che
rappresentavano, poiché lo allontanavano da me in quel modo!
Ma
avevo detto ad Emile che non gli avrei mai chiesto di scegliere tra me
e la
musica e non volevo venir meno ai miei propositi… anche
perché ero
consapevole che in una battaglia tra me e
i GAUS, sarei stata io ad uscirne sconfitta.
«Lo
so, lo so… restiamo così per qualche minuto
però, non te ne andare subito, Dio
solo sa chissà quando riusciremo a vederci
di nuovo e voglio avere un momento tutto per
noi.» mi
strinsi a lui, ma non sentendo una replica
alzai il viso per osservarlo e vidi il suo volto nuovamente
addormentato!
Decisamente
non era la serata adatta per chiedere attenzioni: lo svegliai, gli
diedi un
bacio che avrei voluto fosse infinito e scesi dall’auto per
permettergli di
tornare il prima possibile a casa. I mei bisogni egoistici avrebbero
dovuto
attendere ancora un po’ per essere soddisfatti.
*****
Aperta
la porta di casa, mi resi conto che Rita non era ancora tornata: i miei
sospetti sull’impegno di Fede divennero certezze e pensando
ai miei amici, che
in quel momento erano insieme, probabilmente intenti a riaccendere la
fiamma
del loro amore mai sopito, mi scoprii pervasa da due sentimenti
contrastanti. Ero
felice per loro, li avevo sempre visti come una coppia: ciò
che avevo detto a
Sofia era vero, ero sicura che fossero fatti l’uno per
l’altra; questa felicità
però era turbata da una profonda invidia, perché
in quel momento avrei voluto
essere anch’io con il ragazzo che amavo.
Avevo
dovuto attendere così tanto per sentirgli dire che
ricambiava il mio amore e da
allora i nostri momenti insieme erano drasticamente diminuiti
anziché
aumentare! E quella sera i miei tentativi di avvicinarlo erano stati un
continuo fiasco…
Avvolta
da quel silenzio e dall’oscurità di una casa
vuota, ripensai al bacio di Emile,
al modo in cui aveva reagito alla mia presenza in casa sua: mi ero
detta che
fossero sciocchi dubbi da innamorata, ma in quel momento
tornò ad assalirmi la
sensazione che si stesse allontanando da me.
___________________________________
NDA
Eccoci di nuovo
qui! Con questo capitolo siamo al giro di boa: dopo aver dovuto
attendere tanto, Pasi è riuscita ad avere l'amore di Emile
(anche se tutto sommato, l'aveva già da tempo ^ ^), ma
standogli più a contatto ha iniziato subito a capire che
stare con un musicista, significa doverlo condividere con una
rivale invisibile ma sempre presente: riuscirà a superare
questo momento d'inquietudine? Manzoni diceva: "Ai posteri
l'ardua sentenza", ma io non sono così sadica... un pochino
forse, ma la risposta l'avrete in questa vita xD
*me schiva i pomodori comparsi improvvisamente nelle mani dei lettori
pronti ad essere usati a mo' di coriandoli*
MESSAGGIO
PROMOZIONALE
In quest'ultima settimana ho avuto modo di conoscere un'altra autrice
di EFP che segue la mia storia con interesse e che è stata
anche così gentile da sponsorizzarmi *me è grata
all'ennesima potenza* : non solo
è una grande amante del Giappone, il che le ha portato
immediatamente tutta la mia stima (e qualcuno direbbe "e a noi che ci
frega?"), ma abbiamo anche scoperto di avere un interesse comune per i
nomi inusuali, anche se lei mi batte alla grande xD
Comunque questo papiro delirante era per dirvi che qui su EFP, questa
mia "collega", che risponde al nome di ThePoisonofPrimula
, sta pubblicando due storie originali
ambientate in una scuola per studenti ricchi ma alquanto bizzarri e la
prima delle due: The
Goldenfish's Destiny è
un vero spasso! Se avete voglia di leggere qualcosa d'intrigante e
divertente e di assolutamente fuori dall'ordinario, leggete
questa storia, la scuola in cui è finita Samara Blake
(un'otaku dai capelli tinti d'azzurro che ha saputo farsi
espellere da tutte le scuole frequentate), il St. Trinian's,
è un covo di folli, talmente folli che vorrei
andarci anche io di corsa!!! *_*
La presenza della preside giapponese già vale la pena di
frequentarlo!!!
Fine dello Spot xD
Angolo dei
Ringraziamenti
Tesore mie, cosa potrei dirvi oggi che non vi ho detto finora? *me
sente delle voci chiedere "la notte di fuoco" e sghignazza tipo
Stregatto*
Siete sempre stupende, sempre presenti ad entusiasmarvi ed emozionarvi
e innamorate di questa storia forse più di me che l'ho
concepita, davvero non ho più parole, ho esaurito il
vocabolario *me pensa di imparare qualche ringraziamento in tutte le
lingue del mondo*, quindi perdonate la ripetitività e
beccatevi questo immenso:
GRAZIE
MILLEEEEEEEEEE!!!!!!!
Grazie, grazie, grazie e
ancora grazie alle mie sorelline: quelle che con precisione svizzera e
grande costanza leggono e recensiscono appena pubblico: Saretta, Niky, Vale, Concy,
e quelle più bradipine: Iloveworld, Ana-chan,
Cicci,
Ely. ARIGATOU TESORE
MIE!! <3<3<3<3
E grazie a tutti voi che continuate a seguire e ad apprezzare questa
storia, mi rendete sempre orgogliosa e felice ^ ^
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
«Così
questa è la madre di Emile?!»
«Sì,
ha una bella voce, vero?»
Stè
aveva un’espressione concentrata mentre ascoltava i brani di
Claudine, ed era
evidente sul suo volto l’apprezzamento per quel modo di
cantare e per quella voce
così soave:
«È
molto dolce; non capisco nulla di ciò che dice, ma il suo
canto mi resta dentro.»
Avevo
chiesto a al mio amico di rendere più fruibili gli album di
Claudine: tutti i
dischi che mi aveva dato Emile erano dei vinile e in un’epoca
in cui il formato
mp3 è il metodo più usato per ascoltare musica,
era alquanto difficile
recuperare un giradischi per ascoltarli. Inoltre volevo portare quelle
canzoni
sempre con me nel mio lettore e con un vinile sarebbe stato decisamente
impossibile!
Testa
di Paglia ancora una volta fu la mia salvezza: aveva un giradischi e
soprattutto aveva la strumentazione necessaria a trasformare un brano
analogico
in uno digitale, così una sera arrivai a casa sua con il mio
tesoro e mentre
veniva operato il miracolo tecnologico, io e Stè
trascorremmo il tempo ad
ascoltare quei brani melodiosi che, seppur incomprensibili, lasciavano
ugualmente una sensazione di pace e dolcezza nell’animo.
«Sì,
è vero Testa di Paglia, lo trovo perfetto per ridare la pace
al cuore.» e Dio solo sa quanto ne
ho bisogno!
«Dovresti
farti tradurre i testi da Emile, almeno sapresti cosa dicono queste
canzoni.»
«Faccio
prima se mi metto a studiare francese, Stè!» Mi
ammutolii all’istante dopo aver
parlato: involontariamente mi
uscì una
battuta amara che esprimeva tutta la mia tristezza e il senso di
solitudine che
avevo dentro. Non volevo lamentarmi con lui, che aveva il cuore
spezzato dalla
morte di Simona. Mi sembrava del tutto indelicato lagnarmi di qualcosa
che ai
suoi occhi doveva essere come una situazione idilliaca: sicuramente
Stè avrebbe
dato l’anima al diavolo per potersi trovare nella mia
situazione, anziché
rimpiangere di non essere mai riuscito ad esternare i suoi sentimenti a
mia
sorella. Per questo motivo mi diedi della stupida non appena terminai
quella
frase infelice.
«Sento
puzza di problemi Testarossa… qualcosa non va col Bel Tenebroso?»
Stè mi fece quello che era il
fantasma del suo sorriso gioviale: quella frase in tempi normali
avrebbe avuto
un tono allegro e bonario, invece risultò essere acida quasi
quanto la mia: mi
sentii a disagio a parlargli di Emile, ma non volevo nemmeno ferirlo
nascondendogli ciò che mi stava a cuore.
«No
Stè… è tutto a posto… il
fatto è che Emile è impegnato e non
avrà di certo
tempo per mettersi a fare da interprete per me… E poi tutto
sommato, non mi
farebbe male imparare un’altra lingua! Ricordi la prof.
d’inglese cosa mi
diceva? “Isoardi tu hai stoffa, potresti imparare altre
cinque lingue straniere
con facilità.”» Imitai il tono di voce
basso e nasale della professoressa per
calarmi nel personaggio; sperai che nominare il nostro passato comune
distogliesse l’attenzione di Stè dal mio
presente…
«Testarossa,
sai bene quanto me che lo diceva per farti frequentare la sua scuola
privata!»
… e a quanto sembrava c’ero riuscita!
«Ma
non è vero! Sei solo invidioso della mia bravura!»
«Testarossa,
la Filangieri ha detto la stessa frase anche a me, non ricordi? E a
Patrizio, a
Marianna, a Corrado…»
il volto di Stè si
rasserenò tornando indietro nel tempo e fui davvero felice
di aver preso due
piccioni con una fava, sviando il discorso su Emile e dandogli modo di
risollevarsi l’animo.
«Sono
dettagli; la verità mio caro,
è che non
accetti che io sia più brava di te!»
«Tu
dici? Allora facciamo così: da domani iniziamo a studiare
francese e vediamo
chi dei due sarà più bravo!»
«D’accordo
Testa di Paglia, ci sto!» sigillammo il nostro patto
stringendoci i mignoli,
come facevamo sin da piccoli, quando frequentavamo le scuole medie e
ogni cosa
era un pretesto per sfidarci. La nostra
amicizia era nata facendo una gara dopo l’altra
e continuava ad esserci
tutt’ora una sana rivalità che dopo otto anni
tornava a sancire
il nostro legame.
*****
«Domani
iniziamo ad incidere i brani.»
«Davvero?!
Sono così contenta Emile!» e
magari
riusciremo a vederci, finalmente!
L’unico
modo che avevamo per tenerci in contatto erano quelle brevi telefonate
notturne, fatte sull’orlo della stanchezza traboccante di una
giornata intera,
quando lo stato di veglia è particolarmente vacillante e
comunicare risulta
arduo. Non erano mai chiamate soddisfacenti per me, che sarei rimasta
ore a
parlare con lui, ma cercavo
di accontentarmi
sapendo che in quel periodo non avevo altra scelta.
«Già…
dovrà essere tutto perfetto, non tollererò il
minimo errore da parte di
nessuno!»
Nonostante
la stanchezza, al solo parlare del suo futuro,
la voce Emile si fece tagliente e immaginai
l’espressione di gelida
determinazione del suo viso, riflessa in quel tono che
d’improvviso m’intimidì.
«A…allora
sarai più libero nei prossimi giorni…»
Quando
lo sentivo così freddo e determinato, percepivo maggiormente
la distanza tra di
noi, al punto da sembrarmi quasi un estraneo…
«Ancora
no, proprio ora dovremo continuare a provare i brani prima di
inciderli, questa
è la nostra occasione e niente e nessuno si
frapporrà fra me e quest’album!» No,
non era ancora giunto il tempo per me…
Pazienta
ancora Pasi, pazienta ancora…
«Capisco…
allora buonanotte… e in bocca al lupo!»
«Crepi…
buonanotte.»
*****
«Buongiorno!»
«Mmmm…
‘giorno.»
Altro
che buongiorno, non avevo praticamente chiuso occhio quella notte; la
mia mente
era un turbine di pensieri tristi e angoscianti e l’unica
volta che ero
riuscita ad addormentarmi avevo sognato Emile che mi volgeva le spalle e si allontanava
da me, insensibile
alla mia voce che lo chiamava… non era affatto un buongiorno
quello!
Rita
invece sprizzava felicità da tutti i pori, aveva gli occhi
luminosi e un
sorriso stampato sul viso che non riusciva a celare: osservandola mi
sentii un
po’ più sollevata e mi ripromisi
di non
guastarle la giornata col
mio cattivo
umore.
«Ti
ho preparato la colazione, Pasi.»
Avvicinandomi
alla cucina, notai la tazza di latte fumante, i biscotti, i cereali e
persino
un cornetto dall’aria invitante: con quella colazione si
sarebbe sfamata
l’Africa!
«Ma
quanto devo mangiare?! C’è una carestia dietro la
porta?»
«Coraggio
mangia che devi nutrirti, stai dimagrendo troppo, sono sicura che non
mangi da
un pezzo.» in effetti in quegli ultimi giorni
l’appetito mi era drasticamente
calato, non ricordavo più da quando non mangiavo un pasto
completo.
«Sei
particolarmente protettiva oggi Rita… qualcosa bolle in
pentola?»
Ero
grata alla mia amica per le attenzioni che mi dimostrava, ma non
essendoci
viste per giorni, dubitai che si fosse resa conto del mio stato
d’animo:
l’unico momento in cui eravamo insieme in quella casa era la
notte, mentre
dormivamo… Forse mi aveva sentita mentre mi lamentavo nel
sonno?
«Non
posso essere premurosa con la mia amica? Dopotutto viviamo insieme e
chi
convive deve prendersi cura l’uno
dell’altro.»
Mi
parlò con quell’espressione insopportabilmente
felice e dopo iniziò a
canticchiare dandomi una carezza sulla testa: era troppo persa nei suoi
pensieri per essere cosciente del mio umore e capii con un misto di
delusione e
sollievo, che quelle premurosità avevano a che fare con il
suo stato d’animo e
non con il mio.
«Rita,
è successo qualcosa con Fede, vero?» Mi
decisi ad affrontare il discorso che sicuramente non vedeva
l’ora di iniziare:
«Oh
Pasi, speravo che lo chiedessi! Sono così felice e avevo
bisogno di condividere
la mia gioia con qualcuno che mi avrebbe capito!»
Eh
già, Sofia non si era dimostrata lieta all’idea
che Fede e Rita tornassero ad
essere una coppia, mentre io ero stata più che felice
all’idea…
«Io
e Fede abbiamo ufficialmente deciso
di
riprovarci, ci siamo visti in queste settimane e ne abbiamo parlato,
abbiamo
discusso tantissimo analizzando ogni piccolo fattore positivo e
negativo… poi
ieri all’improvviso mi ha guardato e mi ha detto:
“Basta, mi sono stancato di
parlare, io ti amo e voglio stare con te, il resto lo affronteremo
insieme,
qualsiasi cosa accada!” Non sono parole
meravigliose?»
Il
viso di Rita era così luminoso da rischiarare
l’ambiente in cui eravamo: erano
davvero delle belle parole quelle di Fede, talmente belle che mi fecero
male:
Emile mi avrebbe mai parlato in quel modo, mi avrebbe mai rivolto
parole
simili?
«Sì,
sono davvero belle!»
Stiracchiai
il mio migliore sorriso e ascoltai il racconto di Rita, che persa nella
sua gioia
egoistica da innamorata, non si era minimamente resa conto di quanto mi
stessi
sforzando di essere allegra: m’immersi nella sua
felicità gioendo con lei, ma
con le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per il senso di
tristezza
e solitudine che sentivo dentro.
*****
«Ora
basta! Mi sono davvero stancata!»
«Testarossa…
che ti prende?» Stè mi guardò con
l’aria più sorpresa del mondo: eravamo da
Simona, ognuno immerso nei propri pensieri, quando
all’improvviso quella parte
di me che più amavo, quella che mi aveva sempre incitato a
combattere per ciò
in cui credevo, prese finalmente il sopravvento sulla Pasi piagnucolona
e
triste che ero stata negli ultimi giorni.
Emile
faceva il prezioso? Allora gli avrei ricordato che esistevo anche io!
Non
dovevo assoggettarmi alla sua volontà, doveva rendersi conto
che stare con
qualcuno significava venirsi incontro ed io ero stanca di essere messa
all’angolo!
«Sto
bene Stè, non è niente… potresti darmi
un passaggio?»
*****
Mi
feci accompagnare a casa di Emile: molto probabilmente era ancora a
provare e
molto sicuramente non sarebbe stato contento di vedermi lì,
ma io ero
esasperata, la sua mancanza mi stava lacerando e la paura che si stesse
allontanando da me non mi faceva più dormire, avrei
preferito mille volte vederlo
arrabbiato, piuttosto
che continuare
questo gioco dell’indifferenza!
Appena
entrai, sentii le familiari vibrazioni provenienti dal piano
sottostante e le
parole di Alberto confermarono che, come previsto, i GAUS erano ancora
intenti
a provare.
«Sì
bimba mia, sono lì sotto da ore… sicuramente
Emile li sta sfinendo, è un
perfezionista e dato che questi sono i brani da incidere, sta
massacrando i
ragazzi con le prove! Scendi da loro, serve un po’ di pausa a
tutti!»
Ero
già determinata a scendere quelle scale, ma
l’incoraggiamento di Alberto mi
diede del coraggio aggiuntivo, in più ero desiderosa di
vedere Emile in sala
prove, così non persi tempo e scesi nel piano interrato. Le
scale conducevano
ad un piccolo ambiente più lungo che largo, in cui
rimbombavano le vibrazioni
emesse dagli strumenti musicali: un tavolino circondato da sedie era
situato
verso la parete di sinistra e un divanetto
era posto lungo il resto della stanza, mentre sul fondo
era visibile un
piccolo frigorifero. Le pareti erano tappezzate di posters dedicati
alla storia
della musica, interrotti solo da una bacheca su cui erano apposti un
calendario
scribacchiato su cui campeggiavano una sequenza quasi ininterrotta
delle parole
“prove” e “incisione”
più qualche sporadico: “incontro col
produttore”. Accanto
ad esso c’erano anche dei bozzetti,
con il nome dei GAUS in bella mostra: probabilmente erano le prove per
la
copertina dell’album!
Sulla
parete di destra, mimetizzata dallo stesso colore azzurro delle pareti,
c’era
la porta di quella che doveva essere la sala prove: da quella direzione
sentivo
provenire le vibrazioni, ma in quel momento mi accorsi che
l’ambiente si era
fatto improvvisamente silenzioso e privo di onde sonore. Immaginai che
i
ragazzi avessero sospeso le prove, quello era il momento propizio per
annunciarmi! Mi avvicinai alla porta: mi stavo allungando alla maniglia
per aprirla,
quando d’improvviso ne uscì Claudio, col viso
arrossato e un’asciugamani sul
collo. Fu sorpreso di vedermi lì, ma c’era
più che altro una nota di disappunto
sul suo viso, come se non fossi una presenza gradita…
«Emile!
C’è la tua coda qui!»
Stavo
per replicare a quel modo sgarbato di presentarmi, ma Claudio
salì le scale,
probabilmente in cerca di refrigerio, togliendomi la
possibilità di difendermi.
«Pasi!
Che ci fai qui?»
La
voce sorpresa di Emile mi arrivò come una scossa dietro la
schiena, mi preparai
a ricevere una sonora ramanzina per il mio autoinvito non richiesto, ma
quando
mi voltai l’unica cosa che il mio cervello riuscì
a comprendere, fu quanto
profondamente mi fosse mancato quel viso!
Il
mio Pel di Carota si avvicinò e gli presi una mano:
«Avevo
voglia di vederti, è da tanto che non abbiamo modo di stare
insieme… Mi mancavi
e speravo che avessi finito con le prove…» i suoi
occhi si fecero intensi, non
saprei dire se fosse per piacere o fastidio nel sentire quelle parole,
però non
mi mandò via, né mi fece ramanzine come avevo
temuto.
«Ne
abbiamo ancora per un po’, mancano alcuni pezzi…
puoi restare qui se vuoi.» mi
fece un caldo sorriso e mi accarezzò la guancia,
così presi coraggio ed entrai.
Maurizio
a stento mostrò di avermi vista, mentre Francesco e Filippo
mi salutarono
allegramente: grazie a loro mi sentii la benvenuta e quando Claudio
tornò, gli
lanciai un’occhiata inacidita e mi accoccolai in un angolo
pronta ad
ascoltarli.
La
prima nota la sentii dritto nel cuore e per tutto il resto del tempo,
la musica
e il canto diventarono parte del mio sangue: il mio corpo percepiva
tutte le
vibrazioni e le assorbiva dentro di sé, divenni un
tutt’uno con le loro melodie.
Fu un effetto molto più forte e intimo rispetto alle volte
in cui li avevo
sentiti dal palco: l’ambiente era piccolo e gli amplificatori
erano tutti
intorno a me e la voce di Emile, quella voce che tanto mi aveva rapito
mesi
prima, ascoltata ad una distanza così ravvicinata mi dava i
brividi.
Mi
sentii pervasa dalla musica e per un attimo capii come doveva sentirsi
un
musicista, con quel dono nel sangue che scalpitava ogni giorno: sentire
la musica
nel proprio respiro, nel proprio battito cardiaco, essere in grado di
creare
nuove melodie direttamente dall’interno di sé,
non per una pressione indotta come con gli strumenti, ma
perché era già
dentro il proprio animo. Quell’animo in grado di percepire le
note in un alito
di vento o nello sciabordio dell’acqua…
Il
mondo dei musicisti era un mondo più ricco, carico di
espressioni da esternare
o nuove melodie da scoprire… un mondo sospeso tra il nostro
e quello
dell’immaginario.
Sull’onda
di quei pensieri, paradossalmente d’un tratto sentii Emile
lontano da me, per
quel suo essere così speciale, perché tutto
ciò che sentiva quando scriveva,
quello che provava quando cantava e suonava, io potevo a malapena
immaginarlo.
Quando
cantava, Emile vibrava: il suo sguardo era intenso, la sua voce mi
scuoteva… e
sentivo in ogni sua nota, la dedica silenziosa a sua madre e al mondo
che era
stata costretta ad abbandonare. Era così intenso che solo le
loro continue
interruzioni riuscivano a distogliermi da ciò che mi
trasmetteva.
E
in uno di quei frangenti, mi resi conto di quanto fosse esigente col
suo
gruppo:
«Claudio
eri fuori tempo.»
«Ma
cosa dici? Io ero perfettamente in tempo, sei tu che hai
l’abitudine di variare
i pezzi e poi non ti trovi più.»
«Le
mie variazioni sono minime e sono per sperimentare
l’esecuzione migliore, o
preferisci offrire al pubblico una
versione scialba e incolore del nostro primo album?»
«Emile
non essere pignolo, era impercettibile, nessuno si sarebbe accorto che
era
fuori tempo e poi siamo un po’ stanchi, è normale
avere qualche calo
nell’esecuzione.» disse Filippo, conciliante.
«Io
non ero fuori tempo! Vi siete messi d’accordo per far fare
bella figura al
signorino con la ragazza?»
«Che
cosa vuoi dire!?» Emile iniziò ad infuriarsi:
aveva lo sguardo pericolosamente
concentrato su Claudio e la voce minacciosa.
«Calma,
calma, ragazzi! Stiamo provando da ore e siamo stanchi, smettiamola con
questi
toni, non è una serata di lotta libera!»
Al
pari del fratello, anche Francesco cercò di smorzare la
tensione improvvisa che
si era creata nell’aria… ma gli sguardi tra Emile
e Claudio non promettevano
nulla di buono.
«Vuoi
fare sempre la primadonna, ecco cosa intendo! Decidi tu il tempo di un
brano,
poi lo cambi improvvisando, decidi tu quanti pezzi includere nella
scaletta,
quando fare le prove… Ti comunico che in questo gruppo siamo
in cinque! Ci hai
lasciato come degli idioti in Germania per due giorni, per correre
dietro le
gonne di quella lì: eravamo
in tour se
non sbaglio! Non sei tu quello che non guarda in faccia a niente quando
c’è la
musica di mezzo? Quello che non ha avuto remore a dirmi che se non mi
stava
bene ad anteporre il gruppo su tutto, potevo anche andarmene? Allora
piantala
di fare la primadonna isterica e impara ad ascoltarci!»
Emile
era furioso, «Razza di smidollato…»
stava per saltare addosso a Claudio,
nonostante il batterista fosse più alto e più
grosso, quando m’intromisi nel
discorso: ero stata messa in causa e non potevo lasciar correre:
«Ehi,
parla di me con più rispetto! Emile non è venuto
dietro le mie gonne, si dà il
caso che…»
«Pasi
non t’intromettere!» Emile si rivolse verso di me
furioso, ma non mi feci
intimorire e replicai:
«No
Emile, mi ha tirato in mezzo!»
«Non
m’interessa! Non è una cosa che ti riguarda
questa!»
«Ah
beh, scusami tanto se ho le orecchie e gli occhi e ho sentito e visto
che mi si
tirava in ballo! Fino a prova contraria, questo significa che mi
riguarda!»
«Pasi
esci fuori di qui!»
«No,
non me ne vado!»
«Ti
ho detto ESCI FUORI DI QUI!»
Il
suo volto era furente, gli occhi erano due pozze azzurre
d’ira, il viso rosso
di rabbia: per un attimo ebbi paura di lui. Ma dopo pochi attimi,
ripresi
padronanza di me stessa e del mio corpo e uscii da quella saletta
furiosa e
umiliata.
*****
Me
ne andai nel laboratorio di Alberto a sfogare la mia rabbia, per essere
stata
trattata da Emile in quel modo. E soprattutto davanti al suo gruppo,
che mi
aveva criticato.
Mi
sedetti a terra, accanto al cavalletto e ai colori abbandonati, immersa
tra le
tele di Alberto che sprizzavano gioia di vivere e serenità
proprio come lui.
Strinsi
le ginocchia al petto e piansi di rabbia, e solo quando scaricai tutto
il
nervosismo, iniziai a respirare lentamente per riacquistare
serenità. Solo
mezz’ora prima ero finalmente con lui e unita alla sua musica
e invece ero
finita con l’essere cacciata via in malo modo dal suo mondo.
Tutte le mie
angosce, tutti i dubbi che si erano arrovellati nel mio cervello in
quei giorni,
esplosero dentro di me: mi sentii un peso per lui, qualcosa di estraneo
al suo
cuore, qualcuno che non voleva far entrare nel suo animo. Ero davvero
offesa e
furente con lui per il modo in cui mi aveva trattato e per come mi
stava
facendo sentire. Ma ero furiosa anche con me stessa, per essermi
mostrata nuovamente
una sciocca emotiva, per essermi sentita così legata a lui
da non riuscire ad
attendere un altro giorno per vederlo e finire con l’essere
cacciata via in
quel modo.
Dov’era
la Pasi orgogliosa, quella che non si faceva zittire, che sapeva
difendersi da
tutti? Dov’era la me stessa che s’infuriava e
reagiva e che non finiva a fare
la stupida ragazzina offesa e in lacrime, incapace persino di lasciare
quella
casa per il desiderio di essere rincorsa e non lasciata a se stessa?!
Ero
davvero patetica, non ero cambiata minimamente e questo forse mi
bruciava anche
più del modo duro con cui mi aveva trattato Emile.
Poco
tempo dopo, sentii le voci dei ragazzi che risalivano dal sottoscala e
la porta
di casa che si apriva per farli uscire. Attesi di veder comparire
Emile, nella
speranza che mi cercasse: quando emerse dall’uscio della
porta mi chiusi in un
mutismo offeso, pronta a sentire cos’aveva da dire. Mi
guardò con
un’espressione intensa tra l’arrabbiato e il
preoccupato, poi lo vidi abbassare
le spalle e sospirare prima di sedersi accanto a me.
«Scusami,
lo so che sono stato rude, ho avuto una reazione eccessiva...»
«Mi
hai umiliata.» sentenziai con rabbia, senza nemmeno guardarlo
in viso.
«Cosa?
Umiliata? E in che modo scusa? Solo perché ti ho detto che
la faccenda non ti
riguardava?»
«È
stato il modo, Emile!» mi girai in sua direzione furente:
«Mi hai imposto di
stare zitta, come se fossi stata una stupida oca, davanti a tutto il
tuo
gruppo! Sono settimane che mi allontani da te, che mi sento qualcuno di
troppo
e con il tuo comportamento di oggi mi hai fatto sentire una
nullità, proprio
quando mi stavano anche offendendo!»
«Claudio
non ce l’aveva con te! Offendeva me casomai! Tu eri solo il
mezzo con cui
voleva colpirmi!»
La
voce di Emile iniziò ad assumere dei toni più
alti; stava per nascere una bella
discussione.
«Proprio
perché sono stata messa in mezzo, volevo replicare! Nessuno
può parlare di me
in quel modo senza che io replichi!»
«Lo
vuoi capire che non c’entravi nulla nel discorso?! Eri solo
un pretesto per
mettere zizzania, ma tu non hai nulla a che vedere con il mio gruppo e
la mia
musica!»
Emile
era adirato ed io ancora ferita e quella frase fu un colpo diretto al
mio cuore:
«Scusami
tanto se sono un fardello da portare, un peso che ti trascini e ti
tiene
lontano dalla musica!» Iniziai a sentire le lacrime tornare
nei miei occhi e
lottai per cacciarle dentro.
«Ma
cosa vai farneticando, Pasi? Ma quale fardello? Perché fai
la melodrammatica
ora?»
«Io
non faccio la melodrammatica! Parlo per ciò che vedo e ho
visto che sono di
troppo, che quando suoni io non conto più nulla, non hai
più bisogno di me!» Nonostante
le mie proteste, iniziai a piangere…
«Te
l‘ho detto sin dall’inizio che la musica
è al centro della mia vita ed ora
soprattutto non ho tempo per altro! E se vogliamo dirla tutta, nemmeno
tu hai
bisogno di me quando hai il tuo cavaliere biondo accanto!» Il
tono di voce di
Emile si fece amaro, come se portasse un pensiero doloroso dentro di
sé da
tempo.
«Il
mio cav... Emile non posso crederci! Stè è come
un fratello per me! Cosa
diavolo stai insinuando? Nemmeno i quindicenni fanno più
capricci simili!»
Sapevo
che con quest’accusa l’avrei ferito, Emile era
sempre stato responsabile, anche
da bambino e dargli dell’immaturo era un’offesa
pesante per lui, un po’ come lo
era per me sentirmi dare della pettegola.
«Ah,
quindi sarei uno stupido quindicenne? Ok, va bene, allora lo stupido
quindicenne ora alza i tacchi e si chiude in camera sua a sentire
musica, perché
è un moccioso idiota che non vuole confrontarsi con gli
altri!»
Detto
questo si alzò e andò via furioso dal
laboratorio, dove io rimasi sola e in lacrime.
Dopo una mezz’ora, ripresa la calma e la padronanza di me, mi
alzai e me ne
andai, incurante di salutare Alberto o di sapere dove fosse Emile.
*****
Ero
davvero sfinita, confusa, arrabbiata… ero preparata ad un
confronto tra noi, ma
non avrei mai creduto di finire in quel modo quella giornata,
maledicendo me
stessa per la mia stupidità, per la mia fragilità
e arrabbiata a morte con
Emile che non mi aveva capita e che era stato in grado di umiliarmi
più volte
nel giro di poche ore. E quell’assurda gelosia nei confronti
di Stè!
Avevo
sempre dovuto combattere per affermare il mio legame con Testa di
Paglia e
alcune volte, avevo anche scelto di allentarlo per evitare discussioni
sterili
col ragazzo di turno… ma non avrei mai più
anteposto qualcun altro ai miei
amici: i ragazzi vanno e vengono, mente loro mi sono sempre stati
accanto! Per
di più non avrei mai immaginato che una persona come Emile,
potesse essere
preda di un sentimento così sciocco!
Eppure
era la testimonianza che lui ci tenesse a me… anche se era
il modo più stupido
di manifestarlo: proprio Stè, che era a pezzi per il vuoto
che gli aveva
lasciato Simona! E poi quel suo ritorcermi contro, la stessa accusa che
gli
avevo fatto io, quello era stato davvero un atto infantile! Non
l’avrei
perdonato facilmente, non mi sarei di nuovo abbassata ad andargli
incontro! No,
non dovevo più annullarmi e perdonare sempre…
soprattutto con lui!
Avrebbe
dovuto riflettere su ciò che aveva fatto, su come mi aveva
umiliato, sulla
sciocchezza che aveva insinuato! Non
avrei tollerato altro che le sue scuse, anche se fossi stata costretta
a
soffrire per la sua mancanza, anche se mi fosse costato non vederlo per
un po’,
ma io non avrei ceduto!
Sentii
il bisogno di sfogare la mia rabbia con qualcuno… in una
vita che mi sembrò
lontana anni luce, sarei andata direttamente da Stè, ma con
l’accusa che mi
aveva rivolto Emile e sapendo quanto ancora lui stesse male per Simona,
i miei
problemi sentimentali erano l’ultima cosa che avrebbe dovuto
sentire! Fede e
Rita molto probabilmente erano insieme e la presenza di un terzo
incomodo non
sarebbe stata affatto gradita… Mi restava Sofia e pensai che
forse il suo modo razionale
di vedere le cose, che normalmente aveva la capacità
d’irritarmi, in quel
frangente mi sarebbe stato d’aiuto per schiarirmi le idee e
riflettere a mente
lucida… Anche se ero certa che non avrei mai cambiato la mia
risolutezza a non
cedere di fronte ad Emile.
Non
mi soffermai nemmeno a chiamarla per sapere se fosse in casa: Sofi era
una
pantofolaia convinta e probabilmente anche un po’
sociopatica, tuttavia aveva
un modo sottile e attento di comprendere il mondo e le sue leggi.
Bussai
alla porta di casa e mi aprì suo padre: era
l’unico genitore con cui vivesse da
quando la madre si era separata dal marito. Siccome non era stata
reputata in
grado di mantenere la figlia piccola, Sofia era stata affidata al
padre,
vivendo da quel momento come se avesse un solo genitore,
poiché sua madre
risultò davvero poco capace di prendersi a cuore la figlia.
Sofi, già di per sé
acuta e più intelligente della norma, in quel modo
iniziò a crescere con un
senso di responsabilità più alto rispetto ai suoi
coetanei.
Quando
il padre mi annunciò, rimase sorpresa di vedermi:
«Qual
buon vento Pasi!»
In
quel momento mi sentii vagamente in colpa con lei: Stè era
sempre la mia meta
quando avevo voglia di stare in compagnia, Fede lo vedevo ogni giorno
in
comunità e Rita, a parte quell’ultimo periodo in
cui ero diventata sua
convivente, avevo sempre avuto modo di sentirla. Sofi invece era ai margini delle mie
amicizie.
Le
volevo davvero bene, ma caratterialmente eravamo agli antipodi: sempre
agitata
io, calma all’estremo lei, per quanto fossi
impulsiva io, tanto era razionale e pacata lei e spesso la
sua logica
era così sbaragliante da non lasciarmi modo di replicare ed
io odiavo essere
zittita!
Però
Sofi aveva anche una profondità che mi faceva riflettere,
che mi aiutava a
guardarmi dentro e a non buttarmi a capofitto in tutte le cose senza
averci
riflettuto su almeno un po’. O almeno qualche volta ci
provavo!
«Ciao
Sofi… ecco… passavo di qui e mi sono detta
“Quasi quasi vado da lei”…»
«Cosa
c’è che non va, Pasi? Si vede lontano un miglio
che non sei in te. Hai litigato
con Emile?»
Era
proprio inutile fingere con i miei amici… oppure ero io
incapace di celare le
mie emozioni al genere umano!?
«È
così palese?!» abbassai le spalle sconsolata.
«Coraggio,
ci prendiamo una bella cioccolata e me ne parli, ok?»
*****
«Uhm…
proprio una bella litigata, non c’è che
dire!»
«Già…
ed ora sono così arrabbiata con me e con lui!»
Appoggiai sconsolata la testa
sul tavolo della cucina, davanti alla mia tazza di cioccolata,
«In questo
momento non so nemmeno
se l’amo o l’odio
di più!»
Sentii
Sofi poggiare la sua tazza sul tavolo:
«Da
come hai reagito, è chiaro che l’ami,
com’è chiaro che vi riappacificherete.»
«Questo
lo so anch’io! Il problema sarà la
modalità! Io non voglio cedere e so che
anche lui non è un tipo che chiede scusa
facilmente… soprattutto dopo essersi
sentito dare dell’immaturo!»
«Io
non direi che si faccia troppi problemi Pasi, ti ha chiesto scusa
appena ti ha
vista, no? Secondo me, dovrai solo attendere che si faccia
vivo… oppure
lanciargli tu un segnale che lo stai aspettando.»
«Oh
no, no, no! Io non lancio proprio alcun segnale Sofia!
Se lo capisce è bene, sennò
significa che non
c’è comunicazione fra noi!»
«La
comunicazione tra voi non c’è proprio se rimani
con questo stupido puntiglio!
Come pensi che possa capire cosa ti aspetti da lui, se non gli mandi
dei
segnali? E poi, a dirla tutta, questo tuo atteggiamento mi sa proprio
di
infantile.»
Quell’affermazione
di Sofia mi fece alzare di scatto la testa per fronteggiarla:
«Infantile
io? Ma Sofi, sto cercando di proteggere la mia dignità! Non
posso e non voglio
passarci sopra e fingere che non mi abbia ferito, in modo da
permettergli di
farlo ancora!»
«Pasi,
il modo migliore per evitare che succeda è quello di
parlagli, ma senza
rancore, senza offese, senza sputare veleno né da parte sua,
né parte tua!
Fagli capire che sei arrabbiata ma anche che vuoi risolvere la faccenda
e
trovare un modo per venirvi incontro. Sembrate due bambini che si sono
offesi a
morte e che vogliono far la pace, ma che di sicuro aspettano che
l’altro faccia
la prima mossa… È questo il rapporto maturo che
vuoi stabilire con Emile?» Tornai
ad abbassare il capo, mi sentii davvero una stupida in quel momento:
«No…
non voglio questo…»
«Allora
rifletti bene sul modo più giusto d’agire, pensa
al modo migliore in cui puoi
fargli capire le tue ragioni e nello stesso tempo farlo ragionare senza
recriminazioni. Offendervi l’un l’altra non vi
aiuterà di certo a comunicare e
ad accorciare le distanze tra di voi! Ancora un po’ di
cioccolata?»
«Sì,
grazie!»
*****
Ero
di ritorno da casa di Sofi, diretta a casa di Rita (con la speranza che
non fosse
in compagnia di Fede), quando squillò il cellulare: il mio
cuore balzò in gola
al pensiero che fosse Emile, ma sapevo che non poteva essere lui, anche
se c’ero
andata vicina: a chiamarmi era suo padre.
«Pasi
stai bene? Cos’è successo? Quando sei andata via?
Emile non mi ha detto nulla e
non ha voluto rispondermi quando gli ho chiesto dove fossi.»
«È
tutto ok, sto bene… m-mi sono ricordata di avere un impegno urgente
all’improvviso e sono corsa via…» ecco
la stupida balbuzie che tornava a colpire! Alberto non se la sarebbe
bevuta.
«Avete
litigato, piccola?»
«Un
po’…» non riuscii a continuare, sentivo
l’odiato magone far capolino nella gola
e dopo un attimo sentii un sospiro provenire dal cellulare:
«Quel
figlio mio e la sua lingua tagliente! Vedrai che si renderà
conto di aver
esagerato e ti cercherà per chiederti scusa. Ora distraiti
un po’ e non
angosciarti troppo, ok? Sono cose che capitano purtroppo, soprattutto
con
Emile!»
«Sì…»
l’affetto che sentii per quell’uomo,
m’investì all’improvviso come il sole
dopo
un temporale e mi scaldò il cuore, che sentivo gelido da
ore.
«Grazie
per aver chiamato.»
«Di
nulla piccola, ti voglio bene.» il magone stava per
tramutarsi nuovamente in
pianto; quale potere avevano su di me gli uomini di quella famiglia!?
«Anche
io… anche io ti voglio bene!»
E staccai
la conversazione prima che Alberto sentisse il mio pianto improvviso.
*****
Rita
non era in casa: il silenzio più totale regnava in
quell’appartamento, così
decisi di andare a dormire. Nel buio e nella solitudine di quel
lettone, mi
resi conto di non sentirmi più a mio agio ad essere ospitata
dalla mia amica e
quel pensiero, unito alla giornataccia che avevo appena vissuto,
contribuì a
farmi sentire ancora più sola.
__________________________________________
NDA
Cosa sarebbero Emile e
Pasi senza le loro litigate? E in questo caso hanno dato proprio il
meglio (o il peggio a seconda dei punti di vista) di loro! Non mi
linciate se vi siete depresse e/o arrabbiate, è tutta colpa
di Emile U_U *me sente il rossino che la guarda
con aria minacciosa e dice "Che razza di madre snaturata!"*
Sempre perchè io non mi ossessiono, sto procedendo con la
revisione degli ultimi capitoli e con mia grande gioia sto scrivendo
ancora *me fa la ola* così dagli iniziali 19
capitoli, ora
me ne trovo 22, dei quali gli ultimi 3 sono ancora da controllare e
sistemare (pignoleria portami via). Quindi anche se siamo sempre
più vicini alla fine, la vostra lettura sarà
prolungata un pò rispetto al previsto ^ ^
Detto questo, passiamo all'Angolo
dei Ringraziamenti.
Tesore, siete sempre meravigliose, siete sempre più
partecipi ed entusiaste, per cui io continuo a ringraziarvi dal
profondo del cuore!
Un grande e immenso ARIGATOU
a:
Iloveworld,
la madrina di questo racconto, colei che per prima mi ha incitato a
pubblicarlo, che nonostante i problemi di connessione ha trovato il
modo di leggere e recensire. Tesorina mia, non ho parole, sono davvero
commossa e gratificata dal tuo affetto, grazie davvero!!! *_* (Se avete
voglia di fantasy e di una storia dolce e romantica, iniziate a leggere
il suo Ali
d'Argento, non ve ne pentirete!)
Vale, Niky, Concy, Saretta, che danno linfa vitale a
questa storia con le loro recensioni puntuali ed entusiaste. Sorelline
mie, siete i miei pilastri <3<3<3
Cicci,
Ana-chan,
Ely,
che mi sostengono con altrettanto entusiasmo. Tesore mi fate felice
ogni volta che mi date segno del vostro affetto e appoggio <3
Un grandissimo ARIGATOU
va anche a tutti coloro che hanno messo questa storia nelle seguite, e
tra le preferite; mi riempite di gioia con il vostro apprezzamento! *_*
E grazie un milione di volte a tutti coloro che mi sponsorizzano ARIGATOU GOIZAMASU!!!!!
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16
Trascorsi
due giorni nel tentativo di non pensare a quello che era accaduto tra
me ed
Emile, ma l’impresa si rivelò ardua, soprattutto
nel momento in cui andavo a
prestare il mio solito aiuto a Claudine. Iniziai anche a maledirmi per
aver
deciso di scendere in quel seminterrato quel pomeriggio…
Pensare che ero così determinata
a pretendere un po’ di tempo per me e invece ero finita con
l’essere messa alla
porta... sarebbe stato meglio se fossi rimasta con Stè!
Le
ore accanto a Claudine passarono lente: avevo sempre il timore
d’incontrarlo,
ben sapendo che in quell’orario era a lavoro… non
volevo vederlo, o meglio
avrei voluto che fosse stato lui a venire da me…
d’un tratto mi risuonarono in
testa le parole di Sofia:
“Come pensi
che possa capire cosa ti
aspetti da lui, se non gli mandi dei segnali?”.
Ripensai
allora al periodo in cui comunicavamo tramite bigliettini e decisi di
mandargli
un sms… provai e riprovai tutto il tempo, cercai di trovare
un modo per
esprimere la mia rabbia ma senza recriminare, in modo da fargli
comprendere
senza offenderlo, quanto profondamente mi avesse ferito. Prima di
andarmene
diedi un saluto alla sua stanza con lo sguardo e sperai dentro di me
che il suo
occupante, capisse ciò che volevo dirgli.
Non
voglio essere ancora arrabbiata con te, ma
non riesco a dimenticare ciò che è accaduto. Ho
voglia di parlarti, ho bisogno
di discutere la faccenda a mente lucida e senza recriminazioni. Mi
manchi.
*****
Intanto
la situazione in comunità iniziò a precipitare:
ci comunicarono ufficialmente
che entro la fine del mese, avremmo dovuto abbandonare quel luogo e a
conti
fatti, restavano due settimane per trovare una nuova sede per i
residenti e un
nuovo lavoro per noi dipendenti. In
quei
giorni pensai spesso alla proposta di Fede, soprattutto dopo quello che
era
accaduto con Emile, che avvalorava la mia decisione di non sentirmi una
sua appendice,
un qualcosa che dipendeva dai suoi spostamenti.
Gli
avrei fatto vedere di che pasta ero fatta, gli avrei mostrato (ma
l’avrei fatto
soprattutto a me stessa), che avevo anch’io dei progetti,
indipendenti dai suoi
e dalla sua presenza nella mia vita.
Decisi
di parlare a Fede per accettare di condividere il suo sogno e farlo mio.
Lo
trovai in quella che doveva essere la sede della prima fase della
nostra
avventura: il mio amco non aveva perso tempo ed era riuscito
già a trovare un
locale per la nostra attività, provvisto di anticamera,
bagno e altre due
salette che sarebbero diventate i nostri “uffici”.
Il progetto iniziale
prevedeva che il nostro fosse un centro di ascolto e di orientamento,
dotato di
depliants informativi su psicologi
e/o centri di aiuto mentale. Non potevamo avere già una
figura professionale,
non avendo carte in mano, ma almeno potevamo aiutare chi aveva problemi
psicologici a scegliere la giusta strada.
Purtroppo
questo sarebbe stato più che altro un impegno di
volontariato, il che implicava
che avrei dovuto cercarmi un altro lavoro e che probabilmente avrei
dovuto
anche rinunciare al mio appuntamento con Claudine!
La
mia vita stava cambiando di nuovo radicalmente ed io ancora non avevo
tutte le
idee chiare su come affrontare questi stravolgimenti: non volevo
lasciare
Claudine, ma non volevo nemmeno tirarmi indietro, avevo fatto la mia
scelta ed
ora dovevo affrontarne le conseguenze!
Fede
fu felicissimo di sentirmi convinta ed entusiasta del suo progetto e
probabilmente si aspettava che gli dicessi di sì sin
dall’inizio, poiché mi
lasciò subito le chiavi del locale, la mia copia di chiavi,
quando andò via lasciandomi
a sistemare i primi mobili che era riuscito a recuperare. Tra questi
c’era
anche la cassettiera di Emile: evidentemente l’aveva
reclamata a sé, essendo
stato un suo acquisto ed ora si trovava lì con noi, a farci
compagnia, a
sostenerci e a ricordarmi quanto tremendamente mi mancasse quella
stupida Testa
di Carota!
*****
Tornai
a casa, o meglio a casa di Rita, che come al solito non era presente:
stavolta
mi lasciò un biglietto spiegandomi che non sarebbe rientrata
per la notte…
considerando la fuga improvvisa di Fede immaginai dove potesse essere e
soprattutto con chi. Quindi mi preparai a trascorrere
un’altra notte solitaria
e silenziosa. Mi faceva male essere in quella casa: probabilmente se
avessi
vissuto da sola avrei sentito meno la sensazione di essere stata
dimenticata.
L’amarezza,
la rabbia e l’idea di essere un peso per Emile, sommati al
vuoto silenzioso che
trovavo rincasando, davano alle mie notti un’agitazione e una
disperazione che
iniziavano a pesarmi: odiavo stare sola e in quel frangente la
situazione era
diventata insopportabile! Se solo Emile fosse comparso
all’improvviso,
chiedendomi scusa e dicendomi che ero più importante di ogni
cosa per lui!
Ma
quelle erano scene da film, nella realtà non sarebbero mai
accadute. Mi buttai
sul letto sconsolata e mi addormentai.
Il
mio sonno però, durò poco: mi svegliai di colpo
sentendo squillare il cellulare:
era Emile!
«Pronto...»
«Sei
in casa?»
«Sì.»
«Sono
davanti alla porta.»
«Qui?
Davanti alla porta di questa casa?»
«Sì…
posso entrare o torno a casa e parliamo per telefono?» Il solito
acido… non si smentiva mai!
«Arrivo.»
Con
il cuore in gola, fuggii in bagno per darmi una sciacquata al viso e
sistemarmi
i capelli (per quel poco che potevo, volevo rendermi presentabile!) e
aprii la
porta.
Era
sempre un’emozione forte vederlo: la sua figura alta e
snella, il suo viso
sottile dagli zigomi alti, quegli occhi capaci di contenere sia il
freddo del
ghiaccio che l’impeto del mare e i suoi riccioli
infuocati…
La
sua espressione era seria e concentrata, i
suoi occhi di un azzurro intenso e il mio
cuore sussultò di una dolorosa gioia nel vederlo.
Ci
accomodammo sul divano dove settimane prima mi aveva stretto a
sé, seduti
accanto ma rivolti l’uno di fronte all’altra.
Iniziò a crearsi della tensione:
lui non parlava mentre io attendevo che lo facesse e dopo dei secondi
infiniti,
non ressi più ed iniziai la conversazione:
«Hai
letto il...»
«Sì…
ma sarei venuto comunque, se non oggi, domani… questa
situazione non piace
nemmeno a me, ma ho avuto problemi con la band in questi giorni e non
ho avuto
tempo per...»
«Problemi
con la band? A causa di ciò che è accaduto
l’altro giorno?»
Era
mai possibile che quel litigio tra Claudio ed Emile avesse creato
così seri
problemi? Ed era vero che non c’entravo nulla in quella
storia?
«Quella
è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso,
c’erano già attriti tra noi,
che ora stanno esplodendo...»
«Ma
proprio ora che dovete pubblicare l’album!»
«Pasi,
non sono venuto qui per parlare del gruppo!» Mi
freddò in un istante, ancora
una volta non voleva che m’intromettessi nella sua vita
professionale!
«Già,
io non c’entro nulla con la tua musica, vero?»
Gli
rivolsi uno sguardo amareggiato: non volevo arrivare a discutere
animatamente,
ma quell’argomento mi aveva ferito troppo per non mostrarlo
così apertamente.
Emile chiuse gli occhi e fece un sospiro, come a volersi dare forza e
parlò:
«Lo
so che ho sbagliato. L’ho ammesso sin dall’inizio
di essere stato troppo brusco
con te… e mi dispiace davvero di averti ferita e fatto
sentire di troppo. Non era
quella la mia intenzione.»
«E
qual era la tua intenzione?» Parlai con calma, ponderando
bene le parole…
sperai che la rabbia non mi assalisse e che riuscissimo a parlare
civilmente
senza offenderci, come la volta precedente.
«In
quel momento volevo solo mandarti via.»
«Non
capisco: se non ero di troppo, perché allora non volevi che
fossi lì?»
Emile
abbassò il capo, sembrava che stesse riflettendo su cosa
dire e dopo qualche
secondo rialzò il viso in mia direzione:
«Ricordi
che quando ti ho detto di amarti, ho anche aggiunto che ne ero
terrorizzato?» Ricordavo
benissimo il suo volto tormentato mentre mi diceva d’amarmi,
non l’avrei mai
dimenticato!
«Sì,
certo.»
«È
ancora così Pasi, io ho paura di ciò che provo
per te, perché mi fa agire
diversamente dal mio solito.» la stessa situazione che vivevo
io…
«Tu
non ti rendi nemmeno conto di cosa ci sia qui dentro di me quando ti
penso!
Smetto di essere ciò che sono, il mio mondo cambia
all’improvviso ed io perdo
il senso delle cose! Tu diventi tutto ciò che mi fa muovere,
tutto cade in
secondo piano ed io abbandono ciò per cui finora ho
vissuto.»
Se
fossero state dette con un altro tono, quelle parole avrebbero
costituito una
delle dichiarazioni più belle che avessi mai sentito in vita
mia e invece in
quel momento, erano cariche di paura.
«Quello
che ha detto Claudio è vero: ho sempre imposto al gruppo di
pensare prima di
tutto alla musica e alla carriera e invece io sono stato il primo a non
farlo!
Sia chiaro che non me ne pento: verrei da te altre mille volte,
perché in quel
momento sentivo che dovevo esserti accanto. Ma è vero anche
che quel gesto mi
ha mostrato quanto potere tu abbia su di me.»
Io
avevo potere su di lui… io che fino a pochi secondi prima
credevo di essere un
peso!
«Quando
sono venuto con te al cimitero, ho visto il forte legame e
l’intesa che ti
legano a Stefano, ho visto il modo in cui interagite, la confidenza che
avete e
mi sono sentito niente a confronto! Sì, sono geloso Pasi,
perché io non sarò
mai così spontaneo, perché gli anni che vi hanno
legato li ho persi e non potrò
recuperarli e non so nemmeno se riuscirò mai ad avere una
confidenza così
spiccata con te! E questa gelosia mi ha colpito
all’improvviso come un pugno in
pieno viso, perché in quel momento ho perso di vista tutto,
la razionalità mi
ha abbandonato… Così mi sono imposto di
concentrarmi solo sulla musica, per non
pensare al potere che avevi su di me…
ma
più ti tenevo a distanza e più mi mancavi e
questo mi ha fatto infuriare!»
La
sua mano era serrata a pugno, stava trattenendo l’ira che gli
era tornata
ripensando a quei momenti.
«Le
parole di Claudio stavano solo confermando ciò che
già mi stavo rimproverando,
per questo averti lì ha amplificato la mia ira. La rabbia
che ho rivolto a te
in realtà era diretta a me! Perché non sono
capace di essere me stesso e perdo
di vista i miei obiettivi!» Abbassò lo sguardo
colpevole, come se le accuse che
rivolgeva a se stesso le vedesse riflesse sul mio volto.
Incapace
di tenere le distanze da lui ulteriormente, poggiai una mano sulla sua,
prima
di parlare:
«Anch’io
sono arrabbiata con me stessa, per averti permesso di farmi sentire in
quel
modo. Quando sto con te divento una rammollita, sempre pronta a
piangere invece
che a far valere i suoi diritti ed io odio sentirmi così.
Però ho fatto un
giuramento con me stessa e so che anche se qualche volta
inciamperò, non
perderò la strada che ho intrapreso. Ciò che
proviamo l’uno per l’altra è
qualcosa che ci arricchisce e non deve toglierci nulla di
ciò che siamo… ma
probabilmente lo capiremo solo dopo aver fatto altri sbagli.»
«Pasi,
questa è la prima volta in vita mia che mi faccio travolgere
così dai miei
sentimenti! Finora non ho mai aperto il mio cuore alle ragazze che ho
avuto.
Erano solo un divertimento che finiva in breve tempo, un trastullo
senza
coinvolgimenti… tu sei la prima che mi abbia mai fatto un
effetto simile!»
Il
cuore mi balzò in gola: l’intensità del
tono di Emile, le sue parole, mi
stavano scombussolando interiormente, sentivo in qualche modo la sua
sensazione
di essere travolto da un tifone che gli aveva messo a soqquadro le idee
e i
sentimenti, che gli faceva mettere in discussione tutte le
priorità a cui si
era aggrappato in quegli anni: ero stata in grado di farlo vacillare,
di
distoglierlo dalla musica, che era la sua unica ragione di vita!
«Io
non voglio perderti Pasi, perché sei troppo importante per
me, ma ho paura che
la tua luce abbagli tutto ciò che ho dentro e che io finisca
col perdermi in
quella luminosità.»
A
quel punto tutta la mia rabbia svanì: lo capivo, comprendevo
le sue paure
perché le avevo anch’io e avevamo permesso
entrambi che quei timori ci
dividessero. Eravamo proprio due sciocchi!
Accorciai
d’improvviso la distanza tra noi gettandomi su di lui per
abbracciarlo: volevo
sentirlo tra le mie braccia, volevo sentire il suo cuore accanto al
mio, volevo
diventare un unico essere con lui e non separarmene mai più!
«Siamo
stati due stupidi Emile! Abbiamo permesso che le nostre paure ci
dominassero
invece di bloccarle! Io ti amo Emile, ti amo! E non voglio perderti,
non voglio
più sentirmi di troppo, non voglio più sentirmi
lontana dal tuo cuore!»
Lo
strinsi ancora più forte a me, se avessi potuto fondere i
nostri corpi in uno
solo l’avrei fatto all’istante, per non sentire mai
più quella fredda distanza
tra noi.
Sentii
le braccia di Emile circondarmi a loro volta, le sue mani premere sulla
mia
schiena:
«Anch’io
ti amo Pasi, ti amo come non ho mai amato nessuno da quando sono al
mondo e
anche se ho una paura atroce di ciò che provo, non potrei
mai più concepire la
mia vita senza di te.»
Iniziai
a piangere di felicità, la solitudine che avevo sentito
negli ultimi giorni si
sciolse come neve al sole, scaldata dalle parole del mio astro
personale. Emile
mi accarezzò i capelli e dopo un po’ mi
allontanò da sé per asciugarmi le
lacrime dal volto con un una mano, mentre le sue labbra baciarono i
miei occhi,
prima di raggiungere la bocca. La gioia per esserci chiariti, per
esserci
riappacificati aprendoci senza alzare barriere, esplose in quel bacio
in cui
sentii di desiderare Emile come mai prima: gli avvolsi le mani intorno
al collo
e mi feci trasportare da una passione che stava annullando ogni mio
pensiero
razionale.
I
nostri baci divennero sempre più profondi, le mie mani
affondarono nei suoi
ricci mentre lo stringevo a me, desiderandolo con sempre più
intensità. Le mani
di Emile premevano sulla mia schiena e un brivido mi
attraversò quando sentii
le sue dita delicate che avanzavano sulla mia pelle nuda, al di sotto
del
pigiama. Sospirai di piacere mentre le sue labbra scesero lungo il
collo: erano
calde, morbide e appassionate, ogni suo bacio lasciava una traccia di
ardente
calore sulla mia pelle e iniziai a perdere il contatto con la
realtà. Le mie
mani cercarono la sua pelle, s’insinuarono sotto gli abiti
fino a raggiungere
la sericità della sua schiena, sentendo la tensione dei
muscoli sottostanti…
Con un gesto rapido gli tolsi la maglia per poter sentire il sapore
della sua
pelle sulle mie labbra: era un nettare delizioso per la mia bocca
assetata,
ogni volta che poggiavo la bocca su quella pelle delicata e fresca
m’incendiavo
di desiderio e ne venivo travolta, non c’era altro che
comprendessi in quel
momento, dentro di me c’era solo passione: quella che sentivo
in me e quella
che ricevevo da Emile.
La
sua mano mi sfiorò il seno e gemetti: la maglia del pigiama
volo via e la sua
bocca fece friggere la mia pelle con scariche sempre più
intense di piacere… mi
adagiò sul divano portando una delle mie gambe intorno alla
sua vita e a quel
punto persi totalmente la lucidità.
I
baci di Emile, le carezze di Emile, la pelle di Emile, le mani di
Emile: tutto
di me rispondeva a lui, il mio cuore risuonava all’unisono
con i battiti del
suo, i nostri due corpi si stavano unendo per tornare ad essere
un’entità sola:
non esisteva più alcun problema, alcuna tristezza, ero una
cosa sola con Emile,
eravamo diventati un essere unico, e la mia felicità in quel
momento fu
indescrivibile.
Trascorremmo
quella notte a far l’amore e a parlare, senza più
maschere a dividerci, senza
più inibizioni, timori o dubbi a separarci: abbracciati
pelle contro pelle,
cuore sul cuore, ci ripromettemmo di non permettere mai più
alle nostre paure
di aver la meglio su di noi.
*****
Quella
mattina ebbi uno dei più bei risvegli della mia vita: aprii
gli occhi con la
sensazione di non essere sola, che già di per sé,
dopo le ultime tre notti, era
una grande consolazione. Ma quando girai il capo alla mia destra e vidi
accanto
a me il viso addormentato di Emile, mi scoppiò in petto la
felicità. Fu
un’emozione così forte, così inattesa
che sentii il mio corpo tremare e gli
occhi si velarono.
Quel
viso così bello, screziato da spaurite efelidi sul naso che
gli davano l’aria
di eterno ragazzino, quel viso tanto amato era lì accanto al
mio, sereno e
rilassato nel sonno: l’accarezzai delicatamente sperando di
non svegliarlo e
ringraziai Dio per avermi concesso una tale gioia.
Il
tempo di ricompormi e far sparire le lacrime ed Emile aprì
gli occhi e dopo il
primo battito di ciglia mi sorrise con dolcezza:
«Buongiorno.»
disse con gli occhi ancora assonnati ed io travolta dalla gioia
incontenibile,
ruppi qualsiasi atmosfera romantica potesse esserci, balzandogli
direttamente
addosso per svegliarlo:
«Buongiorno
dormiglione!»
«Ahiiiii!
È questo il modo di svegliarmi? Accidenti sei proprio una
streghetta!» Sorridendo
Emile prese il mio viso tra le sue mani, mi osservò per un
istante e mi chiese:
«Quale
incantesimo mi hai fatto?»
Ero
arrampicata a cavalcioni su di lui: poggiandomi sul suo petto,
avvicinai di più
il mio viso al suo per stuzzicarlo:
«Semplice,
ti ho fatto innamorare di me perché hai offeso i miei TresneT!»
Gli
occhi di Emile si spalancarono con finta sorpresa mentre con un sorriso
astuto
mi fece rotolare su me stessa, ribaltando le nostre posizioni.
«Ah,
è così allora, è una vendetta!
Dimentichi però che anch’io ti ho ammaliato, non
sono forse straordinariamente bravo?!»
Sapevo
che prima o poi mi sarei pentita di averglielo detto, quel complimento
se l’era
legato al dito in attesa di rinfacciarmelo, quel diavolo rosso!
Ma
non gli avrei dato quella soddisfazione una seconda volta e sorridendo
mostrai
la migliore delle mie facce da poker:
«Non
ricordo di averlo detto!»
I
suoi occhi balenarono pericolosi, il suo sorriso si fece furbetto:
«Ah,
così non ricordi, eh? Vediamo se riesco a farti tornare la
memoria!» E
prese a farmi il solletico.
«Ahahah!
Emile basta! Smettila! Ahaha!»
«Avanti,
dillo che sono straordinariamente bravo!»
Non
l’avevo mai visto così: il suo volto era sereno e
vitale come non mai, i suoi
occhi emanavano una luce febbrile di gioia:
«No!
Non lo dico!» Sgranai gli occhi sfidandolo, emanando la
stessa tensione che
percepivo nel suo sguardo: non mi avrebbe avuta così presto!
«Non
lo dici? Allora la pagherai!» Tornò nuovamente a
farmi il solletico e
nonostante gli dicessi di
smetterla,
continuò imperterrito finché negoziai la mia
resa:
«Ok,
ok, ora ricordo; va bene? L’ho detto!»
«Dillo
di nuovo!»
«No!»
«Dillo
di nuovo!»
«Cosa
mi dai in cambio?»
«Cosa
vuoi?»
Presi
il suo viso tra le mie mani e lo avvicinai a me, gli diedi un bacio
appassionato
e la mia risposta non arrivò più.
Avrei
voluto che quel mattino non avesse avuto mai fine, ma la vita ci
chiamava a sé
e dovevamo rispettare i nostri impegni. Tra mille baci e una tazza di
latte,
consumammo la nostra colazione, ci rendemmo presentabili per il resto
del mondo
all’esterno e uscimmo da quella casa, ognuno diretto al
proprio dovere
quotidiano.
*****
A
lavoro fui una specie di automa: il mio corpo agiva come sempre, ma la
mia
mente era occupata a pensare alla notte appena trascorsa. Ero felice.
Sentivo
un calore immenso irradiarsi dal mio cuore, sorridevo ogni istante nel
ricordare i momenti condivisi e il modo in cui le nostre reciproche
barriere
erano state annientate.
Quella
notte per la prima volta vidi l’anima di Emile.
Ripensai
alle nostre paure che ci avevano diviso in modo così
infantile e mi ripromisi
di non farmi più prendere da esse. Sarei stata forte, non mi
sarei più fatta
dominare dalla paura e dai dubbi.
Emile
mi amava. Io ero importante per lui e il vederlo così felice
quella mattina,
era valso quanto mille prove a sostegno di ciò che provava
per me.
In
quella notte qualcosa era cambiato in noi e tra di noi. Avevamo messo a
nudo
corpo e anima, non c’era più alcuna maschera,
nessuna barriera, alcuna paura a
dividerci. Sentii che il nostro legame si era rafforzato e che avevamo
acquisito una maggiore fiducia in noi stessi. Sapevamo che le paure di
una
erano le stesse paure dell’altro e con questa consapevolezza
e la comprensione
reciproca, ci saremmo sostenuti per non cedere ad esse e non deluderci
reciprocamente.
_________________________________________
NDA
*fa una risatina
soddisfatta*
*fa un'altra
risata felice*
*Muhauhauahauahaauau*
ALLOOOORA, siete
contente???? C'è stato abbastanza fuoco? (e sentì
un NOOOOOOO di proporzioni epiche) Aspettavate qualcosa di
più?
Spero che
l'attesa sia stata ripagata con una lettura che vi abbia soddisfatto,
ma
in caso contrario per rimostranze, lamentele e (spero di no) insulti
vi aspetto nelle recensioni xD
Siate gentili
please, non sparate all'autrice! *me fa gli occhioni languidi*
Angolo dei Ringraziamenti.
È con estrema gioia che annuncio il ritorno della mia
beta-nonché-madrina-di-questa-storia Iloveworld, a
cui vanno i miei ringraziamenti per essersi messa a recensire ogni
capitolo precedente, per rifarsi del tempo perso quando non era in
linea. Tesoro sei stata un amore come sempre, non ti smentisci mai,
grazie infinite!!!
E grazie come sempre all'infinito alle mie sorelle
sempre presenti:
Niky, Vale,
Concy
( se siete delle Echelon, non vi
perdete le sue FF: qui su EFP lei è Echelena,
e da molte
soddisfazioni a tutte le fans dei Mars, provare per credere!), Saretta (che anche se fuori casa non
manca di chiedermi se ho aggiornato <3). E grazie mille alle mie
sorelline più latitanti: Cicci, Ana-chan, Ely.
Grazie a tutti voi che mi seguite, grazie a chi ha inserito questa
storia tra le preferite e chi tra quelle da ricordare. Ogni vostro
segno
d'apprezzamento è linfa vitale per me e per questa
storia. ARIGATOU
GOZAIMASU!
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
La
vita è un fiume in continuo movimento, è
cambiamento, è trasformazione, è
mutevolezza. Prima s’impara questo concetto e meglio si
sarà pronti ad
affrontare ciò che lei ha in serbo per noi.
Da
quando avevo conosciuto Emile, la mia vita aveva subito molti scossoni
e il
flusso di cambiamenti che mi stava travolgendo sembrava non volersi
arrestare:
la comunità aveva definitivamente chiuso e con essa si
chiudeva un capitolo
della mia esistenza.
Avendo
acquisito una certa esperienza nel campo, trovai lavoro nelle cucine di
un fast
food; non era proprio un ristorante a tre stelle ma aveva di buono che
adottava
i turni, così a seconda dell’orario di lavoro,
avevo anche la possibilità di
stare con Claudine e/o fare qualche ora di volontariato nel nostro
centro di
ascolto, senza dover rinunciare a nulla di ciò che erano i
miei impegni
quotidiani. Inoltre la paga mi avrebbe permesso di prendere un
appartamento che
fosse solo mio ed essere finalmente indipendente.
Non
avendo tutti i pomeriggi liberi però, costrinsi Alberto a
chiamare nuovamente
un secondo infermiere per dare una mano a Sabrina:
«Mi
dispiace tantissimo, sono stata io ad offrirmi per stare accanto a
Claudine ed
ora ti lascio così su due piedi!»
Ero
mortificata, non riuscivo a non sentirmi colpevole verso Alberto per
avergli
offerto un aiuto che ora dovevo ritirare.
«Bambina,
tu hai fatto anche troppo! Quale ragazza della tua età
avrebbe sacrificato
tutti i suoi pomeriggi e anche qualche sera per accudire una donna
malata? Non
devi scusarti di nulla, hai la tua vita da vivere, ci
penserò io a ma chère,
com’è giusto che sia.»
Eravamo
in cucina, seduti a parlare: avevo atteso il suo arrivo per avvisarlo
della mia
futura assenza e appena gli dissi di avere una notizia importante da
dargli, mi
fece accomodare davanti ad una tazzina di caffè e qualche
cioccolatino. Sentendo
la mia costernazione, mi diede uno
dei suoi meravigliosi abbracci da padre che riuscivano a tirarmi su il
morale e
subito dopo riprese a parlare:
«Anche
Emile deve iniziare a staccarsi da questa casa: la sua vita
professionale sta
iniziando a crescere e dev’essere libero di viaggiare e
muoversi senza restare
ancorato ad una situazione che non si evolverà mai,
è giusto che voi giovani
apriate le vostre ali e andiate incontro al futuro.»
Rimasi
avvolta da quell’abbraccio nel silenzio che seguì,
godendomi quel momento di
affetto, finché
Alberto aggiunse:
«Hai
intenzione di seguirlo?»
Si
stava riferendo al tour promozionale che Emile e il suo gruppo
avrebbero
iniziato a breve: i contrasti interni sembravano essersi assopiti e
l’album era
ad un passo dall’essere registrato completamente. Il prossimo
passo sarebbe
stato la promozione del loro primo lavoro, in contemporanea con la sua
uscita
europea nei negozi di dischi: la casa discografica aveva puntato
soprattutto
sull’estero, avendo grandi speranze sulle vendite
internazionali. Mancavano
solo pochi ulteriori accorgimenti tecnici e i GAUS avrebbero spiccato
il loro
primo volo ufficiale… Ed Emile sarebbe stato lontano da me
per qualche mese…
«No,
non lo seguirò. Ho la mia vita qui e il mio
lavoro… sarebbe del tutto inutile
essere con il gruppo, sarei solo un peso per lui.» Inoltre io e la sua musica non possiamo vivere
così a stretto contatto!
Da
quando avevamo messo a nudo le nostre paure e abbassato ogni difesa,
avevo
automaticamente messo distanza tra me e la sua band: la musica era
sempre stata
la sua ragione di vita e non volevo più che la mia presenza
distogliesse Emile
dai suoi obiettivi, così imparai a non chiedergli
più nulla, a non
intromettermi più nella sua vita professionale. Avevo la
ferma convinzione che
per poter coesistere entrambe nell’animo del mio Pel di
Carota, io e la musica
dovevamo tenerci a debita distanza l’una
dall’altra.
Non
mi piaceva l’idea di essere all’oscuro di una parte
così importante della sua
vita, ma se questo era il compromesso necessario per dargli
l’equilibrio
interiore e non farlo più sentire in conflitto,
l’avrei accolto con
gioia e senza rimpianti.
«Hai
ragione bambina, quella è una strada che deve percorrere da
solo… in questo
modo sarà più dolce ritrovarsi,
giusto?» Si staccò da me e mi guardò
negli
occhi con quell’espressione maliziosa che ricordava
terribilmente quella di suo
figlio e comprendendo il significato nascosto delle sue parole,
arrossii:
Alberto si fece la sua bonaria risata e mi diede un bacio sulla fronte:
«Vieni
a trovarci quando vuoi, considera questa casa come la tua.»
Quelle
parole così cariche di affetto mi diedero una gioia
così grande, che iniziai a
sentire le lacrime premermi agli angoli degli occhi, mi resi conto solo
in quel
momento di quanto desiderassi sentirgli dire una cosa simile!
«Pasi,
bambina che succede?» Alberto poggiò le sue mani
sulle mie spalle con il volto
preoccupato, cercando di capire cos’avessi.
«N-niente
Alberto, va tutto bene… è che… grazie,
mi hai fatto felice con quelle parole!»
Avevo il capo chino e tentavo di frenare le lacrime che scorrevano
copiose; il
padre di Emile mi strinse nuovamente a sé e sorrise di
cuore:
«Bambina
mia, sono io che devo ringraziare te per essere entrata nelle nostre
vite! Sei
una persona speciale Pasi, non lo dimenticare mai e non sottovalutarti
mai!»
Restai
abbracciata a lui per un po’, godendomi
quell’affetto e quel calore umano così
dolce e paterno, così desiderato che non volevo
più staccarmene: Alberto era
davvero una persona unica!
«Devo
iniziare a insospettirmi, ci sono troppi abbracci fra voi
due!»
La
voce di Emile mi arrivò alle spalle: presa dalle mie
emozioni, non mi ero resa
conto che fosse rincasato. Ci guardò con espressione acida,
ma i sui occhi
brillavano, non erano adirati, stava giocando con il padre come al suo
solito.
«Hai
ragione figliolo, fai bene a sospettare: sono innamorato di questa
ragazza,
quindi se non la tratterai bene, te la ruberò!»
Alberto
fece un sorriso malizioso verso Emile mentre mi teneva ancora stretta a
sé ed
io d’un tratto arrossii a quell’inaspettato
complimento; il mio Pel di Carota
dal canto suo non si scompose e replicò a suo padre:
«Stai
tranquillo papà, io non lascio andare facilmente qualcosa di
prezioso.» il viso
di Emile aveva lo stesso identico sorriso malizioso di suo padre, in
quel
momento la somiglianza tra loro due divenne impressionante e mi sentii
travolta
da una strana emozione: sapevo che scherzavano, che erano presi da un
gioco
tutto loro che facevano da anni, ma il sentirmi contesa in quel modo,
da due
uomini che amavo in modo diverso ma ugualmente forte, mi fece girare la
testa e
fui quasi sul punto di perdere l’equilibrio quando Alberto si
staccò da me.
«Bene,
ora che abbiamo chiarito questo punto, vado a congedare
Sabrina.» diede un
buffetto sul viso ad Emile e ci lasciò da soli.
Rimasi
dov’ero, inebetita e sconvolta da quella strana sensazione e
guardai Emile
quasi alla ricerca di una risposta alla confusione che avevo dentro. Si
avvicinò e mi osservò preoccupato:
«Qualcosa
non va?»
Alzai
lo sguardo sui suoi occhi grigi screziati d’azzurro:
l’amore che provavo per
lui, unito alla confusione di quel momento mi ammutolirono e mi gettai
direttamente
tra le sue braccia.
«Oh
Emile!» Il mio amato Pel di Carota mi strinse a sé
ancora più preoccupato:
«Pasi
io stavo scherzando, non crederai davvero che dicessi sul
serio?» Feci cenno
col capo, incapace di aprire ancora bocca, «A dir la
verità una punta di
gelosia l’ho provata davvero, ma credo di essere patologico
in questo: sono geloso
di chiunque ti tocchi!»
Il
suo tono era ironico e di sicuro c’era
dell’amarezza all’interno, ma Emile
sembrava aver raggiunto una certa consapevolezza
sull’argomento e non ne faceva
più un dramma… almeno all’apparenza!
Scaldata da quell’ammissione di debolezza
riuscii a tornare in me e a padroneggiare nuovamente l’uso
della parola:
«Non
hai nulla da temere… anche se potrei fare un pensierino su
tuo padre!»
Risi
a quella frase, per prenderlo un po’ in giro e per
assicurarmi che davvero
fosse un argomento su cui potessi scherzare e per fortuna, ebbi la mia
conferma:
«Eh
già, è il fascino di famiglia, nessuna donna
resiste agli uomini di questa
casa.» Sorrise nel parlare e sorrisi anch’io a
quella battuta che, per quanto
potevo testimoniare io, aveva un certo fondamento: seppur in modo
diverso, gli
uomini di quella famiglia mi avevano ineluttabilmente travolto e rubato
il
cuore.
*****
L’affetto
di Alberto, per me così importante e prezioso, mi fece
pensare nuovamente ai
miei genitori: era trascorso del tempo dal nostro ultimo drammatico
incontro e
dopo aver ricevuto quella manifestazione d’affetto
così esplicita, mi
venne voglia di
vedere coloro a cui avevo
sempre chiesto implicitamente un amore simile.
Quando
bussai alla porta, nuovamente venne ad aprirmi mia madre: era
visibilmente dimagrita
e aveva lo sguardo stanco e mi preoccupai all’istante,
vedendo quanto la
perdita di Simona stesse gravando sulla sua salute fisica e
probabilmente anche
mentale. Fu sorpresa di vedermi, ma sul suo volto tirato notai una luce
di
felicità: nonostante ciò che ci eravamo detti
tempo prima, ero ancora la
benvenuta in quella casa.
«Per
quale motivo sei venuta?»
Eravamo
in cucina, mia madre stava armeggiando con la caffettiera mentre io
l’osservavo
seduta al tavolo: «È passato un po’ di
tempo dall’ultima volta che sono stata
qui e volevo vedervi.»
Mi
dava le spalle per cui non vidi la sua reazione alle mie parole, ma
notai che
si portò una mano al viso come per cacciare indietro le
lacrime: in quel
momento mi si strinse nuovamente il cuore nel vederla così
fragile.
Adele
era sempre stata una donna sicura di sé e orgogliosa: non
aveva mai mancato in
espressioni di affetto verso me e mia sorella, ma la sua rigida
educazione non
le permetteva di lasciarsi andare più di tanto e per me
restò sempre una figura
distante, un mistero irraggiungibile, fissa sul suo piedistallo di
perfezione.
Da quando era morta Simona invece, avevo visto ciò che
quell’educazione aveva
celato ai miei occhi per diciannove anni: era fragile mia madre, la sua
sicurezza era una corazza ben costruita per nascondere le sue emozioni,
per non
essere calpestata e la mia fuga da casa, sommata
all’abbandono di Simona,
avevano distrutto le sue protezioni, la sua sicurezza come madre e la
sua
certezza di averci accanto.
«Mamma
io… non volevo essere così dura l’altra
volta…»
«Lo
so Pasifae, ce l’hai detto chiaro e tondo che con noi dai il
peggio di te.»
«Non
è quello che intendevo!»
La
mia voce iniziò ad alterarsi, ma non volevo terminare quella
visita nuovamente
con un litigio; sperai di riuscire almeno una volta a parlare con mia
madre in
modo civile.
«Come
stai vivendo? Lavori? Ti mantiene qualcuno?»
Chiuse
la caffettiera e la mise sul fuoco, preparandosi a prendere lo
zucchero, senza
mai voltarsi in mia direzione.
«Vivo
da Rita, ma non mi mantiene lei: sto lavorando nella cucina di un fast
food.»
Sapevo
quanto il mio umile lavoro avrebbe creato una smorfia di
disapprovazione sul
suo viso: lei e mio padre avevano avuto grandi speranze per me,
immaginavano di
avere due figlie professioniste, due eminenti dottoresse rispettate nei
rispettivi campi di studio… ed ora c’ero solo io,
impiegata in una fumosa cucina
di un qualsiasi fast food… la loro delusione doveva essere
amara come fiele. Ma
se mi volevano ancora nelle loro vite, avrebbero dovuto accettare sin
dall’inizio chi ero e cosa facevo, era inutile nascondere la
realtà su di me.
«Capisco.»
fu la lapidaria reazione di mia madre, che celava la sua delusione quel
tanto
che bastava per evitare un’altra discussione: almeno avevo
avuto la conferma
che anche lei volesse stabilire una comunicazione con me!
Versò il caffè nelle
tazzine e si venne a sedere dov’ero io:
«Sei
felice ora?»
La
guardai in viso: non era una domanda sarcastica, la sua espressione era
sinceramente preoccupata, probabilmente era la prima volta che mia
madre
s’interessava davvero ai miei stati d’animo.
«Sì
mamma, sono felice… per quanto possa esserlo con un dolore
dentro che non andrà
più via.» mia madre strinse una mano e
calò il capo: quel dolore era il legame
che ci univa di più in quel momento e forse come avevo
sperato tempo fa,
avrebbe potuto aiutarci a comprenderci.
«Questa
casa è vuota e fredda senza di voi. Tuo padre si
è chiuso nel suo dolore, non
vuole parlare: con me finge che tutto sia a posto, ma poi lo vedo che
si chiude
nel suo studio e trascorre ore ed ore in
silenzio…» Mio padre era sempre stato
il più rigido dei due: orgoglioso, razionale e poco incline
a slanci d’affetto,
era il genitore con cui più avevo problemi; sentivo un
abisso di distanza tra
noi due, era sempre così impassibile da non sembrarmi umano
e non riuscivo a
pensarlo come l’uomo sofferente descritto da mia madre.
«Dovreste
distrarvi in qualche modo, fare qualcosa di diverso dal solito, uscire, impegnarvi in qualche
attività in modo da non
pensare…» stavo parlando a cuore aperto come se mi
rivolgessi ad una delle mie
amiche e non a mia madre… ma mi resi conto subito che Adele
non era né Rita, né
Sofia.
«Come
potremmo, Pasifae! Siamo in lutto, non possiamo mostrarci impegnati in
qualcosa
o addirittura come una coppia felice che va in vacanza, non sarebbe
corretto!»
Ancora
le apparenze! Persino davanti alla propria sofferenza, alla propria
salute
psico-fisica, salvare la faccia era ancora la regola di vita che
regnava in
quella casa!
«Oh
mamma, ma insomma! Non vedi che vi state distruggendo?!
L’unica scorrettezza la
fate verso di voi, annullandovi e vivendo solo nel dolore! In questo
modo non
vi abituerete mai a conviverci, ma ne sarete sopraffatti e non vi
resterà più
nulla dentro!»
Emile
e Alberto convivevano con un dolore profondo da vent’anni e
mi avevano dato una
grande lezione sulla forza di volontà degli esseri umani.
Non potevo tollerare
che i miei genitori, all’apparenza così forti e
imperscrutabili, si facessero
sopraffare in questo modo dalla mancanza di Simona.
«Anche
se vi chiudete in voi stessi e mostrate al mondo il vostro lutto, Simo
non
tornerà indietro! A chi gioverà dunque questo
comportamento? L’unica persona a
cui dovreste rendere conto è mia sorella e lei non avrebbe
mai voluto vedervi
in questo stato! Reagite per la miseria, reagite e vivete!»
Ecco.
Mi ero agitata di nuovo. Era davvero impossibile per me mantenere la
calma con
loro… feci un respiro profondo prima di tornare a parlare:
«Posso andare un
attimo di sopra? Devo prendere un libro in
camera…» Mi alzai per darmi tempo di
far sbollire la rabbia ed evitare di andare ulteriormente in
escandescenza.
«Questa
è ancora casa tua Pasifae, non c’è
bisogno che tu chieda il permesso.»
*****
Tornare
in camera mia dopo tanto tempo, mi fece uno strano effetto: mi
sembrò di essere
stata catapultata dentro un’altra vita, lontana pochi mesi
nella realtà, ma
distante anni dentro di me. Ormai quella stanza parlava di una Pasi che
non
c’era più, non la sentivo più mia, non
la vedevo come un rifugio tranquillo…
anche se in effetti non lo era mai stato.
Quando
abitavo in quella casa facevo di tutto pur di uscirne, mi sentivo in
trappola,
mi mancava l’aria… Quella stanza non mi sarebbe
mancata in sé e per sé, ma solo
per i ricordi che conteneva: ero entrata per prendere un libro, ma mi
ritrovai
a prendere una borsa e ad infilarci dentro un album fotografico, dei CD
e
qualche altro oggetto, che mi riportava alla mente dei momenti della
mia vita,
che non volevo dimenticare. Uscendo da quella stanza salutai la me
stessa che
ci aveva abitato e mi ritrovai a passare davanti alla porta della
stanza di
Simona. Non riuscii ad impedirmi di entrare.
Tutto
era come Simo l’aveva lasciato: i libri sulla scrivania, gli
scaffali in
ordine, i gioielli chiusi nel portagioie sulla consolle…
osservai i libri sulla
scrivania e aprii il testo che stava studiando: Calcolo
numerico, qualcosa di assolutamente incomprensibile per me,
ma che doveva costituire la materia della sua tesi, quella tesi che non
avrebbe
mai completato, quella laurea che dopo anni di studio non avrebbe mai
avuto…
Sentii
un nodo alla gola che si trasformò in pianto quando vidi
ciò che era stato
conservato gelosamente tra quelle pagine piene zeppe di formule
matematiche: foto
mie e sue risalenti alla serata trascorsa insieme mesi fa. La serata al
Sandbox, quando ancora troppo
arrabbiata
con lei, non le rivolsi parola, quando l’esibizione di Emile
mi sconvolse
definitivamente… Non fu certo una serata di comunione tra
sorelle, ma eravamo
insieme ed evidentemente a Simona doveva essere bastato. Scoppiai in un
pianto
a dirotto, sentendo il mio senso di colpa nei suoi confronti riemergere
in
tutta la sua potenza: quella sarebbe stata una ferita che non si
sarebbe mai
rimarginata, l’avrei portata sempre dentro di me come un
monito a non
dimenticarmi mai delle persone che amavo, l’ultima ed eterna
lezione che avevo
ricevuto da mia sorella.
*****
«Quella
casa è piena di ricordi tristi per te, ora.»
Emile
era stato ad ascoltarmi in silenzio mentre gli raccontavo la visita ai
miei
genitori e la scoperta delle foto nel libro di Simona. Eravamo
abbracciati,
adagiati sul suo letto: Alberto era con Claudine e noi due eravamo
intenti a
ritagliarci qualche momento d’intimità,
approfittando di una sera in cui
nemmeno Emile era impegnato con i GAUS.
«Dovresti
costruirti ricordi più felici con loro, o avrai sempre meno
voglia di andarci.»
Mi
strinsi di più a lui: parlare dei miei genitori mi dava
sempre un senso
d’amarezza e di solitudine, avevo bisogno di essere avvolta
dal suo amore più
che mai in quel momento.
«Non
so se ci riusciremo mai! Ero andata con le migliori intenzioni e ho
finito
ugualmente col perdere le staffe…»
«Beh,
intanto tua madre si è dimostrata più
conciliante… dalle tempo, non è facile
per lei.» Emile appoggiò il viso alla mia testa,
stringendomi a sé.
Nella
stanza era accesa la luce soffusa della lampada sul comodino e una
musica dolce
e rilassante proveniva dallo stereo: mi stavo godendo in pieno quel
momento di
dolcezza e pace, se avessi potuto fermare il tempo l’avrei
fatto
immediatamente.
«Lo
so… ma mi snerva il loro modo di vivere, sempre concentrato
su ciò che pensano
gli altri e non su ciò che vogliono loro: quando la vivranno
davvero la vita?!»
«È
una scelta che spetta a loro due Pasi, non puoi obbligarli a vivere
come
vorresti tu, cadresti nel loro stesso errore.»
«Lo
so… sono stata così presa dal rancore verso la
mia famiglia, da non riuscire a
vedere altro, da non accorgermi di quanto Simona volesse davvero
essermi vicina
come io desideravo e non voglio continuare a vedere i miei genitori
sotto
un’ottica rabbiosa, vorrei tanto che mostrassero la loro
umanità, le loro
debolezze, vorrei che scendessero da quel piedistallo su cui si sono
messi da
anni!»
«Vedrai
che lo faranno, se sarai loro vicina; tu riesci a parlare al cuore
delle
persone, riesci a far aprire gli occhi a tutti, ci riuscirai
sicuramente anche
con i tuoi genitori.»
Era
la prima volta che Emile manifestava di avere stima nei miei confronti;
non
avrei dovuto considerarlo come una stranezza, ciononostante mi sorprese
e mi
fece felice:
«Davvero
pensi questo di me?! Credi davvero che abbia questo potere?»
«Non
ti basta vedere cos’hai fatto a me, streghetta?»
Sorrise e mi diede un bacio
sulla testa; mentre mi godevo quelle coccole ricordai le parole di
Fede: “Tu
hai qualcosa che porta la gente ad aprirsi a te”;
probabilmente avevano ragione,
eppure trovai quasi irrealizzabile l’idea di riuscire a far
aprire i miei
genitori… Probabilmente ero troppo coinvolta per vedere con
obiettività, senza
contare che non avevo mai avuto in me la fiducia che invece vi
riponevano Emile
e Fede; ma volevo crederci? Volevo credere che la mia forza di
volontà mi
avrebbe aiutato ad avvicinarmi al loro cuore? Avevo avuto questa
speranza e
l’avevo ritirata quando, aprendomi a loro, non avevo ricevuto
comprensione;
sarei riuscita a sperare nuovamente, rischiando una nuova delusione?
Ero
persa in quei pensieri quando sentii provenire dallo stereo di Emile un
suono
di violini che mi strinse il cuore:
«Quanto
amo il violino, le sue note più acute somigliano ad un
pianto inconsolabile,
ciononostante è capace di trasmettere allegria e gioia di
vivere in brani come le
gighe irlandesi… è difficile suonarlo?»
Avevo
visto tempo fa, un violino comodamente adagiato nella sua custodia in
quella
stessa stanza, per cui diedi per scontato che Emile sapesse suonarlo.
«Un
po’, non è facile evitare che le corde stridano,
facendoti venire il mal di
denti, ma con un po’ di pazienza e buona volontà,
s’impara a suonare… vuoi
provare?»
Mi
staccai dal suo abbraccio per la sorpresa: non avevo mai pensato a me
stessa
come musicista, davo per scontato di non essere in grado di produrre
dei suoni
decenti da uno strumento musicale, visti i miei tristi trascorsi col
flauto
alle scuole medie e qui si parlava di uno strumento ben più
complicato… però la
domanda di Emile mi tentò e mi ritrovai a desiderare di fare
un tentativo,
fosse stato solo per avvicinarmi un po’ di più al
suo mondo!
«Credi
che potrei farcela davvero?»
«Perché
no? Hai due mani ed entrambe le orecchie, ti serve solo
questo… a parte la
conoscenza dello strumento, ovviamente!» Emile avevo lo
sguardo sereno, non
c’era traccia di sarcasmo in lui, era sincero e sembrava
felice di poter
condividere quel momento con me.
«D’accordo,
proviamo!»
*****
«Attenta,
sbagli la posizione delle mani… guarda, è
così.»
Non
stava andando bene.
Affatto.
Io
e il violino non eravamo nati per andare d’accordo.
Sbagliavo
continuamente la posizione delle dita, l’inclinazione stessa
del violino sulla
spalla e ogni volta che premevo l’archetto, le corde
rischiavano di saltare!
Per poco Emile non ci aveva rimesso un occhio quando si
spezzò una corda
all’ennesima mia zappata, eppure non perdeva le staffe,
né desisteva dallo
spiegarmi come migliorare la mia esecuzione. Eravamo scesi nella
saletta
insonorizzata, onde evitare di svegliare il vicinato con la mia tortura
sonora,
per cui non avevo remore nel dare voce alle note acute del violino; ad
un certo
punto però non riuscii più a continuare. E non
era solo un problema
d’incompatibilità con lo strumento: Emile era
dietro di me per controllare
l’esattezza della mia esecuzione e per spiegarmi meglio la
posizione delle
mani, chinava costantemente il viso accanto al mio e prendeva di
continuo la
mia mano nella sua e quella vicinanza mandava totalmente in fumo la
scarsa
concentrazione e la mia determinazione!
Ad
un certo punto persi del tutto il filo del discorso, inebriata dal suo
profumo
e dalla sua voce e appoggiai il mio viso al suo, chiudendo gli occhi e
beandomi
di quel contatto:
«Pasi…
non mi stai ascoltando, vero?»
La
sua voce era seria, ma non burbera ed io rimasi attaccata al suo viso:
«Possiamo
rimandare la lezione? Non mi sento molto concentrata in questo
momento…» gli
risposi con un filo di voce, le mie energie erano focalizzate nel
tentativo di
non lasciar andare il violino, perché d’improvviso
ebbi la sensazione che tutto
il mio corpo si stesse sciogliendo nel piacere di quella vicinanza.
«Rinunci
così presto? Così non imparerai
mai…»
La
voce di Emile divenne un sussurro rivolto direttamente al mio orecchio:
sentii
un brivido travolgermi tutto il corpo e per poco non lasciai andare il
violino
a terra! Emile sghignazzò e si staccò da me,
prendendo l’arco e salvandolo
dalle mie mani assassine, poi mi prese il viso in una mano e con lo
stesso tono
sussurrante di prima mi disse:
«Hai
bisogno di molte lezioni, dovrai impegnarti» al che mi fece dimenticare
persino come mi
chiamavo, con un bacio che fece tabula rasa di tutta la mia
lucidità… E con
estremo sadismo si staccò da me e uscì da quella
saletta per portare il violino
in salvo!
Era
proprio un diavolo rosso ma non se la sarebbe cavata così!
Lo seguii ma con le
gambe lunghe che si ritrovava, aveva messo già distanza tra
me e lui, così
decisi di giocare d’astuzia:
«Ahia!»
urlai, bloccandomi sulle scale e accucciandomi sui gradini, sperando
che mi
sentisse e venisse a controllare cosa fosse accaduto.
«Cos’è
successo Pasi, ti sei fatta male?»
Mi
congratulai con me stessa dopo qualche secondo: Emile corse a vedere
cos’avessi
e preoccupato mi circondò le spalle... E a quel punto
l’abbracciai.
«Ora
non mi sfuggirai!»
Rimase
sorpreso per qualche istante e poi sorridendo soddisfatto mi disse:
«Piccola
peste, hai finto di farti del male per essere raggiunta con un
trucchetto! Sei
proprio una perfida strega!»
«Ti
sbagli, sono solo una studentessa diligente: voglio le mie lezioni di
recupero.»
lo bloccai su quei gradini e ripresi da dove si era interrotto in
quella
saletta.
*****
La
mia carriera di violinista non andò molto avanti: nei giorni
seguenti io ed
Emile fummo presi dai nostri impegni e non riuscimmo a fare altro che
sentirci
al telefono. Ma il mio Pel di Carota non era l’unico a
mancarmi della sua
famiglia: volevo rivedere Alberto e mi mancava persino Claudine,
così decisi di
andare a trovarli.
Emile
come al solito era occupato in saletta con il gruppo e speravo sempre
che una
volta finite le prove, il mio Riccioli Rossi salisse a farci compagnia.
Invece
quella sera feci un altro tipo d’incontro.
Nello
scendere al piano terra per prendere da bere, trovai Claudio in cucina
che si dissetava:
la stanza adiacente alla saletta era dotata di un mini frigorifero, ma
evidentemente dovevano essere finite le scorte, oppure Claudio soffriva
di
claustrofobia, visto che era l’unico ad essere risalito.
Appena lo vidi
m’irrigidii, il suo modo di rivolgersi a me era sempre brusco
e l’iniziale
curiosità che avevo avuto nei suoi confronti, si stava
trasformando in una
solida antipatia:
«Claudio…»
lo salutai in modo lapidario onde evitare di averci a che fare
prolungatamente,
ma avevo l’impressione che aspettasse un momento simile per
avere una bella
discussione con me.
«Coda
di Emile…»
Di
nuovo quell’appellativo! E stavolta Emile non era nei
paraggi, era chiaramente
un’offesa diretta a me, per cui non mi feci remore di sorta e
risposi alla sua
provocazione:
«Senti,
non so cosa abbia potuto farti per esserti così antipatica,
ma gradirei che non
mi chiamassi in quel modo, io non sono la coda proprio di nessuno e ho
un nome!
Io sono Pasi e non tollero che tu usi di nuovo quel termine con
me!»
Claudio
mi guardò con un sorrisetto amaro e rispose:
«Perché
altrimenti, cosa fai? Chiami Emile e ti fai difendere?» aveva
un’asciugamani
intorno al collo e una bottiglia d’acqua nella mano destra,
che posò sul tavolo
per ergersi in tutta la sua altezza mentre mi rivolgeva quella domanda
impertinente.
«Non
ho bisogno che qualcuno mi difenda, so farlo benissimo da
sola!» Si avvicinò di
più a me, potevo sentire lo sgradevole odore di sudore che
aveva addosso, ma
non retrocessi, non mi feci intimidire dalla sua mole.
«Tu
non mi piaci e sai perché? Perché Emile
è un grande ipocrita e ogni volta che
ti vedo, mi torna alla mente.»
«Se
ti riferisci ancora al fatto che sia venuto qui quando eravate in tour
in
Germania, evidentemente non capisci in che situazione
ero…»
«So
benissimo che avevi perso tua sorella e non è quello il
punto. Emile ha sempre
detto a tutti noi che la band doveva essere al centro della nostra
vita, all’apice
delle nostre priorità e che se questo non ci stava bene, la
porta era aperta
per andarcene. Quell’ipocrita non mi ha permesso di andare a
trovare la mia
ragazza in ospedale, quando si è ferita l’anno
scorso e sai perché? Non perché
eravamo lontani nel bel mezzo di un tour, ma solo perché
avevamo un incontro
con la casa discografica! Per un incontro a cui potevano
tranquillamente
partecipare gli altri! Siamo stati via un’intera settimana
per parlare con quel
tizio che abitava lontano da qui e non mi ha concesso un solo giorno
per andare
da lei! E poi nel bel mezzo di un tour, lui si permette di andarsene!
Perché a
lui tutto è concesso, lui è la star,
l’autore dei testi, il grande genio della
musica, il volto dei GAUS! Al divo Emile tutto è concesso,
mentre noi siamo i
suoi schiavetti ubbidienti, non è
così?»
Il
suo rancore mi esplose in viso, Claudio si era calato pericolosamente
verso di
me ed io mi appoggiai al mobile in cucina per poterlo fronteggiare:
«Se
ti sei fatto comandare in questo modo, evidentemente non dovevi tenerci
così
tanto alla tua ragazza! Se l’avessi amata davvero, saresti
andato via senza
badare alle parole di Emile! Far parte di questo gruppo fa comodo anche
a te, è
per questo che sei rimasto con loro, non dare ad Emile colpe che non
ha!»
Claudio
fece una risata amara: «Tu non ti rendi nemmeno conto di
quanto possa essere
cinico e spietato il tuo ragazzo! Mi ha messo davanti al bivio: o
restavo
oppure ero fuori ed eravamo ad un passo dalla firma del contratto. Con
il
futuro pronto dietro la porta, chi mai avrebbe mandato tutto al
diavolo?» Si
avvicinò ancora di un passo, poggiando una mano sul mobile
per bloccare qualsiasi
mio tentativo di fuga.
«La
scelta era comunque tua: se gli hai ubbidito, significa che ti faceva
comodo,
oppure che non hai abbastanza forza da ribellarti.»
Avvicinò
il suo viso al mio, guardandomi con un’espressione piena di
rancore:
«Hai
la lingua lunga ragazzina, ma hai ragione, non ho avuto abbastanza
forza di
reagire… Vedrà il signorino quanto è
importante avere un batterista in un
gruppo, se ne renderà conto subito!»
Così dicendo si staccò da me, prese la sua
bottiglia d’acqua, bevve un sorso guardandomi con sfida e
andò via verso il
piano interrato. Quello sguardo non prometteva nulla di buono ed io
rimasi
tutta la sera con la preoccupazione addosso. Temevo di aver scatenato
qualcosa
di cui mi sarei pentita amaramente…
_______________________________________
NDA
Dopo avervi fatto
cantare l'Alleluja in tutte le lingue del mondo alla fine del capitolo
scorso, stavolta la lettura dovrebbe essere stata più
tranquilla, o sbaglio? Non so a voi, ma a me è venuta voglia
d'imparare a suonare il violino xD Come sempre, per pareri,
dibattiti, rimostranze vi aspetto nelle recensioni, spero solo che non
siate armate! :P
Angolo
dei Ringraziamenti:
Amorine
mieeeeeeee! Sono felice di avervi reso felici e di aver appagato il
vostro animo romantico, ed io dal canto mio vi ringrazio come sempre
per le parole dolcissime che mi scrivete e gl'incoraggiamenti sempre
entusiatici che mi fate, siete un dono prezioso <3
Grazie un milione di
volte elevato all'infinito a:
Iloveworld,
la
mia
Beta-Tomodachi-Sorellina, che mi fa sentire come se avessi scritto la
Divina Commedia (:*****) e che oltre ad essere una bravissima
scrittrice, è anche una meravigliosa cantante, provare per
credere QUI!
^ ^
Niky, Vale, Saretta, Concy, che recensiscono con
puntualità svizzera, m'incoraggiano e vivono questa storia
con la stessa intensità dei suoi protagonisti; grazie
tantissimo tesore mie, non so come farei senza di voi! <3
Cicci,
Ana-chan,
Ely,
che mi
sostengono e incoraggiano anche senza leggere ^ ^
E grazie mille a tutte
coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, tra le
ricordate e tra le seguite (sisters a parte, of course):
lorenzabu,
samyoliveri,
sbrodolinalollypop,
Aly_Swag, green_apple, celest93, cris325, Drama_Queen, hurry,
Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula (Che ho scoperto
essere anche mia omonima... per 1/3 xD), _Grumpy.
ARIGATOU GOZAIMASU
a tutte voi!!!!
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
«Ma
amie est trés jolie.*»
«No,
Testarossa, si dice “mon” anche se è
femminile, non ricordi? Per evitare
l’incontro di vocali.»
«Uff!
Hai ragione Stè, l’avevo dimenticato.»
«Testarossa…
c’è qualcosa che non va, vero?»
Come
promesso, io e Testa di Paglia avevamo iniziato a studiare il francese,
seguendo uno di quei corsi pratici in DVD alla portata di tutti:
eravamo ancora
agli inizi, ma ci divertivamo a imparare qualcosa insieme, sembrava di
essere
tornati agli anni precedenti, quando eravamo compagni di classe e di
banco,
prima ancora che amici. Quel giorno però la mia
preoccupazione per lo scontro
con Claudio era troppo intensa per permettermi di concentrarmi e di
celare il
mio stato d’animo a Stè… non che ne
fossi mai stata tanto capace comunque!
«Ascolta
Pasi, io lo vedo che da un po’ non ti apri più con
me… se stai temendo di
ferirmi parlando dei tuoi problemi sentimentali, a causa di Simona, non
ti
preoccupare posso ascoltarti tranquillamente, non sono così
fragile!»
Come
al solito, Stè mi leggeva nel pensiero: si era reso conto
che cercavo di
trattenermi dallo sfogare le mie ansie con lui… ripensai
alla volta in cui non
avendogli detto del mio interesse per Emile, si sentì
ferito, temendo un mio
allontanamento a causa del suo attaccamento a mia sorella, con cui
avevo
litigato: forse gli facevo più male in questo modo che se
gli avessi parlato
come sempre…
«Scusami,
hai ragione… è che non volevo annoiarti con le
mie stupide angosce...»
«E
da quando mi annoio a sentirti, Testarossa? Coraggio, cosa
c’è che non va?»
Con
un invito simile, non mi feci pregare e raccontai a Stè dei
dubbi che mi
avevano attanagliato da quando Claudio mi aveva affrontato e aveva
detto quella
frase sibillina che mi turbava il sonno. Testa di Paglia mi
ascoltò con
attenzione e quando terminai di parlare disse la sua:
«E
non hai detto nulla ad Emile di tutto questo?»
«Fossi
matta Stè! Dovrei dirgli di aver incitato il suo batterista
a lasciare il
gruppo, ad un passo dalla tournée?! Se voglio che mi odi a
vita allora lo farò,
altrimenti sarò muta come un pesce!»
«Ma
non credi che abbia diritto di sapere?»
«Ho
troppa paura di aver combinato un guaio, non potrei sopportare di
vedere di
nuovo la rabbia sul suo viso contro di me, soprattutto alla luce di una
mia
intromissione nella sua vita professionale!»
Testa
di Paglia aveva ragione ed io lo sapevo nel profondo del mio essere, ma
in quel
momento non riuscivo a
ragionare su
quell’argomento con la dovuta lucidità, temevo
troppo le conseguenze a cui potevano
portare le mie azioni, se avessi detto ad Emile che Claudio minacciava
di
andarsene.
«E
non pensi che sarebbe peggio se Emile scoprisse proprio da Claudio che
tu sapevi
e non gli hai detto nulla?»
A
quella prospettiva mi si gelò il sangue nelle vene: Emile mi
avrebbe odiato di
sicuro, mi avrebbe estromesso definitivamente dalla sua vita ed io
l’avrei
perso per sempre!
«Oh
Stè, cosa posso fare? Io non voglio perderlo!»
Mi
appallottolai su me stessa sconfortata e Stè si
avvicinò a me per abbracciarmi:
«Capisco
la tua paura Testarossa, ma lo sai meglio di me che le bugie e le
omissioni
peggiorano tutto: è molto meglio dirgli tutto ora piuttosto
che attendere che
lui lo scopra e si senta tradito anche da te!»
Testa di Paglia aveva completamente ragione, avrei dovuto
farmi forza e
affrontare le conseguenze della mia lingua lunga…
«Come
farò se lo perdo, Stè?»
«Secondo
me stai esagerando, non credo che sia così drammatica la
situazione: morto un
papa se ne fa un altro e questo Claudio non è mica
l’unico batterista al mondo!
Emile troverà una soluzione, tutto tornerà al suo
posto e tu gli sarai ancora
accanto, ne sono certo. E se proprio non dovesse essere
così, se Emile ti
dovesse allontanare, vuoi dirmi che rinunceresti così presto
a lui? Che non
faresti nulla per riconquistarlo? Conoscendo quella tua testolina calda
e
testarda, dubito fortemente che lasceresti correre!» Caro
vecchio Stè, mia
ancora di salvezza per ogni stato ansioso o rabbioso, sempre pronto a
restituirmi la gioia e il sorriso: mi era mancato così tanto
in quegli ultimi
tempi! Mi ero sempre fatta delle remore a confidarmi con lui, sapendo
quanto
fosse in pena per Simona e invece si era dimostrato affidabile e
gentile come
sempre, ascoltando i miei problemi sentimentali e trovando un modo per
infondermi coraggio e
tranquillità.
«Grazie
Stè, non so cosa farei senza di te!»
«Allora
smettila di nascondermi le tue preoccupazioni Testarossa, ok?»
«Oui
mon ami» gli sorrisi orgogliosa
di me
per essere riuscita a dire una frase correttamente in francese e Testa
di
Paglia dal canto suo, si fece una bella risata che mi
confortò l’animo.
Rilassata
dalle sue parole e dal suo incoraggiamento, ritrovai la concentrazione
e
tornammo a studiare; fu solo durante una pausa che mi ricordai di avere
qualcosa
per lui:
«Stè,
qualche giorno fa sono stata a casa dei miei genitori: ho trovato
questa,
voglio che la prenda tu.»
Gli
mostrai una delle foto che avevo visto tra le pagine del libro di
Simona. Il
mio amico era accanto a lei: mia sorella vanitosamente aveva protestato
all’idea di farsi fotografare con le stampelle e tutte le
foto di quella serata
la ritraevano seduta, che fosse al locale, in auto o su un muretto. In
quel
caso lei e Stè erano seduti sul gradino di un porticato
dello stabile in cui si
trovava la cornetteria, dove avevamo fatto sosta prima di tornare a
casa: di
sicuro erano intenti a parlare seriamente quando Fede colse
l’attimo per
immortalarli. Ricordo che nonostante fossi ancora arrabbiata con mia
sorella,
fui felice dell’idea del nostro amico, perché
avrebbe dato un piccolo piacere a
Stè, che quella serata se la stava godendo tutta accanto
alla ragazza che
amava.
Vidi
gli occhi di Testa di Paglia farsi lucidi nel ricevere quella
fotografia e mi
sentii in colpa per avergli aperto la ferita in quel modo, ma sapevo
anche
che sarebbe stato
felice di poter avere
quell’oggetto con sé.
«Era
nel libro di Simo… voglio che la tenga tu Stè,
è del tutto inutile lasciarla
dove l’ho trovata.»
Prese
la foto e l’osservò per un po’, con
volto concentrato e dolente: «È stata una
delle serate più belle della mia vita, non la
dimenticherò mai!» Stè fece una
breve pausa poi continuò,
«Le avevo
mandato le foto via e-mail e non credevo che le avesse stampate
tutte…» sollevò
lo sguardo in mia direzione e mi rivolse un dolce sorriso,
«Grazie Testarossa,
è un bellissimo regalo.»
*****
Mentre
il mio animo combatteva col senso di colpa e il dubbio sul parlare o
meno ad
Emile, le registrazioni dell’album dei GAUS andarono avanti
senza intoppi, per
cui mi dissi che probabilmente avevo avuto troppa immaginazione nel
sospettare
di Claudio, o che il batterista stesso avesse cambiato idea, non avendo
la
volontà effettiva di abbandonare un gruppo in piena ascesa.
Per cui con mio
estremo sollievo, la chiacchierata con Emile cadde nel dimenticatoio
della mia
coscienza.
Una
sera in cui il mio Pel di Carota era in riunione col produttore, tornai
a
trovare sua madre: quando entrai nella sua camera, ebbi quasi la
speranza che
il mio desiderio di vederla piena
di
vitalità si fosse esaudito d’incanto,
poiché trovai Claudine seduta sulla
poltrona, intenta a guardare dalla finestra. Mi resi conto presto
però che in
quella donna non era tornata la voglia di vivere: al di là
del vetro c’era la
casa attigua, il panorama non era dei migliori, ma la madre di Emile
non
sembrava curarsene, era sempre immersa nel suo mondo grigio, distaccata
da
tutto ciò che costituiva la vita reale, persa nelle sue
sofferenze che avevano
schiacciato tutta la sua vitalità.
Negli
ultimi tempi era ridotta alla stregua di un vegetale, sempre imbottita
di
farmaci e di conseguenza mi stupii nel trovarla seduta lì:
era la prima volta
che la vedevo in casa sua lontana dal letto.
Alberto
si avvicinò all’uscio dov’ero rimasta ad
osservare sua moglie, impietrita per
la sorpresa:
«Fa
un certo effetto vederla così, vero?»
Poggiò una mano sulla mia spalla e mi
girai a guardarlo:
«Com’è
possibile?! Sta meglio? L’ultima volta che l’ho
vista era un vegetale!»
«Ho
interrotto la somministrazione di alcuni medicinali.»
Lo
guardai sorpresa: «Hai chiesto altri pareri medici?»
«No.
Ho deciso di non darle più tutti quei medicinali che
finivano di stordirla;
come hai detto anche tu, era diventata solo un vegetale e solo per far
stare
tranquilli noi.»
«E
gli infermieri, sono d’accordo?»
«Sabrina
sa tutto ed è d’accordo con me… a patto
però che nel momento in cui dovessero
esserci segni di ribellione in Claudine, si ritorni alla cura
originale. Il
nuovo infermiere non sa nulla, è all’oscuro
dell’uso di questi medicinali.»
Rimasi
senza parole: Alberto stava rischiando d’inimicarsi i dottori
per ridare
vitalità a Claudine… ma in questo modo rischiava
anche che sua moglie tentasse
nuovamente il suicidio!
«So
che pensi che sia una pazzia, ma non riuscivo più a
tollerare di vederla in
quel modo. Sono abituato a vederla assente, ma con tutti quegli
psicofarmaci
che non facevano altro che inebetirla per tenerla buona, era diventata
poco più
di un cadavere vivente! Non m’importa se rischio di perderla
definitivamente,
almeno la ricorderò con quel po’ di
vitalità che ancora le resta e non come una
bambola priva di espressione e di volontà!»
Le
parole di Alberto mi commossero: erano cariche
di amore e di dolore, quel dolore che si portava dentro da
vent’anni, a cui era
abituato ormai ma che non per questo fosse meno forte o causasse meno
sofferenza. Se fossi stata al posto suo cosa avrei fatto? Come mi sarei
comportata vedendo Emile spegnersi giorno dopo giorno, senza che
potessi far
nulla per aiutarlo? Vederlo in fin di vita svariate volte, per poi
ritrovarlo
come un vegetale in un letto?!
Al
solo pensiero mi salì un groppo in gola e inorridii dalla
paura: vedere la
propria madre ridotta in quello stato non era facile per Emile, ma per
Alberto
il dolore doveva essere atroce! E ci conviveva da ventidue anni!
Presa
da quel pensiero angosciante l’abbracciai: «Vorrei
tanto che guarisse!»
Avevo
sperato sin dal primo giorno in cui la vidi, che Claudine trovasse la
forza per
riprendersi la sua voglia di vivere e in quel momento, quel desiderio
fu
terribilmente vivo dentro di me.
«Anche
io bambina, lo vorrei tanto anche io.»
Alzai
il viso verso quello di Alberto e lo vidi mentre guardava sua moglie
con
un’espressione di amore, dolcezza e tristezza così
intensa che mi sentii una
spiona ad osservare quella comunicazione così profonda e
intima, perciò portai
lo sguardo verso Claudine che continuava ad osservare fuori dalla
finestra:
«C’era
una farfalla Albert, una farfalla trés jolie.»
«Che
colori aveva chèrie?» Alberto si staccò
da me e si avvicinò a sua moglie,
sedendosi su un bracciolo della poltrona e circondando lo schienale con
un
braccio,
«Dei
colori davvero vivaci! Orange,
jaune e un po’ de noir**… era davvero
jolie!» Il viso di Claudine aveva
un’espressione concentrata, anche se gli occhi restavano
spenti e lontani:
Alberto le baciò il capo guardando dalla finestra e di nuovo
mi sentii di
troppo, osservando quella scena così dolce e dolente. Stavo
per andarmene quando
Claudine si girò verso di me: non mi
rivolse alcuna parola, ma allungò una mano in mia direzione.
La raggiunsi con
un groppo improvviso alla gola: quella probabilmente fu la prima volta
in cui
ebbi un vero contatto con lei.
Mi
prese la mano e la strinse a sé: i suoi occhi, gli stessi
occhi di Emile, mi
guardavano con aria triste, ma dietro quel velo riuscivo a scorgere una
piccola
luce di consapevolezza, come se stesse cercando di dirmi qualcosa,
finché la
sentii dirmi:
«Merci
beaucoup.»
Grazie.
Claudine mi stava ringraziando! Era un ringraziamento per esserle stata
accanto? Mi ringraziava per aver reso più sereno Emile, come
continuava a dirmi
suo marito?
Non
seppi dirlo. Ma sentii nuovamente un groppo alla gola e non riuscendo a
parlare,
mi avvicinai a lei e le diedi un bacio sulla guancia: forse il mio
affetto
sarebbe riuscito a comunicare con lei in modo più diretto di
qualsiasi parola…
Se solo fossi stata capace di sciogliere quel velo di tristezza che
avviluppava
la sua anima! Emile e Fede sostenevano che avessi il potere di far
aprire le
persone, ma in quel momento in cui desiderai davvero di avere una tale
capacità, riuscii solo a sentirmi inutile e impotente,
davanti alla tristezza
senza sollievo di Claudine.
*****
«È
così insopportabile tutto questo, Fede!»
«Lo
so Pasi, ma non puoi farci nulla, la sola che potrebbe far qualcosa
è Claudine
stessa, ma non ha abbastanza forza di volontà per
farlo.»
«Perché
gli esseri umani si riducono in questo stato? È una
sofferenza guardarla ed è
ancora più doloroso vedere Emile e suo padre che soffrono
con lei! Tutto perché
ha ceduto, perché non si è fatta forza! Eppure
aveva una vita splendida!»
«Claudine
è fragile, non ha la tua stessa forza di volontà
e si è lasciata andare alla
sofferenza invece di combatterla.»
«Lo
so Fede, so come funziona, ma non riesco ugualmente a tollerarlo! Se
penso
all’espressione sofferta di Alberto, se penso al dolore che
si porta dentro
Emile! Vorrei tanto fare qualcosa!» Appoggiai sconsolata la
testa alla
scrivania dell’”ufficio”
di Fede.
In
quegli ultimi giorni il centro era stato rimesso a nuovo: Fede e
Stè si erano
occupati di risistemare la struttura (una mano di vernice, una
controllata
all’impianto elettrico e agli infissi), mentre io e Rita e
qualche rara volta
persino Sofia, c’eravamo dedicate all’arte
dell’arredo e in poco tempo avevamo
messo su un ingresso accogliente e due salette pulite, comode e
ordinate,
mentre la cassettiera di Emile era rimasta nell’ingresso, a
dare il benvenuto
ai nostri ospiti: ogni volta che la vedevo, sentivo la presenza del mio
amato
Riccioli Rossi, che mi sosteneva e incoraggiava.
La
stanza di Fede, dove ci trovavamo in quel momento, era piccola ma con
le nostre
cure era diventata accogliente: dotata di una scrivania, dei ripiani
per libri
e depliants e tre divanetti per
accogliere i visitatori. Ero seduta di fronte a lui: appena entrata in
quella
stanza lo vidi intento a controllare che il pc fosse in ordine, ma si
fermò di
colpo guardando l’espressione che avevo sul viso, che come al
solito rivelava al
mio amico tutto ciò che mi angosciava in quel momento. Il
passo che da lì mi
condusse ad esternargli le mie ansie, fu breve.
«Pasi
è inutile snervarti in questo modo, non puoi fare nulla per
cambiare la
situazione… anzi puoi renderla meno triste e tragica se non ti fai prendere
dallo sconforto e
continui a mostrare il
tuo volto
sorridente. Il tuo sorriso ha ridato vita agli abitanti di quella casa,
te ne
sei resa conto? Con la tua presenza accanto a loro hai portato gioia,
hai
portato vitalità, hai donato nuova linfa vitale ad Emile e a
suo padre.
Continua ad essere te stessa, e allevierai di molto le loro
sofferenze.»
«Tu
sei tropo fiducioso in me, Fede!»
«No
Pasi, io guardo le cose con obiettività, tu sei troppo
coinvolta per farlo
perciò non ci riesci, ma io che conosco la situazione da un
punto di vista esterno,
la vedo la differenza.»
«Anche
Emile ha questa smodata fiducia in me, ma io mi sento totalmente
inutile, ora!
Vorrei poter fare di più! Vorrei riuscire a dare il sorriso
a Claudine, vorrei
poter ridare sua madre ad Emile e sua moglie ad Alberto! È
così frustrante non
poter far nulla!»
«Invece
di intristirti perché non riesci a raggiungere un obiettivo
così difficile,
considera invece ciò che fai e sii felice di essere riuscita
a portare un po’
di allegria e serenità in quella casa. Non possiamo
accollarci tutti i dolori
degli altri, Pasi, ma possiamo aiutarli a farsi forza, possiamo fare
qualcosa
nelle piccole azioni quotidiane, o semplicemente donando un sorriso
d’affetto e
d’incoraggiamento a chi è in continua lotta.
Questo deve valerti anche per il futuro:
avremo modo di essere a contatto con tante realtà sofferte e
con tante persone
schiacciate da problemi di vario genere. Se ci addolorassimo fino a
questo
punto per ognuno di loro, non riusciremmo più a vedere con
obiettività e
soprattutto non riusciremmo a reggere tante situazioni difficili. Tutto
ciò che
potremo fare sarà incoraggiarli, sostenerli e aiutarli a
superare i loro
problemi, ma non potremo mai sostituirci alla loro volontà.
Tienilo bene
presente.»
Ecco
perché adoravo Federico, aveva una profonda
umanità e una grande sensibilità,
ma riusciva anche ad essere freddo e obiettivo, dipanando di volta in
volta
tutte le mie ansie nei riguardi del mio desiderio di aiutare il
prossimo. Aveva
ragione, non potevo accollarmi il dolore di Claudine, la forza per
reagire
doveva trovarla lei, non potevo sostituirmi alla sua
volontà, per quanto avessi
potuto provare a darle uno scossone, tutto dipendeva da lei e non da
me, che
avrei solo sofferto inutilmente nel tentativo di risvegliarla da un
sonno che
non voleva abbandonare.
*****
«Pasi,
c’è Emile che ti aspetta sotto casa.»
«EH?»
Aprii
la porta del bagno con la faccia più sorpresa del mondo e lo
spazzolino da
denti ancora in bocca: era una normale domenica mattina e avevo appena
fatto
colazione: tutto mi aspettavo tranne la comparsa di Emile!
«Mi
ha detto che ti aspetta giù… non avevate un
appuntamento?» Guardai Rita in
cerca di risposte, ma dall’espressione del suo viso capii che
ne sapeva quanto
me. Mi sciacquai la bocca e chiamai Emile al cellulare per capire cosa
stesse
accadendo:
«Emile,
è successo qualcosa a tua madre?»
«Buongiorno
streghetta, anch’io sono felice di sentirti.» il
suo tono era ironico e non
c’era traccia di preoccupazione nella sua voce.
«Che
sta succedendo?»
Non
capivo. Non ero assolutamente in grado di comprendere cosa stesse
accadendo. Perché
era venuto sotto casa
di Rita dicendomi di scendere, se non era accaduto nulla di grave a sua
madre?
«Tu
preparati e scendi, oggi facciamo una gitarella.»
Una
gitarella. Io ed Emile che ci prendevamo un giorno tutto per noi,
lontano da
parenti e amici, lontano dalla nostra quotidianità e dai
nostri impegni! Sarei
dovuta andare da Simona nel pomeriggio, ma era ancora mattina e non
sapevo cosa
mi avrebbe riservato quel giorno con quel programma inaspettato,
così rimandai
il pensiero dell’appuntamento pomeridiano, al momento in cui
avrei dovuto
affrontarlo e mi preparai il prima possibile, agitata e felice per
quella
sorpresa inaspettata.
Appena
raggiunsi Emile, lo vidi appoggiato alla parete dello stabile in mia
attesa, le
mani in tasca e gli occhi chiusi intento ad ascoltare i suoi mp3: era sempre uno spettacolo
per i miei occhi e
la felicità nel vederlo fu disarmante. Non sapevo
alcunché dei suoi piani per quel
giorno, ma non m’importava: avrebbe potuto condurmi anche nei
gironi più
profondi dell’inferno e sarei stata ugualmente la ragazza
più felice del
pianeta, per il solo fatto che fossi in sua compagnia! Aprì
gli occhi sentendo
la mia presenza e mi sorrise, allungandomi una mano:
«Pronta?»
«Prontissima!»
con un sorriso pieno di gioia, presi la sua mano mentre si avvicinava
per darmi
un dolcissimo bacio di buongiorno, prima di accompagnarmi
all’auto.
Cercai
di capire dove fossimo diretti ma Emile fu una sfinge, decisi quindi di
mandare
un sms a Stè per avvertirlo di non aspettarmi nel
pomeriggio: mi dispiaceva
mancare all’appuntamento con lui e Simona, ma nonostante non
sapessi cosa ci
attendeva, non avevo alcuna intenzione di rovinare quel giorno.
Appena
inviai l’sms, notai una luce di soddisfazione sul viso di
Emile: non riusciva
ancora a togliersi di dosso la gelosia nei confronti di Stè
e sapere di avermi
rubato a lui doveva averlo reso soddisfatto di se stesso. «Emile,
dimmi che non è una manovra per non farmi vedere
Stè!?»
Quel
diavolo rosso sorrise tra sé e aggiunse: «Ammetto
di essere soddisfatto di
averti tutta per me oggi, ma se dovessi fare questo solo per tenerti
lontana da
Stefano, allora dovrei macchinare qualcosa ogni giorno!» Lo guardai in tralice ma
dovetti ammettere che
aveva ragione: non gli avrei mai permesso di allontanare Stè
da me, era una
persona troppo importante, una presenza costante nella mia vita ed
Emile
avrebbe dovuto imparare a convivere con il fatto che ci fosse anche
Testa di
Paglia accanto a me.
Dopo
un paio d’ore di tragitto, lo vidi fermarsi lungo la costa
che stavamo
percorrendo, scese dall’auto e mi aprì la
portiera, vedendo che in preda alla
confusione non ero ancora uscita dall’auto:
«Pic-nic
sulla spiaggia, che te ne pare?»
Lo
guardai con stupore, meraviglia, felicità e tutto
l’amore che sentivo per lui:
«Dico
che è perfetto!»
Sorrise
felice e mi allungò una mano per estrarmi da
quell’auto a cui ero inchiodata e
sorrisi di rimando, travolta da troppe emozioni per poter dire
qualsiasi cosa.
Era
una bella giornata d’inizio primavera, il sole era gentile
sul viso e lo
sciabordio delle onde aiutava a creare un senso di pace e comunione con
la
natura, il giorno ideale per accamparsi lì. Infatti Emile
non fu l’unico ad
aver avuto quell’idea, anche se quel tratto di spiaggia non era particolarmente
frequentato, per cui la
sensazione predominante fu quella di essere soli con il mare a farci
compagnia.
Il mio Pel di Carota aveva pensato a tutto, così a me non
restò che accomodarmi
sulla stuoia e godermi cibo e compagnia.
«Hai
avuto un’idea magnifica, mi sento così bene in
questo momento che non vorrei
andarmene più”»
Emile
sorrise soddisfatto stringendomi a sé: «Sono stato
preso così tanto dalla
realizzazione dell’album che il tempo è fuggito
via e non abbiamo avuto mai
modo di starcene un po’ lontani da tutto e tutti,
così visto che oggi ero
relativamente libero, ho deciso di approfittarne... Non è
facile starmi
accanto, ne sono consapevole: non ti do abbastanza spazio e ti metto
sempre in
secondo piano… Volevo ripagarti per la tua
pazienza.»
Quella
frase mi strinse il cuore di una dolorosa gioia, avevo capito ormai che
quando
Emile era impegnato con la musica dovevo solo armarmi di pazienza e
attendere
che avesse tempo per me, per cui non avevo pensato che avesse dei sensi
di
colpa nei miei confronti. Mi aveva detto più volte quanto
fossi importante per
lui, mi aveva dimostrato anche la sua stima, eppure ogni volta che
faceva gesti
simili, o diceva qualcosa che dimostrasse quanto ci tenesse a me, mi
riempiva
di gioia come se fosse la prima volta: è proprio vero che un
innamorato non si
accontenta mai, che ha sempre bisogno di conferme, che teme sempre di
non
essere amato!
«Grazie.»
fu l’unica parola che riuscii a dire, prima di sprofondare il
mio viso nel suo
abbraccio e bearmi di quel momento di assoluta pace.
Restammo
in silenzio per qualche secondo, finché Emile
tornò a parlare:
«Sei
felice, Pasi?»
Restai
avvolta nel suo abbraccio mentre aggiungeva: «Credo di non
essere mai stato
così felice in vita mia e so che questo momento
sparirà; perciò finché
c’è,
finché posso sentirmi così in tua compagnia,
vorrei che fosse lo stesso anche
per te, che provassi anche tu ciò che provo io.»
Ciò
che provai in quel momento non riesco a descriverlo con le sole parole:
ero
così terribilmente felice e così splendidamente
triste che solo col senno di
poi mi resi conto dell’assoluta contraddizione che si cela
nell’animo di chi
raggiunge una gioia estrema…
«Sì
Emile, sono felice. Felice come non sono stata mai.»
…una
gioia così immensa da essere dolorosa, da farti sentire
triste sapendo che
finirà!
Emile
non replicò alle mie parole, ma
mi
strinse a sé silenziosamente e senza dirci altro rimanemmo
ad osservare le onde
e il loro gioco di luce con il sole.
-------------------------------------------------------
* "La mia amica è molto graziosa"
** Arancione, giallo e un po' di nero
________________________________________
NDA
Mie care, ho
ufficialmente compreso che il modo in cui concepisco
ciò che scrivo è totalmente diverso da quello che
sentite voi quando leggete, per cui, personalmente
credo di avervi dato una dose di
zucchero sufficiente a ripagarvi dell'amarezza e della tristezza dei
precedenti capitoli, ma probabilmente voi non
sarete d'accordo, giusto? xD
Questo capitolo
e quello precedente sono frutto della mia recente
revisione (ancora in corso): sono stati praticamente scritti in queste
ultime settimane,
riempiendo un
vuoto cosmico che avevo lasciato a se stesso nell'ansia
di arrivare ad una conclusione (...).
Spero quindi che
siano stati di vostro gradimento, perché a
me sono piaciuti molto ^ ^
Angolo dei
Ringraziamenti:
La mia tomodachi
mi ha detto che a volte scrivo delle cose che creano
immagini ad effetto: per chi scrive, riuscire a dare un'immagine che
resti impressa nella mente di chi legge è un grande
traguardo ed io mi sono sempre considerata
troppo sintetica per esserne capace, troppo poco descrittiva per essere
considerata una persona capace di scrivere.
Per cui
l'autrice piena di complessi (grazie prof.) che è in me,
si sente ancora una volta commossa e grata per le parole
così belle che tutte voi mi riservate e spero con
tutto il cuore
di riuscire ad emozionarvi fino alla fine con questo racconto che ormai
è diventato parte di me.
Vi adoro tutte e
vi ringrazio come sempre per il vostro sostegno, per
gli incoraggiamenti, per l'attesa ansiosa di un nuovo capitolo e per
tutte le belle parole che avete speso a mio vantaggio da
quando ho iniziato a pubblicare questa storia, due
mesi e mezzo fa.
ARIGATOU GOZAIMASU
a tutte voi mie adorate:
Iloveworld,
Saretta, Niky, Vale, Concy, Ana-chan, Cicci, Ely.
Vi
adoro <3
Grazie a tutte
coloro che hanno aggiunto questo racconto tra i
preferiti, tra le seguite e tra quelle da ricordare: lorenzabu,
samyoliveri,
sbrodolinalollypop,
Aly_Swag,
green_apple,
cara_meLLo,
celest93,
cris325,
Drama_Queen,
hurry, Newiyurd,
nicksmuffin,
Origin753 (se amate i
romanzi della Austen, in particolare Orgoglio e Pregiudizio, Origin sta
scrivendo una divertentissima parodia con tutti i personaggi
austeniani: The
Austen Resort, ve la consiglio!), petusina, sel4ever,
ThePoisonofPrimula,
_Grumpy.
ARIGATOU -
formato famiglia a tutte voi!!!
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
La
felicità, il nostro desiderio più ambito,
l’obiettivo che ci affanniamo a
raggiungere durante il corso di tutta la vita. Emile aveva detto una
grande
verità, la felicità fugge via ed è per
questo che quando siamo felici dobbiamo
viverci quei momenti al meglio possibile, senza sprecare un solo
istante nella
paura che essi finiscano. Perché tanto finiranno.
È una legge della vita.
Dopo
esserci concessi quella domenica tutta per noi, io ed Emile decidemmo
di comune
accordo di concedere una domenica di riposo anche a suo padre: non si
era mai
staccato da sua moglie da che avevo memoria e meritava anche
più di noi un
giorno di svago. Alberto però fu duro da convincere, non
voleva imporci un’intera
giornata accanto a Claudine e sospettai anche che non volesse staccarsi
da lei
per paura che le accadesse qualcosa. Così scendemmo a patti:
riuscimmo a
strappargli un pomeriggio di relax anziché
l’intero giorno, così nel dopo
pranzo lo spedimmo fuori a rilassarsi con qualche collega, mentre noi
ci prendevamo
cura dell’amore della sua vita.
Era
la prima volta che io ed Emile ci trovavamo insieme a badare a Claudine
e anche
se non avremmo fatto nulla di nuovo, essere lì insieme era
una piacevole
novità. Inoltre adoravo vedere il modo dolce e premuroso in
cui il mio Pel di
Carota si prendeva cura di sua madre: era una dolcezza ricolma di
tristezza, ma
anche di un amore infinito che mi commuoveva sempre.
«Emile,
tu ci credi al Destino?»
Ero
in piedi accanto alla finestra, intenta ad osservarlo mentre dava da
bere a sua
madre, quando mi venne in mente il giorno in cui lo vidi
all’ospedale con lei…
quel giorno in cui Simona si fece male.
«Stavo
pensando a quando c’incontrammo la prima volta
all’ospedale e mi sono venute in
mente tutte le circostanze che mi hanno portato ad essere qui con te
ora… io
credo che qualcuno lassù, abbia deciso che dovevamo
incontrarci a tutti i costi
e abbia fatto di tutto per far si che ciò accadesse. Sofia
ci ha raccontato
anche una leggenda al riguardo, sulle persone legate dal Filo Rosso del
Destino…»
Raccontai
per sommi capi la storia di Sofi mentre Emile venne a sedersi sulla
poltrona, a
breve distanza sia da me che da sua madre, per ascoltarmi e non perdere
di
vista Claudine.
«È
una leggenda molto bella e romantica e non ti nascondo che sarebbe
bello
crederci… ma sono convinto che siamo noi a scegliere il
nostro Destino. Se non
fosse così non potrei pensare che quel qualcuno che dici tu,
abbia deciso di
privare mia madre della sua vita e della sua felicità e
sarebbe altrettanto implicito
che qualsiasi sforzo faccia per emergere, potrebbe essere inutile se
non fosse
scritto nelle stelle. Invece sono convinto che per quanto tu debba
sforzarti e
sudare, se hai la volontà ferrea di raggiungere un
obiettivo, riuscirai nel tuo
intento, perché niente al mondo riuscirà a
bloccarti, niente al mondo ti
tratterrà dal raggiungere il tuo scopo.»
Emile
parlava con foga e con una luce intensa nello sguardo, era chiaro che
si stesse
riferendo al suo obiettivo di diventare famoso e capii da quella
febbrile
determinazione che lo pervadeva, quanto fosse forte il suo desiderio di
emergere, che avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il mio
pensiero andò momentaneamente a Claudio, ma lo accantonai
dicendomi che le sue
si erano rivelate vuote minacce, che il pericolo era passato, ma mi
chiesi
anche se non ci fosse la possibilità che si ripresentasse
successivamente… «Ci
sei rimasta male?» Emile mi riportò alla
realtà con quella domanda.
«Come?»
«Ho
visto che ti sei ammutolita e ho pensato che ci fossi rimasta male per
la mia
risposta… Sai Pasi, io non sono così
ottimista e buono come te e non riesco a credere alle
favole…» il suo sguardo
si fece amaro d’improvviso e d’istinto mi
accovacciai accanto a lui per
accarezzargli il viso:
«Assolutamente
no, hai espresso il tuo parere e siamo tutti liberi di avere opinioni
differenti Emile e non per questo penso che tu sia un insensibile.
Abbiamo solo
due opinioni diverse, tutto qui.» mi guardò con
intensità, i suoi occhi si
screziarono d’azzurro e la sua bocca si arcuò in
un dolce sorriso. Mi fece
segno di sedermi in braccio a lui e una volta accomodata mi prese il
volto tra
le mani…
«Come
farei senza di te?» …e mi diede un dolcissimo
bacio.
Restammo
abbracciati così per un po’, quando sentii lo
sguardo di Claudine su di noi: alzai
il capo in sua direzione e le sorrisi… e notai una luce in
quegli occhi che non
avevo visto mai prima.
Il
suo sguardo passò dal mio volto a quello di Emile e con
un’istantanea
comprensione sul viso disse:
«Mon
petit… tu es heureux mon petit! Tu es
heureux!» *
La
poltrona su cui eravamo seduti era abbastanza vicina da poter toccare
Claudine,
così Emile allungò una mano per accarezzare il
volto di sua madre e le rispose:
«Oui
maman, Je suis heureux.»
Era
la prima volta che lo sentivo parlare in francese: in quel momento
stavano
comunicando davvero, stavano interagendo: Claudine era vigile, non era
un
guscio vuoto e parlava con lucidità a suo figlio in una
delle rare occasioni in
cui ciò era accaduto!
Sentendo
la risposta di Emile, versò una lacrima e chiuse per un
momento gli occhi e
quando li riaprì disse:
«Je suis heureuse aussi mon
trésor. Je t’aime mon
bébé!»
Emile
osservò sua madre con occhi ad un passo dalla commozione e
attese di riprendere
la calma prima di rispondere:
«Je
t’aime aussi, maman.», stringendo la sua mano su
quella smagrita della madre,
mentre Claudine tornò al suo sonno con un sorriso sul volto.
Quella
fu l’ultima volta che la vidi.
Due
giorni dopo Claudine si uccise con una dose massiccia di sonnifero,
approfittando di un attimo di distrazione di Alberto.
Quando
mi arrivò la notizia era sera ed ero al centro a mettere in
ordine alcuni
documenti, quando all’improvviso Fede, che proprio quella
sera era con Alberto,
mi chiamò.
«Pasi,
chiama Emile e correte all’ospedale, Claudine ci ha
riprovato, si è imbottita
di sonnifero.»
Rimasi
pietrificata: dopo averla vista interagire con Emile, avevo sperato
nuovamente
che si stesse riprendendo, che la gioia di vedere suo figlio felice
l’avrebbe
riscossa e fatto reagire… non poteva fargli questo! Non
poteva fare una cosa
simile ad Alberto, non poteva lasciarci così!
«Pasi?
Pasi mi hai sentito? Avverti Emile e correte all’ospedale,
noi stiamo andando
già lì.»
Allertata
dalla voce pressante di Fede, mi riscossi quel tanto che
bastò per reagire:
Emile! Dovevo avvertirlo! Dovevo andare da lui e stargli accanto!
«S-sì
Fede, arriviamo subito!»
Quella
sera Emile era con il gruppo in riunione straordinaria con il
produttore:
stavano prendendo alcune decisioni riguardanti
il lancio del CD, era una serata importante ed era
richiesta la presenza
di tutti i GAUS al completo. Per questo motivo ebbi delle remore a
chiamarlo,
ma si trattava di sua madre, non era una sciocchezza e aveva il diritto
di
sapere cosa le fosse accaduto, così mi decisi ad usare il
cellulare.
«Pasi,
che succede?»
«Scusa
se t’interrompo ma è urgente Emile! Sto andando al
pronto soccorso, Claudine...»
«Arrivo.»
non mi lasciò terminare la frase e attaccò la
chiamata.
Quando
giunsi all’ospedale Emile non era ancora arrivato: Alberto e
Fede erano nel
corridoio in attesa e corsi ad abbracciare il primo per poi chiedergli
cosa
fosse accaduto. Alberto era visibilmente preoccupato, eppure non aveva
quell’ansia addosso che gli avevo visto la volta precedente,
sembrava
stranamente tranquillo, nonostante le condizioni di Claudine dovessero
essere
decisamente più gravi.
Probabilmente
confidava nei medici… Oppure era arrivato ad abituarsi a
quella situazione, ma
quel pensiero mi risultò quasi un’aberrazione:
come ci si può abituare all’idea
che chi ami voglia morire?
Emile
arrivò dopo poco: gli corsi incontro e abbracciati
c’incamminammo verso
Alberto. Quando arrivò accanto a suo padre, i due si
osservarono intensamente,
come se stessero comunicando col pensiero e la scena mi
sembrò surreale: temevo
che cadessero a pezzi, ero preparata a sostenere entrambi e invece
apparivano
stranamente tranquilli, dando vita ad una strana ansia dentro di
me… e quando
arrivarono i medici, lo stato della mia preoccupazione si fece
allarmante:
«Abbiamo
fatto il possibile, ma la signora ha ingerito una dose letale di
sonnifero… non
siamo riusciti a salvarla.»
In
quel momento persi il contatto con la realtà: tornai di
nuovo a qualche mese
prima, ero di nuovo con Stè in quello stesso ospedale,
mentre mi diceva che mia
sorella era morta. Simona non c’era più ed ora
anche Claudine se n’era andata!
«No,
non è possibile!» sentii la mia voce alzarsi di
tono, «Dovete salvarla, non può
morire così! Non ora, non ora!» come quella volta,
il mondo prese a vorticare
intorno a me e solo la voce di Emile mi riportò alla
realtà:
«Pasi,
calmati, Pasi!»
Mi
tenne stretta a sé e tornai alla lucidità,
rendendomi conto che la più
sconvolta tra i due ero io. Guardai Alberto, anche lui aveva la stessa
compostezza
del figlio, nonostante stesse piangendo.
«Ma
cosa significa? Perché siete così calmi? Ho
capito male forse? Claudine sta
bene?»
«No
Pasi, hai compreso perfettamente, mia madre se n’è
andata.»
Mi
voltai di scatto verso Emile: «E allora perché
siete così tranquilli?! Io… Io
non capisco Emile! Ti rendi conto? Claudine! Claudine!»
Emile
tornò a stringermi a sé e parlò con
calma: «Lo so, se n’è andata, ma ora
è in pace
Pasi, mamma ora è felice.»
Alzai
il viso verso il suo, gli occhi erano rossi di pianto eppure la sua
espressione
era serena: alla fine quella da consolare ero io!
«No!
Non lo posso accettare Emile! Stava meglio! Ti ha parlato
l’altro giorno, ho
visto la luce che aveva negli occhi! Stava meglio! Stava
meglio!»
«Mi
stava dicendo addio Pasi; quel giorno era felice, le ho visto la
serenità negli
occhi e ho capito che ci avrebbe lasciato a breve.»
Mi
tenne stretta nel suo abbraccio, trattenendo il dolore per farmi forza,
mentre
il mio prese il sopravvento. Era troppo, perché se
n’era andata anche lei?
Quante persone avrei dovuto perdere ancora in quel modo? Non sopportavo
più
quel luogo, non volevo più dire addio alle persone che
amavo; perché, perché
andavano via, perché mi lasciavano?!
«L’ha
fatto anche con me piccola, ha detto addio anche a me in quello stesso
modo due
giorni fa.» Alberto posò una mano sulla mia spalla
e abbracciò con l’altra suo
figlio: «Fatti forza piccola, fatti forza. Ora Claudine
è serena, e dobbiamo
esserlo anche noi.»
*****
“Sii
forte”, la
frase che mi disse Emile prima di
tornare in Germania; “Fatti
forza”,
fu l’eco di suo padre. Loro due erano forti, lo erano da
vent’anni,
aspettandosi l’addio improvviso di Claudine ogni giorno,
guardandola ogni volta
come se fosse l’ultima… e quando quel giorno
giunse, mantennero fede ai loro
propositi, si fecero forza
reciprocamente.
Io
no. Io non ce la facevo a sopportare anche quella perdita a distanza di
pochi
mesi. Continuai a piangere e a sentirmi nuovamente spezzata, eppure una
voce
dentro di me era consapevole che Emile e suo padre dicevano la
verità. Avevo
visto tutta la scena anche io, ero stata presente all’addio
di Claudine verso
suo figlio, e avevo notato gli occhi rossi di Emile mentre le diceva “Ti voglio bene anch’io
mamma”; in quel
momento si erano detti addio, ma non me n’ero resa conto!
Dovevo
essere forte anch’io, se non per me, almeno per Emile e per
Alberto: per quanto
si fossero preparati ad affrontarlo,
il
mio dolore doveva essere niente in confronto al loro!
Eppure
non riuscii ad esserlo.
Al
funerale di Claudine Flaubert c’erano poche persone, i pochi
intimi che la
conoscevano e l’amavano, o chi aveva imparato a farlo tramite
i racconti di chi
l’aveva conosciuta quando era sana e vitale. Alberto
mandò un telegramma in
Francia per comunicare alla famiglia Flaubert la dipartita di sua
moglie, ma
nessuno si fece vedere alla funzione, né mandarono altri
segni di aver ricevuto
la notizia. I miei
amici invece, vennero
tutti, sia per affetto verso di me che per dare sostegno ad Emile, ma
mi
accorsi ben poco della loro presenza: quelle ore le trascorsi
abbracciata a lui
in lacrime, preda dello sconforto e del dolore. Piansi per me, per
Emile, per
Simona, per Claudine… probabilmente piansi per tutti coloro
che non riuscivano
a farlo o che lo facevano ben poco. Due sole cose ricordo di quel
funerale: il
mio pianto e l’abbraccio convulso di Emile che non mi
lasciava.
E
come lui non mi aveva lasciato un secondo durante quel luttuoso evento,
altrettanto io ero restia ad allontanarmi da lui, andandomene da quella
casa.
Claudine aveva vissuto quasi esclusivamente nella sua stanza, eppure in
quell’abitazione che lei aveva scelto anni addietro, si
sentiva tragicamente la
sua assenza: d’improvviso quella casa sembrava immensa e
vuota.
Intorno
a Claudine si erano sempre avvicendati medici e infermieri e in un modo
o in un
altro, grazie a lei quella casa aveva sempre ospitato
un vai e vieni di persone, che ora non ci
sarebbero più state. Ora restavano solo Alberto ed Emile,
solo loro due, in una
casa troppo grande, vuota e silenziosa. Saperli soli in quel vuoto non
mi dava
pace, così decisi di trascorrere quei primi giorni con loro:
non m’importava se
avessero avuto da ridire, se avessero voluto fare i forti; sarei stata
irremovibile, non li avrei mai lasciati da soli! Probabilmente non ero
forte
come loro, ma avrei potuto aiutarli a non cedere, avrei potuto dare un
po’ di
sostegno in qualche altro modo e non volevo staccarmi da due persone
che
consideravo parte integrante della mia famiglia. Inoltre,
da un punto di vista del tutto
egoistico, non avendo presenziato al funerale di mia sorella, mi sentii
in
dovere di essere partecipe di quello di Claudine in ogni suo aspetto,
come se
avessi potuto espiare in quel modo, la colpa di essere stata assente
per mia
sorella una volta di troppo.
Per
fortuna sia il padre che il figlio non avevano le energie necessarie a
discutere, così quando dissi loro della mia intenzione di
restare in quella
casa, non fecero obiezioni di sorta… probabilmente anche se
si mostravano
forti, entrambi sentivano la stessa sensazione di vuoto che percepivo
io, anzi,
con tutta probabilità in loro era tutto amplificato;
vent’anni di convivenza e
di amore non si possono cancellare in qualche giorno!
Le
ore successive al funerale, trascorsero nel ricevere le condoglianze di
cortesia del vicinato, nel sentire qualche frase di circostanza e nel
rispondere con altrettante frasi fatte. Nei pochi mesi in cui avevo
frequentato
quella casa, non avevo mai visto una di quelle persone far visita a
Claudine
quand’era viva e osservarli in quel momento, mentre
mostravano il loro finto
dispiacere di circostanza, mi provocò un impeto di rabbia
per quell’ipocrisia e
per quelle inutili formalità. Ero contraria a simili gesti
da sempre, avevo
avuto le migliori discussioni con i miei genitori proprio a causa
dell’apparenza
a cui loro tanto tenevano, ma in quell’occasione capii molto
più profondamente
ciò che avevano vissuto Aberto ed Emile in quegli anni,
capii il profondo astio
che aveva dovuto provare il mio Pel di Carota davanti ad un continuo
andirivieni di persone pettegole e ipocrite, che volevano solo salvare
le
apparenze o impicciarsi delle vicende altrui. Capii quanto gli fossi
dovuta
sembrare invadente e intrigante quelle prime volte che ci eravamo
visti…
Gli
ero stata accanto tutto il tempo quel giorno e in quel momento, alla
luce di
quella comprensione, gli strinsi una mano, per tenermi il
più possibile
aggrappata a lui, per fargli sentire quanto gli fossi vicina e quanto
avrei
voluto poter fare qualcosa per risparmiargli tutto quello strazio.
Emile
ricambiò la stretta e quando fu libero dalle chiacchiere di
circostanza mi
diede un bacio sulla fronte:
«Grazie,
so che questo ti sta costando molto, se vuoi andare a riposare sei
liberissima
di farlo.»
Gli
presi anche l’altra mano e lo guardai negli occhi:
«Non vado da nessuna parte
Emile, lo affronteremo insieme, che tu lo voglia o no.»
Mi
guardò con un’espressione dolce e triste che
ricordava moltissimo quella di
Claudine e per un attimo mi si strinse il cuore; poi mi
accarezzò il viso con
una mano senza dire una parola, prima di essere chiamato a continuare
quella
pantomima.
Quando
arrivò la sera, mi accompagnò in camera, quella
stessa camera in cui dormii
mesi fa e anche quella volta, lo fermai mentre stava per dirigersi
sulla porta,
dopo avermi dato la buonanotte:
«Resta
qui con me, non te ne andare!»
Non
volevo lasciarlo, non volevo in alcun modo separarmi da lui, temevo
l’idea che
dovesse sopportare una sofferenza immane tutto da solo. Emile rimase
qualche istante
sulla porta ma poi se la chiuse alle spalle, venendomi incontro,
adagiandosi
nel letto accanto a me e tenendomi stretta a lui.
Durante
la notte però, allarmata da una strana sensazione mi
svegliai e alzando il viso
verso quello di Emile addormentato accanto a me, mi resi conto che nel
sonno
aveva iniziato a piangere. Il suo viso sembrava rilassato, eppure le
lacrime
erano ben visibili e non accennavano a smettere di scorrere.
Povero
amore mio, si stava tenendo in piedi con tutta la forza di
volontà che aveva,
ma la notte il suo cuore reclamava il diritto di esternare la sua
sofferenza,
libero dal desiderio della mente di mostrarsi forte. Mi accoccolai
accanto a
lui e lentamente gli asciugai le lacrime, prima di stringerlo a me.
*****
Mi
risvegliai nel letto da sola e con un’impressionante
sensazione di deja-vu mi
alzai, ritrovandomi nuovamente in un corridoio vuoto e silenzioso. Come
l’altra
volta mi allungai verso la stanza di Claudine, la cui porta era aperta:
avevo
la strana sensazione di camminare nel passato, come se mi fossi
risvegliata in
un piano di esistenza al di là del tempo. Come quella volta,
nella stanza c’era
Alberto, ma quella fu l’ultima assonanza col passato:
repentinamente tornai al
presente nel vederlo seduto sulla poltrona accanto al letto vuoto di
Claudine,
mentre osservava silenziosamente la stanza. Entrai quasi in punta di
piedi,
senza dire una parola e mi accucciai a terra, accanto alla poltrona,
poggiando
la mia mano su una di Alberto. Mi guardò con un sorriso
amorevole e triste:
aveva gli occhi rossi ma se aveva pianto, quelle lacrime si erano
seccate da
tempo, poiché non ce n’era traccia sul suo viso
tranquillo.
«Questa
casa è vuota senza di lei, vero piccola?»
«Sì…
lo è… è terribilmente
vuota!»
Tornò
a guardare avanti a sé, come per rivolgersi più a
se stesso che a me: «Non
mi abituerò mai alla sua assenza…»
Non
ce la facevo a guardarlo senza dir niente, così cercai di
essere utile in
qualche modo:
«Alberto…
so che forse non sono la persona più adatta, ma se vuoi
parlare, se vuoi
sfogarti… con me… io ti sono vicina! Ti
ascolterei con piacere! Lo so che fino
a ieri non ho fatto altro che piangere e so che agli occhi tuoi e di
Emile sarò
sembrata una fragile ragazzina emotiva… ma io sono convinta
che il dolore vada
esternato e sarei davvero felice che lo faceste anche voi due! Inoltre,
essendomi già sfogata, ora posso ascoltare anche gli
altri.» E non mi sentirò
l’unica stupida che urla e
strepita!
Alberto
mi guardò con affetto e poggiò l’altra
mano sulla mia:
«Pasi,
bambina mia, tu sei una deliziosa giovane donna cristallina e di buon
cuore e
vai bene così come sei. Non posso parlare per Emile, che
è solito non esternare
ciò che sente dentro, ma io non sto trattenendo il dolore. Sento terribilmente la
mancanza di Claudine,
con lei è andato via un pezzo di me e non sarò
mai più intero; ma quando mi ha
detto addio io l’ho vista serena, ho visto in lei una luce
che non vedevo da
tempo, il suo sguardo era rilassato e privo di dolore come
vent’anni fa! La mia
Claudine ha rinunciato a vivere da allora e solo stavolta ho visto che
la
tristezza del suo animo e il senso di colpa per non essere stata una
buona
madre verso Emile, l’avevano abbandonata, perché
l’aveva visto felice… insieme
a te.»
Strinsi
più forte la mano di Alberto e iniziai a sentire il magone
nella gola. «Ma
chère sarebbe morta prima o poi, ci sarebbe stata una
disattenzione da parte
nostra che sarebbe stata fatale e lei ne avrebbe approfittato per
andarsene; ma
sapere che l’ha fatto col
sorriso sulle labbra e il cuore più leggero è
stato il modo più bello di dirle
addio. Mi mancherà sempre, ma so che ora è serena
e questo basta a placare il
mio dolore. E dopotutto, è solo questione di pazienza e
attesa: quando giungerà
la mia ora, la rincontrerò e potrò stare con lei
come prima, come quando ci
siamo conosciuti e quella volta sarà per
l’eternità.»
Il
viso di Alberto era
così sereno a
quell’idea, era così convinto della sua visione
romantica dell’amore che lo
legava a Claudine che mi commosse: appoggiai il viso sulla sua mano e
iniziai a
piangere.
«Su,
su, bambina, Claudine è serena, tutte queste lacrime non ti
fanno bene. Devi
essere felice piccola, devi vivere la tua vita con serenità,
senza rattristarti
così per chi è sceso prima dal treno.»
«Sì,
lo so.»
«Coraggio,
vieni qui e abbracciami.» mi allungai ad abbracciare Alberto
e rimanemmo per
qualche minuto a darci affetto e calore reciproco. Ancora una volta, il
mio
desiderio di dare conforto e sostegno si era ribaltato ed ero finita ad
essere
io quella da consolare!
*****
Emile
tornò presto ai suoi doveri verso il gruppo. Si era
allontanato all’improvviso
dalla riunione col produttore per correre da sua madre e da allora non
aveva
più sentito qualcuno, né saputo cosa si erano
detti. Così chiamò a raccolta i
GAUS per parlare con loro e tornò a riprendere anche i suoi
impegni lavorativi
presso la bottega di restauro, decidendo di recarvisi direttamente
dalla
mattina, dato che non c’era più bisogno di essere
tra le pareti domestiche. Era
una decisone più che ovvia, ed era anche scontata
considerando che negli ultimi
tempi, preso dal gruppo, aveva chiesto una dose eccessiva di giorni
liberi, per
cui era più che giusto rimediare alle
“vacanze” arbitrarie che si era concesso.
Tuttavia,
sospettai che quella decisione fu presa anche per un terzo e non meno
importante motivo: trascorrere il minor tempo possibile in
quell’abitazione.
Così tra i restauri e i GAUS, le sue giornate scorrevano
tenendolo impegnato,
senza dargli modo di cedere al dolore.
Tranne
la notte.
Puntualmente
quando chiudeva gli occhi, il suo cuore liberava la sofferenza che
veniva
imbrigliata durante il giorno ed io ogni volta lo stringevo a me col
cuore a
pezzi, asciugandogli le lacrime… finché non
sopportai più quella situazione e
decisi di affrontare direttamente con lui il discorso.
Una
domenica mattina lo trovai nel laboratorio di Alberto intento a
rifinire la
cornice di uno specchio antico: non si concedeva il riposo nemmeno quel
giorno.
«Ti
sei alzato presto anche oggi!? Ma è domenica!»
Avevo
ancora gli occhi assonnati ed ero scesa
da lui in pigiama, appena resami conto della sua assenza. Emile si
volse verso
di me e mi sorrise flebilmente:
«Mi
sono svegliato e non riuscivo ad addormentarmi, così sono
sceso qui. Torna a
letto Pasi, stai dormendo in piedi!»
«No,
sto bene…» e sbadigliai alla grande…
Emile mi guardò con espressione
improvvisamente seria:
«Pasi,
non è necessario che tu rimanga ancora qui la notte: io e
papà stiamo bene,
possiamo cavarcela da soli.»
D’improvviso
il sonno mi passò, non avevo pensato di essermi trattenuta
troppo in quella
casa: era così naturale per me essere lì, che non
mi ero ancora posta il
problema sulla durata della mia permanenza in quel luogo…
Inoltre ero ancora
troppo preoccupata per Emile, per potermene andare via lasciandolo a se
stesso!
«Non
è vero che stai bene, tuo padre forse ha raggiunto una certa
tranquillità
interiore, ma tu no, Emile! Tu ti sobbarchi di lavoro per non pensare,
stai
fuori casa il più possibile, per non sentire il vuoto che
c’è in quest’abitazione
ora e non trovi la forza di sfogare ciò che hai dentro di
te. E forse non
riesci a dormire proprio perché la tua coscienza sta
cercando di dirti qualcosa!»
Sganciata la bomba, mi preparai al contraccolpo che ero sicura sarebbe
arrivato
all’istante.
«Sono
sciocchezze Pasi! Lavoro di più perché
è giusto che sia così e di conseguenza
sto fuori casa per più tempo. Non ho nulla da sfogare, sto
bene. E se mi
sveglio presto, è perché ormai sono abituato a
farlo!»
«Non
è vero, Emile! Non è assolutamente vero che stai
bene e che tu non abbia nulla
da sfogare!»
«Ti
dico che sto bene!»
Non
ne potevo più di quella farsa; perché ora tornava
a mascherarsi davanti a me?
Era mai possibile che lo facesse a causa mia? Voleva essere forte per
me,
perché mi aveva visto a pezzi?
«Emile,
se lo fai per me, se lo fai perché ti senti in dovere di
essere forte, dato che
io non mostro di esserlo, allora smettila immediatamente
perché io non voglio
che tu finga!»
«Fingere
di che, Pasi? Se ti dico che sto bene, perché non mi
credi?»
Iniziò
ad alterarsi, ma io continuai imperterrita:
«Perché io lo so che non è vero,
stupido!»
Emile
perse le staffe e iniziò ad alzare la voce:
«Che
cosa vuoi che ti dica, eh? Che mi manca? Mi è sempre
mancata, è tutta la vita
che mi manca una madre! Perché dovrei piangere ora, per
qualcosa che mi porto
dentro da sempre? Dovrei piangere perché non era presente
agli incontri con gli
insegnanti? Perché non mi ha visto mentre cantavo la prima
volta su un palco?
Perché quando c’era da fare il tema sulla mamma,
non sapevo cosa scrivere?
Perché non so cosa sia mangiare un piatto cucinato da lei o
ricevere un suo
abbraccio? È per questo che devo piangere?!»
«Sì
stupido, se è questo che ti fa star male piangi per questo,
perché io lo so che
soffri, so che ora stai fingendo di star bene; perché io
asciugo le lacrime tutte
le notti da quel tuo viso!»
Emile
restò esterefatto, la rabbia fece posto alla sorpresa sul
suo volto, che venne
raggiunto da una mano, come se la pelle del viso a contatto con le
dita,
emanasse i ricordi delle sue notti di pianto. Aveva
un’espressione sorpresa
mentre realizzava ciò che gli avevo detto: non si era mai
reso conto di
piangere la notte!
Mi
avvicinai a lui prendendogli la mano: «Non ti rendi conto che
il tuo cuore
soffre? Buttalo fuori quel dolore, esternalo! Non lasciare che ti
corroda!»
La
sua espressione sorpresa si rilassò, lasciando spazio
all’amarezza: «A cosa
servirebbe, Pasi? Se piango, se mi metto ad urlare, cosa cambia? Mia
madre
tornerà? Tua sorella è mai tornata da te, quando
piangevi per lei?»
«Loro
non torneranno, ma tu non sei morto; tu sei vivo Emile, sei vivo! E i
vivi
piangono, urlano, rompono qualcosa per la rabbia, l’esternano
la loro vita, la
loro esistenza! Non ti chiudere in te, ti prego! Non fare come
lei!»
Quell’ultima
esclamazione sorprese anche me: non mi ero resa conto fino a quel
momento, di
temere che Emile prendesse la stessa strada pericolosa che aveva
decretato la
fine di sua madre: rimasi stupita da quello che avevo appena compreso e
portai
una mano alla bocca sgranando gli occhi, preoccupata di aver detto una
parola
di troppo.
Invece
Emile mi abbracciò; ancora una volta, quella era una paura
che comprendeva
benissimo perché prima d’incontrarmi, era stato il
suo motivo principale per
vivere, la causa che l’aveva spinto a volere il successo.
Emile temeva anche
più di me l’idea di seguire lo stesso destino di
sua madre.
«Stai
tranquilla amore mio, io non me ne andrò in quel modo, non
me lo perdonerei
mai!»
«Allora sfogati, ti prego!»
Lo strinsi a me, sentii tutti i battiti
del suo cuore e fui presa nuovamente dal desiderio di essere parte
della sua
anima, per condividere e alleggerirgli il dolore.
«Lo farò, te lo
prometto; appena ci
riuscirò, lo farò.»
----------------------------------------------
* “Piccolo
mio... tu sei felice piccolo mio! Tu sei
felice!”
“Si
mamma, sono felice.”
“Sono
felice anch'io tesoro mio. Ti voglio bene bambino
mio!”
“Ti voglio bene anch'io, mamma.”
__________________________________________
NDA
*si mette un elmetto
protettivo in testa e un'armatura completa addosso*
EHM....
si lo so, ora mi
odiate e vi starete chiedendo quanto io sia sadica, perversa e quanto
goda ad eliminare i personaggi che amate....
Vi
giuro che non
è così! Claudine è stata concepita
come personaggio sacrificabile sin dall'inizio e nella
genesi di questa storia, lo strazio doveva essere solo nei
suoi riguardi. In
seguito è comparsa anche Simona nella lista e a quel punto
sono stata titubante sul salvare Claudine o meno... però poi
avrei dovuto rivedere tutta la storia e
quindi ho deciso di lasciare tutto così come l'avevo
concepito sin dall'inizio. So che ne è risultata una strage
e probabilmente a
furia di amare Fuyumi
Souryo, sto prendendo la sua brutta abitudine di sacrificare personaggi
amati... ma vi giuro che non ci saranno più momenti
simili, basta
con i funerali,
parola di scout!
(Uhm...
no di scout
no... vi do la mia parola di elfa? Uhm.... Vabbè comunque
sia non voglio più funerali nemmeno io, quindi abbiate
pietà di me e non linciatemi PLEASE!!!)
In
questi ultimi giorni
sono bloccata su alcuni capitoli perchè non riesco a
trovare la
giusta concentrazione e mi sento un pò frustrata
in questo... però
contemporaneamente ho inziato a ideare una specie di spin-off, che se
mi convincerà vedrete
presto su questo
sito xD
Insomma l'ispirazione come sempre va e viene, spero
solo di continuare a mantenere il vostro interesse ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
Anche
se dopo questo
capitolo sento che le vostre parole saranno tutt'altro che di sostegno,
vi ringrazio dal profondo del cuore per i vostri continui
incoraggiamenti e per
l'impazienza che
mostrate nel volere leggere i capitoli futuri. Grazie mille a Iloveworld, che in quanto Beta,
è stata la prima ad essere assassinata con questo capitolo
e mi ha gentilmente consigliato di munirmi di elmetto (come vedi
sorellina ho aggiunto anche l'armatura!) per evitare di essere uccisa a
mia volta... Thank you so much sister <3
Ringrazio le mie sorelle
più affezionate: Niky, Saretta, Vale, Concy, che sempre mi sostengono e mi
donano il loro entusiasmo, che costituisce un'enorme spinta a
continuare a scrivere
(anche se ora mi odierete
ç_ç) e le sorelle che mi sostengono a distanza: Ana-chan, Cicci, Ely.
Ringrazio anche tutte coloro
che
hanno aggiunto questa storia tra le preferite, tra le ricordate e tra
le seguite:
lorenzabu,
samyoliveri,
sbrodolinalollypop,
Aly_Swag,
green_apple,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen,
hurry, Newiyurd,
nicksmuffin,
Origin753, petusina, sel4ever,
ThePoisonofPrimula,
_Grumpy.
ARIGATOU GOZAIMASU a
tutte voi <3
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
«Stè,
io e te dobbiamo uscire un po’.»
«Eh?»
Testa di Paglia mi guardò sorpreso.
Ormai
ci vedevamo quasi esclusivamente davanti alla tomba di Simona o per le
nostre
lezioni di francese e iniziai a sentire il bisogno di riprendermi i
brandelli
di una vita più spensierata: ero circondata da troppi eventi
luttuosi, dovevo
ricaricare le energie per sentirmi meglio e per non far più
preoccupare Emile.
Forse se mi avesse visto più energica e serena, si sarebbe
deciso a lasciarsi
andare, a cedere al dispiacere… ed io avevo il desiderio
sempre più pressante
di distrarmi da tutta quella sofferenza!
«Uscire?
A far cosa?»
«Non
lo so, a far casino! Ho bisogno di distrarmi e credo proprio che serva
anche a
te! Ci sono state troppe tristezze ultimamente,
devo liberarmi da questa angoscia!» altrimenti
Emile non si sentirà mai libero di piangere, si
sentirà sempre in dovere di
essere forte.
«In
effetti ultimamente ci siamo incupiti sempre di
più… probabilmente hai ragione,
abbiamo bisogno di riprendere il buon umore.»
«Esatto,
inoltre finché sarò in queste condizioni,
finché non riuscirò e sentirmi meglio,
non sarò in grado di essere d’aiuto ad Emile e non
voglio sentirmi impotente!»
«Bene,
io sono sempre disponibile a far casino, lo sai! Allora dove
andiamo?»
*****
«Al
diavolo imbecille! Butta dentro quella palla!»
«Testarossa…
sei sicura di star bene?»
«Sto
benissimo Testa di Paglia, perché?»
«Ehm…
ti vedo un po’ troppo agitata…»
«Andiamo
Stè! Proprio da te queste cose non me le aspettavo! Non hai
visto quello
stupido di un cestista?! Avrei giocato meglio io dal basso del mio
metro e sessanta
centimetri!»
Il
basket era uno sport che amavo, mi sarebbe piaciuto tantissimo
praticarlo, se solo
fossi stata più alta! Avevo giocato da piccola e sin dalle
prime partite
scoprii un gran divertimento nel partecipare alle partite, avevo anche
delle
discrete abilità! Ma col passare del tempo i miei compagni
di squadra crebbero,
mentre la mia statura risultò essere un grave handicap per
me, così mi feci
forza e abbandonai l’attività, ripiegando
nell’assistere alle partite.
Stè dal canto suo invece, aveva
l’altezza
perfetta e sebbene avesse giocato anche lui quand’eravamo
alle superiori, non essendo
particolarmente bravo aveva interrotto la sua attività
agonistica. Se avessimo
potuto giocare insieme come un'unica persona, la sua altezza e le mie
capacità
forse ci avrebbero permesso di essere un valido giocatore... ma visto
che
l’idea non era lontanamente realizzabile, ci
limitammo a fare da spettatori, così quando
c’era una partita di basket nei dintorni coglievamo sempre
l’occasione per
vederla insieme.
In
quel frangente però sembrava che a divertirmi fossi solo
io…
«Avanti
Stèèèè! Perché
fai il Fede della situazione?! Divertiti anche tu!»
«Testarossa,
io ho l’impressione che tu ti stia sforzando di divertirti
più che farlo
davvero…»
Il
mio amico era insolitamente serio e preoccupato, non sopportavo
più
quell’espressione sul suo viso, doveva divertirsi anche lui,
ne aveva bisogno
quanto me! E poi mi serviva un sostegno, mi serviva un’anima
allegra, avevo
bisogno della giovialità di Stè accanto a me!
«Testa
di Paglia, per far sì che un motore spento riparta, non
bisogna forzarne un
po’ gl’ingranaggi prima?»
«Sì
è così, ma…»
«Ecco,
io sto forzando un po’ gl’ingranaggi per far
partire il mio buonumore, perché
se attendo che parta da solo, potrei metterci anche tutta la vita! E tu
dovresti fare altrettanto, perché non conto nemmeno
più il tempo trascorso
sempre così immusoniti ed io voglio tornare a ridere insieme
a te! Siamo o no
le due Teste di Fuoco? Quindi ora
alzati con me e grida a quello stupido playmaker di fare il suo
lavoro!»
Stè
mi guardò estasiato, col sorriso stampato
sul volto dopo la mia convincente arringa (della quale andai
particolarmente
fiera per mesi); Dio solo sapeva quanto servisse anche a lui distrarsi
e non
pensare a Simona e per fortuna sembrò capire che gli avrebbe
fatto bene seguire
le mie orme, così
nel giro di un battito
di ciglia fu in piedi ad inveire con me ai danni di quel povero
playmaker, che
aveva avuto la sfortuna di averci nel pubblico.
*****
Uscire
con Stè mi fece bene, Testa di Paglia era sempre stato il
mio
calmante/corroborante naturale; da quando ci conoscevamo ogni volta che
avevo
avuto bisogno di ritrovare la serenità, che fosse stato dopo
una litigata con i
miei genitori o per chiedere un po’ di conforto nei momenti
tristi, Stè c’era
sempre stato, pronto a rassicurarmi con un abbraccio e un sorriso. E
sapevo che
solo lui, solo la sua presenza sarebbe stata in grado di ridarmi la
forza
necessaria a smettere di piangere e d’intristirmi per
Claudine e che avrebbe
permesso ad Emile di togliersi la corazza e lasciarsi andare al dolore.
E
per far sì che ciò avvenisse il prima possibile,
decisi di tornare da Rita: ero
ancora troppo in pensiero per lui, ma mi ero resa conto che la mia
ansia non
faceva altro che agitarlo; molto probabilmente, se si fosse sentito
lontano dai
miei occhi preoccupati, sarebbe stato più facile per lui
lasciarsi andare,
togliendosi di dosso la maschera di uomo forte. Così seppure
a malincuore,
decisi di allontanarmi da lui.
Tornare
dalla mia amica però mi ricordò quanto
quell’appartamento mi mettesse a
disagio: ormai non ci vivevo da qualche settimana e nonostante le
parole di
Rita, non l’avevo mai sentito come casa mia; inoltre lei e Fede erano
ufficialmente tornati ad
essere una coppia, per cui la mia presenza lì era del tutto
fastidiosa.
Compresi che era giunto il momento di cercare un luogo che potessi
chiamare
casa.
«Perché
vai via Pasi?»
Rita
mi abbracciò triste quando, giorni dopo il mio ritorno, le
comunicai la mia
decisione.
«Rita,
lo sai meglio di me che non potevo restare qui per sempre e poi ora
sarei solo
d’impiccio a te e Fede!»
«Ma
no dai, che dici! Non ti sentire di troppo, ti ho sempre detto che
questa è
casa tua, io e Fede possiamo vederci dove vogliamo!»
«Lo
so che tu non mi manderesti mai via ed è per questo che me
ne vado io. Ma
questo non significa mica che non ci vedremo più!»
Improvvisamente
Rita sembrò una bambina: lei che avevo sempre visto come una
mamma acquisita,
come una figura da cui prendere esempio, in quel momento mi sembrava
solo
qualcuno da consolare.
«Lo
so questo, ma era bello stare insieme, era bello avere una sorella con
me!»
Margherita
era figlia unica: era sempre stata circondata d’affetto e in
famiglia non le
era mancato mai nulla, tranne una compagnia. Sua madre aveva avuto
degli aborti
dopo la sua nascita e in seguito le era stato detto che non avrebbe
potuto più
avere figli, così a Rita era rimasto il desiderio di avere
una sorella accanto.
Probabilmente come io vedevo in lei una figura che era tra quella di
una madre
e una sorella maggiore, allo stesso modo lei vedeva in me la sorella
minore che
non aveva mai avuto ed era per questo motivo che risultava
così dolce, materna
e protettiva nei miei confronti. Non mi ero mai resa conto della
solitudine che
si portava dentro... forse era anche per quel motivo che riempiva la
sua vita
di impegni? Per non sentirsi sola? Eppure ora aveva Fede e sarebbe
potuta
tornare dai suoi genitori quando voleva…
«Ma
io e te saremo sempre sorelle Rita, non mi perderai mai!»
«Scusami
Pasi, sono un’egoista a parlarti di sorellanza, sono stata
poco delicata!»
«Non
preoccuparti, io ti ho sempre considerato come una sorella maggiore
Rita; al di
là del rapporto con la mia vera sorella, tu per me hai
sempre ricoperto quel
ruolo e sono felice di essere importante allo stesso modo per te e
proprio per
questo ti assicuro che non ci allontaneremo mai! Tu ami i tuoi
genitori, vero?
Eppure te ne sei andata via di casa… Allo stesso modo, per
quanto io ti voglia
bene, voglio trovare il mio posto nel mondo a partire da quattro mura
che possa
chiamare solo mie; capisci cosa intendo, vero?»
Rita
mi osservò con ammirazione e mi fece un gran sorriso prima
di parlare:
«Hai
ragione, che stupida! Ti ho sempre visto come la mia piccola e
avventata
sorellina da proteggere, ma tu sei grande e hai tutte le ragioni per
volerti
rendere completamente indipendente camminando sulle tue gambe.
Però mi
mancherai!» Tornò ad abbracciarmi, prima di
aiutarmi a trovare casa, tra gli
annunci che stavo sfogliando.
*****
Trovai
un piccolo appartamentino, che poteva ben definirsi un monolocale
più che
altro, con un soppalco che fungeva da camera da letto, una mini cucina
e
un’area giorno che a mala pena lasciava spazio per un
divanetto accanto a
tavolo e sedie. Era decisamente piccolo, ma era mio, era la mia piccola
tana,
era il luogo che avrei chiamato casa mia. Non sarei stata
più ospite di nessuno,
l’avrei arredata a gusto mio e l’avrei vissuta come
meglio preferivo! Certo
questo significava anche che avrei dormito da sola, che non avrei
atteso che
Rita tornasse e al mio risveglio non avrei trovato nessuno accanto, ma
le mie
giornate non sarebbero state solitarie: io non ero affatto il tipo che
ama
starsene per conto proprio e qualche ora notturna l’avrei
potuta sopportare…
E
poi c’era Emile… Iniziai a fantasticare su una
futura vita in due, guardando la
mia piccola dimora: già mi sembrava di vedere il mio Pel di
Carota che si
affacciava dal soppalco con gli spartiti in mano e mi chiedeva cosa ci
fosse
per cena…
Mi
riscossi subito dai quei sogni ad occhi aperti prima di andare troppo
oltre e
felice come non mai, decisi di condividere la mia gioia con Emile,
così corsi
immediatamente da lui per dargli la notizia.
Con
mia grande sorpresa però, appena aprii la porta di casa, non
vidi il volto che
tanto amavo, ma quello molto meno piacevole di Claudio.
«Sei
venuta a farci compagnia, Coda di Emile?»
Sapevo
che i GAUS erano in riunione, stavano decidendo la grafica della cover
del loro
album e altri dettagli importanti per il lancio del CD, per cui mi ero
preparata ad attendere che finissero di parlare, prima di dire ad Emile
del mio
appartamento. Sperai quindi di non dover vedere il suo batterista, che
per me era
diventato una vera e propria spina nel fianco… e invece la
spina mi colpì in
pieno!
«Ti
ho detto che non mi piace…»
«Sai
Pasi, non ti ho mai sopportato, da
quando sei entrata nelle nostre vite hai solo dato problemi, hai solo
creato
scompiglio.»
Eravamo
ancora nell’ingresso, avevo
appena chiuso la porta e si avvicinò minaccioso,
ricordandomi in un istante la volta
precedente in cui ci eravamo incontrati, quando mi bloccò
nella cucina di
quella casa.
«Sei
una presenza fastidiosa, distogli l’attenzione e non ci fai
concentrare.»
Mi
bloccò nuovamente al muro: non riuscii
a muovere un passo, il suo sguardo era pericoloso e mi paralizzava.
«Forse,
se provo a guardarti sotto un altro aspetto, mi sembrerai
più sopportabile…»
Si
protese in mia direzione ed io spostai
il volto quando mi fu chiaro che voleva baciarmi, ma rapidamente mi
prese il
viso con una mano e premette le sue labbra sulle mie. Cercai di
divincolarmi e
mi tenne più stretta al muro premendo col suo corpo, mentre
le sue mani
iniziarono a toccarmi in modo rozzo. Le nostre stature erano troppo
diverse e
non riuscii a dargli un calcio nelle parti basse, cercai allora di
spostarlo
spingendolo via, finché d’improvviso non fu
strattonato lontano da me e vidi
Emile che gli tirava un pugno in pieno viso:
«Non
ti permettere mai più di alzare le mani su di lei, vigliacco!»
Il
suo volto era furioso, gli occhi due
pozze azzurre d’ira; Claudio dal canto suo si
toccò il labbro sanguinante e ci rivolse
un sorriso colmo di rancore:
«Il
nostro prezioso leader ha perso di nuovo il suo contegno! Che fine
hanno fatto
le tue parole: “La musica viene prima di tutto, il gruppo
dev’essere la nostra
priorità assoluta”?! Non è
più così eh, Emile? Non è
più la musica il tuo primo
pensiero!»
Fece
una risata sarcastica mentre Emile
diventava sempre più rosso dalla rabbia:
«Vattene
immediatamente, non voglio più vederti! Sparisci dalla mia
vista e non ti
presentare mai più!»
Claudio
lo guardò deridendolo, come se si aspettasse quella
reazione… possibile che
fosse tutto calcolato? «Certo
che me ne vado, me ne sarei andato comunque, ma aspettavo che mi
cacciassi tu.
Ora sono proprio curioso di sapere come farai senza un batterista in
piena
promozione: complimenti Emile, bella mossa, questo sì che
gioverà al gruppo!»
Claudio
se ne andò via senza nemmeno
guardarmi, ridendo soddisfatto: aveva tirato un brutto colpo al suo
vocalist,
mi aveva usato per incrinare la sua volontà, per dargli una
lezione e per
fargliela pagare nel modo più dannoso che conoscesse. Emile
aveva perso di
propria volontà il suo batterista all’alba della
campagna promozionale, a causa
di un litigio causato da una donna! Claudio non avrebbe potuto
vendicarsi in
modo migliore.
Rimasi
impietrita, attaccata ancora a
quella parete, mentre Emile respirava a fatica preso dalla rabbia e
stringeva i
pugni serrandoli al punto da farsi male: diede un colpo al muro e si
lasciò cadere
a terra, reggendosi il capo tra le mani.
Ero
terrorizzata: non solo con le mie
parole avevo incitato Claudio ad andarsene e gli avevo anche suggerito
involontariamente il modo di farlo, ma avevo commesso anche il grande
errore di
minimizzare le sue intenzioni e sottovalutarlo, senza allertare Emile
del
possibile pericolo che correva, per evitare di pagarne le conseguenze
ed ora si
trovava in un pasticcio senza possibilità di una soluzione
veloce e soddisfacente.
Imitandolo, mi lasciai cadere sul pavimento, a distanza da lui che mi
dava le
spalle e sconsolata iniziai a parlare:
«È
tutta colpa mia… sono stata io
a dirgli
di affrontarti, io gli ho fatto prendere questa decisione... sono una
stupida!»
Le
lacrime iniziarono a scorrere copiose
sul mio viso, Emile mi avrebbe odiato per questo! Ero stata la causa
dello
sfaldamento del suo gruppo, avevo contribuito a incrinare la sua
carriera e l’obiettivo
che voleva realizzare più di ogni altra cosa al mondo! Non avevo scuse a mia
discolpa e sentii la
disperazione al pensiero di vedere il suo volto adirato che mi mandava
via. Dopo
l’iniziale sconforto però, Emile alzò
la testa, guardò davanti a sé per qualche
istante e sospirò, poi si alzò e venne a sedersi
accanto a me.
«Ti
ha fatto del male?»
Scostò
i miei capelli dal viso per vedere
se avessi segni di colluttazione, ma a parte il fastidio provato al
tocco di
quel bacio forzato e quelle mani invadenti, non avevo alcuna ferita.
«Emile
mi hai sentito? Ti prego dimmi qualcosa, lo so che ora mi odi, se devi
mandarmi
via fallo subito, mostrami il tuo rancore! È tutta colpa mia!»
Non
vidi nulla di tutto questo sul suo
volto, mi guardò con un’espressione triste e
addolorata e poi mi strinse a sé:
«Non
dire sciocchezze, la colpa non è tua, sono io
l’imbecille che ha creato questa
situazione, che invece di smorzare le tensioni le ha aumentate. Se
c’è qualcuno
da incolpare, quello sono io!»
Rimasi
a piangere tra le sue braccia, non
riuscii a sentirmi sollevata: nonostante non avessi ricevuto alcuna
accusa da
Emile, il mio senso di colpa era troppo grande per potermi permettere
anche
solo di pensare di sentirmi sollevata. E quella mancanza di reazione da
parte sua,
unita alla mancanza di una reazione alla morte della madre, mi fecero
temere
ancora di più che il mio Pel di Carota non fosse
più in grado di esprimere ciò
che aveva dentro di sé.
Sentendo
gli schiamazzi provenienti
dall’ingresso, gli altri componenti del gruppo risalirono dal
piano interrato
per sapere cosa fosse accaduto: appena videro me ed Emile seduti a
terra, si
bloccarono e con fare imbarazzato e incuriosito, Francesco prese
parola:
«Ehm…
Claudio dov’è?»
«Se
n’è andato.»
fu la risposta lapidaria
di Emile.
«Andato?
Ma siamo in piena riunione… è successo qualcosa?» Il tono di Francesco
divenne seriamente preoccupato, era
chiaro come il sole che fosse accaduto qualcosa e che Claudio avesse
preso
parte a quell’evento.
«Claudio
non fa più parte del gruppo, dobbiamo cercare un altro
batterista. Scusateci un
attimo.»
Mi
fece alzare, mi condusse in salotto e
mi fece accomodare sul divano:
«Devo
parlare con i ragazzi di ciò che è accaduto,
appena finiamo sono da te, ok?
Rilassati qui e smettila d’incolparti.»
Mi
diede un bacio sulla fronte e una
carezza sul viso e si allontanò per rimettere in sesto
quella situazione
disastrata, che avevo contribuito a creare.
*****
Rimasi
a piangere ancora per un po’ in quella stanza, sola con i
miei sensi di colpa,
finché non ebbi più lacrime da versare. Mi
accucciai sul divano, osservando
quelle pareti tappezzate dai posters di Claudine e mi ritrovai a
pensare a lei.
In modo indiretto il mio sbaglio era anche in sua direzione: se Emile
non fosse
riuscito ad emergere, non avrebbe realizzato il suo desiderio di
riscattare sua
madre e Claudine sarebbe rimasta nuovamente nell’ombra,
ricordata da soli pochi
appassionati di musica in Francia.
Il
tempo sembrò non passare mai, qualche volta mi concentravo
per sentire
eventuali voci provenienti dal piano interrato, ma intorno a me
c’era solo
silenzio, un silenzio più opprimente di qualsiasi altro
rumore. Andai in
cucina a prendere un bicchiere
d’acqua e mi tornò alla mente Claudio,
così in cerca di un luogo che non fosse
legato a ricordi spiacevoli, salii direttamente in camera di Emile.
Restai
seduta sul suo letto osservando il suo mondo e solo dopo qualche minuto
mi resi
conto che sul comodino c’era una seconda foto: accanto a
quella con i suoi
genitori, ora ce n’era anche una di noi due, un autoscatto
fatto quando eravamo
riusciti ad avere un giorno per noi ed avevamo trascorso del tempo
sulla
spiaggia.
Il
mio senso di colpa per un momento fu
offuscato dalla gioia di vedere quella dimostrazione di affetto;
dicendo a me
stessa che Emile mi amava e che non mi avrebbe messo alla porta,
iniziai a
rilassarmi un po’.
Non
sapevo quanto tempo avrei dovuto attendere prima di rivederlo e
stavolta volevo
affrontare il discorso e ricevere una sua reazione, perciò
iniziai a pensare a
come poter trascorrere il tempo in attesa: osservai i libri sugli
scaffali in
cerca di una lettura interessante, sfogliai qualche libro, ma mi resi
conto di
non riuscire a concentrarmi. Il mio sguardo si posò quindi
sul violino: non
l’avevo più toccato dalla sera della mia prima
lezione, così decisi di
riprovarci cercando di ricordare ciò che mi aveva detto
Emile. Dopo qualche
stridio fastidioso mi trovai a desiderare di saper suonare davvero
qualche
strumento, magari proprio la batteria, in modo da poter rimediare
personalmente
al mio errore e in modo del tutto irrazionale, decisi di concentrarmi
di più su
quel violino, come se ne valesse il futuro dei GAUS.
Mi
concentrai a tal punto che persi il senso del tempo e non mi resi conto
della
presenza di Emile, finché non mi chiamò lui.
«Ah!»
sobbalzai per la sorpresa e corsi a rimettere a posto il violino.
«Stai
migliorando… dovresti esercitarti più
spesso.» il viso di Emile era serio ma
soprattutto stanco, non doveva essere stato un dibattito facile, quello
con il
suo gruppo.
«Avete
finito?» Rimasi accanto al violino,
irrigidita per la tensione, in attesa della sua reazione.
«Sì,
i ragazzi sono appena andati via.»
Emile
si lasciò andare sul letto con le spalle curve e
l’aria di chi portasse un peso
enorme sulle spalle: la mano con cui aveva colpito Claudio e
successivamente il
muro, era fasciata; doveva essersi fatto male con quei due colpi
violenti.
«La
tua mano è ferita?!»
Al
solo pensiero di avergli causato anche qualche problema a
quell’arto con cui
suonava, sprofondai
maggiormente nel
senso di colpa, che ormai stava raggiungendo proporzioni bibliche.
«Non
è nulla, solo una contusione… non sono abituato a
dare pugni a qualcuno… o
qualcosa!»
«Emile,
ti prego… dimmelo che sei adirato con me, non la sopporto
questa finta
indifferenza!»
Non
mossi un solo passo verso di lui, ero troppo terrorizzata per fare
altro tranne
esortarlo a parlare. Emile portò una mano al viso, come per
sostenersi, prima
di rispondermi:
«Raccontami
cos’è accaduto. Perché mi hai detto di
averlo incitato tu ad andarsene?»
Rimasi
in piedi accanto al violino ed iniziai a raccontargli del mio incontro
con
Claudio, dei miei dubbi sul dirlo a lui o meno e della mia decisione
finale di
omettere tutto, nella speranza che il peggio fosse passato. Per tutto
il tempo
in cui parlai rimasi dov’ero, incapace di muovere un solo
passo in sua
direzione; Emile restò ad ascoltare a capo chino
concentrandosi sulle mie
parole e solo quando smisi di parlare, alzò la testa:
«Ti faccio così paura?»
«Non
ho paura di te… ho paura di perderti, perché so
quanto sia importante la musica
per te e so che in una battaglia tra me e lei, la parte sacrificabile
sarei
io.»
Chinò
nuovamente il capo e rimase in silenzio: quell’atmosfera tesa
mi stava snervando,
sentivo che lo stavo perdendo e non volevo restare ancora
nell’agonia
dell’attesa, così mi decisi a parlare:
«Ora
dimmelo che mi odi ti prego, così potrò andarmene
senza dover attendere ancora!»
Sentii
la mia voce incrinarsi, al pensiero di doverlo abbandonare e di non
rivederlo
più: alla sola idea di non avere Emile nella mia vita,
sentii un varco vuoto
aprirsi nel mio petto e pensai al mio appartamento in cui avevo
già
fantasticato di vivere con lui, rendendomi conto che invece non
l’avrebbe mai
visto, anzi non avrebbe mai nemmeno saputo della sua esistenza!
«Sì,
sono arrabbiato Pasi, sono arrabbiato perché non hai avuto
la forza di
parlarmene, perché non hai avuto fiducia in te e in me e
perché se l’avessi
fatto, avrei già rimediato da tempo, cercando un altro
batterista. Ma non ti
odio, non potrei mai odiarti e men che meno mandarti via. Non potrei
mai vivere
senza di te, sciocca bambina insicura!»
Si
alzò dal letto e venne ad abbracciarmi e il varco che si era
aperto nel mio
petto d’improvviso si richiuse, mentre il calore che mi
avvolse tornò a donare
vita al mio corpo, che si era congelato in quelle ore di angosciante
attesa.
«Perdonami
Emile, perdonami, sono una stupida!»
«Non
nascondermi altro Pasi, non farlo mai più!» Ero
ancora stretta tra le sue
braccia e lottavo con il pianto in procinto di esplodere, per cui feci
un
semplice cenno col capo. «Me lo prometti? Posso essere certo
che non mi nasconderai
altro? Che mi dirai sempre tutto?»
«Te
lo giuro Emile, non voglio più vivere dei momenti terribili
come quelli!» Lo
strinsi maggiormente a me, avevo ancora il terrore inconscio che mi
mandasse
via e volevo ridurre il più possibile le distanze tra noi;
persino l’aria mi
sembrava un ostacolo fastidioso, qualcosa che m’impediva di
arrivare a lui.
Emile
pose una mano sulla mia testa e iniziò ad accarezzarla,
dandomi conforto come
un genitore verso il figlio impaurito: avevo amato dal primo giorno
quella sua
parte così dolce, ma non riuscivo a credere che mi stesse
consolando dopo
avermi detto di essere arrabbiato. Probabilmente ero ancora preda delle
mie
ansie, del mio timore di vederlo spegnersi com’era accaduto a
sua madre, il che
unito alla paura ancora fresca di essere allontanata dalla sua vita, mi
riempì
di nuovo l’animo di angoscia. Lo guardai negli occhi per
qualche istante,
sperando di leggervi la verità che mi avrebbe calmato e
successivamente, avvicinai
il suo viso al mio e gli diedi un bacio disperato, un bacio intenso che
desideravo potesse ricongiungermi a lui, che mi potesse legare a lui e che mi conducesse alla sua
anima.
Ma
quel bacio scatenò qualcosa anche in Emile: probabilmente il
mio impeto aveva
scosso parte del dolore che stazionava all’interno del suo
animo, perché iniziò
ad amarmi con la stessa voracità che sentivo mia, con lo
stesso disperato
desiderio. I suoi baci mi divoravano e i miei non erano da meno: volevo
farlo
mio, volevo che fosse sempre parte di me, che non si allontanasse
mai… volevo
che fosse una mia proprietà, che fosse legato per sempre a
me… Le mie mani si
artigliarono sui suoi vestiti per toglierli il prima possibile, il mio
corpo
era pressato dal suo sulla parete della stanza, avvolto dalle sue mani
bramose…
in breve tempo ci ritrovammo avvinghiati l’una
all’altro, presi da una passione
bruciante, selvaggia e divorante, che non avevamo mai provato prima.
*****
«Forse
dovremmo rivestirci… non vorrei che arrivasse tuo padre da
un momento all’altro
e ci trovasse così!» La violenta passione che ci
aveva travolto era stata
consumata, lasciandoci appagati e molto più sereni... e
anche più stanchi. Per
questi motivi ci stavamo godendo la reciproca vicinanza,
l’intimità dei nostri
corpi e quella sensazione estatica di serenità che ci aveva
pervaso dopo esserci
amati. Ma l’idea che Alberto potesse trovarci in quella
situazione, non
contribuiva certo a mantenermi serena: non che temessi che ci
scoprisse, perché
sapevo benissimo quanto poco tenesse alle formalità.
Ciò che davvero temevo,
erano le battute che ne sarebbero sfociate: sarei sprofondata per
l’imbarazzo
una volta per tutte e non avrei avuto più il coraggio di
guardarlo in viso!
«Stai
tranquilla, mio padre non rientrerà, è in
viaggio.»
Ero
comodamente abbracciata ad Emile, poggiavo la testa sul suo petto
ascoltando il
battito del suo cuore, ma a quella notizia, alzai il capo sorpresa:
«In
viaggio? E dov’è andato?!»
Da
quando l’avevo conosciuto, Alberto era sempre stato collegato
a quella casa,
erano state davvero rare le volte in cui non c’era stato per
più di un giorno e
saperlo addirittura in viaggio, lontano per chissà quanto
tempo, mi lasciò
senza parole.
«È
andato in Francia.» Il viso di Emile
s’indurì, vidi il rancore sui suoi bei
tratti, e capii a chi si stesse riferendo:
«È
andato dai familiari di Claudine!»
Vidi
la sua mascella indurirsi per un attimo, prima che ritrovasse la calma
per
parlare:
«È
andato da quella gente per dire
loro
di persona, che la vergogna della famiglia ha smesso di esistere, che
possono
sentirsi sollevati, ora!»
Serrai
il mio abbraccio per dargli conforto, sentivo dolore e rabbia repressa
in ogni
parola che diceva. Non avevo mai chiesto ad Emile di parlarmi della sua
famiglia, ma era chiaro che non avrebbe mai amato coloro che avevano
lasciato
sua madre a se stessa, che la consideravano una vergogna
perché figlia di un adulterio.
Non sapevo nulla nemmeno della famiglia di Alberto, ma in qualche modo
sentivo
che quel ramo familiare non costituiva un problema: la spina nel fianco
era la
famiglia Flaubert.
«Alberto
cerca ancora un contatto con loro… forse se ti
vedessero…»
«Se
mi vedessero cosa, Pasi? Cosa cambierebbe? Mia madre è morta
lontano dai suoi
parenti, non ha mai sperimentato il calore di un abbraccio familiare,
l’appoggio di un fratello o la complicità di una
sorella! Persino sua nonna
manteneva le distanze da lei! Cosa mai potrebbe cambiare se vedessero
me,
tranne rendersi conto che gli sto sbattendo in faccia il disonore che
ha
macchiato la loro famiglia, con questi miei capelli che nessuno di loro
ha mai
avuto!?»
Era
un discorso così delicato, che rimasi in silenzio per
qualche secondo,
ponderando bene le parole da dire, tenendomi stretta a lui.
«Non
sai nulla riguardo l’identità di tuo nonno? Magari
lui…»
«Lui
è il peggiore di tutti, Pasi! Credi che se fosse stato
interessato ad occuparsi
di sua figlia, mia madre sarebbe fuggita via dalla Francia
così facilmente? No,
lui sicuramente sarà scappato non appena mia nonna gli
avrà detto della
gravidanza!»
«Ma
ci sarà pure qualcuno di buon cuore tra loro! Non posso
credere che siano tutti
così spietati, Emile!»
«Se
ci tieni così tanto a saperlo, la prossima volta che mio
padre va ad
elemosinare un po’ di attenzione, puoi
accompagnarlo!» Il suo sguardo era
rivolto altrove, indurito dal rancore: presi il suo viso tra le mani e
lo girai
in mia direzione per guardarlo negli occhi:
«Io
amo i tuoi capelli rossi, sono la cosa più bella che i miei
occhi abbiano mai
visto e non m’importa affatto di chi non apprezza te e la tua
famiglia. Voglio
solo te, ora e per sempre.»
Trattenni
la mano sul suo viso accarezzandolo e vidi i suoi lineamenti rilassarsi
fino a
dar vita ad un dolce e mesto sorriso prima di stringermi a
sé.
«Come
farei senza di te?»
Quella
era una domanda che anch’io mi ero posta solo poche ore prima
e per fortuna
sembrava tornata ad essere solo pura retorica e non una dura e
terribile verità,
pronta dietro la porta, per essere affrontata.
*****
Quella
notte rimasi a dormire con lui e nuovamente vidi le lacrime scorrere
dai suoi
occhi chiusi: avevamo avuto quel momento di pace che mi aveva rilassato
dalle
ansie nei suoi confronti, ma la notte aveva portato come al suo solito
la
verità a galla. Non era tutto risolto, non era tutto
tranquillo, Emile era ben
lontano dall’essere in pace ed io avevo messo mano nel dargli
un altro pensiero,
da sommare al dolore troppo recente, che non riusciva ad esprimere.
Dovevo far
qualcosa per lui, dovevo rimediare al mio errore in qualche modo, non
avrei
potuto sopportare ancora per molto la visione notturna del suo viso
piangente,
o peggio ancora, quella mancanza di reattività diurna.
_____________________________
NDA
Et voilà,
è giunto finalmente anche il capitolo 20 (Prim scusa il
ritardo, spero di essere ancora in tempo per sopravvivere xD): che ne
pensate?
Immagino che ora Claudio
sia il personaggio che amate di più, vero? xD
Come ho detto anche alla
mia Beta, avevo alcune titubanze su questo capitolo (a dir la
verità c'è una lotta interna tra una parte di me
che dice che scorre tutto benisssimo e l'altra che mi dice "Ma che
cavolo scrivi?"... dite che soffro di disturbo da
personalità
multipla?), ma lei come sempre mi ha rassicurato dicendo che andava
più che bene, perciò attendo di sapere i vostri
pareri più che mai ^ ^
Ieri alcune mie sorelle
hanno avuto l'onore di vedere Emile dal vivo... o meglio, proprio
quando mi sono assentata, hanno notato un bel fanciullo riccio dalla
chioma di fuoco che sembrava proprio il mio bimbo *_* ed io
non c'ero..... Se riesco a recuperare la foto ve la posterò
e vi farò partecipi di questo evento soprannaturale
(Emiluccio di mamma dove te ne andavi solo soletto senza dirmi
niente???!!!)
PS:
Se avete voglia di
leggere una storia d'amore per niente zuccherosa, ma i cui protagonisti
sono interessanti (soprattutto quel gran mascalzone del
protagonista) e il loro rapporto è tutt'altro che
semplice, vi
consiglio la storia originale di Veru,
Nonostante
Tutto: ho iniziato a leggerla qualche giorno fa, è
al 6° capitolo e li ho divorati tutti uno di seguito all'altro
^ ^
Angolo dei
Ringraziamenti
Visto che sono
sopravvissuta al capitolo precedente, il mio più grande
ringraziamento è per il fatto che non mi abbiate fatto
fuori! *me è davvero contenta di respirare ancora*
Per il resto, siete
sempre meravigliose nell'incoraggiarmi e nell'immedesimarvi nei miei
ragazzi, sono ancora stupita del trasporto che mostrate
leggendo ogni capitolo e per questo vi ringrazierò a
vita!!!
Iloveworld,
Saretta,
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
«Pasi
stai esagerando, non ho nulla, davvero!»
«Queste
ferite non vanno prese alla leggera, devi mettere una pomata e
controllare che
le ossa siano a posto!»
La
prima cosa che feci quando ci svegliammo, fu controllare lo stato di
salute
della mano di Emile: non riuscivo a guardare quell’arto
fasciato senza sentirmi
dannatamente in colpa, così lo condussi in cucina, con la
cassetta dei
medicinali aperta accanto a me, tolsi le bende e iniziai a tastare
sperando di
non sentire nulla di rotto.
«Ahia,
mi fa male!» Emile staccò di scatto la mano dalla
mia per massaggiarsela.
«Non
prendere il colpo sottogamba, dovresti andare in ospedale a farti una
radiografia, magari tu non te ne sei accorto, ma potrebbe essersi leso
qualche
osso e…»
«Pasi,
smettila di sentirti in colpa.»
Fermai
di colpo la mia arringa, rendendomi conto che Emile aveva letto sul mio
viso
cosa si agitava nella mia anima.
«Scusami…
è che non potrei sopportare l’idea che la tua mano
subisca qualche incidente
proprio ora, a causa mia… se dovesse capitarle
qualcosa…»
«È
tutto a posto, stai tranquilla.»
No,
non era tutto a posto, non
lo era
affatto e lui continuava a mentire, continuava a fare il forte, a
tenere dentro
di sé i suoi sentimenti…
«Emile,
ti prego, almeno questo puoi farlo! A costo di accompagnarti io con la
forza,
fai questa benedetta radiografia!»
Il
mio Pel di Carota emise un sospiro e mi prese una mano con
l’arto sano: «Ok, va
bene, prenoto la visita seduta stante, sei contenta?»
«Ti
accompagno io, ora.»
Non
riuscendo ad attendere un secondo di più, feci per
allontanarmi in cerca delle
chiavi dell’auto, quando mi prese il braccio:
«Pasi
datti una calmata, ora stai esagerando! Non c’è
tutta questa fretta, stai
piantando una storia immensa su un’idiozia!» Il
viso di Emile era spazientito,
ma il mio senso di colpa sovrastava qualsiasi manifestazione di rabbia
avesse
potuto esternare e non mi arresi.
«Non
è un’idiozia se ti fai male e non riesci
più a suonare, Emile! Non lo è affatto
e non voglio nemmeno che accada per colpa mia!»
«Allora
la prossima volta parla, così eviterai che mi faccia
male!»
Touchée.
Aveva perfettamente ragione e nonostante quelle parole fossero state
come
stilettate dritte al cuore, mi sentii sollevata nel sentirgliele dire:
ero più
a mio agio con questo lato di Emile che con quell’apatica
mancanza di
reattività.
«Certo
che parlo, stai sicuro che parlerò, non voglio
più far del male né a te, né a
Claudine!» Il
mio Pel di Carota, perse
lo sguardo tagliente che mi aveva rivolto con quell’ultima
affermazione e si
rabbuiò; calò la testa prima di parlare.
«Mia
madre ora è in pace, non può più
essere ferita.»
«Sì
invece, può essere ancora ferito il suo ricordo, Emile. Se tu non riuscissi ad
emergere, se il tuo
obiettivo non dovesse essere raggiunto, sarebbe un danno anche alla sua
memoria!»
«Non
c’è bisogno che me lo ricordi!» Si stava
alterando ed io iniziai a sperare di
essere sulla strada giusta per farlo sfogare, così
continuai.
«Invece
devo, perché mi sono immischiata in questa situazione ed ora
il tuo impegno
verso Claudine è anche affar mio… ed io non
voglio che lei venga dimenticata,
soprattutto ora che non c’è
più!» Stavo girando il coltello nella piaga, gli
stavo procurando un dolore più grande di quanto avessi fatto
alla sua mano, ma
strinsi i denti e continuai: «Claudine
merita di essere ricordata e non puoi permetterti di perdere
l’uso della mano!
Non posso sostituire Claudio, ma posso impedirti di fare qualche
sciocchezza!»
«Non
venire a fare la ramanzina a me, Pasi! Credi che sia uno stupido? Io
non
perderò l’uso della mano, perché non ho
nulla che non va! Non verrò certamente
meno al mio obiettivo per una cosa del genere! Per chi mi hai preso?
È tutta la
vita che lotto per emergere, per dare un senso a questa mia esistenza
che ha
rovinato quella di mia madre ed ora più che mai
lotterò, ora più che mai,
dannazione!»
Spazientito,
diede un colpo al mobile su cui
era appoggiato e uscì dalla cucina. Non ero riuscita del
tutto nel mio intento,
ma il fatto che avesse dato un segno di reazione, mi fece sperare per
il
meglio: forse quella discussione l’avrebbe aiutato ad
esternare quello che non
riusciva a far emergere dall’interno della sua
anima… Forse avrei dovuto
continuare a incalzarlo...
Ero
persa in quelle riflessioni quando mi accorsi di stringere le bende
pulite: concentrata
nella discussione, non gli avevo più curato la mano. Presi
anche la pomata e lo
cercai: probabilmente non voleva più discutere con me e
arrivai alla
conclusione che fosse meglio così, che sarebbe stato meglio
dargli il tempo di
riflettere su ciò che ci eravamo detti…
Ciononostante volevo accertarmi del
suo stato d’animo, perché dopo avergli
detto quelle parole dure, ero certa che si stesse tormentando
più del solito.
Appena
uscita dalla cucina, sentii dei rumori provenire dal basso: era nel
seminterrato, ma sembrava che stesse avvenendo una colluttazione in
quella
stanza: era mai possibile che nell’arco di qualche minuto
fosse entrato Claudio
e non me ne fossi resa conto? Non mi sembrava possibile che quel tipo
fosse
tornato a cercare il litigio, ormai la sua vendetta l’aveva
avuta e non c’era
motivo di tornare a dar battaglia… allora cosa diavolo stava
accadendo li
sotto? Iniziai a scendere le scale preoccupata
e sentii più forte il rumore di oggetti
lanciati a terra insieme ad una
voce che gridava: era Emile e molto probabilmente si stava sfogando!
Una
volta giunta alla fine dei gradini, mi fermai di colpo:
«Maledizione!
Maledizione!»
Emile
urlava e lanciava per aria gli oggetti che si trovava davanti: il
tavolino
posto in quell’anticamera della saletta era ribaltato, le
sedie avevano subito
lo stesso destino e tutti i piccoli oggetti (bicchieri, bottiglie,
posacenere,
lattine di birra) erano stati utilizzati come ciottoli da scaraventare
lontano.
Urlava a squarciagola e prendeva a calci tutto quello che aveva gettato
a
terra: evidentemente i miei tentativi di scuoterlo avevano funzionato!
Per un
momento rimasi paralizzata dalla paura, nel vedere la sua furia
lanciata a
briglia sciolta, ma dopo poco mi calmai e rimasi lì
sofferente ad osservarlo,
mentre sfogava tutto il suo dolore.
Quando
esaurì le energie, cadde a cavalcioni a terra, sfinito: a
quel punto mi
avvicinai a lui e m’inginocchiai per guardarlo in viso.
«Emile!
Emile! Guardami, guardami Emile!» Alzò il viso
rigato dalle lacrime verso di
me:
«Se
n’è andata via Pasi, se n’è
andata via davvero!
Nessuno potrà congratularsi con lei per il suo
talento, non vedrà mai
più il suo nome riabilitato! Non potrò
più vederla, non tornerà mai più da
me!
L’ho uccisa Pasi! L’ho uccisa!»
Il
suo viso era una maschera di dolore, gli occhi erano rossi per il
pianto e di
un azzurro profondo; il desiderio di proteggerlo tornò ad
invadermi, il mio
cuore tornò a contrarsi per la sofferenza di vederlo in
quello stato e
l’abbracciai, per donargli un po’ della mia forza.
«Piangi
amore mio, piangi e sfogati, io sono qui con te, non me ne
vado.»
Spezzato
dentro e colmo di angoscia, si piegò su di me stringendomi
forte, sfogando
finalmente tutto il suo dolore,
tutta la sofferenza del bambino e del ragazzo, che avevano perso quella
madre
senza averla mai avuta davvero.
*****
«Quand’ero
piccolo, venivo sempre qui se
volevo
starmene da solo a pensare… in qualche modo, vedere queste
pareti azzurre mi
dava un senso di pace e sapendo che era la stanza preferita di mia
madre, mi rifugiavo
qui per sentirla accanto a me,
quando non l’ascoltavo nel salotto.»
Eravamo
a terra nell’anticamera della saletta, appoggiati al muro,
circondati da uno
spettacolo post catastrofico: in tutta la lunghezza della stanza
c’erano
oggetti sparsi a terra, la bacheca cadendo aveva fatto volare tutti i
fogli di
carta che ora rivestivano il pavimento come un manto di neve, il
tavolino era
ribaltato e ovunque regnava
la legge del
caos. Eppure immersi in quel quadro apocalittico, eravamo silenziosi e
sereni:
Emile era visibilmente stanco, ma più rilassato, ed io ero
felice che
finalmente avesse trovato il modo di sfogarsi, per cui mi sentii
sollevata
dalla maggior parte delle mie ansie e mi concessi un sospiro di
sollievo.
«Tua
madre è dentro di te Emile, molto più di quanto
tu possa immaginare. Non ti
abbandonerà mai, nemmeno se lo volessi… e tu non
abbandonerai mai lei, di
questo ne sono certa!»
Fece
un sorriso stanco e chiuse gli occhi, alzando la testa verso il
soffitto.
«A
volte la sento quasi come una maledizione… si può
essere così contorti? Ho
cercato la sua attenzione tutta la vita eppure la sua presenza mi
schiaccia…
forse sto diventando pazzo!»
«Non
sei pazzo, sei solo schiavo del senso di colpa e non riesci a
liberartene, non
riesci a vivere senza sentirti la causa della sofferenza di
Claudine.»
«Perché
è così: sono io la causa della sua malattia, se
non fossi nato non sarebbe mai
caduta in depressione e non avrebbe perso la sua vita.»
«Lo
so che nessuna delle mie parole ti farà rinsavire da
quest’assurda convinzione,
ma io credo che Claudine fosse predisposta da prima a cadere malata:
tua madre
era fragile, è bastato poco per farla cedere e se non fosse
stato il parto,
sarebbe stato qualcos’altro… Tu non
c’entri Emile, è stato solo un caso che sia
accaduto dopo la tua nascita.»
«Un
caso, eh? Detto da colei che crede nel Destino!» Mi
accarezzò una guancia
rivolgendomi un sorriso amaro, era chiaro ciò che il suo
viso mi stava dicendo:
“Apprezzo il tuo tentativo di consolarmi, ma non
c’è modo di farlo”.
«È
un discorso differente quello: mi piace credere al Filo Rosso del
Destino,
perché sono sempre più convinta che io e te
eravamo destinati ad incontrarci…
ma non significa che nella vita non ci sia spazio per le
casualità! Non
rigirare il discorso con me, piccolo saputello!»
Emile
tornò a sorridermi, ma stavolta c’era una nota di
serenità sul suo viso,
l’amarezza era volata via:
«Sei
proprio un’adorabile strega.» Avvicinò
il suo viso al mio e mi diede un
dolcissimo bacio, mi strinse a sé e rimanemmo in silenzio
per un po’, finché disse:
«Ho fatto
davvero un disastro qui! Forse
è il caso che ripulisca…»
Guardai
la rivoluzione che regnava in quella stanza e risposi: «Tutto
sommato non mi
dispiace mica così, ha un’aria più
vissuta!»
Emile
ridacchiò ed io mi sentii davvero sollevata nel vederlo
più sereno e sperai che
il suo animo fosse un po’ più libero da tutte le
angosce che si portava dentro.
«Coraggio
mia streghetta, alziamoci che devo risistemare questo caos.»
«Dobbiamo
vorrai dire! Sai ultimamente
sono diventata brava ad arredare, potrei metterti su proprio un bel
ambientino…» Emile mi guardò di
sottecchi con aria divertita e senza dir parola
si alzò… il che costrinse me a fare altrettanto,
«Uff, sei proprio un
malfidato!»
«Ti
dà davvero così fastidio, non essere parte di
tutto questo?» Era chino a
raccogliere i fogli dal pavimento e non riuscivo a vederlo in viso.
«Cosa?
Questo cosa?»
«Essere
estromessa da tutto ciò che riguarda queste stanze: la mia
musica. In te c’è la
disperata richiesta di farne parte ogni volta che ne hai
l’occasione… Ti
ferisco ogni volta che non ti faccio partecipe, vero?»
Si
alzò, con i fogli in mano e mi osservò con lo
sguardo dolente; io rimasi
appoggiata alla parete e abbassai il capo prima di parlare:
«Sì,
è vero… non mi fa piacere essere
all’oscuro di ciò che riguarda la tua
musica…
ma non posso condividere con te tutto ciò che ti riguarda,
così come non puoi
farlo tu con me. Lo capisco che per il nostro bene, io e la tua musica
non
dobbiamo avvicinarci, anche perché ogni volta che
è accaduto, me ne sono dovuta
pentire amaramente, quindi non voglio che tu ti senta obbligato a
rendermi
partecipe di qualcosa che non vuoi condividere con
me…»
«Insomma,
mi stai dicendo che siccome io non devo mettere bocca nelle tue
amicizie, tu
sopporterai l’idea di fare altrettanto, per quanto riguarda
la mia musica!» Il
suo viso tornò a rabbuiarsi e ad assumere un tono amaro.
«Non
intendevo questo! Voglio dire che…»
«Questa
sarà la cover del nostro album: come ti sembra?»
«Co-cosa?
No, non… insomma non farlo se non te la
senti…»
«Stai
tranquilla, non ti farò alcuna richiesta in cambio, ti sto
solo chiedendo un
parere: ti piace?»
Mi
stavo perdendo dietro la mutevolezza di quelle espressioni…
un attimo prima era
tetro e dopo qualche momento era allegro… In quel momento
aveva una luce
maliziosa ma allo stesso tempo curiosa negli occhi, e sembrava
sinceramente
interessato alla mia opinione… cosa gli stesse capitando non
lo capivo affatto!
«Emile,
non riesco a starti dietro. Che ti prende!? Cambi umore alla
velocità di un
respiro! Calmati per favore e resta con la stessa espressione almeno
per
qualche minuto!»
E
invece no. Il suo viso si fece sorpreso, cambiando nuovamente per poi
sorridere
ancora di un sorriso autoironico: «Hai ragione…
devo sembrarti davvero un
pazzo… devo aver tenuto le emozioni troppo a lungo dentro di
me ed ora mi sono
esplose tutte sul viso in una volta sola! È che…
tu sei qui, ad ascoltare tutti
i miei sfoghi, a sostenermi da non so più quanto
tempo… mi sento in colpa, non
faccio altro che crearti dispiaceri!»
A
quel punto gli andai incontro e l’abbracciai: «Sei
proprio uno stupido, Emile!»
Sentii
la sua mano che si poggiava sulla mia testa, mentre l’altra
stringeva ancora i
fogli raccolti da terra.
«Allora,
vediamo un po’ questa cover.»
Era
un disegno astratto: sembrava un intreccio di fili metallici che
avevano più
dimensioni, uno di quei disegni in cui l’occhio viene
ingannato sulla reale
percezione della profondità… e
all’interno di quell’intreccio a guardar bene,
sembrava esserci un volto, un volto femminile di profilo…
«Oddio
ma è impressionante, cambia di continuo, a seconda di quanto
tempo resti ad
osservarlo… Che bello!»
Emile
mi guardò soddisfatto con un sorriso
che
la diceva lunga e gli occhi che gli brillavano…
«L’hai
fatto tu!» Lo guardai meravigliata, non l’avevo mai
visto disegnare, ma avendo
un artista come padre, era più che ovvio che avesse
ereditato anche quel dono… Il
mio Pel di Carota però, fece un cenno di diniego,
continuando ad avere quel
sorriso sul volto.
«Non
è mio, ma ci sei andata vicino… è di
mio padre.»
«Alberto
ha disegnato la cover per voi?!»
«No…
è un vecchio disegno che ho trovato tra i suoi lavori, mi ha
colpito subito e
ho deciso di usarlo come
cover del
nostro primo album: l’arte di mio padre non
dev’essere dimenticata!»
Lo
guardai ancora una volta meravigliata: era machiavellico, aveva pensato
a
tutto, aveva fatto in modo che entrambi i suoi genitori potessero
risalire alla
ribalta attraverso lui, in una sorta di legge del contrappasso
personale: così
come lui si sentiva la causa del crollo dei sogni dei genitori, allo
stesso
modo s’impegnava a riscattare entrambi tramite la sua
notorietà. Mi chiesi
però, cosa ne pensasse il resto del gruppo, considerato che
doveva essere stata
una decisione esclusivamente sua, quella di usare il disegno di
Alberto…
«A-anche
agli altri è piaciuta l’idea?» Stavo
violando di nuovo il terreno sacro, ma dato
che era stato lui ad iniziare e considerata la mia sincera
preoccupazione, mi
feci coraggio nel porgergli quella domanda.
«Gli
altri si fidano del mio giudizio, non si curano dei particolari, quindi
me ne
occupo io.»
“Vuoi fare
sempre la primadonna ecco cosa
intendo! …ti comunico che in questo gruppo siamo in cinque!”
Le
parole di Claudio mi risuonarono nella mente ascoltando Emile: come al
solito
stava imponendo la sua volontà al gruppo… Non era
affar mio quello, ma mi ero
ripromessa di parlargli se avessi saputo qualcosa che avrebbe potuto
danneggiarlo, quindi mi feci coraggio:
«Emile…
lo so che m’impiccio troppo ma… io credo che
dovresti chiedere un sincero
parere agli altri. La tua è un’idea meravigliosa,
ma non sei il solo membro del
gruppo, anche gli altri hanno voce in capitolo… rendili
partecipi o si
sentiranno solo delle appendici e se ne andranno!» Come…
«Come
ha fatto Claudio?» Mi stava guardando con
un’espressione di amara constatazione
sul volto, non volevo pronunciare quelle parole, ma non doveva fuggire
dalla
realtà dei fatti.
«Sì…»
si
rabbuiò, perso in qualche pensiero di cui non mi fece
partecipe e dopo qualche
secondo, come se non avessi nemmeno parlato, come se quel momento
nemmeno ci fosse
stato, mi disse:
«Coraggio,
ripuliamo in fretta questo posto, al resto ci penserò in
seguito.»
Evidentemente,
quel discorso non voleva affrontarlo… o per lo meno, non
voleva farlo con me!
«Emile,
stai cambiando discorso...»
«D’accordo
Pasi, va bene, ci penserò su, ok? Possiamo mettere a posto
questo caos ora, o
preferisci che parli con i ragazzi, accomodandoci a terra sui fogli
volanti?»
«Emile,
fai una cosa, vai al diavolo! Sto cercando di aiutarti, idiota saccente
e
acido, proprio perché non voglio più nasconderti
i miei dubbi come ho fatto per
Claudio, ma a quanto vedo, è inutile che ci provi, tanto io non sono
all’altezza di comprendere
le tue decisioni, vero? Io non devo minimante permettermi di aprire
bocca su
tutto ciò che riguarda la tua musica!»
Ero
al limite della sopportazione: quella mattina non riuscivamo a starcene
tranquilli
per un minuto, senza finire a discutere! E pensare che poco prima era
in
lacrime, distrutto tra le mie braccia! Che cosa gli prendeva? Cosa gli
stava
accadendo? Perché tutta
quell’aggressività verso di me, che non stavo
facendo
altro che appoggiarlo e sostenerlo? Non mi aveva rivolto la minima
accusa per
la faccenda di Claudio ma stava ugualmente scaricando verso di me la
sua
rabbia.
Non
riuscii a sopportare ulteriormente quella situazione e feci per
andarmene, ma
Emile mi trattenne per un braccio:
«Pasi,
non voglio litigare con te.»
«Ah
no? Strano, a me sembrava esattamente il contrario! Sembra quasi che ti
dia
fastidio trascorrere del tempo in tranquillità con me, senza
avere uno scontro!
O questo è il tuo personale modo per punirmi di aver
incitato Claudio ad
andarsene?»
«Io
non voglio punire proprio nessuno!» La sua voce
aumentò di volume e mi preparai
ad un altro bel battibecco, invece Emile fece un sospiro e si
calmò prima di
continuare a parlare: «Forse è meglio se non ci
vediamo oggi… non sto facendo
altro che ferirti.»
«Di’
piuttosto che non vuoi scocciatrici in casa! Me ne vado, stai
tranquillo, ti
lascio con le tue preziose note e i tuoi preziosi affari!»
Vidi il suo volto
contrarsi e strinse maggiormente la sua mano sul mio braccio, in un
impeto
d’ira.
«Lo
so benissimo di aver sbagliato a comportarmi con Claudio…
sono del tutto
consapevole di essere una specie di despota con tutto il gruppo, ma
è il mio gruppo! Loro si
sono aggregati a me,
il progetto è mio, e su certi argomenti non transigo! Si
segue la mia linea di
condotta, le mie decisioni, altrimenti si torna a casa! È
sempre stato così e
continuerà ad esserlo! I ragazzi ne sono consapevoli e a
loro sta bene, quindi
il problema non si pone.»
«Sta
bene, come stava bene a Claudio? Sei
cieco Emile, sei accecato dalla voglia di andare in alto e non vedi la
giusta
strada da percorrere. Non sono io a farti perdere di vista i tuoi
obiettivi,
sei tu stesso che sbagli strada! Sei tu che non capisci che la prima
regola per
mantenere un gruppo unito, è dare importanza ad ogni singolo
componente e
chiedere il parere di tutti su ogni decisione. Se continuerai a
comportarti come
un despota, resterai solo e sarà ancora più
difficile in seguito ricostruire
daccapo un intero gruppo!»
Emile
lasciò andare la presa sul mio braccio continuando a
guardarmi con un misto tra
astio e colpevolezza: probabilmente
si
sentiva ferito dalle mie parole, probabilmente si sarebbe aspettato
elogi e non
critiche così feroci da me, ma il mio compito era quello di
fargli aprire gli
occhi, lo amavo troppo per lasciarlo sguazzare nei suoi stupidi e
ciechi
errori, inoltre ciò che gli avevo detto precedentemente era
vero: ormai il suo
obiettivo lo sentivo anche mio, il senso di colpa era ancora forte
dentro di me
e di conseguenza sentivo maggiormente il desiderio di ridare a
Claudine, attraverso
suo figlio, la notorietà che si meritava, per cui avrei
fatto di tutto pur di
aiutare Emile a raggiungere il suo scopo. Soprattutto se si trattava di
aprirgli
gli occhi!
Cosa
che sembrava non voler fare: mi volse le spalle e tornò a
ripulire la stanza,
offeso e troppo orgoglioso per darmi ragione su
quell’argomento; incapace di
restare in quel luogo senza continuare ad urlargli contro, presi la
volta delle
scale e me ne andai al
piano di sopra,
diretta a darmi una sistemata prima di andare a lavorare.
*****
«Davvero
Stè io non lo capisco! Un attimo prima è il
ritratto della dolcezza e l’attimo
dopo mi urla contro, non riesco proprio a capire
cos’abbia!»
«Testarossa,
forse sta solo elaborando il lutto in un modo un po’
eccentrico… considera che
ha perso sua madre da poco ed ora anche il batterista… non
credo che possa
mantenere i nervi saldi per molto in questa situazione!»
«Ora
lo difendi! Da quando siete così amici?!»
«Non
lo sto difendendo! Dico solo che non sta attraversando un bel momento e
questo
dovresti capirlo anche tu, no?»
«Proprio
perché lo capisco, non riesco a capacitarmi del suo
comportamento! Invece di
appoggiarsi a chi gli sta accanto, aggredisce! Così si
chiude ancora di più in se
stesso e soffre il doppio!»
«Pasi,
non reagiamo tutti allo stesso modo.»
Fede
s’intromise all’improvviso nel discorso: eravamo
tutti insieme al centro, ero
passata di ritorno da lavoro per stare un po’ lì,
quando a distanza di poco
tempo, arrivarono sia Stè che Rita e in modo del tutto non
calcolato, grazie
anche all’incapacità della sottoscritta di celare
i propri stati d’animo, ci
trovammo tutti insieme a parlare della paradossale mattinata che avevo
vissuto
con Emile.
«Probabilmente
sta esternando tutto con la rabbia e con questi sbalzi
d’umore repentini ora
che si è liberato… di solito quando si
trattengono le emozioni capita che una
volta liberate esse siano incontrollabili. Metti poi che ha avuto due
colpi
duri uno dopo l’altro…»
Anche
Rita era d’accordo con Fede e Stè; improvvisamente
stavo facendo la figura
dell’insensibile nei confronti del mio ragazzo!
«Vi
siete coalizzati contro di me, stasera?!» dissi spazientita.
«Testarossa,
se solo la smettessi di far fumare quel tuo cranietto di fiammifero, ti
renderesti conto anche tu di essere d’accordo con noi. Sei
troppo coinvolta ora,
per ragionare come si deve.»
«Ah,
ora non so nemmeno più pensare! Ma grazie mille!»
«Che
ne dici di far passare questa notte e di ragionarci su a mente fredda,
domani?
Di sicuro Emile avrà pensato a ciò che gli hai
detto e si sarà reso conto che
hai ragione… A proposito, ma ora è tutto solo in
quella casa?» Rita mi riportò
all’immediata realtà: arrabbiata com’ero
nei suoi confronti, non mi ero resa
conto che sarebbe rimasto completamente solo in quella casa, per la
prima volta
in vita sua.
«Ti
dispiace se vado a portargli la cena? Temo che non abbia mangiato
affatto
oggi!» Ma prima che Rita potesse aprir bocca, fu Fede a
parlare, lasciandomi
sorpresa:
«Ho
un’idea migliore Pasi, che ne dici se andiamo tutti da
lui?»
*****
«Che
ci… fate qui?»
Emile
fu decisamente sorpreso di trovare me e soprattutto i miei amici, fuori
la
porta di casa sua: immaginai che avesse già progettato di
trascorrere quella
giornata rimuginando, maledicendosi e borbottando qualcosa sulle mie
intromissioni inopportune e proprio per quel motivo, più che
mai non volevo
lasciarlo solo! Mi aveva fatto arrabbiare quella mattina,
sì, ma era anche vero
che il giorno prima avrebbe avuto tutte le ragioni per mettermi alla
porta e
non l’aveva fatto ed io mi sentivo ancora tremendamente
colpevole nei suoi
confronti per avergli fatto perdere il batterista, per potermi
permettere di
restare offesa con lui.
«Scommetto
che non ci aspettavi! Abbiamo pensato di cenare tutti qui insieme,
così magari
quel tavolo in cucina sarà utilizzato una buona
volta!»
Entrai
senza troppe cerimonie approfittando della relativa
remissività di Emile, per
fare spazio ai miei amici. Totalmente confuso, mi portò in
disparte per
chiedermi delucidazioni:
«Cosa
diavolo significa tutto questo? Credevo fossi arrabbiata con
me…» Era sorpreso,
ma apparentemente non sembrava seccato.
«Lo
sono ancora, ma sapevo anche che non avresti cenato e che non avrei mai
voluto
lasciarti qui da solo… e poi tu ieri non mi hai mandato via
dopo quello che è
successo con Claudio, come avrei potuto restare ancora offesa con
te?»
Emile
mi guardò con intensità, come a sondare la
veridicità delle mie parole e fece
un mite sorriso accarezzandomi il viso:
«C’è
un piccolo problema però… ci sono anche i ragazzi
ora.»
«E
che problema c’è? Finite di discutere mentre
prepariamo la cena e poi mangiamo
tutti insieme, da veri amici.»
gli
sorrisi, ma calcai volontariamente il tono su quella parola, cercando
di fargli
capire che era il momento giusto per trattare il suo gruppo come
persone e non
come marionette e sperai che avesse recepito il messaggio.
«Amici
eh? Strega!» Mi guardò sorridendo e mi diede un
bacio sulla fronte, prima di
rivolgersi ai miei compagni:
«Grazie
di essere venuti ragazzi, prego accomodatevi.»
*****
Emile
spiegò subito ai miei amici che era in piena riunione con il
suo gruppo e che
non poteva comportarsi da buon ospite, ma precisò che in sua
vece ci sarei
stata io che ormai ero di casa: rincuorata da quella frase, sentii una
grande
gioia dentro di me e d’improvviso quella serata mi
sembrò bellissima. Ero con i
miei amici, con il mio ragazzo e con la sua band: i nostri mondi si
stavano
incontrando in quelle ore per la prima volta e per la prima volta si
sarebbero
uniti per condividere qualcosa di unico, qualcosa che non sarebbe
più stato
parte esclusiva della mia vita o della sua, bensì sarebbe
stata una delle prime
esperienze della nostra vita in comune, qualcosa che era sia di Emile
che di
Pasi… e ovviamente di tutti i presenti!
Per
questo motivo, prima ancora che finisse di parlare, presi parola
dicendogli che
appena sarebbe stato pronto in tavola, avremmo chiamato anche loro:
Emile mi
guardò con gratitudine, ci salutò e
tornò dal suo gruppo in attesa.
«Ma
con una casa così grande, proprio là sotto devono
stare? Mi viene da soffocare
al solo pensiero!»
«Hai
ragione Stè, ma evidentemente
non si
sarà nemmeno reso conto che ha tutta la casa a disposizione
ora. E poi questa
stanza è praticamente disabitata da tutti loro, non ricordo
una sera in cui
abbiano cenato qui insieme, Alberto era sempre da
Claudine…» al pensiero della
madre di Emile, mi rabbuiai: presa dalle mie preoccupazioni per il
figlio,
avevo messo da parte il dolore per la madre, ma era ancora
così fresco, che il
solo nominarla mi portava ad un passo dal pianto. Rita se ne accorse e
cambiò
repentinamente il discorso: «Allora Pasi, io non conosco
questa cucina, quindi
dicci tu come dobbiamo muoverci!»
Per
quella sera, Rita aveva organizzato una cena a casa sua per stare tutti
insieme, poiché sarebbe stata una delle mie ultime sere con
lei: aveva già
fatto la spesa quando era passata al centro per avvertire Fede e
progettava di
chiamare anche Stè. Per cui una volta deciso di trasferirci
da Emile, portammo
i viveri con noi… ora c’erano altre bocche da
sfamare e sicuramente avremmo
dovuto attingere alle scorte di casa Castoldi, ma quella riunione
improvvisa e
la cena da reinventare, costrinsero tutti noi quattro a dare una mano
in
cucina, col risultato che sembravamo davvero una squadra di cuochi di
qualche
ristorante!
«Mi
sembra di non aver mai staccato da lavoro oggi! È tutto il
giorno che sto
davanti ai fornelli!»
«Ti
fa bene Testarossa, così ti tieni in forma.»
Stè e Fede stavano affettando le
patate (che cena sarebbe senza
un po’
di frittura?) e dopo li attendeva anche la frutta; mentre io e Rita
preparavamo
i piatti forti.
«Testa
di Paglia, se dici ancora qualcosa al riguardo ti metto a tagliare le
cipolle!»
Stè
si riferiva ad un vecchio litigio che risaliva ai tempi in cui
frequentavamo il
secondo anno delle superiori: durante una delle ore di Educazione
Fisica, un
nostro compagno di classe, membro della squadra avversaria alla mia,
stizzito
dalla sua situazione di svantaggio, esordì con la
convinzione che il compito
delle donne nella società era solo quello di accudire gli
uomini e che il loro
regno doveva essere la cucina… Quel tipo di cui non volevo
nemmeno ricordare il
nome, senza troppe cerimonie, finì a casa con il naso
sanguinante ed io mi
presi una bella sospensione, per la gioia dei miei genitori…
Stè dal canto suo,
tentò di dissuadermi dall’attaccare fisicamente
quello stupido maschilista, ma
ovviamente non ebbe successo e si arrese assistendo allo spettacolo.
Così ogni
volta che poteva, tirava in ballo quella storia per la gioia di vedermi
arrossire di rabbia e farsi una sana risata ai miei danni!
«Che
fiero cipiglio Testarossa, si vede che sei abituata a gestirti nella
cucina,
una cuoca perfetta!» Stè mi guardò con
quello che era uno dei suoi migliori
sorrisi, che ricordava molto quelli solari e spensierati che non aveva
da quando
Simona ci aveva lasciato e nonostante mi stesse facendo arrabbiare, fui
felicissima di rivedere quell’espressione allegra che tanto
amavo.
«Testa
di Paglia stai rischiando grosso stasera, sappilo, ti riempio
l’insalata di
rucola!»
«Oh
no ti prego pietà, proprio la rucola no! Sai che poi si
irrita la gola!»
Di
tutte le allergie più strambe, poteva mai una persona,
essere allergico alla
rucola? Una cosa che non si era mai sentita e probabilmente
Stè era l’unico a
soffrirne nel raggio di sei nazioni! Non so nemmeno come abbiano fatto
i medici
a scoprirlo, non avevo mai sentito che esistesse una cosa simile
finché non lo
disse lui!
«Pasi,
in quanti siamo?» Come sempre, da bravo genitore del gruppo, Fede interruppe il nostro
litigio da bambini con
una domanda pratica che ci riportò al nostro dovere.
«Uhm
dunque, siamo noi quattro più loro giù che sono
in cin… quattro… Siamo in otto.»
Fede alzò la testa e mi osservò, avendo sentito
il mio lapsus e volendo
monitorare sicuramente la mia reazione. Non doveva aver trovato nessun
segno
preoccupante sul mio viso poiché continuò senza
problemi: «Bene, sto facendo
dei segnaposti con le zucchine e mi serviva sapere il numero
giusto… Come l’ha
presa?»
Eccolo,
lo scrutatore dell’animo umano al lavoro, voleva sapere con
quale stato d’animo
Emile avesse accolto la nostra intrusione in casa sua… a
volte mi chiedevo per
quale motivo fosse stata Rita e non lui a scegliere quella
facoltà, Fede
sarebbe stato un eccellente psicologo!
«Era
sorpreso, ma sembra averla presa bene, non abbiamo di che
preoccuparci!» gli
feci un sorriso per tranquillizzarlo e lui sorrise di rimando.
«Perfetto.»
«Chicco,
senti un po’ qui, come ti sembra?» Rita si
avvicinò con un cucchiaio pieno del
condimento che stava preparando, pronta a farlo assaggiare a Fede: era bello vederli
esternare finalmente il
loro amore, era una gioia vedere la mia amica che si chinava verso di
lui per baciarlo
e lui che la circondava con un braccio, era bello vedere come il loro
amore
fosse così palese nell’aria da sembrare
palpabile… Ero così felice per loro,
ero così piena di gioia per l’atmosfera conviviale
che si era creata… e
d’un tratto feci un’associazione d’idee
che
mi fece saltare in aria:
«Sofia!»
Si
girarono tutti in mia direzione sorpresi: «Abbiamo
dimenticato di chiamarla!
Non le abbiamo nemmeno chiesto se era dei nostri, che
figuraccia!»
«Testarossa
lo sai benissimo che per stanare Sofia, dev’esserci almeno un
evento
catastrofico tipo tsunami in giro! Non sarebbe venuta di
sicuro.»
«Ma
almeno potevamo chiederglielo!»
Senza
nemmeno sentire i pareri degli altri la chiamai e le proposi di
raggiungerci,
ma come aveva pronosticato Stè, Sofi rinunciò,
anche se sospettai che fosse
risentita per essere stata chiamata all’ultimo
secondo… mi ripromisi di andare
a trovarla il prima possibile: a volte davamo per scontata la sua
assenza e
forse in qualche occasione avevamo mancato di delicatezza nel non
avvisarla,
come quella sera, per cui presi la decisione di parlarle appena avessi
potuto.
*****
«Dovevate
vederla ragazzi, era una furia! Sembra così piccola e
tenera, ma in realtà è
una forza della natura, guai a farla arrabbiare!»
«Stè
hai finito di elogiarmi pubblicamente? Perché mai dobbiamo
stare qui a sentire
quanto io sia così “aggraziata e
gentile” quando m’infurio? E poi scusa, tu che
avresti fatto al posto mio?»
A
parte la mia gogna pubblica, dovuta all’insano divertimento
che provava Testa
di Paglia nel sottolineare tutti i lati del mio carattere che
più mi davano
fastidio, la nostra cena trascorse
nella
più assoluta tranquillità: i gemelli ascoltavano
il mio Giuda biondo estasiati
e ridevano della grossa ad ogni aneddoto che Stè ricordava e
che quasi
puntualmente aveva la sottoscritta come protagonista…
«Pasi
sei uno spasso! Mi stavi simpatica già prima, ma sentendo
queste storie da
Stefano non posso che pensare che sei un mito!» Francesco
rideva a crepapelle
e il suo improvviso elogio lo
salvò dall’essere messo nel mio personale libro
nero…
Anche
Filippo seppur sommessamente se la rideva e insieme quei tre
costituivano una
vera e propria associazione a delinquere ai miei danni: se
Stè avesse
raccontato loro tutto ciò che sapeva sul mio conto (e ce
n’era da raccontare),
mi sarei trovata circondata da risate per il resto della mia vita!
«Sì,
ma adesso basta! Non sono mica la protagonista di uno show
comico!»
«Testarossa
non è colpa mia se sei un talento naturale!»
«Allora
vogliamo parlare di quando il prof. Setti ti fece fare cento canestri e
ne
sbagliasti ottanta? Ce n’è anche per te Testa di
Paglia!» Lo guardai con
sguardo maligno e trionfante, ma nuovamente, come quando gli affibbiai
quel
nomignolo, Stè non fece obiezioni al riguardo, sbaragliando
del tutto la mia
strategia di attacco e difesa.
«Fai
pure Testarossa, non è una novità che non sia una
cima a basket. Anzi, ora ve la
racconto: dunque
eravamo…» Stè si girò
di nuovo verso i suoi interlocutori estasiati
e continuò l’aneddoto con cui
l’avevo minacciato, diventando lui
stavolta il protagonista di una scena da cabaret: «Quella
palla andava ovunque!
Finì persino sulla testa del prof, che alterato mi
mandò a sedere!»
Le
risate del mio amico erano calde e mi rallegrarono l’animo:
quella sera lo
sentii ridere di cuore come non accadeva da tempo, quasi mi commossi
rendendomi
conto di quanto mi fosse mancato e di quanto fossi felice che si stesse
riprendendo dalla morte di Simona.
L’altro
lato del tavolo invece, era più silenzioso: Emile era
accanto a me e parlava
con Fede, mentre Rita stava chiacchierando con Maurizio; quei due erano
capaci
di far parlare chiunque, avevano un modo così gentile e
incisivo di rivolgersi
agli altri, che anche i più timidi e riservati riuscivano ad
abbassare le
proprie barriere nei loro confronti. Sarebbero diventati dei
professionisti
davvero capaci e al di là delle loro figure professionali,
erano una coppia
davvero ben assortita! Guardandoli mi resi conto che la leggenda di
Sofia in
quel caso si era realizzata in pieno: Rita e Fede erano destinati a
stare
insieme, gli anni che li avevano separati erano serviti solo a
rafforzare la
loro unione, a farli diventare ciò che erano e che li
avrebbe tenuti insieme
per il resto della vita. Già l’immaginavo alle
prese con una loro famiglia, a
fare da genitori a bambini dai capelli castani di Fede e dagli occhi
azzurri di
Rita e sarebbe stata anche una famiglia numerosa visto che la mia amica
aveva
sofferto la solitudine: immaginai bambine con le trecce e maschietti
che
giocavano insieme nel cortile di una casetta attorniata dal verde e mi
ritrovai
a sorridere pensando a quel futuro lontano.
D’un
tratto Emile mi riscosse da quel sogno ad occhi aperti:
«Tutto bene? Avevi
l’aria persa.»
Mi
girai a guardarlo: il suo viso era lievemente preoccupato, ma
l’espressione
generale era serena; dopo aver fantasticato su Fede e Rita iniziai a
pensare a
noi due in quel futuro distante, mi chiesi se fossimo stati ancora
insieme nel
veder nascere i figli dei miei amici e se avessimo avuto a nostra volta
un
futuro simile… e in un attimo, guardando quegli occhi grigi
mi resi conto che,
seppur non avevo le risposte, sapevo che il mio destino era
lì. Emile era
testardo, arrogante, diffidente e non riusciva a lasciarsi andare del
tutto ai
suoi sentimenti, ma solo il Signore sapeva quanto l’amassi e
quanto la mia vita
fosse cambiata da quando c’era lui accanto a me. Non
l’avrei mai lasciato, mai,
per nessuna ragione al mondo!
«Sì,
va tutto bene, è tutto perfetto!»
Mi
guardò intensamente, i suoi occhi si scurirono e fece un
piccolo sorriso
segreto solo per noi due: mi prese una mano nella sua e
avvicinò il viso al mio
orecchio: «Grazie»
Sentii
la sua presa che si faceva più forte e capii che quel grazie
era un: “Scusami,
sono un idiota e ti rendo la vita impossibile, ma
senza di te sarei perso”; mi commossi per
quel gesto così dolce e così carico di
significato e gli rivolsi il mio sorriso
più caldo, stringendo a mia volta la sua mano nella mia.
*****
Francesco,
Filippo e Maurizio andarono via subito dopo cena, mentre i miei amici,
che mi
avevano aiutato a mettere su quella serata, completarono
l’opera rimanendo ad
aiutarci a rimettere in ordine la cucina. Mentre io, Stè e
Rita eravamo alle
prese con i piatti sporchi, notai un confabulare tra Fede ed Emile:
chissà cosa
si stavano dicendo!?
Ero
curiosa da morire ma ero anche felice che quei due stessero parlando:
tra i
miei amici, Fede era quello che era riuscito più facilmente
a penetrare la
barriera protettiva di Emile, che sembrava non avere alcuna
difficoltà ad
aprirsi a lui e Dio solo sapeva se il mio Pel di Carota avesse bisogno
di
sfogarsi ed aprirsi con qualcuno! A quel pensiero, mi vennero
in mente le parole di Alberto: “Gli
unici suoi compagni sono la musica e i
ragazzi con cui suona; non è mai stato capace di stringere
rapporti duraturi
con qualcuno che
non fosse per un suo
fine preciso".
Quella
mattina si era sfogato con me, ma se io non ci fossi stata, se non
avesse avuto
me a spronarlo e ad ascoltarlo, da chi sarebbe andato? A chi si sarebbe
appoggiato? Non avevo la minima idea di come potesse vivere senza la
presenza
di un amico accanto!
I
miei amici erano la mia ancora di salvezza, il mio punto di riferimento,
l’appoggio e il sostegno che
mi facevano andare avanti a testa alta; non avrei mai potuto concepire
la mia
vita senza di loro e pensare che Emile vivesse isolato e chiuso in se
stesso da
anni, mi strinse il cuore.
Sperai
che tra lui e Fede potesse nascere una vera amicizia, mi augurai in
quel
momento di essere riuscita a donare ad Emile il piacere di avere un
amico, un
sostegno, una persona che ti capisca e t’impedisca di
vacillare. Io gli sarei
stata sempre accanto, ma ci sarebbero stati momenti in cui la mia
presenza non
sarebbe bastata… momenti come quello che stavamo vivendo, in
cui ero troppo
coinvolta nel problema Claudio per poter essere un valido sostegno.
*****
Quando
giunse il momento di andar via, dissi ai ragazzi che sarei rimasta in
quella
casa e nonostante l’evidente tristezza sul volto di Rita, era
un opzione che
avevano già dato tutti per scontato. Emile li
accompagnò alla porta mentre io
sistemai le ultime cose in
cucina.
Avevo
appena posato gli ultimi bicchieri quando le mie spalle furono avvolte
dal suo abbraccio:
mi sentii invadere dal calore di quel contatto e poggiai le mie mani
sulle sue,
ricambiando il suo gesto. Rimase in silenzio per qualche tempo, senza
dir
nulla, come se volesse solo godere di quella vicinanza ed io non feci
alcunché
per spezzare quel momento di comunicazione silenziosa. Quel giorno le
parole
avevano creato più incomprensioni che altro e forse un
po’ di sano silenzio
avrebbe ridotto le distanze tra di noi e permesso ai nostri cuori di
comunicare
meglio di quanto facessero i nostri cervelli. Dopo un po’
però, probabilmente
dopo aver raccolto le idee, Emile si decise a parlare:
«Mi
sono comportato come un matto oggi, vero?»
«Un
po’… ma avevi i tuoi motivi.»
«Dentro
di me ora ho così tanti pensieri, così tante
emozioni, che non riesco a
gestirle come si deve.»
«Perché
le hai tenute dentro di te per troppo tempo.»
«Forse…
o forse no. Però sono stato bravo a non innervosirmi con
Stefano, anche se non
faceva che ricordarmi quanto ti conoscesse!»
«Emile,
non ricom…»
«Stai
tranquilla, non voglio far polemica… non voglio
più discutere con te.»
«Nemmeno
io voglio farlo.»
«Scusami
per oggi, ho esagerato.»
«Beh,
nemmeno io ci sono andata tanto leggera.»
«Andiamo
a dormire?»
«Non
ancora, restiamo un altro po’ così.»
«Ok.»
Rimanemmo
per qualche minuto in quella posizione. Eravamo in piedi ma non mi
sentivo
affatto scomoda: l’abbraccio di Emile, le sue scuse e il
calore umano che ci
stavamo donando, facevano di quel momento
qualcosa che
volevo non finisse
mai.
*****
Quella
notte Emile non pianse: dormì di un sonno agitato, ma le
lacrime non gli solcarono
il viso. Probabilmente, avendo sfogato il dolore per Claudine, quella
sua parte
inconsciamente sofferente si era rasserenata…
L’agitazione era dovuta di sicuro
al problema con Claudio e quello era fuori dalla mia portata;
però ero felice
di non vedere più il suo volto piangente e anche se di poco,
rispetto al senso
di colpa che ancora mi devastava, mi sentii gratificata per essere
riuscita ad
aiutarlo.
_________________________________________
NDA
Stavolta mi sono data:
capitolo lunghissimo tutto per
voi! ^ ^
Anche questo come il
precedente, mi ha lasciato un pò interdetta, ma la mia Beta
come al solito, mi ha rassicurato dicendomi che era perfetto
così. Voi cosa ne pensate? Attendo i vostri pareri
più che mai! ^ ^
Ricordate la famosa foto
di Emile citata nelle mie note al capitolo precedente?
Eccola QUI
: il fanciullo in questione ha la chioma più lunga
di quanto la
immagini io, ma guardandolo così sembra proprio il mio
bambino *_*
Voi che ne pensate? Come
l'immaginate?
Angolo dei Ringraziamenti
Sorelle mie, ora
più che mai, con i vostri commenti sempre entusiastici anche
quando sono piena di dubbi, siete la mia ancora di salvezza. Ci sono
giorni in cui mi sembra che stia scrivendo una solenne schifezza, ma
poi penso a quanto siate prese da questa storia e mi dico che forse
tanto una schifezza non è. Quindi davvero grazie
all'infinito per la vostra presenza e per il vostro sostengo continuo e
costante. Vi adoro!!!
Grazie alle mie special
sisters: Iloveworld,
Saretta,
Niky, Vale, Concy sempre presenti, sempre pronte
ad infondermi la voglia di continuare e fare sempre meglio <3
Alle sister meno presenti: Cicci,
Ana-chan,
Ely, che mi sostengono in silenzio
<3
A Prim,
che mi
ha lasciata in vita per il rotto della cuffia (cara omonima per 1/3,
come ti sembra l'immagine del rossino?)
Grazie a tutte voi che avete
inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate, tra le
seguite:
lorenzabu, samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
green apple,
Aloba,
Ami_chan,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen,
hurry,
nickmuffin,
Origin753,
petusina,
roxi,
sel4ever,
Veronica91,
_Grumpy.
ARIGATOU
GOZAIMASU
a
tutte voi!!!!
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
«Allora,
sono finiti i problemi in famiglia? Per la miseria se pesa questa
valigia
Testarossa!»
«A
cosa ti riferisci Stè? Vuoi una mano per
portarla?»
«Intendo
tra te ed Emile… è tutto tranquillo ora? Non
preoccuparti ce la faccio, dovrei
essere io quello forte qui.»
Testa
di Paglia mi stava dando una mano nel trasloco, per poter portare tutti
i miei
bagagli a destinazione in una volta sola, considerato che non avevo
molto da
spostare. Da quando mi ero trasferita da Rita, sentendomi sempre un
po’ ospite,
non avevo riempito il suo appartamento con effetti personali, anche
perché in
quella casa ci stavo solo per dormire, per cui oltre agli abiti al
beauty case
e agli accessori da toeletta, c’era giusto uno zainetto e la
borsa che avevo
riempito a casa dei miei genitori, con dei libri e altri oggetti vari.
In pratica
tutto il bagaglio era trasportabile da me e Stè in un solo
viaggio e così
facemmo.
«A
quanto pare sì, Stè, o almeno fino alla prossima
discussione!»
Emile
in quei giorni era impegnato con il lavoro e soprattutto con le
ricerche di un
nuovo batterista; non gli avevo chiesto altro in merito, sapendo che se
non avesse
voluto parlarmene, avremmo finito col litigare nuovamente, per cui
sapevo solo
che ogni sera al ritorno dalla bottega, si chiudeva in saletta col
gruppo e
teneva audizioni. Ovviamente in una situazione simile, avevo
completamente
dimenticato di dirgli del mio appartamento, così
arrivò il giorno del mio
trasloco (accolto da Rita con un viso sull’orlo del pianto) e
come sempre ad
aiutarmi fu quello che Emile aveva definito il mio Cavaliere Biondo.
«Si
dice che l’amore non è bello se non è
litigarello: il vostro sarà di sicuro un
grande amore!» Testa di Paglia si fece una gande risata
mentre aprivo la porta
della mia piccola tana:
«Già…
non so nemmeno se abbiamo trascorso più tempo a litigare o
in pace!»
Appena
mise piede oltre l’uscio, il mio amico dette in un sonoro
fischio di sorpresa:
«Testarossa
è davvero un buco!»
Considerato
che fosse sembrato piccolo a me che non avevo certo la sua altezza, per
Stè
quel luogo doveva sembrare un po’ più grande di
una cabina doccia!
«In
effetti per te che sei fuori misura non sarebbe comodo, ma per me va
benissimo!»
«Sai,
credo che a Simona sarebbe piaciuto arredarlo, stava scoprendo un certo
interesse
nell’architettura d’interni e per una persona
precisa come lei, doveva essere
uno spasso gestire gli spazi abitabili.»
Chiusi
la porta e mi avvicinai a lui portandogli un braccio alla vita: Simo
non lo
abbandonava mai, Testa di Paglia era visibilmente più
sereno, ma mia sorella
sarebbe stata sempre parte del suo cuore.
«Stè,
ti sembrerà assurdo che io ti dica questo ma…
puoi parlarmi di lei? Com’era
Simona davvero?»
«Eh?
Ma era tua sorella!»
«Sì,
ma lo sai meglio di me che non facevo altro che litigarci, invece tu
sei
riuscito a comunicare con lei… tu la conoscevi molto meglio
di chiunque,
Stè! Meglio
di me e meglio dei miei
genitori e vorrei sapere una volta per tutte chi era, cosa sognava,
cosa le
piaceva e cosa odiava; voglio avere altri ricordi di lei, seppure in
modo
indiretto!» Il mio amico fece un sorriso triste e
ricambiò il mio abbraccio:
«D’accordo
Testarossa, prendiamoci una birra e ti racconto tutto.»
A Simona piacevano i
bambini
A Simona piaceva il blu
e il grigio.
Simona sognava di
sentirsi libera, ma non
voleva deludere nessuno.
Simona teneva al
giudizio altrui e cercava
l’approvazione da tutti.
Simona sognava un
pomeriggio di shopping
con sua sorella, una gita in montagna in famiglia, una serata davanti
ad un
puzzle da 20000 pezzi da completare insieme.
Simona voleva vivere la
sua vita con le
persone che amava accanto a sé, voleva ridere, voleva
divertirsi, voleva essere
apprezzata.
Appuntai
ogni frase su un foglio, che piegai e misi nell’album in cui
avevo inserito le
foto mie e di mia sorella, in modo da ricordare ogni cosa che la
riguardasse
nel preciso istante in cui puntavo
gli
occhi sulla sua immagine. Volevo ricordare tutto di lei: il suo viso, i
suoi
capelli, la sua statura e il suo sguardo, il suo raro sorriso e le sue
mani
piccole e precise e volevo ricordare la sua voce, come parlava e
ciò che
diceva, insieme a tutto ciò che mi aveva raccontato
Stè. Emile avrebbe lottato
tutta la vita per non far cadere Claudine nel dimenticatoio; io nel mio
piccolo
avrei fatto altrettanto per far sì che mia sorella non
fuggisse mai più dalla
mia mente e dal mio cuore. Ti accorgi dell’importanza di una
persona solo
quando non l’hai più e il ricordo di Simona doveva
essere per me un continuo
monito a dare importanza a chi avevo accanto senza attendere che prima
andasse
via.
*****
«Ma
perché non me l’hai detto prima?!»
Qualche
giorno dopo il mio trasferimento, riuscii finalmente a vedere Emile.
Non ero
felice all’idea di lasciarlo solo in casa, ma con i suoi
impegni serrati le ore
di solitudine si riducevano a quelle notturne e come aveva gentilmente
tenuto a
sottolineare anche lui, non era un bambino in fasce
e qualche giorno da solo in casa non
l’avrebbe devastato o messo in pericolo di vita. Per cui
trascorse qualche
giorno prima che potessi vederlo e dirgli finalmente del mio trasloco.
Allo scoprire
del mio trasferimento, fu sorpreso e anche un po’
contrariato:
«Ti
avrei dato una mano a traslocare!»
«Ma
non c’era granché da trasferire, Emile! Avevo
qualche valigia e un paio di
zainetti e ce l’ho fatta da sola, Stè mi ha
accompagnato in auto così abbiamo
potuto trasportare tutto in una volta sola.»
A
quelle parole, vidi un’ombra passare sul suo viso:
«Già...
dimenticavo che Stefano è sempre pronto a darti il suo
prezioso aiuto!»
Il
suo tono si fece amaro, la gelosia stava nuovamente facendo capolino e
prima
che non riuscisse a controllarla, presi le sue mani nelle mie e passai
al
contrattacco:
«Ora
non fare l’acido! Lo sai quanto tu sia importante per me, non
ho ancora
organizzato una festa inaugurale per quell’appartamento, solo
perché voglio che
prima tu lo veda… e per di più non avrei mai
permesso che sforzassi la mano!»
Con
mio grande sollievo, nel giro di quei pochi giorni in cui non ci
eravamo visti,
la mano di Emile si riprese del tutto, tornando ad essere funzionale al
cento
percento; almeno questo problema era stato evitato e potevo depennare
dalla mia
personale lista della vergogna, uno dei possibili guai in cui avrei
potuto
cacciarlo! Dopo aver sentito la mie ragioni, Emile mi guardò
con un’espressione
indecifrabile, prima di alzarsi senza preavviso. Fece un sorriso sereno
e
luminoso e allungò una mano verso di me:
«Allora
andiamo a vederlo!»
L’appartamento
si trovava al secondo piano di un palazzo nuovo: la tromba delle scale
era
pulita e ben curata e tutto lo stabile aveva l’aria di essere
tenuto con cura.
Emile fu lieto di vedere che prima di giungere in casa mia la visuale
fosse
gradevole e si dichiarò soddisfatto della mia scelta
già da allora. Quando
entrò nell’appartamento, lo guardò con
occhio critico, controllò la stabilità delle
scale che portavano al soppalco, diede un’occhiata alle
tubature per osservare
eventuali perdite dal bagno, si assicurò che ci fosse acqua
calda e che la
chiusa del gas fosse ermetica: tutte queste attenzioni degne di una
mamma chioccia
mi sorpresero, non mi ero mai resa conto che fosse così
apprensivo!
«Emile…
vuoi per caso chiedere anche se il cemento usato per costruire
l’appartamento è
di buona fattura?»
Ero
ancora sull’uscio della porta, incredula ad osservare il suo
andirivieni,
divertita e soprattutto gratificata da quelle cure così
amorevoli. Mi tornò in
mente quella volta in cui mi disse che avrebbe accettato anche di
essere
soffocato di domande dalla madre pur di riceverne l’affetto e
mi resi conto che
era vero, che a volte è bello sentirsi circondare dalle cure
amorevoli di chi
ami, anche se sono soffocanti.
«È
possibile saperlo?»
La
domanda di Emile mi distolse dai miei pensieri e
per un istante non capii a cosa alludesse.
«Cosa?»
«Il
cemento, è possibile sapere di che qualità
era?»
Non
potevo credere che fosse serio!
«EMILE!
Smettila di essere così apprensivo! Io scherzavo, guarda che
è tutto a posto,
non corro alcun rischio!»
Si
bloccò sorpreso e fece un sorriso verso se stesso,
rendendosi conto di aver
esagerato:
«Scusami,
mi sono lasciato prendere… è che sento una strana
apprensione all’idea di
saperti qui da sola. Sarà che mi sento in colpa per non
averti aiutato...» si
grattò la testa con una mano con fare imbarazzato…
«Non
mi succederà nulla, salame! Stai tranquillo e rilassati e
poi hai controllato
tu stesso, è tutto in ottime condizioni!»
Fece
un altro dei suoi sorrisi ironici e venne a darmi un bacio sulla
fronte, prima
di aggiungere:
«Hai
ragione, ma c’è ancora qualcosa che posso fare,
vieni con me!» Mi prese per una
mano e uscimmo di casa.
Arrivammo
al centro d’ascolto ed Emile fermò
l’auto un istante prima di parlare:
«Ora
tu resti qui, trascorri un paio d’ore con i tuoi amici e poi
vengo a prenderti,
ok? Ah, queste le
prendo io.» mostratemi
le chiavi di casa mia, che avevo lasciato sul cruscotto, mi fece uscire
dall’auto, lasciandomi del tutto inebetita.
Quando
Fede mi vide comparire alzò le sopracciglia sorpreso:
«Che
ci fai qui? Non eri con Emile?»
Tra
me e i miei amici c’era una rete d’informazione
degna della CIA: tutti sapevano
di tutti, non c’era uno spostamento di uno di noi che non
fosse conosciuto da
almeno la metà del gruppo!
«Già…
ma all’improvviso mi ha sbarcato qui, dicendomi che sarebbe
venuto a prendermi
tra un paio d’ore… ha preso anche le chiavi di
casa mia!» Fede
fece un sorriso, probabilmente riusciva
a comprendere la mente del mio ragazzo meglio di me!
«Non
preoccuparti, starà preparando qualcosa
d’interessante per te.»
E
come al solito, Fede ci vedeva lontano: Emile venne a prendermi dopo un
paio
d’ore e senza dire una parola su ciò che mi
attendeva, mi portò direttamente a
casa. Mi lasciò fuori la porta per qualche minuto, sentii
che armeggiava con
qualcosa e la mia curiosità salì a livelli epici:
stavo per sbirciare dal buco
della serratura quando la porta si aprì e rimasi senza
parole. Tutto l’ambiente
era invaso dalla luce soffusa delle candele, veli rossi erano
drappeggiati alle
pareti e uno simile era steso sul tavolo, apparecchiato per due, su cui
campeggiava un candelabro.
«Benvenuta
a casa.» calò il viso verso di me e sentii
sussurrarmi all’orecchio quelle
parole con voce dolce e sensuale, mentre fece un sorriso che mi rimise
al
mondo: il mio Pel di Carota mi diede il benvenuto più bello
che avessi mai
potuto sognare!
«Emile…
tutto questo… è per me!?»
Portai
le mani al viso incredula, mentre lui sempre sorridente rispose:
«Per
chi sennò? La casa è la tua e dovevi avere un
benvenuto degno.»
Avevo
un magone alla gola che non mi permetteva di parlare e lo guardai
sperando che
i miei occhi riuscissero a comunicare per me. Non sentendo una risposta
da
parte mia, con un sorriso imbarazzato aggiunse:
«A
dir la verità il cibo è comprato, non ho avuto
abbastanza tempo per preparare
tutto, ma alla pasta ci penso io, conosco una ricettina davvero
saporita!»
E
chi ci pensava al cibo! Il cuore mi
martellava nel petto, le parole non mi uscivano di bocca e il suo
sorriso mi
fece sentire la donna più fortunata del mondo: gli saltai
letteralmente addosso
e lo costrinsi ad abbassarsi per avvinghiarmi a lui e dargli uno dei
baci più
appassionati di cui fossi mai stata capace.
«Ci
pensiamo dopo al cibo, ora voglio mangiare
te!*»
*****
Dopo
esserci saziati d’amore, passammo a saziare i nostri stomaci:
la cucina di
Emile era davvero deliziosa e anche il resto fu tutto ottimo e
quell’atmosfera
soffusa e rossastra mi portò a pensare di essere nel bel
mezzo di un sogno. Ero
convinta che quella serata non potesse
andare meglio, invece dopo cena, il mio adorabile Pel di Carota mi fece
un
altro regalo prezioso. Ci accomodammo rilassati e soddisfatti sul
divanetto che
ero riuscita ad inserire nella zona giorno, intenti a goderci quel
momento di
totale intimità e confidenza: ero del tutto rilassata nel
suo abbraccio, quando
mi resi conto dell’improvviso silenzio sceso tra noi. Alzai
la testa per
osservare il viso di Emile e lo trovai immerso in qualche pensiero
lontano:
«Ti
vedo pensieroso; qualcosa non va?»
«Stavo
pensando alle audizioni: sembrano non avere fine e non abbiamo trovato
ancora
qualcuno.»
Rimasi
sorpresa da quella frase: non mi aspettavo che mi parlasse del suo
gruppo, non
dopo la discussione che avevamo avuto l’ultima volta che
avevo messo bocca
nella sua vita professionale. Ero felice che avesse deciso di
parlarmene, ma
allo stesso tempo, sentii farsi largo anche l’insistente
senso di colpa e la
mia felicità si mischiò al peso che continuava ad
opprimermi, per avergli
causato quel problema.
«Pasi,
smettila d’incolparti.» dovevo avere la parola
“colpevole” scritta sul viso,
vista la repentinità con cui Emile capì i miei
pensieri. «Non è colpa tua se
Claudio è andato via, prima o poi sarebbe accaduto e tu sei
stata solo il mezzo
per colpirmi… nuovamente.»
«Sono
diventata il tuo punto debole!» dissi sconsolata.
«Sei
sempre stata il mio punto debole, l’unica in grado di farmi
vacillare. Se
questa storia fosse accaduta in un altro momento, forse ora non sarei
qui,
probabilmente ti avrei allontanato nuovamente per non essere
più soggiogato dall’influenza
che hai su di me. Ma ho poca fiducia sulla mia capacità di
resisterti e da
quando mia madre se n’è andata, sento un bisogno
disperato di averti accanto: tu
mi dai forza, mi sostieni e sento che in questo momento della mia vita
ne ho un
bisogno terribile, sento di non riuscire a farcela da solo…
e quando sto con te
non mi sento più lasciato a me stesso.»
Emile
stava aprendo un altro pezzetto di cuore ed io rimasi in silenzio
ascoltando
ciò che aveva da dirmi, felice come ogni volta che mi
permetteva di condividere
un po’ dei suoi tormenti.
«La
musica è sempre stata la mia unica compagnia. Sai meglio di
me quanto io sia
poco socievole e quanto sia difficile aprirmi agli altri. In
più, quand’ero
piccolo, i miei compagni venivano spinti dai genitori curiosi ad
entrare in
casa, per vedere chi fosse questa fantomatica cantante francese
ammalata e ben
presto ho capito che non avrei più aperto le porte di quella
casa a qualcuno,
così come non mi sarei più avvicinato ad anima
viva. La mia unica amica era la
musica. La mia unica madre era la musica: quando mi sentivo solo,
accendevo la
radio oppure ascoltavo qualche CD, quando cercavo il conforto di mia
madre
l’ascoltavo cantare… Tutte le mie emozioni le ho
accompagnate alla musica e lei
è diventata parte di me, parte di ciò che sono.
Ecco perché l’ho sempre messa in
primo piano. Per me c’è sempre stata solo lei.
Finché
non sei arrivata tu. Tu che hai destabilizzato tutti i miei equilibri,
che hai
minato i pilastri su cui si fondano le mie convinzioni, che mi hai
portato a
riconsiderare le mie priorità.
Io ho
bisogno di te Pasi, questa è la verità. Ho
bisogno della tua dolcezza, del tuo
sostegno… ho bisogno del tuo amore. Non riuscirei mai a
mandarti via da me.»
Mi
strinsi a lui col cuore gonfio di una gioia malinconica: era bello
sentirgli
dire che avesse bisogno di me, era bello sentirsi importanti al punto
da non
essere da meno della musica, che avevo sempre immaginato come una
rivale
impossibile da sconfiggere… Tuttavia sentivo anche che
dietro quelle parole,
c’era la sofferenza di Emile e il suo stato di estrema
fragilità… e ancora una
volta mi resi conto di aver gettato acqua sul bagnato istigando Claudio
alla
ribellione, dando al mio Pel di Carota un altro grosso problema da
affrontare
in quelle condizioni di fragilità emotiva.
«Oh,
Emile! Mi sento così in colpa! Se solo potessi rimediare in
qualche modo! Se
sapessi suonare la batteria ti giuro che verrei io a sostituire
Claudio!»
Emile
sorrise a quell’idea : «Saresti davvero buffa
dietro quei piatti e quei
rullanti.»
«Io
parlo seriamente e tu mi prendi in giro?»
«Troverò
una soluzione, stai tranquilla! Niente mi fermerà, a costo
di suonarla io
quella batteria!» Continuava a parlare in prima persona,
accollandosi tutti
problemi del gruppo senza doverli condividere con gli altri…
probabilmente si
sentiva responsabile per la defezione di Claudio e non era solo
l’egocentrismo
a muoverlo… almeno volevo sperarlo.
«Puoi
cantare e suonare contemporaneamente?»
«No…
la batteria è uno strumento che richiede l’energia
di tutto il corpo, quindi
difficilmente potrei anche cantare. Mi riferisco alle incisioni dei
brani; ne
restano ancora un paio e potrei suonare io per poi sovraincidere la mia
voce…
anche perché il tempo stringe e non possiamo permetterci
altre pause, o il
produttore s’insospettirà.»
«Non
gli hai ancora detto qualcosa?»
«No,
speravo di riuscire a trovare una soluzione prima di dovergli dire
tutto e
scatenare qualche casino, ma posso sempre raccontare qualche frottola
come una
malattia improvvisa e nel frattempo continuare a cercare qualcuno che
sostituisca definitivamente Claudio.»
«E
se non dovessi trovarlo in tempo per la tournée?»
«A
quel punto dovremmo assumere un tournista… come vedi le
soluzioni si trovano
Pasi, perciò smettila di flagellarti e non pensare
più che sia colpa tua… e poi
dimentichi che sono straordinariamente bravo! Niente si
frapporrà tra me e il
mio obiettivo, quest’album sarà lanciato e
avrà il successo che merita!»
Sentivo
emanare dall’animo di Emile un fuoco ardente, la sua
ambizione e il suo
desiderio di realizzarsi riuscivano ad accenderlo come
nient’altro al mondo e
la sicurezza che aveva in se stesso e nelle sue capacità, mi
lasciava ogni
volta senza parole.
«Sei
sempre il solito modesto!»
Mi accoccolai
di più accanto a lui, l’amavo al punto da adorare
anche quel suo lato, che prima
detestavo con tutta me stessa!
«Pasi
io so quanto valgo e non ne faccio mistero. La finta modestia
è ipocrisia bella
e buona; se sai di valere, perché devi sminuirti agli occhi
degli altri? Se non
credi in te stesso nessuno lo farà al posto tuo. Tu sei
l’unica persona che può
difenderti e farti emergere, non ti aspettare mai che qualcuno lo
faccia al
posto tuo!» Il suo tono era serio, ma come a contraddire le
sue parole, mi
strinse a sé protettivo.
«Questo
lo so Emile, lo so.»
Ci
fu un attimo di silenzio tra noi, immaginai che il suo pensiero fosse
rivolto a
sua madre, alla fragilità di Claudine che non le aveva
permesso di credere in
se stessa e di riprendersi una carriera già avviata e m’incupii al
pensiero di quel dolore così forte
che portava dentro di sé e che non avrei mai potuto lenire.
Ma
mentre ero preda della mia sensazione d’impotenza, Emile
tornò a parlare:
«Ora
però, vediamo come ti difenderai da questo.»
passò una mano tra i miei capelli
scostandoli dal viso delicatamente, procurandomi un brivido di piacere
che mi
percorse tutta la schiena e che aumentò
d’intensità quando sfiorò il mio
orecchio con le labbra, per poi scendere sulla nuca…
«Sei
proprio un diavolo rosso, mi hai preso sul punto debole!» gli
dissi con un fil
di voce, mentre sorridendo si gustò la sua vittoria: ero già stata
annientata prima ancora di
combattere!
*****
«Alberto!»
Era
trascorsa una settimana da quando il padre di Emile era partito per la
Francia
e finalmente quel viaggio triste e doloroso era giunto al termine:
quando seppi
del suo ritorno mi precipitai a salutarlo e appena lo vidi corsi in sua
direzione per abbracciarlo; solo in quel momento mi resi conto di
quanto mi
fosse mancato. «Bambina
mia!»
Con
un’espressione felice e carica d’affetto mi
circondò con il suo caldo abbraccio
da padre, regalandomi in un attimo tutta la sua gioia di vedermi.
«Mi
sei mancato tanto!»
«Pensavo
che non avresti avuto il tempo di sentire la mia mancanza;
evidentemente Emile
non ti ha intrattenuto come si deve!»
Eccolo
lì sempre pronto a fare qualche battuta che mi facesse
diventare un peperone!
Se la rise della grossa prima di aggiungere: «Anche tu mi sei
mancata piccola,
non vedevo l’ora di tornare dalla mia famiglia.»
Amavo quell’uomo sempre di
più. Aveva appena perso la sua ragione di vita eppure
riusciva ancora a donare
calore e affetto e a dire una frase simile, che mi commosse nel
profondo. Mi
strinsi di più a lui, per bearmi di quell’affetto
che sapeva donarmi.
«Grazie»
«Di
cosa, Pasi?»
«Per
avermi incluso nella famiglia.»
Con
un gesto che lo accomunava a suo figlio, mi accarezzò la
testa
affettuosamente prima
di rispondermi.
«Dopo
aver vissuto per qualche giorno in un altro ambiente, posso dire con
certezza
che i legami familiari non sono solo questione di sangue bambina
mia… e tu hai
il pieno diritto di far parte di questa famiglia.» Quella
frase mi riportò al
presente e al motivo per cui Alberto era andato via:
«Com’è
andata in Francia? Sei riuscito a parlare con loro?»
Non
riuscivo a dire “la famiglia di Claudine”,
perché nominare il suo nome davanti
a lui mi sembrava una pugnalata diretta al suo cuore.
«Diciamo
di sì… e no.» Alberto si
staccò dal mio abbraccio e mi fece accomodare per
potermi raccontare com’erano andate le cose in Francia.
«Sono
andato lì perché volevo dire loro personalmente
di Claudine. Non hanno dato
segno di aver ricevuto il mio telegramma, quindi ho voluto vedere di
persona se
l’avevano ignorato o se non fosse mai arrivato.» Il
viso di Alberto s’incupì:
Emile odiava il ramo familiare francese ma suo padre, sempre
così gioioso e
amorevole, sempre così buono e affettuoso, come considerava
la famiglia che
aveva ripudiato sua moglie?
«La
nonna di Claudine ha lasciato la sua casa in eredità ad
Odette, la sorella
maggiore di ma chère, così tornando in quella
casa dopo tanti anni, mi sono
trovato ad affrontare lei.»
La
sorella maggiore di Claudine… mi chiesi immediatamente che
aspetto potesse avere
e che tipo di donna fosse.
«Odette
sapeva, le era giunto il telegramma, ma non ha nemmeno avvisato i suoi
fratelli
e l’ha gettato via, come un qualsiasi oggetto privo di
valore.»
«Ma
non è possibile! Era sua sorella! Perché
comportarsi così? Non è possibile!»
Automaticamente pensai alla mia di sorella e al senso di colpa che mi
avrebbe
accompagnato per sempre, per non esserle stata accanto… come
poteva Odette, non
sentirsi minimamente in colpa? Aveva allontanato Claudine per tutta la
vita e
anche nel saperla morta continuava a comportarsi come se sua sorella
non fosse
mai esistita!
«Odette
serba rancore verso Claudine: ma chère era la più
piccola e la loro madre la
riempiva di attenzioni… soprattutto perché era
figlia di un uomo che doveva
aver amato profondamente. La madre di Claudine era stata cacciata dal
marito a
causa del suo adulterio e tornò a casa dei genitori con la
bambina piccola e la
vergogna addosso. Anche se non aveva mai mostrato un segno di
pentimento per
quello che aveva fatto. Odette però non glielo
perdonò mai, o meglio, scaricò
le colpe dello sfaldamento della sua famiglia su Claudine,
testimonianza
vivente dell’adulterio di sua madre.»
«Ma
Claudine non aveva alcuna colpa!»
«Lo
so, ma Odette ha preferito odiare sua sorella piuttosto che sua
madre.»
«Al
punto da non volerla nemmeno salutare un’ultima
volta?»
«Già…
ho incontrato anche suo fratello Jacques, che invece sembrava
sinceramente
dispiaciuto ed era arrabbiato con Odette per non aver detto nulla in
tempo per
il funerale… Mi ha detto che ha intenzione di venire a
trovare Claudine,
prossimamente.»
Lo
sapevo che non erano tutti delle iene!
«Che
bello! Allora Claudine non era odiata da tutta la sua famiglia! Sono
così
felice che ci sia un fratello che le voleva bene! Ma perché
non si è mai fatto
sentire prima d’ora?»
«Jacques
non ha vissuto molto con Claudine, per cui non ha instaurato un forte
legame
nei suoi confronti... però a modo suo le voleva bene, anche
se non al punto da
sentirla o da venire a trovarla… evidentemente ora si
è reso conto di aver
perso l’opportunità di conoscerla davvero e vuole
rimediare.» Proprio com’era
accaduto a me con mia sorella… Il mio pensiero si
spostò repentinamente su un
altro problema spinoso:
«Emile
che ne pensa?» Temevo di sapere già la risposta,
ma attesi la conferma dalla
voce di Alberto.
«Mio
figlio non vuole avere nulla in comune con quella parte della sua
famiglia; non
era d’accordo che andassi in Francia da loro e ovviamente non
è affatto
d’accordo all’idea di vedere qualsiasi parente di
quel ramo familiare.»
Sospirai…
Emile era sempre il solito testardo, chiuso nel suo rancore, che non
ammetteva
cedimenti e/o aperture di sorta.
«Bambina
mia, lo sai com’è fatto quel testone,
però io sono ottimista: Jacques è una
brava persona… un po’ sulle nuvole a volte, ma
è di buon cuore e saprà
conquistarsi l’affetto di quel cocciuto figlio che mi
ritrovo.»
«Lo
spero davvero… è pur sempre un legame con
Claudine, hanno lo stesso DNA! Sono
d’accordo quando dici che la famiglia non è solo
questione di sangue, ma c’è
anche quello! E quando qualcuno della tua famiglia mostra di tenerci a
te, non
è giusto respingerlo, è una cattiveria gratuita,
è sputare su un tesoro
inestimabile!»
Mi
resi conto di essermi agitata nel parlare: ciò che avevo
appena detto risuonava
in me perché mi sentivo coinvolta in quella situazione. Se
mia madre o mio
padre avessero fatto un solo passo per venirmi incontro, li avrei
accolti a
braccia aperte e non potevo minimamente pensare che Emile rifiutasse a
priori
la dimostrazione d’affetto di un suo familiare.
«Lo
so piccola, condivido pienamente le tue idee ed è per questo
motivo che sono
andato in Francia: la famiglia di Claudine non è piccola e
al suo interno ci
sono delle persone davvero belle e valide, non voglio che Emile li
detesti per
principio senza conoscerli veramente e sarò più
che felice di ospitare chiunque
di loro decida di venire qui da noi.»
Era
la prima volta che vedevo Alberto così fermo e deciso: il
suo temperamento
gioioso e allegro lo faceva apparire una persona
che non badasse molto ai problemi della vita,
ma quando era necessario, quell’uomo sapeva essere serio e
determinato al pari di
suo figlio: più li conoscevo e più mi rendevo
conto di quanto quei due si
somigliassero.
«Ti
aiuterò anch’io, farò quel che
potrò affinché Emile impari ad accettare la sua
famiglia, o almeno i membri degni del suo affetto.»
«Grazie
bambina mia, sapevo di poter contare su di te.»
------------------------------------------------------
*Citazione
per gentile concessione di Rei
Kashino
__________________________________________________________________________________
NDA
Eccoci qui con un nuovo
capitolo: questo è un pò più corto del
precedente, ma ieri mi sono resa conto di averne scritto uno anche
più lungo tra i prossimi a venire... sto
diventando logorroica??? O_o
Ormai siamo alle
battute finali, anche se ancora non posso essere certa del numero
totale di capitoli che comporranno questa storia. Di certo ce ne
saranno 26, ma visto che due mesi fa l'avevo conclusa a 19 e a distanza
di sessanta giorni se ne sono aggiunti 7, direi che è ancora
tutto da vedere xD
La storia
è abbastanza chiara nella mia mente, per cui la
quantità di capitoli dipenderà solo dalla mia
predisposizione a dilungarmi o meno in alcune situazioni. ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
Cosa potrei dire
ormai che non vi abbia detto finora? DANKE, perchè in
tedesco ancora non vi avevo ringraziato xD
Grazie alla mia Beta Iloveworld,
che ultimamente ha cambiato nick, ed ora è Fiorella Runco,
ma che per me resta comunque la mia tomodachi, con cui divivdere la
passione per la scrittura e per gli anime e che è sempre la
prima della lista nell'infondermi sostegno ed entusiasmo per
ciò che scrivo.
Grazie mille alle mie sorelle affezionate:
Saretta,
Niky, Vale, Concy sempre presenti, sempre
entusiaste e pronte
ad infondermi la voglia di continuare e fare sempre meglio <3Grazie mille anche alle sister
"sporadiche": Cicci,
Ana-chan,
Ely, che mi sostengono in silenzio
<3
Grazie a Prim,
che mi
segue da tempo e che ha scoperto di avere il simil-Emile proprio dalle
parti sue *me andrà a trovare Prim un giorno di
questi*
E un Grazie anche a Dreamer_on_heart, la cui recensione sotto lo
scorso capitolo, mi ha lasciato davvero commossa e orgogliosa di me!
Un Grazie immenso va anche a
tutte voi che avete
inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate, tra le
seguite:
kiki0882, lorenzabu,
samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
Ami_chan,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_
ARIGATOU
GOZAIMASU!!!!
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
«Pasi?
Che ci fai qui?»
«Ciao
Sofi, avevo un po’ di tempo libero e sono passata a
trovarti.»
«Hai
litigato di nuovo con Emile?»
«No,
sono venuta solo per vedere te.»
«Ah…
prego, accomodati.»
Sofia
era rimasta di sasso. La sua reazione confermò
ciò che da un po’ di tempo
temevo: la lasciavamo troppo in disparte e non si aspettava di essere
considerata al pari del resto del gruppo… almeno per quanto
mi riguardava.
Rita
la conosceva da anni, era stata lei il tramite cui avevamo conosciuto
Sofi: il
padre di quest’ultima era un grande amico dei genitori della
nostra amica e loro
due si conoscevano da quando erano bambine. Rita, col suo modo di fare
pacato e
dolce era riuscita ad entrare subito in sintonia con quella ragazzina
taciturna
e poco socievole e ovviamente, lo stesso era capitato a Fede. Come al
solito
eravamo io e Stè ad avere qualche problema di comunicazione
con lei, perché non
riuscivamo proprio a capire quel suo modo di essere così
solitario e
tendenzialmente acido. Nonostante conoscessimo anche le sue buone
qualità e il
suo saper guardare alle cose della vita con raziocinio, senza
distorsioni
emotive, per me e Stè era difficoltoso riuscire a comunicare
con lei e difatti,
era raro che la cercassimo. Sofi però
era una buona amica, se avevamo bisogno di lei era sempre
disponibile a
dare una mano (impegni permettendo) ed ogni volta che trascorrevamo del
tempo
con lei, finivamo con l’imparare qualcosa che aveva appreso
dai suoi amati libri…
per questi motivi decisi di andare a trovarla e di cercare di
instaurare un
vero rapporto d’amicizia con lei. Dalla morte di Simona mi
ero ripromessa di
non dare più per scontate le persone care, di non attendere
per avvicinarle e
conoscerle e la morte di Claudine aveva rafforzato questa mia
convinzione.
Non
volevo più mettere in disparte nessuno, non dovevo
più attendere per avere un
vero rapporto umano con chi mi era accanto.
«Pasi…
sicura che non hai litigato con Emile? Sei stranamente
silenziosa.»
«Cosa?
Oh! Sì, sì, scusami Sofi, ero
sovrappensiero…»
Ci
eravamo accomodate in camera sua, un piccolo spazio abitato circondato
da
mensole piene di libri: non c’era una foto o un poster alle
pareti perché
queste erano totalmente occupate dagli scaffali! L’atmosfera
generale di quella
camera da letto era di austerità, che ben delineava il
carattere della mia
amica, ma che mi metteva improvvisamente a disagio: io ero abituata al
caos, ad
una stanza fortemente vissuta (che
aveva costituito una fonte per i migliori mal di testa di mia madre) e
trovarmi
nella camera da letto di una ragazza che, seppur solo di un anno, era
più
piccola di me ma riusciva a vivere nell’ordine più
asettico, mi faceva sentire
fortemente in soggezione e non era quello lo stato d’animo
con cui volevo parlarle.
«Sofi,
che ne diresti se uscissimo a prenderci un gelato?»
*****
«Mmm,
quant’è buono!»
Sono
sempre stata una golosa, una zucchero-dipendente maniaca del
cioccolato:
probabilmente quando hanno distribuito le manie e le scelte
gastronomiche, ero
a corto di felicità o c’era troppa amarezza nella
mia vita; sta di fatto che
quando vedo una tavoletta di cioccolato, soprattutto se è al
latte e con
qualche cereale sparso all’interno, io vado totalmente in
estasi! E quel gelato
era l’apoteosi del piacere, in grado di rivaleggiare solo con
i baci di Emile…
O
forse no…
A
quel pensiero mi bloccai e sentii di essere diventata improvvisamente
color
rubino!
«Pasi,
stai bene? Sei tutta rossa.»
Sofia
mi osservava sempre più sorpresa: non le avevo detto ancora
nulla, in attesa di
trovare un tavolo, una panchina o un qualsiasi ripiano cui appoggiarci
per
finire quella delizia e parlare. Il suo era un gelato molto estivo: papaya e ananas,
rigorosamente due gusti alla
frutta che non mettevano chili qua e là. Osservai il mio
cono che strabordava
cioccolato e cereali e mi sentii d’improvviso
un’ingorda insaziabile, mentre
sul viso di Sofia fece capolino un’espressione
d’insofferenza.
«Pasi
ma che hai oggi? Piombi a casa mia, dicendomi di voler stare con me ma
poi
usciamo e una volta qui, continui a non parlarmi… Cosa ti
è successo di così
difficile da dire? Ti sei innamorata di un altro e non riesci a dirlo
ad Emile?
L’hai tradito forse?»
Come
le veniva in mente una cosa del genere?
«Ma
certo che no, Sofi! Non tradirei mai Emile, per niente al
mondo!»
Come
poteva solo pensare che avessi potuto fare una cosa tanto vile?
«Mai
essere sicuri di qualcosa Pasi, non dare mai alcuna verità
per certa, perché
nel momento in cui lo fai, essa cambia.» Ecco la parte
più odiosa di Sofia:
l’uccellaccio del malaugurio, sempre pronta a vedere il lato
cinico della vita…
«Sei
sempre rincuorante Sofi… ma perché stiamo
parlando di questo ora? Tra me ed
Emile va tutto bene e non sono venuta per farmi jellare da
te!» Quella
conversazione stava prendendo una piega totalmente opposta a quella che
volevo…
parlare con Sofia era davvero difficile per me!
«Se
fai scena muta, allora non posso che improvvisare e cercare di capire
il motivo
della tua venuta… ancora non sono riuscita a comprendere il
perché tu abbia
voluto vedermi.»
«Hai
ragione Sofi, scusami… ecco io sono venuta proprio per
questo… per scusarmi con
te.»
«Scusarti
con me? E di cosa?»
«Per
averti messo sempre ai margini, per non essere una buona
amica… L’altra sera
quando ti ho chiamato… mi sono resa conto che non
t’interpello mai, che quando
ho bisogno di stare con qualcuno chiamo sempre Stè o Rita o
Fede, ma con te non
lo faccio mai… Tu invece sei sempre pronta ad
ascoltarmi… Ti chiedo scusa!»
Ero
così mortificata da non riuscire nemmeno a tenere il capo
alzato, più le
parlavo e più mi rendevo conto di quanto poco
l’avessi tenuta in considerazione in quei
quattro anni di conoscenza.
«Hai
fumato qualcosa, ieri?»
La
risposta di Sofi mi lasciò così interdetta da
farmi alzare la testa di scatto:
«Cosa?»
Il suo viso era sorpreso e dubbioso, come se stesse valutando la
veridicità
delle mie parole.
«Sofi
io sto benissimo! Sono totalmente in me, è in piena
coscienza che sono venuta a
parlarti!»
Non
sapevo se essere offesa da quella risposta o farmi una risata: era
talmente
strano per lei, pensare che mi fossi resa conto di essere stata
così cattiva
come amica nei suoi confronti? Che considerazione aveva di me?
«Scusami
Pasi… è solo che mi sembra così strano
questo tuo atteggiamento… Non capisco
perché tu voglia scusarti per un comportamento che hai da
quando ci conosciamo
e che a me risulta del tutto normale e ovvio.»
«E
a te sta bene che mi comporti così?»
«Non
saprei… è da quando ti conosco che sei
così, del resto conoscevi già gli altri
ed è normale che tu abbia più confidenza con loro
che con me… Certo non ti
nascondo che alcune volte ci sono rimasta male per essere stata
estromessa, ma
del resto è una situazione che mi cerco io. Non sono proprio
“l’anima della festa”
e tante volte sono stata io a negarmi a voi, quindi è
normale che dopo un po’
di tempo iniziaste a non includermi più nei vostri
incontri… Quindi tutto
sommato, non ho nulla da rimproverarti.»
Incredibile…
certe volte quella ragazza sembrava priva di sentimenti umani,
così imbrigliata
nella sua fredda logica al punto da non alterarsi nemmeno quando si
sentiva
offesa… Come facesse a restare così impassibile,
sarebbe stato sempre un
mistero per me, che ero il suo esatto contrario!
«Sofi
sei un enigma per me!»
«Ma
no Pasi, quale enigma! Siamo semplicemente diverse, pensa a tutto
ciò che tu
non sei e troverai me!»
Sofi fece un
mezzo sorriso e mi resi conto di quanto fosse raro vederla sorridere
del tutto,
così ricordai un particolare della sua vita, che in qualche
modo l’accomunava
ad Emile:
«Sofi…
da quanto tempo non vedi tua madre?»
Erano
anni che lei e suo padre vivevano da soli e Sofia non parlava mai di
sua madre,
mentre mostrava sempre un grande rispetto per suo padre…
rispetto… ma non
amore. Ed era peggio nei confronti di sua madre, che aveva abbandonato
la
famiglia quando lei era piccola e si era rifatta una vita lontano da
loro.
Forse quella razionalità estrema era nata proprio in quel
periodo, come difesa
per il dolore di vedere la propria famiglia spezzata…
«E
cosa c’entra questo, ora?»
Immediatamente
alzò delle barriere, la stessa reazione che ebbe durante il
nostro pigiama
party quando insinuai che fosse troppo acida verso i
ragazzi… perché in quattro
anni non mi ero resa conto di una realtà, che iniziava ad
essere così evidente
ai miei occhi in quel momento? Sofi si teneva al riparo dal dolore
dietro la
razionalità, aveva chiuso a chiave le sue emozioni
all’interno della logica,
per non dover soffrire a causa di qualcuno… Come
probabilmente era successo
quando i genitori si erano separati…
«Niente
scusami, era una stupida curiosità… sai dopo la
morte di Claudine, ho pensato a
mia madre e mi sono resa conto che anche tu non la vedi mai…
Forse volevo solo
consolarmi, dicendomi che non ero l’unica ad averla ancora in
vita e a non
vederla… se penso che Emile non potrà mai
più rivederla, mentre le nostre madri
sono vive e noi le abbiamo allontanate… Mi sento
un’ingrata, ecco tutto.»
Quel
particolare non l’accomunava solo ad Emile… mi
resi conto mentre glielo dicevo:
io e Sofia avevamo deliberatamente lasciato andare i nostri genitori,
anche se
io attendevo ancora un gesto d’affetto da parte dei miei,
mentre nel suo caso
era lei a non voler nulla da loro.
«Mia
madre non merita il mio interesse. Mi dispiace per la signora Claudine,
non
l’ho mai vista ma doveva essere una bella persona,
considerato l’amore e il
dolore che ho visto sul volto di Emile e di suo padre… ma
mia madre non merita
di certo le mie lacrime.» Il viso di Sofia, mentre parlava in
quel modo così
duro di sua madre era paradossalmente tranquillo e rilassato, come se
stesse
raccontando una favola e non stesse parlando con rabbia di un genitore
che non
voleva riconoscere come tale.
«Ma
è pur sempre tua madre, Sofi! Come puoi dire una cosa
simile?» Si girò a
guardarmi e in quei profondi occhi scuri vidi l’espressione
di una persona
abituata ad essere guardata con costernazione… Evidentemente
dovevo essere una
goccia nel mare della “gente comune” che non
riusciva a capirla e la giudicava.
«Non
mi aspetto che tu mi capisca, ma è ciò che provo
Pasi: il legame di sangue che
unisce me e quella donna è l’unica cosa che
può ancora dire che siamo madre e
figlia, ma è solo un dato biologico e genetico, io non la
considero più tale da
anni ormai.»
«Hai
ragione Sofi, io non ti capisco. Non riuscirei mai a parlare con tanto
distacco
dei miei genitori: anche se con loro non vado affatto
d’accordo, anche se non
hanno mai mostrato un po’ di orgoglio per me, io li amo, e
per me saranno
sempre due persone preziose perché mi hanno dato la luce e
mi hanno cresciuto…»
«È
proprio quello il punto Pasi, ti hanno cresciuto. Anche se non nel modo
che
avresti voluto, ma ci sono stati per te, ti hanno accompagnato durante
la tua
crescita e se ora sei lontana da loro è stato per una tua
scelta, non perché
loro ti hanno abbandonato.»
Quello
era vero e non potevo permettermi di giudicare Sofia, perché
probabilmente
avrei sviluppato anch’io del rancore verso i miei genitori,
se uno di loro mi
avesse lasciato senza curarsi più di me… Emile
aveva vissuto una situazione
simile, ma in lui non era nato odio, non era nata
indifferenza… Anche se di
certo non era in uno stato migliore di Sofi…
Ecco
perché ora la capivo! Attraverso il dolore di Emile, avevo
finalmente compreso
quello simile di Sofia! Forse avrei potuto aiutarla a
sfogarlo…
«Sofi…
e se provassi ad affrontarla? Se le dicessi cosa provi per lei, una
volta per
tutte? Magari in seguito ti sentiresti meglio, ti sentiresti
più sollevata…
anche Emile tende a tenere tutto dentro e…»
«Pasi,
non siamo tutti uguali! E non ho proprio nulla da
sfogare! Sapevo che non avresti capito, come
tutti del resto! Lasciamo perdere questo discorso, tanto non porta a
nulla.»
«Sì
certo, anche Emile diceva così, invece ne aveva da
sfog…»
«La
smetti di paragonarmi a lui?! Io sono io, sono un’altra
persona e non pensare
di avermi compreso, solo perché ho qualcosa in comune con
quel tuo ragazzo
problematico e lunatico! Io non sono come lui, non sono come nessuno di
voi!»
Detto
questo si alzò e si allontanò, lasciandomi del
tutto stupefatta. Mi alzai in
fretta decisa a seguirla e la raggiunsi in breve tempo:
«Sofi
non mi sembra il caso di reagire così, io volevo solo
aiutarti!»
«E
chi ti ha chiesto aiuto, Pasi? Da quando sei diventata Madre Teresa? Io
sto
bene, se vuoi aiutare qualche povero bisognoso hai il centro, non
c’è bisogno
che tu venga a dare fastidio a me!»
«Ah,
quindi ti do fastidio! Beh allora scusami tanto, scusami se volevo
rimediare
alla mia totale assenza e volevo essere un’amica migliore di
quanto sia mai
stata!»
Mi
fermai mentre le urlavo contro la mia rabbia per essere stata
rifiutata: Sofia
procedette per un po’ e ad un paio di metri di distanza si
fermò, si girò in
mia direzione e con calma mi raggiunse:
«Hai
detto bene, sono quattro anni e non puoi recuperarli in un giorno solo!
Soprattutto
non in questo modo!»
Con
quelle parole tornò sui suoi passi
andandosene via verso casa sua.
*****
«Non
pensavo che avrebbe reagito così, ero andata con le migliori
intenzioni e invece
ho solo fatto un casino… Ultimamente sembra che riesca solo
a complicare la
vita delle persone!»
Ero
davvero delusa e frustrata da come erano andate le cose con
Sofia… all’inizio
mi sentii più che altro furiosa con lei perché
non aveva compreso il mio gesto,
ma poi le sue parole iniziarono a farmi capire quanto fossi in torto e
quanto
patetica fossi risultata… Dovevo cambiare atteggiamento con
lei, se volevo
davvero esserle amica… ammesso che lei lo volesse!
«Sono
stata troppo aggressiva con lei, vero? Pensavo che funzionasse: quando
lo
faccio con te, alla fine ti apri, mi parli… forse ha ragione
lei, davvero non
la conosco e pensavo invece di averla capita!»
«…»
«Emile?
Ma mi stai ascoltando?»
Eravamo
a casa mia (quanto mi piaceva quell’idea!) e stavo preparando
la nostra cena
lamentandomi di Sofia ma mi resi conto solo dopo aver detto tutto
quello che mi
passava per la testa, che il mio interlocutore non aveva detto mezza
parola…
«Emile!»
«Eh?
Hai detto qualcosa?» Mi affacciai in sua direzione per capire
cosa stesse
combinando: doveva essere impegnato in qualcosa di grosso, visto che
con tutta
evidenza, non aveva sentito una sola vocale di tutto ciò che
avevo detto! Lo
vidi a terra a gambe incrociate, con un foglio davanti e un auricolare
in un
orecchio: probabilmente stava scrivendo ed era così preso da
non ascoltare la
mia minima lagna!
«Uff,
no niente, continua pure.» tornai alle mie mansioni da
perfetta casalinga
pensando alle risate che si sarebbe fatto Stè guardandomi:
avevo un grembiulino
appositamente preso per le mie serate da chef e i capelli raccolti con
mille
mollette per evitare di farli cadere nel piatto: ci tenevo a mostrarmi
una
brava cuoca e non avrei mai voluto rovinare il mio operato guarnendo
uno dei
miei piatti con un liscio capello nero! Testa di Paglia non avrebbe mai
dovuto
sapere, e soprattutto vedere, in che condizioni ero quella sera, o il
“Cabaret
Pasi” sarebbe continuato per altri vent’anni, solo
su quell’aneddoto!
D’un
tratto sentimmo squillare un cellulare, era quello di Emile: la sua
suoneria
era riconoscibilissima, chi altri avrebbe messo un Capriccio di
Paganini nel
ricevere le telefonate altrui?
Il
mio Pel di Carota rispose subito, ma poi sentii solo un innaturale
silenzio che
mi agitò istintivamente. Smisi di armeggiare in cucina e
andai verso di lui:
era in piedi e serrava la mano libera in un pugno, mentre quella che
manteneva
il cellulare dava l’impressione di volerlo rompere in un solo
colpo… Il viso
era una maschera di rabbia.
«Arrivo
subito.» terminò la comunicazione con quella frase
lapidaria, che a stento
trattenne l’ira che vedevo salirgli sempre più in
viso.
«Emile,
cosa dia…»
«Devo
andarmene da qui!»
Si
chinò a prendere il foglio su cui stava scrivendo ma gli
sfuggì di mano e lo
vidi trattenersi, artigliando la mano che aveva fallito la
presa… Rinunciò alla
lotta con quel pezzo di carta e prese il resto delle sue cose, mentre cercai di
capire cosa fosse successo:
«Emile…»
«Non
ora Pasi! Non ora… devo andarmene.»
Mi
guardò chiedendomi silenziosamente scusa per quella fuga
improvvisa, ma vidi
sul suo volto che stava per scoppiare di rabbia e probabilmente, non
voleva
farlo in mia presenza… Gli feci un cenno di assenso col capo
e si chiuse la
porta alle spalle, lasciandomi con un grande punto interrogativo sul
viso.
Raccolsi
il foglio su cui stava scrivendo: da un lato c’era un elenco
di nomi e alcuni
di essi erano stati depennati; probabilmente erano gli aspiranti
batteristi che
stavano sostenendo le audizioni. Dall’altro lato del foglio
invece, c’erano delle
scribacchiature che sembravano essere il testo di qualche canzone;
avrei dovuto
restituirgli quel foglio il prima possibile, così lo
conservai gelosamente,
pronta a ridarglielo appena avrei potuto.
Emile
era la seconda persona in due giorni che andava via mentre cercavo di
parlare e
avevo anche un mucchio di cibo pronto per essere cucinato…
Dovevo assolutamente
chiacchierare con qualcuno disposto a sentirmi… e a
mangiare!
*****
«Testarossa
sei da incorniciare!»
Stupida
Pasi. Avevo invitato proprio l’unica persona che avevo
giurato non dovesse
vedermi in quelle condizioni e non mi ero presa nemmeno la briga di
togliermi
quel grembiule! Ero talmente in pensiero per Emile, che non mi resi
conto di
dover celare quell’abbigliamento.
«Stè,
se dici ad anima viva ciò che hai visto oggi, ti
giuro…»
«Tranquilla,
sto zitto, il tuo segreto morirà con me!»
Mi fece un occhiolino e sorrise bonariamente, riuscendo
come sempre a
rilassarmi. «Sono curioso di vedere cosa stavi preparando per
il tuo Emile! A
proposito, sei sicura che non torni affatto stasera?»
«Dall’espressione
che gli ho visto sul viso, credo che non tornerà nemmeno a
casa sua per
prossimi cent’anni!»
«Addirittura?
Doveva essere davvero furioso… Quel ragazzo dovrebbe farsi
una cura di camomilla,
è sempre così teso!»
«Già…
sembra quasi che gli sia impedito dall’alto di
rilassarsi!» Ogni volta che lo
vedevo più sereno e tranquillo, puntualmente capitava
qualcosa che tornava ad
innervosirlo… Emile doveva avere davvero un brutto Karma!
«Spero
solo che di qualsiasi cosa si tratti, sia risolvibile.»
Purtroppo, temevo di
sapere che la realtà dei fatti fosse ben diversa…
«Allora,
che hai combinato con Sofia?»
Le
parole di Testa di Paglia mi distolsero dai pensieri su Emile e mi
fecero
tornare al mio cruccio precedente:
«Stè
sono un disastro! Sono andata da lei per parlale con
sincerità, volevo
chiederle scusa per non essermi mai comportata da amica e alla fine
sono
risultata una stupida impicciona e l’ho fatta solo
arrabbiare!»
«Scusa
ma, per quale motivo sei andata a fare un mea
culpa che non esiste? Sofia ha mai detto qualcosa contro di
te?»
«Come,
non esiste? Stè quella ragazza è sempre messa
all’angolo, io non mi sono mai
curata di lei in quattro anni che la conosciamo, sono sempre stata
presa dai
miei problemi e non le ho mai chiesto nulla dei suoi… ed ora
temo di essere
arrivata tardi!»
«Pasi,
Sofia è taciturna di carattere, non parla con anima viva
né tantomeno si
confida! Forse Rita e Fede riescono ad avere un qualche ascendente su
di lei,
ma sono l’unica eccezione, non puoi flagellarti se lei non
sente di voler
parlare con te.»
«No
Stè, non è così…
è vero che è chiusa, ma io non ho nemmeno provato
a farla
aprire! Non mi sono mai interessata a lei, non le ho mai chiesto se
soffriva
per i suoi genitori, per un’amica, per un ragazzo! Mi sento
davvero un schifo!»
«Ma
dai! Non farla così tragica, non mi sembra che Sofia abbia
mai mostrato
ostilità nei tuoi confronti, secondo me sono solo tuoi sensi
di colpa, stai
vedendo qualcosa di tragico che non c’è.»
«Non
sono convinta Stè… Sofia mi ha chiaramente detto
che non potevo recuperare
quattro anni di assenza in un solo giorno, quindi l’ha
sentita anche lei la mia
mancanza, non è solo un mio senso di colpa… Io
l’ho trascurata, come ho
trascurato Simona, sempre presa dai miei problemi!»
«L’unica
cosa da fare allora, se sei così convinta, è di
tornare a parlarle. Per fortuna
Sofia è ancora viva e puoi evitare con lei la situazione che
si è creata con
tua sorella.»
«Hai
ragione Stè… ma perché combino solo
disastri?» Testa di Paglia mi venne accanto
e mi abbracciò:
«Semplice,
sei una Testarossa, l’hai dimenticato forse?»
Feci
un sorriso e mi beai del confortante abbraccio di Testa di Paglia,
sempre in
grado di donarmi un po’ di pace e tranquillità.
Eravamo
a fine pasto a raccontarci alcuni aneddoti del passato, quando
squillò il mio
cellulare: era Emile.
«Pronto?»
«Dormivi?
Ti disturbo?»
«Ma
no che dici, quale disturbo?! È tutto a posto?»
«Non
proprio… Volevo scusar…»
«Testarossa
ce l’hai un liquorino?»
«Scusami
un attimo… No Stè, mi mancano ancora…
forse c’è una birra in frigo…»
«C’è
Stefano?»
«Sì,
è venuto a farmi compagnia… stavi
dicendo?»
«…»
«Emile?
Mi senti?»
«Sì…»
«Cosa
mi stavi dicendo?» Silenzio e poi un sospiro
«Volevo chiederti scusa per il
modo in cui sono andato via da casa tua… tutto
qui.»
«Non
preoccuparti, ho capito che c’era qualcosa di grosso
sotto… non mi vuoi dire
cos’è accaduto?»
«No…
almeno non oggi e soprattutto non ora. Devo andare, buonanotte
Pasi.»
«Buonanotte…»
Appena
staccai la telefonata, feci un sospiro che echeggiò quello
precedente di Emile:
doveva essere davvero di pessimo umore e per concludere in bellezza, si
era
anche incupito nel sapere della presenza di Stè…
c’era un limite al peggio
ormai?
No,
non c’era. Ma l’avrei scoperto solo in seguito.
*****
Con
tutto quel parlare di legami familiari negli ultimi giorni, mi venne
naturale
andare col pensiero ai miei genitori, così decisi di tornare
a trovarli. Era
trascorso del tempo dall’ultima volta che l’avevo
fatto e per telefono non
riuscivo a parlare con loro serenamente… Non che ci
riuscissi molto nemmeno di
persona, ma tramite cellulare sentivo maggiormente la distanza tra di
noi ed
era l’esatto contrario di ciò che volevo stabilire
con loro.
Emile
dal canto suo si stava negando da qualche giorno, dicendo di essere
troppo
impegnato e ormai avevo capito che c’era qualcosa sotto di
cui non voleva
rendermi partecipe… Ero stata così felice di
sentirlo aprirsi a me e invece
eravamo tornati indietro, e purtroppo iniziai ad essere sempre
più certa, che
dietro quell’assenza e quel mutismo ci fosse
Claudio… Cos’altro stava
macchinando?! Il
mio senso di colpa mai
assopito tornò ad invadermi e sapendo di essere del tutto
inerme in quel
momento e di non poter far nulla per aiutare Emile, decisi di concentrarmi sul
desiderio di rivedere la
mia famiglia. Mi sarei distratta e avrei, nelle migliori e
più rosee
previsioni, fatto un altro piccolo passo verso la comprensione
reciproca tra me,
Adele e Vittorio.
Quella
volta fu proprio quest’ultimo ad accogliermi. Avrei preferito
vedere mia madre,
l’ultima volta c’era stato un piccolo
impercettibile avvicinamento tra noi e
speravo di ripartire da lì… con mio padre invece
c’era ancora l’astio del nostro
ultimo colloquio di mesi fa e dire che ci fosse un baratro tra noi
anche prima di
allora, sarebbe descrivere una piccola percentuale della distanza che
ci
divideva…
«A
cosa dobbiamo l’onore?»
Quello
fu il suo caldo benvenuto: mio padre era impeccabile come sempre, con
il viso
curato, senza un filo di barba, i capelli ordinati e l’aria
tipica di un professore
di lettere qual egli era… Avrei potuto pensare che in lui
non ci fosse affatto
la sofferenza che mi aveva descritto mia madre qualche tempo prima, ma
ad
un’occhiata più attenta notai i profondi solchi
scuri che aveva sotto gli occhi
e capii che le notti di mio padre non erano più
così serene.
«Ciao…
papà… sono venuta a trovarvi; mancavo da un
po’…»
«Tua
madre non c’è, è ancora a scuola, ha
una riunione degli insegnanti in corso.»
«Tu
però ci sei… o stai per uscire?»
«No…
io non devo uscire… io non esco.»
Ricordai
le parole di mia madre: “Siamo in
lutto,
non possiamo mostrarci impegnati in qualcosa o addirittura come una
coppia
felice che va in vacanza, non sarebbe corretto!” e
capii a cosa si riferisse
mio padre con quel “Io non esco”; sarebbe stata un
conversazione difficile,
come sempre.
«Posso
entrare? Disturbo?»
Stavo
cercando di mantenere la tranquillità il più
possibile, non volevo adirarmi,
dovevo avvicinarlo e con la rabbia non ci sarei mai
riuscita… Sapevo che sarei
durata poco, ma sperai di riuscire a restare calma e ragionevole quel
tanto che
bastava per avere un dialogo di qualsiasi genere con lui. Ma
già il fatto che
mi stesse facendo accomodare in salotto, come un estranea in visita,
minò profondamente
il mio autocontrollo.
«Papà
non c’è bisogno che ci accomodiamo qui,
non...» calma Pasi, calmati o non
riuscirai nemmeno a sederti che sarai già
fuori da queste pareti. «…come
stai?» Dissi sedendomi, in attesa che si
accomodasse di fronte a me.
«Bene
Pasifae, se non vogliamo contare che ho perso una figlia e
l’altra ha
chiaramente fatto capire, di non voler essere considerata parte di
questa
famiglia...» Serrai la mascella, cercando di ingoiare le
parole velenose che mi
stavano salendo alla gola e ignorai la sua risposta.
«Papà,
io non sono venuta qui per litigare.»
«E
cosa ti fa pensare che io voglia farlo? Non accetti la
verità quando te la si
mostra senza veli? Non è forse vero che hai preferito andare
ad elemosinare un
tetto da una tua amica, piuttosto che stare qui nella casa in cui sei
cresciuta,
pur di non averci tra i piedi?»
«Ho
una casa mia ora, ero da Rita solo provvisoriamente e non ho
elemosinato
proprio nulla, non sono stata un peso per lei, mi ha accolto con
gioia… Cosa
che voi non avete mai fatto!»
Ecco,
era fatta, il mio autocontrollo aveva resistito anche troppo e si era
dovuto
ritirare con la coda fra le gambe, nuovamente sconfitto dalle dure
parole di
mio padre.
«Quanto
sei infantile Pasifae! Non esistono solo la gioia e i sorrisi per
dimostrare
affetto! Credi che noi non ti amiamo, per il solo fatto che non ti
sorridiamo
ogni volta che ci vedi? Ma in quale mondo fantastico credi di vivere?
La vita
non è solo gioia e abbracci, devi saper guardare anche oltre
questi stupidi
desideri infantili.»
«Ricevere
affetto non è un capriccio infantile! Tutti abbiamo bisogno
di sentirci amati,
tutti abbiamo bisogno di un sorriso e di un abbraccio, papà!
Chiedi a mamma
come si sente, chiedile se non abbia bisogno di ricevere un tuo
sorriso, un tuo
abbraccio di conforto, una tua parola di sostegno! Ma l’hai
vista? Quando sono
venuta qui l’ultima volta, era uno scheletro! Il dolore la
sta consumando e tu
non le stai accanto, non l’aiuti, non condividi la sofferenza
con lei! Forse
non ne saprò molto della vita, ma so che una coppia deve
sostenersi fino alla
fine, so quanto l’amore possa far del bene e quanto possa
aiutare ad essere
forti! E tu stai fallendo come marito!»
Probabilmente
mi ero lasciata andare un po’ troppo, dire a mio padre che
fosse un fallito
come marito era la cosa più azzardata e offensiva che gli
avessi mai detto e
ovviamente, non potevo pensare di uscirne illesa. Mio padre si
alzò dal divano
e mi diede un schiaffo
in pieno viso:
«Non
ti permetto di venire a sentenziare in casa mia sui miei comportamenti,
sono
ancora tuo padre fino a prova contraria e mi devi rispetto, piccola
insolente!
Il rapporto tra me e tua madre non è affar tuo, soprattutto
considerato che hai
abbandonato la tua famiglia!»
«Io
non vi ho abbandonato! Ho cercato il mio posto nel mondo, ho iniziato a
vivere
per conto mio per sentirmi indipendente e adulta… Non
è forse questo che vuole
ogni genitore dal proprio figlio? Non volete sapere che sono in grado
di badare
a me stessa? Che sono capace di reggermi sulle mie gambe? Preferivi che
stessi
ancora qui, a casa, sulle vostre spalle, a fare la studiosa, vero?
Questo
importa per te, solo che io prenda un titolo di studio che ti renda
orgoglioso,
un pezzo di carta di cui vantarti con i colleghi, ecco cosa vuoi da me!
Non
t’importa di sapermi felice, non t’importa un
accidenti di niente di sapere
come sto, di sapere di me, del vuoto che sento perché non ho
più una sorella e
perché non riesco ad avere i miei genitori accanto a me, non
t’importa sapere
che ho dovuto veder morire un’altra persona cara e ho dovuto
sopportare di
vedere altro dolore intorno a me che non potevo mandare via…
Lo so che la vita
non è solo sorrisi e abbracci, lo so benissimo! E se solo ti
fossi fermato un
nanosecondo ad ascoltarmi, invece che bearti del tuo orgoglio offeso,
sapresti
quanto io so delle sofferenze della vita e quanto un abbraccio sia
davvero di
conforto!»
Ormai
la rabbia mi stava consumando e parlavo senza più freni,
davvero non c’era
speranza di avere un confronto calmo e sincero con lui…
L’amarezza e la
delusione tornarono ad invadermi come l’ultima volta che ci
confrontammo e mi
resi conto che, se con mia madre potevo minimamente sperare di avere un
qualsivoglia rapporto, con mio padre era sempre più palese
che potevo solo
contare i chilometri di baratro che mi separavano da lui.
Mi
guardò con rabbia contenuta, vedevo nei suoi occhi il
desiderio di dire altro,
di inveire contro di me, ma sapevo che non l’avrebbe fatto:
urlare avrebbe
significato farsi sentire dai vicini, destare la loro
curiosità e quello non
era un comportamento degno del compìto ed impeccabile
Vittorio Isoardi… No, non
si sarebbe mai abbassato a fare le piazzate pubbliche tipiche di quella
sua
vergognosa figlia.
«Non
abbiamo più niente da dirci Pasifae, se vuoi attendere tua
madre fai pure, io
vado nel mio studio.» Mi volse le spalle e sparì
in quella che era diventata la
sua personale torre, entro cui rifugiarsi per isolarsi dal mondo: come
faceva
mia madre a vivere in quella casa, con quell’atmosfera
glaciale?
Mi
sentii tremendamente a disagio e terribilmente sola in quel salotto
freddo e
vuoto; ripromettendomi di chiamare la prossima volta, per sapere quando
mia
madre fosse in casa, presi la direzione della porta e uscii da
quell’abitazione
così fredda e triste.
_________________________________________
NDA
Bentrovate a tutte mie
care, come va? Chiedo perdono per il ritardo con cui ho aggiornato, ma
in questo periodo mi muovo al rallentatore e il mio cervelletto sfatto
aveva dimenticato di mandare il file alla mia Beta, per cui, chiedo
venia!
C'è anche da aggiungere che dovendo ancora terminare di
scrivere il capitolo 25, mi è salita una certa ansia
all'idea che la pubblicazione dei capitoli abbia ormai raggiunto i mei
bradiposi tempi di scrittura!
Per fortuna dovrei riuscire a completarlo a breve, per cui non mi resta
che concentrarmi sull'ultimo capitolo...
Insomma spero di non farvi attendere troppo proprio sul finale, pregate
la Musa con me! *me fa gli occhi dolci*
Per quanto riguarda questo capitolo, non ho particolari considerazioni
di sorta, a parte il fatto che la gente intorno a Pasi sembra aver
deciso di non voler parlare tranquillamente con lei... o è
Pasina che non sa quando smettere di cercare una comunicazione con chi
non vuol farlo?
Lascio le considerazioni a voi ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
Sono trascorsi tre mesi da quando ho deciso di pubblicare
questa storia e da quel giorno l'entusiasmo che avete avuto verso i
capitoli che ho pubblicato è sempre stato grande, senza il
minimo sbalzo. Non posso quindi che continuare a dirvi quanto siate
state preziose voi sorelle che mi avete appoggiato sin dall'inizio: Iloveworld/Fiorella Runco, Saretta,
Niky, Vale, Concy, Cicci,
Ana-chan,
Ely, e voi che vi siete aggiunte
in seguito: ThePoisonofPrimula, Dreamer_on_heart.
Altrettanto preziose siete voi che avete aggiunto la mia storia tra le
preferite, le ricordate e le seguite:
kiki0882, lorenzabu,
samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
Ami_chan,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_
Senza di voi, probabilmente
questa storia non avrebbe visto la luce, o non sarebbe andata avanti.
ARIGATOU GOZAIMASU a
tutte voi! <3
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Capitolo 24
«Pronto?»
«Alberto…
sei in casa?»
«Bambina
mia, ciao! Certo che sono in casa… qualcosa non
va?»
«Posso
venire a trovarti?»
«E
cosa lo chiedi a fare piccola, certo che puoi venire! Quante volte devo
dirtelo
che questa è casa tua?»
«Grazie…»
«Di
nulla piccola, ti aspetto.»
Lo
scontro con mio padre mi aveva svuotato, mi sentivo fredda, stanca e
terribilmente sola. Avevo bisogno d’urgenza di un abbraccio,
di un conforto di
qualsiasi tipo e mi resi conto che non lo cercavo né da
Emile, né da Stè… Volevo
ciò che non ero riuscita ad ottenere in quella casa, volevo
un segnale di
affetto, un incoraggiamento… da padre. Così corsi
dalla persona che più di ogni
altra vedevo come il genitore che avevo sempre sognato di avere:
Alberto.
Mi
accolse a braccia aperte e al solo vederlo sentii il magone chiudermi
la gola:
mi rifugiai tra le sue braccia e gli raccontai dello scontro con mio
padre.
«Bambina
fatti forza, tuo padre ti vuole sicuramente bene, ma non riesce a
dimostrarlo.
Quel suo modo di parlarti con astio è un chiaro modo di
dirti che è rimasto
ferito dalla tua decisione di lasciare casa, perché ti vuole
bene, perché ti
vuole accanto.»
«Non
lo so Alberto… non so più che pensare…
so solo che ogni volta che parlo, o
meglio che urlo con lui, mi sento più svuotata e
delusa.»
«Sai
piccola mia, in questo momento mi ricordi Claudine… anche
lei ci stava male
quando la sua famiglia le si rivoltava contro e veniva a sfogarsi con
me… Probabilmente
lei ti avrebbe capito più di chiunque.»
Il
pensiero di Claudine e il tono di voce malinconico di Alberto, mi
fecero
sentire di colpo un’egoista immatura: ero lì a
sfogarmi quando lui aveva un
dolore atroce nel cuore… Ancora una volta avevo anteposto i
miei problemi a
quelli degli altri, proprio come avevo fatto con Sofia…
«Scusami
Alberto, io sto qui a lagnarmi quando dovresti essere tu a chiedere
conforto…
sono un’insensibile!»
«Insensibile,
tu? Piccola mia, decisamente non sei obiettiva su te stessa!»
Fece
scorrere la sua mano sul mio bracci,o aggiungendo conforto al
già presente
conforto del suo abbraccio: «Coraggio, ora riprenditi un
po’ nel frattempo che
torna Emile… Io vado a preparare la cena, ti fermi qui
vero?»
Sapevo
che Emile era impegnato e che probabilmente non si sarebbe sentito a
suo agio
con la mia presenza lì, ma non volevo tornare a casa mia,
avevo bisogno di
stare con loro, avevo bisogno di una famiglia.
«Sì,
resto.»
*****
«Per
quale motivo è qui?»
«È
andata a trovare i suoi genitori e ha avuto una discussione con suo
padre.»
«…»
«Era
proprio giù di morale… Povera piccola, non
dev’essere facile per lei vedere i
genitori così freddi nei suoi confronti.»
«…»
«Emile,
cerca di tenere a bada quest’atteggiamento acido e duro verso
di lei, non si
merita questo trattamento!»
«Di
cosa stai parlando?»
«Parlo
della tua faccia, che si è rabbuiata quando l’hai
vista, parlo del fatto che a
causa di questa faccenda di Claudio, la stai evitando come se fosse
tutta colpa
sua.»
«Non
voglio litigare con lei: se le dicessi cosa sta accadendo si sentirebbe
ancora
più in colpa ed io probabilmente non riuscirei a fermare la
rabbia.»
«E
allora non arrabbiarti con lei! Non ha nessuna colpa se Claudio
continua a dare
problemi, non credo proprio che sia stata lei a suggerirgli di mettere
in mezzo
i diritti per i vostri brani!»
«Certo
che no! Ma se penso che sapeva, che Claudio l’aveva
avvertita… Forse se me
l’avesse detto avrei potuto prendere delle precauzioni in
tempo, avrei potuto
sbatterlo fuori in un altro modo e con metodo!»
«Col
senno di poi non si costruisce nulla ragazzo mio, è inutile
che serbi rancore
per una cosa simile, soprattutto visto che le hai detto che non ha
colpe.»
«Ed
è per quello che non voglio affrontare il discorso con lei!
Non voglio che veda
che sono ancora arrabbiato, non voglio che si senta in
colpa…»
«Certe
volte sei proprio contorto… mi chiedo tu da chi abbia
preso!»
«Probabilmente
ho qualcosa che mi accomuna a quella
gente!»
«Forza
ragazzo, non fare il melodrammatico! Prima di tutto, è la
tua famiglia e le
devi rispetto, seconda cosa, vai a svegliare Pasi che si
cena… e trattala bene,
non merita questo comportamento da parte tua, soprattutto oggi che ha
bisogno
d’affetto più che mai!»
«Sissignore…
ai tuoi ordini capo!»
La
conversazione con mio padre doveva avermi spossato al punto da farmi
addormentare: appena il cervello divenne più vigile mi
accorsi di essere
attorniata da alcune voci e presto le riconobbi come appartenenti ad
Emile e
Alberto. Fingere di dormire mi aiutò finalmente a capire
cosa mi nascondesse il
mio Pel di Carota e scoprire che fosse ancora arrabbiato con me mi fece
male,
ma da un lato mi sollevò. Quel suo
“perdono” così istantaneo mi aveva
sempre
insospettito e anche dopo essersi sfogato per la morte della madre,
continuava
ad essere incredibilmente tranquillo e gentile nei miei confronti e non
riuscivo a capacitarmi di come potesse essere accaduto.
Anche
se non era stata mia intenzione farlo, avevo comunque contribuito a
metterlo
nei guai e sapendo quanto tenesse alla sua carriera, non potevo credere
che il mio
coinvolgimento in quella situazione, non fosse per lui motivo di
rabbia.
Inoltre avevo capito anche che Claudio stava continuando a dare
problemi e che
quindi le mie supposizioni erano state del tutto confermate.
«Dormigliona
svegliati, la cena è pronta.»
Sentii
le labbra di Emile che mi baciavano la fronte, mentre cercava di
destarmi da un
sonno che mi aveva già abbandonato da tempo e mi decisi a
simulare il mio lento
risveglio: non volevo fargli sapere di aver sentito, volevo dargli il
tempo di
trovare un modo per parlarmene, o forse volevo dare tempo a me per
decidere
come comportarmi… Di
sicuro non volevo
discutere, non ancora e
non con lui.
«Mmm…
Emile… ma che ci fai qui?»
«Fino
a prova contraria è casa mia…»
«Ah
già… quindi mi sono addormentata qui.»
«A
quanto sembra sì… dovevi essere stanca e di certo
parlare con tuo padre non
deve averti aiutato a rilassarti.»
Complimentandomi
con me stessa per la perfetta finta,
mi
sollevai su un braccio e arrivai allo stesso livello degli occhi di
Emile, pronta
a parlare senza più fingere.
«Sì…
non è stata una bella discussione.»
Calai
la testa per cacciare in dentro le lacrime, che stavano minacciosamente
per
fare capolino e sentii le dita di Emile sfiorarmi la guancia.
«Coraggio,
non angosciarti ancora, non sarà facile, ma riuscirai a
farli aprire a te, ne
sono certo.» Emile era un attore più bravo di me: quasi credetti di aver
sognato tutto il
dialogo tra lui e suo padre, come poteva essere arrabbiato al punto da
evitarmi
e dopo due secondi essere così gentile e dolce con me? Mi
vennero in mente
tutte le volte in cui, da quando Claudio mi aveva importunato, era
stato
altrettanto dolce e gentile: anche in tutte quelle occasioni manteneva
dentro
di sé la rabbia? Era capace in questo modo di celare i suoi
veri sentimenti? Il
pensiero di non conoscerlo affatto mi angosciò in quel
momento, finché la sua
voce non mi riportò alla realtà:
«Ehi,
è tutto ok?» Feci un cenno affermativo col capo,
incapace di guardarlo negli
occhi. «Pasi… io sto sbagliando di nuovo con
te… ti sto mettendo di nuovo da
parte… non sai quanto mi dispiace, ma non posso fare
altrimenti ora. Non riesco
a parlartene, non ce la faccio proprio e ti capisco se sarai adirata
con me per
questo… ma non posso fare altrimenti. Puoi capirmi, in
qualche modo?»
Beh,
almeno aveva tentato di essere sincero, non era poi così
infido… almeno volevo
sperarlo!
Alzai
gli occhi verso di lui, rincuorata da quel tentativo di parlare senza
dire
nulla e gli presi la mano che ancora era ferma sul mio viso:
«Non
capisco completamente, ma credo che debba imparare ad accettarlo una
volta per
tutte, giusto? Come ti ho detto già l’altra volta,
entrambi abbiamo qualcosa
che non possiamo condividere tra di noi, quindi andiamo avanti e
facciamocene
una ragione!» Cercai di sorridergli, ma ero troppo
amareggiata dagli ultimi
eventi e sapere cosa si celava dentro di lui mentre mi guardava con
quegli
occhi addolorati, non mi aiutò affatto ad essere allegra,
per cui il mio fu più
uno stiramento di labbra che un sorriso vero e proprio. Emile dal canto
suo mi
osservò per un po’ e mi diede un bacio sulla
fronte prima di aggiungere:
«La
cena è pronta, mio padre si è dato da fare in tuo
onore!» Fece un lieve sorriso
sereno parlando di Alberto e almeno per quell’istante, mi
rasserenai; forse
evitando il discorso spinoso avremmo potuto anche goderci quella cena
in tre,
quella piccola cena familiare che tanto desideravo avere!
«Mmm
che buono! Alberto, è squisito!»
Una
vera delizia. Era il riso alla cantonese
più buono che avessi mai mangiato. Alberto aveva preparato
una cena
all’orientale degna di un pascià. Mi chiesi per
quanto tempo avessi dormito, se
nel frattempo aveva potuto preparare tutti quei piatti meravigliosi.
«Grazie
bambina mia, ma non è solo merito mio, mi ha aiutato anche
il ragazzo qui
presente.» Emile mangiava in silenzio da un po’,
assorto nei suoi pensieri, ma
cercavo di non dargli peso concentrandomi sulle chiacchiere con
Alberto. «Questo
testone se la cava bene in cucina, del resto tutto quello che sa
gliel’ho
insegnato io.»
Il
padre di Emile si fece una bella risata scompigliando i capelli di suo
figlio
che, riprendendosi dai suoi pensieri, sorrise ironicamente:
«Diciamo
che ho iniziato seguendo te e poi ho aggiunto le mie
capacità innate.»
«Ma
sentilo, che fanfarone! Se non fosse stato per me, saresti ancora a
scottarti
mani e piedi con l’acqua della pasta!»
«Vogliamo
parlare del modo in cui condivi il pollo alle mandorle? Se non fosse
stato per
me non avresti mai assaggiato quel piatto cucinato alla
perfezione!»
Osservai
estasiata quel continuo botta e risposta tra padre e figlio: Alberto
aveva un
modo encomiabile di comunicare con Emile, in poche battute era riuscito
a
riportare la sua attenzione dal luogo tetro e malinconico in cui si
stavano
rifugiando i suoi pensieri.
Non
avevo mai visto in vita mia due persone così legate e
così capaci di
comprendersi come quei due. Emile non si era mai adirato con suo padre,
non si
era mai ribellato ad una sua parola e se aveva avuto gesti
d’insofferenza per
il suo modo di fare, non erano mai stati così esasperati da
mancargli di
rispetto.
Dal
canto suo Alberto capiva i momenti di tetraggine di suo figlio e non
s’intrometteva nella sua vita, se non per fargli qualche
ramanzina che nulla
aveva delle prediche tipiche dei genitori. Alberto parlava direttamente
al
cuore di Emile e lui lo rispettava e l’amava allo stesso
modo.
Avrei
fatto carte false per avere anch’io un rapporto simile con i
miei genitori e il
pensiero mi portò un groppo in gola che mi fece intristire
di colpo.
«Bambina
che hai?» Alberto fu il primo ad accorgersi del mio stato
d’animo e cercai di
dissimulare per non appesantire l’atmosfera.
«Niente,
non è nulla, devo avere ancora un po’ di sonno,
tutto qui.» Feci del mio meglio
per sorridere, ma non avrei mai ingannato Alberto e lo sapevamo
entrambi
benissimo: mi guardò in silenzio e poi disse:
«Io
lo so che hai, sei triste perché sai benissimo quanto me che
quel testone sta
dicendo solo idiozie, vero? Di sicuro non è in grado di
rivaleggiare con me in
cucina!»
Fui
grata per la vita ad Alberto per aver reagito in quel modo: era chiaro
come il
sole quali fossero i miei pensieri e aveva deliberatamente portato la
mia
attenzione su quel discorso frivolo, per distogliermi dai miei foschi
pensieri.
«A
dir la verità, non se la cava tanto male… ma tu
sei insuperabile!» Gli feci un
sorriso per comunicargli che tutto andava bene, che il suo intento era
riuscito
e continuammo a scherzare ai danni di Emile, che come al solito, non
faceva una
piega:
«Ovviamente,
con tutti quegli anni in più addosso ha avuto modo di fare
esperienza! Ma lo
raggiungerò presto…»
«Ehi
poppante, alla tua età nemmeno t’immagini
cos’ero capace di fare, ed ora non
sono da meno!»
«Sì
certo, è la tipica frase di chi non accetta che sta
invecchiando.»
«Guarda
che tra noi due il vecchio sei tu, sempre con quei musi lunghi: sai
Pasi che persino
da bambino mi criticava? “Papà non dire questo,
papà non fare quest’altro…” a
volte mi chiedo chi dei due sia il genitore!»
«Qualcuno
deve pur avere un po’ di giudizio, in questa casa!»
Ero
estasiata: al diavolo tutti problemi, al diavolo i miei genitori,
Claudio,
Sofia… quasi come per un tacito accordo,
d’improvviso nessuno di noi sembrava
avere intenzione d’incupirsi quella sera e
c’immergemmo in un’atmosfera intima,
cameratesca e dettata solo dall’affetto. Quella fu davvero
per me una
meravigliosa cena in famiglia, come di quelle che avevo sempre sognato
e mai
avuto.
Dovevo
smetterla di sentirmi sola, perché non lo ero affatto: avevo i miei amici e avevo
loro due e dovevo
solo ringraziare il cielo per l’affetto che ricevevo da tutti
loro, che erano
diventati il mio punto di riferimento, la mia ancora di salvezza, la
mia casa.
Una canzone degli U2 riporta la frase:
“Casa è
dove sta il cuore*”,
e mai frase
sentii più mia in quel momento.
*****
«Sei
venuta a continuare la tua opera di buona samaritana?»
«Ciao
Sofi, è un piacere vederti anche per
me…»
Sapevo
che non mi avrebbe accolto con un sorriso, ma non volevo posticipare
ulteriormente quell’incontro. Ci eravamo lasciate in malo
modo, io ero andata
da lei per esserle più amica, o meglio per diventarlo una
volta per tutte e
invece si era aperto un varco d’incomprensione maggiore del
precedente…
Non
volevo più varchi nella mia vita, soprattutto non con i miei
amici: quello tra
me e mio padre probabilmente non si sarebbe mai richiuso, ma se fosse
mai stato
possibile, non avrei permesso che si creasse qualcosa di simile con la
famiglia
che avevo scelto e Sofi ne era parte a tutti gli effetti.
Quest’ultima,
dopo l’iniziale risentimento, assunse
un’espressione più mite e mi fece
accomodare in casa senza dire altro. Un silenzio teso si stese fra noi:
Sofia
probabilmente non voleva tornare sul discorso di qualche giorno fa ed
io stavo
cercando le parole giuste per esprimere ciò che sentivo:
«Questa
casa ha il potere di zittirti, credevo che niente al mondo avesse
potuto mai
farlo!»
Il
viso di Sofi era serio come sempre, eppure quella frase
suonò quasi come una
battuta più che come un commento acido e mi diede il
coraggio per dire
finalmente ciò che sentivo.
«Scusami
Sofi, l’altra volta sono stata davvero una stupida
impicciona… non volevo
essere invadente, credimi! A volte mi faccio prendere troppo
dall’entusiasmo e
ci vado giù pesante, convinta di essere nel giusto e non
riesco a frenarmi…»
Sofi
in silenzio versò il caffè: «Lo so
Pasi, so come sei fatta e so che avevi buone
intenzioni, ma non tutte le persone sono disposte ad aprirsi e a
raccontarti
dei loro problemi solo perché tu senti di voler renderti
utile.»
Osservai
Sofi girare il caffè nelle tazzine prima di replicare: «Credo di
essermene accorta solo ora…
sai Fede ed Emile
dicono che ho un gran
potere, che riesco a far aprire gli altri ed io non c’ho mai
creduto davvero… o
almeno, pensavo che fosse così. Ma evidentemente dentro di
me ho iniziato a
crederlo davvero e ho pensato di poter essere in grado di farti
sfogare, se
solo mi fossi impegnata nel dimostrarti quanto ci tenessi che lo facessi.»
«Ma
perché proprio ora? Cosa stai cercando di ottenere da me? O
da te stessa? Non
mi sembra di averti mai detto o fatto capire che fossi scontenta del
nostro
rapporto, perché mai d’improvviso hai deciso di
volermi essere “più amica” del
solito?»
«Non lo so, Sofi! Forse perché da quando
sono
morte Simona e Claudine ho capito
che non voglio più perdere le persone che amo, soprattutto
prima di averle
conosciute davvero… o forse perché ho iniziato a
vedere il mondo anche con gli
occhi di una persona introversa… tu, Stè, Fede e
Rita siete la mia famiglia,
così come lo sono diventati anche Emile e Alberto e voglio
stare bene con tutti
voi, non voglio che ci siano incomprensioni tra noi, non voglio che si
crei
astio o che si aprano dirupi… Per quanto possa essere
possibile, voglio stare
bene in compagnia di ognuno di voi, sapendo che tutto ciò
che uno pensa
dell’altro è chiaro e palese, senza recriminazioni
o rancori.»
«Capisco…
probabilmente potrei anche comprendere questo tuo punto di vista, dato
che la
mia famiglia non è proprio canonica e in pace e
amore… ma io non sento il tuo
stesso bisogno di circondarmi d’affetto, quindi posso andare
avanti solo per
logiche supposizioni. A me sta bene il rapporto che abbiamo ora Pasi,
ma mi
rendo conto che per te non è più così,
quindi cercherò di venirti incontro per
quanto posso, ma non aspettarti che d’improvviso io sia un
libro aperto verso
di te. Non ho mai amato parlare di me agli altri, per quanto fidati
possano
essere e non credo che cambierò mai
quest’abitudine… o
per lo meno, non del tutto.»
«Sei
autorizzata a dirmi senza peli sulla lingua quando esagero! Basta anche
dirmi:
“Stupida Pasi ora esageri” ed io mi
fermerò!» Sofia fece un mesto sorriso e
replicò:
«Non
c’è bisogno che ti offenda, te lo farò
capire diversamente.»
«Ok!
Intanto tieniti libera per Sabato prossimo, ti aspetto a casa
mia!»
Finalmente
mi ero decisa ad organizzare una serata insieme ai miei amici, per
inaugurare
la mia casetta: Emile mi aveva dato un benvenuto da manuale,
prendendosi anche
la sua piccola vendetta su Stè che mi aveva aiutato nel
trasloco, ma io sentivo
il bisogno di celebrare quel trasferimento anche con i miei amici e
finalmente
giunse quel giorno, o meglio, quella sera.
Inizialmente
non avevo incluso Emile nel gruppo, considerata la situazione tra noi e
gli
sforzi che stava facendo per non mostrare la sua ira nei miei
confronti, ma
quando gli dissi della mia idea di invitare i ragazzi a cena, mi
assicurò che
ci sarebbe stato anche lui.
«Emile,
non sei obbligato a venire… voglio dire, visto che
ultimamente hai bisogno di
tenermi lontano da te, non è necessario che tu ti forzi ad essere
presente…»
«Non
mi vuoi lì con te?» Il suo tono era sinceramente
dispiaciuto… Mi ricordò d’un
tratto l’altra occasione in cui mostrò di sentirsi
rifiutato: quando si offrì
di chiamarmi tutte le sere per starmi accanto, in seguito alla morte di
Simona
ed io non accettai…
«No,
non è questo anzi, se c’è una cosa che
mi manca è stare un po’ con te, ma visto
che negli ultimi tempi sei lontano e ormai ho capito che quando fai
così è
perché vuoi darti del tempo, per affrontare qualcosa che ti
fa star male e che
immancabilmente è collegato a me,
pensavo
che volessi evitarmi il più possibile.» Sperai di
non tradirmi con quel
discorso e di non fargli capire che sapevo tutto…
«Ti
offro proprio una brutta immagine di me, non c’è
che dire... Non preoccuparti,
ci sarò e andrà tutto bene!»
*****
Fu
una serata deliziosa: all’appello rispose persino Sofia, che
dopo la nostra
chiacchierata, sembrava essere lievemente
più sorridente di prima; ne fui così stupita che
mi chiesi persino se quel
gesto le costasse sforzo! Stè come al solito
riempì la serata con il suo
allegro modo di fare: ci deliziò con gli aneddoti sulla sua
vita di facoltà
molto rilassata, sui colleghi e sulle follie che condividevano, roba
che solo
un estimatore dei numeri può comprendere… Ed
infatti noi interlocutori
ignoranti in materia, rimanemmo del tutto confusi!
E
se Stè risultava essere il sole di quella serata, animandola
di continuo, Emile
ne era l’ombra: nonostante i suoi buoni propositi, era chiaro
che non fosse a
suo agio quella sera o che per lo meno, non fosse dell’umore
adatto a stare in
compagnia; non aveva detto una parola da quando ci eravamo accomodati a
tavola
e più Stè apriva bocca, più lo vedevo
incupirsi… I miei nervi iniziarono a
tendersi quando Testa di Paglia trovò il modo di esibirsi
nel numero “facciamo
a fette Pasi”, raccontando quanto fosse stato surreale
vedermi in grembiule
qualche sera prima… alla faccia della segretezza!
«Stèèèèèèè!
Avevi promesso di non parlarne!»
«Ma
Testarossa sono loro! Non sto mica raccontando i fatti tuoi a qualche
estraneo!»
Stè
aveva l’aria più innocente del mondo,
c’erano momenti in cui sembrava non
essere mai uscito dall’età
dell’infanzia: aveva quella stessa ingenuità che
si
riscontra nei bambini e forse per questo motivo ci andava
così d’accordo… Se le
cose fossero andate come avevamo desiderato, magari in futuro avrebbe
potuto
essere un padre meraviglioso per i figli di mia sorella…
«Sì
ok, però basta ora, possibile che debba essere sempre io la
protagonista del
tuo Cabaret? Prendi un po’ in giro Rita!»
Tentai
di spostare l’attenzione su qualcun altro, nella speranza che
l’atmosfera non
diventasse d’improvviso
pesante.
«Ed
io ora cosa c’entro, Pasi? Non ho nulla su cui farmi prendere
in giro, vero Chicco?»
Rita era abbracciata a Fede sul divano e stava mostrando anche lei il
suo lato
più infantile, anche se era di diversa natura: per quanto
riuscisse ad essere
matura sotto certi aspetti, quando era con Fede mostrava tutto il suo
bisogno
di attenzioni, diventando di colpo anche lei una bambina…
Tra i suoi
atteggiamenti e quelli di Testa di Paglia, d’un
tratto mi sembrò di essere tornata
all’asilo!
«Oh
certo che ce l’hai, ad esempio, il modo ridicolo in cui
arricci i capelli e
metti una cuffietta la notte, per ritrovarti con i boccoli al mattino.
Quella
si che è una visione divertente!» Ecco, avevo dato
anche io il mio contributo
alla serata dell’infanzia.
«Pasi!
Questa è stata crudele, sai benissimo quanto non voglia far
sapere certe cose!» Rita
era terribilmente vanitosa e non voleva
rivelare ad anima viva il suo lato “casalingo” e
più trascurato… Anche quando
restava in casa non aveva mai un capello fuori posto o il viso non
truccato e
svelare che qualche volta perdeva il suo aspetto perfettamente curato,
equivaleva ad un’onta terribile nei suoi confronti!
«Non
posso essere messa alla berlina sempre e solo io, sacrificati un
po’ anche tu,
fallo per me!» Scherzai con un tono volutamente sdolcinato e
Fede si fece una
gran bella risata:
«Su
Piccola, non mettere il broncio, Pasi non ha svelato alcun segreto, non
ha mica
fatto le foto!» e strinse a sé affettuosamente
Rita, che replicò senza battere
ciglio.
«Ci
mancherebbe! Potrei anche sotterrarmi per la vergogna, dopo!»
«Secondo
me, con questo comportamento dimostri di non amarti affatto Rita,
nonostante tu
sia quella che all’apparenza si cura di più di se
stessa, alla fine sei colei
che meno mostra il suo vero aspetto.»
Ta
Dah! Il momento di “Filosofia con Sofia” era giunto
anche quella sera e
ringraziai il cielo che il discorso si fosse spostato dalla
sottoscritta… anche
se Stè non sembrava dello stesso parere:
«Sofia
ora non iniziare con le tue teorie strambe! Non riesco mai a starti
dietro
quando inizi a parlare…»
«Questo
perché tu non azioni mai il cervello, Stefano! Mi meraviglio
che tu sia ancora
in quella facoltà, evidentemente i neuroni funzionano solo
quando devi fare i
calcoli!»
«Infatti...
e mi vanno totalmente in fumo, quindi ora voglio solo
riposare!»
L’atmosfera
era tornata conviviale come al solito, i battibecchi tra Stè
e Sofi erano
sempre un piacere da sentire. Ma evidentemente, quella sera era destino
che
qualcosa dovesse accadere, perché Testa di Paglia
inavvertitamente, aprì un
altro discorso spinoso:
«A
proposito dei miei neuroni stanchi, stavo dimenticando di dirvi che i Tresnet
stanno per pubblicare un nuovo album! Conterrà
le tracce cantate in
questi ultimi live, magari ce ne sarà anche qualcuna tra
quelle che abbiamo
sentito noi!» …ed Emile, che si era trattenuto
tutta la sera e che
sull’argomento musica proprio non doveva sentire
alcunché, all’improvviso andò
in escandescenza:
«Sentite
ancora quel gruppo di falliti? È grazie a tipi come voi se i
veri musicisti
fanno fatica ad emergere!» Come volevasi dimostrare, era
stato un errore
permettergli di essere lì quella sera, non era nelle
condizioni adatte a
sostenere determinati discorsi ed era stato di pessimo umore sin
dall’inizio… Per
fortuna Stè non era una persona facile ad adirarsi:
«Ops,
avevo dimenticato che non dovevo nominarli in tua presenza!»
Testa di Paglia si
fece un’allegra risata, per lui il discorso era chiuso
lì, ma Emile non
sembrava essere dello stesso parere:
«E
perché mai? Forse non hai argomenti per difenderli? Vuoi
evitare il discorso,
sapendo di rimetterci?» Sembrava un treno in piena corsa, era
come una diga
straripante… Era il discorso peggiore che potesse essere
sollevato quella sera
e per di più aperto anche dalla persona sbagliata. Tra le
preoccupazioni
professionali e la perenne gelosia nei confronti di Stè,
Emile era furente, aveva
lo sguardo particolarmente freddo e tagliente, gli occhi erano due
lastre
grigie di ghiaccio che mi misero addosso una brutta ansia. Testa di Paglia lo
guardò perplesso
ascoltandolo e gli rispose con la solita giovialità:
«Dai
che in fondo non sono così male, scommetto che sotto sotto
li apprezzi anche
tu!» Il tono di Stè era conciliante e sicuramente
voleva alleggerire la
conversazione, ma io temevo la riposta di Emile.
«Apprezzarli,
io? È solo grazie alla massiccia campagna di marketing se
sono qualcuno, non
sanno nemmeno cosa sia fare gavetta, cosa sia avere uno spartito
davanti e
comporre musica! Sono solo apparenza, dei bambocci messi sul palco
senza sapere
da che parte iniziare! No, decisamente non li apprezzo, quella non
è musica!»
Emile
si stava infervorando troppo e la pazienza di Stè avrebbe
avuto un limite… La
mia dal canto suo era in lotta con l’apprensione e prima che
la serata finisse
nello sfascio totale, lo presi per il braccio e mi avvicinai a lui:
«Emile
smettila! Stai esagerando, stai creando tensione!» Mi
guardò con la stessa
espressione tagliente che gli avevo visto prima:
«Se
i tuoi amici non amano il confronto diretto, non è colpa
mia! Io sto cercando
di portare avanti una conversazione.»
Il
mio tonò s’indurì, stavo iniziando ad
alterarmi anch’io: «No Emile, tu stai
cercando di mettere in imbarazzo Stè… ma sta
avendo effetto su di me!»
Vidi
un lampo passare tra quelle lastre di ghiaccio, prima che mi
rispondesse:
«Vuoi
dire che ti sto mettendo in imbarazzo?» Il suo tono era
ironico ma anche
preoccupato; possibile che non si
fosse reso conto di quello che stava facendo?
«Sì
Emile, mi stai mettendo in imbarazzo perché hai creato
tensione in una serata
tranquilla che aspettavo da giorni!» Mi guardò
intensamente e vidi sparire il
ghiaccio dai suoi occhi, per far posto al dispiacere.
«Scusami.»
Chinò lievemente la testa e dopo qualche istante si rivolse
direttamente a Stè:
«Ti chiedo scusa, mi sono lasciato prendere troppo dal
discorso e ti ho attaccato,
non ho giustificazioni.»
Testa
di Paglia ovviamente aveva assistito a tutto il nostro battibecco, come
gli
altri del resto: l’ambiente era troppo piccolo per poterci
appartare in un
angolo a parlare senza essere ascoltati e quell’anima buona
del mio amico,
comprendendo quanto fosse realmente mortificato Emile, non
risultò minimamente
alterato.
«No,
ma dai, non ti preoccupare, abbiamo tutti degli argomenti che ci fanno
saltare
un po’ i nervi… non parliamone più e
cambiamo discorso, così anche gli altri potranno
partecipare.» Stè diede una pacca sulla spalla ad
Emile in segno di
cameratismo, ma su quel volto che amavo non era sparita la cupezza, che
anzi
rimase per tutto il resto della serata, gettando il mio Pel di Carota
in un
silenzio colpevole.
Quando
i ragazzi fecero per andarsene, gli dissi a bassa voce: «Tu
non te ne andare.»
e attesi che tutti furono via, per potergli parlare a
quattr’occhi.
Emile
nel frattempo si alzò per ripulire il tavolo e lavare i
piatti, così ci
mettemmo a parlare tra una passata di detersivo e una sciacquata di
stoviglie:
«Non
era il caso che aggredissi in quel modo Stè…
Potevi anche risparmiartelo!»
Mi passò un piatto da sciacquare senza dir
nulla. «Stè non ti ha fatto nulla, non meritava
quella reazione da parte tua.»
Un altro piatto e un altro silenzio. «La vuoi smettere con
questo gioco del
silenzio? Parlami!»
Poggiai
una mano sulla sua che mi porgeva l’ennesimo piatto per
bloccarlo e obbligarlo
a rispondermi; fece un sospiro e si decise a parlare:
«Scusami,
ti ho rovinato la serata, sono un’idiota!»
Mantenni
la presa sulla mano: «Non voglio altre scuse, già
ti sei scusato abbastanza,
voglio sapere perché hai reagito in quel modo!»
Emile
guardava davanti a sé, poggiò l’altra
mano sul bordo del lavello, come per
sostenersi prima di parlare. «Sarebbe stato meglio se non
fossi venuto stasera,
non ero dell’umore adatto a sopportarlo.»
Su
quello eravamo d’accordo…
«Ma
perché ti ostini ad avercela con lui, non capisci che la tua
è una gelosia
stupida?»
Si
girò d’improvviso verso di me schizzando schiuma: «Perché
non lo sopporto! Ti conosce da una
vita e sa cose di te che io ho perso per sempre, ti sta sempre
appiccicato e
stasera ha tirato in ballo anche quel gruppo di bambocci! Tu non hai
idea dei
problemi che sto avendo per ultimare quest’album e sentire
quanto vengano
elogiati quegli inetti, che senza avere un briciolo di talento hanno
fama e
fortuna, mi ha fatto perdere il lume della ragione!»
«Ma
non puoi sfogare la tua rabbia su di lui, Emile! Stè non ha
colpa se mi conosce
da una vita e non ha colpa se ama un gruppo che tu non apprezzi! Se
devi sfogarti
con qualcuno fallo con me! È con me che sei arrabbiato, sono
io che ho creato
questo casino… dimmi la verità una volta per
tutte!»
Non
potevo sopportare che Emile usasse Stè come valvola di sfogo
per non
arrabbiarsi con me, così presi
il
coraggio a quattro mani e decisi di affrontare l’argomento
che lui non voleva nemmeno
sfiorare in mia presenza.
«Ti
ho sentito l’altra sera… ho sentito mentre parlavi
a tuo padre… so di Claudio,
so che sta continuando a creare problemi e so che questo ti fa
arrabbiare
ancora con me. Quindi per favore, dimmi tutto una volta per tutte, io
sono
pienamente consapevole di essere responsabile di tutto questo e ancora
mi
meraviglio di non essere stata messa alla porta per cui, prima che
questo
davvero avvenga, perché se continui così davvero
mi odierai, parla, dimmi tutto
ciò che sta accadendo, non aver paura di ferirmi…
Sfogati con me, Emile!»
Il
suo viso assunse un’espressione sorpresa e dispiaciuta: aveva
cercato di non
farmi pesare il mio coinvolgimento in quella storia, ma non
c’era riuscito ed
ora di sicuro si stava dannando con se stesso per la sua mancanza di
autocontrollo.
«Emile,
ti prego… Non sono così fragile, posso sopportare
di sapere cosa sta accadendo,
a maggior ragione visto che è anche colpa mia!»
Gli presi una mano per cercare
di convincerlo con le buone, senza dover arrivare ad urlarci addosso.
«Mi
dispiace Pasi… Non volevo che sapessi e non volevo fare una
sceneggiata simile…
Ho i nervi a pezzi e non sarei dovuto venire stasera.»
calò il viso in
atteggiamento colpevole e smise di parlare, ma io ormai volevo che si
sfogasse
e non avrei sopportato un altro silenzio.
«Ti
prego Emile, quante volte devo chiedertelo? Ti prego, apriti a me,
parlami!
Come posso avere fiducia in noi due se sento che non vuoi farmi
partecipe della
tua vita? Soprattutto in questo caso… mi riguarda tutto
questo e sono disposta
a vedere emergere la tua rabbia verso di me, purché tu mi
dica davvero cosa
provi, non cercare ancora di evitare il confronto con me, ti
prego!» Gli
strinsi maggiormente la mano, nella speranza che comprendesse il mio
bisogno di
capirlo e sperai che alzasse finalmente quello sguardo, per affrontarmi
una
volta per tutte.
«Qualche
settimana fa, Claudio si è presentato alla casa discografica
e ha espressamente
dichiarato che non concederà i diritti sui brani del nostro
album, che le
musiche composte da lui non devono essere parte delle nostre canzoni e
che se
vogliamo pubblicarle ancora, dovremmo trovare un altro arrangiamento,
perché
ciò che ha composto lui non sarà autorizzato ad
essere incluso.»
Era
terribile. Era un disastro totale.
Senza
gli arrangiamenti di Claudio alla batteria, che dava il tempo ai brani,
tutto
era nullo, tutto era da rifare! Avrebbero dovuto ricomporre ogni brano
daccapo,
con un album che era ad un passo dall’essere completato!
Sentii le gambe
venirmi meno, ma mi sforzai di mantenermi salda e di non far trapelare
il
tremito nelle mie mani, che ancora tenevano quella di Emile: dovevo
dimostrargli di essere in grado di sostenere quella verità
scomoda, non dovevo
vacillare, o non avrei più avuto la possibilità
che si aprisse a me.
«Il
produttore cosa ha detto?» Avrebbe dovuto essere ancora
all’oscuro di tutto e
vedersi piombare Claudio all’improvviso, in assetto di guerra
doveva averlo
destabilizzato… Non osavo immaginare quanto doveva essersi
infuriato!
«È
rimasto di sasso… Ci ha convocato immediatamente per
discutere della
situazione… E per poco non scatenavo una rissa in
studio!» Alzò lievemente il
capo permettendomi di scorgere un sorriso sarcastico sul suo viso: si
stava
amaramente maledicendo per quella reazione.
«È
stata quella sera che eri qui, vero? Quando sei fuggito
via…»
«Sì…
Non ho avuto il tempo di far sbollire la rabbia e ritrovarmelo davanti
con
quell’aria bellicosa, pronto a demolirci, non mi ha fatto
ragionare. Se non
fosse stato per Francesco e Filippo che mi hanno trattenuto, avrei dato
spettacolo.»
Tirai
un sospiro per darmi coraggio; mi sentivo distrutta, avrei voluto
svegliarmi da
quello che sembrava un incubo senza fine… Ma non potevo
cedere, dovevo essere
forte, ancora una volta…
ma per lui, non
per me. Per quanto mi riguardava mi sarei meritata
tutte le offese che avrebbe potuto darmi e le
avrei accettate di buon grado a quel punto. Ciò che non
sopportavo era la sua
paura di ferirmi, lui che in quella situazione era il più
colpito, quello che
rischiava di più e che avrebbe avuto tutti i motivi per
odiarmi… E invece si
preoccupava per me, oltre ad avere un problema così grande
da risolvere.
«Siete
arrivati ad un accordo?»
«Non
ancora… temo che ci vorranno gli avvocati, per giungere ad
un compromesso che
non crei disagi a noi e che faccia contento quel bastardo!»
Emile si appoggiò
al lavello e si lasciò andare a terra, mettendosi
letteralmente le mani nei
capelli sconfortato. «La cosa peggiore di tutte è
che il produttore sta
perdendo la pazienza: ha investito tantissimo in noi e con questa
storia che
minaccia di non dare mai alla luce l’album, è a
dir poco furioso! Rischia di
perdere un capitale e noi rischiamo di non avere più
un’etichetta che ci
produca.»
Mi
accucciai accanto a lui, cercando di mantenere la calma, mentre dentro
di me
imperversava una tempesta di emozioni: il senso di colpa era enorme, ma
il
desiderio di aiutarlo e di risparmiargli tutto quel disastro conteneva
il mio
istinto di sfogarmi e cercai di focalizzare la mia attenzione sul
bisogno di
Emile di ricevere un qualche tipo di conforto.
«Non
c’è tempo da perdere allora. Dovete chiamare un
avvocato, dovete farvi aiutare
da chi sa come gestire al meglio una situazione simile. Non potete
permettere
che quell’idiota rovini tutto così!»
Presi nuovamente la sua mano tra le mie
mentre mi ricordai di un particolare che forse faceva al caso nostro:
«Un
amico di mio padre è avvocato, potrei chiedere a lui, sono
sicura che
tratterebbe il vostro caso con tutti i riguardi.»
Emile
si girò finalmente a guardarmi, ma con
un’espressione di totale stupore sul
viso, come se gli avessi detto di essere
un’extraterrestre:
«Come
potrei accettare una cosa simile? No Pasi, non voglio
l’elemosina di tuo padre,
nemmeno mi conosce e dovrei presentarmi a lui come uno stupido che si
è cacciato
nei guai? Assolutamente no!» Come volevasi dimostrare, era il
solito orgoglioso
che non ammette di scendere dal piedistallo.
«Non
c’è bisogno di mettere in mezzo mio padre! Posso
chiamare io Sandro e metterci
d’accordo senza dover allertare anche lui! Fammi provare
almeno, permettimi di
aiutarti in qualche modo!»
«Pasi,
non credi di aver messo mano anche troppo in questa
faccenda?»
Eccola
la stilettata, Emile aveva resistito fino a quel momento, ma non
avrebbe potuto
celare ancora la sua rabbia e nemmeno volevo che lo facesse. Quella
frase creò
una fitta all’interno del mio cuore che mi fece vacillare per
un po’, ma
resistetti e trovai la forza di rispondergli:
«Proprio
per questo voglio chiudere il cerchio: ho messo mano
nell’iniziare questa
storia, e voglio aiutarti a concluderla.»
«Ti
prego Pasi, stanne fuori, non voglio più vedere la tua
faccia e il tuo nome associati
a quelli di Claudio!»
«Ma
qualcosa dovrai pur farlo! Non è da te abbatterti in questo
modo, devi reagire
Emile, devi far vedere a quell’idiota di che pasta sei fatto,
devi dimostrargli
che nessuno può intralciare la tua strada!»
«Ci
sto provando! Cosa credi che abbia fatto negli ultimi giorni?!
È una settimana
che non dormo, cercando di capire come fare, cercando un compromesso
che sia
accettabile da entrambi i lati e che mi permetta di eseguire quei
brani, senza
dovergli concedere la presenza alla batteria!»
«Vuole
tornare nel gruppo?!»
A
che diavolo di gioco stava giocando quello spostato?
«Solo
per il tour: ha dichiarato che ci concederà i diritti dei
brani, solo a patto
di essere presente durante i live promozionali.» Emile mi
guardò con amarezza:
«Capisci la sua manovra? Vuole imporre la sua presenza, per
mettermi di nuovo
alla prova, per testare quanto le mie parole siano vere:
andrò oltre il suo
comportamento verso di te, dimostrando che la band viene prima di
tutto, oppure
vanificherò ogni sforzo pur di non averlo davanti agli
occhi?! Se non fosse
tutto diretto contro di me, gli farei un applauso per
quest’idea geniale!»
Il
mio Pel di Carota fece una risata
sarcastica, totalmente sconfitto dalla malignità dei gesti
di Claudio, mentre
io mi sentii ribollire dalla rabbia.
«Emile
prendilo con te! Fallo partecipare al tour! Non devi dargli questa
soddisfazione! Hai sempre detto che avresti fatto qualsiasi cosa per la
musica,
che avresti fatto di tutto per emergere, non è da te avere
questi dubbi ora!
C’è in ballo il tuo futuro e la memoria di
Claudine, non puoi bloccarti per una
cosa simile! Claudio è un maiale e uno zotico ed
è maligno e per questo è meglio
se lo tieni sotto controllo e soprattutto, non devi permettergli di
offuscare i
tuoi obiettivi!»
«Ma
come pensi che possa comportarmi con lui, dopo averlo cacciato via in
quel modo
e soprattutto dopo averlo visto mentre ti metteva le mani
addosso?»
«È
assurdo che sia proprio io a doverti dire questo, ma ti rendi conto che
mi stai
anteponendo alla musica? E che questo ti fa soffrire? Forse ora credi
di fare
la scelta giusta, ma così stai ripercorrendo i passi di tua
madre, Emile! Non
devi farti abbattere da un conflitto simile, non puoi permettere a
Claudio di
averla vinta, distruggendo tutto ciò per cui hai lavorato
tanto in questi anni!
La gente lavora tutti i giorni con persone che non sopporta, va avanti
perché
non ha scelta e lo fa. Quindi lo farai anche tu, terrai Claudio con te
e farete
questo benedetto tour insieme, diventerete famosi e la tua musica
sarà
ascoltata in mezzo mondo. E allora, solo allora, potrai permetterti il
lusso di
spedirlo a casa con un calcio nel sedere e ci sarò anche io
ad aiutarti! Se c’è
una cosa che amerei fare in questo momento, è proprio
riempire la sua odiosa
faccia di pugni!»
Mi
ero accalorata così tanto nel parlargli da non rendermi
conto di essermi alzata
e di essere chinata verso Emile nel tentativo di spronarlo. Il mio Pel
di
Carota dal canto suo mi guardava con una strana espressione tra il
sorpreso, il
divertito… e l’ammirato!
«Non
so se è possibile innamorarsi di qualcuno che già
ami, ma è quello che sto
provando ora nel vederti e nel sentirti: non ho mai conosciuto una
donna più
forte di te, Pasifae!»
Si
alzò da quella posizione rannicchiata di resa in cui si era
trovato poco prima
e si erse in tutta la sua altezza davanti a me, appoggiando le mani
sulle mie
spalle: «Non so nemmeno da dove iniziare per spiegarti come
mi sento: mi hai trasmesso
la tua energia, mi hai riportato la forza d’animo che credevo
esaurita, mi hai
riportato su dal baratro a tuo discapito… Forse devo
iniziare a credere a quel
Filo Rosso del Destino, perché in questo momento ho la
certezza che tu sia
l’unica donna al mondo che potrei mai amare.»
Non
so davvero come abbia potuto dire quelle parole ad Emile che, come
aveva
precisato anche lui, erano del tutto a mio discapito e contro tutto
ciò che
avevo sempre professato sulle priorità della vita: forse era
stato il mio senso
di colpa e il desiderio conseguente di fare qualcosa per aiutarlo ad
uscire da
quella situazione… Forse era stato l’istinto di
chi non vuole veder crollare la
persona che ama… Fatto sta, che furono le parole giuste da
dire e che ero
riuscita a ridare vitalità allo sguardo di Emile, che mi
aveva appena detto una
frase che ricorderò per tutta la vita.
«Allora
siamo in due, stupido testone, ad avere accanto la persona giusta per
noi.»
Mi
prese dolcemente il viso tra le mani e mi guardò
intensamente: «Ti amo.» si
avvicinò al mio viso e mi diede un dolcissimo bacio.
*****
Qualche
giorno dopo, ritrovai nella mia libreria il foglio che Emile aveva
lasciato,
preso dalla fretta di incontrare Claudio: nonostante ci fossimo visti
in altre
occasioni, avevo sempre dimenticato di restituirglielo e anche se
probabilmente
l’elenco degli aspiranti batteristi non era più
così impellente e le strofe
scritte sul retro non fossero qualcosa di interessante, di certo Emile
non
aveva la mente abbastanza libera da ricordarsi di un foglio volante
abbandonato
a casa mia, così a scanso di equivoci, decisi di
riportarglielo una volta
uscita da lavoro.
Terminai
il mio turno a metà pomeriggio, così decisi di
passare prima dal centro.
Fede
stava studiando per superare i test d’ingresso in Scienze
Infermieristiche e
contemporaneamente aveva trovato un lavoro part-time in una
pasticceria: quando
era al centro ne approfittava per studiare, dato che i nostri
“clienti” non
formavano ancora un numero considerevole.
Entrando
nell’anticamera però, sentii delle voci
provenienti dal suo ufficio e compresi
che avevamo ospiti. Non volendo disturbare Fede, andai nella mia
stanza: era
stata sistemata in modo simile a quella del mio amico, anche se gli
scaffali
erano più vuoti e sulla scrivania non c’era ancora
alcun pc: in quei pochi mesi
in cui l’avevamo messo su, eravamo riusciti a sistemarlo alla
meglio, ma per
arredarlo avevamo chiesto un po’ in giro, cercando mobili in
disuso che non
cadessero ancora a pezzi. Purtroppo non fu facile reperire anche due
pc, così
il mio ufficio, che per cause di forze maggiore risultava essere meno
frequentato, era rimasto indietro nel suo allestimento.
Mi
venne in mente di colpo che Simona aveva il suo in camera su cui
elaborava i
suoi studi e che ora era totalmente in disuso… Avrei dovuto
tornare in quella
casa e chiedere sfrontatamente il pc di mia sorella?
In
quel momento non avevo voglia di rivedere i miei genitori: lo scontro
con mio
padre era ancora troppo fresco per potermi imbattere di nuovo in una
litigata
simile. Più andavo avanti e più mi rendevo conto
che quella situazione mi
faceva star male maggiormente da che non vivevo con loro, rispetto a
quando
condividevamo lo stesso tetto. Mi chiesi se fosse giunto mai il giorno
in cui
mi sarei abituata ad avere dei genitori distanti e diversi da quelli
che avrei
sempre voluto accanto a me…
Certo
avere Alberto accanto non mi aiutava a farmene una ragione, ma allo
stesso
tempo la sua presenza sopperiva al vuoto che sentivo quando pensavo
alla mia
famiglia biologica…
Fui
distratta dai miei pensieri, sentendo le porte dell’ufficio
di Fede aprirsi:
sbirciai dalla porta semi aperta della mia stanza e vidi una coppia
andar via,
con in mano alcuni depliants e Fede che sorridente li salutava:
chissà chi
erano? Curiosa da morire mi affrettai a raggiungere il mio amico che,
trovandomi di fronte a lui all’improvviso, fece un salto:
«Pasi,
da dove spunti?»
«Sono
qui da un po’, ero nel mio studio, in attesa che
finissi.»
«Ma
potevi entrare, fai parte anche tu del centro, sei autorizzata quanto
me a
muoverti qui.»
«Mi
sembrava poco delicato entrare così
all’improvviso… era una coppia? Che
problemi aveva?» Fede
fece un sorriso
divertito, osservando il mio volto che doveva essere più
curioso che seriamente
preoccupato.
«È
commovente l’interesse che vedo nei tuoi occhi, piccola
curiosona!» Tornammo
insieme nel suo ufficio e mi fece sedere prima di parlare.
«Era una coppia di
coniugi: sono preoccupati per il figlio, che sembra soffrire di
bulimia.»
«Bulimia?
Un ragazzo?»
«Un
ragazzino, ha dodici anni.»
«Oh
mio Dio, non è nemmeno uscito
dall’infanzia!»
«Proprio
per quello starà soffrendo: i suoi genitori mi hanno
raccontato che hanno avuto
dei problemi lo scorso anno e che contemporaneamente anche Patrizio ha
avuto un
calo scolastico… La crisi matrimoniale si è
risolta, ma evidentemente deve aver
sconvolto il bambino al punto da non riprendersi ancora.»
«Noi
non possiamo far nulla per lui?»
«Nelle
nostre condizioni attuali no, ma ho consigliato loro qualche esperto e
anche
qualche piccolo trucco per far sentire desiderato il loro
bambino… me le ha
dette Rita qualche tempo fa.» Fede sorrise soddisfatto
all’idea che un discorso
fatto con la sua ragazza, fosse tornato utile per qualcun altro che ne
avesse avuto
bisogno ed io non feci che confermare la mia teoria che quei due
fossero fatti
l’uno per l’altra.
«Spero
che tutto si risolva, mi rattrista sapere che si possa soffrire in
questo modo
ad un’età così precoce.»
«Lo
so Pasi, purtroppo la mente umana non aspetta che il corpo cresca,
subisce
traumi quando è più debole e non
c’è un limite d’età. Noi
possiamo solo
scegliere come affrontare il dolore e cercare di alleviarlo: quando
arriva
purtroppo, non c’è verso di evitarlo.»
Fede
aveva perfettamente ragione, potevo affermare con
tranquillità di essermi fatta
una cultura sul dolore umano, soprattutto sui differenti modi di
esternarlo e
sapevo benissimo che quando arriva ti dà un colpo
così forte da farti
stramazzare al suolo e il modo di reagire a quel colpo è
tutto nelle tue mani.
Ma non ti è concesso di evitarlo, puoi solo decidere cosa
fare con quel turbine
di sofferenza che ti scava dentro.
Prima
di dirigermi verso casa Castoldi diedi un’ultima occhiata
alla mia stanza nel
centro: mi resi conto di averla trascurata, presa com’ero
stata dagli ultimi
eventi… eventi che per la maggior parte riguardavano
più la vita di Emile che
la mia. A quel pensiero mi appoggiai sconsolata alla scrivania: non ero
cambiata affatto. Nonostante cercassi in tutti i modi di non annullare
la mia
vita, in funzione di quella del ragazzo che amavo, continuavo
ugualmente a
ripetere quell’errore…
Eppure
stranamente, non mi sentivo svuotata, non sentivo di aver perso di
vista la mia
vita.
Probabilmente
era dovuto al fatto che mi sentissi del tutto coinvolta in quello che
era
accaduto ad Emile, o forse la nostra relazione durava da troppo poco
tempo per
risentire degli atteggiamenti sbagliati… Ma mi resi conto
che pensare al mio
ragazzo, non mi angosciava più.
Il
nostro era un rapporto tutt’altro che piatto e come avevo
già detto a Stè
precedentemente, non saprei nemmeno dire se avessimo trascorso
più tempo a
litigare o ad andare d’accordo. Eppure quando pensavo a lui
mi sentivo serena,
sentivo un calore nel cuore e m’invadeva la sensazione di
essere appagata e
completa. In quel momento compresi Alberto, quando con la gioia negli
occhi
parlava di Claudine, potevo capire le sue parole, quando disse che
pensare a
sua moglie lo faceva star bene: Emile era l’amore della mia
vita, lo sentivo nelle
ossa, ne ero certa ogni giorno di più. Ci saremmo fatti del
male, probabilmente
mi avrebbe ferito più di chiunque altro al mondo, ma la
felicità che sentivo
quando ero con lui, la sensazione di completezza, di “essere
a casa” era
qualcosa di unico che non avrei provato con nessun altro al mondo.
Ero
totalmente immersa in quei pensieri quando mi accorsi di essere giunta
a casa
Castoldi: fu Alberto ad accogliermi, Emile doveva ancora tornare da
lavoro, per
cui decisi di lasciare quel foglio con gli appunti in camera sua, prima
di
dimenticarmene nuovamente.
Ero
sulle scale in procinto di scendere al piano terra e fare due
chiacchiere con
Alberto, quando bussarono alla porta: scesi i gradini e rimasi ai piedi
delle
scale in attesa di conoscere l’identità
dell’ospite. Probabilmente erano i ragazzi della band, da
quando frequentavo
quella casa non avevo mai visto altre persone, a parte loro o i miei
amici,
venire a far visita a quella famiglia. Ma quando aprì la
porta, Alberto
rimase di stucco:
«Lucien?!»
«Bonsoir
Oncle Albert.»
-------------------------------
*”Home, that's
where
the heart is” ---
U2 -
Walk On
_________________________________________________________________________________________
NDA
Signore e... Signore,
questo è il capitolo più lungo che abbia scritto
finora (ben 12 pagine di Word, incredibile ma vero!) e spero che la
lettura sia stata piacevole ^ ^
Come promesso,
è stato svelato cosa affliggeva Emile e per quale motivo
è fuggito via da casa di Pasi in preda all'ira: dite la
verità, Claudio vi sta ancora più simpatico ora,
vero? xD
E chi
sarà mai questo Lucien? La risposta ovviamente alla prossima
puntata *me sempre più sadica* e sempre per restare nel
tema
sadismo, non ho tradotto la sua frase arbitrariamente,
perchè voglio lasciarvi con la suspence xD
(E il traduttore di Google quel giorno, fece lo
staordinario...)
Angolo dei
Ringraziamenti
Questa volta i miei rigraziamenti saranno davvero lunghi. Durante
questa settimana in cui ho pubblicato il capitolo 23, ho ricevuto due
piacevolissime sorprese: prima tra tutte, la recensione di Kira1983, la
mia adorata admin del forum su MARS (uno shojo manga che io ho impresso
a fuoco nel cuore), che non paga di aver letto questa storia attraverso
il forum, ha deciso di iscriversi per recensirmi e per iniziare la sua
personale avventura qui su EFP, dopo avermi detto che le ho fatto
tornare la voglia di scrivere!!!
Non potevo ricevere un elogio
migliore e non vedo l'ora di leggere la sua storia, perché
la ragazza ci sa fare davvero e merita di essere letta!
La seconda bellissima sorpresa me l'ha fatta Cicci:
è donna di poche parole, ma quando decide di agire, sa
esprimere tutto ciò che sente in una volta sola! Sta
leggendo questa storia in ritardo rispetto alla pubblicazione dei
capitoli, ma questo non le ha impedito di farsi prendere a tal punto,
da realizzare una serie di covers degli album dei GAUS!!!!! Non potete
immaginare la mia gioia quando ho visto tutte quelle immagini
meravigliose! *_*
Vi mostro una fra tutte perchè è
quella che ho visto per prima e che mi ha lasciato senza parole:
Vedere quel profilo dalla chioma infuocata e quella silhouette che
canta mi ha fatto pensare che la mia Cicci avesse incontrato davvero
Emile per fargli una foto!!!
(Sarà mica il tipo visto in stazione, che proprio Cicci
aveva adocchiato??? Uhm Uhm....)
Non è meravigliosa??? :D
Io sono rimasta senza parole e ad un passo dalla commozione: vedere
quanto vi siate appassionate a questa storia e ai miei ragazzi
è sempre una sorpresa gratificante e davvero commovente, non
smetterò mai di ringraziarvi tesore mie!!!!
E infatti ora passo ai ringraziamenti canonici, per le mie sorelline
speciali:
Iloveworld/Fiorella
Runco, Vale,
Saretta,
Niky, Concy, che sempre e da sempre sono
qui a sostenermi e ad emozionarsi con Pasi ed Emile.
Ana-chan
ed Ely,
che mi seguono in differita, ma che hanno sempre una parola di sostegno
per me.
Un grazie speciale va a ThePoisonofPrimula, e Dreamer_on_heart, che ogni volta riescono a
trasmettermi quanto questa storia le abbia appassionate, ed ogni volta
per me è una gioia leggere le loro recensioni *_*
Grazie un milione di volte anche a tutte voi che avete messo questa
storia tra le preferite, le ricordate e le seguite:
kiki0882, lorenzabu,
samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
Ami_chan,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen/Camelia Jay, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy, _Calypso_
Tutte voi siete la migliore spinta che poessi mai avere ad andare
avanti, ARIGATOU
GOZAIMASU dal profondo del cuore!
E visto che ci siamo, auguro a tutte voi un
______
*.*.* FELICE E GIOIOSO
NATALE!!!! *.*.* ______
Vi auguro di trascorrere questa
giornata con chi amate e all'insegna della serenità e della
gioia di stare in compagnia, al di là del Credo personale di
ognuna di voi ^ ^
A presto!
|
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
(Piccola
Premessa: Essendo il capitolo pieno di termini in
francese, se non volete fare su e giù per scorrere in
continuazione le note, potete aprire questo file: e averlo davanti a voi
tutto il tempo, per sapere cosa c'è scritto nel testo ^ ^)
Capitolo 25
“Oncle
Albert”… il nuovo arrivato aveva tutta
l’aria di essere francese e se ricordavo
bene (che sia benedetta la mia decisione d’imparare quella
lingua), aveva
chiamato Alberto “zio”… Quel ragazzo
doveva essere figlio di qualche fratello o
sorella di Claudine! Ma cosa ci faceva lì?
«Cosa
ti porta qui, Lucien?»
Alberto
fece da eco ai miei pensieri e tesi le orecchie in attesa della
risposta.
«Scusa
se arrivo senza preavviso… Sono venuto a trovare voi e a
salutare la Tante
Claudine… Je peux entrer?»
Rimasto
di sasso per la sorpresa, Alberto non aveva nemmeno fatto accomodare
suo nipote
e appena si rese conto di quell’errore, fece un sorriso e
abbracciò felice
Lucien…
«Ma
certo che puoi entrare! Sei il benvenuto ragazzo mio!»
…che rimase un po’
interdetto da quel benvenuto così espansivo e non
ricambiò l’abbraccio, ma vidi
l’ombra di un sorriso sul suo volto.
«Merci
beaucoup.»
«Vieni,
accomodati, dev’essere stato un lungo viaggio… oh!
Che maleducato, stavo per
dimenticare le presentazioni, bambina vieni qui!»
Ero
rimasta ad osservare tutta la scena ai piedi delle scale e quando
Alberto si
accorse di me, mi resi conto di aver fatto la parte di una statua: mi
avvicinai
a loro due e sorrisi al nuovo arrivato.
«Lucien
questa deliziosa fanciulla è Pasi, la ragazza di Emile;
Pasi, lui è , mio
nipote Lucien, il figlio di Odette, la sorella di Claudine.»
«Bonsoir
Pasi, è un piacere conoscerti! Hai un nome
particolare…»
«Piacere
mio Lucien… sì, beh, in verità sarebbe
Pasifae, è un nome greco…»
«Masi
oui, come la moglie del re Minosse!»
«Sì…
purtroppo… ma io preferisco Pasi, quindi chiamami
così!»
«Mi
sono sempre chiesto che tipo di nome fosse il tuo bambina, ora ho
capito
finalmente!»
Sentii
il mio viso diventare color rubino, mentre due paia di occhi mi
osservavano con
un’aria tra lo stupito e il divertito!
«Sì
ma non facciamone un caso, eh? Io sono PASI, solo PASI, ok?»
Sperai
con tutta me stessa che il sempre odioso discorso sul mio nome fosse
terminato
e solo quando non sentii repliche inopportune,
osservai meglio il nuovo venuto.
Il
figlio di Odette… questo faceva di lui un cugino, o meglio
cuginastro, di
Emile… Era il primo familiare che conoscevo, che non fosse
un abitante di quella
casa… ed era sorprendentemente somigliante al mio Pel di
Carota! Lucien aveva i
capelli biondi e mossi, portati un po’ lunghi sul capo e
degli occhi verdi
luminosi, ma la forma del viso era la stessa di Emile, così
come il taglio
degli occhi, nonostante fossero di un altro colore. Il naso di Lucien
non aveva
la stessa delicatezza di quello di Emile ma era molto simile e
nell’insieme
poteva essere preso tranquillamente per un fratello del mio Pel di
Carota! Il
sorriso era aperto e sincero e mi dava l’impressione che
fosse una persona
abituata a quel gesto: probabilmente le somiglianze tra lui ed Emile
erano solo
fisiche perché avevo l’impressione che Lucien
avesse tutt’altro carattere.
«Venite
ragazzi, accomodiamoci in cucina.»
Il
nuovo venuto appoggiò la sua valigia all’ingresso
e seguì Alberto verso la
stanza in cui il padre di Emile amava ricevere gli ospiti.
«Sono
senza parole, ragazzo! Pensavo che avremmo ricevuto la visita di tuo
zio
Jacques, ma non credevo minimamente che potessi giungere tu o uno dei
tuoi
fratelli!» Alberto mise immediatamente Lucien a suo agio,
presentandogli un thè
freddo accompagnato da qualche biscotto, mentre si accingeva a
preparare la
cena.
«Oui,
Oncle Jacques mi ha detto che avrebbe voluto venire a trovare Tante
Claudine,
ma ha avuto qualche problema… Così ho pensato di
venire io. Non mi è piaciuto
il modo in cui si è comportata maman e vi chiedo scusa per
lei, ancora non
riesce a comportarsi da persona adulta!»
«Odette
ha vissuto tutta la vita odiando Claudine e non riesce a fare
diversamente… ma
sono felice che tu non la pensi allo stesso modo!»
«Oh
no! E poi io nemmeno sapevo di avere un cousin! Maman non parla mai di
Tante
Claudine, solo quando sei venuto a casa nostra, ho scoperto della
vostra
famiglia! Ne ho parlato con Oncle Jacques che mi ha raccontato quello
che
sapeva, così quando lui non è potuto
più venire, ho deciso di farlo io.»
Alberto
mi aveva detto che nella famiglia di Claudine c’erano persone
davvero valide e
ascoltando le parole di Lucien mi resi conto che aveva pienamente
ragione: quel
ragazzo era venuto dalla Francia senza annunciarsi, solo ed
esclusivamente per
conoscere una parte della sua famiglia, senza nemmeno sapere se fosse
benvenuto
o meno, visto l’atteggiamento ostile che sua madre aveva
sempre riservato loro.
Sentii una grande ammirazione nei suoi confronti.
«È
una cosa meravigliosa quella che hai fatto, Lucien! Sono davvero
ammirata!» Lo
vidi volgere lo sguardo in mia direzione: il verde dei suoi occhi era
incredibilmente intenso e unito a quella chioma bionda e voluminosa,
gli donava
il volto di un angelo: Lucien era un ragazzo davvero bello!
«Merci
beaucoup Pasi, ma non sento di aver fatto granché, voglio
solo conoscere la mia
famiglia, soprattutto perché mi è stata negata
per vent’anni.»
Sì,
mi stava decisamente simpatico, ero più che felice che fosse
giunto da Emile e
Alberto per conoscerli, era un segno di speranza, una luce nel
buio… e magari
avrebbe convinto quel testardo del mio ragazzo che i suoi parenti non
erano
tutti delle belve! A quel pensiero m’incupii: come avrebbe
reagito il mio Pel
di Carota davanti all’arrivo improvviso di suo cugino?
L’avrei
scoperto presto, poiché nel momento in cui stavo formulando
quel pensiero,
sentii la porta di casa aprirsi.
Andai
ad accogliere Emile alla porta: ero terribilmente ansiosa e preoccupata
della
sua reazione e in qualche modo del tutto inconscio, sperai di riuscire
ad
addolcirlo, prima che incontrasse suo cugino.
«Pasi!
Che ci fai qui?»
«Perché
hai sempre l’aria preoccupata ogni volta che mi vedi qui? Mi
nascondi qualcosa,
forse?» Abbozzò un sorrisetto, ma quando
notò la valigia di Lucien all’ingresso,
gli morì sul viso, facendo spazio ad
un’espressione cupa e sospetta:
«E
questa di chi è?»
«Ehm,
poco fa è arrivata una persona… è
venuta appositamente per conoscervi, ha avuto
un pensiero bellissimo!» Gli mostrai il mio sorriso
più sincero, sperando che
riuscisse a rasserenarlo… ma ovviamente ero
un’illusa: Emile aggrottò le
sopracciglia più adirato di prima e si diresse a passo
svelto in cucina, da cui
si sentiva parlare:
«Oh
finalmente sei arrivato! Abbiamo ospiti, ragazzo! È venuto a
trovarci tuo
cugino Lucien!»
«Bonsoir
Emile, sono fel…»
«Cosa
vuoi da noi? Non abbiamo nulla che possa interessarti, qui!»
Lo
sapevo… non c’era nulla da fare, il suo rancore lo
faceva agire con i
paraocchi, non si era nemmeno fermato a salutare Lucien, non gli aveva
nemmeno
dato la possibilità di farsi conoscere, che
l’aveva già rifiutato… sarebbe
stata una dura lotta, quella! Alberto non sembrava affatto contento di
quella
reazione:
«Emile!
Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tuo cugino? Chiedigli
immediatamente
scusa!»
«Cugino?
E da quando ho un cugino? Perché mai in vent’anni
non ho mai avuto il piacere
di conoscerlo? Non voglio niente da loro! Non m’interessa
nulla di tutto ciò
che riguarda quella gente!»
«Ti
stai comportando come un bambino capriccioso, ragazzo! Non è
questo il modo di
accogliere un familiare!»
«Puoi
anche fingere che sia tutto tranquillo, papà, puoi anche
farti calpestare da
loro, se ci tieni, ma io non ho alcuna intenzione di farlo! Non voglio
avere
nulla a che fare con quella gente!»
L’atmosfera
si era fatta incredibilmente tesa e per la prima volta in vita mia,
vidi
Alberto davvero arrabbiato.
«Chiedi
immediatamente scusa a Lucien! »
«E
chi chiederà scusa a mamma per averla ignorata per
ventitré lunghi anni? Non ho
proprio nulla per cui scusarmi!»
Alberto
era furente e diede un sonoro schiaffo sul viso di Emile:
«Prima
di mettere in mezzo tua madre, pensa al dolore che le stai infliggendo
ora!
Avrebbe dato l’anima per vedere la sua famiglia che le
dimostrava affetto ed
ora che sta accadendo, tu ci sputi sopra! Chiedi immediatamente scusa a
tuo
cugino o sparisci da questa stanza!»
Lo
sguardo di Emile si fece affilato e furente, i suoi occhi erano una
lastra di
ghiaccio, stava trattenendo tutta la rabbia dentro di sé per
non riversarla sul
padre, che l’aveva sonoramente umiliato. Con uno scatto
repentino girò le
spalle ed uscì dalla cucina.
Era
andata proprio come temevo!
Guardai
Lucien che era rimasto esterefatto davanti a quell’ira
travolgente e gratuita e
mi scusai con lui…
«Ti
chiedo scusa Lucien, devo assentarmi per un po’, torno
presto.»
…
prima di correre dietro Emile, il cui stato emotivo mi preoccupava
particolarmente.
*****
Il
mio Pel di Carota aveva preso la porta di casa ed era uscito a piedi,
per
sfogare la sua rabbia: lo raggiunsi in breve tempo, nonostante le sue
falcate
fossero molto più ampie delle mie (dannate gambe lunghe!) e appena fui ad una distanza
minima, gli presi
una mano per farlo rallentare.
«Emile
calmati, rallenta!»
«Lasciami
stare, Pasi!»
La
sua voce era minacciosa, mi ricordò immediatamente la
sfuriata in saletta
davanti al suo gruppo e mi preparai al peggio.
«Emile
calmati, dove pensi di andare in questo stato?»
«Non
lo so, voglio andare lontano da quella casa, non voglio avere niente a
che fare
con quel tizio e con l’ottusità di mio
padre!»
«Sei
troppo adirato ora per ragionare, devi darti una calmata.»
Si
fermò all’improvviso: «Non iniziare a
dirmi che ho sbagliato, io non cambio
idea!»
«Non
sto dicendo questo! Ho solo detto che devi calmarti un po’,
perché in questo
stato non puoi nemmeno attraversare la strada!» Emile si
fermò e mi guardò per
qualche momento, sondando le mie parole e ne approfittai per cercare di
calmarlo:
«Andiamo
a fare una passeggiata al parco?»
«D’accordo.»
*****
Eravamo
nel pieno della stagione estiva e la vicinanza degli alberi del parco,
costituiva di giorno un’oasi di ombra e di aria fresca da cui
era difficile
staccarsi, ma anche di sera stare nei pressi delle piante, donava
quella
sensazione di fresco (anche se decisamente umido) che era sempre la
benvenuta
dopo una giornata all’insegna del sole rovente.
«Che
meraviglia! Avrei voglia di piantare una tenda qui e restarci a vivere
per
tutta la durata dell’estate!» Volevo portare Emile su un terreno neutro,
per farlo calmare
prima di affrontare con lui il discorso spinoso, ma girandomi in sua
direzione,
mi resi conto di stare fallendo miseramente: il mio Pel di Carota era
seduto
sulla panchina con aria cupa e lo sguardo assorto… non
sarebbe stata un’impresa
facile, la mia!
«Pasi,
è inutile che ci giri intorno, dimmi ciò che devi
e facciamola finita.» Ok, era
un’impresa impossibile! Emile, come tutti coloro che mi
conoscevano,
leggeva sul mio
viso ciò che pensavo e
non c’era verso di nascondergli le mie reali intenzioni:
abbassai le spalle
sconfortata e mi sedetti accanto a lui, cercando di trovare il tono
più
conciliante di cui fossi mai stata capace.
«Non
voglio farti alcuna ramanzina.»
«Ah
no? Sarebbe la prima volta da quando ti conosco!»
Oddio
quel tono acido e sarcastico! Quello che era capace di mandarmi in
bestia in
pochi secondi… Resisti Pasi,
resisti…
sopporta ancora un po’ e vai avanti.
«Io
capisco come ti senti e non posso darti torto.» fece un mezzo
sorriso amaro di
chi non crede affatto a ciò che ha sentito
«Davvero Emile, io non voglio
giudicare proprio nessuno! Volevo solo dirti che
Lucien…»
«Non
nominarlo nemmeno!»
La
sua voce si fece minacciosamente bassa e sibilante: sembrava un
serpente in
procinto di colpire… feci un sospiro, consapevole che la mia
scarsa pazienza
stava raggiungendo il suo limite.
«Quella persona
che si è presentata oggi
a casa tua, non sapeva della tua esistenza finché non ha
incontrato tuo padre
due settimane fa… e nel momento in cui ha scoperto di avere
un cugino, si è
precipitato qui perché voleva conoscere la famiglia che gli
era stata negata…»
Emile guardava davanti a sé, muovendo ritmicamente una
gamba: era il ritratto
del nervosismo «… perciò volevo solo
dirti di riflettere su questo, sul fatto
che si sia precipitato qui senza preavviso, senza nemmeno sapere che
tipo di
accoglienza avrebbe ricevuto, mosso solo dal desiderio di
conoscerti… Non
chiudergli le porte in faccia, prima di avergli parlato almeno una
volta o
due.»
Smisi
di parlare, in attesa della sua reazione: la gamba terminò
la sua danza
schizofrenica e dopo qualche momento d’immobilità,
Emile volse finalmente lo
sguardo in mia direzione:
«Cosa
ti fa credere che sia così sincero? Potrebbe aver inventato
questa storia di
sana pianta, solo per impietosire ed evitare l’accoglienza
che lui e tutti
quelli della sua razza si meritano!»
«E
a quale scopo, scusa? Cosa ci ricaverebbe a fare una cosa del
genere?»
«Magari
è venuto solo a spiarci, per riportare la nostra situazione
a quella gente, che
non vuole sporcarsi le regali scarpe scendendo dal piedistallo, per
venire tra
noi reietti!»
«Emile,
ti rendi conto che questa teoria sfiora la paranoia?»
«E
allora sono uno stupido paranoico! Aggiungi pure questo a idiota,
arrogante e
saccente!»
«Stai
facendo la vittima?! Lo sai che è del tutto fuori luogo,
vero? Non c’è alcun
motivo per assumere un simile atteggiamento, cerca di essere
ragionevole!» Iniziai
ad esasperarmi , quel suo modo di fare mi stava dando davvero ai nervi.
«Pasi,
lasciami stare qui da solo, finirei per dire qualcosa di spiacevole e
litigheremmo e non ne ho la benché minima voglia!»
Poggiò la testa all’albero
accanto alla panchina e chiuse gli occhi: aveva l’aria stanca
e solo in quel
momento mi resi conto che, con il momentaccio che stava attraversando,
non
doveva aver avuto modo di riposare molto. Guardato
dal suo punto di vista, l’arrivo di
Lucien era un ennesimo grattacapo da affrontare che continuava a minare
la sua
serenità psicologica.
«Vuoi
venire a casa mia? Non ti dirò nulla, ok? Anzi, se vuoi
farti una dormita, ti
lascio lì da solo e in pace.»
«Non
preoccuparti, vai pure, resto qui.»
Sì
certo, come no… Sarebbe rimasto sicuramente tutta la notte
su quella panchina,
pur di non dover rivedere suo cugino!
«Ok,
allora restiamo insieme.»
«No
Pasi, che fai, non puoi trascorrere la notte qui…»
«E
tu sì? Con quest’umidità ti prenderai
un bel mal di gola, per buona pace delle
tue corde vocali!»
Asso
nella manica sganciato in grande stile: le mie carte le avevo giocate
ormai,
dovevo solo sperare di averlo convinto…
«Quando
vuoi, sai essere dannatamente convincente, piccola strega!»
Fece un mesto
sorriso e si alzò da quella panchina.
«Andiamo
a casa tua.»
*****
Arrivati
a destinazione, Emile si stese sul divano con aria stanca, prima ancora
che
avessi chiuso la porta di casa:
«Perché
non vai su? Il letto sarà di sicuro più
comodo.»
«Ci
vado dopo… ora sto bene qui.»
Il
mio Pel di Carota aveva gli occhi chiusi e l’aria
terribilmente esausta, mi
avvicinai a lui per dargli un po’ di conforto e
d’improvviso mi prese le spalle,
bloccandomi in quella posizione:
«Pensi
anche tu che sia uno stupido ingrato, vero?»
In
quel momento vidi nei suoi occhi il timore di non essere capito, la
solitudine
del bambino che era stato e mi fece tenerezza: mi stava chiedendo
comprensione,
non voleva sentirsi solo e lasciato a se stesso. Avvicinai una mano al
suo
viso: «No, non lo penso. Penso solo che ora sei troppo stanco
e che non devi fare altro
che non sia dormire.»
Chiuse
gli occhi e fece un debole cenno d’assenso, prima di
lasciarmi andare e
adagiarsi in preda al sonno.
*****
«Pronto?»
«Alberto?
Sono Pasi.»
«Bambina,
dove siete? È tutto ok?»
«Sì,
sì, stai tranquillo… Emile è qui con
me… a casa mia…»
«Ho
capito. Sta facendo il bambino fino in fondo.»
«Ora
dorme, era davvero stanco e non ho voluto infierire, ma spero di farlo
ragionare domani… Lucien è lì con
te?»
«Sì
è qui, sarà nostro ospite, non è
minimamente plausibile che vada in albergo,
quando casa nostra è piena di stanze vuote!»
«Salutamelo
e fagli le mie scuse, domani cercherò di rimediare e di
essere una buona
ospite.»
«Stai
tranquilla bambina, stiamo facendo un po’ di chiacchiere tra
zio e nipote,
dobbiamo recuperare vent’anni di lontananza!» Colsi
il sorriso di Alberto
dietro quelle parole «Dai la buonanotte da parte mia a quella
zucca vuota di
figlio che mi ritrovo!»
«Senz’altro.
Buonanotte, Alberto.»
«Buonanotte,
piccola mia.»
*****
Quando
mi svegliai, Emile se n’era andato, lasciandomi un biglietto:
Torno a casa. Sono
stato davvero un bambino
capriccioso; prima o poi dovrò affrontarlo e tanto vale
farlo subito. Grazie di
tutto, streghetta.
Sorrisi
leggendo quelle poche frasi, in cui ammetteva velatamente di essersi
comportato
male verso suo cugino. Di certo non gli avrebbe aperto il cuore una
volta
tornato a casa, ma già tollerare la sua presenza, sarebbe
stato un grande passo
in avanti.
Leggendo
quel messaggio ricordai i nostri tentativi di comunicare tramite
biglietti…
quando era accaduto? Mi sembrava fosse passato un secolo! Quante cose
erano
accadute da allora e il nostro legame era cambiato
radicalmente… Conservai quel
biglietto come una sciocca sentimentale, amavo la sua grafia e mi
piaceva avere
qualche pezzo di Emile conservato nei libri.
Mi
preparai per andare a lavoro, ripromettendomi di andare a casa Castoldi
a fine
turno.
*****
Da
quando Claudine ci aveva lasciato, non ero mai andata a visitare il
luogo in
cui riposava, così colsi l’occasione per andarci
quando Lucien manifestò il
desiderio di farlo.
«Tante
Claudine era una bella persona?»
Emile
non aveva dato segni di vita e Alberto lavorava, quindi
l’unico cicerone per
lui ero io, così ci trovammo soli a parlare di Claudine.
«Io
l’ho conosciuta per breve tempo e già non era
più se stessa, ma nonostante le
sue condizioni di salute, ho percepito la sua dolcezza e il grande
amore che
aveva per Alberto ed Emile.»
«Oncle
Albert mi ha parlato di Tante Claudine tutta la sera, mi ha fatto
vedere le
loro foto, mi ha fatto ascoltare le sue chansonnes … mi
sarebbe piaciuto
conoscerla.»
«Anche
io avrei voluto conoscerla prima, mi manca tanto e so di averla persa
per
sempre… Lucien, non arrabbiarti con Emile. So che
è stato davvero scortese
con te e che non meritavi un simile
trattamento, ma cerca se puoi di comprenderlo: sta soffrendo tantissimo
per sua
madre e ad essere precisi è da quando è nato che
soffre per quel motivo… Ha
sentito su di sé il peso di ciò che è
accaduto a Claudine e non riesce a vedere
le cose con obiettività…»
«Non
preoccuparti Pasi, Oncle Albert mi ha detto qualcosa e sono consapevole
di
quanto ma mère e tutta la nostra famiglia, abbia trattato
male Tante Claudine.
Ieri ero sorpreso perché non riuscivo a capire del tutto
cosa diceva Emile, ma
non per la sua reazione, quella me l’aspettavo.»
La
mia ammirazione per quel ragazzo, crebbe in quel momento: Lucien non
era
affatto uno snob pieno di rancore, come Emile amava dipingere i membri
della
famiglia di sua madre e ancora di più sentii il desiderio
che il mio Pel di
Carota aprisse il cuore a suo cugino.
Avevo
detto ad Alberto che l’avrei aiutato a far ragionare suo
figlio e ne ero ancora
più convinta, perché Lucien meritava una
possibilità.
«Lo
farò riflettere Lucien, gli farò capire che non
sei suo nemico.»
«Merci
beaucoup Pasi, sei una cara fille.»
Quando
tornammo a casa Castoldi, ad aprirci fu proprio Emile: la sua
espressione era
rigida ma non vidi sguardi ostili nei miei confronti, anche se avevo
trascorso
del tempo in compagnia dell’ “intruso”.
«Bonsoir
Emile.»
«Lucien.»
Presi
la mano di Emile per dargli sostegno e conforto e per sondare il suo
umore: non
mi respinse per cui andai avanti…
«Ho
portato Lucien da Claudine, avevamo entrambi voglia di andare a
trovarla.» …ma
mi guardò in silenzio, incupendosi.
Stavo
per continuare i miei tentativi di far dialogare i due cugini, quando
squillò
il mio cellulare: era Stè. Staccai la telefonata: in quel
momento sentii che
l’equilibrio precario nell’atmosfera sarebbe dipeso
tutto dalla mia presenza,
temevo che se mi fossi allontanata sarebbe scoppiato il finimondo, ma
Emile si
accorse del mio gesto.
«Non
rispondi?»
Mi
guardò sorpreso e gli risposi minimizzando: «Non
è nulla d’importante.»
Ma
come a voler confutare le mie parole, Stè aveva ripreso a
chiamare…
«Rispondi
Pasi, non preoccuparti, non farò scenate.»
mi guardò con quel suo sorriso amaro di
derisione verso se stesso:
doveva aver riflettuto sul suo comportamento e compreso quanto fosse
risultato
infantile… Osai fidarmi delle sue parole e risposi al
telefono:
«Testarossa,
quanto ti ci vuole a rispondere?!»
«Scusa
Stè, ero in un brutto momento.»
«Ah,
il solito tempestivo… ti chiamo dopo?»
«No,
no, ormai ci siamo, dimmi tutto.»
«Sono
al centro con Fede e stavamo
pensando di
andare al mare domani, sei dei nostri?»
Una
giornata al mare: sarebbe stato un ottimo diversivo e avrei offerto
anche a
Lucien delle ore di divertimento.
«Sì
Stè, ci sono eccome! Metti in conto anche altre due
persone.»
Dubitavo
fortemente che Emile si unisse alla festa, ma non abbastanza da non
sperare che
volesse fare un passo verso suo cugino… e verso
Stè.
Staccata
la conversazione con Testa di Paglia mi affrettai a raggiungere Emile e
Lucien:
sapere di averli lasciati soli mi aveva messo addosso una certa ansia,
nonostante le rassicurazioni del mio Pel di Carota. Arrivata nei pressi
della
cucina, sentii le loro voci che conversavano: Emile stava dicendo
qualcosa e
per fortuna, il suo non era un tono minaccioso, anche se non potevo
definirlo
amichevole:
«Non
posso guardarti senza provare rancore: tu rappresenti tutto
ciò che odio, voi
ed io insieme l’abbiamo uccisa e come non riuscirò
mai a perdonare me stesso
per questo, altrettanto non riuscirò a perdonare voi per
quello che le abbiamo
fatto.»
Emile
era in piedi, appoggiato al mobile della cucina a distanza da Lucien
che,
seduto, lo osservava; al sentire quelle dure parole che non meritava
abbassò lo
sguardo:
«Capisco
la tua rabbia, cousin… Io sono il primo ad essere furente
con ma mère, per come
ha trattato Tante Claudine… Non dev’essere stato
facile per voi, Oncle Albert
mi ha raccontato qualcosa… Ma io
sono
ottimista cousin, io credo che il tempo aiuti a capire il valore delle
cose e
delle persone e spero che un giorno tu ti ricreda, almeno su di me. In
te c’è
molta rabbia ed è quel sentimento che ti fa agire e
reagire… aspetterò di
vedere cosa c’è in te sotto quel cumulo
d’ira, quando se ne sarà andato.»
Alle
parole di Lucien, Emile scoppiò in una risata amara:
«E tu davvero credi che ci
sia qualcos’altro? Credi che possa disfarmi davvero di questa
rabbia, che è
cresciuta in me in ventidue anni di vita? Senza rabbia, mio caro
cugino, sono
niente! Senza rabbia sarei solo una persona nata per sbaglio, che
è riuscita
unicamente a far del male a chi l’ha messo al mondo! Se non
avessi questa
rabbia in corpo, mia madre non avrebbe la minima speranza di essere
ricordata;
sarei uguale a tua madre Lucien, avrei seppellito una volta di troppo
Claudine
Flaubert!»
Lucien
stava osservando attentamente Emile e dopo averlo ascoltato
replicò in tutta
calma: «Cousin io sono felice di averti conosciuto e appena
tornerò en France
dirò a tutta la mia… la nostra
famiglia, di quanto rispetto vi deva e di quanto debba vergognarsi per
il
proprio comportamento… E se c’è
qualcosa che posso fare per aiutarti a far
ricordare Tante Claudine, io lo farò con piacere.»
L’atteggiamento
di Lucien mi commosse: nonostante Emile gli stesse riversando addosso
tutta la
sua rabbia, era rimasto impassibile, aveva assorbito tutte le critiche,
tutte
le offese e le aveva trasformate in un messaggio d’affetto
incondizionato: era
davvero una bella persona!
In
quel momento Emile si accorse della mia presenza e non rispose al
cugino,
preferendo rivolgere la sua attenzione sulla sottoscritta:
«È tutto ok?»
«Sì,
era Stè… lui e gli altri hanno pensato di andare
al mare domani e ci hanno
invitato… Che ne dite? Farebbe bene a tutti una giornata di
svago.»
«Mais
oui! È davvero una splendida idea! Io ci sarò
certamente, adoro il mare.»
«Non
contate su di me.»
Il
sorriso che mi era salito sulle labbra alle parole di Lucien, mi
morì sul colpo
dopo aver sentito Emile… Come volevasi dimostrare, non aveva
la minima
intenzione di socializzare.
«Uhm…
ora che ci penso, mi manca il costume. Devo proprio andare a prenderne
uno!»
così dicendo, Lucien fece per uscire dalla stanza e lo
bloccai:
«Ti
accompagno, se mi aspetti, non sai dove andare!»
«Stai
tranquilla Pasi, hai ben altro da fare ora, non preoccuparti per me, ho una
mappa!»
Mi
sorrise conciliante, facendomi capire che il suo era un modo per
lasciare a me
ed Emile il tempo di parlare a quattr’occhi.
«D’accordo,
ma se dovessi avere qualche problema chiamami, ok?»
«Certamente!
À plus tard cousin…» Salutando entrambi
uscì dalla cucina, lasciandoci soli e
colsi la palla al balzo per parlare con Emile:
«Non
vuoi proprio ripensarci? Saremo in gruppo, non dovrai parlare con lui,
se non
vuoi…»
«Certo,
così avrò modo di litigare con
Stefano!» Fece un sorriso amaro «Non sono nelle
condizioni adatte a trascorrere una giornata in compagnia, finirei col
rovinare
tutto, come l’altra sera a casa tua.»
Vedendo
l’amarezza e la stanchezza sul suo viso, mi avvicinai a lui
abbracciandolo:
«Hai
parlato con Claudio?»
«Ne
ho parlato ai ragazzi e loro mi hanno detto che avrebbero atteso la mia
decisione… Ironico, vero? Per una volta che chiedo il loro
parere, tutto
dipende da me! Ma era chiaro sul loro volto, il desiderio di continuare
a
suonare e del resto Claudio non ha fatto nulla di scorretto, nei loro
confronti.»
«Allora
non indugiare più, parla a quello zotico e reintegralo nel
gruppo.» sentii le
sue braccia stringermi di più a sé «Non
sono sicuro di riuscire a sopportare di
fare una cosa simile… spero davvero di avere la forza di
farcela.»
«Certo
che l’avrai, Emile, pensa solo ad andare avanti, pensa al tuo
obiettivo, pensa
a Claudine e troverai la forza.»
«E
non dovrei pensare a te? Al torto che ti farei?»
«Non
mi fai alcun torto, ti sto appoggiando pienamente amore mio, vai avanti
senza
alcun dubbio o remora.»
«Sei
proprio un’adorabile strega, guarda cosa ne hai fatto di me!
Sei riuscita
persino a farmi parlare con quel tipo.»
«Facciamo
progressi, eh? Lucien ora non è più un diavolo,
ma è risalito al rango di
essere umano!»
«Non
scherzare col fuoco! Devo iniziare a preoccuparmi per questo tuo
attaccamento a
lui? Siete particolarmente in sintonia a quanto
vedo…»
«Qualcuno
dovrà pur fare gli onori di casa, stupido! Non
può mica restare in attesa che
tu gli conceda la parola.»
«E
perché no? Così magari si stanca di aspettare e
se ne va via.»
«EMILE!»
A quella reazione, il mio Pel di Carota fece un sorrisetto ironico
prima di
aggiungere: «Divertitevi domani.» e comprendendo
che il discorso era terminato
lì, adagiai la mia testa su di lui sconfortata.
«Non
sarà lo stesso, senza di te.» Emile
portò
una mano alla mia testa e iniziò ad accarezzarla:
«Ci
rifaremo Pasi, sarà per un’altra volta.»
*****
La
giornata che scegliemmo per la nostra gita a mare, si rivelò
perfetta meteorologicamente:
il sole era alto e caldo, il cielo limpido, senza nemmeno una nuvola e
la
temperatura estiva, invitava a tuffarsi in acqua per avere un dolce
refrigerio.
Lucien
non ebbe alcuna difficoltà ad ambientarsi e dopo
un’ora era diventato già il
miglior amico di Stè, che lo volle con lui in squadra per la
partita di beach
volley…
«Sei
un traditore Testa di Paglia!» … a discapito della
sottoscritta!
«E
dai Testarossa, per una volta che non facciamo squadra non muore
nessuno…
dobbiamo imparare a variare.» Stè fece una delle
sue risate più belle, mentre
la sottoscritta accusava il colpo: con Testa di Paglia in squadra, la
vittoria
in campo era quasi assicurata: non era una cima a basket, ma per quanto
riguardava la pallavolo e sport annessi, se la cavava egregiamente ed
io ero
fiera di essere in squadra con lui, perché odiavo perdere!
Cosa che temevo di
fare con l’assetto di squadra che mi ritrovai…
«È
gratificante essere accettati in questo modo come compagni di squadra,
gioverà
di sicuro alla nostra cooperazione.»
«Uff,
Sofi non fare la vittima, nemmeno tu mi volevi nel team!»
I
capisquadra sorteggiati furono Stè e Sofi: avevo dato per
scontato che Testa di
Paglia mi scegliesse, invece la sua prima chiamata fu per Lucien, a cui
seguì la
scelta di Fede da parte di Sofi, per non restare a corto di ragazzi
(una
partita maschi contro femmine non sarebbe stata affatto bilanciata, ad
iniziare
dall’altezza mancante, che ci avrebbe punito nelle alzate) e
la seconda e
ultima scelta di Stè a sorpresa fu Rita, lasciandomi del
tutto sbalordita e
costringendo Sofi a prendermi in squadra.
«Ragazze,
smettetela di fare le bambine capricciose e concentratevi, oppure quei
tre ci
faranno a fette.» la Voce della Saggezza: Fede ci
riportò al problema
impellente e ci concentrammo per non dargliela vinta.
La
partita finì in parità, anche se Stè
obiettò su un fuoricampo che non avevamo
contato e per calmare gli animi (ed evitare una seconda partita che ci
stracciasse), Fede c’invitò a farci un bel bagno,
dimenticando gli attriti.
Lucien si era rivelato un ottimo giocatore e si rivelò anche
un bravo
nuotatore: doveva essere una di quelle persone predisposte per nascita
all’attività
fisica!
«C’è
qualcosa che non sappia fare, quel ragazzo?»
La
considerazione ammirata di Rita fece da eco ai miei pensieri, ma Sofi
fu più
veloce di me nel
rispondere: «Entrare
nelle grazie del cugino, presumo… Anche se questo accomuna un po’
tutti.»
«Sofi!»
La
reazione di Rita, mi fece pensare che quell’idea fosse comune
e che per non
inquietarmi, nessuno aveva osato esternarla… A quel pensiero
mi agitai.
«Lo
so che Emile non si è comportato bene l’altra
sera, ma non è sempre così. Sta
attraversando un periodo davvero pessimo e non è facile per
lui restare
sereno.»
«Calmati
Pasi, lo sappiamo, non c’è bisogno che ti
arrabbi.» Rita rivolse un’occhiata
piena di rimprovero verso Sofi, che si difese senza problemi.
«Non
ho detto nulla di male, Rita, è chiaro come il sole che quel
tipo non riesce a
stare in mezzo alla gente: l’ho visto in tre occasioni e
senza contare il funerale,
nelle altre due ha solo aperto la bocca per offendere e
sentenziare.»
«Questo
non lo rende diverso da te, allora!» Le risposi stizzita e
questo non fece che
inacidire di più la mia interlocutrice.
«Ancora
continui ad associarmi a lui? Io non ferirei mai una persona cara per
il mio
compagno, invece quel tipo sembra trovare gusto ad infierire su
Stefano. Sarà
pure superficiale, buonista e terribilmente irritante a volte, ma non
merita di
essere trattato in quel modo in pubblico!»
«Ma
se tu sei la prima ad offenderlo!»
«Ma
lui mi conosce, Pasi! Fino a prova contraria, tra me e Stefano
c’è più
confidenza e se vuole rispondermi per le rime, può farlo
quando vuole! Cosa che
non farebbe mai con il tuo lunatico ragazzo! Non ti metterebbe mai in
imbarazzo
come fa lui!»
Non
avevo mai pensato che i miei amici vedessero Emile sotto
un’ottica diversa
dalla mia, ero sempre stata convinta che comprendessero i motivi che lo
rendevano poco incline a socializzare e invece le parole di Sofi mi
stroncarono
del tutto!
Stè
come viveva quella situazione? Si era reso conto del malcelato astio
negli
occhi di Emile, ogni volta che si vedevano? E se sì, ne
soffriva?
Al
pensiero che il mio ragazzo fosse causa di malumori
e insofferenza all’interno del mio gruppo di
amici, iniziai a sentirmi spaccata in due, totalmente impossibilitata a
prendere una posizione tra le persone più importanti della
mia vita e talmente
scossa dall’idea di aver causato sofferenza a Stè,
che solo in un secondo
momento, mi resi conto di aver visto per la prima volta quanto Sofi
tenesse a
Testa di Paglia… Dovevo affrontare il discorso con lui,
dovevo sapere come
vivesse quella situazione, se fosse grave come mi aveva fatto notare
Sofi, o se
Stè non gli desse tutta questa importanza. Non avrei mai
tollerato tensioni
all’interno del mio gruppo, non con loro, non dopo tutto
quello che avevo
vissuto con i miei genitori!
«Posso
intromettermi nel discorso?»
A
distogliermi dai miei pensieri, fu la voce di Lucien, che doveva essere
ritornato da poco dalla nuotata senza che me ne fossi resa conto, presa
dal battibecco
con Sofi: doveva aver sentito parte della nostra discussione su Emile.
«Sì,
certo Lucien, parla pure.»
«Ecco…
non volevo origliare, ma vi ho sentito mentre tornavo qui sulla
spiaggia e ho
capito che si parlava di mon cousin… n’est-ce
pas?»
«Sì,
è così.»
«Beh,
io forse sono la persona che meno lo conosce tra voi, però
per quel poco tempo
trascorso con lui, ho notato una somiglianza con ma famille…
Mi odierebbe
ancora di più se mi sentisse, ma Emile somiglia a ma
mère… e anche a mon frère.
Maman è aggressiva come lui, attacca chiunque e si chiude in
se stessa e solo
raramente mostra di essere in realtà fragile e insicura. Mon
frère è un caso a
parte, ma anche lui si nasconde dietro atteggiamenti che non mostrano
la sua
vera personalità.
Io
penso che mon cousin, debba solo capire che di voi può
fidarsi, per potersi
lasciarsi andare un po’ e smetterla di essere così
aggressivo… Purtroppo non
dipende da lui, c’è l’ha nel
sangue.»
Lucien
fece un sorriso amaro che lo rese ancora più somigliante ad
Emile; mi chiesi
che vita facesse quel ragazzo e quale fosse il rapporto con sua madre e
suo
fratello, per parlare in quel modo così
rassegnato… Lo guardai con gratitudine,
mentre Sofi continuava la sua arringa: «Questo non lo
giustifica ad agire come
se tutto gli fosse dovuto!»
«Sofia
ora basta, non mi sembra il caso di fare il processo ad Emile quando
non ha
modo di difendersi, attendi di averlo davanti per dirgli tutto
ciò che pensi di
lui, almeno potrà darti la sua versione, senza dover mettere
in mezzo Pasi, che
ne soffre solo.»
Fede
era senza ombra di dubbio il mio Salvatore, la voce paterna del gruppo
e anche
l’unico che riuscisse a mitigare
l’acidità di Sofi, che dal canto suo, lo
guardò risentita prima di rispondergli.
«Difendilo
anche tu, certo… Ma che parlo a fare, tanto nessuno mi
ascolta!»
Si
ritirò in un mutismo risentito e il discorso spinoso
morì sul colpo, proprio al
sopraggiungere di Stè, che per fortuna non aveva sentito una
parola di ciò che
avevamo detto. Grazie all’intervento di Fede, riuscimmo a
goderci ancora quella
giornata, ma le parole di Sofi mi rimbombavano nelle orecchie e mi
ripromisi di
affrontare l’argomento sia con lei che con Stè.
___________________________________________________________
Oncle
= Zio
Je
peux entrer? = Posso entrare?
Tante
= Zia
Merci
beaucoup = Grazie mille
Bonsoir
= Buonasera
Mais
oui = Ma sì
Maman
= Mamma
Cousin
= Cugino
Chansonnes
= Canzoni
Ma
mère = Mia madre
Fille
= Ragazza
En
France = In Francia
À
plus tard = A più tardi
N’est-ce pas?
=
Non è così?
Ma famille = La mia
famiglia
Mon frère
= Mio
fratello
____________________________________________________________________________________________________
NDA
Ave gente,
com'è stato il vostro Capodanno?
Dato che siamo appena
entrati nel 2012, non potevo non postare il primo giorno di questo
nuovo anno ^ ^
E spero che come
primo capitolo del 2012, sia stato di vostro gradimento, nonostante
tutti quei termini francesi (Sorry sisterina, ma non potevo fare
altrimenti!)
Inizio subito
col dirvi che ho deciso di non fare più pronostici: la
settimana scorsa è stata alquanto stressante per me
perchè mi sono avvicinata spesso al mio amato file di Word
per continuare questa storia e in più occasioni non sono
riuscita a scrivere nemmeno un rigo! Non vi dico quanto sia frustrante
aver voglia e il tempo di dedicarsi alla scrittura e non riuscire a
farlo! >:(
Ma per fortuna
dopo tanto penare, all'improvviso è tornata l'ispirazione e
anche più forte di prima, dato che sono riuscita a
continuare anche il mio esperimento con lo spin-off concludendo un
primo embrionale capitolo, ma è ancora presto per dirvi se
sarà pubblicato o meno :P
Il capitolo 26 a
sua volta finalmente ha visto la luce *gioia e gaudio in me*, ma come
volevasi dimostrare, mi sono persa in altre descrizioni e sono ancora
lontana dalla fine, per cui non vi dirò più
quanti capitoli ho in progetto, dato che puntualmente vado oltre! *me
non vuole proprio staccarsi dai suoi bambini e dalle sue lettrici*
Come vi sembra questo Lucien? Che idea vi siete fatte di lui, rispetto
al capitolo scorso? Attendo le vostre reazioni ^ ^
Angolo dei
Ringraziamenti
Anche nel 2012 non dimentico tutte voi, che da mesi
ormai mi sostenete e m'incoraggiate, perché siete il mio
tesoro più grande *_*
Grazie all'infinito alle mie sorelline: Iloveworld/Fiorella Runco,
Vale, Saretta, Niky, Concy, Cicci, Ana-chan
ed Ely semplicemente
perchè ci sono <3
Grazie a Kira1983, la mia adorata admin, che ha
letteralmente divorato questi capitoli diventando una delle mie
sostenitrici più forti (attendo il capitolo, mi raccomando!
^ ^ )
Grazie a ThePoisonofPrimula, e Dreamer_on_heart, che sono
sostenitrici altrettanto forti e ancora più gradite
perchè non mi conoscevano affatto prima di capitare da
queste parti; non sapete quanta gioia mi danno i vostri
apprezzamenti!
(A proposito, Piccolo
Spazio Pubblicitario: Dreamer_on_heart sta scrivendo una storia
originale davvero carina tra una ragazza
iper-super-mega-chiusa verso il mondo, Violet e il ragazzo che, a
piccoli passi, la sta facendo cambiare, Nathan. Se avete
voglia di leggere qualcosa di dolce ma non al diabete, se amate gli
incontri tra caratteri totalmente opposti, o se siete dei ricci
arrotolati su se stessi, questa storia vi coinvolgerà di
sicuro:
As Light and Shadow: they belong to each other)
Grazie un milione di volte e sempre di più a tutte voi che
avete aggiunto questa storia tra le preferite, le ricordate e le
seguite:
Ai_line, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu,
samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
incubus life, princy_94, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
cris325,
nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, smokeonthewater, Veronica91,
_Grumpy, _Calypso_
Siete una fonte inesauribile di soddisfazione e orgoglio per me! :D
ARIGATOU GOZAIMASU
a tutte!!!!!!!
E, Last but not Least
*-*-*-*
BUON 2012!!!
*-*-*-*
che sia un anno pieno di sole
dentro di voi! ^ ^
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Come per
il
capitolo
precedente,
vi allego un file con tutti i termini francesi,
per capire
meglio le parole di Lucien:
Capitolo 26
«Com’è
andata la giornata al mare?»
«Vuoi
la versione lunga o quella breve? Ah! Che meraviglia, continua
lì, sìì.»
Il
giorno dopo la mia avventura marina, Emile si fece perdonare
l’assenza del
giorno prima, arrivando a casa mia la sera con oli, candele e profumi
vari,
pronto a far diventare il mio soppalco la succursale di una beauty
farm! Aveva
riempito l’atmosfera con il profumo di lavanda che bruciava
nel profumatore
ambientale e mi stava riportando in vita con un massaggio delizioso,
che si
rivelò una panacea per i miei nervi tesi.
«Come
fai ad essere così bravo? Cosa non sono capaci di fare, le
tue mani!» Sentii
Emile sghignazzare soddisfatto, prima che si avvicinasse al mio
orecchio per
dirmi con voce sottile:
«Non
mi stai rispondendo.»
Un
brivido mi percorse la schiena sentendo la sua voce sibilante e per un
secondo
dimenticai anche dove fossi, beandomi di quella sensazione estatica,
finché
quella stessa voce non mi riportò alla realtà.
«Pasi?
Ci sei ancora?»
«Noo…
lasciami in Paradiso!»
«Ho
capito, non mi vuoi dire nulla… Spero che non sia accaduto
qualcosa di cui mi
debba preoccupare.» D’improvviso sentii le sue mani
che premevano più forte
sulle mie spalle e capii che si stava irrigidendo…
Chissà cosa stava
immaginando la sua mente! Sarebbe stato meglio se avessi detto qualcosa
o la
sua fantasia si sarebbe scatenata: tra Lucien e Stè aveva di
che irritarsi!
«Stai
tranquillo, non c’è stato alcun evento
particolare: abbiamo
giocato a beach volley, abbiamo fatto
una gara di nuoto e chiacchierato… una normale giornata tra
amici.»
Mi
chiesi se avesse mai vissuto una di queste “normali giornate
tra amici”… Per
quello che ne sapevo, Emile non si era
mai concesso né la compagnia di un amico, né un
giorno di svago simile!
«Capisco…
Allora perché sei così tesa? È tutto
merito mio?» Sentii la sua voce assumere
quel tono amaro di autoderisione e girai la testa (per quanto mi fosse
concesso) per guardarlo negli occhi:
«Non
essere così egocentrico, caro mio! Diciamo che ultimamente
non ho avuto delle
belle chiacchierate tranquille con chi conosco e sai che mi basta poco
per
perdere la serenità!»
Si
stava dannando l’anima già abbastanza per la
storia di Claudio e non gli
serviva affatto impantanarsi in quest’altra inutile
fissazione da “oscuro
carnefice”; negli ultimi tempi non faceva che sentirsi in
colpa nei miei
confronti e non riuscivo più a sopportarlo, mentre si
autoflagellava per delle
assurdità. Mi rivolse un sorrisetto lieve:
«Hai
ragione, è meglio se mi concentro sul mio dovere»
Riprese a rimodellare i miei
nervi con le sue mani abili e delicate.
«Che
meraviglia, dove hai imparato a fare dei massaggi così
perfetti?»
«Me
li ha insegnati una persona.»
«Una
persona? Fai il misterioso?» Lo sentii sghignazzare.
«No,
non la conosci, perciò è inutile che ti dica il
suo nome.»
«E
non c’è possibilità che io
l’incontri?» Ma perché tanto mistero, mi
stava
incuriosendo a non finire!
«Direi
di no… a meno che tu non ti trasferisca.»
«Uffa
Emile, dimmi chi è! Sto morendo di
curiosità!» Lo sentii sghignazzare ancora,
si stava divertendo un mondo a mio discapito…
«EMILE!»
«Ti
stai agitando, dovrò rifare il lavoro da capo se non ti
tranquillizzi.»
«E
allora dimmi chi è questa persona!»
«Una
ragazza che ho frequentato.»
«Una
tua ex ragazza!?»
«Se
vogliamo metterla così, sì, una mia
ex.»
Mi
sentii avviluppare da un calore improvviso, ero nel fuoco eppure
sentivo i miei
sensi congelati. Era la prima volta che Emile accennava al suo passato;
sapevo
che non ero certo l’unica della sua vita, com’era
ovvio che fosse, ma il solo
nominare un’altra donna e il pensarla accanto a lui,
destò una gelosia
terribile in me, tanto terribile quanto assurda, considerato che era
qualcosa
appartenente al passato. Ma in quel momento, quell’ultimo
pensiero nemmeno mi
sfiorò, pensai solo al modo in cui Emile aveva imparato da quella persona
ciò che
stava facendo a me.
«Pasi,
è tutto ok? Ti sei ammutolita.»
«Che
tipo è? L’amavi? È-è bella
vero? Di sicuro lo è…»
Stavo
andando nel panico, non riuscivo a pensare che a quella
persona con il mio
Emile: a cosa si erano detti, a cosa avevano vissuto insieme, a quanto
lei
aveva avuto di lui! Il mio Pel di Carota non mi rispose, ma lo sentii
distendersi accanto a me: cercò di togliermi i capelli dal
viso per guardarmi
negli occhi, ma io non riuscivo a farlo e distoglievo lo sguardo troppo
imbarazzata per guardarlo negli occhi.
«Sei
bella quando sei gelosa; è la prima volta che mi capita di
vederti così e devo
dirti che mi piace…» mi accarezzò il
viso e cercò di girarlo per farsi guardare
«…ma è del tutto inutile che ti faccia
prendere da una cosa simile streghetta
mia, credimi, non ne vale proprio la pena.»
I
suoi occhi erano sereni e di un azzurro profondo, mi guardava con
dolcezza e
amore e d’un tratto mi sentii davvero una stupida: abbassai
lo sguardo prima di
parlare.
«Sono
una scema, vero? Però ora se penso che tu abbia vissuto dei
momenti importanti
con qualcun'altra, momenti che io ho perso…»
«Forse
così mi capirai un po’ di
più.»
«Ma
Stè non è un mio ex, il rapporto tra me e lui
è diverso!»
È
un ragazzo, ed è una persona che ti conosce da tempo, Pasi,
una persona che sa
di te cose che io potrò solo immaginare… al di
là del fatto che ci sia stato un
contatto fisico tra voi o meno (che potenzialmente potrebbe avvenire da
un
momento all’altro), è l’idea che ci sia
qualcuno così speciale per te che non
sopporto, riesci a capire? Mi sento meno importante… Molto
meno importante…»
I
suoi occhi s’incupirono e abbassò lo sguardo
ritirandosi nel protettivo
silenzio che lo contraddistingueva, in attesa della mia replica.
«Tu,
meno importante? Emile tu non hai nemmeno idea del posto che occupi nel
mio
cuore e nella mia vita! Stè
è mio amico,
gli voglio tantissimo bene e non potrei mai vivere senza la sua
presenza accanto
a me, ma tu… tu sei tu salame, tu hai un posto nel mio cuore
che nessun altro
potrà mai ricoprire! Stè potrà anche
aver vissuto momenti che tu non vivrai mai
con me, ma è altrettanto vero il contrario e quello che
sento quando mi sei
accanto, quello che vivo con te, non potrò averlo mai con
nessun altro al mondo,
stupido zuccone! E sta’ sicuro che fra me e lui non ci
sarà mai nulla di
romantico!»
Rimanendo
col il capo abbassato lo vidi fare un sorriso sottile, prima di
replicare: «Dovrei
avere più fiducia in te, vero? Sono davvero uno
stupido…»
Ricordai
le parole che mi aveva detto Sofia il giorno prima: “Io
non ferirei mai una persona cara per il mio compagno, invece quel
tipo sembra trovare gusto ad infierire su Stefano”
e ripensai al malumore
che il comportamento di Emile causava all’interno del mio
gruppo di amici… Ripensai
all’ondata di gelosia che mi aveva travolto poco
prima…
«Sì,
sei stupido, ma lo sono stata anche io poco fa e forse davvero ti ho
capito un
po’ di più… Però non voglio
assolutamente che Stè debba risentirne. È una
cosa
tra me e te e vedere voi due che litigate mi fa soffrire Emile, non
voglio che
si creino malumori tra le persone che amo.»
Nonostante
non mi piacesse vederlo caricarsi di sensi di colpa nei mei confronti,
pensai
che giocarmi quella carta avrebbe potuto farlo desistere dal
manifestare quello
stupido risentimento, che creava solo dissidi inutili. Emile
alzò lo sguardo
verso di me e mi accarezzò il viso con dolcezza:
«È
questo che è accaduto ieri? Si sono lamentati del mio
comportamento verso
Stefano?»
Non
volevo farglielo sapere, ma non riuscii a negarglielo con lo sguardo.
«Non
voglio farti soffrire, cercherò in tutti i modi di
trattenermi, sperando che mi
passi questa stupida gelosia.»
Mi
avvicinai a lui e lo strinsi a me, ricordandomi di un particolare che
forse,
avrebbe potuto cogliere il segno in quel momento.
«Lucien
ti ha difeso: sembra che ti capisca e ti vuole
bene…» Lo sentii irrigidirsi, ma
non si staccò dalla mia stretta.
«La
causa Pro-Lucien continua imperterrita!»
Il
suo tono era ironico, non sembrava adirato per aver messo in mezzo quel
discorso spinoso e ne approfittai per renderlo più leggero
possibile:
sorridendo ci scherzai su.
«Mi
conosci, quando mi sta a cuore qualcosa, sono una testa
dura.»
«Già…»
restammo in silenzio per qualche secondo, e poi aggiunse:
«Tra due giorni
saremo tutti e tre a casa: mio padre ha le ferie ed io non devo andare
in
bottega… che ne dici di venire a pranzo ed aiutarmi a
sopportare la vicinanza
di quel tipo?»
*****
Ovviamente
colsi l’occasione al volo: fortuna volle che avessi il turno
serale a lavoro,
così potei cogliere la richiesta d’aiuto di Emile.
Dal canto suo, il mio Pel di
Carota non rimase con le mani in mano quel giorno: appena mi svegliai
trovai un
suo sms che mi avvertiva che aveva una riunione col
produttore… e con Claudio…
e che non sapeva nemmeno se sarebbe rientrato per pranzo. Gli risposi
che sarei
stata ugualmente a casa sua ad attenderlo e sperai che tutto andasse
per il
meglio, che l’incontro tra loro non degenerasse…
Quel
giorno avevo il desiderio che tutto andasse bene e mi diedi forza
cercando di
essere al meglio di me: indossai un completo che mi faceva sentire bene
con me
stessa e piena di buone speranze, mi diressi verso il mio pranzo in
famiglia in
casa Castoldi.
Arrivata
a destinazione, bussai alla porta di casa e venne ad aprirmi Lucien:
«Bonjour,
Pasi.» Mi accolse con un bellissimo sorriso a cui risposi di
rimando.
«Ciao
Lucien, vedo che ormai ti sei ambientato totalmente!»
Il
cugino di Emile era con noi da una settimana e in quell’arco
di tempo sembrava
essersi messo del tutto a suo agio in quel luogo a lui estraneo: era bello vederlo muoversi
con sicurezza in
quella casa, come se ne fosse un abitante da sempre, sottolineava
maggiormente
la sua appartenenza a quella famiglia.
«Oui,
del resto ho avuto molto tempo per ambientarmi.»
Eh
già, se non c’ero io a fargli compagnia o Alberto
quando non lavorava, Lucien
era praticamente lasciato solo a se stesso…
«Emile
non ha dato segni di avvicinamento, vero?» dissi sconsolata
«No…. Ma non
preoccuparti Pasi, è normale, mon cousin è un
tipo trés difficile…»
Sentendo
quelle parole, mi venne in mente il discorso che fece sulla spiaggia,
sui
caratteri difficili della sua famiglia e osai dare voce ad un pensiero
che
risiedeva nella mia mente da quel giorno:
«Lucien,
io, ecco vorrei chiederti una cosa… ma ultimamente mi sono
resa conto di essere
stata invadente con le persone e non vorrei sbagliare in quel modo
anche con
te… Quindi se non vorrai rispondermi lo
capirò.»
«Parla
pure Pasi, cosa c’è?»
«Ecco…
l’altro giorno, in spiaggia, hai detto che nella tua famiglia
ci sono persone
con lo stesso carattere chiuso di Emile…»
«Oui.»
«Ecco…
mi chiedevo se…»
«Continua
pure.»
«Mi
chiedevo se questo ti facesse soffrire, perché ho visto una
certa rassegnazione
nei tuoi occhi e ho pensato che forse avessi qualche problema in
famiglia.»
Ecco
l’avevo detto, Pasi l’Impicciona colpiva ancora.
Lucien però non sembrò
irritato, anche se vidi il suo volto incupirsi.
«Notre
famille est difficile… non sto qui a dirti tutto altrimenti
impiegherei delle
ore per farlo, però diciamo che non è facile
vivere nella stessa casa con mia
madre… Maman ha sofferto molto ed è aggressiva
con tutti perché non vuole
soffrire più… Non è un orco, sia
chiaro: sa amare, ma lo fa in modo troppo
morboso… almeno con noi figli. Un anno fa ho preso un
appartamento, ma non ci
abito sempre, perché se lasciassi casa
all’improvviso, lei ne soffrirebbe
troppo; allora ci
vado quando ho bisogno
di staccare un po’ e sentirmi più
libero… Sono abituato alle sfuriate Pasi,
ecco perché quelle di mon cousin non mi offendono.
È un modo di esprimere se
stessi anche quello.»
Rimasi
senza parole: come faceva ad essere così calmo e comprensivo con una
situazione così
tormentata a casa? Ci si può abituare anche alle sfuriate?
Forse per amore di
una madre sì… Ma allora perché io non
mi abituavo al modo in cui mi trattavano
i miei genitori?
«Non
ti nascondo però che certe volte, sento il bisogno di
fuggire… forse anche per
questo motivo sono venuto qui e mi piace stare con Oncle
Albert.»
A
quella frase sorrisi automaticamente: «Sì
è vero, Alberto rende l’aria che
respiriamo calda e accogliente, è la persona migliore che io
conosca! A
proposito, ma dov’è ora? Non dovrebbe essere in
casa?»
Lucien
mi guardò sorridente: «Oui, è in casa,
era occupato perciò sono venuto moi ad
aprire.»
«Occupato?
Allora sta armeggiando in cucina!»
Avevo
già l’acquolina in bocca al pensiero delle
prelibatezze che cucinava Alberto,
stavo per dirigermi in cucina quando Lucien mi bloccò con le
sue parole.
«No,
non è in cucina, vieni ti accompagno da lui.»
Il
cugino di Emile oltrepassò la cucina, oltrepassò
il sottoscala e continuò il
suo cammino: l’unica stanza rimasta su quel tragitto era nel
retro: l’ex serra,
il laboratorio… E fu lì che arrivammo…
Ed io ebbi una visione che non avrei mai
pensato di avere: Alberto era in piedi, con un camice addosso, intento
a
dipingere!
Era
talmente assorto da non essersi nemmeno reso conto del nostro ingresso
ed io
ero così sorpresa, da essere impossibilitata a parlare.
«Oncle
Albert, Pasi è venuta a trovarti.»
Il
padre di Emile si girò di scatto come se fosse stato
risvegliato di colpo da un
sogno e mi guardò mostrando uno dei suoi meravigliosi
sorrisi:
«Bambina
mia, che piacere vederti!» Mi venne incontro per abbracciarmi
ed io incurante
di quel camice sporco mi strinsi a lui felice più che mai.
«Stai
dipingendo!»
«Sì
piccola, oh, che ho combinato! Avevo dimenticato di avere il camice
sporco
addosso! Cambiati che ti lavo subito quei vestiti!»
«No
ma che dici, non preoccuparti, me li lavo io.»
«Assolutamente
no! Bisogna lavarli subito altrimenti il colore non andrà
via, su forza,
cambiati.»
«Ma
non ho vestiti con me!»
«Ce
ne sarà pure qualcuno in giro! Altrimenti te ne do uno di ma
chère.»
«Alberto
non preoccuparti, voglio vedere il tuo dipinto ora, al diavolo i
vestiti!»
In
verità l’idea di aver rovinato quella gonna e quel
top non mi piaceva affatto,
ma in quel momento il desiderio di vedere cosa stesse dipingendo
Alberto, per
la prima volta dopo vent’anni, fu più forte di
qualsiasi cosa.
«Sono
decisamente fuori esercizio e considera che sono anche
all’inizio… Spero
comunque di riuscire a renderlo come desidero.»
Il
dipinto era un ritratto, ma non c’erano foto o modelli
accanto da copiare,
perché sicuramente Alberto conosceva a menadito tutti
centimetri del viso di
sua moglie. Claudine era ritratta in tutta la sua persona, mentre
camminava
allegra in un campo di fiori mosso dal vento, l’intero corpo
era ancora
abbozzato, ma lo schizzo del viso era già stato ricoperto da
una prima mano di
colore: i suoi capelli castani ondeggiavano al vento, coprendo parte
del suo
viso, ma non abbastanza per celare la sua espressione felice e serena,
la luce
vitale degli occhi e un sorriso dolcissimo e pieno di amore. Quel
ritratto mi
commosse: c’era tutto l’amore di Alberto,
c’era la donna che lui amava, la
donna che era stata, quella donna unica che lui avrebbe sempre avuto
nel cuore.
«È
bellissimo!» dissi con quel fil di voce che il magone mi
permetteva «Claudine
sarebbe fiera di essere stata ritratta così!»
«Grazie,
bambina mia. È strano tornare a dipingere dopo
vent’anni di pausa, ma
stamattina mi sono svegliato con la voglia di farle un ritratto:
Claudine mi ha
fatto da modella molte volte… ma ogni volta non riuscivo a
concentrarmi troppo
sul dipinto, non so se mi spiego!» Fece una delle sue risate
allegre e
maliziose, mentre il mio volto prendeva fuoco al pensiero di Alberto
che
dipingeva la moglie in una versione casalinga di Jake e Rose in Titanic!
«Dipingere
la persona che ami è un’impresa difficile ma anche
la più gratificante, è un
omaggio a ciò che lei rappresenta per te, un omaggio a
ciò che riesce a
lasciarti dentro, al modo in cui la tua vita muta drasticamente per il
solo
fatto che lei è lì con te… glielo
dovevo.»
Quanto
amore traspariva dalle sue parole! Quel dipinto era una dedica
silenziosa
all’amore che li aveva uniti, era un omaggio a tutto
ciò che avevano condiviso
in quegli anni, a tutta la loro storia… Era un messaggio
d’amore, che riusciva
ad emozionare anche chi non aveva vissuto con loro quel sentimento.
Commossa
dalla profondità dei sentimenti di Alberto, gli passai un
braccio intorno alla
vita e mi appoggiai al suo braccio: aveva trovato un modo encomiabile
per
elaborare il suo lutto e mi sentii rilassata e serena a
quell’idea, inoltre ero
sicura che quel dipinto una volta ultimato, sarebbe stato una gioia per
gli
occhi, ma anche per il cuore, dei due uomini che più di
chiunque altro avevano
amato Claudine Flaubert.
«Sì,
Claudine sarebbe fiera di te… e lo sarà di sicuro
anche Emile!»
Non
stavo più nella pelle al pensiero di vedere il volto del mio
Pel di Carota
nello scoprire che suo padre si era riappropriato della sua arte.
«Grazie
bambina mia… ed ora vieni con me e scegliti un
vestito!»
*****
Claudine
aveva un guardaroba invidiabile: nel momento in cui Alberto mi diede
libero
accesso ad armadio e cassetti (dopo mille proteste da parte mia, che
sembravo
dover violare un terreno sacro), mi decisi ad esplorare tra gli abiti
della
madre di Emile e scoprii un mucchio di vestiti bellissimi e di gran
pregio, tra
cui molti abiti da sera, che di sicuro le erano serviti per le serate a
cui
doveva aver partecipato quando era famosa. Rimasi per quello che mi
sembrò un
tempo infinito, ad osservare estasiata quel guardaroba, prima di
chiudere
l’armadio che lo conteneva e cercare qualcosa di molto
più semplice e
quotidiano. Per mia grande sfortuna però, quando finalmente
trovai qualche
abito dallo scopo decisamente modesto, scoprii che Claudine era stata
sempre una
donna minuta… Decisamente troppo magra per i miei fianchi,
che non mi
permettevano di chiudere nemmeno un abito, o di calzare anche un solo
pantaloncino! Da un lato fui sollevata di non dover indossare alcun
vestito che
fosse appartenuto a lei, ma dall’altro, il mio orgoglio di
donna fu
terribilmente ferito dalla constatazione di essere “troppo
larga”. Scesi
sconsolata al piano inferiore, indossando di nuovo i miei abiti e
Alberto
rimase interdetto.
«Beh?
Non c’era nulla che ti piacesse?»
«Oh
sì che c’era, c’era
un’immensità di roba che mi piaceva… ma
a quanto pare, non
ho la sua stessa taglia…»
«Ah,
a questo non avevo pensato… ero convinto che ti sarebbe
andato tutto alla
perfezione! Uhm… come posso rimediare, allora?»
«Alberto
non preoccuparti, davvero, appena torno a casa li lavo io, non farti
altri
problemi.»
«Non
posso permetterlo bambina, per allora quei colori saranno asciutti e
non si
toglieranno più dalle fibre, devono essere lavati ora che
sono ancora freschi…
Allora proviamo tra qualche vestito di Emile, magari scovo qualcosa di
più piccolo
che può andarti bene!»
«Ma
no Alberto, non è il caso…»
«Pasifae,
se non vuoi che ti chiami in questo modo da ora in poi, fai silenzio e
aspetta
qui, mentre cerco qualcosa che possa andarti bene.»
Detto
questo, sparì nel piano superiore, diretto
all’armadio di Emile. Tornò dopo
poco tempo con un’espressione trionfante sul viso:
«Com’è
che si dice? “Conserva che trovi”: ho scovato uno
scatolo con gli abiti di
Emile di quando era più piccolo, rovista lì
dentro e cerca se c’è un
pantaloncino e una canottiera che possano andarti bene, ci
sarà pure qualcosa
che ti entri! Ho messo tutto in camera sua, così non ti
sentirai a disagio.»
Sconfitta
su tutti i fronti da quell’organizzazione impeccabile, mi
diressi verso la mia
sfilata casalinga improvvisata.
Per
la buona pace mia e di Alberto trovai, come aveva pronosticato lui, una
canottiera e un pantaloncino che mi andavano bene, così
potei dare al padre di
Emile i miei abiti, che finirono dritti in lavatrice, non prima di
essere stati
pretrattati.
«Per
la fine della giornata dovrebbero essere asciutti, così non
dovrai tornare a
casa tua, vestita così.» Alberto mostrò
un viso soddisfatto, mentre io
d’improvviso pensai che dopotutto, era piacevole indossare
qualcosa che fosse
appartenuto al mio Pel di Carota.
*****
«Sì,
Lucien è rimasto con me mentre dipingevo, anche se ero
così concentrato da non
rendermene nemmeno conto.»
Durante
la mia sfilata improvvisata, avevo notato la scomparsa del cugino di
Emile, ma
presa com’ero dalla sconcertante verità di essere
più grossa di Claudine, non
mi ero chiesta dove fosse. Una volta trovati gli abiti giusti, scoprii
che
Lucien era andato a far la spesa, rivelandosi del tutto a suo agio con
le
strade, nonostante fosse con noi da pochi giorni. Al suo ritorno, ci
accomodammo tutti e tre a prendere una bella granita al limone, mentre
Alberto
e suo nipote mi raccontavano la loro mattinata in comune.
«Da
piccolo osservavo spesso ma soeur disegnare: mi piaceva
perché non ho alcun talento
del genere e l’invidiavo, così quando ho visto
Oncle Albert dipingere, gli ho
chiesto se potevo restare e sono stato lì con lui mentre
lavorava.»
«Ed
io ero così concentrato che nemmeno me ne sono accorto!
È stato strano
riprendere dopo tanti anni e trovare immediatamente la concentrazione,
mi è
sembrato che fosse trascorso un solo giorno da quando ho dipinto
l’ultima
volta.»
Era
bello sentire quelle parole, ma era ancora più grande la
gioia di vedere
Alberto felice di aver ritrovato la sua arte: più mi parlava
di quella
mattinata e più sentivo crescere il desiderio che Emile
vedesse il dipinto di suo
padre. Sarebbe stata di sicuro una sorpresa bellissima per lui: se io
mi ero
emozionata, il mio Pel di Carota sarebbe rimasto tutt’altro
che indifferente!
Come
se fosse stato evocato dai miei pensieri, vidi comparire Emile
sull’uscio della
cucina: rimase per qualche secondo sulla porta ad osservarci e poi
sparì, con
un’espressione cupa sul volto.
Mi
alzai immediatamente per seguirlo e lo vidi andare nel sottoscala.
Quando lo
raggiunsi, lo trovai accomodato su un gradino, intento a guardare
davanti a
lui, verso l’anticamera della saletta.
«Torna
pure da loro, eravate un bel quadretto familiare.»
«Sarebbe
un quadro più bello e completo se ci fossi anche
tu.» mi accomodai accanto a
lui e intrecciai la mia mano alla sua e come se fosse servito a dargli
coraggio, Emile iniziò a dirmi a cosa stava pensando.
«Abbiamo
definito l’accordo.» sentii la sua mano serrarsi
sulla mia, «Claudio terminerà
le incisioni e sarà con noi durante la
tournée.» poggiai la testa sulla sua
spalla per dargli conforto, «Ma non avrà
nient’altro da me, la sua presenza nel
gruppo è limitata a queste due occasioni, sono stato
irremovibile in questo!»
«Sono
fiera di te.»
«Io
no, non lo sono affatto. Ma devo guardare avanti, non posso gettare
tutto alle
ortiche per un problema personale, quindi cercherò di
sopportare e andare
avanti… Del resto è una situazione che ho creato
io ed ora ne pago le
conseguenze.»
«Ce
la farai Emile, ne sono sicura, la tua forza di volontà ti
farà superare anche
questo e dopo potrai andare avanti con i tuoi progetti, senza altri
problemi.»
«Lo
spero davvero, Pasi…»
«Perché
ora non ti distrai un po’ e non vieni su a completare quel
quadro? Anzi… a
proposito… credo che ci sia qualcosa che tu debba
vedere.»
Mi
alzai senza staccare la mia mano dalla sua e lo condussi nel
laboratorio, dove
il quadro di Alberto accentrava la visuale con i suoi colori ancora
vivi e
freschi. Emile rimase sull’uscio per qualche secondo, con lo
sguardo fisso e
concentrato sul cavalletto.
«Stamattina
tuo padre ha ripreso a dipingere.» Sentii la sua mano
lasciare la mia mentre
mosse i passi che lo separavano dalla tela. Rimase ad osservare il
dipinto e
quando mi avvicinai a lui, vidi la commozione nei suoi occhi.
Deglutì prima di
parlare con voce roca: «Era davvero bella.»
Con
un magone improvviso mi strinsi a
lui.
«Sì,
era bellissima.» Rimanemmo in silenzio, osservando quella
silenziosa dichiarazione
d’amore, immergendoci
nel mare dei sentimenti che aveva
scatenato in noi, finché sentii Emile sospirare:
«Andiamo
a completare quel quadro, allora.»
*****
Entrando
in cucina, osservammo Alberto e Lucien che conversavano serenamente,
mentre pulivano
l’insalata e i pomodori e prima che il mio Pel di Carota
s’incupisse di nuovo,
aprii il discorso sulla tela:
«Alberto,
ho mostrato ad Emile il tuo lavoro.»
Gli
tenevo nuovamente la mano, sperando che si concentrasse sui sentimenti
positivi
di quel momento. Alberto rivolse subito lo sguardo al figlio e vidi nei
suoi
occhi una calma espressione, in attesa di conoscere la reazione di
Emile.
«Hai
dimenticato i riflessi tra i capelli.»
Il
mio Pel di Carota lo guardò con la sua solita espressione
canzonatoria, ma i
suoi occhi erano ancora lucidi e trasmettevano al padre tutto il suo
affetto.
Alberto dal canto suo si aprì in un sorriso estasiato prima
di rispondergli per
le rime:
«Ho
appena iniziato ragazzo, dammi tempo e ti faccio un
capolavoro!»
Si
spostò per prendere un altro bicchiere per la granita e
strinse a sé suo figlio
con un braccio, poggiando la mano tra quei riccioli rossi
così simili a suoi:
«Nessuno
la dimenticherà, ragazzo mio.» Emile chiuse gli
occhi per qualche secondo e
portò una mano alla schiena di suo padre ricambiando quel
mezzo abbraccio
carico di amore.
«Ora
vieni a gustarti questa granita al limone fatta dal tuo
vecchio.»
Alberto
si staccò e riempì il bicchiere di Emile, che si
appoggiò al mobile ad una
certa distanza da Lucien e dopo si rivolse a me:
«Pasi,
la tua si è sciolta, ne vuoi un altro bicchiere?»
Mi
insinuai tra i due cugini, tornando al mio ruolo di ponte di
comunicazione tra
loro: «Certamente! E dopo faccio anche il bis!»
Cosa
che non avvenne, perché il capofamiglia di quella casa ci
mise tutti al lavoro,
come tante api operaie, per preparare il nostro pranzo estivo
familiare. Solo
quando arrivò il momento di accomodarci per mangiare, Emile
si accorse di un
particolare a cui non aveva fatto caso prima:
«Pasi,
cosa ci fai con i miei vestiti addosso?»
*****
Il
pranzo si svolse in tutta tranquillità: Emile non rivolse
spesso la parola a
suo cugino, ma non si espresse nemmeno in termini aggressivi, anche se
tendeva
ad usare il suo solito tono acido… Che cercavo puntualmente
di smorzare con
qualche pizzicotto vagante diretto ai suoi fianchi! Era seduto accanto
a me e
di fronte a lui c’era suo padre: entrambi monitoravamo il suo
atteggiamento,
cercando di tenere sotto controllo quella testaccia dura che si
ritrovava.
Ma
avevo capito dal suo invito, che il mio Pel di Carota stava, seppur in
modo
riluttante, tentando di abbassare il muro difensivo, per permettere a
se stesso
e Lucien di conoscersi un po’.
A
fine pranzo, Alberto ebbe un’idea geniale: lasciando i piatti
sporchi per un
po’ a se stessi, tirò fuori da qualche recesso di
quella casa, un gioco da
tavolo da fare a squadre e arbitrariamente decise che avrei giocato con
lui,
lasciando i due cugini nello stesso team!
Fui
felicissima di quella trovata, anche se avevo una certa ansia
all’idea di dover
lasciare quei due insieme, senza poter fare da
intermediaria… Ma dovevo pur dar
fiducia ad Emile, se mi fossi sempre messa in mezzo non avrebbe mai
avuto modo
di relazionarsi direttamente a Lucien e quest’ultimo
d’altronde, non sembrava
ancora esasperato dal comportamento rabbioso di suo cugino.
Quando
Alberto mi scelse in squadra con lui, vidi Emile rivolgergli
un’occhiata
intensa carica di significati: c’era sorpresa, fastidio,
probabilmente anche un
po’ di rabbia nei suoi occhi… ma vidi anche una
luce di divertimento, che si
trasformò in un sorrisetto ironico di chi ha capito i
movimenti
dell’avversario. Vidi una luce di sfida negli occhi di
Alberto e capii che la
vera partita la stavano svolgendo quei due silenziosamente, prima
ancora
d’iniziare a giocare.
Quel
gioco da tavolo, che doveva avere almeno vent’anni e che
proveniva dalla
Francia, era una specie di gioco dell’oca, che riservava
molti modi
d’interazione tra i partecipanti: i membri della stessa
squadra spesso erano
chiamati a cooperare, si trattasse di comprendere il titolo di un film
da un
disegno, stile “Pictionary” o di riunire una serie
di versi di un testo
classico, o un breve puzzle da ricomporre… Ce
n’era per tutti i gusti e mentre
io e Alberto trovammo tra di noi un’intesa perfetta, Emile e
Lucien faticarono
un po’ per capirsi, ma il mio Pel di Carota non perse mai la
pazienza e ad un
certo punto, riuscii persino a vedere un’occhiata
d’intesa tra i due cugini!
Emile
giorni prima, mi aveva ridotto il cuore in pappa dicendomi di essersi
re-innamorato di me; in quel momento provai una sensazione simile nei
confronti
di suo padre: Alberto aveva trovato un modo splendido per avvicinare
suo figlio
e suo nipote e l’affetto e la stima profonda che sentivo per
quell’uomo,
crebbero a dismisura dentro me, quel pomeriggio.
Non
c’era nulla da fare: quei due Castoldi, mi avevano
definitivamente rubato il
cuore!
E
qualche ora più tardi, quando giunse per me il momento di
andare a lavoro, il
più grande tra i due ladri, si ritrovò con aria
mortificata a scusarsi nei miei
confronti…
«Non
sai quanto mi dispiace bambina!» …
perché le macchie di colore non erano andate
via con il lavaggio, lasciando delle tracce indelebili sui miei vestiti.
«Ma
no, Alberto! Sono stata io ad attendere, tu me l’avevi detto
che dovevo cambiarmi
subito, quindi la colpa è solo mia! Vorrà dire
che ne approfitterò per fare un
po’ di sano shopping!»
In
realtà mi piangeva il cuore a vedere quel completo rovinato,
ma come avevo appena
detto, me l’ero cercata io e del resto, la gioia di vedere
Alberto davanti ad
una tela, valeva anche il sacrificio di quegli abiti! E poi tutto
sommato, non
era detta l’ultima parola, potevo escogitare ancora qualcosa
per salvarli.
«No,
no, devo assolutamente sdebitarmi con te, non posso accettare di averti
causato
un simile danno!» Alberto sembrava irremovibile, ma la sua
ansia di riparare al
danno, mi riportò alla mente la stessa convinzione che aveva
avuto Emile, nel
volermi ripagare quando rimasi la prima volta accanto a Claudine: ora
capii da
chi avesse preso quel suo senso così forte di onore e
rispetto.
«Siete
proprio due testardi!»
Mi
ritrovai a dar voce ai pensieri e Alberto non comprese
quell’affermazione:
«Eh?»
«No,
nulla, non farci caso… volevo dire che tanto già
lo so che qualsiasi protesta
da parte mia sarà inutile, giusto?»
«Esatto
bambina, quindi preparati all’idea che sarai
ripagata.»
Alberto
mi rivolse un sorriso rassicurante e deciso e davanti a quella
risolutezza,
depositai le armi, seppur inutili, che potevo avere per contrastare
quella
presa di posizione.
*****
Ritrovandomi
senza gli abiti pronti per andare a lavoro, Emile decise di
accompagnarmi a
casa, per far sì che potessi cambiarmi, senza dover andare
in giro con il
completo macchiato di colore, o anche peggio, con i suoi vestiti di
quand’era
ragazzino!
Mi
accompagnò fin davanti alla porta di casa e mentre
armeggiavo con le chiavi,
sentii le sue mani sui miei fianchi e la sua voce sussurrante dritta
nell’orecchio:
«Sai
che non sei affatto male, con i miei abiti?»
Sentii
le sue labbra tracciare dei marchi infuocati sul mio collo e di colpo
le chiavi
mi caddero di mano: «Emile… devo andare a
lavoro…» la mia voce non era affatto
convinta, ma il mio cervello aveva ancora un angolo di
razionalità attivato,
che mi permise di ragionare ancora…
«Lo
so…» …ma non avrei scommesso sulla sua
durata.
«…per
questo ora scenderò e ti aspetterò giù
in auto: ti accompagno a lavoro, così non farai
tardi.»
Dopo
avermi dato un bacio che
mi tolse tutta
la poca voglia di fare la brava ragazza diligente, si staccò
da me, con un
sorrisetto soddisfatto sul viso e iniziò a scendere le
scale, lasciandomi come
un’idiota davanti alla porta di casa.
*****
«Testarossa,
hai pensato dove andare in vacanza?»
«In
vacanza?»
«Sì,
in vacanza… hai presente: spiaggia, amici, niente
lavoro?»
«Sì
sì, certo, ma non ho capito perché ti viene in
mente ora e qui.»
Era
trascorso un po’ di tempo dall’ultima volta in cui
io e Stè eravamo andati a
trovare Simona, così appena ci ritrovammo di nuovo un
pomeriggio libero, ne
approfittammo per riprendere quell’abitudine.
«Beh,
perché ormai siamo in pieno periodo estivo e dovremmo pur
pensarci… Chissà gli
altri che hanno in mente di fare…»
«È
vero, non mi ero nemmeno resa conto che fosse giunto il momento delle
vacanze…
e pensare che fino all’anno scorso non vedevamo
l’ora che giungesse questo
periodo!»
«Eh
già… però devi mettere anche in conto,
che in un anno sono cambiate un po’ di
cose…»
Testa
di Paglia aveva pienamente ragione, erano cambiate così
tante cose in nemmeno
un anno: non eravamo più studenti delle superiori, il cui
nostro unico pensiero
era studiare per superare le interrogazioni e nel mio caso, avevo
stravolto
così tanto la mia vita, che se solo riportavo la mente a
quella che ero stata
dodici mesi prima, mi sembrava di pensare ad un’altra persona.
«Hai
ragione Stè, quante cose sono cambiate!»
«Quindi
mi sembra doveroso farci una vacanzetta tutti insieme come al solito,
non
credi?»
«Verissimo!»
Sorrisi
all’idea di trascorrere le ferie con i miei amici in tutta
serenità, ma subito
dopo pensai alla giornata in spiaggia di qualche giorno prima e mi resi
conto
che c’era un problema di fondo, che comprendeva parte di quei
cambiamenti che
mi avevano sconvolto la vita…
«Che
c’è Testarossa? Ti sei rabbuiata
all’improvviso… si tratta di Emile? È
compreso
anche lui nel gruppo, non volevo mica lasciarlo a casa!»
Sarebbe
stato bello avere anche il mio Pel di
Carota con noi, ma allo stato attuale delle cose, avevo forti dubbi
sulla sua
presenza…
«Stè…
io volevo parlarti proprio di questo…»
«Delle
vacanze? Non vieni?»
«No,
non si tratta delle vacanze… ma di Emile… e di
come si comporta con te…»
Chinai
il capo, incapace di affrontare la sua reazione alle mie parole
«Non è stato
gentile con te l’ultima volta e mi dispiace davvero tanto,
è stato un
comportamento che mi ha mandato in bes…»
«Non
preoccuparti, Pasi.»
«Eh?»
Alzai la testa sorpresa.
«Non
è la prima volta che la nostra amicizia crea qualche
dissapore, non è vero?»
Il
mio legame con Stè, era sempre stato oggetto di contesa con i miei ex ragazzi e supposi
che anche da parte
di Testa di Paglia, ci fosse stato motivo di litigio spesso e
volentieri con le
sue ex compagne, nel vedere l’intesa che ci legava. Ma
nonostante tutto il
nostro legame era durato e probabilmente, anche in quel caso
Stè doveva essere
sicuro che il tornado della gelosia sarebbe passato, o almeno
diminuito, in
qualche modo.
«Sì…
è vero.»
«Mi
sono reso conto che Emile prova astio nei miei confronti ed
è vero che non è
piacevole sentirsi addosso le sue battute acide e la sua espressione
cupa, ma ormai sono
così abituato a ricevere gli
sguardi infastiditi dei tuoi ragazzi, che non ci faccio nemmeno
caso!» Fece una
breve risata prima di continuare «Anche a me è
capitato qualche volta e ho
sempre fatto notare alla ragazza di turno, che se io e te avessimo
voluto avere
una storia, non avremmo certo aspettato tutti questi anni,
giusto?» Feci un
cenno affermativo col capo «Perciò,
finché io e te difenderemo la nostra
amicizia, non c’è ragazzo o ragazza che possa
infastidirmi, se ne dovranno fare
una ragione, prima o poi!»
Mi
mostrò uno dei suoi sorrisi più belli e sinceri,
poggiando la sua mano sulla
mia spalla: commossa da quella manifestazione di affetto incondizionato
e dalla
fiducia che nutriva nel nostro legame, l’abbracciai forte,
sollevata all’idea
che il comportamento di Emile non lo stesse ferendo.
A
quel proposito, mi venne in mente un particolare: «Sofia ci
tiene davvero a te
Stè, non l’avrei mai immaginato di sentirla mentre
ti difendeva!»
«Sofia
ha preso le mie difese? Per la miseria, questa sì che
è una sorpresa!
Evidentemente il mio fascino colpisce ancora!»
Si fece una grande risata finché non si
fermò di colpo «Aspetta un
attimo… ma perché ha dovuto difendermi?»
«Ehm…»
ma perché non tenevo mai la bocca chiusa?!
Ero
stata così felice che Stè non avesse assistito al
battibecco tra me e Sofi ed
ora rischiavo di dovergli dire tutto all’improvviso! Sperai
che qualcosa
d’inatteso lo distraesse e mi salvasse… ma chi
poteva mai venire a salvarmi in
un cimitero?
«Bonsoir
Pasi, bonsoir Stefano.»
Se
prima avevo avuto qualche dubbio, in quel momento ne ebbi la certezza:
Lucien
era un angelo del Signore, sceso dal Cielo per salvarmi la pelle!!
«Lucien!
Che bello vederti!»
Gli
mostrai un sorriso a cinquantadue denti e lo sguardo più
grato di cui fossi
capace, prima di abbracciarlo, presa dalla gioia di essermi salvata
all’ultimo
secondo. Dal canto suo, il mio biondo salvatore rimase
interdetto dalla foga del mio abbraccio, così
mi staccai immediatamente, anche perché Stè
doveva ancora salutarlo.
«Ciao
Lucien! Che ci fai qui? Non è proprio un luogo frequentato
dai giovani!»
«Sono
venuto a portare dei fiori a Tante Claudine… volevo stare un
po’ con lei.»
«Per
la miseria ragazzi, come siamo tristi! Chi lo direbbe mai che abbiamo
vent’anni, trascorriamo più tempo nei cimiteri che
a divertirci!»
La
battuta di Stè era di una verità
sconcertante: non ricordavo più quanto tempo fosse
trascorso, dall’ultima volta
che eravamo usciti con il solo scopo di stare insieme e divertirci,
sembravamo
davvero dei cinquantenni!
«Hai
proprio ragione Testa di Paglia, dobbiamo organizzare
un’uscita, così anche Lucien
potrà divertirsi un po’»
Ancora
non mi capacitavo di come il cugino di Emile non fosse fuggito via per
troppa
noia: con il mio Pel di Carota che a stento gli rivolgeva la parola ed
io che
non sempre riuscivo a fargli compagnia, senza contare che quando
accadeva si
ritrovava immischiato in discussioni astiose o visite funebri, se fossi
stata
nei suoi panni, sarei corsa via a casa dopo qualche giorno!
«C’è
una band che si esibisce stasera al Dada,
potremmo andare a sentirli, che te ne pare? Uhm… sperando
che ad Emile
piacciano!»
Stè
si fece una grande risata ed io mi feci piccola per
l’imbarazzo: Testa di
Paglia sapeva ridere di tutto, ma quell’argomento era ancora
troppo spinoso per
me e non riuscii a sentirmi in grado di affrontarlo con la sua stessa
leggerezza.
«Beh,
se a mon cousin non piacciono, vorrà dire che li ascolteremo
da soli.» Lucien
mi mise una mano sulla spalla in segno d’incoraggiamento
mentre Stè gli dava
man forte:
«Sono
d’accordo, chi ci ama ci segue, il resto, che rimanga anche a
casa!»
Scambiandosi
un’occhiata d’intesa, quei due sorrisero
all’unisono e mi resi conto che se
Emile ci stava mettendo un po’ a legare con suo cugino,
Stè aveva accorciato le
distanze con Lucien nel giro di un battito di ciglia! Senza contare che
erano
anche accomunati dall’astio di Emile nei loro
confronti… Nonostante quel
pensiero amaro, vederli così affiatati mi fece sorridere e
mi rese felice: ero
sicura che quei due sarebbero andati d’accordo.
«Allora
è deciso! Chiamo gli altri, Testarossa, anche se ho seri
dubbi che si uniranno
a noi… Chiamo anche Sofia, ok?»
«Perfetto
Stè!»
Ovviamente,
Emile declinò l’invito, ma quella volta non
avrebbe potuto fare altrimenti:
aveva una riunione col produttore per riprendere i fili da dove erano
stati
abbandonati. C’erano ancora dei brani da registrare, le foto
da fare e tutta la
grafica dell’album da decidere e dovevano farlo anche alla
svelta, per rientrare
con i tempi di produzione… Decisamente non avrebbe potuto
essere dei nostri,
anche volendo!
«Tu,
Stefano e Lucien insieme? Avrò seri problemi a concentrarmi
stasera!»
«Ma
non ci saremo solo noi! Ci saranno anche Rita e Sofi… Fede
non ha potuto unirsi
a noi, ma gli altri ci sono tutti!»
Eravamo
a telefono e non potei vedere l’espressione del suo volto, ma
lo sentii
sospirare rassegnato:
«Non
posso che fidarmi di te… divertiti allora.»
«Lo
spero… vorrei tanto che ci fossi anche
tu…»
«Pasi,
lo sai che proprio ora non posso, anche volendo.»
«Sì
lo so, lo so, era solo uno sfogo…
In
bocca al lupo per stasera e fallo nero!»
Cercai
di non pensare al mio senso di vuoto per la sua ennesima assenza,
concentrandomi sull’appoggio che volevo sentisse da parte
mia, prima di
affrontare Claudio; non era il caso che facessi la ragazzina immatura
ed
egoista, non in quel frangente!
«Crepi…
a domani streghetta.»
«A
domani testone.»
*****
Il
Dada… sembrava trascorsa
mezza vita
dall’ultima volta che c’ero stata, quella sera in
cui sentii Emile cantare per
la prima volta…
Mi
fece uno strano effetto ritornarci: fu come
viaggiare nel tempo ma in modo alterato; guardando le pareti di quel
locale mi
venne in mente tutta l’atmosfera della volta precedente, la
folla, la mia
sensazione di attesa e lo sconvolgimento totale che subii nel momento
in cui
sentii la voce del mio Pel di Carota. Ero immersa in quei ricordi con
un
sorriso estatico sul volto, nel ripensare alla mia inutile lotta
interiore, per
combattere ciò che stava facendo breccia nel mio cuore. Se
non mi fossi
lasciata andare a ciò che provavo avrei perso tutto quello
che avevo vissuto in
quei mesi: avrei perso Claudine, avrei perso Alberto… avrei
perso Emile. E
avrei perso persino Lucien, che in quel momento mi osservava divertito:
«Qualcosa
non va, Pasi? Sembri Siddharta che raggiunge il Nirvana, hai un sorriso
estatico sul viso come se stessi ammirando qualcosa che non possiamo
vedere.»
Feci
un sorriso, pensandomi come un flaccido buddha calvo in atto di
perdersi in
meditazione.
«Ero
immersa nei miei pensieri… e nei ricordi. È qui
che ho sentito Emile cantare la
prima volta.»
«Ah!
Non sono ancora riuscito a sentirlo: è bravo?»
«Sì,
è bravo Lucien, è straordinariamente bravo!
Claudine sarebbe fiera di lui.»
«Mi
piacerebbe ascoltarlo, ma presumo che dovrò attendere che
l’album sia messo in
commercio.»
«Sarebbe
meglio se lo sentissi dal vivo, lo apprezzeresti ancora di
più, ne sono certa!
Chissà che non si esibiscano prima di iniziare il
tour!»
Mi
sarebbe piaciuto che Lucien avesse avuto la possibilità di
ascoltare suo cugino
dal vivo; ero così orgogliosa di lui, volevo che tutti
comprendessero il suo
talento al meglio delle sue capacità e nei live Emile era
inimitabile!
«Piacerebbe
anche a me, Pasi… vedremo se ci
riuscirò.»
In
quel momento percepimmo la presenza di Rita che era appena riuscita ad
entrare
e aveva ascoltato una parte della nostra conversazione:
«Quanto
ti fermi qui, Lucien?»
Il
cugino di Emile le stava simpatico: del resto Lucien riusciva ad
attrarsi le
simpatie di tutti col suo modo di fare pacato e socievole, Emile a
parte
s’intende, ovviamente…
Persino Sofi
sembrava meno acida quando c’era lui! Sembrava avere lo
stesso dono di Fede di
calmare gli animi e a quel pensiero mi intristii pensando che il mio
amico non
era dei nostri quella sera, ma aveva avuto un’emergenza in
famiglia e non
poteva lasciare: i suoi genitori erano via e una delle sue sorelle
aveva la
febbre e non poteva di certo lasciarla a se stessa, per venire a
divertirsi con
noi.
«Beh…
a dir la verità non so ancora… Oncle Albert mi ha
detto che posso restare
quanto voglio ed io sono contento di essere qui… quindi non
so.»
«Allora
rendiamo produttiva questa permanenza!»
Stè
arrivò in quel momento e portò un braccio intorno
al collo di Lucien: «Visto
che sei qui, che ne diresti di fare da insegnante a me e Testarossa?
Stiamo
cercando d’imparare il francese da soli, ma con un
madrelingua sarebbe ancora
meglio.»
«Allora
hai deciso di torturarlo, Stefano! Dovrebbe avere una pazienza degna di
un
santo con te e Pasi!» Sofia era arrivata insieme a Testa di
Paglia e come al
solito, non ebbe alcuna remora a dire la sua, per cui la stuzzicai: «Sofi
perché non ti unisci a noi? Così vedrai
quanto siamo bravi io e Stè!»
«Perché
non continuiamo il discorso comodamente seduti? Prendiamo posto, prima
che si
riempia il locale.»
In
sua mancanza, Rita faceva le veci del proprio ragazzo riportandoci
all’ordine e
con tutte le ragioni, dato che stavamo bloccando l’ingresso
del locale, quando
c’erano ancora alcuni tavoli disponibili per noi e le nostre
chiacchiere. Ci
accomodammo in un punto un po’ distante dal palco, ma che
favoriva la
conversazione, almeno finché non si fossero abbassate le
luci.
Qualche
minuto prima che si animasse il palco, mi arrivò un sms e
con tutta sorpresa mi
accorsi che era di Emile:
Sto per
entrare nella casa discografica, dimmi
che andrà tutto bene.
Sentii
una stretta al cuore, rendendomi conto che il mio Pel di Carota mi
stava chiedendo
palesemente un appoggio e ringraziai il Cielo per aver deciso di
mettere il
cellulare in bella mostra, in modo da sentire l’arrivo di
qualsiasi chiamata.
Non osai nemmeno pensare cosa sarebbe accaduto, se non avessi letto
quella
richiesta di aiuto in tempo!
Andrà
tutto bene, sono lì con te.
*****
Il
gruppo che si esibiva quella sera non era male: trascorremmo un paio di
ore in
loro compagnia e furono gradevolissime, i volti dei miei compagni erano
tutti
sereni, persino Sofi si fece trasportare dalla musica andando a tempo
con le
mani! E quando terminò l’esibizione, Lucien mi
gratificò di una confidenza:
«Ho
sempre ammirato tutte le persone dotate di talento artistico: mia
sorella è
abile nel disegno e mio fratello fa teatro… Io sono
l’unico a non aver
ereditato una tale qualità in famiglia, per questo cerco di
dare il meglio di
me nelle cose che faccio… Mi sarebbe piaciuto riuscire a
creare qualcosa o a
trasmettere qualche
sensazione a chi mi
ascolta, dev’essere appagante riuscire a trascinare il
pubblico, come ha fatto
questa bande ce soir.»
Capivo
benissimo i sentimenti di Lucien: per anni ero stata la pecora nera
della
famiglia, che guardava alla sorella amata da tutti e invidiava la sua
perfezione
agli occhi degli altri. Non doveva essere facile per lui, convivere con
due
talenti e risultare l’unico “normale” in
una famiglia di artisti… Senza
mettere in conto
che si ritrovava anche
un cugino cantante e uno zio pittore!
«Ti
capisco Lucien, anche io ammiro tutte le persone dotate di talento
artistico…
ma non devi abbatterti, ognuno di noi ha qualcosa di unico in
sé; non saremo
degli artisti, ma avremo di sicuro tante altre
qualità.»
«Oui,
c’est vrai Pasi, hai ragione… a proposito, se
volete posso darvi davvero
lezioni di Francese, tanto non ho nessun impegno.»
Mi
guardò sorridendomi sereno e fui felice di riuscire a farlo sentire utile.
«Sarebbe
bellissimo, Lucien! Con te accanto impareremmo di sicuro prima,
rispetto a quelle
tristi lezioni in DVD!» Mi girai in direzione di Testa di
Paglia per dargli la
bella notizia:
«Stè,
abbiamo un insegnate! Lucien ha accettato di aiutarci col
Francese!»
«Lucien,
sei sicuro di quello che fai? Non sai a cosa vai incontro!»
«Sofi,
ma tu da quando, sai come studiamo io e Stè?»
«Mi
basta immaginarlo Pasi, se vi conosco anche un po’ di quanto
penso, manderete
al manicomio Lucien dopo due giorni!»
«Allora
vieni anche tu, assisti a qualche lezione e vedrai quanto siamo
diligenti!»
«Non
ci penso nemmeno, il Francese lo conosco e non ho intenzione di perdere
tempo
nel risentire cose che già so.»
«Sophie,
veux-tu danser avec moi?» Lucien si era alzato
d’improvviso invitando Sofi a
ballare con lui, approfittando di una canzone lenta che era in
diffusione
all’interno del locale, ed ebbe l’effetto di far
arrossire Sofi e di zittirla
di colpo!
«Eh?
N-No… io non ballo.»
«Oh,
peccato, allora c’è qualcosa che anche tu non sai
fare.»
Lo
sguardo di Lucien era gentile, ma quella frase mi sembrò a
tutti gli effetti
una frecciatina, che riuscì a mettere la lingua lunga di
Sofi in un angolo e fece
salire di buon grado la mia stima nei suoi confronti: non so se aveva
intenzionalmente detto quella frase, per azzerare
l’acidità di Sofia o perché
voleva solo fare un commento bonario, ma il risultato che ottenne fu
grandioso,
perché non avevo mai visto Sofi così imbarazzata!
A
quel punto Rita d’improvviso si alzò:
«Pasi devo andare in bagno, vieni con me?»
Mi
guardò con un’espressione complice, che
sottintendeva che c’era qualche
chiacchierata a quattr’occhi in arrivo e senza obiettare la
seguii. Giunte nel
bagno, mi trascinò con sé nella cabina e a voce
bassa iniziò a parlare con fare
confabulatorio: «Pasi…
ho l’impressione
che a Sofia piaccia Lucien!»
«COSA???!!!»
Alzai
il volume della mia voce senza pensarci: Sofi nelle vesti di una
giovane innamorata,
non ce la vedevo proprio... e poi mi sembrava che non fosse
particolarmente
presa dal cugino di Emile!
«Ne
sei sicura, Rita? Io non vedo nulla di strano nei suoi
atteggiamenti…»
«Rifletti
bene: quand’è stata l’ultima volta che
è uscita con noi, per sentire un gruppo
musicale? Non ti sembra strano che proprio questa volta sia
venuta… Occasione
in cui casualmente, è presente anche Lucien. E hai notato
com’è arrossita,
anziché rispondergli per le rime?! Te lo dico io, Sofi si
è presa una cotta per
lui!»
Rita
conosceva Sofi senza dubbio meglio di me e di sicuro sapeva leggere nel
cuore
delle persone meglio di quanto facessi io... Se i suoi sospetti erano
veri,
quell’estate si prospettava davvero interessante!
Però questo significava anche,
che avrei dovuto indagare se Lucien ricambiasse o meno
l’interesse nei
confronti di Sofi… Avrei dovuto escogitare qualche modo per
carpirgli la verità
senza farmi scoprire… ce l’avrei fatta? Avevo
qualche dubbio in proposito, ma
la curiosità di sapere, stava avendo il sopravvento!
Per
il resto della serata feci attenzione a tutti gli atteggiamenti di Sofi
e
Lucien e notai che in effetti, la piccola del gruppo tendeva ad essere
silenziosa
quando Lucien parlava e non gli rivolgeva la parola che in rare
occasioni.
Lucien dal canto suo era gentile e cortese come al suo solito con
tutti, era
quindi difficile cercare di capire se provasse qualcosa di differente
verso
Sofi rispetto al resto del gruppo… Avrei dovuto organizzare
qualche altra
uscita, per verificare le teorie di Rita!
Impegnata
com’ero a carpire i segreti dei cuori di Sofi e Lucien, la
serata volò via in
un batter d’occhio e senza rendermene conto ci ritrovammo
presto a dover
rientrare a casa, onde evitare di avere tutti il volto di uno zombie il
giorno
dopo, per mancanza di sonno. Arrivata a casa mia mi struccai subito, mi
misi il
mio pigiamino e sdraiata comodamente nel letto, mandai un sms ad Emile,
senza
nemmeno sapere se fosse sveglio o meno:
Com’è
andata la serata? Mi
sono appena buttata sul letto… Vorrei tanto
averti accanto ora…
Lasciai
il cellulare acceso, ma dubitavo fortemente che Emile fosse ancora
sveglio:
quella riunione doveva averlo sfiancato di sicuro, togliendogli tutte
le
energie! Mi distesi nel letto, cercando una posizione comoda che mi
conciliasse
il sonno, quando sentii l’arrivo di un sms e di colpo gli
occhi si aprirono per
la sorpresa:
È andata bene,
come mi avevi detto tu: sono
riuscito a non saltargli al collo. :) Forse dopotutto,
potrò farcela a sopportarlo…
Mi manchi anche tu streghetta, appena sarò più
libero rimedierò. Sogni d’oro.
Presa
da un momento di malinconia feroce, baciai il display del mio cellulare
fermo
su quell’sms e dopo aver mandato la buonanotte al mio amato
Pel di Carota,
trovai la posizione giusta e mi addormentai.
_________________________________________________
Bonjour = Buongiorno
Oui = Si
Mon Cousin = Mio
cugino
Trés difficile
= Molto difficile
Notre famille est difficile
= La nostra famiglia è difficile
Maman = Mamma
Oncle = Zio
Moi = Io
Ma chère
= Mia cara
Soeur = Sorella
Bonsoir = Buonasera
Ce soir = Questa
sera
Oui, c’est vrai =
Si, è vero
Veux-tu danser avec moi?
= Vuoi ballare con me?
________________________________________________
NDA
Hola mie care, come
state? Innanzitutto, vi chiedo perdono per l'attesa, mi rendo conto che
questi ultimi capitoli ve li sto facendo sudare, ma è una
fatica anche per me, perchè posso dirvi ufficialmente che
non ci sono ancora capitoli pronti! Il 27
è in fase di gestazione e spero di poterlo completare al
più presto per non farvi attendere troppo, ma siate
comprensive se ci saranno ritardi, non sempre ho tempo per mettermi a
tu per tu con Pasi ed Emile e non sempre ho l'ispirazione...
è una dura lotta, ma ce la faremo!!!
Come vi è
sembrato questo capitolo? Personalmente sono legata
alla decisione di Alberto di dipingere Claudine, perchè fa
parte della prima stesura di questa storia e perchè
è stata di forte impatto per me, mentre la scrivevo
(sorridevo come una scema xD).
Spero comunque che in
generale questo capitolo vi sia piaciuto quanto piace a me ^_^
Angolo dei Ringraziamenti
Cosa posso
dire ancora per farvi capire quanto vi adori, e quanto
il vostro interesse e la vostra partecipazione a questa storia sia
stata importante per farmi andare avanti?
Siete il mio sostegno, e mi donate tanto affetto anche solo chiedendomi
"Ma quando pubblichi?" <3
Passo quindi a
ringraziarvi tutte tesore mie:
Iloveworld/Fiorella Runco,
la mia tomodachi/beta/madrina, una presenza insostituibile <3
Saretta,
Vale,
Niky, Concy, le mie sisters sempre
presenti e pronte alla recensione fulminea, che amano i miei
bimbi con un trasporto tale da farmi commuovere!
Cicci, Ana-chan
ed Ely che mi appoggiano in differita
^ ^
Kira1983, la mia adorata admin, che in
un battibaleno si è messa alla pari delle sisters
più affezionate <3
ThePoisonofPrimula, che oltre ad aver cercato, con
pazienza e passione, di dare un volto a tutti i miei bambini, mi ha
anche fatto pubblicità permanente sul suo profilo qui su
EFP!!! <3 __ <3
Dreamer_on_heart, anche lei diventata
una delle mie sostenitrici più ferrate nel giro di un
battito di ciglia *_*
E ovviamente, grazie un milione
di volte e sempre di più a tutte voi che
avete aggiunto questa storia tra le preferite, le ricordate e le
seguite:
Ai_line, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu,
lovedreams,
samyolivieri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
incubus life, princy_94, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
cris325,
georgie71, LAURA VSR, myllyje, nickmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
roxi,
sel4ever,
smokeonthewater, Veronica91,
_Grumpy, _Calypso_
Crescete in continuazione e mi rendete ogni volta più felice
e soddisfatta! :D
ARIGATOU GOZAIMASU
MINNA!!!!!!!
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Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Capitolo 27
Trascorse
qualche giorno da quella sera al Dada
e mi resi conto che le cose ad Emile iniziavano a girare per il verso
giusto, per
il semplice fatto che non lo vedevo più. Stava recuperando
il tempo perso
dietro i problemi creati da Claudio e tra il lavoro in bottega e le
riunioni in
studio, comprese di registrazioni, aveva a mala pena il tempo di darmi
la
buonanotte la sera.
Non
era facile per me saperlo così preso e distante, ma a
differenza delle
occasioni precedenti, ero davvero felice che fosse così
impegnato: Emile non
poteva vivere senza la musica, non poteva essere diviso dal suo
obiettivo e
quando lavorava per raggiungerlo era più sereno,
più appagato, più forte. Ed
era quell’Emile che volevo vedere, quello che aveva il fuoco
nello sguardo,
quello che non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di raggiungere i
suoi
propositi. Non volevo più vederlo abbattuto e sconfitto e
con l’immancabile
senso di colpa nello sguardo: anche se era lontano da me in quelle
sere, sapevo
che stava lavorando per mandare via quell’aria sconfitta
dalla sua anima e ne
ero felice. Ed era con quel pensiero che mi facevo forza, aspettando
pazientemente il momento, in cui ci sarebbe stato posto anche per me.
Decisi
quindi di concentrarmi su altre questioni per non farmi prendere dalla
malinconia.
E
l’argomento che più mi stava interessando in quei
giorni era l’idea di Sofia
innamorata. Morivo dalla voglia di sapere se i sospetti di Rita fossero
veri,
ma non potevo chiedere a Sofi di punto in bianco: “Scusa, ma per caso ti piace Lucien?”;
di sicuro stavolta mi avrebbe
chiuso la porta di casa in faccia per non aprirla più!
Pensai persino di
parlarne direttamente con Lucien, ma sarei stata di nuovo una grande
impicciona
in quel modo…
Mi
stavo arrovellando su come comportarmi quando mi venne in mente il mio
completo
rovinato dai colori di Alberto: Sofia era una perfetta casalinga
risparmiatrice
e probabilmente avrebbe potuto aiutarmi a trovare un modo di recuperare
quei
vestiti senza doverli buttare… £ magari nel
frattempo, sarei riuscita a carpire
qualche informazione dalla mia criptica amica!
Mi
congratulai con me stessa per quel colpo di genio e mi diressi da Sofi,
approfittando del pomeriggio libero: avevo il turno notturno a lavoro e
potevo
concedermi qualche ora di svago prima di andare a chiudermi in quella
rovente
cucina… Lavorare accanto ai fornelli, al chiuso, durante la
stagione estiva,
non era affatto piacevole e mai come in quei giorni avevo desiderato
l’arrivo
del freddo!
Quando
bussai alla porta di casa di Sofi, venne ad aprire suo padre:
«Oh,
ciao Pasi, che piacere vederti qui.»
Non
avendo frequentato quella casa molto spesso, erano state poche le
occasioni in
cui avevo incontrato quell’uomo, ma ogni volta mi faceva
sempre lo stesso
effetto. Il padre di Sofia era stato schiacciato dalla vita, era un
uomo
dall’aspetto minuto e il suo atteggiamento generale era di
totale remissività.
Il divorzio dalla moglie doveva averlo distrutto e a distanza di tanti
anni,
ancora non riusciva a riprendersi da quel colpo che doveva aver minato
tutte le
sue fondamenta. Sofi non amava parlare di lui, quindi sapevo ben poco
al
riguardo, ma per quello che riuscivo a percepire da
quell’uomo, sentivo in lui
un carattere remissivo e poco incline alla rabbia e probabilmente sua
figlia
doveva aver ereditato da lui quel suo modo tranquillo di vivere la
vita. Ma
Sofi aveva anche una determinazione nello sguardo che invece era
totalmente
assente in quello del padre, che sembrava voler chiedere scusa al mondo
per la
sua esistenza. Provai pena per lui e mi chiesi come vivesse la sua vita
e come
Sofi vivesse quella situazione familiare disastrata… ma
sapevo che queste domande
non avrebbero avuto risposte, almeno non nell’immediato
futuro, se volevo
continuare ad avere Sofia come amica.
«Buonasera,
c’è Sofia?»
Che
domanda inutile, era ovvio che fosse in casa, ma proprio non avevo
argomenti
con quell’uomo, mi sentivo a disagio con lui.
«Certo,
entra pure, Sofia è in camera sua.»
Sorridendo,
mi accomiatai da suo padre e mi diressi verso la tana di Sofi, il luogo
in cui
amava trascorrere le sue giornate. La trovai intenta a leggere: era
arrotolata
su se stessa, seduta di traverso sulla poltrona in camera in sua, talmente assorta dalla
lettura, da non
essersi nemmeno resa conto che fossi entrata! Schiarii la voce per annunciarmi ma
non sortii alcun
effetto, allora mi avvicinai riprovando ad annunciarmi ma ottenni lo
stesso
risultato…
Iniziai
a pensare che si fosse addormentata in quella posizione, vinta dal
caldo
pomeridiano… Allungai una mano davanti al suo viso,
spostandola in alto e in
basso per disturbarle la visuale e la vidi saltare per la sorpresa:
«Ma
che dia… Pasi!!! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Mi
sono annunciata due volte, Sofi! Sei diventata sorda per
caso?»
«Ma
no, avevo gli mp3
nelle orecchie, vedi?» Mi
mostrò gli auricolari, che stava
repentinamente staccando dalle sue orecchie.
«Ah,
ecco spiegato perché non mi sentivi! Ma leggi e ascolti
musica
contemporaneamente?»
«Sì,
la musica mi fa da sottofondo per isolarmi da tutto il
resto… e dai programmi
idioti che mio padre vede in tv!»
«Ah…capito…»
Ecco la nota sarcastica puntuale come sempre… iniziavo a
preoccuparmi
sentendola così gentile e conciliante!
Eppure
c’erano dei momenti in cui Sofi sapeva essere davvero una
persona tranquilla e
pacifica, ma ultimamente stava proprio dando il peggio di sé
con l’acidità!
Forse derivava dal momento che stava attraversando… ammesso
che ci fosse un
momento particolare nella sua vita in quel periodo! Mi esplose nella
mente il
nome Lucien , ma cercai di accantonarlo: ero lì per chiedere
un aiuto a Sofi, o
almeno quello doveva risultare il motivo principale e non potevo usare
la
parola Lucien prima di averle chiesto se potesse salvarmi gli abiti.
«Pasi…
perché ogni volta che vieni qui, t’incanti? Inizio
a pensare che casa mia sia
stregata, non è possibile che riesca ad ammutolirti in
questo modo!» Sofia
come al solito mi destò dai miei
pensieri e mi affrettai a risponderle:
«Sì,
scusami… ero sovrappensiero…»
Mi
guardò in silenzio studiandomi per qualche secondo.
«Qual
buon vento ti porta da queste parti? Vuoi continuare il discorso
iniziato sulla
spiaggia?»
Avevo
del tutto dimenticato i miei propositi di parlarle di
quell’evento! Presa dalla
mia curiosità nei suoi confronti e risollevata dalla
consapevolezza che Stè non
fosse ferito dalle parole aspre di Emile, non avevo più dato
peso all’idea di
parlare anche con Sofia, in merito a quella spiacevole
discussione… Anche se
dirle che Stè non era ferito, come lei melodrammaticamente
aveva suggerito,
poteva essere una piccola rivincita nei suoi confronti.
«Diciamo
che è incluso nel pacchetto, ma il motivo principale
è un altro: ho bisogno di
un aiuto casalingo!»
*****
«Uhm…
questi abiti sono conciati davvero male… hai ridipinto
casa?»
«No,
non ero io a dipingere… Alberto sta facendo un ritratto di
Claudine!»
Lo
dissi orgogliosa e piena di gioia e il mio sorriso doveva essere
davvero ampio,
perché vidi alleggerire quell’espressione
perennemente seria su volto di Sofi .
«Alberto
è il padre di Emile, giusto?»
«Sì,
è lui e non dipingeva da vent’anni!»
«Capisco…
quindi ti sei gettata su di lui, incurante che fosse sporco di pittura
e questa
è la conseguenza!»
«Sì…
ero troppo felice di vederlo dipingere di nuovo e come se non bastasse,
stava
facendo un ritratto alla donna che amava… l’amore
della sua vita… È così
romantico!»
Sofi
mi guardò interdetta e in seguito abbassò lo
sguardo, facendo un mezzo
sorrisino: «Sembri una bambina quanto ti entusiasmi per
queste romanticherie.»
«E
come potrei non farlo, Sofi! Alberto ha un amore così
grande, così sconfinato
per sua moglie… Anche ora che Claudine non
c’è più, lui la porta sempre nel
cuore: cosa c’è di più bello e
romantico?»
«Ah
nulla, certo… Se fossi una persona romantica probabilmente
ora starei
saltellando per la casa insieme a te, ma non è questo il
caso, quindi mi limito
ad osservare te e a prendere atto degli eventi.»
Certe
volte con le sue parole, Sofi riusciva ad inaridire qualsiasi
situazione…
«Scusa
un attimo, ma tu non eri quella che ci ha raccontato della leggenda del
Filo
Rosso del Destino? Non eri quella che sosteneva che alcune persone,
sono
destinate ad avere un legame per sempre?»
«Quante
volte te lo devo dire, Pasi? Sì, è vero che
alcune persone sono destinate a
legarsi, ma questo non significa che quel legame porterà
felicità, o che sia il
legame del “Grande ed Eterno Amore”…
bisogna essere realistici nella vita,
Pasi, i legami di coppia non sono eterni, anzi, sono quelli
più fragili in
assoluto!»
«Tu
non credi all’amore, Sofi?»
Mi
venne spontaneo farle una domanda simile, non avevo nemmeno pensato che
la sua
risposta potesse portarmi a saperne di più su ciò
che provava per Lucien
(ammesso che Rita avesse visto giusto) e me ne resi conto solo in
seguito.
«Credo
che uomini e donne siano fatalmente attratti gli uni dalle altre e
viceversa,
ma non riesco a vedere gioia in questo Pasi: i legami di coppia sono
devastanti
quando non funzionano e di solito quest’ultimo è
il caso più frequente.»
Con
l’esempio che aveva in famiglia, di una madre totalmente
assente e un padre che
ancora soffriva per l’abbandono della moglie, Sofia non
poteva che avere un
concetto triste e depressivo dell’amore.
«E
se ti capitasse d’innamorarti, cosa faresti?»
Probabilmente
con quella domanda mi ero giocata le confidenze di Sofia, era
un’invadenza non
richiesta in un campo del tutto personale, ma eravamo pur sempre amiche
e mi
aveva detto che avrebbe fatto uno sforzo per aprirsi di più
a me… Così sperai
in quel dieci per cento di probabilità che avevo, di
riuscire ad ottenere una
risposta da Sofi, che non fosse un “Questo
non ti riguarda”. Vidi però il suo volto
irrigidirsi e farsi più cupo… mi
sembrò persino che fosse arrossita… Forse Rita
non era davvero andata lontano
dalla verità!
«Spero
che non mi accada… che non accada mai!»
Il
suo tono era terribilmente serio e determinato: Sofi aveva paura
d’innamorarsi!
In
quel momento mi resi conto di riuscire a capirla: prima
d’incontrare Emile
avevo la sua stessa paura, lo stesso terrore di perdermi in un
sentimento che
mi annullasse, che mi portasse ad essere chi non volevo e che mi
devastasse
psicologicamente com’era accaduto nei casi precedenti: Sofia
aveva visto in che
stato ero, aveva visto la sofferenza di Rita quando lei e Fede si erano
lasciati e vedeva il dolore di suo padre da decenni!
«Ti
capisco sai? Forse questa è l’unica cosa che ci
avvicina davvero: avevo la tua
stessa identica paura anche io, ricordi?»
«Sì,
lo so, Pasi… ma risparmiami la solfa dell’amore
vero che ci salva dalle paure,
perché ad essere sincera, io non vedo come un tipo come
Emile possa farti
davvero felice!»
«Se
è per quello, non vedevi di buon occhio nemmeno che Fede e
Rita tornassero
insieme! E invece guarda come sono felici!»
Ignorai
volutamente quell’accusa verso Emile, non volevo litigare di
nuovo con Sofi,
proprio ora che sentivo una maggiore vicinanza tra noi. Ma la mia amica
era un
osso duro e sorrise sarcasticamente alla mia ultima frase.
«È
troppo presto ora, sono insieme da pochi mesi… I problemi si
vedranno col tempo.»
«Sei
troppo dura Sofi, io invece credo che questa sia la volta buona per
loro… e
credo che nel momento in cui incontrerai anche tu la persona giusta,
cambierai
finalmente idea!»
«Ammesso
che esista, questa “persona giusta”…
cosa a cui non credo minimamente.»
«Vedrai
che quando meno te l’aspetti, ti pioverà dal
cielo!» E chissà che non
sia già qui!
«Quel
giorno allora, me ne starò chiusa in casa!»
«Uffa
Sofi, come sei negativa! Essere innamorati non è mica solo
sofferenza! È un
rimestamento interno e
arrivi a provare
cose che normalmente non riusciresti mai a sentire… E la
gioia che sa darti il
solo pensare alla persona che ami… È vero ci sono
momenti di totale sconforto,
perché si vive tutto intensamente, anche i litigi e i
momenti tristi, ma se il legame
che unisce due persone è forte, tutto si supera e dopo ci si
sente ancora più
uniti di prima! È bello essere indipendenti Sofi, ma
è ancora più bello essere
in due e sapere che qualsiasi cosa accadrà nella tua vita,
avrai sempre almeno
una persona accanto, che ti sosterrà in qualsiasi
momento.»
«Ci
sono gli amici, per quello… sono molto più
affidabili loro, di un ragazzo!»
«Proprio
non riesco a farti cambiare idea, vero? I ragazzi non sono tutte belve,
ne esistono
anche di gentili, pazienti e che ti restano accanto… ad
esempio, penso che
Lucien sia così.»
Mi
congratulai con me stessa per essere riuscita ad infilare il nome del
cugino di
Emile nel discorso, con totale nonchalance: era vero ciò che
stavo dicendo e se
fossi anche riuscita a carpire qualcosa dalla reazione di Sofi, mi
sarei
sentita fiera di me come se avessi vinto un Nobel!
«Cosa
c’entra Lucien, ora?»
Eccola
la reazione che cercavo! La stessa che ebbe quando nominai sua
madre… Lucien
era un argomento scottante, allora! Rita aveva visto bene!
«Era
un esempio, Sofi, non scaldarti… pensa a quanto è
paziente con Emile, al fatto
che l’abbia persino difeso, nonostante fosse stato trattato
male da lui i
giorni precedenti… Secondo me, Lucien è una
persona che quando vuole bene a
qualcuno, fa di tutto per mantenere quel legame.»
«Puoi
dire quello che vuoi, ma non m’interessa, il discorso per me
è chiuso qui.
Vediamo di concentrarci su questi vestiti, ora!»
Per
il resto del pomeriggio, non sollevammo più
l’argomento e dimenticai persino di
dirle che avevo parlato con Stè. Ero troppo raggiante,
perché avevo ricevuto la
mia risposta: quella reazione e quel suo voler tagliar corto su Lucien,
mi
avevano rivelato ciò che le sue parole non volevano fare ed
ora non mi restava
che sondare l’altra metà della mela, il biondo
cugino di Emile.
E
mentre io elucubravo piani diabolici d’aspirante Cupido, Sofi trovò un
modo per salvarmi gli abiti:
colorarli del tutto! Grazie alla Provvidenza aveva uno di quei
coloranti per
abiti, che si usano direttamente in lavatrice e si offrì di
usarlo sui miei vestiti
bianchi, che in quel modo avrebbero ricevuto un omogeneo color blu notte, nascondendo le
macchie dei colori
di Alberto ed io avrei avuto due capi come nuovi! Purtroppo non avevo
il tempo
necessario ad attendere il lavaggio, l’asciugatura e la
stiratura, così le
lasciai in consegna il lavoro, ringraziandola ripetutamente e
promettendole di
tornare al più presto per recuperate i miei vestiti.
*****
Purtroppo
il mio buonumore si spense nel momento in cui iniziai il mio turno
lavorativo.
«Oddio
che caldo qui dentro!»
Ogni
giorno era peggio, lavorare al chiuso di una cucina d’estate,
era un vero e
proprio incubo. Poco aiutava il fatto che fosse sera e che il sole
fosse
calato, il calore accumulatosi intorno ai fornelli e alle friggitrici
non aveva
modo di andare via, perché l’aria esterna era
troppo calda per dissipare quella
interna e non aiutava nemmeno il fatto che in quella cucina,
l’unica finestra
fosse piccola e posta in alto, ovvero inavvicinabile per la
sottoscritta!
L’unica soluzione era quella di mantenere la porta di
servizio aperta, ma con
l’andirivieni di auto che c’era
all’esterno, non era una condizione fattibile,
a meno che non volessimo ritrovarci qualche estraneo
all’improvviso nelle
cucine! Di conseguenza, non ci restava che sudare e sperare che la
serata
terminasse il prima possibile.
«È
infernale il caldo in questa stanza, come diavolo fate a
rimanerci?»
«Secondo
te? Dobbiamo rimanerci, si chiama
lavorare!»
Serena
era l’unica in tutto quel locale, che aveva la
capacità d’irritarmi a morte:
era una delle cameriere, ma probabilmente, era l’unica a non
aver capito come
fare il suo lavoro: perdeva quasi tutto il tempo a parlare con i
clienti, con
il risultato che le sue ordinazioni erano sempre quelle più
in ritardo e
caotiche. Eppure era ancora lì a lavorare, perché
la ragazza era provvista di tinti
capelli biondi e ricci e di un “airbag”
personale che rendeva le sue argomentazioni davvero interessanti agli
occhi dei
clienti, che raramente si lamentavano del servizio. Senza contare che
il nostro
datore di lavoro, dimenticava presto le mancanze della sua sottoposta.
E mentre
lei ogni giorno faceva la sua sfilata di moda e intratteneva il
pubblico
pagante, io e i miei poveri sfigati colleghi, sgobbavamo in
quell’inferno fatto
di patatine fritte e hamburger di tutti i tipi… Mai una
volta che chiedessero
le insalate!
«Come
sei acida stasera, Pasi! Hai problemi con il tuo ragazzo,
forse?»
«Cosa?»
Mi
girai con sguardo furente verso quella babbea che osava fare certe
insinuazioni… Già dovevo patire il caldo in quel
modo infernale, ci mancava
solo che mi ricordasse quanto mi mancasse Emile!
«Uhm,
mi sa che ho centrato in pieno il problema, eh? Meglio che me ne
vada!» Serena
si diresse verso la sala con un sorrisetto soddisfatto e si chiuse la
porta
della cucina alle spalle, lasciandomi
sola con la voglia di metterle le mani al collo.
«Quell’oca
giuliva! Solo lei e le sue insinuazione stupide ci volevano,
oggi!»
«Pasi,
penso che tu debba fare un disegnino a Serena per spiegarle cosa
significhi
lavorare, quella ragazza è
capace solo
di fare pettegolezzi.»
«Sarebbe
inutile, Stella, non capirebbe nemmeno quello!»
«Hai
ragione, è un caso disperato, per fortuna non
dobbiamo lavorarci insieme più di tanto, pensa
ai poveracci che hanno a
che fare con lei, in sala!»
La
mia collega aveva pienamente ragione: io, lei e Paolo lavoravamo al
sicuro in
cucina e anche se era un inferno in quel periodo, non era paragonabile
al
lavoro in sala, soprattutto per quelli che dovevano accollarsi anche i
tavoli
che Serena dimenticava puntualmente di servire!
«Perché
vi accanite sempre contro quella ragazza? Siete proprio due
perfide.»
«Oh
andiamo, ma se nemmeno tu la sopporti!
Oppure
ho perso qualche news?»
Paolo
era uno di quei tipi felicemente singles, che si godevano tutti i
privilegi del
caso. In poche parole, ogni scusa era buona per portarsi a letto una
nuova
ragazza e iniziavo a pensare che Serena fosse entrata a far parte della
lista.
«Beh,
in effetti è meglio se chiude la bocca, ma ha altre doti non
indifferenti.»
«Che
ti dicevo io, Pasi? Non se ne salva una! Siamo rimaste solo io e te,
ormai.»
«Che
ci posso fare, scusate? Le ragazze sono belle e mi piacciono e
finché anche io
piacerò loro, che male c’è se ci
divertiamo un po’?»
«Ordinazione
in arrivo, ragazzi!»
Stella
interruppe il nostro battibecco, vedendo arrivare
un’ordinazione che ci riportò
subito al dovere, ma nel frattempo Serena tornò in cucina
per prendere altro
ketchup e iniziai sospettare che quella nuova celerità fosse
dovuta ad un suo
improvviso interesse nel tornare il
più possibile in quella stanza… Avevo paura che
nelle prossime sere non ce la
saremmo tolta di dosso! E infatti la vidi muoversi in modo sinuoso
intorno a
Paolo lanciandogli occhiate languide, prima di tornare in sala: il mio
collega
le lanciò un bacio volante ed io tornai al mio dovere
disgustata.
«Sei
caduto davvero in basso, avrà anche mille doti nascoste, ma
è così irritante!
Mi vien voglia di strozzarla ogni volta che la vedo!»
«Potrei
pensare che tu sia gelosa.»
«Io?
Ma fammi il piacere! Sono felice per conto mio e non ho certo bisogno
di venire
ad elemosinare le tue attenzioni, né di dividerti con Serena!»
Calcai
la voce con un tono di disgusto, sull’ultima parola: se anche
lontanamente,
Paolo fosse stato il mio tipo e non fossi stata impegnata con Emile, il
solo
pensiero che fosse stato con quella bionda monocellulare, mi faceva
passare
qualsiasi voglia di farci alcunché.
«Ah
già, dimenticavo, tu hai il tuo Emile!»
«Ora
il geloso sembri tu!» Stella intervenne al momento giusto,
con quella battuta
che mi salvò dal saltare addosso a Paolo: evidentemente
Serena gli faceva un
brutto effetto, perché non si era mai rivolto a me con lo
stesso tono
canzonatorio che avevo sentito nella voce della bionda poco prima; era
già la
seconda volta che si metteva in mezzo Emile quella sera e
già non ne potevo
più!
«Geloso,
io? Assolutamente no, non so nemmeno se esiste questo tipo.»
«Cosa
diav...»
Mi
stava facendo davvero alterare e se non fosse stato per
l’intromissione
tempestiva di Stella, avrei davvero attaccato Paolo e le sue
insinuazioni da
quattro soldi!
«Calmati
Pasi e mettiamoci al lavoro, altrimenti faremo tardi con le
ordinazioni.»
Per
fortuna il lavoro ci assorbì per tutto il tempo susseguente
e gli irritanti
discorsi su Serena ed Emile non furono più aperti. Dal canto
mio, evitai altri
commenti ogni volta che quella
tipa
entrava in cucina e cercai di ritrovare il mio buonumore andato a farsi
friggere insieme alle patatine, pensando al nuovo aspetto di Sofia che
avevo
visto nel pomeriggio.
Era
bello saperla interessata a qualcuno ed ero davvero felice che quel
qualcuno
fosse Lucien, speravo che ciò che le stava nascendo nel
cuore sarebbe stato
capace di darle una nuova speranza nel futuro, che le riportasse il
sorriso sul
viso. Una parte di me mi stava dicendo che m’impicciavo
troppo, ma l’altra era
così felice, così speranzosa di vedere Sofia
finalmente felice e serena, che
non riuscivo a darmi una calmata, così mi dissi che quella
notte, avrei potuto
anche concedermi di far spaziare la fantasia, un po’ per
distrarmi e un po’ per
crogiolarmi nell’idea di Sofi innamorata.
L’indomani avrei cercato di
moderarmi, ma quella sera avevo bisogno di una buona notizia per
sopportare
quelle ore infernali.
«Pasiiiiii,
allora mi vuoi sentire?»
Possibile
che nemmeno Sofia riusciva a vincere la voce irritante di Serena? Cosa
diavolo
voleva da me ora? «Cosa c’è!? Si
può sapere che ci fai di nuovo in cucina?!»
«Che
modi antipatici! Ti sto chiamando da un pezzo, non è colpa
mia se non mi senti!»
«Ero
concentrata, qui dentro si lavora, se non te ne fossi resa
conto.»
Serena
incrociò le braccia al petto indispettita: «Mi
vien voglia di non parlarti
affatto! Se non fosse che aspettano risposte là
fuori!»
Risposte?
Forse qualche cliente aveva da lamentarsi? Dovevo aver combinato
qualche
disastro mentre ero sovrappensiero…
«Cos’è
successo? Cos’è andato storto?»
«Nulla,
spero… per te. Perché anche se tu non mi
sopporti, a me non stai antipatica e
non ti augu…»
«Serena,
devo lavorare, non ho tutto il tempo, dimmi quello che devi e lasciami
continuare!» Rimase stupita dalla mia brusca interruzione: mi
guardò con astio
e con lo stesso tono, finalmente mi spiegò il motivo che
l’aveva condotta per
l’ennesima volta in quella cucina.
«C’è
una, là fuori, che vuole vederti.»
«Vuol
vedere me?»
«Sì…»
Vidi
Serena assumere un atteggiamento più rilassato.
«L’ho
sentita mentre parlava con una accanto a lei che nominava un certo
Emile e le
ho detto che il mondo è davvero piccolo, visto che
è la seconda persona che
incontro che conosce un tipo con questo nome… e allora lei
mi ha chiesto chi
conoscevo io e le ho parlato di te.»
Era
spettacolare il modo naturale in cui Serena non manteneva il riserbo
sulla vita
privata altrui… Chi mai poteva essere, questa tipa che
chiedeva di me? E come
faceva a conoscere Emile? Del resto dubitavo che fosse un caso di
omonimia:
quanti Emile potevano esserci nei dintorni? Morivo dalla
curiosità di sapere
l’identità di questa sconosciuta, ma non era il
momento adatto per fare nuove
conoscenze.
«Io
sto lavorando ora, non posso fermarmi per parlare.»
«Allora
le dico di passare all’esterno e di bussare alla porta di
servizio.»
Senza
nemmeno sentire la mia replica, Serena uscì dalla cucina,
decisa a farmi
incontrare la Donna del Mistero.
«Visto
che non è un orco? Serena sa essere anche gentile, quando
vuole.» Paolo fece un
sorriso soddisfatto verso di me.
«Tu
sei di parte, sono gli ormoni che parlano per te, ora!»
Tuttavia,
nonostante la mia risposta, dovevo ammettere che quella ragazza
insopportabile,
non era poi così insopportabile… Forse ero stata
precipitosa nel giudicarla…
forse.
Trascorsero
una decina di minuti e della tipa misteriosa non si sentì
più parlare e presa
dal lavoro, me ne dimenticai totalmente. Ma dopo un paio
d’ore (o almeno
credetti che fosse trascorso quel lasso di tempo), quando la cucina fu
finalmente nella fase calante con le ordinazioni, sentii bussare alla
porta di
servizio.
Io
e Stella ci guardammo curiose, mentre Paolo andò aprire
guardandomi con
un’espressione ironica: ero certa che si aspettasse una
scenata del tipo: “Sta’
lontana dal mio Emile” ed io
speravo con tutto il cuore che non fosse quella l’occasione,
perché iniziavo a
temere la portata della mia gelosia.
«Buonasera,
cosa posso fare per te?»
Sentii
la voce di Paolo in “modalità
cascamorto” e compresi che la Donna del Mistero
doveva essere una ragazza graziata dalla Natura… ma che
evidentemente non era
affatto interessata alle avances del mio collega.
«Mi
hanno detto che qui potevo trovare la ragazza di Emile Castoldi,
è vero?»
Mi
precipitai verso la porta, liberando quella tipa dalla presenza
ingombrante di
Paolo, curiosa come non mai di vedere chi fosse: «Sono
io.»
La
Donna del Mistero, era una ragazza alta e snella dai lunghi capelli
lisci e
neri, dagli occhi scuri e da un trucco pesante che s’intonava
al suo
abbigliamento dark.
«Oh,
che piacere conoscerti, Pasi!»
Il
suo aspetto cambiò all’improvviso quando,
guardandomi finalmente in viso, mi
rivolse un sorriso sereno e lieto.
«Io
sono Iulia, piacere di conoscerti!»
Mi
affrettai a presentarmi allungando la mano
verso quella in attesa di Iulia e rendendomi conto che conosceva
già il nome,
mi chiesi chi diavolo fosse quella ragazza! Il suo sorriso non
presagiva brutte
notizie e la scenata tanto attesa da Paolo, ma a quel punto davvero non
riuscivo a immaginare chi fosse, perché conoscesse Emile,
perché sapesse il mio
nome e cosa volesse da me.
«Scusa
se ho insistito per vederti mentre lavoravi, ma ho sentito parlare
tanto di te
e non ho la più pallida idea di quando avremmo potuto
incontrarci, così non ho
voluto perdere l’occasione!»
Continuò
a sorridermi come se si aspettasse che la
riconoscessi, ma evidentemente il mio viso doveva avere
l’aspetto di un punto
interrogativo, poiché continuò a presentarsi.
«Oh,
hai ragione, non mi sono ancora presentata come si deve, immagino che
Franz non
ti abbia mai parlato di me.»
Franz?
CHI diavolo era Franz!?
«Come
scusa? Chi…»
«Francesco,
il chitarrista dei GAUS; lo conosci, vero?»
Francesco!
Ma certo!
Ora
iniziavo a vedere la luce in quel buio, ecco perché
conosceva il mio nome,
Francesco le aveva parlato di me!
«Certo
che lo conosco! Lui e Filippo sono una coppia spassosissima, se non
fosse per
loro in quel gruppo non si riderebbe mai!»
«Hai
completamente ragione! E scusami se te lo dico, ma ad iniziare dal
frontman,
sono sempre tutti così seri e pesanti! Per fortuna che il
mio Franz non si è
fatto influenzare!»
“Il
mio Franz!”: la luce si faceva sempre più ampia,
finalmente avevo capito tutto:
«Sei la ragazza di Francesco!»
«Risposta
esatta!»
Iulia
mi sorrise soddisfatta e la vidi armeggiare nella sua borsetta in
stoffa:
piccola, senza fronzoli e rigorosamente nera.
«Come
premio, ti regalo questo.» Mi porse un sacchettino fatto ad
uncinetto. «Dovevo
consegnarlo ad una mia cliente, ma ha disdetto proprio oggi e visto che
ormai
ce l’avevo, lo regalo a te. Dentro c’è
il mio numero di telefono, mi piacerebbe
vederti qualche volta, quindi aspetto una tua telefonata quando sarai
libera,
se ti va.»
Totalmente
senza parole, presi il regalo inatteso e la guardai con
l’espressione più
sorpresa della terra.
«Ora
vado, non voglio farti trovare nei guai mentre lavori, aspetto che mi
chiami,
ok? A presto.»
Salutandomi
con una mano, si allontanò senza darmi nemmeno la
possibilità di replicare e
per la prima volta in vita mia, rimasi senza parole,
sull’uscio di quella
cucina.
*****
Tornai
a casa stanca morta: il calore infernale di quella cucina riusciva a
debilitarmi
più del lavoro in sé e per sé e solo
nel momento in cui varcai la soglia di
casa, ricordai del pacchetto di Iulia. Ma c’era ancora una
cosa da fare, prima
di cedere alla curiosità: accesi il cellulare, lasciato
spento mentre lavoravo
e vi trovai due chiamate perse di Emile. Mi si strinse il cuore per la
tristezza: era la seconda sera di fila che non riuscivamo a parlare,
perché quando
avevo il turno notturno era impossibile riuscire ad essere disponibile,
per sentirci
prima di andare a dormire.
Senza
molte speranze gli feci uno squillo e trovai il cellulare acceso, ma
dopo una
serie di ulteriori squilli desistetti: se non mi aveva ancora risposto,
probabilmente si era addormentato con il telefono acceso e non volevo
disturbare il suo sonno. Lasciai comunque il mio cellulare acceso,
augurandomi
che quella settimana trascorresse il più in fretta possibile
in modo da cambiare
il mio turno di lavoro e mi decisi ad aprire il pacchetto di Iulia:
come aveva
detto lei, nel sacchetto c’era un foglietto arrotolato con un
numero di
telefono, più un ciondolo fatto in uno di quei materiali
nuovi, quelle
ceramiche sintetiche in cui avevo visto molti bijoux. Aveva un ciottolo
in
vetro al centro ed era decorato da un disegno astratto che si estendeva
in basso
con una serie di
intrecci, la pasta
usata era rigorosamente nera e il ciottolo sembrava viola. Ricordai la
frase di
Iulia: “Dovevo consegnarlo ad una
mia
cliente” e ipotizzai che il ciondolo fosse opera
sua, un’altra artista!
Quella
ragazza mi aveva incuriosito con il suo modo di fare e mi ripromisi di
chiamarla, appena avessi avuto del tempo libero e sicuramente dopo che
avessi
visto Emile, perché vedendo il display del mio cellulare
spietatamente scuro,
senza un segno di chiamate, tirai un sospiro di rassegnazione e mi
decisi a
chiudere quella giornata.
*****
«Pasi
che hai, ti vedo pensierosa.»
«Eh?
No…non è niente Fede, davvero.»
Il
pomeriggio successivo al mio incontro con Iulia, andai al centro,
decisa ad
occuparmi un po’ delle mia stanza, che avevo trascurato fin
troppo. Decisi di
dare una ripulita ed una sistemata sugli scaffali, o meglio, quella era
stata
la mia intenzione iniziale, perché quando Fede mi
riportò alla realtà, mi resi
conto di essere rimasta ferma con dei libri in mano per un
po’ di tempo.
«Lo
sai che non puoi mentirmi, sei pensierosa, c’è
qualcosa che ti preoccupa?»
Sapevo
di non poter reggere il gioco per molto tempo e del resto,
perché mai avrei
dovuto? Fede era mio amico e potevo tranquillamente sfogare le mie
ansie con
lui.
«Sono
un po’ giù di morale perché mi manca
Emile, anche se da un altro verso, sono al
settimo cielo per un’altra situazione… e poi ieri
ho conosciuto una tipa strana
che mi ha incuriosito…»
«Uhm,
la tua vita è movimentata come sempre, eh?» Fede
mi fece un sorriso rassicurante,
venendomi incontro.
«Coraggio,
siediti e dimmi cosa c’è che non va.»
Ovviamente
colsi la palla al balzo: mi accoccolai su una delle sedie poste davanti
alla
mia scrivania, accanto al mio amico e gli raccontai
dell’incontro con Iulia e
dei due giorni trascorsi senza nemmeno sentire il mio Pel di Carota.
Fede mi
ascoltò senza battere ciglio e senza alcuna interruzione.
Cercai di non
accennare alla storia di Sofia, perché volevo esserne sicura
prima di
spifferare le mie ipotesi al vento, ma avevo dimenticato due
particolari che
vennero alla luce appena terminai mio lungo discorso: il primo, era che
Fede mi
leggeva come un libro aperto…
«E
quella situazione che ti fa stare al settimo cielo, immagino sia
inerente a
Sofia.» … e due, se io avevo il ruolo di Sherlock
in quella situazione, lui era
il ragazzo del mio Watson.
«Rita
ne ha parlato anche con te?!»
«Rita
sa mantenere un segreto a tutti tranne a me e dato che io non
c’ero quella sera,
ha sentito il bisogno di aggiornarmi.»
Il
sorriso di Fede nel parlare della sua ragazza era dolce e traspariva da
esso
tutto l’amore, che il mio amico provava per lei: Rita a volte
era infantile
proprio come una bambina e quel tratto della sua personalità
che a molti
avrebbe dato fastidio, per Fede era un piccolo difettuccio che la
rendeva
ancora più bella ai suoi occhi.
«Posso
darti un consiglio a questo proposito? Conosco Sofia da anni e so
quanto sia riservata,
quindi per quanto tu e Rita siate emozionate all’idea che la
nostra piccola amica
abbia trovato un po’ di tenerezza nel suo cuore, rispettate
la sua riservatezza
ed evitate di inondarla di domande o di frasi sibilline. Sofia ha un
carattere
particolare e il vostro intervento non richiesto la farebbe chiudere
ancora più
in se stessa.»
«Ci
avevo già pensato Fede e dato che io e lei abbiamo
già dei trascorsi, non
voglio intromettermi più di tanto… ho solo
cercato di appurare la teoria di
Rita fosse vera…»
Terminai
quindi il mio lungo discorso, raccontando al mio amico delle
conclusioni a cui
ero giunta.
«Credo
che tu e Rita abbiate visto nella giusta direzione e a maggior ragione,
cerca
di non esagerare, Pasi.»
«Non
lo farò, promesso!» Mi guardò con un
sorriso soddisfatto.
«Bene.
Per quanto riguarda questa Iulia, non ho granché da
consigliarti: se ti va
d’incontrala fallo, altrimenti a quanto ho capito, avrai
ugualmente modo di
conoscerla prima o poi. Sull’argomento
Emile
invece, posso solo dirti che dovrai fartene una ragione,
perché questa è la
vita che vuole fare e ci saranno tanti altri periodi impegnativi come
questo,
lo sai. A meno che tu non decida di vivere in funzione dei suoi
impegni,
dovrete trascorrere molti momenti lontani e separati ed è
bene che te ne renda
conto subito, perché se non ce la fai a sopportarlo,
è meglio che chiudiate ora
la vostra storia prima, che le cose diventino più complicate
e profonde.»
Fede
aveva pienamente ragione, ma nel momento in cui aveva pronunciato la
parola “chiudiate”,
avevo sentito una fitta a centro del mio cuore che mi aveva tolto il
respiro
per qualche secondo: non era minimamente concepibile per me
un’idea simile,
anche se razionalmente avrei dovuto considerarla. Ma il mio cuore, da
troppo
tempo mi diceva che il mio destino era negli occhi di Emile e che
qualsiasi
fosse stato il problema, l’avremmo superato insieme. Non
avrei mai potuto
lasciarlo, anche se questo mi fosse costato settimane e settimane
sottolineate
dalla sua assenza.
«No
Fede, ce la faccio, sono in grado di aspettare; probabilmente non mi
abituerò
mai alla sua assenza, ma so che devo farmene una ragione…
tanto posso sfogarmi
con voi quando mi manca, vero?»
Gli
rivolsi un sorriso carico di speranza, perché
l’appoggio dei miei amici, come
sempre, era la colonna portante di tutta la mia esistenza e non avrei
mai
potuto rinunciare a loro.
Fede
poggiò la mano su un mio ginocchio rassicurante:
«Ma certo, altrimenti che ci siamo
a fare?»
Gli
sorrisi grata e in quel momento, pensando all’appoggio che mi
aveva appena
confermato, mi rabbuiai ricordando l’episodio in cui quel
sostegno era
improvvisamente venuto a mancare:
«Fede…
anche tu hai una
cattiva opinione di
Emile?»
Federico
era sempre stato, tra i miei amici, quello in grado di gestire gli
umori
ballerini del mio Pel di Carota ed era anche l’unico che
riusciva a parlarci
facilmente: avevo sempre dato per scontato che lo capisse,
probabilmente anche
meglio di quanto facessi io, ma alla luce del discorso di Sofi sulla
spiaggia e
alla reazione di Rita, avevo iniziato ad avere dei dubbi anche su di
lui.
In
risposta alla mia domanda, mi sorrise gentile e mi guardò
con tenerezza, come
si guarda una sorella minore, o un bambino:
«Ti riferisci al discorso sulla spiaggia,
vero?»
«Sì…
Sofi e Rita mi hanno lasciato intendere che sono d’accordo
nel giudizio su di
lui… Con Stè ho parlato e non è
arrabbiato con Emile, quindi mi chiedevo se
anche tu fossi d’accordo con le ragazze, oppure
no…»
Ero
tesa, temevo il momento in cui mi avrebbe risposto, perché
l’idea che il mio
Pel di Carota non piacesse ai miei amici era terribile e
destabilizzante e lo
sarebbe stata ancor di più se anche Fede fosse stato dello
stesso avviso,
poiché raramente si sbagliava sulle persone. Non riuscivo a
vedere Emile
nell’ottica di Sofi e Rita, non potevo assolutamente credere
che mi facesse
soffrire volontariamente, non dopo quello che mi aveva detto, non dopo
tutti
sensi di colpa che aveva nei miei confronti!
Fede
si prese una piccola pausa per ponderare bene la sua risposta e mi
guardò con
serietà.
«Non
è mia abitudine dare dei giudizi sulle persone,
perché negli atteggiamenti di
tutti c’è sempre un punto di vista buono e uno
cattivo e spesso, vediamo ciò
che vogliamo vedere, o ciò che è molto
più vicino al nostro modo di pensare. È
vero anche però, che ho avuto modo di conoscere un
po’ Emile e quello che ho
capito di lui è che è una persona ferita, che
difficilmente si apre agli altri
e spesso non riesce a gestire ciò che sente. Non credo che
abbia voluto farti
del male consapevolmente, il suo attacco era diretto solo verso Stefano
e in
questo non è stato diverso dagli altri che lo hanno
preceduto. Probabilmente
Sofia e Rita hanno reagito in quel modo perché sono
preoccupate per te, perché
vorrebbero vederti accanto a qualcuno meno ombroso e più
socievole, qualcuno
più simile a te.»
«Quindi
non hai una cattiva opinione di Emile!»
Fede
sorrise, comprese cosa volevo sentirmi dire con tutto il cuore e mi
diede la
risposta che cercavo:
«No,
non ho una cattiva opinione del tuo ragazzo: è un normale
maschio geloso, con
l’aggravante che è poco socievole.»
«Oh
Fede, non sai quanto mi fai felice!»
Saltai
letteralmente al collo del mio amico per abbracciarlo, presa dalla
gioia di non
aver perso del tutto l’appoggio dei miei amici.
I
miei genitori potevano criticarmi fino alla fine dei miei giorni e ci
sarei
stata di sicuro male, ma l’avrei sopportato a testa alta, se
invece le critiche
provenivano dai miei amici, mi si apriva uno squarcio sotto i piedi e
all’interno della mia anima, perché loro erano il
mio appoggio incondizionato,
erano la famiglia che avevo scelto, erano il mio sostegno e non avrei
mai
potuto sopportare i loro sguardi accusatori o un clima teso
all’interno del
nostro gruppo. Inoltre, Emile faceva parte a pieno titolo di quella
famiglia che
stavo costruendo intorno a me e non sarei sopravvissuta ad
un’altra spaccatura
familiare, non tra di loro!
Fede
iniziò a ridere e ricambiò l’abbraccio,
prima di tornare ad assumere un tono
lievemente più serio.
«Non
arrabbiarti con Rita e Sofia, hanno reagito in quel modo solo
perché tengono sia
a te che a Stefano; del resto lo sai cosa accade quando entra un
estraneo in un
gruppo: deve superare qualche prova prima di poter essere
accettato.»
«Hai
ragione, forse ho preso l’accaduto un po’ troppo
drammaticamente, ma voi per me
siete davvero importanti e il solo pensiero di avere Emile da una parte
e voi
dall’altra senza potervi unire, mi ha diviso il
cuore in due parti, mi sono sentita persa.»
«Lo
so Pasi, ho visto quanto ci stavi male, per questo ho fatto capire a
Sofia che
era giunto il momento di smetterla; anche lei quando inizia a dare
addosso a
qualcuno, non si ferma se non viene bloccata.»
«Io
lo dicevo che è simile ad Emile! E lei invece non lo vuole
ammettere!»
Mi
staccai di colpo dall’abbraccio di Fede, presa da quel
discorso che mi mandava
in bestia.
«Sì,
è molto simile ad Emile ed è per questo che non
vuole ammetterlo, non potrebbe
mai sopportare l’idea di somigliare a qualcuno che non le
è simpatico!» Fede
fece un sorrisetto ironico diretto alla nostra amica e tra il divertito
e il
pensieroso aggiunse: «Certo che se si è innamorata
davvero, sono proprio
curioso di vedere come si comporterà!»
*****
«Mais
no, Pasi, la pronuncia è sbagliata e qui Stefano, hai
sbagliato l’accento…»
«Te
l’avevo detto io che ci serviva un insegnante, Testarossa, ho
l’impressione che
abbiamo sbagliato tutto!»
«Lo
so Stè… mi sembra di essere tornati a
scuola!»
«Mi
state ascoltando?»
«Sissignore!»
«Sissignore!»
Sì,
era davvero come tornare a scuola, incluso il modo mio e di
Stè di rispondere
all’unisono.
Ogni
volta che avevamo potuto farlo, ci eravamo scelti come compagni di
banco e
Lucien nel suo modo preciso di fare le cose, aveva deciso di
comportarsi
proprio come un insegnante, dandoci dei compiti e facendoci sedere una
accanto
all’altro mentre li controllava, proprio come un professore
davanti ai suoi
alunni. E in quel momento io e Testa di Paglia, ci stavamo tristemente
rendendo
conto, che da soli non avremmo mai potuto imparare come si deve una
lingua
straniera.
Lucien
era un insegnate paziente e sempre disponibile a ripetere
ciò che ci spiegava,
ma io e Stè messi vicini, non eravamo proprio
l’esempio della concentrazione e
spesso era costretto ad alzare la voce per farsi sentire. Mi resi conto
che
Sofi aveva visto lungo: ci conosceva talmente bene da sapere, senza
nemmeno
aver mai assistito una volta, quanto io e Stè fossimo poco
capaci di fare
silenzio e ascoltare quando eravamo insieme…
«Da
quanto tempo state studiando in queste condizioni?»
Lucien
era in piedi, appoggiato alla scrivania di Stè con
un’aria sconfortata mentre
guardava noi due seduti vicini, di fronte a lui: la scrivania era
troppo
piccola per ospitarci tutti e tre e sin dal primo momento optammo per
una
disposizione dei posti più “dinamica”,
che in quel caso permetteva al nostro
insegnante di osservarci e riportarci all’ordine.
«Uhm…
vediamo… qualche mese, vero Testarossa?»
«Più
di qualche mese, Stè… sarà trascorso
metà anno ormai!»
«Mon
Dieu! E nessuno vi ha mai controllato in questi mesi?»
«In
che senso, Lucien? Non è che marinavamo le lezioni: se non
volevamo studiare,
non lo facevamo e basta!» Stè come al solito
tentava di alleggerire la
situazione con una battuta…
«No
Lucien, abbiamo deciso da soli di iniziare a studiare e credevamo di
essere in
grado di farcela…»
…mentre io abbassai
vergognosa la testa, consapevole di aver creduto troppo nelle nostre
capacità.
«Quindi
non avete chiesto aiuto nemmeno a mon cousin?»
«Proprio
perché tuo cugino non era disponibile, abbiamo deciso di
fare da soli!»
«Volevamo
capire le canzoni di Claudine, ecco perché abbiamo
iniziato…» dissi, facendomi
ancora più piccola…
«E
Sophie? Non ha detto che conosce anche lei le
français?»
«Sofia
non ha la minima pazienza, con noi non reggerebbe che qualche
secondo!»
«Ah…
J’ai compris… Bien, cercherò di
aiutarvi quanto posso, ma quando sarò andato
via, avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti… pardonnnez-moi
se ve le dico, ma
siete un disastro!»
Stè
si fece una grande risata: «Lo sapevo Testarossa,
è proprio come tornare a
scuola!»
«Questo
non mi consola Stè, anzi… mi sento
un’incapace!»
«Mais
no, Pasi, avete solo bisogno di esercizio e di disciplina…
Vi servirebbe
qualcuno che vi preparasse dei programmi, delle lezioni…
qualcuno che vi
facesse concentrare…»
«Un
professore!» Disse Stè bonariamente ,«Se
solo ce lo potessimo permettere…»
«Mais
no… basterebbe solo qualcuno che abbia un po’ di
senso pratico.»
«Una…
come Sofi?»
Buttai
l’esca al momento opportuno: mi stava balzando alla testa
un’idea per
continuare le mie moderate indagini
alla Sherlock “Cupido” Holmes.
«Oui,
Sophie potrebbe andar bene, se volesse aiutarvi…»
«All…»
«A
proposito di Sofia, Lucien sei stato grande l’altra sera!
Solo Federico riesce a
zittirla in quel modo!»
Preso
dall’entusiasmo, Stè non mi diede il tempo di
continuare il mio discorso e
quella sua invadenza di campo mi urtò, perché mi
stava rovinando i piani; ma in
compenso nominando anche lui Sofi, mi aveva dato un altro tipo di
possibilità
per carpire informazioni da Lucien.
«Ti
riferisci a quando ha detto che non balla?»
«Esatto!
Come diavolo facevi a sapere che Sofia non si muove nemmeno sotto
tortura?»
Vidi
Lucien fare un sorrisino soddisfatto prima di rispondere: «In
verità non lo
sapevo… ma visto che l’atmosfera iniziava a farsi
tesa, ho provato a vedere se
riuscivo a distrarla… e volevo anche accertarmi di una
cosa.»
Il
sorriso di Lucien si fece ancora più soddisfatto, ed iniziai
a vedere un nuovo
aspetto del suo carattere: quell’espressione aveva qualcosa
di vagamente
canzonatorio… Lucien aveva messo alla prova volontariamente,
Sofi? E se sì, per
quale motivo? A quel punto non ce la feci a restare in silenzio ed
espressi
tutta la mia curiosità:
«Di
cosa, Lucien?»
«Nulla
d’importante Pasi, avendo in famiglia dei caratteri
complicati, ho iniziato a
capire le persone che si celano dietro le maschere e volevo accertarmi
di aver
individuato il carattere di Sophie.»
«E
cosa hai capito?»
Stè
era curioso quanto me, aveva lo sguardo luminoso e
concentrato… altro che
quando studiavamo francese!
«Perché
io la conosco da quattro anni e non ho ancora capito un accidenti di
lei… Per
me Sofia è un mistero, l’accetto così
com’è ovviamente, ma ho rinunciato a
capirla!»
Lucien
si fece una risatina bonaria al commento di Stè.
«Beh
in effetti siete molti diversi... Sophie non è
così aperta come toi.»
«E
tu credi di essere riuscito a capirla nelle due occasioni in cui
l’hai vista?»
Stè
era sbalordito e sembrava anche ammirare quel ragazzo, che in poco
tempo era
riuscito dove noi avevamo fallito miseramente… come col
francese!
«Oui…
et non. Non posso certo dire di conoscerla, ma credo di aver capito che
tipo è,
cosa la fa arrabbiare e cosa invece calma quel suo lato
aggressivo.»
«Allora
potresti convincerla a farci da insegnante!»
Sputai la mia idea geniale il più in fretta
possibile, prima che Stè mi
rubasse di nuovo la scena: se Lucien avesse accolto la mia proposta,
avrebbe
avuto modo d’incontrare di nuovo Sofi e nella migliore delle
ipotesi avremmo
anche ricevuto un’insegnante capace, una volta che il cugino
di Emile se ne
fosse andato… Pensiero che iniziava a mettermi una certa
malinconia addosso…
«Mais
oui, o meglio, posso provarci… se ho capito
com’è fatta, non credo che Sophie
sia tanto disponibile a fare qualcosa quando non ne ha minimamente
voglia.»
«Mi
fido di te, Lucien!» E di
ciò che ho
visto nello sguardo di Sofi!
«Merci
beaucoup Pasi, sono onorato di tanta fiducia!
Comunque sia, les chansonnes de Tante Claudine ve le
potrei tradurre io,
se volete.»
«Davvero
lo faresti?!» Per la sorpresa e la gentilezza di quel gesto,
mi alzai di colpo
dalla sedia felice come non mai. Iniziavo a credere che non sarei mai
riuscita
a conoscere quella lingua abbastanza da poter tradurre quelle canzoni e
l’offerta di Lucien fu un raggio di sole improvviso.
«Certainement!
Non mi costa affatto fatica, mi piace ascoltarla e non
impiegherò molto a
tradurvi ses chansonnes.»
«Oh
Lucien, tu sei davvero un angelo!»
Mi
lanciai felice ad abbracciarlo, troppo
presa dalla gioia per contenermi, nonostante sapessi che il cugino di
Emile non
fosse abituato a certe dimostrazioni d’affetto
così espansive.
«Testarossa
fallo respirare, lo stai soffocando!»
*****
«Lucien,
come sta Emile?»
La
nostra lezione di Francese era terminata: io e il cugino del mio Pel di
Carota
eravamo appena usciti dalla casa di Stè e prima di separami
da lui, sentii il
bisogno di sapere qualcosa di Emile. Era surreale che dovessi chiederlo
a suo
cugino, ma in quel periodo per quanti pochi contatti potessero avere
quei due,
erano di certo maggiori di quanto riuscivamo ad averne noi due.
«Mon
cousin? Uhm, non lo vedo molto spesso, a volte ci incrociamo la
mattina, ma poi
lui sparisce tout le jour e torna la sera très
tard…»
«Quindi
nemmeno tu riesci a vederlo!?»
Le
mie poche speranze di sapere qualcosa su di lui si frantumarono,
lasciandomi un
peso sulle spalle che mi portò ad abbassarle automaticamente.
«No…
mais, per quel poco che lo vedo, posso dirti che è stanco, i
suoi occhi hanno
un alone scuro e probabilmente non dorme molto…
Però ho notato che oltre alla
stanchezza nei suoi occhi si alterna anche una luce di sicurezza, come
se ci
fosse una lotta dentro di lui… Non so se ti aiuta a capire
qualcosa, ma è ciò
che sono riuscito a vedere.»
«Grazie
mille Lucien, qualsiasi cosa tu veda è sempre più
di quanto riesca a fare io!»
«Coraggio
Pasi, passerà questo brutto periodo.»
«Sì
hai ragione, devo solo avere pazienza e attendere che passi…
A proposito di
pazienza, come si sta comportando con te?»
Lucien
rimase pensieroso per un po’, prima di rispondermi:
«Diciamo che c’è poco modo
di parlare con lui visto quanto poco ci vediamo ma… credo
che si stia abituando
alla mia presenza in casa! Quando ci saluta le matin non sento alcuna
differenza di tono nel suo saluto tra moi e Oncle Albert, come se fossi
sempre
stato lì.»
Lucien
fece un sorriso raggiante: era davvero una piccola concessione da parte
di
Emile, ma la reazione che aveva scatenato in suo cugino, mi fece capire
quanto quest’ultimo,
ci tenesse ad avere un vero rapporto con lui e il suo affetto
incondizionato mi
commosse ancora una volta. Emile era fortunato ed era il solito testone
cocciuto a non voler rendersene conto!
*****
Ogni
notte di quella settimana si ripeté uguale
all’altra: tornavo a casa, accendevo
il cellulare, trovavo le chiamate di Emile, gli rispondevo e mi
riaddormentavo.
La nostra comunicazione si era ridotta ad uno squillo del cellulare e
persino
quello era in differita! Era davvero una situazione insostenibile e
quando
giunse la fine di quei sei turni notturni, tirai finalmente un gran
sospiro di
sollievo: finalmente il giorno dopo sarei riuscita a sentire il mio Pel
di
Carota e se fossi stata fortunata, magari avrei potuto avere anche la
possibilità di vederlo. Persino le case discografiche
dovevano avere un giorno
festivo!
Corroborata
da quel pensiero arrivai al pianerottolo del mio appartamento con
più forza
fisica di quanta ne avessi in realtà, ma appena giunsi a
destinazione, le
chiavi mi caddero di mano: Emile
era lì,
seduto a terra davanti alla mia porta, con gli auricolari nelle
orecchie e
dormiva. Mi salirono le lacrime agli occhi per la felicità
di averlo rivisto,
dopo quelli che mi erano sembrati dei giorni interminabili ed ero ancor
più
commossa dal fatto che non trovandomi in casa, avesse deciso di
aspettarmi fuori,
arrivando ad addormentarsi!
Mi
avvicinai a lui e
mi accovacciai, per
essere all’altezza del suo viso: era davvero segnato da
profondi solchi scuri,
doveva essere stanchissimo. Mi sarebbe bastato anche svegliarlo per
metterlo a
letto: anche il solo dormire accanto a lui e risvegliarmi guardando il
suo
volto, mi avrebbe risarcito di quella settimana infernale! Gli tolsi
gli
auricolari e accarezzai il suo viso, quel viso che tanto amavo e lo
chiamai per
destarlo dal suo sonno:
«Sveglia
bell’addormentato, in questa posizione non riposerai
affatto.»
Nel
momento in cui aprì gli occhi, sentii il mio viso rilassarsi
con un sorriso di
gioia: quanto mi era mancato quel grigio-azzurro del suo sguardo!
Appena mise a
fuoco il mio volto, mi fece un sorriso e mi strinse a sé e
restammo così, senza
dirci nulla, gioendo per un po’ solo di quel contatto tanto
desiderato: sentivo
il calore del suo corpo, le sue braccia che mi stringevano e il battito
del suo
cuore proprio a portata delle mie orecchie e finalmente, finalmente,
sentii
nuovamente il suo odore. Era di nuovo con me, ero di nuovo con lui e
per poco
non scoppiai in lacrime per la felicità.
«Mi
sei mancato tantissimo.» Mi strinsi a lui per esorcizzare il
vuoto che avevo
sentito nel dirgli quella frase.
«Anche
tu mi sei mancata streghetta, mi sei mancata ogni giorno di
più.» Emile
rafforzò la sua stretta e di colpo mi sentii
sollevata da tutte le pesantezze di quella settimana: ero
tra le sue
braccia, amata e protetta, non
potevo
chiedere altro dalla vita.
«Resterei
ore abbracciato a
te, ma inizio a
sentirmi un po’ scomodo qui a terra… che ne dici
se ci mettiamo comodi in casa?»
«Mmm
nooo! Restiamo cosììì!» Mi
strinsi ancora di più a lui, riluttante a separarmi
dal suo abbraccio, ma dopo qualche istante considerai che il mio Pel di
Carota
doveva aver trascorso delle ore in quella posizione, e mi decisi
finalmente ad
alzarmi per farci accomodare in casa.
Appena
varcammo la soglia di casa, Emile si gettò sul divano
distrutto.
«Ah,
qui sì che si sta bene.»
«Devo
metterne uno anche fuori allora, così la prossima volta
sarai comodo!»
«Spero
che non ci sia una prossima volta! Questa settimana è stata
interminabile… e
non solo questa.»
Una
volta depositate borsa e chiavi di casa, mi accomodai accanto a lui e
tornai ad
abbracciarlo, desiderosa di tornare all’intimità
di prima.
«Come
procedono le registrazioni?»
«Sono
terminate, per fortuna.»
Emile
tornò a stringermi a sé, ma lasciò
andare il capo all’indietro in un
atteggiamento di totale stanchezza. «È stata
davvero dura aver a che fare con quello
senza mettergli le mani addosso,
oggi stavo rischiando grosso.»
«Ha
fatto qualcosa di troppo?»
«Niente
in particolare: lo detesto. Odio la sua voce, il suo modo di parlare e
di
porsi, odio tutto ciò che dice
e per
poco non sono arrivato ad odiare ogni singolo colpo delle sue bacchette
mentre
registravamo! Ci sono dei giorni in cui sento di non farcela e al solo
pensiero
di dover condividere un intero tour con lui…»
Abbassai
lo sguardo e appoggiai la mia testa al suo petto per sentire i battiti
del suo
cuore. Adoravo quel contatto così primordiale, era come
avvicinarsi alla sua
essenza: sotto il mio orecchio sentivo pulsare la vita di Emile e mi
sembrava
di sentirla scorrere sotto le mie mani, di poterla avere con me.
«So
che puoi farcela.»
«È
solo per lei che lo faccio, Pasi… perché non
posso venirle meno…» abbassò il
capo sulla mia testa, prima di continuare «… come
fai a non odiarmi? Io a
malapena riesco a guardarmi in faccia! Ma non posso cedere, non posso
permettermi di farlo…»
Alzai
una mano in direzione del suo viso per accarezzarlo e spostai la testa
per
poterlo guardare negli occhi: «Non
potrei mai odiarti Emile, tienilo ben presente, mai, per nessuna
ragione al
mondo.»
Mi
guardò intensamente, vidi i suoi occhi farsi più
scuri mentre mi accarezzava
una guancia, finché non avvicinò il suo viso al
mio e mi baciò. E dopo tutto
quel tempo in cui eravamo stati separati, quei baci furono come una droga deliziosa
per entrambi: ci
ritrovammo avvinghiati in pochi istanti, intenti a consumare quella
fame
reciproca di noi.
Fare
l’amore con Emile per me, costituiva sempre
un’emozione intensa: in ogni suo
bacio c’era una parola non detta, ogni sua carezza era un
dono d’amore che non
riusciva ad esprimere a parole. Attraverso il contatto dei nostri
corpi, con la
sensazione della pelle sulla pelle, sentivo il suo cuore vicino e
riuscivo a
leggerlo meglio di quanto riuscissi a farlo a parole. Quando faceva
l’amore con
me, Emile mi donava una parte di sé e riusciva a dirmi con
il suo corpo, ciò
che la mente era incapace di esprimere.
E
quella notte riuscì anche a liberare la sua anima da una
delle gabbie che la
serravano da anni: ero in procinto di addormentarmi serena e
soddisfatta,
quando sentii il suo braccio avvolgersi intorno alla mia vita da dietro
le mie
spalle. Rimase in silenzio per qualche secondo e sentii il suo viso
poggiarsi
dietro la mia testa prima di parlare:
«Tu
non mi abbandonerai?»
Capii
immediatamente a cosa, o meglio, a chi si riferisse: Claudine sarebbe
stata una
ferita suppurante per il resto della sua vita e per quanto avesse
tentato di
andare avanti e rimarginarla, quel dolore era ormai parte della sua
anima, così
come quella solitudine che si portava dietro da quando era nato.
Poggiai
il braccio sul suo e cercai di mantenere la voce ferma e decisa:
«Mai
in questa vita e nemmeno in un’altra, se ci
sarà»
Il
suo braccio serrò la presa intorno alla mia vita:
«Lei
alla fine se n’è andata ed è stata la
donna che ho amato di più, da quando sono
al mondo. Ora ci sei solo tu… e temo che un giorno potrei
ferirti al punto da
perdere anche te, com’è accaduto a lei.»
«Emile
tu non mi perderai. Io e te siamo legati da un filo sottile e
indistruttibile,
non potrei mai vivere senza averti accanto. Potrai anche ferirmi, ma
non potrai
mai farlo al punto da tagliare quel filo.»
Sentii
il suo viso poggiarsi sulla mia testa per darmi un bacio dolce, lento e
carico
di tutto ciò che si stava agitando dentro di lui.
Stanca
di dargli le spalle, accesi la luce e mi girai in sua direzione, per
vedere
l’espressione del suo viso: mi stava guardando come se
volesse scavarmi dentro
l’anima. Vidi la limpidezza di quegli occhi e la
vulnerabilità di quell’anima
che mi aveva mostrato una delle sue paure più grandi: Emile
era spaventato, era
ancora terribilmente spaventato da ciò che sentiva per me e
dalla sua paura di
perdermi e di essere ferito al punto da non riuscire a rimettersi in
piedi.
Gli
presi le mani e le strinsi tra le mie…
«Tu
sei la mia vita Emile.» … e decisa a togliergli
quella paura dallo sguardo, portai
la sua mano sul mio cuore. «Lo senti come batte? Senti come
sta accelerando? È
per te, perché ti sto guardando negli occhi e mi sta
scoppiando di felicità,
solo perché tu sei qui, perché sei vicino a me.
Stare senza di te per una
settimana è stato un inferno ed io non voglio più
tornarci. Ti voglio qui,
accanto a me, così come siamo ora, finché anche
tu lo vorrai.»
Gli
occhi di Emile si fecero ancora più limpidi, ma li vidi solo
per un attimo
perché mi strinse forte a sé, senza darmi tempo
nemmeno di respirare. Non parlò
più, ma la sua mano che premeva sulla mia schiena a tratti
decisa, a tratti
tremante, fu più esplicita di mille parole e mi venne alla
mente ciò che mi
aveva detto Lucien:
“Oltre alla
stanchezza nei suoi occhi si
alterna anche una luce di sicurezza, come se ci fosse una lotta dentro
di lui”.
Il
mio Emile aveva un’anima inquieta ed ero io la sua ancora si
salvezza, il suo
porto sicuro. Prima di chiudere gli occhi e lasciarmi andare al sonno,
giurai a
me stessa di non venir mai meno a quel ruolo.
________________________________________________________________________
Mais no =
Ma no
Mon Dieu! =
Mio Dio!
Mon cousin
= Mio cugino
Le Français
= Il Francese
J’ai compris
= Ho capito
Bien = Bene
Pardonnez-moi
= Perdonatemi
Toi = Te
Oui… et non
= Si… e no
Mais oui =
Ma sì
Merci beaucoup
= Grazie mille
Les chansonnes
= Le canzoni
Tante = Zia
Certainement
= Certamente
Ses chansonnes
= Le sue canzoni
Tout le jour
= Tutto il giorno
Très tard =
Molto tardi
Le matin =
Il mattino
Moi = Me
Oncle = Zio
_______________________________________________________________________
NDA
Eccomi qui mie care! Vi
è piaciuto il finale al diabete multistrato? E
non è finita qui, perchè nel prossimo capitolo
(che sto già mettendo in cantiere) ci sarà ancora
un bel pò di zucchero, quindi cercate di non mangiare troppi
dolci in questi giorni o il vostro diabete salirà
vertiginosamente! xD
Ho concluso questo capitolo Domenica pomeriggio (anche se con la
revisione ho aggiunto un altro pezzettino il giorno dopo) e
probabilmente, quel giorno dovevo avere gli ormoni particolarmente
sfasati, dato che mi sono commossa per ogni piccola romanticheria
letta.
Sta di fatto che la mattina in auto ho ascoltato una canzone dei
Submersed che
avevo già sentito altre volte, ma che in quel
preciso istante mi ha rapito il cuore... e non mi ha lasciato
più! Inoltre, una volta tornata a casa, ho letto il testo e
mi sono resa conto che
è diabete puro! E così, mentre scrivevo l'ultimo
pezzo di questo capitolo, tenendo alla mente quella canzone, mentre Pasi porta la
mano di Emile sul suo
cuore, mi
è salito un
magone tale che la vostra emotiva autrice ha finito col lacrimare! xD
Credo di essere stata posseduta da Pasi in quel preciso istante,
perché mi
sono ritrovata irrimediabilmente innamorata di Emile e non come una
madre premurosa *_*
Per chi fosse curiosa di sentire questa song del mio
scombussolamento ormonale, si chiama "At
First Sight" e al link che vi ho
messo troverete il video provvisto di lyrics, nonché la mia
personale traduzione in italiano del testo originale. :P
Intanto giusto perché non mi sto ossessionando, vi riporto
il ritornello che già da solo è zucchero puro per
me:
"Con questo onore
Mi reggo su ginocchia deboli
Rese forti dalle tue mani"
(Ancora mi
commuovo!)
Bene, e con questo, chiudo il mio angolo di deliri e spero di essermi
guadagnata il vostro perdono per il ritardo
nella pubblicazione: mi dispiace avervi fatto attendere 10 giorni prima
di pubblicare, ma ho cercato di essere più veloce possibile
nello scrivere il capitolo, ricontrollarlo e farlo
revisionare
alla mia adorata Beta. E appena lei mia ha dato il via a procedere, mi
sono fiondata a pubblicarlo ^ ^
PS.
Sotto consiglio di ThePoisonofPrimula, mentre scrivevo questo
capitolo, ho iniziato a scribacchiare le prime righe di una specie di
costola di questa storia, focalizzata su Sofia e su ciò che
sta iniziando a sentire nel suo cuore verso Lucien. Per chi fosse
interessata all'idea, appena sarà pronto il primo capitolo,
vi renderò partecipi della nascita di quest'altra creatura,
che a dir la verità, mi sto divertendo a mettere su. ^ ^
E con questo chiudo davvero :D
Angolo dei
Ringraziamenti
Come sempre, la prima in
classifica tra i miei ringraziamenti è la mia adorata
Tomodachi-Beta Iloveworld/Fiorella
Runco, che dipana ogni
mia insicurezza ogni volta che legge in anteprima i capitoli, con il
suo
incontenibile entusiasmo: grazie mille sorellina mia, io, Emile e Pasi
ti dobbiamo molto <3
Così come dobbiamo
molto anche alle mie sisters Concy,
Vale, Saretta, Niky, che dal
primo capitolo di questa storia mi seguono con affetto e
partecipazione, sempre pronte ad immedesimarsi nei miei bambini. Grazie
tesore mie, senza di voi sarei persa! <3
Un grazie speciale alla mia Cicci,
che
è stata ligia al suo ruolo di "dura" facendomi una bella
ramanzina (che oserei chiamare un vero e proprio cazziatone) quando ha
letto di Claudine, ricordandomi quanto sia stata fortunata ad
essere ancora viva dopo la piccola strage che ho messo su. *me si
rimette l'armatura a scanso di equivoci*
Ana-chan
ed Ely, grazie anche a voi per il
vostro sostegno, che si sente anche quando è in stasi :****
Grazie mille alla mia adorata
admin Kira1983, a ThePoisonofPrimula,
a Dreamer_on_heart, che mi
seguono con lo stesso affetto delle altre e mi hanno mostrato
un'empatia e un interesse verso i miei bambini, davvero meravigliosa e
speciale. Grazie ragazze, ogni vostra parola è un dono
prezioso per me! *_*
Rigraziamenti speciali anche a
tutti voi che avete inserito la mia storia tra le preferite, le
ricordate e le seguite:
Ai_line, Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu,
lovedreams,
samyolivieri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
cris325,
epril68, georgie71, Gracevelyn, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
sel4ever,
smokeonthewater, TVdFOREVER, Veronica91,
_anda, _Calypso_
Come sempre ARIGATOU
GOZAIMASU a tutti voi!!!!!
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Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
Capitolo 28
Una
mattina carica di sole, è una mattina che infonde energia
anche nel corpo più
stanco, con i suoi benefici raggi che sono sempre stati sinonimo di
vita per
tutti gli esseri viventi. Per questo adoravo le stagioni calde,
così vitali,
così capaci d’infondere positività
nell’animo; soprattutto amavo le mattine
estive, che avevano quel qualcosa in più nei loro raggi
caldi e accoglienti,
che ti davano un immediato buon umore.
Per
quel motivo, quando aprii gli occhi e venni inondata dalla luce del
giorno,
sorrisi di riflesso… Ma quel mattino c’era anche
un ulteriore motivo per essere
felice, un motivo che aveva dei ricci dello stesso colore del sole.
Non
appena aprii gli occhi, del tutto rinvigorita dai baci
dell’astro diurno, mi
voltai alla mia sinistra per cercare il mio compagno notturno e non
vedendo la
presenza di Emile, mi alzai a sedere, preoccupata che fosse andato via
mentre
dormivo. Quella mattina avrei voluto trascorrerla accanto a lui, avrei
voluto
godere della sua presenza accanto a me, parlargli della mia settimana,
chiedergli
della sua e restare abbracciata a lui finché non ci fossero
venute le ragnatele
addosso per la troppa immobilità! Il solo pensare che invece
fosse andato via,
senza nemmeno salutarmi, mi pervase di tristezza e preoccupazione,
sentii un
dolore lancinante al centro del petto al pensiero che non fosse
lì con me!
Dopo
qualche momento di puro
panico però,
iniziai a sentire dei rumori provenire dal basso…
«Ti
sei svegliata, Bella Addormentata?» … e quella
voce che tanto amavo, mandò via
in un solo colpo, tutte le mie stupide paure mattutine.
«Sì…
ma che ore sono? È tardi?»
«Non
è prestissimo, sono le undici.»
Feci
uno sbadiglio, contando le ore in cui avevo dormito e mi resi conto di
non aver
riposato granché…
«Come
fai ad essere già in piedi? Non hai dormito
proprio?»
Per
tutta risposta, lo sentii salire le scale per raggiungermi e una volta
arrivato
sul pianerottolo, mi beai di quella visione riservata solo ai miei
occhi.
Non
avendo un pigiama, Emile aveva dormito con addosso solo
l’intimo e fu in quelle
condizioni che arrivò portando un vassoio in mano,
regalandomi la visione del
suo corpo snello ma non privo di muscoli, reso ambrato dalla leggera
peluria
rossa che gli copriva braccia, gambe e torso. Era uno spettacolo e
iniziai a
comprendere il desiderio di Alberto di ritrarre sua moglie, per
imprimere sulla
tela le fattezze di un corpo e di un’anima che tanto amava;
probabilmente se
avessi avuto del talento artistico, avrei fatto rimanere immobile il
mio Pel di
Carota per immortalarlo in quel preciso istante, bello e perfetto come
solo i
miei occhi riuscivano a vederlo.
In
quello stesso momento in cui ammiravo estasiata la sua figura, Emile mi
rispose:
«Mi sono svegliato una mezz’oretta fa e visto che
c’ero, ho pensato di
preparare la colazione.»
Sul
vassoio c’erano due bei bicchieri di latte freddo, biscotti,
cereali, fette
biscottate e marmellata e anche il barattolo di Nutella che non faceva
mai
male!
«Emile
ma è la colazione per una famiglia intera,
questa!»
Appoggiò
il vassoio sul letto, prima di accomodarsi accanto a me e sorridendo mi
rispose:
«”Meglio abbondare che
deficere”! Puoi
sempre lasciare quello che non ti va.»
Mi
osservò per qualche momento, con un sorriso bellissimo e
naturale sul viso e
una luce negli occhi che non gli vedevo da tempo, per poi darmi un
dolcissimo
bacio: «Buongiorno, streghetta mia.»
Era
uno dei risvegli più belli che avessi mai avuto e in quel
momento mi resi conto
di quanto desiderassi che le mie giornate iniziassero sempre in quel
modo, con
il mio Emile che mi sorrideva felice, con la sua presenza sicura e
costante
accanto a me. Mi sentii avvolgere da una felicità
così malinconica, che per
mascherare la commozione che stava per avere il sopravvento su di me,
l’abbracciai
di colpo, incapace di reggere il suo sguardo.
«Non
te ne andare!»
Mi
stupii di quanto quella richiesta sembrasse una supplica: ero
consapevole di
sentire la sua mancanza, ma non mi ero ancora resa conto della sua
portata,
fino a quel momento. Cosa che di sicuro aveva compreso Emile,
poiché sentii la
sua mano sulla mia schiena che mi stringeva protettiva e con voce dolce
e
rassicurante mi rispose:
«Non
ne ho alcuna intenzione.»
Appena
riuscii a riprendermi da quel magone improvviso, mi accoccolai tra i
cuscini,
mentre il mio Pel di Carota mi porgeva il bicchiere con il latte,
seduto
accanto a me.
«Hai
dormito bene, piccola strega?»
«Benissimo!»
Gli
sorrisi felice, avrei potuto anche trascorrere la notte in bianco, ma
sarebbe
stata ugualmente bella perché c’era lui con me.
«Anche
se hai dormito poco più di quattro ore?»
«Lo
stesso vale per te.»
«Beh,
io ho dormito più di te, prima che arrivassi ho fatto un bel
pisolino.» Fece un
sorrisetto in mia direzione e quella stanza già pienamente
illuminata, sembrò
risplendere di quel sorriso sereno.
«Ti
ho fatto attendere tanto?»
«Non
saprei… credo di essere crollato nel momento in cui mi sono
accertato che non
ci fossi e mi sono appoggiato alla porta.»
«Dovevi
essere davvero stremato!»
«Abbastanza…
Sei sicura di aver riposato? Se vuoi tornare a
dormire…»
«No!»
Risposi
immediatamente senza fargli finire la frase; no, non volevo
assolutamente
considerare quell’opzione, sarei crollata dal sonno quella
notte, ma durante
quelle ore diurne non
mi sarei persa
l’occasione di stare insieme al mio Pel di Carota!
Allungai
una mano verso la sua, con cui si stava puntellando sul letto:
«Voglio stare
sveglia, qui accanto a te; ci penserò stanotte a
dormire.»
Il
viso di Emile, dapprima sorpreso per la mia risposta fulminea,
mutò in
un’espressione dolcissima e poggiò il bicchiere
sul vassoio per accarezzarmi il
viso con la mano libera:
«D’accordo
piccola strega, sono tutto tuo.»
A
quelle parole, la mia emotività messa fin troppo alla prova,
mi tradì
definitivamente e mi
ritrovai in un
fiume di lacrime di gioia nel giro di un battito di ciglia.
«Ehi,
che ti succede, Pasi?»
Iniziai
a tirare su con il naso annaspando per cercare di parlare:
«Non… è …
niente…»
«Come
“non è niente”? Ho detto qualcosa che
non va? Ti ho ferita in qualche modo? Non
pensavo di …»
«No,
no… anzi…»
Emile,
sempre più preoccupato si avvicinò a me e mi
prese il viso tra le mani.
«Allora
cosa succede? Hai fatto qualche brutto pensiero?»
Feci
cenno di diniego con la testa, cercando di riprendere il controllo del
mio
respiro e appena riuscii a calmarmi quel tanto che bastava a farmi
parlare, ne
approfittai per spiegare meglio ad Emile il mio stato d’animo.
«Sono
felice, perché rimani qui, perché non vai via,
perché sei tutto per me oggi.»
Il
mio Pel di Carota assunse un’espressione contrita e mi
strinse di colpo a sé,
serrando la sua stretta.
«Mi
dispiace così tanto, Pasi! Per te non ci sono mai e tu non
ti sei lamentata
nemmeno una volta! Ti ho lasciato sola troppe volte, sono
inqualificabile.»
Mi
strinsi a lui come se volessi fondere i nostri corpi e lasciai scorrere
le
ultime lacrime di gioia nel calore del suo abbraccio, finché
ritrovata la voce,
risposi:
«Ora
sei qui e voglio pensare solo a questo, voglio stare con te oggi, solo
con te.»
Il
cuore mi scoppiava nel petto, sentivo una stretta micidiale che non mi
faceva
respirare, ma era un dolore dolcissimo, perché era il dolore
della felicità, il
dolore che indicava quanto io fossi profondamente innamorata del mio
Emile.
«Sono
qui, non me ne vado, piccola. Mi sei mancata troppo per potermi
separare da te,
ora.»
«Però
mi devi promettere una cosa.»
«Cosa?»
«Che
la smetterai di sentirti in colpa e che tornerai a sorridermi come
prima. Non
voglio musi lunghi, sono bastate queste due fontane ad incupire la
giornata!»
Sentii
Emile sorridere: «D’accordo ragazza indiana Piccolo
Fiume, niente musi lunghi.»
Mi
accarezzò i capelli e mi godetti ancora per un po’
quell’abbraccio, che,
nonostante la temperatura estiva lo stesse rendendo infuocato, mi
donava una
sensazione di conforto e di tranquillità come nulla al
mondo.
Appena
mi riscossi da quell’ondata di emotività
incontrollata, consumammo la nostra
colazione e iniziai a raccontare ad Emile della mia settimana e non mancai di
aggiornarlo con le mie
scoperte sul conto di Sofia:
«La
piccoletta innamorata di mio cugino? Questa è
bella!»
Era
la prima volta che Emile parlava di Lucien chiamandolo con
quell’appellativo e
fui così felice, all’idea che iniziasse davvero a
considerarlo parte integrante
della famiglia, che sorvolai sulla velata critica alla mia amica.
«A
quanto sembra sì… Rita dice che la sua presenza
al Dada era di per sé
indice dell’interesse di Sofi verso Lucien.»
Emile sembrava sorpreso e divertito, non c’erano ombre sul
suo viso e
incoraggiata, continuai «Inoltre Lucien l’ha fatta
arrossire e la cosa si è
ripetuta quando l’ho nominato a casa sua.»
Il
mio Pel di Carota continuava ad ascoltarmi incuriosito, mentre
sgranocchiava i
cereali rimasti nel vassoio. Eravamo rimasti sul letto a parlare: Emile
era
adagiato comodamente sui cuscini, mentre io ero seduta a gambe
incrociate
accanto a lui. Eravamo rimasti abbracciati finché la
temperatura ce l’aveva
permesso, ma quando avevamo iniziato a sudare c’eravamo visti
costretti a
separarci… almeno per un po’. Nonostante avessi le
tende alle finestre, il
calore arrivava imperterrito e a breve sarei stata costretta a chiudere
le
imposte per avere un po’ di refrigerio, anche se questo
avrebbe significato
rinunciare al sole.
«Incredibile,
non poteva trovare una persona più difficile.»
«Chi,
Sofi?»
«No…
Lucien. La tua amica non mi sembra una persona facile a lasciarsi
andare, sembra
un limone appena colto!»
«Senti
da che pulpito vien la predica!» Allungai una mano verso il
vassoio e iniziai a
sgranocchiare i cereali anche io.
«Stai
insinuando che sono acido?» Emile mi guardò con
aria sospettosa, ma la sua
espressione mal celava un sorriso divertito.
«Come
un limone acerbo!» Lo stuzzicai, rendendomi conto che quella
mattina era di
ottimo umore, senza contare che non avrebbe messo musi lunghi
perché mi aveva
promesso di non farlo.
«Piccola
strega impertinente!»
Il
mio Pel di Carota prese i cereali che stava per mangiare e me li
lanciò contro
a mo’ di coriandoli e la mia risposta non tardò ad
arrivare: in un batter
d’occhio quel letto si trasformò in un campo di
battaglia e i cereali divennero
solo dei proiettili, sparsi ovunque sulle mie lenzuola. Quando mi
allungai per
fare rifornimento e mi resi conto che le munizioni erano terminate, un
lampo
balenò negli occhi di Emile che colse l’occasione
al volo per atterrarmi in un
solo colpo facendomi il solletico:
«Ahahahaha!!
Sei sleale! Ahahahah! Lo sai che al solletico non reggo!»
«I
limoni acerbi sono fatti così, non lo sai?»
Continuava
a sorridere soddisfatto, mentre gioiva della sua vittoria schiacciante:
torreggiava piegato su di me e osservai il suo viso che emanava
felicità,
sentendomi totalmente appagata.
«Guarda
che mi hai fatto, ho i cereali anche nei capelli!»
«Allora
conviene farci una bella doccia.»
E
lo fu, una bella doccia; una delle docce più bollenti che
avessi fatto,
nonostante l’acqua fosse a malapena tiepida.
Per
riprenderci dalle fatiche di quella splendida mattinata, preparammo il
pranzo
insieme e fu in quel momento, tra qualche pomodoro da tagliare e due
bistecche
da cucinare, che ricordai di chiedergli delle informazioni su una
persona in
particolare:
«Emile,
tu conosci Iulia?»
«Chi?»
«Iulia,
la ragazza di Francesco, il tuo chitarrista.»
«Ah!
Ora ho capito… Come hai fatto a conoscerla?»
Gli
raccontai della sera in cui Iulia si presentò a me, in quel
modo del tutto
fuori dall’ordinario e della sua richiesta di vederci; Emile
mi ascoltò serio,
ma aleggiava un certo divertimento sul suo viso.
«Non
la conosco molto, perché generalmente non voglio intrusioni
quando proviamo, ma
nelle volte in cui l’ho vista,
Iulia mi
ha dato l’impressione di essere una ragazza vitale e fuori
dagli schemi. È perfetta
per Francesco: come lui, riesce a portare allegria ovunque
vada.»
«Quindi
credi che sia sincera? Che voglia davvero conoscermi?»
«Probabilmente
si, così potrà parlare male di me, insieme a
te.»
«Oh
andiamo e perché dovrebbe?» La mia testa
però andò con la memoria ad una delle
poche frasi che mi aveva detto quella sera: “Scusami
se te lo dico, ma ad iniziare dal frontman, sono sempre tutti
così seri e pesanti.”
«Perché
la nostra band, o meglio il suo insopportabile dittatore, toglie a
Francesco
del tempo prezioso per stare con lei… su questo
probabilmente vi capirete in
pieno.» Il viso di Emile continuava ad essere allegro, ma
sentii una nota
sarcastica nelle sue parole. Lo guardai corrucciata per fagli intendere
che
stava entrando nel melodrammatico e ci rise su. «Lamentele a
parte, credo che
voglia davvero conoscerti, per condividere con te la dura vita della
compagna
di un musicista: negli anni in cui abbiamo creato il gruppo e abbiamo
iniziato
ad esibirci, Iulia è stata l’unica presenza
costante, nessuno di noi ha mai
avuto una ragazza fissa per così tanto tempo… A
parte forse, Claudio… ma la sua
ex non era mai presente, ci odiava apertamente e si rifiutava di
presenziare
alle nostre serate, per cui alla fine, Iulia è sempre stata
da sola.»
«Capisco…
quindi è una specie di mascotte, per voi!»
«Sì,
almeno quando dobbiamo esibirci, è sempre in prima fila a
tifare per noi.»
«Che
dolce, deve amare tanto Francesco.»
«Immagino
di sì…»
«La
prossima volta però, ci sarò anche io!»
Esclamai, felice all’idea di poter dare
anche a lui l’appoggio che Francesco riceveva da anni da
Iulia.
Emile
sorrise tra sé e sé: «Per ora non
abbiamo in progetto altre serate, ci stiamo
concentrando sul tour, ma non si mai, magari prima di partire
riusciremo a fare
qualche tappa nei locali, per promuovere l’album.»
«E
allora ci sarò!»
Gli
risposi cercando di essere più sorridente possibile,
perché al solo nominare il
tour imminente, il mio cuore si era contratto: non avrei visto Emile
per mesi!
Stare lontano da lui era sempre più una sofferenza fisica
per me e se qualche
settimana in cui eravamo stati più distanti, mi aveva
ridotto a piangere come
una bambina tra le sue braccia, come avrei potuto sopportare dei lunghi
mesi di
lontananza?
Iniziai
a sentire il magone chiudermi la gola, ma cercai di farmi forza, per
non mostrare
quel malessere ad Emile, che però insospettito
dall’improvviso silenzio, alzò
la testa dalle bistecche e si girò in mia direzione.
«Cosa
c’è? Non avevi detto niente musi
lunghi?»
Aveva
ragione, quella era la nostra giornata insieme, la nostra isola felice,
non
doveva esserci spazio per i musi lunghi e per i pensieri tristi, doveva
essere
una giornata all’insegna del buon umore!
Cacciai
indietro le lacrime e mi riscossi dall’umore tetro,
concentrandomi su quegli
occhi che mi scrutavano preoccupati e sulla gioia di averli ancora
lì davanti a
me.
«È
vero, niente musi lunghi oggi, finiamo di preparare perché
sto svenendo dalla
fame!»
Purtroppo
per me, la mia giornata con Emile non era destinata a durare ancora a
lungo:
approfittando della giornata libera dal lavoro e dalle registrazioni, i
GAUS
avevano deciso di riprendere le audizioni per trovare il nuovo
batterista,
poiché la presenza di Claudio non sarebbe andata oltre il
tour imminente. Emile
era sinceramente dispiaciuto nel rivelarmi che nel primo pomeriggio,
sarebbe
dovuto andar via da casa mia ed io cercai di non farglielo pesare,
anche se la
tristezza velò il mio viso e mi ritrovai nuovamente tra le
sue braccia
confortanti.
«So
che non è la stessa cosa, ma potresti venire a casa mia,
invece di restare qui
da sola: ci sono mio padre e Lucien, saresti in loro compagnia e quando
avrò
finito con le audizioni, sarò di nuovo tutto per te, che ne
dici?»
Allentai
l’abbraccio quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi:
«Siii! È da tanto
che non vedo Alberto e sono curiosa di vedere anche il suo
dipinto!»
Emile
mi sorrise felice e mi diede un bacio sulla fronte prima di tornare a
stringermi a sé.
Arrivati
a casa Castoldi, il mio Pel di Carota corse a cambiarsi, mentre io
andai di
filata nel laboratorio, alla ricerca di Alberto, dando per scontato che
fosse
intento a continuare il suo ritratto di Claudine. E infatti fu
lì che lo trovai:
seduto sul suo sgabello, intento a rifinire il prato ai piedi di sua
moglie,
che invece era quasi del tutto completata.
Alberto
era così concentrato che riuscii ad avvicinarmi e ad
osservare quel dipinto,
senza che lui si rendesse conto della mia presenza; solo quando mi
schiarii la
voce per annunciarmi si bloccò un istante, come se fosse
stato risvegliato da
un sogno e si voltò in mia direzione.
«Bambina
mia! Da quanto tempo non ti vedevo! Vieni qui e fatti abb….
No va, stavolta niente
abbracci!»
Fece
una risata, rivolgendo lo sguardo al suo camice ancora più
sporco ed io gli
andai incontro abbracciandolo dalle spalle, per dargli un bacio
affettuoso su
una guancia.
«Mi
sei mancato tantissimo anche tu!»
«Ma
mai quanto ti è mancato qualcun altro, vero? L’hai
fatto mangiare, o hai solo
consumato le energie di mio figlio?» Fece una delle sue
più belle risate, mentre
il mio viso diventava bordeaux: non mi sarei mai abituata a quelle
battute,
come diavolo faceva a scherzare sulla vita intima di suo figlio?
Un
normale genitore avrebbe agito come uno struzzo, facendo finta di non
sapere ed evitando
come la peste un
argomento simile, invece lui lo affrontava così
tranquillamente, come se non
stesse parlando della sua progenie ma di un semplice amico o
conoscente… Era
davvero un uomo fuori da ogni schema e ancora non riuscivo a
capacitarmene!
«Ed
ora dove lo hai lasciato? È fuggito via a riprendere
fiato?»
«Ma
no! Uff… tra poco arriveranno i ragazzi perché
hanno le audizioni per il nuovo
batterista ed è salito a cambiarsi, dato che aveva gli abiti
di ieri…» Abbassai
la testa insieme al mio tono di voce, temendo un’altra
battuta delle sue, che
per fortuna non arrivò.
«Capisco,
dovrebbe portarsi dei ricambi quando viene da te… Anche tu
dovresti fare lo
stesso qui, così non saresti costretta a mettere dei vestiti
smessi di Emile.
Ormai sei di casa bambina, non c’è alcun problema
se ti fermi a dormire quado
ne hai voglia.»
Alberto
riusciva sempre a toccarmi il cuore, l’abbracciai grata per
quelle parole così
cariche d’affetto e da sopra la sua spalla guardai con
attenzione il suo
dipinto: a distanza così ravvicinata, potei notare i
particolari del viso di
Claudine, i riflessi tra i capelli, l’abito leggero che le
fasciava il corpo,
ma senza rivelare troppo le sue forme e il prato mosso dal vento. Tutto
era in
perfetta armonia, pervaso di colori brillanti ma non accesi e
l’intera
composizione emanava gioia di vivere e il grande amore di Alberto,
infuso in
ogni sua pennellata. «È meraviglioso, è
ancora più bello ora che è quasi
completo.»
«Ti
ringrazio bambina mia, da quando ho iniziato, ogni momento libero lo
dedico a
questo quadro: riprendere i pennelli in mano è stato come un
droga per me: una
volta iniziato, non sono riuscito più a farne a meno. Mi sto
rendendo conto
solo ora di quanto mi sia mancata la pittura!»
Quello
davanti a me era l’Alberto che si era spento
vent’anni prima, il pittore che
aveva rinunciato alla sua arte, per amore della sua famiglia. Compresi
solo in
quel momento la portata del suo sacrificio, solo guardando i suoi occhi
malinconici e le sue mani fiere di essere imbrattate di colore, mi resi
conto
di quanto dovesse essergli costato abbandonare una parte di
sé così importante
come la pittura, per potersi dedicare a sua moglie e a suo figlio. E
Alberto
non aveva mai, nemmeno una volta, avuto parole dure contro la sua
famiglia, non
aveva mai mostrato del risentimento verso quelle due persone, che
l’avevano
involontariamente costretto a rinunciare a se stesso. Quale dolore
doveva
celarsi nel cuore di quell’uomo? O quanto amore puro e
incondizionato?
«Continuerai
a dipingere una volta terminato questa tela?»
«Non
so, sono tornato a dipingere perché volevo donarle un
ritratto, ma se il mio
desiderio di creare dovesse continuare, è anche probabile
che lo faccia; mi
sento bene quando dipingo e questa casa presto si svuoterà,
avrò bisogno di
qualcosa che mi tenga un po’ di compagnia.»
Alberto
aveva pienamente ragione: Lucien non sarebbe rimasto per sempre ed
Emile presto
sarebbe partito per il tour… Mi sentii stringere nuovamente
il cuore all’idea
della solitudine che avrebbe travolto sia me che l’uomo che
avevo accanto e i
miei occhi si velarono di tristezza.
«Coraggio,
non pensarci ancora, il nostro testone è ancora qui, ci
farà compagnia ancora
per un po’, è inutile immusonirsi prima del
tempo.»
Appoggiai
il viso sulla sua spalla stringendomi di più a lui:
«Hai ragione, però se ci penso,
mi manca già così tanto!»
Alberto
allungò una mano sulla mia guancia per farmi una carezza:
«Lo so bambina, ma
dovremo abituarci, è la vita che ha scelto per sé
e non possiamo fare altro che
accettarla.»
«Però
io e te possiamo farci compagnia, vero?»
«Certamente
piccola! Questa casa è sempre aperta per te, non lo
dimenticare mai!» Feci un
sorriso e gli diedi un bacio pieno d’affetto sulla guancia,
accanto a cui avevo
il viso.
«Voi
due siete sospetti, mi basta girare le spalle per un secondo e vi
ritrovo
abbracciati.»
Io
e Alberto sorridemmo felici al suono di quella voce che ci rimbrottava
come
consuetudine e insieme voltammo
le
nostre teste in sua direzione.
«Bentornato
a casa figliol prodigo, iniziavo a temere che fossi stato risucchiato
dalle
fate dell’amore.»
«Più
che fate, direi da una sola strega che fa per dieci.»
«EMILE!»
Ora
ci si metteva anche lui! Non avrei resistito ad essere presa in giro su
un
argomento così personale da entrambi; ma nessuno in quella
casa, aveva il
minimo pudore!?
Il
mio Pel di Carota si avvicinò a noi e passando una mano tra
i capelli del padre
scompigliandoli, ripetendo il gesto che Alberto faceva con lui, si
soffermò ad
osservare il dipinto che ritraeva sua madre: «Stai
migliorando papà, tutto
sommato non te la cavi male.»
«Ragazzo,
non devi mai sottovalutare chi hai accanto, ricordalo
sempre!»
I
due uomini più importanti della mia vita si scambiarono un
sorriso felice,
carico di amore e il mio cuore si riempì di gioia nel
vederli così sereni:
dopotutto, nonostante la tragedia della scomparsa di Claudine, il
puzzle si
stava ricomponendo e i suoi pezzi stavano tornando ai loro posti.
Anche
se Emile sarebbe stato via per un po’ di tempo, sarebbe
comunque tornato e nel
frattempo Alberto avrebbe continuato a dipingere e chissà
che non avrebbe
ripreso la sua vita da dove l’aveva interrotta
vent’anni prima!
Era
a questo che aveva pensato Claudine, prima di uccidersi? Aveva deciso
di porre
fine alla sua vita, per liberare i suoi due uomini dalla sua presenza
vincolante?
Mi
si strinse il cuore a quel pensiero così triste e
all’amore che era racchiuso
al suo interno; un amore fatto di puro sacrificio, lo stesso identico
amore che
aveva portato Alberto a rinunciare ad una parte importante di
sé.
«Posso
chiedervi una cosa?» Non sapevo come avrebbero reagito alla
mia domanda, per
cui abbassai il capo e sentii, più che vedere, i loro
sguardi su di me.
«Certo
bambina, chiedi quello che vuoi.»
«Posso
avere una foto di Claudine? O anche una vostra… di voi tre
insieme…?»
Alzai
il viso incapace di reggere la tensione per quella domanda improvvisa e
vidi
due paia di occhi che mi osservavano con dolcezza, tristezza e
tantissimo
amore. Ero accanto ad Alberto, per cui fu lui a raggiungere le mie mani
unite,
che si torturavano combattute.
«Ma
certo che puoi averla, piccola mia, sei parte della famiglia,
ricordi?»
«Vieni
con me, streghetta, così puoi sceglierne una.»
Emile mi allungò una mano con
un’espressione dolce e sorridente sul viso, ma proprio in
quel momento
bussarono al citofono e il suo viso si fece improvvisamente serio.
«Devono
essere i ragazzi… le vediamo dopo le foto, oppure
può pensarci papà, ok?»
Gli
feci un cenno di assenso e incoraggiante l’incitai ad andare
ad aprire ai
componenti della sua band. Si avvicinò a me per darmi un
bacio e sparì diretto
ai suoi doveri.
Appena
Emile scomparve, sentii la voce di Alberto dietro le mie spalle:
«È di buon
umore oggi, eh? Fino a ieri aveva l’aria di un morto, si vede
che la tua vicinanza
lo rimette in sesto.» Il suo tono non era canzonatorio,
appariva tranquillo e
sollevato; mi girai verso di lui e gli risposi:
«Non
credo sia a causa mia: ieri hanno terminato le registrazioni con
Claudio, ed
oggi riprendono i provini… io credo che sia
perché Claudio sta uscendo dalla sua
vita, anche se lentamente.»
«Come
sempre ti sottovaluti, bambina mia!» Si tolse il camice e
posando una mano
sulla mia schiena a mo’ di abbraccio, mi fece cenno di uscire
da quella stanza.
«Coraggio,
andiamo a scegliere quella foto.»
Gli
album con le foto di famiglia erano tutti radunati tra gli scaffali nel
salotto: quando raggiungemmo quella stanza, Alberto scelse tra i vari
volumi,
quello che probabilmente conteneva le foto di tutta la famiglia e lo
portò sul
tavolo.
Guardai
con commozione tutte quelle foto e vidi gli occhi del padre di Emile, rattristarsi mano a mano che
scorrevamo le
pagine dell’album: le prime immagini ritraevano lui e
Claudine insieme e felici
e dovevano risalire ai mesi in cui si erano conosciuti. Mano a mano che
si
procedeva, iniziarono a comparire delle foto di Claudine incinta e mi
salì il
magone nel vedere il suo viso così felice e così
languido. Uno scatto la
ritraeva mentre osservava il suo ventre gonfio sovrappensiero, come se
stesse
comunicando silenziosamente con suo figlio: era così
poetico, così perfetto nel
gioco di luci e ombre e se era opera di Alberto, quella foto era la
testimonianza del suo talento artistico anche come fotografo.
Rimasi
a guardarla per un po’ di tempo, osservando il viso di
Claudine, osservando
quel ventre che racchiudeva una vita, la vita di Emile, che cresceva
protetta dalle
sue cure. Accarezzai quell’immagine
con
un dito, preda di una strana tristezza.
«Di
questa ne vado particolarmente orgoglioso: per fortuna avevo la
macchina
fotografica accanto a me, in quel periodo non facevo altro che foto a
ma chère:
era bellissima e non potendo realizzare ritratti così
velocemente, rimediavo
con le fotografie. Quel giorno Claudine era particolarmente serena e
prima che
perdessi quel momento, la fotografai estasiato; era uno spettacolo
troppo bello
per essere vero!.»
In
quella foto c’era la vita di Alberto, c’era la sua
famiglia e forse rivedere
quelle immagini, ricordare delle emozioni così forti non gli
stava facendo del
bene, perché notai che i suoi occhi iniziarono a farsi
lucidi.
«Alberto…
forse non è il caso che ti faccia rivedere queste
foto… Non voglio che tu
soffra vedendole.»
Il
padre di Emile mi poggiò una mano sulla spalla
confortandomi: «Tranquilla
bambina, non sto soffrendo, è bello rivedere qualcosa e
qualcuno che ci ha
portato la gioia nel cuore… vuoi questa foto?»
«No,
no, assolutamente! Questa è tua, è
così bella, così perfetta che non potrei mai
prendertela! Andiamo avanti, ne sceglierò
un’altra!»
Arrivammo
alle foto in cui c’era anche Emile e mi resi conto che le
immagini in cui tutta
la loro famiglia era riunita e felice, erano davvero poche e in tutte
quelle
occasioni, il mio pel di Carota era davvero piccolo e sicuramente
incapace di
ricordare quei momenti.
Più
si andava avanti, più si vedevano foto di Emile in compagnia
solo di suo padre,
se non del tutto solo, intento a suonare qualche strumento
più grande di lui, o
ad andare sul triciclo come un piccolo grande centauro. Era
impressionante il
modo in cui Claudine era scomparsa dalle foto nel giro di qualche anno.
«Uhm…
se vuoi una foto di noi tre la scelta è ridotta,
però qualcosa troverai di
sicuro!»
E
fu così. Trovai una foto che doveva essere risalente allo
stesso giorno in cui
fu scattata la foto che Emile teneva in camera sua. Claudine aveva la
stessa
pettinatura e lo stesso abito e anche lo sfondo era lo stesso: erano
accomodati
su una panchina in un parco pubblico e i due coniugi avevano un sorriso
felicissimo sul viso, mentre Emile era in grembo a sua madre,
infagottato negli
abiti da neonato.
«Questa
foto ce la fecero una settimana dopo la nascita di Emile, Claudine era
appena
uscita dall’ospedale e voleva ricordare quel giorno come
l’inizio della nostra
nuova vita, perché dopo aver fatto la foto, ci saremmo
diretti a casa nostra
per la prima volta in tre e da allora saremmo stati davvero due
genitori,
saremmo stati una famiglia.»
Ascoltando
le sue parole, abbracciai la vita di Alberto con un groppo in gola.
«Perché
è andato tutto storto? Perché è finita
in quel modo, se era così felice? Non è
giusto!»
Alberto
allungò un braccio intorno alla mia schiena.
«Lo
so bambina, lo so che non è giusto, ma evidentemente doveva
andare così; è
inutile angosciarsi ora per qualcosa che non si può
cambiare.»
Feci
un cenno di assenso con il viso e dopo un gran respiro profondo indicai
la foto
al parco: «Posso avere questa?»
Alberto
era intento a riporre gli album con le fotografie nel suo scaffale,
quando
arrivò Lucien: non bussò, ma aprì
direttamente la porta di casa; suo zio doveva
avergli dato le chiavi per farlo essere indipendente e non farlo
sentire un
ospite.
«Si
può sapere dove sei stato?» Gli chiesi ridendo,
felice che si fosse ambientato
così bene da avere una sua vita sociale indipendente dalla
nostra.
«Oh,
bonsoir Pasi, che piacere rivederti! Ero da Stefano, o meglio, siamo
andati a vedere
una partita di pallavolo.»
«Da
soli? Non avete chiamato nessun altro?»
«Oui…
Stefano ha detto che di sicuro Rita e Federico erano impegnati e non
erano
comunque interessati, tu e mon cousin non eravate reperibili e Sophie
non sarebbe
venuta.»
Ero
già in procinto di arrabbiarmi per essere stata esclusa, ma
dopo la risposta di
Lucien, mi resi conto che aveva ragione: volendo godermi quella
mattinata con
il mio Emile avevo volontariamente lasciato spento il cellulare e
probabilmente, anche Rita e Fede erano impegnati a ritagliarsi un
po’ di tempo
insieme… A pensarci bene la presenza di Lucien aveva salvato
Stè dall’essere
totalmente solo in casi come quelli, perché ovviamente Sofi
non era da
considerarsi come una compagnia su cui contare… Nel nominare
la mia amica d’improvviso
mi balenò in mente un’idea:
«Lucien
non ti accomodare, andiamo da Sofia!»
«Eh?
Pourquoi?»
«Perché
io sono qui senza far niente e TU hai promesso che avresti parlato con
lei, per
chiederle di farci da insegnante di francese!»
«Oui,
mais…non credevo che dovessi farlo subito!»
«Perché
attendere? Cosa diceva Orazio? CARPE DIEM.» Gli presi la mano
e lo trascinai
via con me verso il salotto, avvisai Alberto che saremmo usciti e ci
dirigemmo
di filata verso casa di Sofi.
*****
«Ciao
Simo; sì lo so che non ti piace che ti chiami
così, ma oggi fai un’eccezione,
ok? Oggi sono felice, davvero felice e vorrei che lo fossero tutti. Non
sai
cosa ho combinato prima di venire qui da te, eheheh!»
Uscendo
da casa di Emile e Alberto, mi resi
conto che, essendo domenica, sarei potuta andare a trovare mia sorella
quel
pomeriggio mentre
il mio Pel di Carota teneva
le audizioni.
E
dato che avevo letteralmente rapito Lucien, per far sì che
vedesse Sofi con la
scusa dell’insegnamento, mi venne un’idea
diabolica: arrivati sotto casa della
mia amica, finsi di ricordarmi all’improvviso di dover andare
a trovare mia
sorella e lasciai un esterefatto Lucien solo soletto, prima che Sofi
aprisse la
porta di casa. Probabilmente stavo rischiando grosso, ma ciò
che avevo appena
detto all’immagine di mia sorella era la verità:
quel giorno ero felice e
volevo che tutti intorno a me lo fossero ed ero sicura che la presenza
di
Lucien, avrebbe reso interessante quel pomeriggio alla mia amica.
«Sai
Simo, oggi mi è sembrato di vivere in un sogno…
ricordi quando fantasticavo
sulla mia vita futura insieme ad Emile? Oggi ho fatto un piccolo tuffo
nel mio desiderato
futuro, perché sono stata con lui per mezza giornata e
c’eravamo davvero solo
io e lui. Mi dispiace così tanto che tu non possa vivere
un’esperienza simile,
perché mi ha fatto così felice, mi sono sentita
così vicina a lui, così parte della
sua vita, che d’improvviso l’idea di lasciarlo in
casa sua mentre teneva le audizioni,
non mi ha fatto male, perché sapevo che era lì e
che mi aspetta, perché oggi è
rimasto con me e ieri è stato così dolce da
venire a cercarmi fino davanti alla
porta di casa!
Se
la felicità si potesse distribuire, vorrei tanto farlo ora,
perché se tutti
potessero provare ciò che sento dentro di me, ci sarebbe
molta meno sofferenza
tra le persone che amo.
Vorrei
poterti dare un po’ di questa felicità…
mi sarebbe piaciuto tanto poterti dire
queste parole dal vivo, magari ora sarei a fare da Cupido tra te e
Stè anziché
Sofi e Lucien… anche se Sofi ha lo stesso bisogno di una
spinta che avresti
avuto tu, siete entrambe così serie e chiuse!
Stè
si sta riprendendo… sta meglio ora che è passato
un po’ di tempo… vorrei
vederlo felice Simo, vorrei sapere che anche lui ha trovato un
po’ di pace nel
cuore e mi chiedo se ci riuscirà mai… Quando
penso a lui, e a quanto ti amasse,
a quanto stia soffrendo per te, mi chiedo se troverà mai la
forza di andare
avanti e di cercare qualcun'altra… So che è
indelicato parlare di questo
davanti a te, ma non può vivere per tutta la vita pensando
solo a chi non c’è
più… Che poi non ho mai capito se ti piaceva o
meno!
Mi
manchi Simo… Anche se io e te litigavamo in continuazione,
mi manca saperti
accanto alla mia stanza, pronta a farmi tutte le ramanzine del caso, mi
manca
il tuo volto perennemente serio e lo sguardo d’accusa che mi
rivolgevi… È
strano come col tempo, quando perdi una persona, persino ciò
che prima ti dava
un fastidio enorme, d’improvviso diventi un dolce
ricordo…
Simo,
io sarò felice anche per te, porterò dentro di me
questa felicità immensa e la
dividerò sempre anche con te. Questo è il mio
pegno, è il dono che voglio
farti, voglio impegnarmi ad essere felice perché voglio
donarti un pezzo della
mia gioia: saremo felici in due, insieme, così avrai anche
tu il tuo pezzetto
di Paradiso terreno, anche se forse ovunque tu sia ora, stai
già meglio. Ma io
ho bisogno di sapere che hai vissuto, qui tra i mortali, tutto
ciò che vale la
pena vivere e visto che non può più accadere,
m’impegnerò a farlo io per
entrambe.
Ora
vado perché voglio tornare da Emile e spero che Lucien non
sia arrabbiato con
me, ma dovevo lasciarlo da Sofi, dovevano stare un po’
insieme… Forse avrei
dovuto fare questo anche con te, avrei dovuto spingerti verso
Stè quando c’era
la possibilità… Voglio rimediare anche a questo
errore Simo!
A
volte le persone hanno bisogno di una spinta per essere felici e non
riescono a
darsela da soli: a costo di essere bollata come impicciona, voglio dare
quella
gioia a chi mi sta accanto! Ci vediamo Domenica prossima sorellina, ti
voglio
bene.»
________________________________________________________________
NDA
Mie care eccomi qui,
finalmente ho aggiornato. ^ ^
Vi è piaciuta la seconda dose
di
diabete multistrato?
Io vi ho avvisato che c'era da cariare i denti,
quindi non sono responsabile di alcun aumento spasmodico dello zucchero
nel vostro sangue xD *me se ne lava le mani*
Questo capitolo
è nato in fretta, presa com'ero ancora dalla chiusura del
precedente e subito dopo averlo concluso, mi sono decisa a passare da
Sofia e Lucien, con il risultato che ora tra le mie storie su EFP,
c'è anche lo spin off dedicato a questa coppia! :D *me
gioisce soddisfatta*
Sarà un
pò complicato per me
dovermi dividere tra le due storie facendo attenzione a mantenere la
coerenza degli avvenimenti, ma mi piace così tanto l'idea di
descrivere due storie parallele, che troverò il modo per
venirne a capo. ^ ^
Per la sua pubblicazione devo tutto a
ThePoisonofPrimula
e al suo amore incondizionato per Sofia e spero di
non deludere né lei né chi di voi
leggerà la mia nuova
avventura, riuscendo ad immergermi in modo degno nella testa e nella
vita della piccola del gruppo. ^ ^
Per chi fosse
interessato, lo spin off è qui:
Love
Sucks (L'amore fa
schifo... si dice, ma sarà vero?)
per ora c'è
il primo capitolo, ma a breve sarà inserito anche il secondo
^^ (Prim manca poco, mantieni gli amici in gabbia :P)
Inoltre, in questa
settimana decisamente prolifica, anche la mia adorata admin Kira1983 ha
finalmente pubblicato i primi due capitoli della sua storia originale
ed io già la amo. La protagonista della storia è
Dora, la classica ragazza timida e introversa che non riesce a
relazionarsi con il mondo circostante, ma che una sera vedrà
la sua vita cambiare radicalmente da un fatale avvenimento; e non si
tratta di un incontro, ma di qualcosa di molto più violento
e traumatico. Sin dal primo capitolo si comprende l'impostazione
drammatica (siamo sempre figlie di Fuyumi Souryo xD) e l'approccio ai
personaggi è profondo, ognuno è ben
caratterizzato sin dall'inizio. È superfluo dirlo, ma
ovviamente ve la
consiglio se volete appassionarvi ad una storia, che ha tutte le carte
in tavola per essere profonda e interessante. E poi è la
trasposizione scritta di un manga che Kira stava disegnando e solo per
questa particolarità, vale la pena di essere letta xD
Se sono riuscita ad
incuriosirvi questa è la
storia: Il
fiore della notte e vi auguro buona lettura ^ ^
Angolo
dei Ringraziamenti
Al punto in cui sono di
questa storia, non posso che guardare alle spalle e notare quanto io
sia stata fortunata ad avervi sempre accanto, sempre così
entusiaste per ogni capitolo pubblicato. Siete con me da Settembre,
sono trascorsi quattro mesi e voi siete ancora tutte qui, sempre pronte
ad incoraggiarmi e spendere delle parole meravigliose sul mio conto.
Scrivere è qualcosa che ha sempre fatto parte di me, ma
solo in questi ultimi mesi sto davvero comprendendo quanto sia bello e
appagante ed è solo grazie a voi, quindi non posso che
rigraziarvi tutte in blocco, anche per il solo fatto di essere passate
a
leggere la mia storia.
Fiorella
Runco, Concy,
Vale, Saretta, Niky, Cicci,
Darkely, Ana-chan, Kira1983, ThePoisonofPrimula,
Dreamer_on_heart.
Grazie a tutte voi
perchè siete il mio sostegno, il mio incoraggiamento, la mia
soddisfazione. Vi adoro, una per una!
Ai_line, Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lorenzabu,
lovedreams,
samyolivieri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
ArchiviandoSogni_,
green apple,
incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
cris325,
epril68, georgie71, Gracevelyn, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
sel4ever,
smokeonthewater, Strega Mangia
Frutta,
Veronica91,
_anda, _Calypso_
Grazie ad ognuna di voi, perchè il vostro appoggio
silenzioso è altrettanto importante, altrettanto
soddisfacente e mi spinge a continuare giorno dopo giorno.
ARIGATOU GOZAIMASU
a tutte voi!!!!!
|
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Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
Capitolo 29
Quando
tornai a casa di Emile, le audizioni erano terminate e il mio Pel di
Carota
aprì la porta di casa con aria contrariata: «Ma
insomma, giro un secondo le
spalle e tu sparisci?»
«Sì,
era per una buona causa! E poi tu eri impegnato, dovevo pur far
qualcosa!»
Mi
alzai sulle punte, per dargli un bacio e azzittirlo: non avevo
intenzione di
discutere, anche perché la nostra giornata anti musi lunghi
non era ancora
terminata. Emile chiuse la porta con l’espressione
più perplessa che gli avessi
mai visto sul volto.
«Cosa
stai architettando? E Lucien, dove l’hai lasciato?»
Mi
girai mostrandogli il mio sorriso migliore, soddisfatta di me per la
mia
genialata.
«È
in compagnia, non preoccuparti.»
Mi
guardò per un istante, con quella stessa espressione
perplessa, ma quando la
comprensione apparve sul suo volto, scoppiò in una risata di
quelle che non gli
avevo mai sentito fare: «Sei proprio impossibile! Ti rendi
conto che stai
scherzando col fuoco? Ti metti a giocare a Cupido, ora?»
Unii
le mani dietro la schiena, sentendomi una ragazzina molesta colta su
una
marachella, ma anche soddisfatta del proprio operato:
«Sì lo so, ma se tutto
andrà per il verso giusto,
qualcuno mi ringrazierà.»
«Invece
io ho idea che quel qualcuno ora stia pensando a tutto, tranne che a
ringraziarti!»
Emile
mi raggiunse e mi scompigliò i capelli con una mano, prima
di circondarmi le
spalle con il suo braccio. «E mentre i due piccioncini si
stavano nutrendo del loro
amore, tu che hai fatto?»
«Sono
andata da Simona; non sto più andando ogni settimana e
quindi quando ho un pomeriggio
libero, ne approfitto.»
Mi
diede un bacio sulla testa mentre la sua mano mi strinse più
forte a sé: «Devo
andare a trovare mia madre… è dal giorno del
funerale che non vado da lei.»
«Allora
la prossima volta che vado da Simo, vieni con me e facciamo la nostra
bella
visitina familiare.»
Emile
mi chiuse nel suo abbraccio circondandomi completamente con le braccia:
«Sei
una gran donna Pasi… anche se t’impicci
pericolosamente nella vita altrui!»
«Ma
solo a fin di bene!»
«Ovvio…
del resto se non fossi stata così, probabilmente nemmeno ci
saremmo
conosciuti.»
«Io
invece penso che sarebbe avvenuto ugualmente
perché…»
«…
Perché siamo legati dal Filo Rosso del Destino.»
Emile continuò la mia frase
facendomi il verso, ma quando alzai il viso per osservarlo, vidi una
luce
divertita nei suoi occhi.
«Esatto
e sono sicura che ci crederai anche tu. prima o poi!» Sorrise
senza dire altro
e a quel punto mi venne in mente, che quel pomeriggio poteva avergli
donato una
nuova speranza, mentre ero via: «Come sono andate le
audizioni?»
Emile
dette in un sospiro prima di rispondermi: «Non si sono
presentati in molti,
infatti abbiamo terminato presto… ma nessuno ci convince
ancora… Odio
profondamente Claudio, ma diamine se ci sa fare! Sarà
difficile sostituirlo.»
Abbassai
di nuovo la testa stringendomi di più a lui.
«Prima
o poi arriverà la persona giusta Emile, arriva sempre e
Claudio non è l’unico
batterista in gamba sulla faccia della terra!»
Il
mio Pel di Carote sghignazzò: «Potrei mettere un
annuncio a livello mondiale
allora, magari ne trovo uno in India!»
«Uff,
ma quanto sei stupido!» Lo sentii sorridere tra
sé, quel giorno Emile era la rappresentazione
del sole, era di umore splendido e non la smetteva più di
sorridere e la mia
felicità si moltiplicò nel vedere quel volto che
adoravo, illuminato da quelle
espressioni di serenità.
«Streghetta,
ora però che ne dici se ci spostiamo da
quest’ingresso?»
Dato
che Alberto era preso dal suo dipinto, io ed Emile ci occupammo di
preparare il
pasto serale, per non distogliere l’artista dalla sua opera.
Era la prima volta
che cucinavo insieme a lui a casa sua, ma non era la prima volta quel
giorno e
la mia sensazione che tutto fosse completo e perfetto quando Emile era
con me,
si cementò nel mio cuore: volevo stare con lui, volevo
condividere ogni più
piccolo momento del quotidiano con il mio Pel di Carota.
Volevo
uscire e tornare a casa sapendo che ci sarebbe stato lui ad accogliermi
e che
con lui avrei preparato il nostro pasto, volevo condividere
l’atmosfera
rilassante del dopocena, stare accoccolata accanto a lui, far
l’amore con lui e
addormentarmi tra le sue braccia, per poi risvegliarmi guardando il suo
volto…
Volevo il mio Emile, sempre e per sempre.
«Pasi?
Ti sei imbambolata… oggi la cucina ti fa uno strano
effetto.» Il mio Pel di
Carota era alla mia destra, intento
come
me a preparare qualche tartina per stuzzicarci l’appetito.
«Sarà
l’odore del cibo che mi annebbia i sensi!»
«Ah
sì? Proviamo a vedere.» Con sguardo malizioso
e un movimento fulmineo, che mi ricordò quello
della mattina quando mi
aveva bloccato sul letto, prese un po’ di maionese e me la
spalmò sul naso.
«Ma
che… vuoi la guerra Pel di Carota? E
l’avrai!» Presi la mia salsa tartara e
gliela spalmai sul braccio… il viso era decisamente fuori
portata e poi
l’infame si era tempestivamente spostato, per cui dovetti
adattarmi al primo
lembo di pelle che trovai; il suo contrattacco arrivò presto
e in breve tempo
ci ritrovammo spalmati di salse su tutto il corpo…
«Ehm…
bonsoir.» … e fu in quel momento che comparve
Lucien.
Io
ed Emile ci bloccammo, osservando il nuovo arrivato che ci guardava
perplesso,
ci guardammo negli occhi per un istante e scoppiammo a ridere,
rendendoci conto
di sembrare due bambini.
«Pardonnez-moi
per l’interruzione, prego fate pure.»
Lucien
fece un sorriso soddisfatto e fece per andarsene, quando Emile a
sorpresa si
rivolse a lui: «Se vuoi ce n’è anche per
te, cousin.»
Sia
io e che Lucien lo guardammo sorpresi: quel giorno il mio Pel di Carota
sembrava davvero un’altra persona, era riuscito per la prima
volta ad
interagire di sua spontanea volontà con suo cugino e senza
la solita rabbia che
gli riservava da sempre! Non mi feci scappare quell’occasione
e colsi il suo
suggerimento al volo, prendendo la mia salsa tartara e spalmandone un
po’
sull’avambraccio di Lucien, che rimase totalmente interdetto.
«Ha
ragione Emile, ce n’è anche per te!» Lo
guardai con sfida, sperando che si
unisse a noi: guardò me e suo cugino alternatamente per
qualche secondo, finché
con uno scatto repentino, mostrando uno spirito
d’osservazione non da poco,
arrivò accanto al barattolo del paté di olive,
facendone la sua riserva
personale di proiettili, e passò al contrattacco.
E
dopo poco tempo, comparve anche l’ultimo abitante di quella
casa, che si
affacciò in quella stanza, che era diventata un vero e
proprio campo di
battaglia:
«Cosa
diavolo sta accadendo qui?»
Lo
spettacolo che offrimmo ad Alberto non era dei migliori: ognuno di noi
aveva il
suo barattolo con la salsa in una mano e l’altra sporca, che
cercava un punto
indifeso sul corpo dell’altro. Io cercavo di trattenere
Lucien con un piede, mentre
puntavo il mio dito sporco di tutte le salse usate, mischiate tra loro,
verso
il naso di Emile, che dal canto suo tratteneva il suo barattolo come se
ne
valesse della sua vita, tirando il volto in alto e allungando la mano
“armata”
di salsa sul braccio di Lucien, che cercava di staccarsi dallo
sgambetto che
gli stavo facendo, mentre la sua mano colpiva la fronte di Emile.
Le
tartine erano rinsecchite sul tavolo e ovunque sulla mobilia,
c’erano i segni
delle nostre mani che, sporche di salsa, avevano cercato un punto
d’appoggio.
«Vi
rendete conto che questa è una cucina? Guardate come
l’avete ridotta! Sembrate tre
bambini delle elementari…»
Restammo
bloccati ad osservarci a vicenda, cercando di non ridere delle nostre
facce
completamente coperte da
tutte le salse
possibili, finché Alberto continuò la sua
ramanzina.
«Vi
faccio vedere io, come si fa la guerra!»
Prese
la doccetta collegata al lavello della cucina e ci coprì
letteralmente d’acqua,
facendoci diventare un unico impasto con le salse appiccicate sui
nostri corpi!
Emile fu il primo a reagire, con scatto repentino ridusse le distanze
che lo
separavano da suo padre e gli spalmò sul viso, la sua scorta
terribilmente
calante di maionese, mentre io e Lucien l’incitavamo e subito
dopo prendemmo
coraggio per correre al contrattacco.
«Ragazzini
sleali, vi affidate al numero, eh? Vi faccio vedere io chi è
che comanda qui e
dopo pulirete tutto il caos che avete fatto!»
E
ne facemmo di caos: quando le nostre scorte terminarono, lo spettacolo
che
c’era in quella cucina era devastante: Alberto ci mise a
lavorare sodo per
ripulire tutto, non senza partecipare anch’egli alle pulizie
notturne e quando
dopo un’ora di fatiche erculee la cucina tornò a
brillare, ci spedì nelle docce
mentre si occupava della cena, che avvenne ad orari
vampireschi…
Mi
dimenticai del tutto di chiedere a Lucien se fosse arrabbiato con me
per il
tiro mancino che gli avevo fatto, lasciandolo da solo a casa di Sofi e
non
potevo dire se il suo umore sereno fosse indice che non era accaduto
nulla di
sgradevole dalla mia amica o se fosse solo dovuto al fatto, che
finalmente
Emile l’aveva trattato come uno di famiglia. Dal canto mio
ero totalmente al
settimo cielo, quello fu uno dei giorni più belli della mia
vita, un giorno che
avrei portato nel cuore per sempre.
E
come al solito, Alberto aveva ragione: avrei dovuto portare qualche
ricambio in
quella casa, perché dopo aver fatto la doccia, usai un altro
vecchio completo
di Emile per rivestirmi.
*****
«Pasiiiiii!!!
Sono quiiiii!!!»
Dopo
aver chiesto sul suo conto al mio Pel di Carota, mi ero decisa a
chiamare Iulia,
per vederci una mattina e fare due chiacchiere insieme. Quella
settimana avevo
il turno pomeridiano e siccome la sera la volevo trascorrere con il mio
Emile
(casa discografica permettendo), optai per le ore mattutine per tutti
gli altri
impegni. Iulia fu felicissima di sentirmi e si rivelò
disponibilissima con
i miei orari, così decidemmo
d’incontrarci davanti ad un bar, per poterci prendere una
granita e fare due
chiacchiere.
Ero
arrivata prima di lei ma mi fece attendere solo qualche minuto, prima
che la
sua voce mi chiamasse a tutto volume da qualche metro di distanza. Mi
girai
sorpresa: non ero abituata ad essere chiamata in quel modo,
l’unico che lo
faceva era Stè e di solito non usava il
mio nome. Iulia era visibilissima in mezzo alla folla, con
il suo
abbigliamento scuro sembrava un sole nero, nel mare di persone che
popolavano
la strada quel giorno, ma a discapito del suo abbigliamento lugubre, la
sua
voce e l’espressione del suo viso non facevano che ispirarmi
una sola cosa: il
sorriso.
Una
volta raggiuntami, si chinò su di sé per
riprendere fiato, doveva aver corso.
«Scusami….
ti ho…. fatto aspettare…»
«Ma
no, che dici! Non c’era alcuna fretta, sei in perfetto
orario.»
«Per
fortuna… ho corso come una pazza…»
«Ma
non c’era bisogno di affrettarsi in questo modo!»
Alzò
il viso verso di me e i suoi lunghi capelli le coprirono in parte il
viso.
«L’auto
si è fermata all’improvviso e ho dovuto farmi
qualche metro di troppo a piedi…
temevo che te ne saresti andata via, stanca di aspettarmi.»
«Ma
potevi chiamarmi! Sarebbe bastato che mi avessi avvisato e ti avrei
aspettato!
Anzi, vuoi una mano con l’auto?»
«Oddio
hai ragione, che scema! Non ci avevo nemmeno pensato!!»
Iulia
si rialzò e si mise a ridere di gusto, era davvero un
tipetto allegro e sembrava
anche molto autoironica… il suo modo di ridere
così spontaneo fece sorridere
anche me.
«Sarà
stato il calore che ti ha offuscato i pensieri.»
«No,
purtroppo, sono io che a volte sono davvero svampita e menomale che non
sono
bionda!»
Sorrisi
a quella battuta, pensando che se Rita l’avesse sentita, si
sarebbe alterata
non poco: il biondo cenere dei suoi capelli aveva scatenato spesso
delle
battute sulla stupidità delle bionde, battute a cui reagiva
ogni volta
infuriandosi, proprio lei che normalmente era una persona
così tranquilla e posata.
«Vuoi
una mano con l’auto? Possiamo vedere insieme
cos’ha…»
«Te
ne intendi? Io credo di sapere cos’ha perché
spesso mi lascia a piedi, la
carogna, ma del resto è una Vecchia Signora, ha la sua
età e non posso
pretendere troppo da lei… però ci penseremo dopo,
ora ho voglia davvero di
qualcosa di fresco e di fare due chiacchiere.»
Mi prese a braccetto e senza nemmeno attendere una mia
replica, entrammo
nel bar.
Ordinammo
le nostre granite e ci accomodammo ad un tavolino, posto nel fresco di
un
angolo, lontano dalla calca e soprattutto lontano dal calore devastante
di quel
mattino.
«Non
sai che piacere mi abbia fatto, ricevere la tua telefonata! Non credevo
che
avresti risposto al mio invito, anche se ci speravo… avevo
davvero desiderio
d’incontrarti!»
«Grazie
Iulia, sei così gentile… non credevo di essere
così popolare!»
«Oh
invece lo sei! Franz ti adora, dice che sei una persona sincera e
divertente e
che hai anche amici simpatici.»
Avevo
capito benissimo a chi si riferisse… ancora mi vergognavo al
pensiero degli
aneddoti che Stè aveva raccontato sul mio conto a Francesco
e Filippo… Una
serie interminabile di figuracce, collezionate in otto anni di
conoscenza;
c’era materiale in abbondanza per scrivere una saga
cinematografica!
«Sì,
beh… diciamo che Francesco e Stè sono andati
subito d’accordo.»
«Ti
hanno messo alla berlina, vero? Franz quando ci si mette è
spietato! Lo fa con
affetto, ma quando prende di mira qualcuno, riesce a prenderlo in giro
per
qualsiasi cosa! Fil è più pacato, ma se si fa
prendere dal fratello ci si mette
anche lui e allora è davvero finita!»
Ricordai
il giorno in cui incontrai per la prima volta i due gemelli e mi
tornò alla
mente il modo in cui si divertivano a sminuire le arie di
superiorità di Emile.
Sorrisi, rendendomi conto che le parole di Iulia erano vere: anche se
con
spirito bonario, quei due insieme erano capaci di minare
l’amor proprio di
chiunque…
«Pasi…
scusami se te lo chiedo ma, hai
un nome
particolare…»
E
come da copione, ecco che tornava come sempre, il tormento che mi
accompagnava
da quando ero nata…
«Sì
beh, ecco… in realtà è Pasifae,
è un nome greco…»
«Che
bello allora siamo cugine! Il mio è romano!» Il
viso di Iulia si illuminò come
quello di una bambina e la vidi anche unire le mani in un gesto di
gioia. «Ho
il nome della Gens Iulia, la famiglia a cui apparteneva Caio Giulio
Cesare.»
«Allora
probabilmente, i tuoi genitori conoscevano i miei!» dissi
senza alcuna gioia;
ogni volta che si tornava sull’argomento del mio nome, non
riuscivo a trovarci
nessun lato positivo, ancor più se l’associavo ai
miei genitori, che
continuavano a costituire per me, un problema da risolvere…
Invece la mia
interlocutrice sembrava del tutto entusiasta delle mie parole!
«Sarebbe
bello scoprire che davvero si conoscono, sarebbe un segno del
Destino!»
«Sì,
magari erano compagni di classe alle superiori!» Iniziai a
prendere gusto anche
io a quell’idea strampalata, immaginavo persino i miei
genitori in veste di
studenti che parlavano con i loro compagni di classe...
«E
magari sono stati anche presenti ai rispettivi matrimoni!»
Iulia sembrava
divertirsi davvero all’idea… sembrava una persona
che si entusiasmava davvero
con poco, avrebbe potuto fare concorrenza a Stè!
«Ma
bando alle ciance, torniamo a noi: probabilmente ti sarà
sembrato eccessivo il
mio entusiasmo nel volerti conoscere, ma è la prima volta
che riesco a parlare
con la ragazza di uno di quei perdigiorno dei GAUS…
soprattutto di Emile! Franz
mi ha detto che state insieme da tanto tempo, come hai fatto? Le altre
non sono
durate che qualche mese scarso!»
«Beh…
non so… oddio non che sia stato
facile…»
Cercai
d’ignorare il riferimento alle altre,
per concentrarmi sulla sua domanda principale… Era meglio
non istigare la mia
gelosia latente, perché iniziavo davvero a temerla.
«No
scusami, non volevo farmi gli affari tuoi, ti sarò sembrata
un’impicciona! Era
una domanda retorica, perché sono stupita e sono anche
felice che quella testa
dura sia più sereno, da quando ci sei tu.» Alzai
il viso sorpresa da
quell’affermazione: quanto sapeva Iulia sul conto di Emile?
«In
che senso?»
«Vedi,
Franz ed io ci conosciamo da tanti anni e tra di noi non ci sono
segreti: mi
parla spesso del gruppo e dei loro problemi e mi ha sempre detto che il
tuo
ragazzo era intrattabile la maggior parte del tempo, anche se aveva
talento e
le sue scelte si erano rivelate quasi sempre giuste. E da quando
è con te,
Franz mi dice che Emile è migliorato: è
più aperto ai loro pareri e anche se
stanno attraversando un momento critico, lo vede più sereno,
meno cupo… A parte
quando il suo sguardo incontra quello di Claudio, perché in
quel caso potrebbe
scapparci il morto!»
«Sì…
Emile si sta sforzando tantissimo, per sopportare la presenza di
Claudio nel
gruppo…»
«Per
fortuna quel pallone gonfiato se andrà via, dopo il tour!
Era ora che si
allontanasse, lui e la sua ex ragazza che ci ha sempre snobbato, non li
ho mai
sopportati!»
«Emile
mi ha detto qualcosa in proposito.»
«Quella
tipa l’avrò vista due volte in quattro anni! Lei e
Claudio litigavano in
continuazione, perché diceva che il gruppo allontanava il
suo ragazzo da lei,
ma lei nemmeno ha provato a stargli accanto! Non l‘ho mai
vista ad una delle
loro serate, non è mai venuta a fare il tifo per il proprio
ragazzo, né a
portare un po’ di amici nei locali dove si
esibivano… In realtà credo fosse
gelosa della band, perché temeva di essere meno importante
agli occhi di
Claudio… Così prima che fosse lui a farlo,
l’ha lasciato lei…»
Con
quelle rivelazioni di Iulia, mi vennero in mente le parole di Claudio
al riguardo:
“Quell’ipocrita non mi ha
permesso di
andare a trovare la mia ragazza in ospedale quando si è
ferita l’anno scorso”
e compresi quanto quell’assenza al capezzale della sua
ragazza, dovesse essere
pesata nel loro
rapporto, tanto da
spingerla a lasciarlo.
«…
e Claudio si è vendicato in quel modo
ignominioso.»
Al
solo ricordo di quel giorno, in cui quel tipo mi aveva messo le mani
addosso,
provocando la rabbia di Emile, arrossii di vergogna,
d’imbarazzo e di rabbia e
chinai il capo, incapace di affrontare apertamente il viso di Iulia.
«Non
devi imbarazzarti Pasi, non è dipeso a te, è
Claudio ad essere un verme viscido
e schifoso.»
«Lo
so, ma mi sento ancora così arrabbiata per il modo in cui
sono stata usata
contro Emile! E terribilmente in colpa per quello che ho
scatenato…»
«Mah,
secondo me invece, è stato un bene: a parte il tour, Claudio
sarà fuori dai
giochi e i ragazzi saranno liberi di trovarsi un altro batterista, che
rispetti
la loro politica e che non metta i bastoni tra le ruote nei momenti
cruciali.»
«Io
lo spero davvero,
Iulia, perché mi sento
così terribilmente in colpa e ho visto Emile ridotto in
pezzi dalla cattiveria
di Claudio… Spero che se ne vada da quel gruppo il prima
possibile!»
Iulia
mi prese le mani tra le sue guardandomi con affetto: «Se ne
andrà, stai
tranquilla, dobbiamo solo pazientare un po’ e se ne
andrà via per sempre dalle
nostre vite e da quelle dei nostri ragazzi.»
Il
modo in cui mi guardò, il tono della sua voce e il contatto
delle sue mani, mi
fecero sentire confortata e benvoluta e in quel momento provai
un’assoluta
felicità per averla conosciuta e per aver potuto finalmente
condividere le mie
paure e i miei pensieri relativi al futuro dei GAUS, con qualcuno che
poteva
comprendermi totalmente. A mia volta, iniziai a comprendere il
desiderio di
Iulia di conoscermi, per poter finalmente avere qualcuno con cui, come
aveva
detto Emile, dividere le gioie e i dolori dell’essere la
compagna di un
musicista.
«Ah!
Prima che me ne dimentichi, grazie per il ciondolo Iulia, è
bellissimo!»
«Davvero
ti piace?»
«Sì,
è bellissimo! Mi piace la forma e i colori usati, davvero
originale!»
«Oh,
quanto sono felice!» Rifece il gesto di battere le mani
contenta, come una
bambina cui avevano
promesso delle
caramelle e mi fui contenta di averle dato quella
soddisfazione… A patto che la
mia idea fosse fondata…
«L’hai
fatto tu, vero?»
«Con
queste mani!» disse,
mostrandomi i palmi
in alto orgogliosa.
«Ho
sempre ammirato chi ha il dono della creatività, sei davvero
brava!»
«Grazie!
Ma quello che faccio io è nulla a confronto con certi geni,
Pasi! Qualche volta
devo portarti con me a qualche mercatino dell’artigianato e
vedrai quante
delizie e quanti capolavori possono nascere, da un paio di mani
abili!»
«Ma
anche tu sei brava!»
«Cerco
di fare quel che posso: mi piace lavorare le paste sintetiche e
più lo faccio,
più mi vengono in mente idee diverse e sono felice quando
ciò che creo piace… Anche
se questa mia cliente ha disdetto all’ultimo secondo e senza
nemmeno vedere il
mio lavoro… Mi ha lasciato come una stupida, con il ciondolo
pronto!»
«Fatti
risarcire, allora! Hai impiegato tempo per farlo.»
«Sì,
per quello non ci sono problemi, mi faccio dare sempre un acconto prima
d’iniziare
a lavorare, così se i clienti cambiano idea almeno ci
guadagno comunque qualcosa.»
Mi sorrise sodisfatta; a quanto sembrava Iulia non era una sprovveduta,
nonostante quei suoi atteggiamenti che la facevano sembrare una bambina
un po’
cresciuta.
«Hai
un negozio?»
«No,
ma mi piacerebbe, un giorno! Sto mettendo da parte il mio gruzzolo
personale in
previsione, ma è ancora tutto da decidere e poi se la
carriera dei GAUS andrà
avanti, Franz sarà spesso in giro, quindi per ora mi
è più comodo avere il
lavoro con me, senza dover restare in una sede fissa, così
posso accompagnarlo
ovunque vada!»
«Hai
intenzione di seguirlo in tournée?!»
«Ti
sembra così strano? Sarà via per mesi ed io non
ho impegni fissi qui e poi avrà
di sicuro bisogno di un sostegno, senza contare che posso
fare i miei lavori, ovunque ci sia un
forno.»
«Allora,
sarai la loro groupie!»
«Uhm…
una groupie un po’ riservata… solo per uno dei
chitarristi!» Ci mettemmo a
ridere su quella battuta ma Iulia si fermò
all’improvviso.
«Tu
non verrai?»
«No…
o meglio, non ne abbiamo nemmeno parlato, ma non credo che sia il caso:
Emile
non vuole che m’intrometta nella sua vita professionale e non
posso che dargli
ragione, perché quando l’ho fatto ho scatenato
quel casino…»
«Ah
è vero, Claudio sarà lì.»
«Già…
probabilmente riuscirei anche a tollerare la presenza di Claudio, ma
darei solo
un problema in più ad Emile, che già fatica ad
essere sereno in presenza di
quel tipo... e poi io qui ho il mio lavoro e il mio impegno col
centro.»
«Che
centro?»
«Un
centro d’accoglienza per chi ha problemi psicologici: io e il
mio amico
Federico aiutiamo chi ha problemi a confidarsi, oppure indichiamo a chi
lo
chiede, i centri migliori nel circondario per risolvere i singoli casi.
Fede ha
lavorato in una comunità per tossicodipendenti per anni e ha
una grande
esperienza con chi ha problemi psicologici, io facevo del volontariato
insieme
a lui e quando la comunità ha chiuso, abbiamo pensato di
creare qualcosa
personalmente, con le nostre poche risorse. Per ora è solo
un piccolo centro di
ascolto, ma col tempo se ci giochiamo bene le nostre, carte potremmo
aprire
anche noi una comunità o qualcosa di simile.»
«Wow!
Pasi sono senza parole, tu e il tuo amico siete da ammirare, avete un
progetto
meraviglioso a cui dedicarvi! Ce ne fossero di più, di
persone come voi!»
Iulia
aveva il viso palesemente ammirato e quello sguardo mi fece arrossire;
io
continuavo a considerare il mio impegno sociale come qualcosa di
normale,
perché faceva parte del mio carattere dare aiuto quando
potevo; gli sguardi
ammirati delle persone mi
mettevano a disagio, perché non li capivo.
«Ma
no, Iulia, non è nulla di che, mi piace e cerco di fare di
una passione,
qualcosa che mi impegni il tempo in modo proficuo.»
«Io
continuo a pensare che tu sia da ammirare, non ho mai conosciuto
qualcuno della
tua età così prodigo verso gli altri…
Viviamo in un mondo egoista e
indifferente e il tuo impegno verso chi è fragile dentro
è davvero unico!»
«Se
ti fa piacere allora, qualche volta ti porto con me al centro,
così conoscerai
anche Fede e vedrai cosa facciamo.»
«Sììì!
Mi piacerebbe tantissimo, grazie!» Quasi saltando dalla
sedia, prese le mie
mani nelle sue e mi guardò con una luce bambinesca negli
occhi che mi fece
sorridere di cuore: quella ragazza mi piaceva davvero tanto!
La
mattinata trascorse velocemente in sua compagnia: Iulia era una persona
socievole e molto loquace e aveva saputo ispirarmi fiducia presto,
nonostante
avessi notato anche degli atteggiamenti del tutto singolari in lei,
come
quell’ingenua spontaneità da bambina che mi aveva
lasciato un po’ sorpresa. A
quel pensiero, ricordai le parole di Emile:
“Iulia mi ha dato
l’impressione di essere
una ragazza vitale e fuori dagli schemi” e mi resi
conto che quella
descrizione combaciava perfettamente, con quello che avevo percepito su
di lei.
Iulia sprigionava una grande vitalità dal suo modo di fare e
a volte lasciava
del tutto spiazzati per la sua imprevedibilità.
Quando
giunse per me, l’ora di andare a lavoro, mi
abbracciò con calore: «Sono davvero
felice di averti conosciuta, Pasi, mi piacerebbe se noi due
diventassimo
amiche.»
Ricambiai
il suo abbraccio con sincero trasporto: «Anche a me ha fatto
piacere
conoscerti.»
«Visto
che non ci sarai nel tour, voglio portarti più vicina al
mondo dei GAUS:
tieniti pronta, perché la prossima volta che mi
farò sentire, dovrai ritagliarti
qualche ora libera!»
«Ma
che intenzioni hai?»
Mi
staccai dal suo abbraccio sconcertata e Iulia si portò
l’indice davanti al
naso: «Segreto!
Ed ora vai, sennò fai
tardi al lavoro. A presto, Pasi!» Mi diede un bacio sulla
guancia e scappò via
verso la direzione da cui era venuta.
Ero
di nuovo senza parole, come quella sera a lavoro: cosa aveva voluto
dire con
quella frase? In che modo voleva portarmi più vicina al
mondo dei GAUS?
Feci
la strada verso il fast food riflettendo su quelle parole e su quella
mattinata
e solo arrivata a destinazione, mi ricordai che Iulia aveva
l’auto ferma per
strada e che non le avevo dato una mano a rimetterla in sesto.
*****
«Pronto?»
«Stè
ho bisogno di una mano.»
«Cos’hai
combinato stavolta, Testarossa?»
«Nulla,
ho solo bisogno della tua tecnologia.»
«Uhm,
chissà perché ho l’impressione che
c’entri la famiglia di Emile…»
«Bravo
Einstein! Puoi aiutarmi?»
«Certo,
che domande fai? Vieni pure.»
«Perfetto,
mi preparo e vengo da te.»
Mi
ero appena alzata e prima che la mattinata scorresse in altre faccende,
mi
preparai ad andare da Stè per portare a termine quel piccolo
lavoretto di cui
avevo bisogno.
Alberto
mi aveva donato senza pensarci due volte, una delle rare foto in cui
lui e sua
moglie si godevano l’inizio della loro avventura di genitori
ed era anche una
delle poche foto felici in cui erano presenti tutti e tre.
L’avevo presa con
gioia, ma dopo qualche giorno mi sembrò di aver tolto un
tesoro prezioso da
quella casa e dalla scatola dei ricordi di Emile e Alberto.
Così in cerca di
una soluzione, che mi permettesse di avere quella foto ma senza
toglierla ai
legittimi proprietari, trovai di nuovo un valido aiuto nella
strumentazione
tecnologica di Stè: avrei scannerizzato la foto, rendendola
digitale, per poi
farmela stampare, così avrei avuto la mia copia
senza togliere l’originale ai proprietari.
«Ho
l’impressione che la casa di Emile sia un negozio di
antiquariato… sarà per
quello che restaura mobili antichi!»
«In
effetti, l’arredamento ha alcuni dettagli che ricordano altri
tempi.»
«In
verità mi riferivo alle volte che sei venuta per
modernizzare gli oggetti
provenienti da quella casa, come le canzoni della signora
Claudine… A
proposito, Lucien ha parlato con Sofia?»
«Eh?»
«Per
le lezioni di francese, Pasi!»
«Ah
sì, giusto… Credo di sì,
perché l’ho accompagnato io stessa da
lei.»
«Come
“credi”? Non eri presente?»
«Ehm…
in realtà l’ho solo accompagnato…
appena arrivati, me ne sono andata via.»
«COSA?
E perché mai? Hai lasciato Lucien in pasto a Sofia? Oh
cielo, l’avrà fatto a
fette!»
«Quanto
sei drastico, Stè! Sofi non è mica un
orco!»
«Ma
se tu sei la prima a litigarci!»
«Lo
so, ma Lucien riesce a zittirla, ricordi? Senza la mia presenza in
mezzo, sono
sicura che se la sarà cavata alla grande.»
«Scusa,
ma poi non sei andata a prenderlo? Com’è tornato a
casa?»
«Non
lo so di preciso: è tornato poco prima di cena, ma non
abbiamo avuto modo di
parlare…»
Sorrisi,
ricordando quella sera stupenda che avrei conservato per sempre nel mio
cuore:
erano trascorsi due giorni da allora e non avevo avuto occasione di
rivedere né
Emile né tantomeno Lucien.
Il
mio Pel di Carota poteva anche aver terminato le registrazioni, ma
c’era ancora
così tanto da fare alla casa discografica, che le sue serate
finivano con
l’essere risucchiate dai GAUS e a me non restava che
attendere l’ora della
nostra chiacchierata telefonica, prima di andare a dormire.
«Uhm…
tu non me la conti giusta, Testarossa… Stai architettando
qualcosa, vero?»
Stè
era un caro ragazzo, ma se c’era una cosa
che non sapeva fare, era fingere e dirgli dei sospetti miei e di Rita
sul conto
di Sofia, non era contemplabile, perché anche se gli avessi
fatto giurare di
non fare battute in presenza di Sofi, sapevo che non avrebbe resistito,
scatenando l’ira della nostra amica, che già stavo
mettendo alla prova
personalmente con il mio comportamento da Cupido.
«No
Stè, te l’ho detto, era meglio per tutti se Lucien
avesse parlato da solo con
Sofi, perciò non sono entrata anche io… e poi ho
dato per scontato che sapesse
tornare a casa da solo, com’è accaduto, quindi non
c’è alcun motivo per
insospettirsi!»
«Mah…
continuo a non essere convinto.»
Gli
mostrai uno dei miei sorrisi più convincenti e cercai di
cambiare discorso, per
non finire col tradirmi: era difficile per me mantenere un segreto con
Stè, lui
era il mio confidente più grande, sapeva ogni piccola cosa
sul mio conto e mi
dispiaceva mentirgli, ma era a fin di bene: Sofia era una persona
difficile e
dovevo andarci con i piedi di piombo se volevo riuscire nel mio scopo,
senza
farla arrabbiare definitivamente con me e perdere la sua amicizia.
«Testa
di Paglia… ricordi il discorso di qualche giorno fa, sulle
vacanze?»
«Sì,
certo... hai deciso dove andare?»
«Sì…
o meglio, credo che per quest’anno non ci
andrò.»
«Eh?
E perché? Non ti danno le ferie?»
«Non
so, non le ho ancora chieste a dir la verità… Il
fatto è che Emile sarà
impegnato tutta l’estate con la realizzazione
dell’album e poi andrà via in
tour… Voglio stare con lui Stè, voglio riuscire a
sfruttare tutto il tempo
possibile per stargli accanto, perché poi sarà
lontano da me per mesi.»
M’incupii
al solo pensiero di trascorrere settimane e settimane senza il mio Pel
di
Carota e sapere che invece Iulia avrebbe seguito Francesco, non mi
aiutava
affatto. Ma sapevo che il mio posto non era con i GAUS, sarei stata
totalmente
d’intralcio e non avrei potuto abbandonare il mio mondo per
Emile, non me lo
sarei perdonato e non l’avrebbe fatto nemmeno il mio Pel di
Carota. Ci eravamo
ripromessi di non perdere noi stessi e le nostre vite, per annullarci
in
funzione della vita del nostro compagno/a e così avremmo
dovuto procedere:
Emile doveva andare in tour ed io dovevo restare qui con i miei amici,
il mio
lavoro e il centro.
«Ho
capito… Uhm… a questo punto allora credo che
saremo tutti a casa, quest’anno.»
«Eh?
E perché? Nemmeno Rita e Fede vanno in vacanza?»
«Non
so di preciso, ma dubito che quei due, vogliano qualcuno tra i piedi!
Ora che
sono tornati ad essere una coppia, sicuramente vorranno farsi una
vacanza
romantica, non trovi?»
«Uhm,
hai ragione… Però c’è
So…»
«Testarossa,
sii obiettiva: cosa mai potremmo fare io e Sofia insieme? A parte
litigare, ovviamente!» Stè
aveva ragione, lui e Sofi erano poco compatibili:
per quanto potessero funzionare in compagnia, tanto era impossibile che
legassero quando erano da soli, c’era ben poco che li
accomunasse… e poi se
Sofi fosse andata via in vacanza, avrebbe messo delle distanze da
Lucien e
questo non doveva accadere!
«Allora
dobbiamo organizzare più spesso qualche altra giornata al
mare, almeno ci
divertiremo un po’, staremo insieme e ci godremo come
possiamo le vacanze… Anche
se mi dispiace che per colpa mia ci rinunci anche tu!»
«Ma
no, Pasi, non preoccuparti, lo sai che io trovo sempre modo
d’impegnare il mio
tempo e poi a dir la verità, dovrei studiare un
po’ per i prossimi esami:
quest’anno non sono stato troppo ligio al dovere e devo
recuperare!»
Abbracciai
Stè preda del senso di colpa e di un’improvvisa
tristezza: ogni volta che
accennava all’università, non potevo che andare
col pensiero a Simona e
l’associazione con il mio amico mi metteva immediatamente
addosso una grande
malinconia. In più con la mia decisione di stare accanto ad
Emile, avevo anche
precluso il suo divertimento estivo e anche se mi dicevo che ognuno
è libero di
gestirsi il tempo come vuole, senza dover dipendere dagli altri, non
potei
evitare di pensare di fare un torto al mio amico.
«Testarossa,
non preoccuparti, mal che vada se sentirò il bisogno di
prendermi una vacanza,
chiederò a qualche mio collega di facoltà o a
qualcuno dei miei fratelli… Sono
pieno di risorse, lo sai.»
Annuii,
lasciandomi confortare dal suo abbraccio.
«Su,
ora mettiamoci al lavoro, per portare nel ventunesimo secolo quella
fotografia.»
*****
«Pronto?»
«Allô
Pasi?»
«Lucien?»
«Oui,
c’est moi.»
«Che
sorpresa, è la prima volta che mi chiami!»
«Oui…
non posso usare mon portable ici e sto chiamando da quello di Oncle
Albert…»
«Ah sì,
vero, le tariffe estere ti ucciderebbero…»
«Oui,
per questo ho chiesto a Oncle Albert ,se potevo usare son
portable.»
«Allora,
cosa ti ha spinto a chiamarmi?»
La mia
mente era già in pieno fermento: stavo già
immaginando una confessione e una
richiesta d’aiuto per far breccia nel cuore strettamente
protetto di una
persona che conoscevo bene…
«Bien,
qualche giorno fa, ho trovato un depliant sulle rassegne estive
teatrali e ho
letto che daranno l’Edipo Re, une tragédie
greque… Ne ho parlato a Sophie e
dice che forse poteva interessarti vederla… sia a toi che a les
autres…»
Aveva
parlato di una tragedia greca a Sofia…
Iniziavo a pensare davvero che quei due fossero fatti l’una
per l’altro!
Mi
aveva sempre appassionato il teatro, aveva un certo fascino, anche se quando a scuola i
professori ci
portavano a vedere qualche rappresentazione, io e Stè ci
distraevamo in
continuazione; ma
chissà perché, pensare
a quei due che parlavano di teatro, mi dava l’impressione di
un discorso tra
cervelloni di quelli che passano in tv alle ore più tarde
della notte... e che
puntualmente mi facevano addormentare!
L’idea
di Lucien tuttavia non era affatto male: di sicuro lui e Sofi nutrivano
un
interesse per il teatro maggiore del mio, o comunque diverso: io lo
percepivo
più emozionalmente, mentre quei due di sicuro sapevano vita
morte e miracoli dell’autore
e dei significati reconditi dietro la trama… Poteva nascere
una serata
interessante e non volevo perderla, perché Lucien e Sofia
avevano ancora
bisogno di Cupido!
«Certo
che m’interessa! Verrò con piacere,
Lucien!»
«Bien!
Alors, ci pensi tu a chiamare les autres? Non vorrei sfruttare troppo
le
portable de mon Oncle…»
«Chi
dovrei chiamare?»
«Rita,
Federico e Stefano e confermare a Sophie chi ci
sarà…»
A quel
punto mi balenò nella testa un’altra idea per
avvicinare i piccioncini: «A dir
la verità, proprio non posso, ho finito il credito e non ho
nemmeno il tempo di
chiamare i ragazzi… Perché non vi organizzate tu
e Sofi?»
«Moi e
Sophie?!»
«Sì,
anzi ora ti do il suo numero e poi devo scappare perché ho
un impegno e non
posso rimandare!»
Portai
a termine con stile la mia nuova mossa da Cupido e non lasciai a Lucien
il
tempo di replicare… Stavo giocando col fuoco, sia con lui
che con Sofi, ma
finché mi fosse andata bene, avrei fatto di tutto per
aiutare quei due a
venirsi incontro! In effetti non sapevo nemmeno se Lucien fosse
interessato
alla mia amica, ma un sesto senso mi diceva che stavo agendo nella
giusta
direzione: se avevo visto bene, quei due erano legati dal Filo Rosso
del Destino,
proprio come me ed Emile e anche se prima o poi quel filo li avrebbe
chiamati a
sé senza il mio aiuto, ciò che avevo detto a Simo
qualche giorno prima era
vero: qualche volta le persone hanno bisogno di essere spinte verso la
giusta
strada da imboccare… Anche Fede aveva fatto così
con me, quando mi aveva dato la
foto da restituire ad Emile…
Certo
non ero come Sofi, ma avevo avuto anche io i miei tentennamenti e come
erano
stati vinti loro, ero certa che forzando un po’ la mano,
anche la muraglia che la
mia amica aveva intorno al suo cuore, si sarebbe sgretolata mano a
mano.
*****
«Pasifae!»
L’impegno
che avevo accennato a Lucien c’era davvero, anche se non era
così urgente come
gli avevo fatto credere: non vedevo Emile da giorni e per quando sarei
riuscita
nell’impresa, avevo intenzione di fargli un regalo speciale, così uscii di
casa piena di entusiasmo per la
mia idea. Ma per strada, all’improvviso fui bloccata da una
voce che conoscevo
bene e che non sentivo da tanto tempo: mi bloccai sul colpo e mi girai
per
salutare mia madre.
«Ma…mma.»
Era
di fronte a me, ferma, con delle buste sotto braccio, che indicavano
che fosse
in giro a fare spese. Il suo viso era ancora smagrito e sofferente, i
suoi
capelli erano raccolti in una coda bassa e avevano un aspetto
trascurato;
l’immagine generale era la stessa che avevo lasciato mesi
addietro, mia madre
era un fantasma e mi si strinse il cuore nel vederla in quelle
condizioni.
«Ti
trovo bene, Pasifae.»
A
quella affermazione, chinai lievemente la testa, sentendomi quasi in
colpa
perché a differenza sua, io in quel periodo ero felice e
quella gioia
traspariva sul mio viso.
«Sì,
beh… è un buon periodo.»
«Sono
contenta per te.»
Quella
frase su quel viso distrutto, sembrava nascondere il significato
opposto a
quello enunciato… e il
mio senso di
colpa continuò a crescere.
«Come
mai sei da queste parti?»
Cercai di
cambiare discorso, per poter avere una conversazione decente che non andasse a finire con uno
scontro o una
recriminazione.
«Sono
venuta a far spese, c’è una macelleria nei
dintorni che ha una
carne che piace molto a tuo padre…»
Al
solo nominarlo, sentii una fitta allo stomaco: ricordavo benissimo
l’ultima
volta in cui avevo visto mio padre… e al modo tragico e
conflittuale in cui ci
eravamo separati.
«Co…
come sta? Come stai tu?»
«Come
al solito, cerchiamo di elaborare il lutto e andiamo avanti.»
«Ma
stai mangiando? Ti preoccupi per papà, ma a te ci
pensi?»
Mia
madre accennò un sorriso triste: «È
bello vedere che ti preoccupi Pasifae,
anche se non ti fai vedere da un po’.»
«È
ovvio che mi preoccupi! Siete sempre i miei genitori… e lo
sai che venire in
quella casa non è facile per me!»
«Sì,
lo so… tuo padre mi ha detto com’è
andata l’ultima volta che sei venuta: gli
hai mancato di rispetto e questo non dovevi farlo.»
Chiusi
gli occhi per un secondo prima di fare un lungo respiro, per evitare di
andare
in escandescenza: in quel modo non avrei risolto alcunché.
«Sì,
lo so di aver esagerato, ma nemmeno lui c’è andato
leggero… e poi stavo
cercando di difendere te!»
«Pasifae,
io non ho bisogno di essere difesa! Conosco tuo padre da più
di vent’anni e so
come comportarmi con lui; non è cosa che ti
riguardi.»
Iniziai
a sentire il magone chiudermi la gola: ancora una volta i miei gesti
venivano
fraintesi, ancora una volta, i miei tentativi di comunicare venivano
distrutti.
«Ci
manchi… perché non torni a casa?»
Ricacciai
indietro il magone e mi armai di un’improvvisa risolutezza:
dovevo smetterla di
sperare in un miracolo, dovevo prendere atto che la realtà
era quella, che io e
i miei genitori non saremmo mai andati d’accordo; dovevo
accettarli così come
erano, dovevo farmene una ragione.
«No
mamma, non tornerò… cercherò di venire
a trovarvi più spesso, ma non tornerò a
vivere con voi.»
Mia
madre calò la testa e si zittì ed io, incapace di
mandare avanti ancora quella
conversazione, tagliai corto.
«Ora
devo andare… passerò presto a trovarvi,
così potremo stare un po’ insieme.» Non
ero affatto convinta sul quel “presto”, ma sperai
di riuscire a mantenere
quella parola, mentre mi accomiatavo da mia madre, lasciandomela alle
spalle.
*****
«Pronto?»
«Ciao
streghetta.»
«Emile!
Hai finito prima stasera? Non aspettavo la tua telefonata prima di
un’ora.»
«Sì,
abbiamo lavorato tutta la settimana al missaggio dei brani ed oggi
eravamo
davvero esausti, così abbiamo finito prima.»
«Che
bello, così magari ti riposi un po’.»
«Sì,
infatti… Sei a casa?»
«Sì,
ho appena finito di cenare… mi manchi!»
«Anche
tu mi manchi… ma a questo rimediamo subito, vieni ad aprire
la porta.»
Quasi
lanciai il cellulare sul tavolo per lo scatto repentino che feci verso
l’uscio
di casa mia, il pensiero che il mio Pel di Carota fosse a pochi passi
da me, mi
aveva mandato su di giri per la felicità e quando aprii la
porta e lo vidi
arrivare sorridente, con il cellulare ancora in mano, gli saltai
letteralmente
addosso, aggrappandomi al suo collo.
«Sei
qui! Sei qui!»
Emile
restò senza fiato per la mia stretta improvvisa:
«Piano Pasi, mi stacchi il
collo!»
«Non
m’interessa, dopo te lo curo, ora voglio stringermi a
te!»
Si
mise a ridere e mi strinse a sua volta:
«Se
si stacca, voglio proprio vedere come farai a curarlo!»
«Ho
un’ottima colla!»
Ci
guardammo per qualche secondo con la felicità negli occhi,
poi Emile si chinò
verso di me e mi diede un meraviglioso bacio che sapeva di
felicità.
*****
«Quindi
come al solito, il vostro non è stato un incontro
felice.»
«No…
ma ormai inizio ad abituarmici.»
Dopo
l’iniziale euforia di vederlo, avevo fatto entrare Emile in
casa chiedendogli
se avesse fame: mi piaceva l’idea di preparargli la cena, ma il mio Pel di
Carota aveva già
mangiato nella casa discografica… Dubitavo che fosse stato
un pasto sostanzioso,
ma aveva bloccato ogni mia insistenza, così ci eravamo
accomodati sul divano e,
abbracciati l’una all’altro, avevamo parlato della
nostra giornata… E per
quanto riguardava la mia, il racconto comprendeva l’incontro
con mia madre.
Emile
mi stringeva forte a sé, come se volesse proteggermi dai
brutti pensieri che,
sapeva, mi stavano affollando la mente.
«Però
da quello che mi hai raccontato, sembrava più disposta a
parlarti, stavolta.»
«Sì
è vero, ma quando ha difeso mio padre sul mio tentativo di
difendere lei, mi
sono sentita davvero persa… Perché non riesce a
capirmi?»
Mi
strinsi a lui più forte che potei, mentre parlavo mi resi
conto di aver un
bisogno immenso della sua presenza, delle sue braccia confortanti, del
battito
del suo cuore che mi dava sicurezza…
«Tua
madre ha un altro modo di vedere le cose… e poi credo che
qualsiasi donna
difenderebbe il proprio uomo da chiunque, anche nel caso si trattasse
di una
figlia… non credi?»
«Forse
hai ragione… io ti difenderei sempre e comunque!»
«Eccola,
la mia strega combattiva!» Emile mi diede un bacio sulla
testa, continuando a
stringermi a sé.
«Probabilmente
devo rinunciare all’idea di averli accanto a me: mentre le
parlavo ho sentito
che la mia era una battaglia persa, che volevo da loro qualcosa che non
avrebbero mai potuto darmi… Devo accettarli così
come sono, proprio come i
genitori dovrebbero fare con i figli.»
«Però
così soffriresti.»
«Soffro
comunque. Emile! Almeno me ne faccio una ragione e vado avanti!
Prenderò le
cose come andranno, andrò a far visita loro, faremo due
chiacchiere di
circostanza e dopo un’oretta di parole superficiali, me ne
andrò, avrò fatto il
mio dovere di figlia e avrò mantenuto un contatto con loro,
seppur del tutto
formale… Se è solo questo ciò che
potrò avere da loro, lo accetterò di buona
grazia.»
Sentii
la stretta di Emile farsi più serrata, mentre
mi poggiava una mano sul viso, per volgerlo verso il suo:
«C’è qualcosa
che posso fare, per aiutarti?» Lo guardai negli occhi, e vidi
quel grigio
azzurro offuscato dalla preoccupazione; quella
dimostrazione d’amore mi commosse e gli
rivolsi un sorriso.
«Stammi
vicino, non lasciarmi.»
«Questo
mai.»
Mi
stavo beando di quelle parole nel conforto del suo abbraccio, quando mi
ricordai del suo regalo: mi alzai all’improvviso, lasciandolo
del tutto
sorpreso e salii le scale che portavano al soppalco per raggiungere la
cassettiera, presi il pacchetto dal cassetto e tornai trionfante verso
il mio
Pel di Carota, che era rimasto ad osservare i miei movimenti, con la
stessa
espressione stupita.
«Questo
è per te.»
La
sorpresa sul suo viso lasciò spazio al sospetto:
«Ho dimenticato qualche
ricorrenza, per caso?» e il sospetto si tramutò in
timore di aver commesso un
grande errore di dimenticanza.
«Ma
no! È una piccola cosa che volevo avessi, avanti
apri!»
Emile
fece un sorrisetto tornando all’espressione dubbiosa, prese
il pacchetto e in
un colpo solo sciolse il nastro che lo teneva chiuso, tirandone fuori
il
contenuto.
«Una
chiave?»
«Sì…
la chiave… di questa casa.» Emile
sgranò gli occhi per la sorpresa. «Ho
ripensato a quando ti ho visto sulla porta la settimana scorsa e che se
avessi
avuto le chiavi, avresti potuto dormire comodo appena
arrivato… e poi mi
piaceva l’idea di saperti in casa al mio ritorno…
o al mio risveglio.»
Senza
dire una parola, si alzò dal divano e mi
abbracciò forte a sé ed io lo strinsi
a mia volta, travolta da quell’abbraccio carico del suo amore.
«Grazie.»
Quella
sola parola da parte sua, bastava a riempire pagine di significati: lui
temeva
che l’abbandonassi ed io volevo che fosse parte della mia
vita con tutte le mie
forze e quella chiave confermava che le nostre vite erano intrecciate
indissolubilmente l’una all’altra; era un altro
giro del filo che si avvolgeva
intorno ai nostri mignoli, rendendo il nostro legame e la fiducia
reciproca,
ancora più solidi.
_____________________________________________________________
NDA
Ave mie care, anche
stavolta vi ho fatto attendere una decina di giorni per avere il
capitolo, ma credo che ormai questo sia il ritmo di pubblicazione,
quindi spero che siate clementi e che sopportiate l'attesa ^ ^
Come vi è
sembrato? Credo che il cellulare di Pasi abbia funzionato
più in queste righe che in tutti i capitoli messi insieme,
l'ho fatto lavorare decisamente tanto xD
Credo di aver trovato un
certo equilibrio anche nel dividermi tra le due storie e se la Musa mi
sorriderà ancora, non dovrei avere troppi problemi a
mandarle avanti entrambe con una certa regolarità. E se
tutto va bene, mi piacerebbe dare alla luce anche un altro spin-off, a
cui tengo davvero, ma che per ora resta a riposo... vedremo. ^ ^
Intanto mi concentro su queste mie due creature, sperando di mantenere
l'nteresse in voi fino alla fine ^ ^
Angolo dei Ringraziamenti
Il mio
Arigatou regolare va come sempre alle mie sorelle speciali, che mi
sostengono praticamente da sempre e che riescono ogni volta anche con
una sola parola a togliermi i dubbi su ciò che scrivo: Fiorella
Runco, Saretta,
Vale, Concy, Niky, Cicci,
Darkely, Ana-chan, a
cui si aggiungono la mia adorata admin Kira1983 e le mie colleghe
speciali ThePoisonofPrimula,
Dreamer_on_heart. Con le vostre
recensioni mi aiutate ogni volta ad essere soddisfatta di
ciò che creo e m'incitate sempre di più a
continuare, siete davvero il mio sostegno più grande, grazie
davvero a tutte voi!
E un GRAZIE grande quanto una
casa va anche ad Androgynous,
che ha recensito lo scorso capitolo con parole che ancora adesso mi
commuovono e mi inorgogliscono, non ho nemmeno le parole per
dirti quanto tu mi abbia fatto felice!!! ç_ç
*me piange di gioia come
Pasi*
E grazie di cuore a tutte voi
che leggete in silenzio e che avete messo questa storia tra le
preferite, le ricordate e le seguite:
Ai_line,
DISORDER,
gigif_95,
kiki0882, lorenzabu,
lovedreams,
samyoliveri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
firstlost_nowfound,
green apple,
incubus life, princy_94, roxi, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
cris325,
epril68, georgie71, IriSRock, LAURA VSR, matt1, myllyje, nickmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
sel4ever,
smokeonthewater, Strega Mangia
Frutta,
Veronica91,
_anda, _Calypso_
Un mega ARIGATOU GOZAIMASU a
tutte voi!!!!
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Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Capitolo 30
Un bacio. Sento il
calore delle labbra
sulla mia pelle e poi un altro e un altro ancora. La sensazione di
calore
m’invade sempre più, risvegliando lentamente la
mia coscienza dallo stato di
oblio in cui si trovava. Sento brividi di piacere ovunque si posino
quelle
labbra e la coscienza prende il sopravvento, insieme alla sensazione di
un
dolce calore…
Quando
riaprii gli occhi quella mattina, ancora inebetita e travolta da quelle
sensazioni provate nel dormiveglia, mi
resi conto che tutto ciò che sembrava parte del mio sogno
era più vivo che mai e
nel girare lo sguardo, vidi un paio di occhi grigi che mi osservavano,
corredati da un sorriso estatico.
«Buongiorno,
streghetta.»
Emile
era vicinissimo a me, disteso su un fianco, intento a reggersi la testa
con un
braccio e aveva un’espressione così serena e
soddisfatta, da farmi pensare di essere
in Paradiso: non potevano esistere risvegli così belli sulla
terra!
«Scusami
se ti ho svegliato, ma non ho saputo resistere… sei
particolarmente invitante
oggi.» restò ad osservarmi
ancora per
qualche secondo e poi si chinò a darmi un bacio, nemmeno
tanto casto, che mi
risvegliò del tutto. In un attimo mi ritrovai avvinghiata a
lui: le nostre
gambe intrecciate, i nostri respiri sempre più
affannosi…
A
stento riuscii a formulare una frase di senso compiuto quando
lentamente si
staccò da me, per respirare.
«Se
questo è il risveglio che mi riservi, non ti lascio andare
più via.»
Emile
sghignazzò soddisfatto e continuò a baciarmi tra
il collo e la clavicola… «Purtroppo
invece devo andarmene.» …per poi passare di nuovo
a posare le sue labbra sulle
mie.
«Noo…
resta qui… con me…» Non avevo fiato e
la mia protesta risultò alquanto debole.
«Mi
piacerebbe, ma devo andare in bottega, non posso saltare il
lavoro.» Mi diede un
bacio sul lobo dell’orecchio…
«Prendi
un giorno… libero…» Risposi
ansimando…
«Non
posso… devo lavorare il più possibile
ora…» un bacio sul collo,
«…perché non credo che avrò
ancora quel lavoro…» due
baci sugli occhi, «…quando sarò
tornato…» un bacio sul naso,
«…dal tour.» un
altro bacio infuocato, prima di staccarsi da me.
A
malincuore sciolsi il mio abbraccio da lui, cercando di tornare in me,
per
poter portare avanti quella discussione: mi misi a sedere mentre Emile
scendeva
dal letto.
«Credi
che ti licenzieranno? Non puoi chiedere, non so… delle ferie
per malattia?»
«No,
Pasi, non posso: ho già abusato fin troppo della pazienza e
del buon cuore di
Gustavo, non posso chiedergli dei mesi di ferie, per tornare da lui in
modo
sempre più saltuario. Una volta tornati dal tour, avremo
sempre più da fare, se
i primi mesi di vendita avranno esito positivo. Voglio dedicarmi
completamente
alla band: finora anche la casa discografica ci è venuta
incontro, adattandosi
con orari impossibili perché eravamo in forte ritardo, ma in
seguito dovremo
seguire i normali orari e dovrò essere libero di dedicarmi
alla promozione
dell’album, non avrò più tempo da
dedicare alla bottega.»
«Tutto
sta per cambiare.»
Dissi
quelle parole più a me stessa che a lui: non mi ero resa
conto di quanto la
vita di Emile potesse essere travolta dall’eventuale successo
del suo album e
sentirgli dire quelle parole mi aveva spaventato, come se la
stabilità che
stavo ancora faticando ad avere, fosse nuovamente in pericolo di
crollare.
Avvicinai
le ginocchia al petto e mi strinsi in un mutismo pieno di timori: Emile
era in
procinto di scendere le scale ma vedendomi in quello stato si
avvicinò.
sedendosi dal mio lato del letto.
«Cosa
c’è che non va?»
Mi
dannai per non essere stata capace di nascondergli il mio stato
d’animo, ma non
riuscii nemmeno a mostrargli un sorriso sereno. La mia testa era
nascosta dalle
gambe e biascicai la mia risposta
con la
voce ovattata: «Ho
paura.»
«Paura?
E di cosa?» sentii la mano di Emile che mi accarezzava la
testa.
«Dei
cambiamenti. Ho paura che qualcosa cambi in peggio. Ho paura di perdere
quello
che ho ora.»
«E
tutto questo, in base al mio lavoro?»
La
voce di Emile era scettica e un po’ divertita: sapevo che non
avrebbe compreso
e alzai la testa per spiegargli meglio le mie ragioni.
«Non
è per il lavoro in sé, è il
cambiamento che porterà! La tua vita cambierà,
così
come anche la mia…»
Il
mio Pel di Carota mi guardò con un’espressione
mista tra rammarico e durezza: «Pasi,
lo sai che è questo che voglio, è questo che
inseguo, non ho intenzione di
cambiare strada e dov….»
«Sì
lo so, Emile, non sto affatto mettendo in discussione questo e men che
meno sto
cercando di polemizzare! Ho solo paura di perdere ciò che ho
ora…»
«Ma
non perderai alcunché! La tua vita sarà sempre la
stessa ed io ci sarò sempre.»
«Ma
non come adesso…»
«Magari
ci sarò anche di più: avendo solo la musica a cui
dare conto, potrei avere più
tempo per te, non c’hai pensato?»
Girai
la testa in senso di diniego stringendo le labbra, guardandolo con
rimorso per
aver creato un problema, che per molte ragioni poteva essere del tutto
inesistente. Emile si fece una risata e mi accarezzò il viso: «Certe volte sei
proprio una buffa bambina.»
«Scusami,
non volevo farti preoccupare inutilmente…»
«Stai
tranquilla e non angosciarti per delle sciocchezze: io sono qui non
vado via;
anzi inizia a liberare i cassetti, che porto qualche
ricambio.» Rivolgendomi un
sorriso incoraggiante, mi diede un bacio e si alzò diretto
al piano
sottostante.
«Emile!»
vedendolo andar via, mi alzai sul letto allungandomi in sua direzione
prima che
scendesse del tutto le scale e il mio Pel di Carota si girò
verso di me
incuriosito.
«Mmh?»
«Ecco,
volevo precisare che… ti ho dato quella chiave, ma non devi
sentirti costretto
a venire qui sempre. Se vuoi stare con tuo padre è
più che logico e non pretendo
che tu ti traferisca qui… Mi piaceva sapere che in qualsiasi
momento tu voglia,
puoi aprire quella porta e stare qui con me, ecco tutto.»
Il
viso di Emile si addolcì di colpo sorridendomi:
«Lo so Pasi, stai tranquilla,
non mi sento sotto pressione, ho capito cosa intendevi con quel
regalo… e sono
felice che tu me l’abbia fatto.»
continuò a sorridermi prima di girarsi verso i
gradini e riprendere la sua discesa. Sentii per un po’
svanire le mie paure,
confortata dall’immagine di quel sorriso dolce e rassicurante.
*****
«Eccoci
qui!»
«E…
dove siamo, di grazia?»
«Scendi
da questo catorcio e vedrai!» Iulia mi sorrise soddisfatta,
fermando l’auto.
Mi
aveva letteralmente prelevato dal mio monolocale, una mattina: dopo
avermi chiesto
l’indirizzo di casa, mi aveva avvisato che entro
mezz’ora sarebbe venuta a
prendermi e nell’arco di una quarantina di minuti era al
citofono. Avevo
percorso tutto il tragitto in auto con la curiosità addosso,
ma i miei
tentativi di comprendere dove fossimo dirette, puntualmente facevano un
grande
buco nell’acqua perché quella ragazza mi
rispondeva solo con un grande sorriso,
aggiungendo qualche volta la frase criptica: «Aspetta e
vedrai.»
Il
tragitto non durò molto, in meno di tre quarti
d’ora ci fermammo davanti ad un
palazzo alto, provvisto di grandi vetrate: aveva tutta l’aria
di essere sede di
qualche tipo d’ufficio e rimasi ancor più senza
parole a quell’idea. Cosa mai
potevo aver a che fare con quell’edificio?
Scendemmo
dall’auto e Iulia mi prese per mano: «Ti avevo
detto che ti avrei fatto
conoscere meglio il mondo dei GAUS, vero? Questa è la sede
della casa
discografica.»
Il
mio sbigottimento, fu pari al sorriso soddisfatto della ragazza che
avevo di
fronte: tra tutte le cose che avrei potuto immaginare, non avevo
affatto
pensato ad una gita nella casa discografica che stava producendo
l’album della
band di Emile!
«Dai
non fare quella faccia, vieni con me.» Iulia
continuò a prendermi per mano e
con la volontà di un automa, mi feci condurre
all’ingresso dell’edificio.
Una
volta entrate, ci dirigemmo subito verso l’ascensore e
arrivate al quarto piano
vidi l’insegna “RIOTRecords”,
che
campeggiava sul pianerottolo: una porta a vetri sulla destra aveva lo
stesso
nome e una volta aperta, mi trovai davanti ad una sala ampia, che dava
su un
lungo corridoio pieno di porte. La sala aveva sulla sinistra alcune
sedie e
sulla destra un bancone a cui verosimilmente, bisognava annunciarsi:
Iulia vi
si avvicinò con molta familiarità,
salutò la ragazza addetta alla reception e in
un batter d’occhio avemmo i nostri due pass.
«Come
diavolo hai fatto?»
Ero
del tutto sbalordita: se fossimo stati in qualche avventura fantasy,
avrei
pensato che avesse incantato quella ragazza con qualche sorta di magia,
ma dato
che non era lontanamente possibile, l’unica spiegazione
poteva essere che…
«Sono
di casa qui, mi conoscono tutti.» …ecco, appunto!
«Ma
com’è possibile? È un luogo aperto al
pubblico? Ho capito! Sei una cantante
anche tu!» Sgranai gli occhi sorpresa, felice di aver capito
finalmente la
realtà, ma il viso di Iulia non mi stava confermando quella
teoria, nonostante
sorridesse divertita.
«Nient’affatto
Pasi, sono stonata come una campana!»
«Ma
allora…»
«Non
è merito mio, è a causa di mio padre…
lui lavora qui, è uno dei discografici.»
Per
la seconda volta in pochi minuti, restai totalmente a bocca aperta:
Iulia era
figlia di un pezzo grosso! Ed
io che
pensavo che i suoi genitori fossero altri due insegnanti con poco senso
dell’umorismo come i miei, invece l’ambiente in cui
era cresciuta doveva essere
stato totalmente diverso: doveva essere vissuta attorniata dalla
musica, sin da
piccola!
«E
perché diamine non me l’hai detto prima?! Ho fatto
la figura dell’imbecille!»
«Perché
sennò si sarebbe persa la sorpresa e le facce che hai fatto
sono impagabili,
peccato che non abbia potuto fotografarti!» Fece una risata a
mie spese che mi
ricordò molto quella del suo ragazzo e capii quanto quei due
dovessero
condividere lo stesso animo burlone, oltre ad avere la predisposizione
per il
sorriso.
«Allora,
ora basta scherzi e fammi capire: tuo padre è il
discografico dei GAUS? È lui
che li sta aiutando?»
«No,
purtroppo non è lui, altrimenti credo che avrebbe buttato a
calci nel sedere
Claudio, trovando qualche soluzione migliore per i ragazzi; mio padre
li ha
solo presentati ad un suo collega che poi è diventato il
loro personale produttore.»
«Quindi
è tramite te che hanno avuto i contatti con questi
studi!»
Iniziammo
a camminare lungo il corridoio, mentre cercavo di comprendere meglio le
dinamiche che avevano unito la vita privata di Iulia e la vita
professionale
del gruppo di Emile.
«Sì,
in effetti ne ho parlato a mio padre, ma anche lui aveva in mente di
portare i
GAUS qui: io Franz e Fil ci conosciamo da quando eravamo bambini e mio
padre ha
visto crescere quei due, insieme alla loro musica. Una sera
è venuto a sentirli
in un locale e ha conosciuto anche il resto del gruppo, ma non volendo
dare
adito a chiacchiere, promuovendo il ragazzo di sua figlia, ha preferito
presentare i GAUS ad un collega, sperando che il loro talento facesse
il resto…
E a quanto sembra ha funzionato, perché una volta entrati
qui, non sono stati
più abbandonati!»
«Che
meraviglia Iulia, quindi è come se fossi anche la madrina
del gruppo oltre che
la sua mascotte! I ragazzi ti devono davvero tanto!»
«Ma
no! Io ho solo accelerato un po’ i tempi, è la
loro bravura che ha fatto il
resto.»
Iniziai
ad osservare quella ragazza con una coscienza nuova: mentre
m’indicava i vari
uffici e le rispettive competenze, la sentii così padrona di
quel mondo, così
capace di destreggiarsi in un ambiente su cui io avevo solo
fantasticato, che
d’un tratto mi sembrò di avere accanto non una
coetanea, come me in cerca della
sua strada, ma una donna adulta perfettamente inserita nel suo ambiente
di
lavoro.
L’ascoltavo
rapita da tutto ciò che sapeva di quel mondo e
più ne parlava, maggiormente mi
rendevo conto di esserne del tutto estranea e che, quella che era una
parte
preponderante della vita di Emile, io non la conoscevo affatto.
Mi
raccontò che la RIOTRecords
era nata
da pochi anni, ma si era fatta conoscere subito come etichetta
indipendente in
grado di portare alla luce i musicisti che meno si adattavano alle
regole di
mercato delle majors e da questo derivava il loro nome: volevano essere
un
esempio di rivolta, contro lo strapotere del mercato discografico,
capace di
atterrare un artista se non aveva i favori delle grandi case
produttrici.
Proprio
come era accaduto a Claudine.
Non
feci fatica ad immaginare l’entusiasmo di Emile nello
scegliere quell’etichetta
per farsi produrre; se era vero ciò che mi stava dicendo
Iulia, era la casa
discografica perfetta per lanciare i GAUS e soprattutto per andare
incontro
alle decisioni insindacabili di Emile, sulla gestione di tutto
ciò che
riguardava il suo gruppo.
«Quindi
tuo padre è uno dei fondatori?»
«No,
non ha tutto questo potere: al vertice ci sono due fratelli con un
passato da
musicisti, ma ormai si occupano solo
della parte amministrativa e commerciale. Mio padre e i
suoi colleghi,
sono quelli che agiscono sul campo, ascoltando le demo che arrivano
sulle loro
scrivanie e a volte andando a scovare potenziali talenti, nei locali in
cui si
fa musica live.»
«Quindi
tu non hai fatto altro che suggerire a tuo padre dove
andare!»
«Esatto!
Come vedi ho fatto ben poco e anche mio padre del resto,
perché quei ragazzacci
sono bravi e non hanno bisogno di grosse presentazioni per farsi
notare.»
«Hai
ragione, sono davvero bravi… e dal vivo sono ancora meglio!
È da tanto che non
li ascolto mentre si esibiscono su un palco, mi piacerebbe risentirli
in
un’occasione simile.»
«Vedrai
che accadrà presto, appena termineranno di mettere a punto
l’album; non possono
lasciarci senza un live, prima di andar via!»
«Già…»
Puntualmente
come ogni volta che si accennava a quel tour, il mio umore
s’incupì, preda
della paura di restare senza il mio Pel di Carota per mesi interi.
Iulia non si
rese conto del mio stato d’animo e ne fui felice,
poiché non avrebbe potuto
comprendere ciò che provavo, dato che lei avrebbe seguito
Francesco durante il
tour.
D’un
tratto la voce della mia compagna mi distolse dai cupi pensieri in cui
ero
immersa: «Toh! Guarda un po’ chi
c’è!»
Alla
nostra destra si apriva un’ampia finestra che dava sul
cortile interno
dell’edificio, ma alla stessa nostra altezza permetteva di
scorgere le persone
che transitavano nel corridoio ortogonale a quello in cui ci trovavamo,
tramite
un’altra finestra uguale che vi si affacciava: voltai il viso
in direzione del
dito di Iulia e attraverso quei vetri vidi i GAUS intenti a parlare con
qualcuno.
«C’è
Anton con loro, avranno avuto una riunione improvvisa.»
«Anton?»
«Il
loro discografico, vedi quel tipo alto con i capelli chiari e il
codino.»
Il
tipo in questione aveva l’aria di del tipico artista scova
talenti: era sulla
quarantina, alto e magro, quasi scheletrico a guardarlo bene. Indossava
un
gilet con qualche tipo di ricamo sopra e la camicia con le maniche
arrotolate,
i capelli erano lisci e biondi, non molto lunghi, ma raccolti in
piccolo codino,
che lasciava scoperto l’orecchio da cui pendeva un orecchino.
Ad un’occhiata
generale tutto sembrava tranne un
uomo
d’ufficio e probabilmente non lo era affatto.
«Anton
è slovacco e la sua cultura musicale così
eclettica lo ha fatto scegliere da
mio padre, per proporgli i GAUS.»
Il
gruppo stava ascoltando il discografico parlare con a capo proprio
Emile, che
evidentemente ne era il portavoce e la cosa non mi stupì,
conoscendo il modo
imperioso in cui gestiva tutto ciò che riguardava la band.
Feci un sorriso a
quell’idea, ma subito dopo mi resi conto
che stavo assistendo ad una scena che apparteneva alla vita lavorativa
del mio
Pel di Carota e realizzai quanto fosse strano per me, osservarlo mentre
sfoggiava il suo piglio professionale: ora quella gita improvvisa
acquistava
toni del tutto realistici, iniziavo davvero a collocare Emile in quel
luogo,
alle prese con documenti, presentazioni, riunioni e tutto
ciò che serviva alla
promozione di un album, iniziai a guardarlo con occhi nuovi, come se lo
stessi
conoscendo per la seconda volta.
L’unica
cosa che disturbava quel momento così speciale
arrivò appena andai con lo
sguardo al resto del gruppo: la mia gioia morì sul colpo
trasformandosi in
rabbia appena posai gli occhi su Claudio.
Era
sfacciatamente soddisfatto e sicuro di sé, a debita distanza
da Emile, ma
ugualmente imponente: tutti
i suoi gesti
emanavano sicurezza e quella tracotanza che gli avevo
sempre visto addosso, Anton parlava
rivolgendosi prevalentemente ad Emile, ma lui puntualmente
s’intrometteva nel
discorso e ogni volta che lo faceva, vedevo il mio ragazzo irrigidirsi. Nel vedere Claudio
così sereno e sicuro di
sé, sapendo quanto costasse al mio Pel di Carota quella
presenza, mi salì una
rabbia feroce: al pensiero che per essere in quel luogo in quel
momento, aveva
minato la tranquillità dell’animo di Emile e
l’aveva costretto ad affrontare
una sofferta scelta tra me e la band, sentii il classico prurito alle
mani
fremere sui miei palmi e venni travolta da una voglia impetuosa di
fargli un
occhio nero. Se l’avessi avuto a tiro, non avrei scommesso
sulla mia diplomazia!
«Che
ne dici, li raggiungiamo?»
Iulia
mi osservava con una luce speranzosa negli occhi, ma non volevo
scherzare col
fuoco, non volevo dare in escandescenza in quel luogo, minando
l’equilibrio
precario all’interno dei GAUS mettendo Emile nuovamente nei
guai.
«No,
ti prego Iulia, non posso avvicinarmi a loro, non riuscirei a
rispondere di
me…»
La
mia interlocutrice mi guardò per un attimo perplessa, ma poi
la luce della
comprensione apparve sul suo viso: «È vero,
Claudio... che stupida, come ho
fatto a non pensarci?»
«Non
preoccuparti, non hai alcuna colpa… ti chiedo solo di
allontanarci da qui!»
«Sì,
sì certo, andiamo via, tanto i nostri ragazzi li possiamo
vedere quando vogliamo,
vero?» Continuando
a sorridere in modo
conciliante, mi prese nuovamente per mano e andammo via da quel
corridoio.
Iulia
mi fece girare tutto l’edificio, instancabile
nell’indicarmi ogni attività che
si svolgeva in quel luogo, così quando uscimmo, mi ritrovai
i piedi distrutti
dal troppo cammino e la testa piena di termini e di situazioni, legate
al
lancio e alla promozione di un musicista e della sua opera. Ma in un
angolo
della mia mente continuavo a vedere Claudio, il suo viso soddisfatto e
il suo
atteggiamento arrogante e la rabbia all’idea che fosse in
quel luogo grazie
alla sua prepotenza, tornò ad impossessarsi di me. In quel
momento compresi in
pieno quanto costasse al mio Pel di Carota dover avere a che fare con
quel tipo
e doverlo avere dietro le spalle per tutta la durata del tour.
«Non
vedo l’ora che questi mesi passino!» sussurrai
debolmente, rivolta più a me
stessa che alla mia interlocutrice, mentre aprivo la portiera della sua
auto.
*****
«Je
ne veux parler pas.»
«Se
parli in francese, non ti capisco!»
«Très
bien, alors Je parlerai toujours en français!»
«Oh
Lucien andiamo! Cos’è questo modo di fare, ora?
Sembri Emile!»
«…»
«Aaaah!
Accidenti alla vostra testardaggine! Ma c’è
qualcuno che non sia così testone
nella vostra famiglia?»
«Testarossa
calmati, è una cosa normale, in fin dei conti chi di noi non
ha litigato con
Sofia, almeno una volta?»
«Lo
so Stè, però…»
Testa
di Paglia non poteva minimamente comprendere ciò che si
agitava dentro di me in
quel momento: quella serata a teatro si era rivelata un totale disastro
e
sentivo dentro di me, di esserne la sola responsabile.
Avevo
immaginato grandi risvolti tra i miei due protetti e avevo fatto in
modo di
farli stare vicini durante la rappresentazione, senza
possibilità di distrarsi.
Li avevo immaginati intenti a scambiarsi pareri e magari anche qualche
sorriso
(anche se Sofi non sorrideva mai di gusto… e speravo davvero
che quel ragazzo
potesse operare anche quel miracolo), ma a rappresentazione terminata,
trovai
un Lucien gelidamente adirato e Sofi chiusa nel suo mutismo risentito.
Avevo
forzato la mano: quei due erano stati troppo vicini ed era accaduto
qualcosa
che li aveva allontanati ed io non avevo la più pallida idea
di cosa fosse
accaduto, per farli reagire in quel modo!
Dopo
la rappresentazione, andammo a mangiare una pizza tutti insieme, ma
durante
tutta la cena quei due non fecero altro che ignorarsi e solo quando
arrivò il
momento di tornare a casa, il cugino di Emile diede il suo freddo e
impersonale
saluto a Sofi, gelandomi del tutto: non ero abituata a vederlo in
quello stato,
Lucien era sempre cordiale e gentile con tutti, sempre pronto a
sorridere e
quell’atteggiamento distante e freddo era
terrificante… Cosa diavolo era potuto
accadere, per cambiare in quel modo le cose tra loro due?
Tornò
a casa in auto con me e Stè e durante il tragitto sperai di
riuscire a
strappargli la verità di bocca, invece ogni mio tentativo fu
frustrato dal suo
ostinato silenzio ed io non potei fare altro che sentirmi terribilmente
in
colpa, per aver rovinato la serata sia a lui che alla mia
amica… Mi chiesi se
Rita fosse stata più fortunata di me con Sofi, ma conoscendo
quest’ultima,
dubitai fortemente che si fosse lasciata andare a qualche confidenza.
«Sofia
come al solito avrà detto qualcosa di troppo, almeno ora
anche Lucien l’ha
conosciuta in pieno!»
Stè
ironizzò sull’accaduto con la sua solita
bonarietà, ma qualcosa mi diceva che l’umore del
cugino di Emile, seduto alle
nostre spalle, era ben lontano dall’atteggiamento del mio
amico…
«Posso
fare qualcosa?» dissi
a Lucien, tentando
il tutto e per tutto per placare il mio senso di colpa.
«No
Pasi, non c’è alcunché da fare e pour
plaisir, smettila d’insistere, non voglio
diventare maleducato.»
«Ok…
scusami.»
Mi
sentivo davvero a pezzi: era vero ciò che diceva
Stè, prima o poi anche Lucien
avrebbe dovuto scontrarsi con il carattere spigoloso di Sofi, ma
vederlo così
adirato, rendendomi conto di avergli rovinato la serata e probabilmente
anche
il suo rapporto con la mia amica, iniziò a farmi ricredere
sui miei propositi
di Cupido. Forse avrei dovuto lasciar fare al Destino il suo lavoro, mi
ero
intromessa troppo e avevo solo portato la situazione a peggiorare,
rispetto a
quanto avevo immaginato io.
Ammettendo
che avessi avuto la giusta intuizione e che Sofi e Lucien fossero fatti
l’uno
per l’altra, con il mio comportamento avevo solo fatto
sì che si
allontanassero, avevo remato contro la mia volontà e avevo
reso le cose ancora
più difficili! Non avrei dovuto impicciarmi, aveva ragione
Emile, avevo
camminato su un campo minato ed era esploso ed ora non mi restava che
raccoglierne i pezzi e fare le mie scuse alla mia amica. Sì, sarei
andata da lei per scusarmi il prima
possibile e non mi sarei più impicciata della sua vita
privata. Non potevo
sfogare i miei sensi di colpa verso mia sorella su di lei, non potevo
cercare
di forzare la mano ad una situazione già
precaria… Avrei dovuto interessarmi
solo della mia vita, avrei imparato anche quella lezione una volta per
tutte!
«Stè
scendo anch’io qui, ma aspettami.»
Quando
Testa di Paglia si fermò davanti casa
Castoldi, decisi di controllare se Emile fosse in casa: nello stato
d’animo in
cui ero, avevo bisogno di stare con lui, di sentire la sua presenza
confortante
accanto a me, così una volta arrivati fuori la sua
abitazione, decisi di accertarmi
che fosse rientrato.
«Controllo
se Emile è in casa e ti faccio sapere se resto qui o se
torno con te.»
«Ok
Testarossa, ti aspetto qui.»
Non
parlai a Lucien, del resto non era affatto dell’umore per
farlo, tutte le energie
da dedicare alla finta allegria, le aveva esaurite per la cena e a
quell’ora
probabilmente, voleva solo chiudere quella serata con una bella
dormita.
Salimmo le scale insieme ma in cupo silenzio, finché
arrivati sul pianerottolo,
svoltò a sinistra, verso l’unica stanza che non
avevo ancora visto di quella
casa e mi diede la buonanotte. Andai subito in camera di Emile per
controllare
che fosse lì e mi bastò aprire lievemente la
porta per vedere la sua sagoma
addormentata. Sentii un improvviso calore nel petto nel vederlo e mi
precipitai
a dare la buonanotte al mio amico, ansiosa di raggiungere il mio amato
Pel di
Carota. Testa di Paglia era rimasto in auto e si stava intrattenendo
con i suoi
mp3, poiché lo vidi andare a tempo con la testa…
Almeno prima che
quella stessa testa si mosse per
sbadigliare alla grande.
«Sicuro
di farcela ad arrivare a casa? Sembri sul punto di crollare!»
«Ma
no, stai tranquilla! Quando guido mi concentro, è
l’immobilità a farmi venir
sonno.»
Su
quello aveva ragione: da quando lo conoscevo, Testa di Paglia era
sempre stato
una persona attiva e facile ad annoiarsi se costretto
all’immobilità; di sicuro
quei pochi minuti in auto, gli erano pesati più di qualche
chilometro da
percorrere, guidando.
«Resto
qui Stè, Emile è in camera sua
e non ho
voglia di tornare a casa mia, stasera.»
«Sei
troppo giù di morale per questa faccenda, sicura che non ci
sia qualcosa
sotto?»
«Ma
no, cosa vuoi che ci sia? Mi dispiace che Lucien e Sofi abbiano
litigato, ecco
tutto… e non mi spiego come quei due siano potuti arrivare a
non rivolgersi la
parola.» Il che non era così tanto lontano dalla
realtà, per cui nonostante
mentirgli continuasse a darmi fastidio, non sentii
su di me il peso di quella frottola.
«Uhm…
tu non me la conti giusta, Pasi! Io non mi stupisco più di
tanto, perché Sofia
sarebbe capace di far imbestialire anche Buddha e questa tua
preoccupazione mi
sembra del tutto eccessiva. Vabbè, tanto se non vuoi
parlarmene, non lo farai
di certo sotto mia insistenza. Allora,
ci salutiamo qui?»
«Sì…
buonanotte Testa di Paglia, grazie del passaggio.»
«Figurati!
Buonanotte Testarossa, dormi bene. Salutami Emile.»
Con
un sorriso sereno come solo lui poteva
avere, Stè andò via dopo avermi detto quella
frase che riuscì ad incupirmi più
della mia panzana. Quel suo “Salutami Emile”, era
stato detto in modo del tutto
sereno, ma c’era sul suo sorriso una piccola nota di
tristezza. Forse era stato
il mio umore tetro a farmi notare qualcosa che in realtà non
c’era, ma pensare
alla gentilezza del mio amico e al
fatto
che da quella sera a casa mia, lui ed Emile non si erano più
visti, mi riempì
il cuore di tristezza. Il mio Pel di Carota mi aveva detto che non
avrebbe più
reagito in quel modo nei confronti di Stè, ma era anche vero
che ancora non
avevano avuto modo di relazionarsi e temevo che nonostante fosse
davvero
sommerso d’impegni, Emile
evitasse di
proposito il confronto con Testa di Paglia, per non mettermi nuovamente
in
imbarazzo: sarei mai riuscita a vedere quei due andare
d’accordo?
Con
quei pensieri cupi, rinchiusi la porta di casa alle spalle e salii al
piano superiore. Dopo
essermi data una rinfrescata in bagno,
entrai in camera di Emile: era ancora immerso nel sonno e non aveva
dato segni
di avermi sentito entrare. Silenziosamente e con calma, mi avvicinai a
lui e
rimasi ad osservare il suo viso rilassato che riposava. Il solo
guardarlo mi
commuoveva, ogni volta che i miei occhi si posavano su di lui, mi
sentivo
serena e tranquilla, come se avessi potuto affrontare con forza tutte
le tragedie
di questo mondo, solo per il fatto che lui fosse accanto a me e ancora
una
volta mi sentii completa e in pace sentendo la solidità
della sua presenza.
M’infilai nel letto con cautela e l’abbracciai,
sentendomi immediatamente
protetta e serena. Il
calore del suo
corpo e la familiarità del suo odore furono la mia ricarica:
l’indomani avrei
trovato sicuramente la forza, di affrontare le conseguenze del mio
operato e di
andare a trovare Sofia, per scusarmi con lei.
*****
«Buongiorno,
moglie!»
Quando
aprii gli occhi quel mattino, vidi nuovamente il volto di Emile che mi
sorrideva divertito e ancora semincosciente m’illuminai in un
sorriso felice
alla visione del suo volto. Ma quando il mio cervello si fu liberato
dall’ottenebramento del sonno, riuscii a scorgere su quel
viso che tanto amavo
anche una sfumatura perplessa e solo allora mi resi conto che la notte
precedente, gli ero piombata nel letto senza che lui ne sapesse il
motivo.
«‘Giorno…
visto che sorpresa?» gli dissi con un tono tra
l’ironico e l’imbarazzato.
«Una
bellissima sorpresa… anche se quando ho aperto gli occhi e
ti ho vista, ho
iniziato a pensare che ci fossimo sposati e che non lo ricordassi
più…» a
quelle parole persi tutta l’ironia per far spazio
all’imbarazzo: ancora una
volta ero stata invadente…
«Scusami,
lo so che se avessi voluto la mia presenza, saresti venuto a casa mia,
ma ieri
sera avevo bisogno di stare con te e…»
«Ehi,
ehi, Pasi calmati, non ho detto che non sia felice di vederti qui,
stavo
scherzando, era una battuta.» Abbassai il viso afflitta: ero
ancora troppo giù
di morale per comprendere le sue battute, quella faccenda di Sofia e
Lucien mi
stava pesando davvero tanto sulla coscienza…
«Cosa
c’è, streghetta? Cos’è
accaduto per farti stare così
giù di morale? Hai visto i tuoi
genitori?»
Emile mi fece una carezza sul viso per incoraggiarmi dolcemente a
parlare ed io
confortata da quel gesto tenero e pieno di calore, liberai tutte le mie
preoccupazioni con lui, proprio come avrei voluto fare la sera
precedente, se
fosse stato sveglio.
«Ho
combinato un disastro, Emile!» Mi rifugiai nel suo abbraccio
mentre gli spiegai
lo svolgersi degli ultimi avvenimenti e di quanto mi sentissi in colpa
per aver
forzato Sofia e Lucien a stare vicini.
«Uhm,
immaginavo che sarebbe accaduto, la piccoletta è un osso
duro… ma secondo me
stai prendendo troppo drammaticamente la cosa: se quei due litigano non
è certo
colpa tua, non c’eri tu a innescare la lite, hanno fatto
tutto da soli.»
«Ma
se io non li avessi forzati a vedersi e a sedersi uno accanto
all’altra, forse
non sarebbe capitato, forse non sarebbero arrivati ai ferri corti, come
invece
è accaduto!»
«Pasi,
è solo un litigio! Quante volte abbiamo discusso anche io e
te? Non mi sembra
che siamo arrivati ad ignorarci definitivamente…»
ero ancora abbracciata al mio
Pel di Carota che, vedendomi particolarmente turbata, iniziò
ad accarezzarmi i
capelli, in un gesto confortante e protettivo.
«Ho
paura che Sofi non mi voglia più come amica, Emile! Ho paura
che sia talmente
arrabbiata con me per la mia intromissione nella sua vita, da non
volermi più
tra i piedi… So che non è una persona facile e
probabilmente ti starai
chiedendo anche cosa ci trovi d’interessante, ma io le voglio
bene e non
sopporterei di essere allontanata anche da lei, voglio vivere in pace
con i
miei amici!»
«Allora
l’unica cosa che puoi fare è parlarle, dirle tutto
a cuore aperto e vedere come
reagisce. Se resti ancora così, con la paura di affrontare
la realtà, ti fai
solo del male. Va da lei il prima possibile e parlale chiaro, da amica.
Se non
capirà, allora probabilmente non avrà davvero
compreso chi sei e si sarà
rivelata un’amica molto superficiale.»
«Ma
sono io in torto! Sono stata io ad
insinuarmi
nella sua vita privata!»
«Lo
so, ma credo che una persona che ti è amica, sia anche
propensa ad ascoltarti e
comprendere le tue ragioni… In fondo non le hai causato
alcun problema grave, ha
solo litigato con una persona e ho l’impressione che sia
abituata a farlo!»
«Sì,
ma…»
«Streghetta,
tu sei un’adorabile rompiscatole: non ti fai mai gli affari
tuoi e speri sempre
di salvare gli altri da se stessi, ma lo fai perché hai buon
cuore e nonostante
ti si dica di smettere, tu continui imperterrita convinta della causa
che hai
abbracciato. E questa caratteristica fa di te una persona meravigliosa.
Se ho
imparato ad amare queste tue doti, io che ti conosco da poco, non credo
che la
tua amica ti metta alla porta per una scemenza simile.»
«Lo
spero tanto, Emile…»
«Coraggio,
andiamo a fare colazione così ti ricarichi e potrai
affrontare Sofia con tutte
le energie pronte.»
*****
«Nemmeno
questa volta hai portato i ricambi?!»
«Ehm…no…
non era previsto che venissi qui, ieri notte…»
«Bambina
sei davvero cocciuta, come devo fare con te?»
«Ma
non è la fine del mondo! Torno a casa e mi
cambio.»
«Sei
proprio senza speranze!»
Quando
scendemmo a fare colazione, Alberto ebbe poco tempo per rimproverarmi,
poiché
doveva scappare a lavoro e il collega era già fuori la porta
ad attenderlo. Per
questo motivo non mi travolse con la sua ramanzina e non si
soffermò a parlare
con me come sempre bensì, dando
un bacio
a me e una scrollata tra i capelli ad Emile, fuggì diretto
alla sua giornata di
lavoro.
«Certo
che con questo calore, lavorare su un cantiere non dev’essere
affatto facile.»
«Io
lo odio!»
Sentendo
quell’esclamazione, mi girai stupita in direzione di Emile:
«Cosa?»
«Odio
il fatto che debba buttare il suo talento in un cantiere edile, che
potrebbe
anche rovinargli le mani per sempre. Se solo fossi in grado di
sostenere tutte
le spese, l’obbligherei a dire addio a quel lavoro che non
gli rende
giustizia.»
Emile
aveva i pugni serrati e lo sguardo di fuoco: era palese il senso di
rabbia e
impotenza che provava davanti al fatto di non poter fare qualcosa per
migliorare
la vita di suo padre e dopo aver visto Alberto dipingere, non potei che
essere
d’accordo con il desiderio del mio Pel di Carota. Cercando un
modo per dargli
conforto, gli presi la mano incoraggiante:
«È
solo questione di tempo. Appena avrai il successo che meriti, potrai
realizzare
il tuo desiderio e lasciare che Alberto si occupi solo della sua
arte.»
«È
per questo che quest’album dev’essere perfetto!
Deve vendere assolutamente!
Ogni giorno che passa è sempre più intollerante
per me, vedere mio padre che
butta la sua vita in quel modo.»
«Avrà
successo; ci stai mettendo l’anima nella realizzazione di
quest’album e sono
sicura che il pubblico percepirà tutto il lavoro che
c’è dietro.»
Emile
mi guardò per qualche secondo e mi diede un bacio sulla
fronte, prima di
cambiare del tutto argomento.
«Sbrighiamoci
a far colazione, sennò farò tardi.»
Lucien
non scese a farci compagnia; del resto non aveva un lavoro ad
attenderlo e
poteva permettersi di dormire fino a tardi, ma mi chiesi se fosse
ancora giù di
morale per la sera precedente. Mi sentivo terribilmente in colpa anche
con lui
e avrei voluto dirgli qualcosa, avrei voluto fargli capire quanto fossi
dispiaciuta di aver forzato la mano tra lui e Sofi…
Tuttavia
mi resi conto che dicendogli ciò che avevo nella mente,
avrei rivelato cose
riguardanti la mia amica che forse lei non gli aveva detto e prima di
fare
qualcosa che di sicuro avrebbe messo chilometri di distanza tra me e
Sofi,
decisi di concentrare le mie scuse solo nei confronti di
quest’ultima.
*****
Non
appena giunsi davanti casa Gardini, la paura iniziò ad
attanagliarmi: e se
quella fosse stata l’ultima volta che avrei messo piede in
quel luogo? Se Sofi
non avesse voluto nemmeno parlarmi? Ero ad un metro dalla porta di casa
sua e
non riuscivo a percorrere quel breve spazio tra me e la
verità, la paura mi
stava immobilizzando del tutto. Ma Emile aveva ragione: non avrei
potuto vivere
a lungo evitando la realtà, era meglio affrontarla
immediatamente e pagare le
conseguenze del mio agire istintivo e imponderato. Feci un sospiro
enorme e
raccogliendo a me tutte le energie che avevo, mi diedi coraggio e
bussai al
citofono.
Quando
aprì la porta di casa sua, Sofi mi accolse con un viso
stanco e assonnato:
probabilmente non aveva dormito bene e quella constatazione
aumentò terribilmente
il mio senso di colpa, al punto che non riuscii a dirle chiaramente
quale fosse
il motivo della mia visita.
«Ciao
Sofi… mi sono ricordata che avevi ancora i miei vestiti e
sono venuta a
prenderli…» era una scusa ben poco credibile e
sicuramente si leggeva la verità
sul mio volto, ma non riuscii ad essere diretta con lei…
Cosa che invece non
mancò di fare la mia amica.
«Risparmiami
le frottole, Pasi, so benissimo per quale motivo sei qui e non ho
alcuna
intenzione di risponderti!»
Come
immaginavo, le mie paure stavano prendendo sempre più forma:
Sofi era
arrabbiata con me e probabilmente non avrebbe tollerato un minuto di
più la mia
presenza. Mi sentii del tutto scoraggiata e priva di speranze
così, senza più
nasconderle il mio stato d’animo, le chiesi mesta:
«Posso avere i vestiti
almeno?»
A quel
punto non credevo più di avere una possibilità di
vederla e mi preparai a darle
il mio ultimo saluto da amica. Sofi però non
reagì con irritazione come
credevo, ma diede un sospiro e mi fece cenno di entrare. Tuttavia mi
mancò il
coraggio di seguirla mentre prendeva i miei vestiti e rimasi ferma
sull’uscio
della porta ad attenderla.
«Guarda
che non ti ho messo alla porta, ti ho solo detto che non voglio parlare
di ieri
con te.»
Non ce
la facevo più a reggere quella tensione e mentre la mia
amica (se ancora lo
era) si avvicinava, vuotai il sacco, lasciando scorrere i miei pensieri
e il
mio senso di colpa a ruota libera: «Sofi, io…
volevo chiederti scusa… Lo so che
ho esagerato, lo so che non sono una buona amica, che sono invadente,
che non
ho rispettato la tua volontà, ma credimi non l’ho
fatto con cattiveria, non
avevo alcuna intenzione di…»
«Ok,
ora calmati Pasi, fermati!»
m’interruppe
all’improvviso e le parole morirono sulle mie labbra.
«Come ho detto prima, non ti sto
mettendo alla porta…
non sono arrabbiata con te fino a questo punto!»
Non mi
stava mettendo alla porta… Allora dopotutto, non la stavo
perdendo!
Anche
se non potevo nemmeno dire che fosse felice di vedermi…
«Però
sei arrabbiata con me…»
«Certo
che sono arrabbiata, ma non per ciò che è
accaduto ieri sera, non c’è motivo
per cui debba prendermela con te, se litigo con qualcuno… e
se devo dirla tutta
la stai prendendo un po’ troppo tragicamente.»
Iniziavo
a non capire: era arrabbiata con me per tutto il macello che avevo
fatto, ma
pensava che la stessi facendo tragica! Eppure avevo visto bene il modo
in cui
lei e Lucien si erano ignorati tutta la sera precedente e avevo visto
quanta elettricità
ci fosse tra loro… Come faceva a dire che stavo vedendo la
cosa in modo troppo
drammatico?
«Ma
Lucien…»
«Ma
Lucien cosa, Pasi? È stato un semplice litigio, quante volte
litighiamo anche
io te? Non c’è nulla da dire al
riguardo!»
Le
stesse parole che mi aveva detto Stè… eppure non
riuscivo a credere che fosse
tutto così semplice… era mai possibile che sia io
che Rita avessimo preso un granchio
di proporzioni immani, perché Sofi non era minimamente
interessata a Lucien?
«Però
sei arrabbiata con me perché ho cercato di spingerti vicino
a lui.»
«Sì,
perché la mia vita privata deve restare tale,
non voglio alcuna intrusione da parte di anima viva! E per fortuna
quella
situazione è terminata prima ancora che potessi dirti
qualcosa.»
A
quelle parole, iniziò a girarmi per la testa uno strano
sospetto: «Sofi…
non avrai litigato con Lucien solo per far
smettere me!?»
«Cosa?
Ma… NO! Certo che no! Cosa diavolo vai
farneticando?»
«Il
fatto è che proprio non capisco! Lucien è la
persona più tranquilla che conosco
e per farlo arrabbiare in quel modo, non riesco proprio ad immaginare
cosa
possa essere accaduto… Ha provato a baciarti e ti sei girata
male verso di
lui?»
«Eh? Ma
no!»
Sofi mi
diede le spalle all’improvviso turbata da quella domanda:
avevo buttato a caso
quella teoria stralunata per cercare di capire cosa fosse accaduto
davvero,
ormai la curiosità mi stava mangiando e non riuscivo proprio
a capire cosa
diamine fosse accaduto tra quei due, per farli reagire in quel
modo… Ammettendo
che non ci fosse stata alcuna connessione sentimentale, cosa che quel
suo
atteggiamento non confermava affatto…
«Ora
smettila per favore, non è un argomento su cui voglio
discutere, ok? Non sono
cose che ti riguardino, sei venuta qui per sapere se fossi arrabbiata
con te e
ti ho detto che non lo sono, o meglio non al punto da metterti alla
porta, ora dovresti
essere tranquilla!»
… Sofi
però non era intenzionata a parlarne e dato che non volevo
più giocare col
fuoco e mi ero ripromessa di rispettare la sua privacy e di non
intromettermi
più nelle vite altrui, decisi di smettere di fare domande.
«Ho
capito… ok Sofi, non ne parlerò
più… scusami ancora.»
Ero
ancora sull’uscio e non riuscivo a trovare la forza di
avanzare in quella casa:
nonostante Sofia mi avesse assicurato che non aveva intenzione di
allontanarmi
dalla sua vita, mi sentivo in torto marcio e troppo colpevole, per
osare
muovermi con disinvoltura in quell’abitazione, come
un’ospite desiderata.
Ma
mentre ero intenta nel mio personale Mea
Culpa, Sofi mi stupì con una domanda che non mi
sarei mai aspettata:
«Pasi… tu credi che
sia una persona
sgradevole?»
Ero io
quella che pensava di essere invadente ed ora lei se ne usciva con una
frase
del genere?!
«Sgradevole?
No, assolutamente, Sofi! Sei un tantinello acida e aggressiva, ma non
sei
affatto sgradevole e poi sai tantissime cose, ogni volta che sei con
noi imparo
qualcosa: non sai quante volte i tuoi esercizi di respirazione hanno
aiutato
anche me!»
«Già….
Sono una biblioteca vivente, vero?»
Solo
allora mi resi conto di quanto la mia amica fosse strana quella
mattina: aveva
il solito tono acido nel rispondere, ma c’era in lei una
cupezza insolita ed
una malinconia nello sguardo, che non le avevo mai visto. Qualsiasi
cosa fosse
accaduta la sera precedente, doveva averle lasciato un umore davvero
tetro addosso.
«Sofi…
ecco, probabilmente ora sarò di nuovo la solita invadente,
ma… sei giù di
morale, vero? Non ti chiederò il motivo, però se
posso fare qualcosa per
te, se vuoi
confidarti o se solo vuoi
svagare un po’ la testa… io sono qui.»
Non
volevo più parlare di Lucien, ma se in
qualche modo, potevo dimostrarmi una vera amica nei suoi confronti,
avrei
tentato immediatamente di dimostrarle che non ero solo una stupida
impicciona e
che il mio affetto nei suoi confronti era autentico.
Sofi
tornò a guardarmi negli occhi, prima di rispondermi:
«Grazie Pasi ma sto bene,
sono solo assonnata, ho dormito troppo oggi ed ora mi sento
più stanca del
solito.»
Ok, mi
aveva lasciato nel giro delle sue amicizie, ma con quella frase era
stata
chiara, non dovevo più impicciarmi.
«Ah, ho
capito… beh, allora vado via, scusami se ti ho
infastidito.»
Girai
le spalle rassegnata e mi diressi verso la porta, comprendendo che la
mia
presenza in quella casa non era più gradita, ma quando stavo
per aprire la
porta, Sofi mi stupì per la seconda volta nel giro di pochi
minuti: «In
realtà c’è qualcosa che mi ha
innervosito: ho
sognato mia madre.»
«Ah!»
Forse
non era tutto perso: se Sofia aveva deciso finalmente di aprirsi a me
su sua
madre, probabilmente avevo ancora qualche speranza di esserle davvero
amica!
«Non
capitava da anni e non mi è piaciuto affatto.»
Mi
sentii sollevata all’improvviso e tornai a respirare a pieni
polmoni, libera da
quella sensazione di soffocamento che mi stava intrappolando la gola.
Per la
prima volta da quando avevo bussato alla sua porta, riuscii a parlarle
in tono
sereno e naturale.
«Non
sai quanto ti capisco, Sofi! Ogni volta che penso ai miei genitori ci
sto male,
ho anche visto mia madre qualche giorno fa e ho capito che forse hai
ragione
tu: se una persona ti allontana, probabilmente è
perché non vuole più avere
contatti con te, non vuole capirti e non vale più la pena di
cercarla… Devo
farmene una ragione.»
«Beh,
io e mia madre di certo non abbiamo qualcosa da dirci, ma nel tuo caso
è
diverso: non posso di certo spingerti ad andarle incontro, ma lei non ti ha abbandonato
infischiandosene di
te… Vuoi un po’ di caffè
freddo?»
Finalmente
mi spostai da quell’uscio dove avevo messo radici e con uno
stato d’animo del
tutto diverso da quello che avevo solo pochi minuti prima, seguii Sofi
in
cucina, dove ci accomodammo a parlare tranquillamente, mentre ci
preparava una
bella tazzina di corroborante caffè freddo.
Trascorremmo
tutta la mattinata a chiacchierare e ritrovai finalmente la gioia di
parlare
con quella mia ispida amica, dalla corazza dura ma dal cuore generoso.
Osservai
il lavoro che aveva fatto sui miei abiti: con la colorazione erano
diventati di
un unico colore e le macchie che mi aveva lasciato Alberto erano state
assorbite dal blu scuro, che aveva salvato in una volta sola il mio
completo.
Mi brillarono gli occhi dalla felicità, quante cose avrei
dovuto imparare da
Sofi! Se fosse stato per me, quei vestiti avrebbero fatto un triste
viaggio
nella pattumiera, invece lei aveva mille risorse casalinghe che io
ignoravo del
tutto e dato che ormai vivevo da sola, avrei fatto meglio a imparare
tutti i
trucchetti da brava massaia, che la mia amica sembrava conoscere a
menadito,
essendosi occupata della casa in cui viveva praticamente da sempre!
Felice
per la salvezza dei miei abiti e ancor di più per quella
della mia amicizia con
Sofi, mi sentii finalmente serena e rilassata: rimasi a pranzo da lei e
ci
facemmo compagnia finché non giunse per me l’ora
di andare a lavoro; lavoro che
quel giorno fu molto più piacevole del solito.
*****
Con
Sofi avevo risolto, ma con l’altra parte della mela, proprio
non sapevo come
comportarmi. Qualche giorno dopo la visita a casa della mia amica, io,
Stè e
Lucien ci vedemmo per una nuova lezione di francese: il cugino di Emile
sembrava
essere del suo umore abituale e ci richiamò
all’ordine come sempre, tutte le
volte che sbagliavamo; con la solita pazienza, senza dare segni
d’insofferenza.
Ma quando Testa di Paglia nominò Sofi, chiedendogli se gli
avesse risposto in
merito al farci da insegnante, l’espressione di Lucien
s’indurì in un batter
d’occhio e
ci rispose con tono glaciale,
che avremmo dovuto chiedere direttamente all’interessata.
Quei due non dovevano
aver fatto passi avanti, anzi probabilmente non avevano mosso nemmeno
un dito
per venirsi incontro!
Mi
ero ripromessa che non avrei più interferito e quindi non
chiesi altro, ne
cercai di carpire informazioni, però vedere Lucien in quello
stato mi stringeva
il cuore: era una persona così socievole e cordiale e quello
sguardo gelido non
si addiceva al suo volto sempre sereno, temevo che stesse soffrendo
anche lui
per quella situazione... Ero combattuta, tra il mio desiderio di
aiutarlo e il
monito fatto a me stessa di non impicciarmi, così feci finta
di niente ma
ribollendo d’ansia dentro di me.
Ansia
che esplose nel momento in cui, appena usciti da casa di
Stè, Lucien
mi diede i testi tradotti delle canzoni
di Claudine.
Ero
così felice che avesse trovato il tempo di farmi quel dono
che l’abbracciai
senza pensarci due volte, così come le parole mi uscirono di
bocca, senza
essere prima filtrate dal cervello.
«Oh
Lucien grazie! Con il brutto momento che stai attraversando, hai avuto
la
gentilezza di tradurmi le canzoni di tua zia, sei un amore!»
Il
cugino di Emile si stava abituando ai miei abbracci impetuosi e sorrise
sulle
prime, ma una volta sentite tutte le mie parole, il suo tonò
risultò alquanto
dubbioso: «Brutto momento? Quale brutto momento?»
«Ehm…
ecco… Scusa, lo so che non devo impicciarmi e che la tua
vita privata non deve
assolutamente interessarmi…»
«Pasi…
a quale brutto momento ti riferisci?»
Mi
allontanò da sé per guardarmi negli occhi e
colpita dall’intensità di quello
sguardo, chinai la testa e mi accomodai su un muretto poco distante,
feci un
gran sospiro e vuotai il sacco: «Mi
riferisco al tuo litigio con Sofi… lo so che non vuoi
parlarne ed io non voglio
chiederti qualcosa al riguardo… però vedo che ci
stai male e mi dispiace,
perché ne risento anche io quando due persone a cui tengo
litigano tra loro… è
come se litigasse anche un pezzo di me.»
Lucien
s’irrigidì nel sentire il nome della
mia amica, ma quando terminai di parlare dette in un sospiro e si
accomodò
accanto a me.
«Pasi
tu es une fille très gentille,
ma non
devi accollarti tutti i problemi degli altri. C’est vrai che
non sono felice di
aver litigato avec Sophie, ma è una cosa tra me e lei e tu
non devi sentirti
presa in causa, ne tantomeno essere triste. Sono cose che
capitano.»
«Ma
ci stai male!»
«Oui,
parce que non mi piace litigare, ma non è qualcosa
d’irrimediabile… sono solo
arrabbiato, ma mi passerà.»
«Mi
dispiace tanto!» Chinai la testa sconfitta, ricolma del senso
di colpa che mi
aveva schiacciato in presenza di Sofia e che tornò a fare
capolino davanti alle
parole di Lucien.
«Non
è colpa tua, di che ti dispiaci? Non tutte le persone
riescono a comprendersi e
si finisce col litigare, non è niente di strano.»
«Ma
io non lo sopporto! Non ce la faccio a vedere che litigate e che non
parlate, non
ce la faccio a pensare che quando ci riuniremo la prossima volta,
v’ignorerete
di nuovo come se non vi conosceste! Non voglio spaccature tra i miei
amici!»
Quella
parte meno nobile delle mie ragioni aveva finalmente fatto capolino:
non
potendo dirgli il motivo per cui mi sentissi terribilmente in colpa,
esternai
l’altra motivazione che mi faceva star male, ogni volta che
pensavo a quei due
che non si rivolgevano più la parola. Temevo di percepire di
nuovo l’atmosfera
tesa, temevo di vedere i loro volti che s’indurivano
incontrandosi, temevo di
respirare la stessa tensione che mi aveva fatto fuggire da casa mia.
Non doveva
capitare anche nel mio gruppo d’amici! Era già
accaduto con la discussione sul
comportamento di Emile ed ora si ripeteva questo clima di tensione, che
non mi
faceva dormire tranquilla: era mai possibile che non potessi vivere in
pace e
armonia all’interno di un gruppo di persone a me care?
«Mi
dispiace che ci stai male in questo modo e devo dire che ti capisco in
pieno:
nemmeno io amo i litigi, soprattutto all’interno de ma
famille, proprio per
questo sono venuto qui, per riunire ciò che era stato diviso
par ma mère… Però
ci sono volte in cui bisogna tenere alto l’orgoglio
Pasi… spero che tu possa
comprendermi.»
Tenere
alto l’orgoglio… già, Lucien era una
persona che metteva spesso da parte l’amor
proprio con Emile: si era fatto dire le cose peggiori da suo cugino
senza
battere ciglio e probabilmente tutti noi avevamo sottovalutato il fatto
che
anche lui avesse un orgoglio personale… E di sicuro Sofi non
ci andava leggera,
quando iniziava ad inveire contro una persona! Iniziai a comprendere
quale
potesse essere stato il motivo del litigio, ma non feci domande
inopportune,
rispettando la sua privacy e la sua volontà di tenersi per
sé ciò che era
accaduto tra lui e Sofi.
«Non
credo di capire tutto, ma sull’orgoglio ti capisco e ti
prometto che non tirerò
più fuori quest’argomento, se non sarai
tu a volerlo.» Feci uno dei miei sorrisi
più veri per rassicurare Lucien
sulla mia sincerità.
«Bien,
sono contento che tu abbia capito.» Mi sorrise di rimando e
tornammo ad
incamminarci.
*****
La
musica è l’unica forma di comunicazione davvero
universale. L’essere umano
cambia modo di porsi, cambia gesti, usi e costumi a seconda del luogo
in cui
cresce e un gesto che in un luogo indica gentilezza, in un altro
potrebbe
significare odio o maleducazione.
La
musica no.
La
musica non la si può fraintendere, perché parla
direttamente all’anima, fa
vibrare le nostre corde e ci parla senza mistificazioni, senza
incomprensioni…
Riesce a farsi comprendere nell’intero universo di cui siamo
parte.
Ecco
perché le canzoni di Claudine mi sono entrate subito nel
cuore: pur non conoscendone
i testi, la loro melodia e il suono dolce e leggiadro della sua voce,
mi
arrivavano direttamente al centro del petto senza bisogno di essere
interpretate.
Fu
quindi una piacevole sorpresa, scoprire che quei testi non facevano
altro che
rinforzare la sensazione che ogni singola canzone mi aveva donato,
quando le
ascoltavo senza comprenderle. Lucien era stato attento a spiegarmi ogni
licenza
poetica contenuta nei testi, descrivendomi anche il significato di
eventuali
frasi fatte che in Francia avevano un significato particolare. Grazie
alla
precisione che lo contraddistingueva, attraverso quei testi capii molto
dell’anima di Claudine ma anche qualcosa in più
del modo di vivere dei
francesi. In quelle canzoni c’era sempre un velo di
malinconia: persino quando
si trattava di amore felicemente vissuto, la voce della madre di Emile
dava
delle intonazioni malinconiche al brano e alcune di quelle canzoni mi
commossero profondamente.
Claudine
era davvero brava.
Lo
stroncamento della sua carriera era stato una ferita che aveva colpito
profondamente lei, ma aveva anche privato noi pubblico di una voce
meravigliosa
e di una lyricist davvero poetica e commovente. Immersa nella
commozione,
piansi le ennesime lacrime per la sua perdita, per la sua vita
distrutta, per
il dolore che aveva accompagnato lei e la sua famiglia negli ultimi
anni.
Avrei
fatto il possibile per sostenere Emile nella sua lotta.
Claudine
meritava di essere conosciuta, meritava di ricevere il successo che le
era
stato negato. Compresi ancora di più la rabbia che il mio
Pel di Carota si
portava dentro e ricordando la sensazione di furiosa impotenza, provata
vedendo
Claudio nella casa discografica, mi resi conto che più
m’immergevo nella vita
del mio ragazzo, maggiormente comprendevo tutto ciò che lo
spingeva a vivere ed
andare avanti.
*****
Gl’incontri
che facciamo, le esperienze che viviamo, non sono altro che allenamenti
continui per far crescere il nostro animo, non sono altro che continui
esercizi
alla scoperta di se stessi e degli altri e ogni avvenimento
apparentemente
casuale, accade per darci un insegnamento che prima o poi capiremo.
E
solo col senno di poi riusciamo a vedere la perfetta concatenazione
degli eventi
a cui partecipiamo.
Questa
piccola grande verità, la compresi qualche sera dopo
Ferragosto: non avevo
preso le ferie e quindi avevo lavorato anche in quella settimana,
poiché il
fast food che mi consentiva di vivere, aveva deciso di restare aperto
persino
durante la metà di Agosto.
Furono
giorni di fuoco: tutta la città aveva chiuso i battenti e i
pochi che ancora
non erano in vacanza, si riversarono tutti in quel locale, con il
risultato che
quella cucina diventò davvero l’antro
dell’inferno, per me! Stella era in
vacanza e Paolo si presentava a giorni alterni: era impossibile gestire
tutto
da sola e qualche volta mi trovai ad essere aiutata da Serena che, come
me, non
era ancora andata a godersi le meritate ferie.
«Mamma
mia che caldo qui, non possiamo aprire la porta, Pasi? Sto
sudando!»
«No,
non possiamo, saremmo a vista di tutti e inoltre potrebbe entrare la
polvere
dell’esterno… dobbiamo sopportare.»
«Ma
mi si scioglie il trucco, così!»
«E
allora non truccarti!»
«Impossibile!
Io devo essere sempre impeccabile, non ho mica la fortuna di avere un
ragazzo
che mi ama anche se sono sfatta, come te!»
«Molte
grazie Serena, sei davvero gentile!»
«È
la verità Pasi, se ti truccassi un po’, saresti di
certo più carina e…»
«Serena
IO STO LAVORANDO! Non ho bisogno di truccarmi e non ho bisogno di
essere carina
per la carne che cucino!»
«Mamma
mia, quanto sei acida! Io lo dico per te sai, bisogna essere sempre
belle e
interessanti per il proprio uomo, altrimenti si stancherà di
averti accanto!»
«Non
so che gente frequenti tu, ma di certo Emile non è
così superficiale!»
«Mah…
intanto io questo Emile devo ancora vederlo… stasera
resterò fino alla fine,
voglio conoscerlo!»
«Ti
vuoi concentrare un secondo, per favore? Abbiamo una montagna di
ordinazioni!»
«Sì,
sì, d’accordo… mamma mia cercavo di
rendere l’ambiente un po’ più piacevole,
come sei pesante!»
La
mia collega era irritante come sempre e parlava tantissimo, mentre io
cercavo
di concentrarmi con le ordinazioni: le ore trascorse esclusivamente in
sua
compagnia sembravano davvero eterne! Tuttavia dovevo ammettere che
Serena era
una buona lavoratrice, seguiva diligentemente le mie direttive e dopo
due
giorni, divenne una presenza indispensabile per la mia
sanità mentale.
Ma
ciò che mi aveva detto era vero: nonostante il suo aiuto, a
fine serata ero
ridotta come uno straccio vecchio e avevo a mala pena la forza di
tornare a
casa. Per questo motivo, Emile venne a prendermi ogni notte a lavoro,
accogliendomi
ogni volta con il suo sorriso e i suoi corroboranti
abbracci… e Serena che
andava via sempre prima di me, era diventata un ammasso di
curiosità al
pensiero che il “fantomatico Emile”,
come aveva iniziato a chiamarlo su suggerimento di Paolo, fosse dietro
l’angolo
e puntualmente non riuscisse a vederlo. Così quella sera
decise che avrebbe
allietato le mie ore di lavoro fino alla fine, pur di riuscire a vedere
questo
personaggio mitologico!
Quando
finalmente giunse l’ora di chiudere, prima di dare una
spazzata alla cucina,
feci uno squillo al mio Pel di Carota per avvisarlo che poteva venire a
prendermi e Serena saltò dalla gioia.
«Oh,
che meraviglia! Finalmente, finalmente!»
Quella
sua manifestazione di allegria mi sembrò fin troppo
entusiastica e le rivolsi
uno sguardo in tralice privo di benevolenza:
«Mi spieghi in che modo cambierà la
tua vita, conoscere il mio ragazzo?»
calcai volutamente il suono della parola mio:
a buon intenditor poche parole!
«Oh,
Pasi, non dirmi che sei gelosa! Come potrebbe il tuo
Emile, interessarsi ad una sciacquetta bionda come me?»
Ahia,
doveva avermi sentito durante una delle volte in cui la criticavo,
insieme a
Stella… Improvvisamente iniziai a sentirmi un verme:
nonostante sapesse cosa
pensavo di lei, Serena non si era mai comportata male nei miei
confronti; era
irritante e pungente, ma non mi aveva mai mancato di rispetto,
né come persona
né come collega… Avrei dovuto tenere a bada
quell’acidità tipicamente femminile
nei suoi confronti, anche se non avrei mai dovuto abbassare la guardia,
soprattutto quando si parlava di Emile!
«Non
capisco perché tu sia così interessata a
lui.»
«Perché
lo nomini sempre e sono mesi ormai che lo conosciamo attraverso
ciò che ci
racconti. Sono curiosa di vederlo in faccia, così almeno
avrò un viso a cui
associare quello che ci dici sul suo conto.»
«Uhm…
ok, questo te lo concedo, ma sta’ attenta a come spargi i
tuoi ormoni, perché
io sarò lì a controllarti! Guai a te se ti prendi
troppe libertà!»
Serena
fece un sorrisino prima di parlare:
«Mi
lusinga che ti senta minacciata da me, dopotutto allora è
vero che chi
disprezza vuol comprare.»
«COSA?»
Prima
che potessi aggredirla con la scopa, uscì dalla cucina per
andare a ripulire i
tavoli e darmi il tempo di sbollire la furia che mi aveva travolto.
Quella
ragazza riusciva sempre a confondermi: aveva un lato sincero e gentile
che
puntualmente mi faceva pensare di essere crudele con lei, ma nel
momento stesso
in cui cercavo di rabbonirmi, se
ne usciva
con qualche frase che m’irritava a morte!
Quando
terminammo tutte le pulizie e finalmente chiudemmo tutte le
saracinesche,
scorsi nel parcheggio la sagoma del mio principe, in attesa
all’esterno dell’auto:
immediatamente m’illuminai in un sorriso e non feci in tempo
a girarmi per
salutare i miei colleghi, che Serena mi si avvicinò lesta:
«È
lui, vero? Sì, sì, è lui!»
La
guardai in tralice, irritata e mezza assordata dalle sue grida, che mi
avevano
trapanato un orecchio.
«Sì,
è lui… Serena, sai come tornare a
casa?» Iniziò a salirmi un orrendo sospetto e
prima di ritrovarmi a fare da tassista alla mia collega, volevo
accertarmi che
ci fosse un’alternativa, mentre eravamo ancora con gli altri.
«Ma
certo, non preoccuparti, Matteo mi dà uno strappo a
casa.»
Matteo
era il gestore del fast food: evidentemente si era mosso a compassione,
dato
che eravamo in pochi a lavorare eroicamente in quel periodo e si era
offerto di
riaccompagnare Serena a casa… Oppure le grazie della mia
collega avevano
parlato per lei… Qualunque fosse stata la ragione, tirai un
sospiro di sollievo
al pensiero che quell’incontro tra Serena ed Emile non
sarebbe durato che
qualche secondo.
«Ok,
allora vieni con me e togliamoci questo dente!»
«Sìììì!!!»
Soddisfatta
come non mai, Serena mi prese sottobraccio, mentre coprivamo la
distanza tra
noi e il mio Pel di Carota e giunti finalmente a destinazione, ebbi
solo il
tempo di osservarlo negli occhi, che Serena si presentò con
la furia di un
uragano.
«Quindi
sei tu Emile! Oh, finalmente ti conosco! Io sono Serena, una collega di
Pasi,
lei non mi sopporta molto e credo che in fondo sia anche un
po’ invidiosa di
me, ma sai come siamo fatte noi donne, vero? Comunque sono davvero
felice di
conoscerti, Pasi ti nomina sempre e non vedevo l’ora di
stringerti la mano!
Posso stringerti la mano?»
Emile
fu letteralmente travolto
dalle parole
della mia collega e l’osservò sorpreso e anche un
po’ perplesso… ma vidi sul
suo viso una luce particolare, che non ero riuscita a notare in quei
pochi
secondi precedenti e compresi che doveva essere accaduto
qualcosa…
«Sì,
sono Emile e non credevo di essere così famoso.»
Continuò ad osservare Serena
con curiosità, ma mentre tenne le sue mani saldamente
infilate nelle tasche,
vidi emergere un sorrisetto ironico sul suo viso: Serena lo stava
divertendo?
«Oh
sì che sei famoso! Non vedevo l’ora di conoscerti!
Non vuoi darmi la mano?
Guarda che non ho malattie, non ti trasmetto alcun virus, nonostante
ciò che
può averti detto Pasi.»
«EHI!
Ma cosa vai…»
«In
verità Pasi non mi ha mai parlato di te…
Però hai ragione, è maleducato da
parte mia non porgerti la mano, piacere di conoscerti,
Serena» Le strinse la
mano continuando a mantenere quel sorriso ironico sul volto e mi
rabbuiai, al
pensiero che trovasse divertente la compagnia della mia collega.
«Credo
che Matteo ti stia chiamando!»
Serena
si girò verso di me con una luce maliziosa negli occhi e un
sorriso soddisfatto
sul volto…
«Certo,
hai ragione, ora vado.» …si avvicinò a
me e mi sussurrò ad un orecchio: «Non
preoccuparti, potrei rubartelo quando voglio, ma te lo
lascio.» e poi si girò
verso Emile. «È stato un piacere, spero di
rivederti presto!» Mandò un bacio
volante in sua direzione, mi rivolse di nuovo quello sguardo malizioso
e si
allontanò cinguettando: «Sogni d’oro,
Pasi!»
«Quella
strega! Quella megera, come diavolo si permette?!»
Stavo
per allungarmi in sua direzione, per darle un bel pugno sul viso,
quando sentii
Emile prendermi una mano.
«Lasciala
stare, stai facendo il suo gioco, non vedi? Anche se mi piace vederti
così
gelosa.» Mi girai verso il mio Pel di Carota e vidi il suo
volto più luminoso
che mai: emanava luce, gioia, soddisfazione e mi guardava con una
vivacità negli
occhi che raramente gli avevo visto.
«Ti
sei divertito a vedermi in difficoltà, vero? Brutto sadico
che non sei altro!»
«Sì,
devo dire che mi è piaciuto ciò che ho
visto.» il suo sorriso aumentò
diventando malizioso.
«Stai
scherzando col fuoco, Pel di Carota! Fai solo un elogio a Serena e alle
sue curve
e ti cambio i connotati!»
Per
tutta risposta Emile mi abbracciò e si mise a ridere:
«Non m’importa un fico
secco della tua amica e soprattutto non stasera.»
Ecco
la conferma ai miei sospetti, era accaduto qualcosa.
«C’è
qualche novità, vero?»
«Sì.»
«E
cosa aspetti a dirmelo? Invece di parlare di
quel…» Non feci in tempo a finire
la frase, che mi ritrovai ad un’altezza vertiginosa: Emile mi
sollevò da terra
girando felice su noi stessi.
«Abbiamo
il nuovo batterista, streghetta!»
Lo
guardai in viso incredula: le sue iridi erano poco visibili alla luce
notturna,
ma quella luce febbrile che gli avevo visto poco prima, riluceva
più viva che
mai.
«Oh
Mio Dio, Emile! Dimmelo di nuovo ti prego, dillo di nuovo!»
«Abbiamo
trovato il nuovo batterista! Claudio sarà definitivamente
fuori dai giochi!»
Ecco
a cosa erano serviti la gita alla casa discografica,
l’osservare Alberto
dipingere e ascoltare Claudine: quelle esperienze concatenate tra loro,
mi
avevano fatto immergere nel mondo di Emile, nella sua anima, nei suoi
dolori e
nelle sue speranze e quando mi diede quella notizia con la gioia negli
occhi,
ero pronta a comprendere la portata della sua felicità, cosa
che avvenne quando
sentii il mio cuore fare eco a quella gioia, con
un’improvvisa esplosione di pura
esultanza dentro di me.
«Oddio
Emile! Oddio, che bello, quanto sono felice!»
Mi
strinsi a lui così forte, che sentii il battito convulso del
suo cuore fare
cassa di risonanza col mio e in quel momento provai nuovamente la
sensazione di
essere diventata un tutt’uno con lui, di essere riuscita a
comprenderlo al
punto da sentirmi parte della sua essenza, parte della sua anima.
«Ora
devi raccontarmi tutto!»
Solo
pochi minuti prima ero distrutta dalla fatica e imbufalita con Serena,
ma dopo
quella notizia splendida, la felicità provata aveva
rinnovato la scorta delle
mie energie e risollevato il mio umore al punto da sentirmi
così carica di
adrenalina, che avrei potuto restare sveglia tutta la notte, ascoltando
tutto
ciò che il mio Pel di Carota aveva da raccontarmi su quella
novità, che ci
aveva donato una contentezza al di sopra di ogni altra.
«È
assurdo se ci penso, perché avevamo la soluzione proprio
sotto il naso e
abbiamo atteso così tanto per trovarla!»
«Oh
insomma, non tergiversare! Sto morendo dalla
curiosità!»
Ci
appoggiammo al cofano dell’auto, troppo presi da quella
notizia per attendere
persino di entrare nell’abitacolo, prima di parlarne.
«Oggi
è tornato dal Canada un amico dei gemelli, Luca…
fino a qualche mese fa, viveva
qui e ci seguiva sempre durante le nostre serate nei
locali...» Emile
raccontava con calma ma gesticolava freneticamente, stava cercando di
trattenere la gioia per farmi un resoconto migliore possibile.
«Ha un
laboratorio di Tattoo e piercing, ma ci ha detto che sarebbe andato a
fare uno
stage in Canada per migliorare le sue conoscenze…»
«In
Canada? Non c’era un luogo più vicino?»
Emile
tornò a sorridere maliziosamente: «Dato che
l’istruttrice era una donna che
aveva incontrato ad una fiera, immagino che dovesse migliorare un
determinato
tipo di conoscenza…»
«Ah…
Ma questo cosa c’entra con il batterista?» La mia
ansia cresceva di minuto in
minuto, perché mi stava raccontando le cose partendo da
Adamo ed Eva?
«Adesso
ci arrivo, non sei stata tu a chiedermi di raccontarti
tutto?» Touchée…
«In pratica, Luca è tornato qualche
giorno fa
e quando i ragazzi l’hanno aggiornato sulla nostra
situazione, si è offerto di
sostenere l’audizione come batterista!»
«M-ma
cosa c’entrano i tatuaggi con la batteria?» Forse
spinta dall’ansia avevo perso
qualche passaggio nel discorso…
«Ecco,
per la fretta ho dimenticato di dirti la cosa essenziale: oltre a fare tatuaggi, Luca
suona la batteria
da anni e seguendo il nostro gruppo da sempre, conosce a menadito anche l’esecuzione
dei brani.»
Ora
mi era tutto chiaro!
«Ha
mantenuto il tempo perfettamente, come se suonasse con noi da anni e
quasi non
si sente la differenza tra lui e Claudio!» Mentre mi diceva
quest’ultima frase,
la gioia di Emile esplose tutta sul suo viso e quella contenuta
felicità che aveva
mantenuto mentre parlava, fu libera finalmente di esprimersi.
«Non potevo
chiedere un dono migliore, Pasi, è tutto così
perfetto che ho paura che sia un
sogno!»
Totalmente
coinvolta dalla gioia di Emile, l’abbracciai e lo tenni
stretto a me: «Sono
così felice! Così felice! Finalmente tutto gira
per il verso giusto!»
Sentii
le braccia del mio Pel di Carota che si serravano su di me:
«Devono solo
passare questi mesi di tour e poi sarò finalmente
libero.»
Non
replicai a quella frase, mi tenni stretta a lui, godendomi quel momento
di
totale felicità, mentre nel mio cuore le sue parole
echeggiavano i miei
pensieri: sarebbe stato un lungo e pesante tour, ma oltre ad essere
l’ultimo
scoglio da superare, sarebbe stato anche il trampolino di lancio per il
cambiamento
che ci stava aspettando. Era un male necessario che avrebbe riportato
il sole
nella vita di Emile e di conseguenza, nonostante temessi le
implicazioni legate
a quel cambiamento, non vedevo l’ora che arrivasse.
________________________________________________________________________________________
NDA
SCUSATEMIIII!!! GOMEN
NASAI!!!! ç_ç
Un mese intero, è la prima volta in
assoluto che faccio
trascorrere così tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro
e sono senza parole verso me stessa!
Purtroppo verso la fine del mese scorso mi
è salito addosso un umore tetro e pessimista che non ha
lasciato spazio all'ispirazione e non vi dico che fatica è
stata cercare di scrivere due righe!
Per fortuna non mi sono data per vinta, soprattutto
considerando che mai come questa volta, sapevo esattamente cosa
scrivere e quindi anche sforzandomi, ho iniziato a mettere
giù il testo, che poi per fortuna tra Giovedì e
Venerdì ha preso la sua forma completa, grazie al ritorno
della mia Musa che mi ha permesso di ritoccare tutti i punti scritti
sotto un cattivo influsso e che apparivano freddi e privi di
vita.
Venerdì inoltre, ho modificato alcune
parti e aggiunto tutto il pezzo con Serena (che non era stata
considerata nella prima stesura) e sono felice di averlo inserito
perché personalmente mi sono davvero divertita a scriverlo
xD (Ed ora Testarossa mi ammazza!)
Quando ho spedito il capitolo alla mia Beta, mi sono anche accorta che,
alla faccia della mancanza d'ispirazione precedente, è
risultato il capitolo più lungo che abbia scritto finora: 17
pagine di Word!!! Sono fiera di me :D
(Spero ovviamente che siano 17 pagine interessanti
e non una sequenza di roba che non vi sia piaciuta, non c'è
nulla di peggiore di un barboso e chilometrico capitolo!)
Per chi sta leggendo anche Love
Sucks, chiedo
scusa se la ripetizione del dialogo tra Pasi e Sofi è
risultata noiosa; in un primo momento avevo pensato di riassumerlo, ma
poi mi sono resa conto che avrei fatto un torto a Pasi,
perchè era un momento importante e riassumerlo non sarebbe
stato in linea con il resto del racconto, inoltre per chi non sta
seguendo lo spin-off, ci sarebbe stata una lacuna importante e non era
minimamente considerabile. Quindi spero che leggere la scena dal punto
di vista di Pasi, sia risultato abbastanza gradevole da non farvi
annoiare per la ripetizione :D
And Last
bun not Least,
vogliamo innalzare tutte un ALLELUJA perché finalmente
è stato trovato il batterista?!
Ho fatto i salti di gioia insieme ad Emile e Pasi
mentre Pel di Carota dava la notizia alla sua streghetta!!! ERA ORA!!!!
Angolo
dei Ringraziamenti
Prima di tutto, grazie a tutte per aver atteso
pazientemente l'arrivo di questo capitolo senza lamentele, siete state
dolcissime e pazienti. Grazie Mille!!! :D
Ed ora ovviamente un grazie di dimensioni titaniche
a:
Fiorella
Runco, la mia beta-tomodachi sorella d'anima
perché nonostante i mille impegni, trova sempre del tempo
per me.
Grazie sorellina, sei un tesoro <3
Vale, Niky, Saretta, Concy, Cicci, le mie
sister del cuore che sono sempre pronte a recensire, a darmi sostegno a
farmi morire dalle risate (recensitrice folle, ce l'ho con te xD) e a
far vivere i miei ragazzi dentro di loro, attraverso l'entusiasmo che
dimostrano dopo ogni lettura. Vi adoro in blocco!!! <3
Ana-chan
ed Ely,
le mie
sister in pausa, che non mancano di sostenermi a priori. Grazie tesore
mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth,
che ho scoperto essere anche una sorella Alexina (magnifica scoperta!)
oltre che una delle lettrici più affezionate di
questa storia. Grazie perché nonostante la febbre hai avuto
la forza di leggere e commentare, grazie mille! :*
ThePoisonofPrimula,
che oggi compie gli anni, e che nonstante stia attendendo
spasmodicamente il prossimo capitolo di Love Sucks, spero trovi
appagante anche la lettura di questo capitolo, come piccolo regalo di
compleanno da parte mia. AUGURONI
PRIMULINA!!!!!!
:******
Kira1983,
che
si è legata a questa storia in un batter d'occhio e che
continua a seguirla sempre con interesse e trasporto. Grazie Kiruccia!!
:*
Inoltre
un enorme grazie va a sel4ever,
che mi ha rallegrato non poco con la sua recensione allo scorso
capitolo, dicendomi che questa è tra le storie
più belle che abbia letto! Grazie grazie e ancora grazie!!!
E un grazie dal
più profondo del cuore va a tutte voi che leggete
silenziosamente, che avete inserito questa storia tra le preferite, le
ricordate e le seguite:
Androgynous, DISORDER, gigif_95, kiki0882, lovedreams,
samyoliveri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
firstlost_nowfound,
green apple,
incubus life, princy_94, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
costanzamalatesta, cris325, epril68, georgie71, IriSRock, Kira16, LAURA VSR, matt1, myllyje, nicksmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
smile_D,
smokeonthewater, Strega Mangia
Frutta,
Veronica91,
_anda, _Calypso_
Grazie
grazie e sempre più grazie!!
ARIGATOU GOZAIMASU a
tutte voi!!!!
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Capitolo 31 *** Capitolo 31 ***
Capitolo 31
Pasi domani andiamo al mare,
sei dei nostri?
Stavolta no Rita, voglio
stare con Emile, è una
giornata importante.
Dal
momento in cui Emile mi aveva dato la notizia dell’arrivo di
Luca nella band,
avevamo trascorso almeno un’ora seduti sul cofano
dell’auto a parlare di quella
meravigliosa novità, che avrebbe spazzato via una volta per
tutte le ombre
dalla vita professionale del mio Pel di Carota e solo quando terminammo
tutte
le parole e ci rendemmo conto che era giunta l’ora di
metterci in auto, accesi
il cellulare e vi trovai
il messaggio di
Rita.
Quando
ero immersa nel lavoro in cucina, spegnevo il cellulare, in modo da non
avere
distrazioni con telefonate o sms che potevano interrompere e
intralciare la mia
resa in cucina, per quel motivo quindi, lessi solo a
quell’ora del suo invito
per andare al mare, il giorno dopo.
Mi
sarei dovuta alzare presto per essere con loro e considerata
l’ora che avevo
fatto, avrei dormito ben poco… Ma non era quello ad
impedirmi di andare con i
miei amici, potevo rinunciare tranquillamente a qualche ora di sonno,
l’avrei
recuperata di sicuro nei giorni a venire.
Ciò
che m’impediva totalmente di essere con loro, nonostante le
giornate al mare
fossero per me una tentazione continua, era il
sapere che l’indomani sarebbe stata una
giornata memorabile a cui non volevo rinunciare:
quel giorno ci sarebbe stato il cambio della
guardia, Luca avrebbe portato in saletta la sua batteria e tutti gli
oggetti di
Claudio sarebbero stati finalmente messi da parte, in attesa di
restituirglieli. Quel tipo odioso non aveva avuto più il
coraggio di
avvicinarsi a casa Castoldi e nonostante l’aria trionfante
che assumeva nella
casa discografica, sapeva benissimo che se si fosse presentato in
quell’abitazione per reclamare il suo strumento, non avrebbe
ricevuto una calda
accoglienza… Per cui la batteria era rimasta ad uso e
consumo dei GAUS per le
audizioni, finché finalmente era giunto il giorno in cui
avrebbero potuto
disfarsi di qualcosa che ricordava costantemente ai ragazzi,
l’odiosa presenza
di quel vigliacco di Claudio.
Sarebbe
stata una giornata davvero importante per Emile e il suo gruppo e non
volevo
perderla, in più ero curiosa di conoscere il salvatore dei
GAUS, questo Luca
che già adoravo, per il solo fatto di aver riportato la
serenità nello sguardo
di Emile.
Avrei
rinunciato a tutte le vacanze di questa terra, per poter essere con lui
in quel
giorno così importante! C’era solo un piccolo
particolare che al momento,
m’impediva la realizzazione di quel desiderio: dovevo ancora
dire al mio ragazzo,
che avrei voluto assistere a quel giorno memorabile…
Mi
stava conducendo a casa e non sapevo se si sarebbe fermato a dormire o
meno,
per cui sarebbe stato meglio sfruttare il tempo del tragitto in auto,
per
rivelargli il mio desiderio… Eppure avevo delle remore nel
chiederglielo…
Ero
consapevole del fatto che il mio Pel di Carota mi parlasse molto
più facilmente
della sua vita professionale, tuttavia avevo sempre paura di essere
troppo
invadente, di essere oppressiva… Senza contare il fatto che
la mia ultima
intromissione era costata il batterista alla band, in un momento del
tutto
delicato.
«Emile…»
«Mh?»
aveva gli occhi piantati sulla strada e non perse tempo a rivolgermi il
suo
sguardo.
«Ecco…
avrei una cosa da chiederti…»
«Allora
chiedila.»
«Temo
la tua risposta.»
Frenò
all’improvviso e appena trovò un punto libero,
accostò, evidentemente
preoccupato da ciò che volevo dirgli. Una volta spento il
motore, mi rivolse il
suo sguardo ansioso:
«Quando
fai così, inizio a preoccuparmi… che hai
combinato?»
«Nulla!»
risposi offesa; perché doveva pensare che ci
fosse qualche casino dietro? Beh, in effetti conoscendomi, non aveva
tutti i
torti….
«E
allora cos’è successo di così terribile
da non riuscire a dirmelo? Mi fai
sentire un orco!»
«Forse
lo sei…» Mi rivolse uno sguardo ostile, stringendo
gli occhi, fingendo risentimento.
«Pasi…
vuoi dirmi che hai?»
«Ecco…
hai detto che domani Luca verrà a sostituire la batteria di
Claudio con la sua…
vero?»
«Sì…»
«Ecco…
vorrei-tanto-essere-li-con-voi!» dissi quella frase tutta
d’un fiato, per poi
nascondere la testa tra le braccia, timorosa di vedere la sua
reazione… In
tutta risposta sentii un rumore sordo insieme ad un suo sospiro.
«Proprio
non ce la fai, eh?» Alzai lo sguardo e lo vidi con la testa
appoggiata al
volante, totalmente vinto.
«A
fare cosa?» osai
rispondere a bassa
voce, con il viso sempre più basso e ancora nascosto dalle
braccia.
«Ad
essere messa in disparte… e a non avere paura di
parlare… Non riesco a capire
perché una persona come te, che non teme nemmeno le ire
degli dei, possa aver
paura di me!»
«Le
ire degli dei? Emile ma come parli?!»
«Non
tergiversare, tu! È la prima cosa che mi è venuta
in mente, del resto hai un
nome greco, perché non potresti temere le ire degli
dei?»
«Non
me lo ricordare per favore… lo sai che odio quel nome!
Allora mi rispondi?»
«Sei
tu che mi distrai! Hai perso la paura a quanto vedo… era
solo un modo per farmi
cedere?»
«Ma
no! Non sono una gatta morta come Serena, io!» dissi
risentita «Ho davvero
paura di farti arrabbiare…»
Emile
sospirò nuovamente: «D’accordo strega,
vieni pure… ci vedremo nel dopo pranzo,
prima che torni a lavoro.»
«Non
potevi prendere la mattinata libera? Tanto Gustavo non
c’è…»
«Non
c’è, ma si fida di me! E non voglio venir meno
alla sua fiducia, perciò domani
lavorerò come sempre…»
«Posso
venire con te?»
«EH?»
«Posso
venire a trovarti a lavoro? Così potremo tornare insieme a
casa tua, pranzare e
attendere i ragazzi!»
«Pasi,
io non vado a divertirmi…»
«Lo
so, ma avevo voglia di vederti a lavoro… Tu sai quello che
faccio e conosci
anche i miei colleghi… Io invece non so nulla di te, non
conosco l’ambiente in
cui lavori e mi sembra di perdere qualcosa d’importante che
ti riguarda!»
«Sei
più capricciosa del solito, stasera.»
Già…
ai suoi occhi dovevo sembrare davvero capricciosa… ma il
pensiero che presto
sarebbe andato via non mi dava tregua e sentivo costantemente il
bisogno di
sentirlo vicino a me… Dovevo farglielo capire in qualche
modo.
«Emile…
c’è una cosa che devo dirti…»
«Un’altra?»Un
«Sì…
e forse capirai un po’ di più le mie ragioni
dopo…»
«Ok…
dimmi tutto.»
«Qualche
giorno fa, sono stata con Iulia alla casa discografica… la
vostra.» Emile non
rispose, ma mi guardò sorpreso. «E vi ho visto
mentre parlavate con il vostro produttore…»
L’espressione
del suo viso si fece perplessa, evidentemente non riusciva a capire
dove volevo
andare a finire con quel discorso e rimase in silenzio in attesa che
continuassi.
«Io
non sapevo che eravamo dirette lì, Iulia mi ci ha portato
senza dirmelo, non volevo
invadere la tua privacy…» mi fece il gesto di
continuare, «Insomma, alla fine
ne sono stata felice, perché ho capito qualcosa in
più di te e del tuo mondo e mi
sono resa conto che ci sono aspetti di te che io non conosco
affatto… quindi ho
pensato che vederti nell’ambiente in cui lavori, mi avrebbe
fatto conoscere un altro
lato della tua
vita, che finora mi è
oscuro… Io vorrei sapere tutto di te, Emile! Vorrei
conoscerti davvero, in tutti
i tuoi aspetti e più tu ti ritrai, più io sento
il bisogno di sapere… Ho sempre
paura che tu non voglia aprirti completamente a me, invece io vorrei
che non ci
fossero segreti tra noi…»
Cercai
di essere più convincente possibile e per questo la mia
arringa fu un fiume di
parole in piena… Fiume che si spezzò quando Emile
mi strinse a sé.
«Pasi,
lo so che è difficile starmi accanto, lo so che ti do poco
spazio e che sono
sempre sfuggente… ma non devi dubitare in questo modo di me.
Non mi costa farti
essere presente domani mentre cambiamo gli strumenti e se vuoi venire a
visitare la bottega va bene, però non voglio in alcun modo
sentirmi costretto a
doverti includere in ogni cosa che faccio, solo perché tu ti
senti esclusa. Io
sono fatto così, ho bisogno dei miei spazi, non posso
inserirti in tutto ciò
che m’impegna e voglio che tu lo capisca, perché
dobbiamo imparare a rispettare
le nostre differenze prima di tutto. E sopra ogni cosa, non voglio
più sentirti
dire che hai paura di dirmi qualcosa. Sai tenermi testa senza problemi
e non
vedo il motivo per cui tu debba sentirti intimidita da me.»
Aveva
ragione, le sue parole non erano aspre, ma sentivo in pieno la sua
ferrea
volontà di non lasciare che m’intromettessi in
ogni aspetto della sua vita… Del
resto non poteva essere altrimenti: da quando aveva dichiarato
d’amarmi, il
nostro legame aveva trovato più stabilità ed
equilibrio, ma non dovevo
dimenticare la sua paura che io diventassi troppo importante, persino
più della
musica… Dovevo essere più forte e invece stavo
diventando solo più capricciosa!
«Scusami…
lo so che a volte esagero… ma ho sempre bisogno di sapere
che ci sei… Mi hai fatto
così felice prima, parlandomi di Luca, che forse non avevo
nemmeno il diritto
di chiederti altro… Invece non riesco a frenarmi, sono
sempre qui a chiederti
di più…»
«Streghetta,
io ci sono, mettitelo bene in testa, non vado da nessuna parte. Anche
se mi
allontano, l’incantesimo che hai lanciato su di me
è forte e non mi permette di
tenerti a distanza nemmeno se lo volessi ed io non lo
voglio…» Rincuorata da
quelle parole, mi strinsi maggiormente a lui.
«Rimani
a dormire da me?»
«Ok…
ma non fare storie se dovrò alzarmi presto!»
«Promesso!»
*****
La
bottega di restauro dove lavorava Emile fu facile da raggiungere, anzi,
avrei
potuto percorrere quel tragitto ad occhi chiusi. Il mio Pel di Carota
si era
alzato prima di me per andare a lavoro e mi aveva lasciato un biglietto
con
l’indirizzo della bottega: quando lessi il nome di quella
strada mi suonò del
tutto familiare, anche se non riuscii a comprenderne subito il motivo.
Ma prima
d’incamminarmi, di
colpo me ne resi
conto: su quella stessa strada c’era la scuola superiore che
avevo frequentato
per cinque anni!
Sono
davvero strane le coincidenze della vita: fino ad un anno prima, quel
luogo era
la mia casa, percorrevo quella strada due volte al giorno tutta la
settimana e
non mi ero mai accorta di quel negozio all’angolo, quel locale in cui Emile
lavorava da anni.
Le
nostre vite si sono sfiorate per tanto tempo senza essersi mai toccate
e nel
momento in cui non c’è stata più
occasione d’incontrarci, ci siamo imbattuti
l’uno nella vita dell’altra e viceversa…
La vita ha proprio uno strano modo di
andare avanti!
Passare
davanti alla mia ex scuola mi fece uno strano effetto: nonostante quegli anni
avessero costituito per
me una vera guerra, ora la guardavo con nostalgia, pensando ad un
periodo della
mia vita che si era concluso per sempre. Cinque anni in cui il mio
unico immenso
problema era costituito da quelle ore, scandite
dal tentativo di sopravvivere alle interrogazioni, ai professori e ai
miei
genitori insoddisfatti, evitando delle ramanzine e delle punizioni da
parte di
questi ultimi per il mio andamento scolastico, non proprio eccellente.
Un
periodo in cui io e Stè eravamo indivisibili: costantemente
compagni di banco,
nonostante costituissimo la coppia più rumorosa della
classe.
A
volte qualche insegnante aveva provato a dividerci, ma appena se ne
andava,
tornavamo ad occupare lo stesso banco, sapendo che gli altri professori
non
erano così severi. Ogni volta che litigavo con qualche
compagno di classe (e
capitava spesso, soprattutto contro gli odiosi secchioni egoisti che
non ci
aiutavano nemmeno se li imploravamo!) Stè se la rideva
divertito, ma era sempre
pronto a difendermi nel caso la situazione diventasse seria. Una volta
si era
beccato persino una sospensione, per avermi aiutato contro un nostro
compagno
di classe, che minacciava di dire all’insegnate che stavo
copiando… E alla fine
fummo sospesi entrambi e dovemmo rifare il compito da soli con il prof
davanti,
per non parlare delle punizioni piovute a raffica in casa!
Con
i bidelli invece era tutto un altro paio di maniche: le
nostre passeggiate per i corridoi del liceo
ci avevano fatto diventare i loro beniamini e avevamo sviluppato una
grande
amicizia con ognuno di loro, al punto da essere sempre informati
persino sulle
dicerie e i movimenti degli insegnanti.
Se
c’era da sapere qualcosa sulla presenza o meno di un
determinato professore ad
una determinata ora, le due Teste di Fuoco avevano i contatti giusti,
che in un
battibaleno avrebbero dato l’informazione, aiutando la nostra
intera classe a
sopravvivere. L’assenza di un professore particolarmente
severo era al pari di
una festa nazionale, tutti noi diventavamo all’improvviso
felici e rilassati
come se fossimo in vacanza!
Rimasi
ferma davanti ai cancelli della scuola per un po’ di tempo,
osservando
quell’edificio con gli occhi della memoria, immergendomi in
cinque anni di
ricordi, pensando a tutti i momenti vissuti su quei gradini
dell’ingresso, alle
riunioni con la classe prima di entrare, ai discorsi fatti in quel
cortile, a
tutti i litigi con i professori o tra i compagni di classe…
E dopo quel piccolo
tuffo indietro nel tempo, riassaporando una parte della mia vita che
(scoprii
al momento), iniziava a mancarmi, salutai ancora una volta quella
scuola che
sarebbe stata sempre una parte di me, mettendo alle spalle il mio
passato per
andare incontro al mio presente, che distava pochi metri da
lì.
La
bottega di restauro era ufficialmente chiusa per le vacanze, ma Emile
aveva
chiesto a Gustavo il permesso di lavorare nel laboratorio, posto nel
retro, per
poter terminare i suoi incarichi prima di lasciare del tutto quel
mestiere,
così non mi meravigliai trovando la serranda abbassata
sull’entrata principale
e mi diressi all’interno
della traversa
su cui faceva angolo l’edificio. Il laboratorio aveva
un’entrata ampia, che
avrebbe permesso l’ingresso anche ad un camion ed immaginai
che fosse proprio
quello l’uso a cui era destinato, in modo da poter scaricare
direttamente in
loco i mobili ingombranti come gli armadi. La serranda era aperta del
tutto,
ma la porta a vetri
satinati a due ante
era chiusa, un chiaro invito a “non
disturbare”… Del resto quando si lavora non
è il caso di distrarsi, anche se quella porta chiusa era un
gesto così tipico
di Emile che sorrisi all’idea: in fondo anche se non
l’avevo mai visto
all’opera in quel luogo, avrei potuto immaginarlo chiaramente!
Abbassai
la maniglia e spinsi la porta… ma non si
aprì… Evidentemente quella di chiudere
le porte a chiave era proprio una mania… malfidato di un Pel
di Carota!
«Emile!
Sei lì dentro? La porta è chiusa… se
non vieni ad aprire resto fuori!» Logica
inoppugnabile Pasi, complimenti!
Attesi
di sentire una risposta, ma non arrivò, allora iniziai a
picchiare sul vetro
cercando di non esagerare e continuai a chiamarlo.
«EMILE!
Sei lì dentro oppure no?»
Ad
un tratto sentii dei passi e intravidi la sua figura attraverso i vetri
e
quando aprì la porta capii perché non mi aveva
sentito: aveva ancora un
auricolare che gli pendeva dall’orecchio e l’altro
emetteva una musica talmente
alta da sentirsi a distanza… Ma quello era un dettaglio di
cui mi resi conto in
seguito, perché rimasi
per qualche
secondo ad osservare la sua tenuta lavorativa. Emile indossava un
camice bianco,
imbrattato da qualche strana sostanza che gli lasciava macchie
giallastre
addosso e una mascherina gli pendeva sul collo: il suo aspetto era
così
insolito, che mi lasciò senza parole, sembrava quasi
un’altra persona!
«Streghetta,
ti sei ammutolita?» Tornai alla realtà distratta
dalle sue parole e dissi la
prima cosa che mi passò per la mente.
«Sembri
un dottore!»
Il
mio Pel di Carota, mi osservò perplesso prima di comprendere
la mia esclamazione
e sorridere malizioso.
«Allora
si accomodi signorina, cosa può fare per lei questo
dottore?»
«Uhm…
mi faccia vedere di cosa è capace!»
Gli
risposi di rimando
sfidandolo e in tutta
risposta avvicinò
il volto al mio
orecchio e mi sussurrò: «Non tentarmi, altrimenti
chiudo prima.»
«Cosa
stai aspettando?» risposi
con un fil di
voce, già pronta a saltargli addosso.
«In
effetti potrei farci un pensierino…»
continuò con lo stesso tono sussurrante e
terribilmente eccitante… e
come sempre, dopo avermi fatto andare a fuoco con due sole parole, si
staccò da
me «…ma devo prima finire qui.» mi diede
un bacio e chiuse nuovamente la porta
a chiave, prima di dirigersi all’interno del laboratorio.
«Uff,
sei un mostro sadico!»
L’ambiente
era ampio e vasto: le pareti erano alte e la stanza era anche profonda,
poteva
entrarci davvero un intero camion all’interno!
Sembrava
essere una specie di garage riadattato per le esigenze di Gustavo.
Sulle
pareti c’erano bacheche su cui erano affissi vari strumenti,
ma la maggior
parte dei muri era occupata da pezzi di legno e da mobili antichi in
condizioni
più o meno disastrate. In corrispondenza delle bacheche, c’erano una
serie di tavoli larghi e molte
attrezzature di cui ignoravo lo scopo e nell’aria si sentiva
l’odore del legno
e di qualche sostanza chimica, che doveva essere usata per il
trattamento dei
mobili.
Seguii
Emile fino al punto in cui tornò a lavorare e vidi che si
stava dedicando ad
una consolle con specchio incorporato: il ripiano era sporgente nella
parte
anteriore a formare un semicerchio, ma questo terminava prima di
arrivare
all’estremità, formando due virgole in
corrispondenza degli spigoli. Le gambe
della consolle avevano la tipica bombatura dei mobili di un tempo e
anche la
cornice dello specchio, presentava riccioli e curvature che non erano
certo
appartenenti alla nostra epoca. Sul ripiano erano presenti degli
intarsi ed era
proprio su di essi che stava lavorando Emile, che nel frattempo aveva
rimesso
la mascherina sul viso.
Restai
a distanza immaginando che la sostanza che stava usando dovesse essere
tossica
ed evitai di farmi riprendere: trovai una sedia che doveva essere a
disposizione di chi lavorava, essendo decisamente moderna e mi ci
accoccolai su,
osservando il mio Pel di Carota al lavoro.
Emile
era intento a distribuire con il pennello quella specie di lucido e con
un
panno ne toglieva l’eccesso:
i suoi
movimenti erano rapidi e sicuri, gesti tipici di chi li ha ripetuti
talmente
tanto, da farli quasi meccanicamente. Restai ferma ad osservarlo
estasiata: era
talmente concentrato da non rendersi nemmeno conto che fossi
lì con lui,
nonostante non avesse rimesso gli auricolari nelle orecchie. In quel
momento mi
ricordò terribilmente suo padre alle prese con il quadro di
Claudine, talmente
immerso nella sua arte da dimenticare totalmente il mondo
all’esterno.
Quando
li conobbi, pensai che l’unica cosa ad accomunare quei due
fossero i ricci, ma
più li conoscevo e più mi rendevo conto di quanto
Alberto ed Emile fossero
davvero simili… e chissà che il mio Pel di Carota
non avesse ereditato anche il
talento artistico del padre, oltre che quello della madre…
L’immaginai
alle prese con tele e pennelli e pensai a quanto la sua immagine di
cantante/pittore potesse risultare affascinante… A quel
punto però, sentii una
fitta terribile di gelosia pensando allo stuolo di ragazze che avrebbe
attirato
e mi dissi che tutto sommato, era meglio che rimanesse solo uno
splendido
frontman, dato che sicuramente mi avrebbe dato dei grandi grattacapi
anche
così, senza metterci anche l’aria da artista a
tutto tondo!
«Streghetta…
sei ancora tra noi?» mi girai in direzione della sua voce e
vidi Emile con la
mascherina in mano che mi osservava incuriosito.
«Sì,
scusami… ero sovrappensiero… hai
finito?»
«Sì,
ho passato il lucido protettivo, ora deve seccarsi e quando
tornerò nel
pomeriggio potrò mettere da parte la consolle e dedicarmi al
prossimo mobile.»
«Posso
dare un’occhiata in giro?»
Mi
sorrise conciliante… «Certo, fai pure.»
… e iniziò a togliersi il camice,
mentre facevo un giro per il laboratorio.
«WOW!
E questi li hai fatti tutti tu?»
Ovunque
guardassi c’era un mobile antico: che si trattasse di un
armadio a tre ante o
di uno specchietto da tavolo, ero immersa nel passato, ogni oggetto
presente in
quel luogo, recava in sé la memoria di un tempo ormai
perduto, che poteva solo
essere rievocato flebilmente attraverso quella mobilia muta, ma
terribilmente
affascinante.
«Non
tutti, i mobili più antichi li lavora Gustavo…
non sono così bravo!»
«A
me sembri bravissimo!»
Lo
sentii avvicinarsi alle mie spalle e cingermi
la vita con le braccia: «Perché tu mi guardi con
gli occhi dell’amore.»
Mi
appoggiai a lui e misi le mie mani sulle sue: «Sbagliato,
sono convinta che tu
abbia talento, potresti diventare un bravissimo
restauratore!»
«Bene…
lo terrò presente per la prossima vita, allora.»
«Stupido!»
lo sentii sorridere: l’atmosfera era del tutto rilassata ed
io mi sentivo
totalmente a mio agio circondata dalle sue braccia e appoggiata a lui.
Nel
silenzio che seguì mi guardai intorno, respirando
l’aria dell’ambiente in cui
il mio Pel di Carota trascorreva le sue giornate, cercando di
assimilare
visivamente ogni cosa e cercando di percepire ogni odore presente in
quel
luogo, per imprimerlo nella mia mente una volta per tutte.
«Hai
mai trovato qualche oggetto personale antico, nei cassetti di questi
mobili?»
«Ovvero,
qualche vecchio diario, che rivelasse segreti romantici inconfessabili
,delle
donne di alta classe?»
«Sì…
una cosa del genere.»
«No,
niente di quel tipo… ma ho trovato una vecchia edizione del
Kamasutra dipinta a
mano.»
«EH?»
mi girai a guardarlo sorpresa e incuriosita…
e lo vidi sorridere con gli occhi oltre che con le labbra.
«Scherzavo,
piccola strega lussuriosa… Ho trovato solo un messale degli
inizi del novecento,
niente di eccezionale.» A quel punto tirai un pugno sullo
sterno ad Emile e mi
liberai dal suo abbraccio, infastidita e imbarazzata, mente lui si
faceva una
sana risata ai miei danni.
«Antipatico,
ti diverti a prendermi in giro!»
Mi
prese per una mano e mi attirò a sé:
«Sì, perché adoro il tuo volto
imbarazzato.» e mi diede un bacio che di casto non aveva
nemmeno le sembianze… «Ora
che ne dici se questo dottore ti
sottopone ad un bel check-up completo?»
*****
Dopo
un antipasto ad alto carico energetico, il pranzo fu preparato alla
velocità
della luce: la fame ci divorava e cresceva sempre più
l’ansia per l’arrivo dei
ragazzi, così non ci sperticammo nel creare piatti
elaborati. Ma mentre
eravamo intenti in quelle faccende
domestiche, Emile d’un
tratto si rese conto di un’assenza in casa sua:
«Chissà
se Lucien viene a pranzo…»
Sapevo
benissimo che non sarebbe stato dei nostri, dato che era al mare con il
resto
del gruppo, ma non volevo rivelare al mio Pel di Carota di aver
rinunciato ad
una giornata con i miei amici per stare con lui, temevo che potesse
arrabbiarsi
con me, dopo il discorso della notte precedente… Così spostai
l’argomento su un terreno che
m’interessava sondare:
«Ora
si che sembri un fratellino premuroso.»
Ero
felice di vederlo pensare a suo cugino, di vederlo preoccuparsi della
sua
presenza a tavola e sorrisi incoraggiante, ma dal canto suo Emile mi
guardò con
la coda dell’occhio in un’espressione di sfida,
senza aprir bocca.
«Su
Testone, ammettilo che ti sei affezionato a lui!»
Fece
un sorrisetto ironico e continuò a dedicarsi al pranzo,
prima di rispondere: «È
solo praticità, è ovvio che sapendo che ci sia
anche lui, mi chieda se verrà a
pranzare o meno… abbonderò con le porzioni, in
caso torni.»
Testardo
fino all’inverosimile! Sapevamo entrambi che il suo gesto
d’includere Lucien
nella lotta a suon di salse, di qualche giorno prima, era stato una
silenziosa
accettazione che suo cugino facesse parte della famiglia e
ciononostante, non
voleva ammettere ad alta voce che Lucien era riuscito a fargli
abbassare le
barriere e farlo ricredere sui suoi parenti francesi.
Rimasi
ad osservarlo silenziosa, ma con uno sguardo di sfida che rifletteva
perfettamente il suo: sentendosi osservato, si girò di colpo.
«Che
c’è? Qualcosa non va?»
«Resterò
qui ad osservarti, finché non ammetterai che Lucien ti
è simpatico!» Emile mi
guardò perplesso, smise di trafficare vicino alla cucina,
incrociò le braccia e
mi guardò con espressione di sfida.
«E
perché mai dovrei ammettere una cosa simile?» Era
sulla difensiva, eppure c’era
una luce di divertimento negli occhi… Forse gli piaceva il
mio modo di incaponirmi
sulla sua testardaggine…
Che
bella coppia di teste dure eravamo, ma questo era stato chiaro sin dal
principio… Avevo sempre saputo che tra me e il mio Pel di
Carota ci sarebbero
stati più battibecchi che momenti di pace!
Incrociai
anch’io le braccia imitandolo e accolsi la sfida divertita.
«Perché
so che non lo farai mai se non ti costringo e so che Lucien merita
questo
riconoscimento.» continuò imperterrito ad
osservarmi sulle difensive, ma un
sorriso sghembo si disegnò sul suo volto e con una luce
maliziosa negli occhi
si chinò verso di me.
«È
meglio di ciò che credevo… talmente meglio che
credo di essermene innamorato.»
Se
all’inizio di quella frase stavo già gongolando
trionfante, quando la terminò
mi sentii presa nuovamente per i fondelli e offesa gli tirai un pugno
sul
braccio: «Antipatico di un Pel di Carota, testardo e
sadico!»
Emile
dal canto suo incassò il mio colpo con noncuranza, iniziando
a ridere divertito:
«Oddio
Pasi, vedessi la faccia che hai fatto!»
«Ti
odio!»
Incrociai
le braccia risentita, mentre Emile si piegava in due dalle risate:
«Ahahahhahahaahh!»
Ero
davvero offesa per quel suo modo di prendersi gioco di me, eppure il
suono
delle sue risate, un suono che non avevo mai sentito così
forte e così sincero,
m’infuse una grande serenità nell’animo:
chissà da quanto tempo Emile non
rideva di gusto come in quel momento e anche se non mi era piaciuto il
modo,
ero davvero felice di avergli donato l’occasione per
risollevarsi lo spirito,
con una sana risata.
Amavo
sentire la sua voce quando mi parlava, amavo sentirla ridotta ad un
sussurro
vicino al mio orecchio e l’adoravo quando si trasformava
intensificandosi nel
canto… Ma il suono di quella risata, d’improvviso
mi sembrò la melodia più
bella del mondo.
*****
Preparare
il pranzo insieme al mio Pel di Carota si rivelò nuovamente
un’esperienza
piacevole e ancora una volta, mi resi conto di come un gesto quotidiano
potesse
assumere un valore così alto, se condiviso con la persona
che ami… Probabilmente,
persino andare all’ufficio postale per pagare una bolletta,
sarebbe stata
un’esperienza dolcissima se l’avessi condivisa con
lui!
Una
volta pronto, il nostro pranzo fu letteralmente divorato:
più si avvicinava il
momento, maggiormente ci sentivamo su di giri per l’imminente
arrivo del giro
di boa; non vedevo l’ora di conoscere Luca e fremevo
all’idea di vedere la
gioia sul volto di Emile, che dal canto suo iniziava ad essere sempre
più
sorridente.
A
volte durante il pranzo lo coglievo perso in qualche pensiero tutto
suo, con un
sorriso soddisfatto e una luce letale negli occhi e capivo
immediatamente che
stava pensando al futuro dei GAUS senza Claudio. Io riuscivo solo a
focalizzarmi sul senso di sollievo che provavo, ma per lui doveva
aprirsi un
mondo nuovo di possibilità: finalmente era libero di
procedere secondo i suoi
piani, di gestire l’andamento del gruppo secondo la sua
volontà, senza intralci
da parte di quel tipo odioso…
Il
fuoco che emanava dallo sguardo quando si concentrava sul suo futuro da
musicista, m’immobilizzava: Emile ardeva di determinazione, i
suoi occhi
rilucevano della luminosità
dell’acciaio… Niente l’avrebbe mai
distolto dalla
musica, ecco perché non aveva minimamente contemplato
l’idea di lavorare come
restauratore, in quella vita.
Il
suo futuro era la musica, per lei avrebbe vissuto e in lei avrebbe
sempre
creduto.
Al
di là del desiderio di riscattare Claudine, in Emile la
musica scorreva nelle
vene insieme al sangue e anche se sua madre fosse stata diversa, anche
se fosse
stata una casalinga felice, sicuramente il mio Pel di Carota avrebbe
scelto la
musica. Non c’era altra via, non c’era
un’altra scelta: senza musica, non
poteva esserci nemmeno Emile.
Quando
finalmente giunse l’ora e suonarono al citofono,
andò alla porta correndo
felice come una Pasqua: era così diverso dal ragazzo
impassibile e sarcastico
che conoscevo, che rimasi a riflettere su quanto gli avvenimenti
funesti della
sua vita lo avessero cambiato. Forse se Claudine fosse stata una madre
normale,
quel sorriso che gli vedevo ora sul viso non sarebbe stato un miracolo,
ma
avrebbe fatto parte del suo quotidiano… Emile sarebbe stato
sicuramente un
bambino più sereno e molto meno diffidente…
Purtroppo,
con i se e i ma non si costruisce alcunché e smisi di
perdermi in quelle
riflessioni, per godermi quel presente in cui il mio Pel di Carota
rideva e
scherzava con i suoi compagni di band.
Davanti
al cancello di casa, vidi parcheggiato un furgoncino nero con alcune
immagini
aerografate: dalla portiera del passeggero vidi scendere Francesco,
mentre le
porte posteriori venivano aperte da un tipo che non riconobbi e che
doveva essere
Luca. Dal furgoncino emerse Filippo, mentre gli altri due entrarono
nell’abitacolo.
Emile andò loro incontro, aprendo il cancello e dando una
mano a prendere i
pezzi della batteria e come tante formichine operaie, uno alla volta
arrivarono
verso di me, che li osservavo sulla porta.
In
un’altra occasione mi sarei fiondata a dare una mano, ma in
quell’occasione mi sentii di troppo e
rimasi ad osservare: quello era un momento speciale per loro, era un
nuovo
inizio, c’era dentro una collezione di speranze che non
potevo comprendere e
una mia intromissione anche solo per trasportare gli strumenti, mi
sembrò
inopportuna e indesiderata.
Il
primo ad entrare in casa fu Filippo.
«Ehilà
Pasi, da quanto tempo non ci vediamo!»
aveva le mani occupate da tre borse rotonde e poco spesse
che di sicuro
contenevano i piatti della batteria.
«Ciao
Filippo! È trascorso davvero tanto tempo
dall’ultima volta che ci siamo visti!»
«Sì…
da quando abbiamo cenato insieme qui… c’erano
anche i tuoi amici, vero? A
proposito, come sta Stefano?»
«Benone,
oggi è al mare a divertirsi.»
«Ah…
il mare… quanto mi manca! Non so più da quanto
tempo non vado a farmi una bella
nuotata.» Eravamo ancora sulla soglia e gli altri stavano
arrivando, per cui
onde evitare di bloccare il traffico, mi spostai con il bassista in
direzione
della saletta e a quel punto, vedendolo armeggiare con il suo bagaglio,
mi
sembrò poco gentile non offrire il mio aiuto.
«Vuoi
una mano a trasportare quelle borse?»
«Ah,
sì grazie, predi questa… attenta però,
Luca è geloso dei suoi bambini!» mi
porse una delle borse che aveva in mano e dal suono prodotto, compresi
che i
bambini di Luca erano effettivamente i piatti. Con tutta
l’accortezza di questo
mondo, li portai nel sottoscala, appoggiando la borsa sul tavolo, una
volta
giunta a destinazione.
In
breve fummo raggiunti anche dagli altri e Francesco non
mancò di salutarmi
calorosamente: «Pasi, ci sei anche tu? Che piacevole
sorpresa! Come hai fatto a
convincere Emile a farti stare qui? Sei davvero la donna dei
miracoli!»
Quel
ragazzo era sempre schietto e sincero… mi domandavo come
riuscisse a ironizzare
su quel lato del carattere di Emile, senza prendersi continue
ramanzine… In
fondo non faceva che sottolineare quello che anche Claudio aveva detto
al mio
Pel di Carota… però era anche vero che i toni
usati erano del tutto differenti…
Non ne sapevo il motivo, ma di sicuro Emile
rispettava Francesco molto più di quanto non facesse con il
loro ex batterista.
Anche
Francesco era sommerso di borse, molto più ingombranti
rispetto a quelle di
Filippo, che nel frattempo era scomparso, probabilmente diretto a
prendere il
resto dei bagagli.
«Ma
quanto è grande questa batteria?» esclamai
sorpresa.
«È
bella ingombrante Pasi… forse non te ne sei resa conto
perché è sempre in fondo
al palco, ma è lo strumento più scomodo da
trasportare, in assoluto! Infatti
credo che una volta messa qui, Luca la sposterà solo per
qualche serata
importante!»
«Sbagli
del tutto, questa non si sposta proprio! Per le serate ne ho
un’altra a casa!»
d’improvviso mi girai in direzione della voce proveniente
dalle scale: Emile e
un altro ragazzo stavano trasportando il pezzo più grosso
della batteria, oltre
ad avere a tracolla altre sacche lunghe e strette: ecco che finalmente
potevo
conoscere il salvatore dei GAUS.
«Ah
ecco! Mi sembrava strano che facessi tutta la fatica di smontarla e
riportarla
qui, ogni volta!»
Francesco
fece un sorriso ironico in direzione dell’amico, che una
volta sceso le scale,
fu finalmente alla portata della mia vista.
«Luca,
lei è Pasi, la mia ragazza… Pasi, lui
è Luca, il nostro nuovo batterista.» Emile mi guardò
divertito, sapeva che la mia
curiosità in quel momento era ai massimi livelli e aspettava
di vedere la mia
reazione a quell’incontro.
«Quindi
tu sei la famosa donna dei miracoli… piacere mio!» Luca mi porse la mano con
un’espressione che
non riuscii a decifrare: sembrava serio, ma qualcosa nel suo viso mi
diceva che
non era affatto così… Aveva usato la stessa
espressione di Francesco, per cui
immaginai che si riferisse a qualche battuta che doveva aver scambiato
con
l’amico.
Osservando
bene quel viso, mi sembrò di averlo già visto:
aveva i capelli corti e castani,
spettinanti sulla testa con il gel, una fila di piercing
all’orecchio destro,
proprio come Emile e un paio di occhiali da vista sul naso, dietro cui
si
vedevano due occhi scuri che avevano l’aria di guardare a
fondo le persone… Dove
avevo già visto quel tipo?
«Mi
stai facendo la radiografia o non ci vedi bene?» quanto tempo
ero rimasta ad
osservarlo? Complimenti Pasi,
nemmeno il tempo di conoscerlo che già hai
fatto la prima figuraccia!
«Ehm,
no, ecco mi stavo chiedendo dove ti avessi già
visto… hai l’aria familiare…»
«Se
frequenti i pub, allora l’avrai visto di sicuro mentre beveva
come una spugna!» intervenne
Francesco, sorridendo in direzione
dell’amico.
A
quel punto Emile si avvicinò per chiarirmi le idee:
«Forse l’hai visto durante
qualche nostro Live… prima di partire ci seguiva
sempre.»
«Sì,
gufava contro Claudio, sperando che gli capitasse qualche
accidenti!» Francesco
continuò imperterrito a prendersi gioco
dell’amico, che dal canto suo rispose
senza fare una piega.
«Ovvio,
quel tipo non mi è mai piaciuto…»
«Solo
perché non usava il China *!
Non credi di essere un
po’ troppo classista?»
«No,
io capisco subito di che pasta è fatta una persona e quel
tipo oltre a non
usare il China, è un perfetto imbecille!»
Di
certo Luca non era uno che la mandava a dire… Almeno di
sicuro non avrebbe
tramato qualcosa alle spalle come Claudio, era centomila volte meglio
avere
accanto qualcuno, che anche rudemente ti spara le verità in
faccia, piuttosto
che un finto amico che ti accoltella alle spalle…
Soprattutto alla luce degli
ultimi eventi, se voleva raggiungere il suo obiettivo, Emile avrebbe
dovuto
circondarsi di persone fidate.
Durante
quel battibecco tornò Filippo, portando con sé il
resto del carico: «Qualcuno
vada a chiudere la porta, non avevo le mani libere per
farlo.»
Emile
corse via diretto all’ingresso, mentre noialtri aiutammo il
bassista a
districarsi con le ultime sacche.
«Luca,
guai a te se deciderai di spostare questa batteria!» disse
con un accenno di
stanchezza nella voce, dopo aver depositato tutto il suo bagaglio.
«Non
preoccuparti Fil, la vecchia Betsy resta qui, nessuno la
smuoverà!»
«Betsy?»
chiesi curiosa e Francesco sorridendo mi aiutò a comprendere.
«Hai
presente Robin Hood della Disney? Luca adora quel cartone al punto da
aver
chiamato la batteria come la balestra del corvaccio, che faceva la
guardia al
castello.**»
«A
dir la verità era un avvoltoio, Frà.» lo
corresse Filippo.
«E
vabbè, sempre uccellacci sono!»
«Eh
no, non confondere, i corvi sono splendide creature, nonché
simbolo della dea
Morrigan***…
uhm… ci starebbe bene un
tatuaggio!» Luca prese un taccuino dalla
tasca posteriore del jeans e iniziò a scribacchiare
qualcosa, mentre io rimasi
senza parole… Non sapevo se sorridere per il continuo
scambio di battute a cui
avevo assistito, o per il modo in cui il batterista si era totalmente
alienato
dal mondo circostante per concentrarsi sul suo disegno…
Fu
solo in quel momento che mi resi conto di un’assenza: «Ma Maurizio non
è con voi?»
«Aveva
un impegno oggi e quindi non ha potuto partecipare al
“rito”.» mi rispose
Filippo e dopo una piccola pausa, suo fratello prese la parola.
«Ragazzi…
non vorrei mettere zizzania ma… siamo sicuri di
Maurizio?»
«Non
vorresti, ma lo stai facendo, fratello!»
«Lo
so Fil, ma sappiamo tutti quanto lui e Claudio siano legati…
e sappiamo anche
molto bene quanto poco si sia espresso su tutta la
faccenda…»
«Sì,
ma fino a prova contraria è ancora uno di noi e non possiamo
incolparlo di
qualcosa che non ha fatto.»
«E
chi l’incolpa, Fil?! Sto solo dicendo che sarebbe meglio
tenerlo sotto
controllo.»
«A
me quel tipo non piace, se ne sta sempre troppo zitto.» disse Luca esordendo
sull’argomento.
«Tu
non fai testo, le persone che ti vanno a genio si contano sulle dita di
una
sola mano!» rispose
Filippo.
«A
meno che non abbiano un bel paio di tette!»
rincarò la dose Francesco e quando
suo fratello gli rivolse un’occhiata rimproveratrice, si
rivolse a me: «Senza
offese, Pasi!»
«Ah
figurati, fate pure come se non ci fossi!» ero abituata a
quel genere di
battute, ed ero felice di essere con loro in quel momento, anche se
ciò che
stavano dicendo nei riguardi di Maurizio mi metteva addosso una strana
ansia.
In quel momento sopraggiunse Emile, con delle buste che sarebbero state
riempite dagli oggetti di Claudio. Vedendolo arrivare, Francesco gli
andò
incontro.
«Tu
che ne pensi Duce, dobbiamo fidarci di Maurizio?»
«Duce?»
risposi sorpresa, guardando Filippo che, dal canto suo, sorrideva
divertito.
«Mio
fratello ha battezzato Emile col termine Duce perché
è il nostro esimio dittatore.»
Il sorriso di Filippo
si ampliò soddisfatto ed io rimasi inizialmente senza
parole, ma dopo poco mi
ritrovai a sorridere a mia volta,
trovando il soprannome decisamente indicativo del modo di
fare di Emile,
all’interno del gruppo.
Il
Duce in questione invece, stava rispondendo alla domanda di Francesco:
«Di
Maurizio mi fido poco, forse anche meno di Claudio, ma non posso
gettarlo fuori
dal gruppo solo perché non mi è
simpatico… Teniamolo d’occhio e facciamo
attenzione ai suoi movimenti, al primo errore è
fuori.»
Emile
aveva un tono deciso e sicuro, probabilmente rifletteva su
quell’argomento da
tempo, perché non aveva avuto la minima esitazione, nel
dichiarare che sarebbe
bastato un solo pretesto per mettere alla porta Maurizio. Del resto, i
chitarristi non mancavano in giro e comunque la
sua presenza non era di vitale importanza, come
lo era stata quella di Claudio in qualità di batterista:
Emile avrebbe potuto
sostituirlo senza problemi. Ciò che mi inquietava
però, era l’idea che potesse
tramare qualcosa alle spalle degli altri: se era davvero
così legato a Claudio,
come facevano ad essere così sicuri che non avrebbe creato
problemi?
I
ragazzi non si persero in ulteriori chiacchiere e in men che non si
dica,
smontarono la batteria di Claudio, rimasta in saletta per le audizioni
e la
impacchettarono bene e meglio per riportargliela, mentre Luca ripuliva
meticolosamente la postazione, sostituiva il tappeto con il suo e
montava con
estrema cura e precisione tutti i pezzi della sua Betsy .
«Allora,
quando si suona?» esordì, dopo aver provato il
suono di ogni singolo pezzo.
«Al
più presto, credimi! Purtroppo ora devo tornare a lavoro, ma
se ci siete, nel
fine settimana possiamo farci una bella suonata insieme.»
Emile era appoggiato
al tavolino: Luca non aveva voluto aiuti nel montare la batteria e i
ragazzi
erano rimasti a chiacchierare all’esterno della saletta, ma
il mio Pel di
Carota si era distratto varie volte per osservare il batterista al
lavoro e
ogni volta notavo nei suoi occhi, la stessa luce che gli avevo visto
mentre
pranzavamo. Sentivo la sua ansia di suonare come se la stessi provando
direttamente: nel momento in cui la nuova formazione dei GAUS si
sarebbe
riunita, Emile sarebbe rinato, per cui potevo immaginare quanto
dovessero
sembrargli lunghi quei giorni, che lo mantenevano a distanza dalla
musica.
«Duce,
perché non organizziamo anche qualche live? Così
ci sgranchiremo le ossa prima
di partire e presenteremo anche quell’orso di batterista che
ci ritroviamo
ora!»
La
luminosità dell’acciaio tornò a
riflettersi negli occhi di Emile, che con un
sorriso astuto rispose: «Ci stavo già
pensando… lo faremo di sicuro!»
*****
«Quindi
si sono riappacificati! Oh che bella notizia!»
Abbracciai
Rita in preda alla gioia e a un sollievo senza pari: due giorni dopo la
loro
gita al mare, la mia amica mi aveva chiamato perché voleva
stare un po’
con me, ma
soprattutto perché voleva
parlarmi, così era venuta a trovarmi una mattina, mentre ero
al centro.
Da
quando mi aveva aperto gli occhi sull’interesse di Sofi nei
confronti di
Lucien, non avevamo più avuto occasione di discutere
dell’argomento, né di
confrontare le relative opinioni alla luce dei fatti. Dopo il loro
litigio a
teatro, le cui ragioni restavano oscure ancora ad entrambe, quei due si
erano
riappacificati andando al mare insieme e a quella notizia il mio senso
di colpa
si dileguò all’istante, ma in compenso la
risolutezza di non impicciarmi più
nella vita privata di Sofia, rimase saldamente ancorata alla mia anima.
Non
avrei più scherzato col fuoco, per cui se Rita avesse avuto
altre idee, le
avrei detto chiaramente che me ne sarei tirata fuori.
Ma
a quanto sembrava, anche lei era del mio stesso parere: «Sofi
è un osso duro,
se c’intromettiamo troppo, rischiamo solo di peggiorare la
situazione… Non ho
mai fatto insinuazioni ma ogni volta che le ho chiesto cosa fosse
accaduto tra
lei e Lucien, si è chiusa a riccio su se stessa e so che
quando fa così, c’è
ben poco da fare. A questo punto mi limiterò ad osservarla
da lontano,
assicurandomi che sia più socievole possibile. Ultimamente
sta dando proprio il
peggio di sé e temo che crescendo s’inacidisca
sempre più, invece di trovare un
po’ di gioia nell’animo.»
«Io
stento a capirla, però se tu hai visto giusto ed io ne sono
stata molto
convinta, credo che in qualche modo quei due si
avvicineranno… se non
dov’essere così, vorrà dire che non era
Destino…. Ho rischiato di perderla e
non voglio più intromettermi, la vita privata delle persone
deve restare tale
finché loro non ti danno il consenso
d’immischiarti. Con Sofia non si può
giocare d’azzardo, o almeno io non posso, non abbiamo
abbastanza confidenza
perché lei mi perdoni, come fa con te.»
«Ma
dai Pasi, Sofi ti vuole bene.»
«Sì
lo so… ma sai anche che non è brava a dimostrarlo
e che è molto diffidente… Già
con te che la conosci da sempre a malapena riesce ad aprirsi,
figuriamoci con
me!»
«Sì,
è vero… infatti io e lei abbiamo fatto un patto
proprio a questo riguardo... e qui
entri in gioco anche tu!»
«No
Rita, non voglio più immisch...»
«Aspetta,
fammi finire… che ne dici di una bella settimana in montagna
da me? Ci saremo
tutti, sarà un’occasione per staccare dalla
routine e per trascorrere una
specie di vacanza lontano dal mondo. Saremo in totale contatto con la
natura e
ti assicuro che si sta davvero bene. Sofi mi ha promesso che
cercherà di
socializzare il più possibile con tutti questa settimana,
proprio perché è
sempre così restia a lasciarsi andare… magari ne
puoi approfittare per rafforzare
il tuo legame con lei… Ah, ovviamente è invitato
anche Emile…»
Rita
aveva uno sguardo carico di speranza
negli occhi e il Signore solo, sapeva quanto mi attirava
quell’idea e quanto
sarei stata felice di trascorrere una settimana attorniata dai miei
amici e in
compagnia persino del ragazzo che amavo… ma conoscevo Emile
e sapevo che non
avrebbe mai accettato di essere parte della comitiva.
Non
si sentiva ancora a suo agio con i miei amici e una settimana in mezzo
a loro,
sarebbe stata infernale per lui… senza contare la presenza
di Stefano… Inoltre
con gl’impegni alla bottega e alla casa discografica, per non
citare il
desiderio di suonare con la nuova formazione, anche volendo non avrebbe
avuto
un minuto libero. Era impensabile che accettasse di essere con
noi… e
automaticamente era impensabile che io lo lasciassi da solo in
città
andandomene in montagna, sapendo di sprecare un’intera
settimana a disposizione
per vederlo!
Guardai
Rita e il dispiacere per la risposta che stavo per darle mi contrasse
lo
stomaco, ma sapevo che nonostante Emile non avrebbe fatto alcun gesto
per
impedirmelo, se fossi andata con loro mi sarei dannata tutto il tempo,
per aver
sprecato giorni preziosi da dedicare a lui.
«Rita
non sai quanto mi piacerebbe…»
«Ma
non puoi.»
«Già…
vedi ho poco tempo per stare ancora con Emile prima che parta
e…» Eravamo
sedute sul piccolo sofà messo in un angolo nella mia stanza
e Rita poggiò una
mano sulla mia, stretta a pugno sul grembo, confortandomi.
«Lo
so Pasi, l’avevo già immaginato e sinceramente
già sapevo la tua risposta. Tuttavia
mi sembrava scorretto non tentare la sorte, chiedendoti personalmente
di essere
con noi.»
«Non
sai quanto mi dispiace! Io vorrei essere davvero con voi, non sto
prendendo
questa decisione alla leggera, sai bene quanto ci
tenga…» ero
un fiume in piena, speravo con tutto il
cuore che la mia amica non mostrasse risentimento verso di me e
soprattutto
verso Emile, come mi era sembrato che avesse fatto tempo addietro a
mare. «…è
una decisione mia, Emile non c’entra, anzi sicuramente si
arrabbierebbe con me
sapendo che rinuncio, ma…»
«Pasi,
calmati, ehi, stai tranquilla! Non ti sto incolpando, né lo
sto facendo con
Emile! Lo so che vuoi stare con lui perché a breve
partirà e dovrai convivere
con la sua assenza, lo capisco benissimo e non ti sto
giudicando.»
«Non
sei arrabbiata nemmeno con Emile?»
«Ma
no… perché dovrei esserlo?»
«Perché
quella volta al mare, hai appoggiato Sofia…»
chinai la testa triste.
«Ma
Pasi, quello è un altro discorso! Sì è
vero, ho appoggiato Sofi, ma perché
nemmeno io tollero quei comportamenti imbarazzanti in
pubblico… Non ho nessun
motivo per essere arrabbiata con Emile, non mi è piaciuto il
modo in cui si è
comportato, perché ha messo in imbarazzo te e Stefano che
siete miei amici, ma
non posso per questo criticarlo a priori. Il tuo ragazzo ha un
carattere difficile
e per certi versi somiglia molto a Sofi, per cui non posso che cercare
di
comprenderlo. Del resto non ha un passato facile alle spalle, da un
certo punto
di vista è naturale che abbia un modo enfatizzato di
esternare ciò che sente.
In generale si reagisce ai traumi sempre eccedendo, che si tratti di
totale
chiusura o di libero sfogo delle proprie emozioni.»
La
psicologa che era in lei era sempre pronta a fare un’analisi
delle persone che
aveva accanto: Rita non era ancora laureata e già era
vittima della
deformazione professionale!
La
sua analisi attenta dell’animo del mio Pel di Carota, ebbe un
effetto calmante
su di me: avevo temuto che i miei amici non lo vedessero di buon occhio
e
invece in quel momento miei dubbi iniziarono a svanire. Come speravo,
avevano
compreso il motivo che spingeva il mio Pel di Carota ad agire in quel
modo
eccesivo…o almeno la maggior parte di loro…
perché dubitavo che Sofi
comprendesse in pieno, nonostante fosse la persona che più
avrebbe dovuto
capire le ragioni di Emile.
Sollevata
da quella constatazione, tornai ad abbracciare la mia amica.
«Non
sai quanto mi faccia piacere, sentirti dire certe cose! Ho temuto che
Emile vi
fosse antipatico e non sapevo come gestire la situazione:
l’idea che ci fosse
dell’astio tra voi e lui mi immobilizzava, mi sentivo
spaccata in due…»
«Oh
Pasi, ma scherzi? Il tuo ragazzo non ha di certo un carattere facile,
ma mai mi
sognerei di metterti davanti ad una scelta! Del resto abbiamo anche noi
un
elemento complicato nel gruppo, saremmo degli ipocriti a non volere
Emile tra
noi, mentre perdoniamo a Sofi tutto ciò che dice.»
«È
vero… lei odia sentirselo dire, ma è molto simile
a lui e più gli sto a
contatto, maggiormente riesco a capire lei…
forse…»
A
Rita sfuggì una risata: «Sofi si comporta da
vecchia acida, ma poi teme di
essere considerata una bisbetica… come ti dicevo,
è un soggetto complicato.»
«Decisamente…»
«Spero
che Lucien riesca ad ammorbidirla.»
«Pensi
che ci riuscirà?»
«Chissà…
io lo spero.»
«Ehi…
c’è nessuno qui?» La voce di
Stè all’ingresso del centro ci distrasse dalla
nostra conversazione.
«Siamo
qui, Testa di Paglia!»
Appena
lo chiamai, quella pertica bionda fece capolino nella stanza e ci
rivolse il
suo solito sorriso solare:
«State
confabulando qualcosa, vero? Avete la tipica aria del complotto, sulla
faccia.»
«Stè,
ma per chi hai preso?! Stiamo solo chiacchierando amabilmente, come due
amiche
che non si vedono da un po’.»
«Appunto,
state confabulando… due donne sole sedute accanto non
possono fare altro.»
disse sorridendo, soddisfatto di sé.
«Ma
no Stefano, le stavo dicendo della settimana in montagna.»
«Ah!
Verrai con noi?» mi guardò son una piccola luce di
speranza.
Avevamo
già affrontato quel discorso, avevo già detto a
Testa di Paglia che quell’anno
non avrei trascorso le vacanze con loro, tuttavia vidi nei suoi occhi
la
speranza di avermi accanto come sempre in quella settimana di
svago… e sapere
di dover deludere anche le sue aspettative, mi fece sentire
incredibilmente in
colpa.
«No,
Stè… mi dispiace ma non ce la
faccio…»
«Ah…
Capito.»
«Ti
ricordi che te ne ho già parlato, vero? Emile a breve
andrà via e non riesco a
pensare di lasciarlo per una settimana, sapendo che in seguito non lo
vedrò per
mesi...»
«Sì,
lo so Testarossa, in fondo già sapevo la tua
risposta… Ma sai com’è, la speranza
è sempre l’ultima a morire.» mi rivolse
un sorriso conciliante, ma sapevo che dentro di sé
c’era rimasto male.
«Stè
davvero, io verrei con tutto il cuore… ma so che poi me ne
pentirei… Se potessi
dividermi lo farei!»
A
quel punto Rita si alzò dal divano…
«Vado a chiamare Fede, così chiacchierate
da soli.» …ed
uscì dalla stanza,
fermandosi a scambiare un’occhiata con Stefano, mentre
quest’ultimo si
avvicinava a me per accomodarsi sul bracciolo del sofà ed io
continuai la mia
arringa difensiva.
«Lo
so che mi sono ripromessa di non perdermi dietro la sua vita, di non
annullarmi, ma non ce la faccio ad allontanarmi da lui, sapendo che a
breve
sarà via da me per mesi…» Abbassai lo
sguardo colpevole e Stè mi circondò le
spalle con un braccio.
«Testarossa,
sembra che ti stia giustificando più con te stessa che con
me… Mi dispiace non
averti tra noi, ci saremmo divertiti molto di più con la tua
presenza… ma lo so
quanto sia importante per te stare accanto ad Emile… Del
resto non possiamo
fare sempre tutto insieme, non siamo più a
scuola…»
«Stè…
mi sto perdendo di nuovo?»
La
mia paura di annullarmi, stava tornando prepotentemente in quel
momento: mi
stavo comportando come mi ero ripromessa di non fare più,
eppure non riuscivo a
fare a meno di agire in quel modo… Ero davvero senza
speranza? E se fossi
caduta di nuovo nella vecchia abitudine di vivere in base agli impegni
del mio
ragazzo, finendo col perdere non solo me stessa, ma anche lui?
Alzai
il viso verso Testa di Paglia, preda della confusione.
«Ricordi
cosa ti ho detto, quando avevi paura di lasciarti andare a
ciò che provi per
Emile? Che ti avrei fatto notare quando avresti esagerato?» gli feci un cenno di
assenso «Allora, diciamo
che sei ancora nel limite e che puoi goderti questi giorni con il tuo
ragazzo,
ma sappi che ti tengo d’occhio!»
Sorrisi
al mio amico sollevata dalla sua risposta e, felice per aver ricevuto
la sua
comprensione, l’abbracciai: «Grazie Stè,
sei la mia salvezza!»
«Ti
aggiornerò se accadrà qualcosa
d’interessante, così saprai tutto come se fossi
con noi.»
«Sì!
Mi raccomando non perderti i particolari, voglio sapere
com’è il tempo, com’è la
casa, com’è l’atmosfera
…»
«…
e se Sofia combina qualcosa con Lucien» mi sorrise divertito:
allora anche lui
sapeva…
«In
che senso?» provai
a fare la vaga, non riuscivo
a credere che persino lui si fosse reso conto di qualcosa!
«Nel
senso che ho capito cosa cercavi di fare; sarò anche poco
attento, ma ti
conosco e ho fatto due più due, notando quanto impegno ci
metti nel lasciare quei
due sempre soli o vicini.»
Oddio…
ero davvero stata scoperta persino da Testa di Paglia, ero proprio una
pessima
Sherlock!
Chinai
la testa abbattuta: «Ci mettevo,
Stè…
Ora non voglio più intromettermi.»
«Addirittura?!
Cosa è riuscito a fermarti in questo modo?»
«Ho
rischiato di perdere l’amicizia di Sofi… e per
quanto possa essere difficile
comunicare con lei, io le voglio bene e non voglio perderla…
Impicciandomi
nella sua vita privata, non ho fatto altro che rischiare che mi
mettesse alla
porta.»
«Ma
non l’ha fatto, vero?»
«No…
ma c’è mancato poco.»
«Capisco…
beh, in effetti Sofia sa come bloccarti
l’iniziativa!» sorrise incoraggiante,
di quel sorriso che adoravo e che riusciva a ridarmi coraggio ed
energia.
L’abbracciai nuovamente, ringraziando il cielo per avermi
donato una persona
così speciale.
«Stè…
ti voglio bene.»
«Anch’io
te ne voglio Pasi… te ne vorrò sempre.»
Stretta
nel suo abbraccio confortante, ripromisi a me stessa che avrei trovato
un modo
per far convivere Emile e i miei amici: quell’anno era andata
così, ma non
volevo più essere costretta a scegliere, non volevo
più sentirmi spaccata in
due.
Fosse
stata una delle ultime cose che avrei fatto, avrei trovato un modo per
trascorrere il tempo libero insieme a tutte le persone più
importanti della mia
vita!
*****
«Ti
rendi conto che hai rinunciato alle vacanze, per stare qui con
me?»
Era
inutile, del tutto inutile cercare di nascondere le cose al mio Pel di
Carota…
Ma del resto quello era un segreto che non poteva rimanere tale a lungo.
Il
giorno stesso della partenza dei miei amici per la montagna, Lucien
aveva
chiamato Alberto (su sua personale imposizione) per avvisarlo di essere
arrivato sano e salvo e di conseguenza, suo padre ne aveva parlato ad
Emile… ed
io avevo perso la mia copertura ignobilmente!
Quando
arrivai a casa sua, la sera, mi accolse con un cipiglio serio che
prometteva
guai e capii all’istante che ci sarebbe stata una discussione
tra noi: non
trascorse nemmeno il tempo di entrare in casa che mi ritrovai in
salotto a
discutere! Ma non mi feci intimidire dal tono del mio Pel di Carota
che,
infuriato con me, non voleva sentire ragioni.
«Sì,
e non m’importa! Voglio stare con te Emile, voglio sfruttare
tutti i momenti
che abbiamo a disposizione prima che tu parta!»
«Ma
non sto mica per arruolarmi nella Legione Straniera!»
«Non
m’interessa Emile, non è importante dove andrai,
ma che non ci sarai… Per
questo voglio stare con te quanto posso!»
Ne
stavo facendo una dopo l’altra… Non facevo che
dimostrarmi una ragazzina
appiccicosa, eppure non riuscivo a smettere di comportarmi
così… e in quel
momento, nemmeno m’importava, perché nonostante mi
fosse dispiaciuto rinunciare
alla mia settimana di vacanza, ero felice di essere lì con
lui, per quanto
brevi potessero essere i nostri momenti insieme.
«E
poi non potevo prendere le ferie all’improvviso, senza
avvertire almeno
quindici giorni prima!»
«Questa
è una scusa, Pasi! Hai lavorato a Ferragosto, di sicuro
potevi chiedere una
settimana di riposo anche con poco preavviso.»
Sì,
forse aveva ragione, ma il
pensiero non
mi aveva nemmeno lontanamente sfiorato, per cui accantonai il discorso.
«Prenderò
le ferie quando ne avrò davvero bisogno, non era di vitale
importanza che
andassi con gli altri in montagna.»
«Non
era di vitale importanza che restassi qui! Pasi,
quest’attaccamento non va
bene… Non voglio che tu perda la tua vita, lo
sai… non devi dipendere da me.»
«Lo
so… e ti assicuro che riprenderò in mano la mia
vita mentre non ci sarai, ma
ora non ce la faccio a mettere distanza tra noi, sapendo che presto non
ci
sarai!»
«Ma
si tratta solo di qualche mese! Non starò via un
anno!»
«È
irrilevante che sia una settimana, un mese o dieci anni! Voglio stare
con te,
ora.» Emile mi guardava con espressione tesa e un
atteggiamento irrigidito che
mostrava palesemente la sua preoccupazione…
«E
quando tornerò? Manterrai la tua vita? Continuerai a
rispettare i tuoi
impegni?»
Mi
avvicinai a lui e gli presi le mani: «Certo che lo
farò, sarei davvero
miserabile se vivessi solo in funzione della tua vita e sarei davvero
arrabbiata con me stessa, se mi permettessi di scendere a quei
livelli.»
Era
vero, mi stavo concedendo quei capricci perché volevo stare
con lui a tutti i
costi, ma sapevo benissimo che una volta che Emile fosse andato via,
avrei
dovuto riprendere in mano la mia vita. Sarebbe stata una sconfitta
terribile
con me stessa se avessi ricominciato a perdermi dietro la vita del mio
ragazzo,
annullando completamente la mia e di sicuro nemmeno Emile avrebbe
tollerato un
comportamento simile… Per non parlare del fatto che non
avrei più tollerato di
separarmi in quel modo dai miei amici!
Osservando
il mio volto deciso, Emile sembrò rassegnarsi e
sospirò preoccupato: «Pasi, ti
prego… promettimelo, promettimi che non ti
perderai… Promettimi che resterai
fedele ai tuoi progetti.»
«Te
lo giuro Emile, sarò forte, resterò me stessa e
sarai fiero di me!»
In
tutta risposta si lasciò andare sul divano, poggiando la
testa su una mano
sconfortato.
«Hai
la capacità di togliermi dieci anni di vita in
preoccupazioni… Solo mia madre
riusciva ad eguagliarti!»
«Emile,
io non sono Claudine. Rilassati, non percorrerò la sua
stessa strada.»
«Non
lo stai dimostrando.»
«Oh,
al diavolo! La stai facendo davvero lunga, smettila di preoccuparti una
buona
volta e sii felice di avermi accanto! O devo iniziare a pensare che io
sia una
presenza inopportuna e scomoda?»
Mi
guardò con la sorpresa sul volto e rialzò la
schiena irrigidendosi: «Non
rigirare la frittata, Pasi! Lo sai benissimo che non è
quello il punto: credi
che non mi faccia piacere vederti? Non pensi che il fatto che dopo
tanti mesi, io
stia ancora insieme a te, significhi qualcosa? Qui non stiamo mettendo
in
discussione ciò che provo per te, ma il tuo attaccamento
morboso.»
«Ah,
io sarei morbosa ora, sarei morbosa!? Al diavolo Emile, non capisci un
accidenti! Lasciarti agire come ti pare e piace è essere
morbosi? Devi ancora
vedere le ragazze morbose, mio caro!»
Ero
davvero infuriata, quella frase non la meritavo affatto e non volevo
passare
per una specie di stalker, non dopo tutti quei mesi in cui avevo
pazientemente
atteso i suoi orari, proprio io che di pazienza ne avevo ben poca!
«Ho
cercato in tutti i modi di venirti incontro senza pressarti, non si
contano
nemmeno le volte in cui ti sei negato ed io non ho mai fatto storie,
perché
sapevo quanto fosse importante la musica per te!» Mi
avvicinai di un passo con
i pugni chiusi dalla rabbia, mentre Emile similarmente a me stringeva
con una
mano il cuscino sul divano. «Se
cerco la
tua compagnia prima di dovermi separare da te per mesi, non
è perché sono
morbosa, sto solo chiedendo di stare accanto al mio ragazzo
più che posso, per
sopportare meglio la distanza, sto solo cercando un po’ di
attenzione, stupido
egoista che non sei altro!»
«Ora
sono anche egoista?! Mi sto preoccupando per te e sarei egoista?! Sto
andando
persino contro i miei stessi interessi, visto che hai preferito me alla
compagnia di Stefano ed io sarei egoista?!»
«Sì,
se io sono morbosa, tu sei egoista! Egoista e vigliacco!»
Si
sa che quando si è infuriati, si dicono cose che non si
vogliono dire ed io ne
dissi una di troppo: appena sentì il termine
“vigliacco”, Emile si alzò di
colpo, mantenendo salda la presa sul cuscino e mi guardò con
una furia negli
occhi che mi fece paura per qualche istante, per cui ripresi a parlare
immediatamente, prima che il discorso degenerasse.
«Sei
vigliacco perché non riesci ad affrontare le tue paure,
Emile! Perché hai
talmente terrore di amare, che non ti rendi nemmeno conto di aver messo
su una tragedia
per un’inezia! Io non sono Claudine, non sto rinunciando ad
una carriera, non
sto perdendo me stessa e le mie aspirazioni, non è per una
settimana persa che
la mia vita andrà a rotoli… Non hai alcuna
fiducia in me.»
Strinse
maggiormente il cuscino nel pugno, per poi scagliarlo a terra dietro di
sé e
allontanarsi: avevo colpito nel segno, sapeva quanto me che avevo
ragione e da
stupido testardo ed orgoglioso qual era, aveva bisogno di rifletterci
su come
sempre, prima di accettare la verità che gli era stata
mostrata senza veli.
Sospirai sfinita da quella discussione e nell’attesa che quel
testone
ragionasse un po’, tornai nell’ingresso per stare
con Claudine.
Alberto
aveva finito il suo dipinto e per completare al meglio il suo tributo
alla
donna che amava, l’aveva appeso all’ingresso, sulla
parete confinante con
quella del salotto, quasi a voler indicare che quella era zona
“consacrata” a
Claudine, dato che la stanza da cui ero appena uscita, era
più di tutte
dedicata alla madre di Emile.
Il
dipinto era stato incassato in una cornice di legno, elegante ma
semplice
proprio come lei e il legno scuro faceva risaltare i colori chiari e
vitali del
dipinto, come se Claudine potesse uscire da un momento
all’altro da quella teca
in cui era stata inserita.
Mi
piaceva osservarla in quel ritratto: non avevo mai visto quella donna
solare e
sorridente e mi mancava più che mai. Mi sarebbe piaciuto
tantissimo poterle
parlare, poter sentire i suoi aneddoti di quando viveva in Francia,
della sua
carriera… ero sicura che avrei adorato il modo in cui mi
avrebbe parlato di
Alberto e di Emile.
Mi
lasciai cadere a terra e incrociai le gambe, per poter essere
più comoda mentre
comunicavo con Claudine e continuai ad osservare quel volto sereno e
felice.
«Perché
il tuo amore gli ha insegnato solo ad aver paura di un sentimento
simile?
Perché non vede quanto ti ha fatto felice?»
Mi
ritrovai a rivolgerle quelle parole senza nemmeno accorgermene: ero
stata la
prima a vedere solo gli aspetti negativi della scelta di Claudine,
eppure in
quel momento mi resi conto che lei era stata felice. Se Alberto
l’aveva dipinta
in quel modo, era perché aveva visto il sorriso negli occhi
e nell’anima di sua
moglie quando erano insieme, il loro amore le aveva dato
gioia…
Ciò
che era capitato successivamente era stata una tragica conseguenza di
molti
fattori, ma non poteva essere imputabile solo all’amore.
Perché Emile non si
rendeva conto che amare dona una felicità al di sopra di
qualsiasi altra?
Perché
non si lasciava andare a ciò che sentiva, senza dover per
questo, aver sempre
paura di perdersi? Aveva fatto grandi passi verso di me, verso di noi,
aveva
dimostrato più volte di amarmi, era stato persino costretto
a scegliere tra me
e la musica e non mi aveva nemmeno lontanamente messo a
distanza…
Sapevo
benissimo che mi amava: nonostante l’avessi accusato di non
volermi accanto a
sé, sapevo che ciò che sentiva per me era
profondo e sincero, però a volte
sapere non basta, a volte si ha un bisogno spasmodico di certezze e in
quel
periodo avevo bisogno di lui, avevo bisogno di sentirlo accanto, avevo
bisogno
che si lasciasse andare a ciò che provava per me.
Cosa
c’era di male nel dimostrare di amare la persona che si ha
accanto?
Perché
questa lezione non l’aveva appresa da sua madre?
Emile
era vissuto circondato dall’amore eppure aveva finito solo
con il temerlo, era
riuscito a vedere solo le conseguenze negative... Perché
doveva farsi dominare
così tanto dalle sue paure?
Una
volta Rita mi disse, che il modo in cui reagiamo agli eventi della vita
e ciò
in cui crediamo, spesso sono il frutto dell’ambiente in cui
siamo cresciuti e
delle convinzioni che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Eppure sono
convinta che ci sia altro, perché altrimenti io sarei dovuta
diventare una
persona fredda e ipocrita come i miei genitori, mentre Emile si sarebbe
aperto
totalmente ai sentimenti che provava, senza farsi remore di alcuna
sorta. Di
sicuro i genitori lasciano un’impronta in noi, che si
rivelerà di basilare
importanza durante l’arco della nostra vita, ma il modo in
cui reagiamo agli
eventi e le nostre convinzioni sono dettate anche dai caratteri
personali: se
la famiglia di Emile fosse stata la mia, sono sicura che sarei rimasta
la
stessa, con la sola differenza che mi sarei sentita molto
più amata; ma di
sicuro il mio carattere non sarebbe cambiato, perché da
quando avevo conosciuto
Alberto, tutto ciò che ero e ciò in cui credevo,
si era solo rafforzato.
Persa
in quelle riflessioni, mi ritrovai a sorridere al pensiero che io e il
mio Pel
di Carota fossimo stati scambiati nella culla! Il Destino ha uno strano
modo di
divertirsi a nostre spese: ci dona genitori che sono il nostro esatto
opposto,
con cui litigheremo per tutto l’arco della nostra vita, ci
regala figli su cui
gettiamo tutte le nostre aspettative di rivalsa verso una vita che non
ci ha
sorriso, solo per scoprire che la nostra progenie non ha alcuna
intenzione di
ricalcare le nostre orme, con conseguente delusione di
entrambi… E a noi tocca
districarci in mezzo a tutto questo caos di aspettative e delusioni!
Ero
ancora persa nelle mie riflessioni, quando mi accorsi della presenza di
Emile,
che si stava accucciando a terra accanto a me. Restai in attesa, senza
girarmi
in sua direzione e dopo qualche secondo in cui raccolse i pensieri,
prese a parlare
con un tono di voce calmo e diretto.
«Tu
non sai nemmeno quanto sei parte di me… non lo puoi sapere,
ed io non ho
nemmeno la capacità di fartelo comprendere… ma
non pensare mai, nemmeno per un
secondo che non ti voglia accanto.»
«Emile…»
«Aspetta,
fammi finire.»
«Ok.»
«Detto
questo, è chiaro che ci sono momenti nella vita di entrambi
in cui non potremo
essere presenti e questo discorso l’abbiamo già
affrontato, ricordi?»
«Sì.»
«Bene…»
tirò un sospiro prima di aggiungere altro. «Hai
ragione, ho paura… Questo lo
sai perché te l’ho detto sin dall’inizio
e credo che ci vorrà ancora un po’,
prima che questa paura svanisca del tutto… ed è
vero che ti metto sempre in
disparte…»
«Ma?»
sapevo che c’era un ma da
qualche
parte, in attesa di spuntare e mi girai in sua direzione.
«Niente
“ma”, hai ragione… ed io sto cercando di
non farmi prendere dalle mie paure… Ma
non è sempre facile»
«Il
ma, c’era.»
dissi secca e lo vidi
sorridere.
«Scusami…
non voglio farmi dominare dalla paura, ma ho bisogno di un appiglio per
essere
sicuro che le cose
tra noi andranno
bene.»
«Andranno
bene. Perché lo vogliamo, perché faremo in modo
che sia così.»
«Ma…»
E menomale che non c’erano ma!
Prima
che potesse continuare a farsi avviluppare dai dubbi, lo presi per mano
e
continuai decisa, indicandogli il quadro:
«Emile,
guarda tua madre in quel dipinto: vedi com’è
felice? Vedi quanta gioia traspare
nei suoi occhi?» si girò a guardare il ritratto di
Claudine e mi fece un cenno
di assenso. «Pensa a goderti quella felicità,
pensa a provare quella stessa
gioia… e abbi fiducia in me… abbi fiducia in
noi.»
Mi
resi conto che quelle parole erano dirette anche a me,
perché io stessa ero
stata preda della paura qualche giorno prima… Eravamo ancora
al punto di partenza
allora? Eravamo ancora fermi al nostro primo litigio da quando eravamo
diventati una coppia?
No,
il mio cuore sapeva che il nostro rapporto era cresciuto e si era
rafforzato:
quelle paure erano irrazionali, non tenevano conto dei progressi fatti
e
proprio per quel motivo, dovevo mettere un freno ai nostri dubbi, che
ancora
una volta, ci avevano allontanato.
Strinsi
le mie mani su quelle di Emile, fissandolo negli occhi con sicurezza:
tenne
testa al mio sguardo e sfoderò un sorriso dolce e sincero,
prima di darmi un
bacio sulla fronte e prima che potesse dire altro, sentimmo la porta di
casa
aprirsi, per poi vedere comparire Alberto.
Il
padre di Emile com’era suo solito, non si scompose davanti
alla vista di noi
due seduti a terra davanti al quadro.
«Riunione
di famiglia? Perché non sono stato invitato?»
Sorridendo
gli risposi: «Ti stavamo aspettando.»
«In
questo caso allora, non vi farò attendere ancora.»
in poche falcate ci
raggiunse, diede una scrollata ai ricci di Emile e si
accomodò accanto a me,
dandomi un affettuoso bacio sulla guancia.
«Allora,
qual è l’oggetto in esame?»
«Alberto,
com’era la risata di Claudine?»
«La
risata? Intendi il sorriso?»
«No,
no, intendo proprio la risata: che suono aveva? Le illuminava il viso?
La
rendeva diversa? Cose del genere, insomma.»
Il
padre di Emile restò ad osservarmi per qualche istante
raccogliendo i pensieri
e poi tornò a voltarsi verso il quadro, riandando con la
memoria ai tempi in
cui Claudine rideva con lui.
«Era
una risata cristallina e leggera… Tutto era leggero e soave
in lei: persino
quando inciampava, lo faceva con eleganza e
leggiadria…»
Sentii
un verso provenire da Emile e quando mi voltai verso di lui, lo vidi
con il
capo chino e un lieve sorriso sul volto: probabilmente conosceva a
menadito
queste descrizioni… o magari era riuscito a sentire anche
lui quella risata e
la stava ricordando insieme a suo padre.
«…
anche gli occhi s’illuminavano e sembrava persino prendere
colore! Claudine
sorrideva spesso, ma il suo era un sorriso malinconico…
Quando rideva di gusto
invece, era davvero felice e osservarla mentre prendeva vita e si
scrollava di
dosso la sua malinconia mi rasserenava: era lo spettacolo
più bello a cui abbia
mai assistito.»
Gli
occhi di Alberto si fecero lucidi e se non riuscii a comprendere
pienamente la
portata delle sue emozioni, capii con certezza le sue parole: pochi
giorni
prima, sentire ridere Emile mi aveva fatto provare le sue stesse
sensazioni.
Appoggiai
la testa sulla sua spalla, in cerca di un conforto da condividere.
«Mi
sarebbe piaciuto sentirla ridere…»
«Puoi
sempre immaginarla.» alzai la testa in direzione di Emile,
che aveva appena
parlato: anche lui osservava il quadro che ritraeva sua madre.
«Osserva il suo
viso sorridente e immaginala mentre parla, mentre ride, mentre
scherza… con
l’immaginazione puoi vederla in qualsiasi
situazione.»
Era
così che aveva fatto anche lui? Per quel motivo teneva con
sé quella foto di
loro tre felici? Per poter immaginare sua madre in tutte le situazioni
in cui
lui aveva desiderato vederla?
Gli
sorrisi, nonostante non avesse staccato il viso dal quadro…
«Hai ragione, lo
farò di sicuro!» … e mi voltai
anch’io verso Claudine sorridente:
«Era
proprio bella.»
A
quell’esclamazione, fecero eco in coro, i due uomini che
più di ogni altro
avevano amato quella donna:
«Era
bellissima.»
---------------------------------------
*Il piatto China è un piatto
fondamentale per i suoi effetti (nelle batteria metal e hard rock non
manca mai), utilizzato in una batteria o in un set di
percussioni.
Questo strumento a percussione è cosi chiamato per la sua
particolare forma somigliante al tipico copricapo a falde larghe dei
contadini cinesi. (Wikipedia)
** Per chi non la
ricorda ecco "La
Vecchia
Betsy"
***Morrigan
(antico irlandese Mórrígan o
Mórrígu, medio irlandese anche
Mórríghan irlandese classico
Móirríoghan), è una
divinità della mitologia celtica.
Dea della guerra, della
sessualità e della violenza, ama seminare l'odio e
combattere in mezzo agli uomini assumendo a volte aspetti terrificanti.
Molto più spesso compare in forma di corvo, essendo questo
l'animale che si nutre dei cadaveri di coloro che sono morti in guerra. (Wikipedia)
______________________________________________________________________
NDA
Sì, ce l'ho
fatta, HO AGGIORNATOOOO!!! *me esulta come se avesse vinto il terno al
Lotto*
Non ho nemmeno parole
per scusarmi con voi, per il ritardo MOSTRUOSO con cui sto pubblicando
questo capitolo: bastava che attendessi un'altra settimana e sarebbero
trascorsi DUE MESI dall'ultimo aggiornamento... Sono proprio
imperdonabile!!!! *me si fustiga recitando l'Atto di Dolore*
Spero che siate comunque
pietose e caritatevoli con questa povera autrice che si trova a vivere
un periodo oscuro per quanto riguarda l'ispirazione, che purtroppo
è più capricciosa e ballerina che mai.
Soprattutto spero di non aver perso colpi con questo capitolo e che vi
sia piaciuto come i precedenti, vista la mole di tempo che vi ho fatto
attendere per leggerlo.
Come vi è
sembrato Luca? In effetti non gli ho dato molto spazio e devo anche
ammettere che il suo carattere è ancora in fase embrionale,
però credo che le linee guida ci siano tutte, di sicuro non
sarà un tipo ordinario...
Questo capitolo mi ha
fatto sudare parecchio, perché se la prima parte mi
è venuta in un getto d'ispirazione spontanea e mi ha reso
soddisfatta, l'ultima parte mi ha lasciato un pò titubante,
come da qualche mese a questa parte, per cui ora sono ancora
più in ansia di sapere come è sembrato il tutto a
voi che leggete; non sapete quanto i
vostri commenti mi aiutino a darmi energia per andare avanti in questo
periodo oscuro. ç_ç
Angolo dei
Ringraziamenti
Cosa posso dire se non
un GRAZIE immenso quanto l'universo, perché siete qui, mi
seguite e mi sostenete, nonostante la dura attesa?
Vi ringrazio tutte,
dalla prima all'ultima per il vostro sostegno continuo e
incondizionato:
Fiorella
Runco, la mia amata Beta, che
ogni volta è pronta a sostenermi e a darmi della "genia"
quando sento tutte le mie certezze crollare... Grazie tesoro mio, Pasi
ed Emile ti dovranno sempre tantissimo <3
Vale & Niky, due del trio di Marte
sempre pronte a recensire fulmineamente: adoro le vostre recensioni,
adoro il modo in cui mi sostenete e adoro la follia della recensitrice
folle dai molti nomi, che oltre a sostenermi, mi fa morire dal ridere
ogni volta. Love Love immenso a voi, mie sorelle Marziane <3
Saretta, uno dei pilastri che
mi sostengono sin da sempre, una delle mie sorelle sempre pronta a
darmi fiducia ma, soprattutto, talmente innamorata di questa storia al
punto da commuovermi. Non potrei chiedere una lettrice migliore di te
mon trésor, grazie davvero tantissimo, per tutto quello che
fai
<3
Concy, la terza
Echelon, nonché sorella granchiosa, che nonostante le ore
contate e gl'impegni impossibili, riesce sempre a recensire i capitoli
e a coinvolgersi nella lettura. È sempre un grande piacere
ricevere la
sua recensione, perché tra granchi ci si capicsce bene, vero
sister? :D Grazie grazie grazie tantissimo :*
Cicci, ovvero mia moglie, che
si sente stranamente più legata ad Emile che a Pasi
(sarà l'effetto frontman, moglie?) e che come me, sta
attraversando un periodo oscuro, sempre perché i granchi si
comprendono in pieno e perché noi due andiamo in coppia come
i Carabinieri, vero Cicci? :D Arigatou Ciccina mia <3
Ana-chan ed Ely, le mie
sister in pausa, che mi sostengono a priori. Grazie tesore
mie, siete un amore <3
Dreamer_on_earth,
che nonostante millemila impegni, riesce sempre a ritagliarsi un
pò di tempo per seguire questa storia e appassionarsi in un
modo tale da farmi sentire sempre orgogliosa di ciò che
scrivo. Grazie, grazie davvero!
ThePoisonofPrimula,
anche lei sorella di Giappo-scleri, soprattutto di USUI-Giappo-scleri:
insieme alla mia Beta siamo sempre in attesa che che il Pervertito di
un Alieno ci faccia fare gli occhi a cuoricino con una delle sue azioni
sconsiderate e imprevedibili. Oh Usui! <3 Finalmente
ce l'ho fatta a pubblicare Primulina!!! Arigatou perché ci
sei <3
Kira1983, la mia adorata admin, nonché collega
di editing, nonché socia di ricerche impossibili
per Giappo-siti (ancora sto danzando felice per quelle Cels!!! *_*),
nonché collega di scritture, che non manca mai di sostenermi
con il suo affetto per questa storia. Grazie davvero di cuore <3
Inoltre
un grandissimo GRAZIE va a Sheylen,
mia omonima, con cui non solo
condivido il nome, ma persino l'amore per il fantasy, per i manga e per
il mondo magico dei Celti (a proposito, se vi piace il mondo delle
Sacerdotesse dedite al culto della Dea Madre, così come le
ha descritte Marion Zimmer Bradley, non perdete la sua storia " Figlia
di
una Strega", in cui il culto Celtico e quello
Cattolico si
scontrano proprio come ne "Le Nebbie di Avalon"). Con santa pazienza e
grande trasporto, la mia omonima sta leggendo questa storia recensendo
ogni capitolo, dedicandole quel poco di tempo libero che ha e non so
nemmeno quanto ringraziarla per questo gesto così carino.
Grazie, grazie, grazie davvero!!! <3
E grazie davvero a tutte
voi, che silenziosamente seguite da mesi questa storia e a voi che
l'avete inserita tra le preferite, le
ricordate e le seguite:
demigirlfun, gigif_95, Heaven_Tonight, kiki0882, minelli69, samyoliveri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
firstlost_nowfound,
incubus life, princy_94, Ami_chan,
Camelia Jay, cara_meLLo,
costanzamalatesta, cris325, Deademia, epril68, georgie71, IriSRock, iuliarose, Kira16, LAURA VSR, matt1, myllyje, nicksmuffin,
Origin753,
petusina,
piccolina_1994,
Queensol, sel4ever, smile_D, Strega Mangia
Frutta,
Veronica91,
_anda Grazie
grazie e sempre più grazie!!
ARIGATOU GOZAIMASUUUUUU!!!!
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Capitolo 32 *** Capitolo 32 ***
Capitolo 32
«Pronto?»
«Pasi
sono Iulia.»
«Ciao!
Come stai Iulia? Che bello sentirti!»
Erano
trascorsi due giorni dall’inizio di quella settimana in cui i
miei amici più
cari, sarebbero stati lontani da me per le vacanze. Si trattava di poco
tempo,
eppure sentivo già tremendamente la loro mancanza: era
difficile che non
vedessi almeno uno di loro nell’arco della giornata e
trascorrere quarantotto
ore senza aver parlato almeno con Rita oppure con Stè,
iniziava a mandarmi nel
panico. Sapevo quanto fossero importanti per me, ma me ne resi conto
maggiormente in quei giorni, in cui non erano disponibili…
Persino Sofi mi
mancava tantissimo! L’unico ancora nei paraggi era Fede, ma
era immerso nel
lavoro e nello studio e anche al centro ultimamente non si faceva
vedere… La
telefonata di Iulia fu quindi come una fonte d’acqua nel
deserto, mi risollevò
e mi diede l’opportunità di parlare con una
persona amica.
«Sto
bene grazie!»
«Ma
questo non è il tuo numero, vero?»
«No
questo è il numero di mia sorella, le sto scroccando una
telefonata perché non
ho un centesimo nella mia scheda.»
«Ah,
capito.»
«Devono
servire pure a qualcosa le sorelle, non credi?»
A
quell’affermazione sorrisi malinconica: anche io in alcune
occasioni, avevo
tentato maldestramente di “prendere in prestito” il
cellulare di Simona quando
ero a corto di credito, ma mia sorella era sempre stata attenta a
riporre il
suo telefono lontano da occhi (e mani) indiscreti, col risultato che
mai una
volta ero riuscita ad usarlo e puntualmente reagivo pensando a quanto
Simo
fosse fastidiosa ed inutile…
«Pasi,
ci sei ancora?»
«Sì,
sì, eccomi.»
«È
tutto ok? Ho detto qualcosa che non va?»
Iulia
non sapeva di mia sorella e non aveva la minima idea di quanto la sua
battuta
mi avesse procurato una fitta al cuore, ma del resto come avrebbe
potuto? Non
era certo un argomento di cui parlavo facilmente e non volevo nemmeno
intristire le persone con un discorso del genere, per cui anche in
quell’occasione evitai di tirarlo in ballo e tergiversai.
«No,
no, vai tranquilla è tutto ok, davvero.»
«Uhm…
ok… ma se per caso avessi bisogno di parlare, conta su di
me.»
«Ok,
grazie.»
«…»
«Iulia…»
«Sì?»
«Per
quale motivo mi hai chiamato?»
«Ah
sì, che stupida! Stavolta ero io in sovrappensiero, sono
proprio da ricovero!»
la sentii ridere allegramente e sorrisi di quel suo modo
d’essere così semplice
e gioviale, che mi ricordava molto Testa di Paglia.
«Allora,
in pratica ieri parlavo con Franz e mi ha detto che hai conosciuto
anche tu
Luca.»
«Sì,
è vero.»
«Bene,
dato che in pratica ora ci conosciamo tutti, che ne pensi se uscissimo
insieme,
una sera?»
«Tutti…
cioè tutta la band, più me e te?»
«Esatto!
Io, Franz e Fil conosciamo bene Luca e visto che per noi sarebbe una
normale
uscita tra amici, ho pensato d’includere anche te ed
Emile.»
«E…
Maurizio?»
«Sì,
se vorrà unirsi a noi, anche lui sarà il
benvenuto. Sai è un po’ musone e
silenzioso quel ragazzo e a volte dimentico persino la sua
esistenza!»
Iulia
aveva ragione: Maurizio era sempre molto silenzioso, difficilmente
esponeva i
suoi pareri… questa constatazione, non fece che preoccuparmi
maggiormente, alla
luce dei discorsi fatti dai ragazzi nei suoi riguardi, qualche giorno
prima. Ma
tenni quella considerazione per me: Emile sembrava sicuro di
sé e non volevo creare
un caso dove non c’era… Anche se sentivo di
volerne discutere con lui: mi ero
ripromessa di non tacere più i miei dubbi e non
l’avrei fatto nemmeno in questo
caso, anzi soprattutto in quest’occasione, alla luce dei
trascorsi tra me e
Claudio.
«Mi
sembra un’ottima idea! Ma perché lo stai dicendo a
me e non ad Emile?»
«Perché
ho bisogno di te per mettere in pratica la mia
idea…»
«Ok,
spara!»
*****
Sentire
Iulia, mi aveva risollevato un po’ da quella sensazione di
vuoto che provavo
per l’assenza dei miei amici, ma il mio gruppo non era
così facilmente
sostituibile, non è facile rinunciare alla presenza di
persone che ti conoscono
da anni e che sanno ogni piccolo particolare di te.
Per
cui, quando riuscii a ritagliarmi il tempo libero per andare al centro,
fui
così felice di vedere che Fede fosse presente, che appena entrai nel suo
studio, l’abbracciai
di slancio.
«Ehi,
non credevo di mancarti così tanto!»
scherzò il mio amico, sorpreso dal mio
gesto.
«Mi
sento persa, Fede! Mi mancano gli altri e anche tu domani andrai
via…» Dato che
doveva lavorare, avrebbe raggiunto il resto del gruppo solo nel
week-end, per
trascorrere quegli ultimi due giorni di vacanza insieme agli altri.
«Pasi
ma sono solo pochi giorni!»
«Lo
so, ma senza di voi mi manca la terra su cui camminare.» mi
accoccolai sulla
sedia, portando le ginocchia al petto, per cercare un po’ di
conforto. Fede
dovette comprendere il mio senso di solitudine e sorrise benevolo:
«Prendiamo
un gelato e parliamo un po’?»
Come
al solito, il modo di fare del mio amico, riuscì a calmarmi:
gelato alla mano e
una buona dose di chiacchiere, fecero sì che la mia ansia da
lontananza
svanisse del tutto, sostituita dal solito calore familiare che provavo
in
compagnia dei miei amici. Tornai a sentirmi talmente a mio agio, che
osai fare
a Fede alcune domande personali che giravano nella mia testa da un
po’ di
giorni:
«Da
quanto tempo non torni in quella casa in montagna?»
Ai
tempi in cui lui e Rita erano una coppia di adolescenti, spesso era
stato
ospite della famiglia della sua ragazza. I genitori di Rita, non
potendole dare
una sorella o un fratello, non le avevano mai negato la compagnia di un
amico/a
e persino del suo ragazzo (dettaglio che invece lasciava sempre
inorriditi i
miei conservatori e arretrati genitori).
Fede
sembrò riflettere su quella domanda per un po’,
prima di rispondere:
«Credo
che siano trascorsi almeno quattro anni.» Aveva
un’aria concentrata nel
ricordare, chissà che effetto gli avrebbe fatto, tornare in
quel luogo pieno di
momenti vissuti insieme.
«Io
sarei emozionatissima al tuo posto, al pensiero di rivedere un luogo
carico di
ricordi… e poi mi chiederei di continuo se qualcosa sia
cambiato, se la casa
abbia subito ristrutturazioni o un nuovo arredamento, se le strade
siano ancora
uguali… E di sicuro tu e Rita avrete dei luoghi tutti
vostri, in cui avrete
vissuto momenti speciali… Magari anche un albero su cui
avrete inciso le vostre
iniziali!»
Iniziai
ad immaginare scene da films romantici in cui i miei amici appena
adolescenti,
scoprivano il potere di quel sentimento nuovo che stavano provando per
la prima
volta e che li avrebbe uniti per sempre… Dovevo avere gli
occhi sognanti,
perché Fede mi guardò con aria divertita:
«Dovresti
fare la scrittrice di romanzi rosa, sai? La
mia vita non mi è mai apparsa tanto romantica
finché non l’hai descritta
tu!» Fece un sorriso prima di rispondere alla mia domanda,
mantenendo
un’espressione serena.
«Di
sicuro mi farà uno strano effetto: il ragazzino che ero
quando ho messo piede
in quel luogo per la prima volta, è diverso da
ciò che sono ora, stesso il mio
rapporto con Rita è diverso e anche la compagnia
sarà diversa. Tuttavia quel
luogo, almeno per ora, mi parla del passato, racconta un pezzo di vita
che ho
vissuto con lei… Forse rivederlo, mi farà proprio
lo stesso effetto dell’essere
tornato insieme a Margherita: quello
di
giungere in un luogo che conosci, ma che ha subito cambiamenti capaci
di
sorprenderti.»
Le
parole di Fede, iniziarono a solleticare la mia curiosità e
a smuovere
maggiormente il mio animo romantico. La sua storia con Rita la
conoscevo per
ciò che mi aveva raccontato la mia amica e sapevo il modo in
cui lei l’aveva
vissuta; Federico invece, essendo una persona riservata, non ne aveva
mai fatto
parola e non era nemmeno un tipo abituato a manifestare i suoi
sentimenti.
Quelle parole quindi, furono le prime che sentii riguardo a
ciò che provava per
la mia amica e mi venne spontaneo fargli altre domande in proposito:
«Cosa
ti ha spinto a tornare insieme a Rita?» Fede non
sembrò seccato dalle mie
domande, anzi avrei potuto dire dalle espressioni del suo viso, che
fosse
sereno e lieto di parlare di quell’argomento.
«Quando
mi sono reso conto di provare ancora qualcosa per lei, ho iniziato a
dirmi che
stavo solo rivivendo il passato e che forse, avevamo esagerato nel
cercare di
essere amici, dopo ciò che c’era stato tra di noi.
Ma poi ho iniziato ad
ammirare i nuovi aspetti di Rita: quella sua calma sicurezza, la
capacità di
organizzare la sua vita senza risentirne in stress e la voglia di
dimostrare a
se stessa di avere la capacità di crearsi una propria
indipendenza. Quando
eravamo adolescenti, tendeva a fare i tipici capricci da figlia unica:
non era
indisponente, né con me, né tantomeno con i
genitori, ma non riusciva ad
accettare un “no” facilmente e cercava di ottenere
quello che voleva attraverso
qualche moina…
All’inizio
trovavo questi gesti carini, ma a lungo andare iniziarono ad
infastidirmi,
soprattutto perché nacque dentro di me, una forte rabbia nei
suoi confronti.
Essendo di famiglia benestante, Rita aveva il mondo ai suoi piedi,
mentre io
dovevo sudare e contrattare con i miei genitori anche solo per un paio
di scarpe
e quelle sue lamentele, a causa del rifiuto della madre di comprarle
l’ennesimo
abito firmato o la trousse più costosa in voga al momento,
mi sembravano così
infantili, così inutili e poco riguardosi, nei rispetti di
chi non aveva la
possibilità nemmeno di avere un abito di medio
prezzo.»
Federico
fece una pausa, ma restò concentrato nel passato: aveva lo
sguardo focalizzato
su un punto lontano nella stanza, totalmente assorto dai ricordi che
stava
riportando a galla.
«Poco
prima che ci lasciassimo, litigammo furiosamente e quella volta le
gridai in
faccia tutta la mia rabbia. Le dissi di crescere, di non lamentarsi
più per un
abito che la madre non le comprava, che al mondo c’era gente
che moriva di fame
e che con i soldi di quell’abito avrebbe sfamato la propria
famiglia per mesi…
Le dissi anche che non volevo accanto qualcuno incapace di cavarsela da
solo…»
«Quindi
tu credi che Rita abbia deciso di vivere per conto proprio, per
dimostrarti
qualcosa?»
«Non
lo so, Pasi… l’ultimo anno delle superiori, lo
trascorremmo ignorandoci e persi
ogni contatto con lei. Quando ci siamo ritrovati era al secondo anno di
università e viveva già da sola… Non
so se la sua scelta sia dipesa dalle mie
parole o sia stata una sua precisa volontà. Sta di fatto che
vederla così
cambiata e maturata, contando il fatto che fossi cambiato
anch’io, ha riacceso
il mio interesse nei suoi confronti e alla fine, non abbiamo potuto
evitare di
affrontare il fatto che ci amassimo ancora.»
«E
avete fatto bene! Il vero amore non conosce ostacoli, voi due siete
legati dal
Filo Rosso del Destino, non potreste mai separavi!»
Ero
talmente entusiasmata da quel racconto, che mi allungai verso Fede,
poggiando
le mani sulle sue ginocchia. Il mio amico a sua volta sorrise
tranquillo:
«Credo
che tu abbia ragione. Nonostante abbia provato ad allontanare Rita
dalla mia
vita, è tornata ad invaderla più prepotentemente
di prima. Anche volendo, non
credo che potrei mai staccarmi del tutto da lei.»
«Sono
così felice quando sento queste cose! Fede devi
assolutamente divertirti durante
questi due giorni di vacanza: goditi il ritorno in quella casa,
mantieniti
appiccicato a Rita e fai l’amore con lei ovunque! Riempite
quella casa di nuovi
ricordi!»
Fede
si fece una bella risata davanti al mio entusiasmo:
«D’accordo
Cupido, premettendo che non saremo soli, cercherò di godermi
questi due giorni
al meglio.»
«Esatto!
Dimostrate a Sofi che si sbaglia, che il Filo del Destino esiste e che
voi due
starete sempre insieme.» Appena terminai quella frase
però, feci un sospiro,
perdendo d’improvviso il mio entusiasmo:
«Come
vorrei essere lì con voi… e come vorrei poter
fare una mini vacanza anch’io,
insieme ad Emile!»
Fede
si avvicinò a me e mi diede un buffetto sul ginocchio:
«Arriverà
il momento propizio anche per voi, sono sicuro che l’anno
prossimo saremo tutti
insieme in vacanza, Emile compreso!»
«Sì!
Lo trascinerò per i ricci se oserà
opporsi!»
«Dovrai
prima arrivare a prenderli, quei ricci!» disse il mio amico,
sorridendo.
«Lo
trascinerò nel sonno, oppure prenderò uno
scaletto, mi arrampicherò sulla sua
schiena e mi ci incollerò, finché non saremo
arrivati a destinazione!»
Fede
si fece una grande risata, pensando a me che mi avvinghiavo ad Emile
come una
cozza allo scoglio e mi disse che sicuramente sarei stata capace di
farlo
davvero.
Contagiata
dalla sua ilarità, iniziai a ridere anch’io,
riempiendo di dettagli la mia
scalata al Pel di Carota e per svariati minuti, il suono delle nostre
risa,
riempì la stanza in cui ci trovavamo.
È
proprio vero che un momento condiviso in compagnia delle persone
più care, è
capace di scaldarti l’anima: quel pomeriggio trascorso
insieme a Fede, riuscì a
togliermi di dosso tutto il vuoto e la malinconia dei giorni precedenti.
*****
«Si
può sapere dove stiamo andando?»
«Sorpresa,
lo scoprirai tra poco.»
Alla
fine della nostra chiacchierata telefonica, io e Iulia avevamo
organizzato nei
minimi dettagli quell’uscita di gruppo: la ragazza di
Francesco aveva avuto
davvero una bella idea, era da tempo che desideravo vedere Emile
rapportarsi
con i ragazzi della band anche al di fuori del contesto professionale.
Da
quando Alberto mi disse, la prima volta che lo vidi, che il mio Pel di
Carota
non faceva altro che intessere rapporti prettamente professionali con
gli
altri, mi ero sempre sentita in pena per lui.
Io
riuscivo a stare in piedi esclusivamente grazie alla presenza dei miei
amici e
non riuscivo lontanamente a comprendere come Emile avesse potuto vivere
per
ventidue anni, senza avere lo straccio di un amico accanto. Speravo con
tutto
il cuore che Fede riuscisse a varcare le mura dietro cui si chiudeva,
ma non
c’era stata più occasione di vedersi, per
loro… Senza contare che all’interno
di una band dovrebbe esserci rispetto reciproco e la stessa visione
delle cose
e fino a quel momento, da quello che ero riuscita a vedere, tra i
membri dei
GAUS forse c’era del rispetto, ma non era ancora palpabile la
coesione tra
loro.
Dopo
ciò che era accaduto con Claudio, Emile era diventato
più morbido e
accondiscendente verso il resto del gruppo, ma le sue brutte abitudini
erano
dure a morire, proprio come la continua paura sul nostro rapporto:
restava
ancora un piccolo despota, la cui parola doveva essere
l’ultima su tutte le
decisioni riguardanti il futuro dei GAUS. In un clima simile, se non ci
fosse
stato anche dell’affetto vero e sincero, quanto a lungo, i
ragazzi avrebbero
sopportato quel dispotico modo di fare?
Emile
doveva cementare l’unione con i GAUS, doveva diventare amico
dei suoi
musicisti.
E
la proposta di Iulia cadde come il cacio sui maccheroni, mi
sembrò l’occasione
perfetta, per iniziare a far socializzare davvero il mio Pel di Carota
con il
resto della band.
Ma
per far sì che questo accadesse, sia io che la mia
interlocutrice, fummo
d’accordo nel non far sapere ad Emile di quella serata fino
all’ultimo momento,
onde evitare che inventasse scuse per defilarsela.
Per
questo motivo, avevo convenuto con Iulia che avrei condotto
personalmente quel
Testone al punto in cui ci saremmo riuniti, per poi arrivare tutti
insieme alla
meta della nostra serata.
Ero
riuscita a strappargli l’uscita e a darmi anche le chiavi
dell’auto: ben
sapendo che non avrebbe avuto impegni con la band per quella sera, due
giorni
prima gli avevo manifestato il mio desiderio di uscire insieme. Emile
non era
una persona socievole e se c’era una cosa che poco amava, era
ritrovarsi in
mezzo ad una folla, per cui erano state rare le volte in cui, libero
dagli
impegni con la band, aveva deciso di mettere il naso fuori casa. Anche
se tutte
le volte che gli manifestavo il mio desiderio di vita mondana, non si
tirava
indietro.
E
quella volta non fu da meno. Con un’unica eccezione
però: gli avevo detto che in
quel caso, avrei deciso io dove andare e che sarebbe spettato a me
condurre
l’auto. Ovviamente, quel Venerdì
risultò libero dagli impegni e di conseguenza,
gli toccò sopportare di essere scorazzato dalla
sottoscritta, senza nemmeno
sapere dove fossimo diretti.
«Non
posso avere nemmeno un indizio miserabile?»
«No,
sono categorica, dovrai avere pazienza.»
«Lo
sai che sei una strega sadica, vero?»
«E
tu lo sai che sei un curiosone? E poi dici a me che non mi faccio mai
gli
affari miei!»
«Sono
due cose diverse, Pasi! Qui non c’entra la vita altrui,
è la mia curiosità che
sta impazzendo!»
Sorrisi
divertita: «Di’ la verità, sapere che
qualcosa sfugge al tuo controllo ti dà
fastidio, vero? Ti ricordi quando mi hai prelevato da casa di Rita
senza dirmi dove
andavamo? Ecco, ora sai come mi sentivo.»
«Ti
stai vendicando allora, strega malefica!»
Il
tono di Emile era fintamente risentito e sentivo una nota di
divertimento nella
sua voce, così azzardai un’occhiata veloce verso
di lui, prima di tornare sulla
strada. Aveva un sorriso soddisfatto e nonostante stesse calando il
buio, vidi
una luce nei suoi occhi che mi fece sorridere appagata: stava morendo
di
curiosità, ma si stava divertendo da matti!
Arrivammo
al punto d’incontro e vidi il furgone di Luca già
parcheggiato e i ragazzi tutti
in attesa all’esterno: con loro c’era anche
Maurizio e ne fui davvero felice.
«E
loro cosa ci fanno qui?»
Emile
rimase del tutto sorpreso, non si aspettava affatto che avremmo avuto
compagnia
quella sera.
«Sei
deluso?»
«No…
sono… sorpreso, spiazzato… non capisco!»
«Bene,
non è necessario che tu capisca.» gli diedi un
bacio veloce ed uscii dall’auto
per salutare Iulia, che mi stava venendo incontro:
«Pasiiii!
Ce l’hai fatta allora! Come sono contenta!» Mi
abbracciò saltellando mentre il
resto del gruppo ci raggiungeva.
«Ehi
Duce, alla fine ce l’ha fatta a convincerti, Pasi
è davvero la donna dei
miracoli!»
«A
dir la verità, non sapevo un accidenti! E continuo a non
sapere… »
Staccandomi
dall’abbraccio di Iulia, lo vidi lanciarmi
un’occhiata velenosa ed io di
rimando, lo guardai con un sorriso soddisfatto.
«Quindi
non sai nemmeno dove siamo diretti?» continuò
Filippo, con tono sorpreso.
«No…
anzi se qualcuno di voi me lo dicesse, gliene sarei grato!»
Osservai
i ragazzi guardarsi complici e successivamente, Luca si rivolse a me
con un
sorrisetto stampato sul viso: «Allora Pasi, seguici e non
perderci di vista.»
Lui
e Maurizio si allontanarono in direzione del furgone, mentre i gemelli
diedero
una pacca alla spalla di Emile, prima di
seguirli sghignazzando.
«Che
bastardi!» Emile sorrise lievemente e
s’incamminò con me verso la portiera
dell’auto.
«Preferisci
che guidi io?»
«No,
no, guido io: ricordi le condizioni? Tu sta’ buono al tuo
posto!» gli feci un
gran sorriso e tornammo in auto.
Ci
volle un’oretta per raggiungere la meta e durante tutto il
tragitto, Emile
cercò di distrarsi ascoltando musica, ma qualche volta lo
scorgevo con la coda
dell’occhio, intento ad osservare la strada, cercando
silenziosamente di capire
dove fossimo diretti.
Quando
raggiungemmo la litoranea, lo vidi rasserenarsi, dandomi
l’impressione di aver
raggiunto qualche conclusione, ma restò in silenzio, come se
volesse accertarsi
di ciò che aveva dedotto.
«Ti
sei arreso, allora?» Fremevo per sapere cosa stesse pensando.
«No…
sto valutando.»
«E
non vuoi valutare ad alta voce con me?»
«No…
mi hai detto che non devo chiedere,
per
cui resterò in silenzio.»
«Ma
fare ipotesi non è chiedere…»
«Streghetta…
sei per caso curiosa di sapere?» mi guardò con
un’espressione maligna e
soddisfatta: era riuscito a ribaltare la situazione con un semplice
silenzio,
ora ero io quella che fremeva per sapere cosa gli passasse per la testa!
«Oh
al diavolo! Come ci riesci? Perché deve finire sempre
così?»
«Così
come, scusa?» Mi guardò con finta aria sorpresa:
si stava divertendo un mondo,
l’infame!
«In
questo modo: con me che scalpito in preda alla curiosità!
Non è giusto, sei tu
all’oscuro, non io!»
«Forse
non lo sono più… o forse semplicemente, so
attendere meglio di te.»
Lo
guardai con astio:
«Ti
odio.»
E
in tutta risposta, si fece una risatina e si avvicinò al mio
orecchio:
«Io
no.»
Il
malefico sapeva quanto riuscisse a deconcentrarmi quel suo modo di fare
e
dovetti fare appello a tutto l’autocontrollo di cui ero a
disposizione per non
sbandare… La serata stava andando improvvisamente tutta a
mio svantaggio!
Aggrottai
la fronte e mi chiusi in un silenzio risentito, per tutto il resto del
tragitto: con la coda dell’occhio, vedevo Emile osservarmi di
tanto in tanto
per poi sghignazzare, contento di aver ribaltato la situazione. Di
sicuro stava
morendo di curiosità, ma non trapelava nulla dal suo volto,
né dai suoi gesti:
aveva un autocontrollo invidiabile! Solo quando fummo prossimi al punto
d’arrivo ed iniziai a rallentare, tornò a parlarmi.
«Hai
preso una sciarpa?»
«In
pieno Agosto?»
«Sì,
devo coprire la gola, se non voglio che l’umidità
del mare mi tolga la voce.»
Avendo
accostato l’auto lungo la litoranea, fu facile dedurre per
lui dove fossimo
diretti, ma non sapeva ancora tutti i particolari. O almeno lo
speravo…
«Vedrai
che non ne avrai bisogno, la tua gola sarà al
calduccio.»
Nel
frattempo, i ragazzi scesero dal furgone: iniziarono a prendere le
cataste di
legna e tutto l’occorrente per la nostra serata e fu allora
che Emile comprese
completamente.
«Un
falò?!»
*****
Adoravo
il mare.
In
tutte le sue forme.
Lo
adoravo quando era calmo e placido e mi sentivo viva quando era in
tempesta. Lo
amavo d’estate, caldo e accogliente e l’amavo
d’inverno, freddo, lontano e
malinconico.
E
ovviamente, l’adoravo tantissimo di notte.
Amavo
il modo in cui la luna si rifletteva frazionata dalle acque, amavo il
rumore
delle onde nel silenzio della notte e
dell’oscurità e amavo trascorrere le ore
notturne estive, davanti ad un fuoco sulla spiaggia con il mare a farci
da
cornice.
Non
stavo nella pelle perciò, all’idea di trascorrere
una bella serata estiva
davanti ad un fuoco, sulla spiaggia, insieme al ragazzo che amavo.
Una
volta compresa la meta della serata, Emile si dette da fare per dare
una mano
ad allestire il fuoco e in breve tempo ci ritrovammo tutti sui nostri
teli,
pronti a condividere un pasto, una bevuta ed una serata tranquilla,
tipicamente
estiva.
Questo
tipo di serate, ero solita viverle in compagnia dei miei amici e non
averli con
me quella volta, mi mise addosso una strana malinconia: mi sentivo
proiettata
in un altro mondo, fuori contesto e avvertii la sensazione di non
essere del
tutto completa.
Ma
da un altro punto di vista, ero felicissima.
Ero
felice perché finalmente io ed Emile avevamo avuto una
serata speciale,
dedicata al solo divertimento. Ed ero felicissima che il mio Pel di
Carota
fosse finalmente uscito con la sua band per puro piacere, senza alcuna
motivazione professionale.
Probabilmente
era la prima volta che si concedeva un’uscita simile ed ero
felice che fosse
con i suoi musicisti: dovevano cementare la loro unione, dovevano
essere amici
prima di essere colleghi, se volevano andare avanti!
Disposti
com’eravamo, fu facile riuscire a parlare tra noi: dopo aver
mangiato i panini
super imbottiti che aveva preparato Iulia e aver bevuto le birre
portate da
Luca, la serata proseguì serena, pervasa da
un’atmosfera rilassata e intima che
solo la notte, il fuoco e un po’ d’alcool riescono
a dare. Emile ovviamente non
fu un chiacchierone, ma partecipò ai discorsi senza problemi
e persino Maurizio
interagì, con mia somma gioia. Forse se avessero trascorso
più serate simili,
quei ragazzi sarebbero riusciti a cementare i loro rapporti anche con
il
chitarrista e magari tutti i dubbi sulla sua lealtà al
gruppo, si sarebbero
volatilizzati.
Nonostante
la sensazione d’incompletezza iniziale, quella serata si
rivelò molto piacevole
anche per me e spinta dall’atmosfera tranquilla, provai a
sperare che si
avverasse anche un piccolo desiderio personale:
«Andiamo
a fare il bagno, più tardi?»
«Non
è possibile: non voglio rischiare.»
«Ma
cosa? Temi uno squalo assassino?»
«No
streghetta, temo l’umidità. Se mi espongo troppo,
potrebbe risentirne la voce.
E poi non ho nemmeno il costume…»
«Ma
non devi mica cantare domani e il costume l’ho portato
io.»
«Lo
so, ma non posso nemmeno sapere quanto mi durerebbe un eventuale
abbassamento
di voce, per cui non voglio rischiare.»
«Uff!»
Sconsolata,
mi lasciai andare su di lui: sapevo che non avrebbe acconsentito.
Nonostante
le mie rassicurazioni, prima di accendere il fuoco Emile
continuò a
preoccuparsi per la sua voce e cercò un modo per proteggersi
la gola, finché si
ricordò di aver lasciato in auto la sua kefiah di
salvataggio e andò subito a
prenderla per coprirsi. Sapevo quindi che non avrebbe accettato di
rischiare
fino a quel punto, ma avrei voluto fare un romantico bagno notturno con
lui e
quindi tentai ugualmente la sorte, ben sapendo di avere poche speranze.
L’idea
che avesse bocciato la mia proposta m’innervosì al
momento, ma poi
riflettendoci su, mi dissi che tutto sommato, anche senza fare il bagno
si
stava divinamente bene: eravamo seduti su un telo che ci proteggeva
dalla
sabbia umida, Emile era appoggiato ad uno spuntone roccioso ed io ero
accoccolata tra le sue braccia, dandogli la schiena.
Quell’abbraccio mi
circondava e mi dava calore facendomi sentire amata, protetta e in
comunione
totale con lui, mentre la luce e le fiamme del falò davano a
quella notte
stellata, un’atmosfera serena e accogliente.
Dopo
la mia richiesta, come se fosse stato lui a ricevere un rifiuto, Emile
improvvisamente si ritirò nei suoi pensieri: gli capitava
spesso di chiudersi
in quel modo e sapevo che era parte di quel suo carattere introverso
per cui, pur
non comprendendo questa propensione al mutismo, normalmente non lo
importunavo,
interrompendo quei momenti di comunione con se stesso.
Ma
quella sera non volevo che si estraniasse, non quando si trovava
finalmente in
compagnia.
«A
cosa stai pensando?»
«Guardavo
le stelle: è così immenso il cielo,
così vasto, che ogni volta che l’osservo
non posso evitare di pensare a quanto siamo piccoli, a quanto poco
lasciamo di
noi, rispetto a questa vastità
immensa…» poggiò il mento sulla mia
testa «… eppure,
nonostante questo pensiero sia così poco rassicurante,
osservare il cielo
stellato mi mette calma, mi rasserena. Come se stessi
dialogando con l’universo intero…
strano, eh?»
Gli
feci un cenno affermativo con la testa e alzai gli occhi verso
quell’immensità
scura che ci sovrastava, costellata di punti luce che sin dalla notte
dei
tempi, erano stati un punto di riferimento per gli esseri umani. Forse
Emile
non aveva tutti i torti, forse nel nostro continuo guardare al cielo,
c’era il
richiamo inconscio alla voce del Creato, all’essenza di tutto
ciò che era
l’Universo… era vero che guardando il cielo ci si
sentiva più sereni…
Quante
cose di noi stessi in quanto creature viventi, ancora non
sapevamo… Quando mi
soffermavo a riflettere su certi argomenti, mi rendevo conto che la
nostra
società, così “evoluta” e in
avanguardia in molti campi, stava perdendo di
vista proprio l’essenziale: il suo contatto con il creato, la
ragione per cui
noi esseri umani, come tutti gli esseri viventi, eravamo lì
su quel pianeta in
quell’universo.
Erano
quesiti così immensi, eppure così
universali…
Questo
era il lato positivo del mutismo di Emile: osservando e riflettendo, a
volte si
poneva delle domande che mi portavano
a
considerazioni che non avrei mai avuto altrimenti o che semplicemente,
lasciavo
che rimanessero in un angolo del mio cervello a riposare.
Quelle
considerazioni esistenziali
però, ebbero
fine presto, poiché all’improvviso, il vociare di Francesco
interruppe il corso dei
miei pensieri:
«Allora
Duce, smettila di fare lo scansafatiche e intonaci una
canzone.» aveva una
chitarra in mano, ma sembrava propenso a porgerla ad Emile.
«Mi
fate lavorare anche stanotte? Se
io
canto, tu suoni bello mio!»
«Fil
perché non canti tu?»
La
domanda di Iulia mi aveva colto totalmente di sorpresa: non avrei mai
immaginato che il bassista dei GAUS fosse un cantante!
«Filippo,
tu canti?»
«Beh,
oddio no… cantavo nel coro della
chiesa…»
«Appunto
Fil! E se non ricordo male, hai anche una bella voce, forza
canta!»
«Ma
no, sono fuori esercizio… voglio risparmiare le vostre
orecchie!» Filippo
rise divertito, ma notai il lieve
imbarazzo sul suo viso nell’essere all’improvviso,
al centro dell’attenzione. A
quel punto intervenne Emile:
«Allora
facciamo così: Francesco suona, io
canto e Filippo mi accompagna come seconda voce.»
«Perché
non fate qualche duetto, Duce? Magari guardandovi negli occhi con
amore…
sareste una bella coppia.»
«E
se invece cantassimo tutti insieme? I più bravi copriranno
le stecche dei
peggiori e ci divertiremo tutti, che ve ne pare?» disse
Filippo, togliendosi
dagli impicci ed io accolsi l’idea con gioia:
«Sono
d’accordissimo! Cantiamo tutti insieme!»
«Sì
ma io non suono.» continuò
imperterrito
Francesco, sfidando Emile che, dal canto suo, prese la chitarra
sorridendo malefico,
la qual cosa mi costrinse a spostarmi per dargli modo di poggiarla in
grembo.
Probabilmente,
Francesco prese quel puntiglio perché voleva godersi la
vicinanza della sua
ragazza, dato che appena si liberò della chitarra, Iulia si
appoggiò a lui come
avevo fatto io poco prima con il mio Pel di Carota. Non saprei dire se
quella
presa di posizione indispettì Emile o gli diede fastidio il
fatto che fossimo
stati costretti a separarci, sta di fatto che in risposta al puntiglio
di
Francesco, iniziò ad intonare delle note che fecero morire
dal ridere sia Luca
che Filippo.
Lay beside me
Tell me what they've
done
Speak the words I wanna
hear
To make my demons run
The door is locked now
Conoscevo
quella canzone, era “Unforgiven II”
e
tutto sembrava, tranne divertente… Non riuscivo a
comprendere per quale motivo avessero
reagito in quel modo…
Io
li guardai sorpresa e quando vidi anche Iulia sorridere mentre
Francesco
guardava Emile sconvolto, mi venne spontaneo chiedere il motivo di
quelle
reazioni:
«Ma
cosa succede?»
Fu Filippo ad illuminarmi: «Devi
sapere che Francesco odia con tutto il cuore i Metallica,
per cui ogni volta che partono le note di un loro brano,
fa quella faccia e si rifiuta di ascoltare.»
A
quel punto, compresi in pieno lo sguardo perfido di Emile: si era
vendicato del
capriccio di Francesco ed ora suonava con una luce divertita negli
occhi,
mentre il suo chitarrista diventava blu.
Lay beside me
Under wicked sky
The black of day
Dark of night
We share this paralyze
The door cracks open
«Ok,
ok, ho capito! Dammi quell’arnese!»
allungò la mano per prendere la chitarra,
ma Emile, sadico, si scansò continuando imperterrito a
suonare:
But there's no sun
shining through
Black heart scarring
darker still
But there's no sun
shining through
No, there's no sun
shining through
No, there's no sun
shining
Incapace
di tollerare una nota di più, Francesco si alzò
stizzito:
«Quando
avrete finito con questo strazio, chiamatemi!»
A
quel punto Emile iniziò ad alzare la voce:
What I've felt
What I've known
Turn the pages
Turn the stone
Behind the door
Should I open it for
you?
Yeah
What I've felt
What I've known
Sick and tired
I stand alone
Tutti
se la ridevano, persino Iulia ridacchiava, richiamando senza successo
il suo
ragazzo e ben presto mi unii a loro ridendo di gusto, per poi seguire
il nostro
cantante, in un coretto allegro e scanzonato.
Quando
il mio Pel di Carota terminò di suonare quel pezzo e
intonò un’altra canzone,
Iulia si alzò per riportare all’ovile Francesco,
Luca si accese una sigaretta e
iniziò a battere le mani sulle gambe a tempo di musica,
mentre Maurizio restò
chiuso nel suo solito mutismo e Filippo canticchiò
sommessamente. Io mi godetti
la voce di Emile che in quel frangente, accompagnata solo dalla
chitarra, risultava
più calda e mi faceva vibrare le corde dell’anima
con quel tono così graffiante
che avevo sempre amato.
Quando
Francesco tornò tra di noi, sembrò avere ancora
un’espressione risentita e si
accomodò accanto al fratello: si guardarono per la frazione
di un secondo,
sorrisero di un divertimento tutto personale e in seguito il primo
accompagnò
Filippo, alzando la voce, in modo che lo facesse anche suo fratello.
Non so se Francesco
fece quel gesto per dare sicurezza al gemello, che sembrava vergognarsi
del suo
timbro vocale, o solo per partecipare attivamente al coretto, ma
quell’occhiata
che si scambiarono mi trasmise calore e fui felice di aver visto un
accenno del
loro legame, quella sera.
Ero
sensibile ai legami familiari, non avendo un buon rapporto con i miei
genitori
e ancor più rispetto al rapporto tra due fratelli/sorelle.
Mi piaceva trovare
negli altri ciò che io non avevo avuto: anche se mi rendeva
malinconica, era
bello vedere come due fratelli potessero essere davvero uniti.
Iulia
si accomodò accanto a Francesco, ma mentre i due gemelli
canticchiavano, la
vidi rivolgersi a Luca che, finita la sua sigaretta, era rimasto a
battere il
tempo sulle sue gambe. Anche loro due sembravano avere una buona
familiarità,
ma non mi stupii dato che erano amici da tempo. L’unico che
interagiva poco tra
noi era Maurizio, così quando alla fine della seconda
canzone, Francesco disse
che avrebbe scelto lui la successiva, scatenando un dibattito, ne
approfittai
per avvicinarmi al silenzioso chitarrista:
«Non
ti stai divertendo?»
Mi
accomodai accanto a lui e sembrò quasi intimidito dalla mia
vicinanza,
allontanandosi da me, seppur impercettibilmente: mi rivolse uno sguardo
quasi
spaventato, ma ciò che mi meravigliò fu che per
la prima volta riuscii a vedere
l’espressione dei suoi occhi.
Maurizio
tendeva a coprirsi il viso con acconciature tipicamente Emo: una
frangia
scomposta era perennemente chinata sulla sua fronte e spesso gli
copriva gli
occhi. A volte era stirata su un lato del viso, altre volte invece era
più gonfia
e calata su tutta la larghezza della fronte. Quella sera, grazie alla
luce
diretta del falò, riuscii a vedere oltre le ombre di quei
capelli, che sembrava
portare come una maschera che celasse il suo animo al resto del mondo.
Dopo
l’iniziale stupore, tornò a guardare davanti a
sé, prima di rispondermi:
«Sì,
è una bella serata.»
«E
perché non canti anche tu? È più bella
l’atmosfera se cantiamo tutti insieme.»
«Non
sono bravo a cantare…» parlava quasi per
monosillabi: mi ricordò terribilmente
Emile quando lo conobbi. Il mio Pel di Carota aveva le sue ragioni per
essere
diffidente verso gli altri, ma Maurizio perché lo faceva?
Possibile che anche
nel suo caso si celasse qualche trauma personale, dietro la sua
chiusura?
«Nemmeno
io sono brava, ma tanto quando si canta insieme non si
sente!» gli sorrisi
conciliante… e lo vidi accennare un sorriso:
«Si
sente, si sente… la nota stonata si sente sempre.»
il suo tono sembrò amaro…
che si riferisse a se stesso con l’aggettivo “nota
stonata”?
«Un
bravo musicista sa coprire la nota stonata… e poi anche lei
ha il diritto di
esistere!» incrociai le braccia al petto e lo guardai,
calcando l’assoluta
convinzione della mia teoria. Maurizio tornò a guardarmi con
una luce perplessa
nello sguardo, prima di rivolgersi di nuovo al fuoco:
«Sì…
forse hai ragione.»
«Certo
che…»
«Pasiiii!»
Iulia interruppe il mio discorso, prendendomi per un braccio.
«Dai vieni con
me, fammi compagnia.»
Mi
alzai, trascinata dalle sue mani.
«Ma
dove andiamo?»
«Qui
sulla spiaggia, facciamo una passeggiata.»
*****
Quella
era una serata davvero magnifica: il mare era tranquillo e si sentiva
solo il
rumore dello sciabordio a riva, la luna illuminava il cielo di quella
luce
fredda e ovattata dall’umidità, sembrando quasi
una presenza evanescente e
intorno a noi la serata era relativamente silenziosa, visto che
distavamo
qualche metro dalla strada e dai rumori del traffico. Era una notte da
sogno e
trascorrerla in compagnia, fu la scelta migliore in assoluto.
Soddisfatte
di come avevamo organizzato la serata e del suo esito, io e Iulia
iniziammo a
gioire della nostra perfetta collaborazione e facemmo il punto delle
situazioni
più soddisfacenti della serata, ridendo di tutti i momenti
sereni che avevamo
vissuto e della riuscita interazione di Emile con i suoi musicisti. A
quel
proposito, mi venne in mente la scena tra Iulia e Luca e la
curiosità mi
assalì:
«Tu
e Luca siete molto amici?»
«Io
e Luca? Uhm… a dir la verità, non lo so nemmeno
se siamo amici o semplici
conoscenti… perché?»
«Curiosità…
è bello vedere che hai legato con gli amici del tuo
ragazzo… forse perché
vorrei tanto che Emile facesse
lo stesso
con i miei…»
«Ah,
capisco… beh, devi mettere in conto che le due situazioni
sono diverse, io non
ho il carattere di Emile e soprattutto, conosco Luca praticamente da
sempre.»
«E
allora come fai a dire che siete solo conoscenti?»
«Perché
in un modo o in un altro, me lo sono sempre ritrovato
accanto.»
Feci
la faccia più confusa che avevo… questa
descrizione non collimava con il mio
concetto di “conoscente”…
Iulia
rise e poi continuò.
«Che
faccia hai fatto Pasi! Ma hai ragione, non ti ho
detto tutto: Luca era un mio compagno di
classe alle medie e poi il caso ha voluto che diventasse anche il
ragazzo di
mia sorella.»
«Davvero?!»
«Sì!
Tutti credevano che Flavia avrebbe finito col fare coppia con Fil, sai
era
carino vedere due sorelle con due fratelli… ma a quanto
sembra quei due non
sono minimamente interessati l’uno
all’altra.»
«Allora
non può essere un conoscente, Luca in pratica è
come un fratello per te!»
ripensai a Testa di Paglia e al pensiero che
se fosse riuscito a diventare il ragazzo di Simona, ne sarei stata
davvero
felice, perché avrei avuto un ulteriore conferma che
Stè era parte della mia
famiglia…
«Beh,
no… non è che ci conosciamo poi così
tanto: a scuola non parlavamo molto, io
avevo il mio gruppetto mentre lui se ne stava con il suo e lui e Flavia
ormai si
sono lasciati, quindi è solo un amico… Un fidato
e caro amico, di Franz e Fil.»
mi sorrise conciliante.
«Ah,
capito… beh non è detto che non diventiate amici
anche voi!»
Le
sorrisi speranzosa e d’improvviso, mi venne in mente un altro
dettaglio:
«Ma
anche tu e tua sorella siete gemelle?»
«No,
Flavia è più piccola di me di un anno, ma ci
somigliamo molto, almeno
esteticamente.»
«Proprio
come…» stavo per aggiungere “me e Simona”
a quella
frase, quando mi bloccai di
colpo.
«Come
chi, Pasi?» Iulia mi guardava dubbiosa, in attesa di
risposta: in fondo non
aveva senso nasconderle di mia sorella, avrebbe accresciuto
maggiormente in me
il dolore per averla persa e inoltre non era qualcosa di cui
vergognarsi…
«Proprio
come me e mia sorella: eravamo molto simili esteticamente, ma non
potevano esserci
due persone più diverse.»
«Eravate?»
«Sì…
Simona è morta sette mesi fa…»
Il
viso di Iulia, da curioso si fece d’improvviso pallido e
un’espressione di
assoluto dispiacere le si dipinse sul volto:
«Oh,
mio Dio Pasi, io non ne avevo idea! Davvero scusami, ti ho riempito la
testa di
storie tra me e mia sorella e non ho fatto altro che farti star male!
Scusami
davvero!» mi
prese la mani tra le sue,
guardandomi con un volto in cui campeggiava un senso di colpa che non
sopportavo.
«No
Iulia, non preoccuparti, puoi parlarne quanto vuoi.
Evitare l’argomento non mi farà
riavere mia
sorella indietro e ormai me ne sono fatta una ragione, stai
tranquilla.» le
sorrisi, ma non potevo scommettere su quanto fosse realmente aperto,
perché
nonostante le parole che le avevo rivolto, pensare a Simona mi causava
ancora
troppo dolore per poterne parlare alla leggera. Iulia
continuò ad osservarmi
col viso costernato e senza dire altre parole, si avvicinò a
me e mi strinse in
un abbraccio:
«Vorrei
poterti aiutare in qualche modo… non oso nemmeno immaginare
il dolore che ti
stai portando dentro… se io perdessi mia sorella, mi
sentirei persa!»
«Beh
in verità, il nostro rapporto non era molto
profondo… io non capivo lei e lei
non capiva me… ma avrei voluto tanto riuscire a
farlo… avrei tanto voluto esserle
più vicina.»
Nel
parlare di Simona, mi sfuggì una lacrima e la mia voce
s’incrinò: Iulia
commossa, mi strinse più forte a sé.
«Pasi
se vuoi parlarmene, starò zitta e muta ad ascoltarti
finché vorrai sfogarti…
Tendo a chiacchierare troppo, ma sono anche capace di
ascoltare.» mi guardò
seriamente, cercando di mostrare la sua buona fede.
«Lo
so… e ti ringrazio davvero tanto…»
portai una mano al viso per asciugarmi quella
singola lacrima traditrice, «… però non
frenarti nel parlarmi di tua sorella, a
me fa piacere sentire le tue storie e non voglio che tu non ti senta
libera di
essere te stessa… ok?» Toccò a me
guardarla con espressione decisa.
«Ok…»
mi rivolse ancora il suo sguardo preoccupato, finché, come
dopo essere stata
colta da un’improvvisa consapevolezza esclamò:
«Oh,
mio Dio: quindi tu hai perso tua sorella ed Emile la madre, nel giro di
pochi
mesi?»
«Sì,
in effetti è così… bella coppia,
eh?»
sorrisi ironica.
«Cielo
che storia! Però sono sicura che questo vi ha avvicinato
davvero tanto, è nel
dolore che spesso si formano i legami più forti.» Oppure
se ne spezzano altri, pensai, riandando con la mente al
rapporto dei miei
genitori, che avevo visto più freddo e distante.
«Sì,
è probabile… in effetti, abbiamo trascorso
insieme più momenti critici che
sereni!»
«Allora
dovete rimediare! Dovete assolutamente riempire la vostra unione di
momenti
felici, per scacciare la tristezza dai vostri cuori!»
«È
quello che cerco di fare… GAUS permettendo!»
dissi, con una nota più amara di
quanto avessi voluto, nella voce.
«Lo
so che è difficile Pasi… ma sono sicura che una
volta terminata la promozione
di quest’album, ci sarà più spazio
anche per noi, nelle loro vite.»
«Lo
spero… ma d’altronde, sapevo a cosa andavo
incontro stando con Emile… e anche
se per me è difficile, mi farò forza e mi
abituerò a doverlo dividere con la
musica. Senza di lei sarebbe incompleto, è una parte
imprescindibile del suo
essere e se dovesse privarsene, sarebbe solo una persona a
metà, che non
avrebbe molto da offrire né a se stesso, né a
me.»
«WOW!
Pasina sei davvero saggia!»
Stavolta
toccò a me ridere, guardando l’espressione
sorpresa di Iulia: «Non ho detto
nulla che tu non pensi già.»
«È
vero… ma in qualche modo sentirlo dire, fa un altro
effetto… è bello rendersi
conto che abbiamo la stessa visione della cosa!»
Iulia
mi abbracciò felice: più la conoscevo,
maggiormente mi rendevo conto di quanto
dovesse essersi sentita sola all’interno di quel ristretto
gruppo di supporto
dei GAUS, di cui lei era sempre stata unico membro.
Con
tutta certezza, a lungo andare ci saremmo conosciute ugualmente, ma in
quel frangente,
ringraziai il Destino che mi aveva messo in quel fast food, che mi
aveva
accompagnato con Serena (per quanto insopportabile fosse) e che una
sera come
un’altra, aveva fatto sì che Iulia fosse in quel
luogo, inconsciamente pronta
per incontrarmi.
*****
Come
tutte le cose della vita, anche quella serata meravigliosa
terminò, non prima
di averci visto ancora intorno al falò, a chiacchierare.
Quando l’umidità
iniziò a farsi pressante e la legna fu sul punto di
terminare, decidemmo di
andarcene. Lungo il tragitto, ci fermammo a prendere una
crêpe alla Nutella e
prima di arrivare alle nostre rispettive abitazioni, ci salutammo nello
stesso
punto in cui ci eravamo incontrati all’andata.
Quella
notte rimasi a dormire da Emile, concludendo alla perfezione una serata
già
meravigliosa.
Prima
di addormentarci però, iniziai ad arrovellarmi con alcune
domande.
«Emile…»
«Mmm…?»
Nonostante
avessi guidato io anche al ritorno, il più stanco tra i due
era il mio Pel di
Carota, che sembrava già mano nella mano di Morfeo.
«Pensi
davvero che Maurizio vi tradirà?»
Come
se avessi sganciato una bomba, lo vidi aprire immediatamente gli occhi
prima di
guardarmi:
«Come
ti vengono alla mente queste cose, a quest’ora?»
«Non
so… beh no, lo so… stavo ripensando a questa
serata e mi è venuto in mente che
quando ci ho parlato, Maurizio mi ha dato l’impressione di
avere qualcosa da
nascondere, ma non ho visto cattiveria nel suo sguardo… mi
ha ricordato te.»
«Me?»
«Sì…
ha quello stesso modo di fare diffidente che hai anche
tu…»
«Avrà
la coda di paglia.»
«Ma
per cosa, scusa?»
«Perché
è amico di Claudio.»
«Ma
non gli si può fare una colpa per le sue amicizie!»
«Lo
so, infatti non l’abbiamo buttato fuori dal
gruppo…» Emile
sbadigliò «… ma evidentemente lui si
sente colpevole lo stesso… E di certo non poteva comportarsi
serenamente nei
tuoi confronti, dato il modo in cui il nostro ex
batterista si è comportato con te.»
«Hai
ragione, a questo non avevo pensato… Ma quindi pensi che in
rispetto a Claudio,
manterrà sempre un certo distacco verso di voi?»
«Non
lo so Pasi e comunque a quest’ora non riesco a pensare
granché… di certo anche
se dovesse tradirci, non potrà far nulla per metterci i
bastoni tra le ruote: l’album
è registrato, il contratto è firmato, non
può ricattarci in alcun modo e
seppure decidesse di sparire da un momento all’altro, posso
sostituirlo senza
battere ciglio.»
Mi
strinsi a lui ripensando a quelle parole: Maurizio non mi era sembrato
un
cattivo ragazzo e sperai che le cose tra lui e la band si potessero
risolvere
in futuro senza dover arrivare a un’altra separazione.
Prima
che il mio Pel di Carota ritornasse ad abbracciare Morfeo, decisi di
torturarlo
un’ultima volta: il completo successo di quella serata,
sarebbe dipeso dalle
risposte che mi avrebbe dato.
«Emile…»
«Mmm…?»
«Come
hai fatto a vivere senza amici?»
A
questa domanda, si girò su un lato, costringendomi ad
allentare la presa su di
lui. Si puntellò la testa con un braccio, mi
mostrò un sorriso ironico e mi
rispose:
«Stanotte
sei in vena di domande esistenziali?»
«Giuro
che non apro più bocca, dopo.» portai le dita
sulla bocca in un gesto infantile
che non facevo da quando ero alle elementari, Emile sorrise abbassando
sconfortato la testa e dopo un sospiro mi rispose.
«Non
ne sentivo il bisogno.»
«Ma
non è possibile! Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci
comprenda, qualcuno
con cui condividere ciò che amiamo o ciò che
facciamo!»
A
quel punto lo imitai prendendo la sua stessa posizione: ora eravamo
perfettamente uno di fronte all’altra, potevo guardarlo
direttamente negli
occhi, mentre mi rispondeva.
«Ho
sempre avuto la musica per questo. Se c’era lei, non mi
sentivo solo. E
soprattutto, la musica non è ipocrita, come gli esseri
umani.»
«Ma
non sono tutti ipocriti!»
«Quelli
che ho conosciuto io, sì.»
«Uhm…
ok, allora diciamo che sei stato sfortunato… ma i ragazzi
della band non sono
ipocriti, stasera ti sei divertito, vero?» qualche altra
domandina precisa come
quella e il quesito sarebbe stato risolto…
«Sì,
è stata una bella serata.»
«E
non è bello condividere qualcosa con gli altri esseri
umani?»
«Certo
che lo è, ma per le relazioni bisogna essere portati. Io non
sono socievole
come te, non so stare in compagnia, non mi sento a mio agio. Stasera
è andata
bene perché si trattava dei ragazzi, che conosco da tempo,
ma con un altro tipo
di compagnia non garantisco che mi sarei divertito allo stesso
modo.»
Probabilmente
stava alludendo al mio gruppo di amici e la cosa per un attimo mi
rattristò, ma
lo scopo della serata sembrava pienamente raggiunto, per cui mi
focalizzai su
quel pensiero appagante senza dare spazio a riflessioni cupe... anche
perché
Morfeo stava richiamando anche me e non avevo la forza di pensare
ancora a
lungo!
«Quindi
in compagnia del tuo gruppo ti senti bene, a tuo agio, vero?»
«Sì,
perché li conosco da tempo.»
«Quindi
usciresti di nuovo con loro?»
«Pasi,
dove vuoi andare a parare con questo interrogatorio?»
Lo
guardai soddisfatta: «Non credi che una band di musicisti che
siano anche
amici, sia molto più solida e attraente?»
Sul
viso di Emile, fece capolino un sorriso di comprensione.
«Sei
proprio una strega.»
*****
«Stèèèèè!»
Quella
settimana d’isolamento dai miei amici, giunse alla sua fine e
il giorno stesso
in cui tornarono dalla loro vacanza, mi precipitai a salutare il mio
migliore
amico. C’incontrammo davanti ad un bar, per prendere qualcosa
di fresco e
chiacchierare un po’, ma quando lo vidi arrivare, incurante
della folla, gli
corsi incontro e gli saltai letteralmente al collo, abbracciandolo.
«Quanto
mi sei mancato, Testa di Paglia!»
«Anche
tu mi sei mancata, Pasi!»
Era
stato difficile vivere quella settimana senza i miei amici, la famiglia
che
avevo scelto per me, ma più di tutti mi era mancato lui, i
suoi sorrisi, i suoi
abbracci e quell’animo solare che sapeva risollevarmi anche
solo respirando la
stessa aria.
Durante
quella settimana di vacanza, il mio migliore amico aveva provveduto a
chiamarmi
quasi ogni giorno, per raccontarmi l’andamento delle vacanze.
Mi aveva
raccontato di quanto fosse grande la casa dei genitori di Rita, del
bosco
circostante, del paesino tranquillo a pochi chilometri di distanza e di
come
avesse incontrato tante persone simpatiche. Mi raccontò
della prima escursione
per i boschi con Sofi, quella più lunga e bella fatta
insieme a Rita e quella
finale fatta con tutto il gruppo riunito, all’arrivo di Fede.
E
non si lesinò dal raccontarmi, seppur per sommi capi, come
procedeva il
rapporto tra Sofi e Lucien, raccontandomi del giorno in cui il cugino
di Emile
era stato accanto alla nostra amica, perdendosi l’escursione
per prendersi cura
di lei, della volta in cui era stato capace di farla giocare ad un
videogame e
di quell’ultima escursione, in cui Sofi sembrava aver trovato
una luce nuova in
se stessa, quando una caduta rovinosa di Lucien l’aveva fatta
ridere di gusto.
Ero contenta che quei due si stessero avvicinando: Sofi aveva i suoi
ritmi ed
io intromettendomi, avevo solo creato confusione, forzando qualcosa che
era
destinato a formarsi lentamente.
Non
credevo che in quella cronaca giornaliera, Stè avesse
tralasciato qualcosa, per
cui mi sorpresi quando rivedendoci, tornò
sull’argomento.
«C’è
una cosa che non ti ho detto, Testarossa.» Ci eravamo
accomodati sulla solita
panchina del parco, con la nostra bibita fresca in mano.
«Spara
allora, che aspetti?» Il suo viso si fece grave e malinconico
ed iniziai a
preoccuparmi: cosa diavolo era accaduto?
«Durante
questa settimana sono stato davvero bene: l’aria era pura e
c’era una
temperatura fresca che risollevava l’animo… ho
pensato a quanto stessi patendo
tu qui e mi è dispiaciuto per te!» mi fece un
sorriso un po’ malinconico e
proseguì «Ma a metà della vacanza,
c’è stata una giornata in cui ha piovuto a
dirotto tutto il tempo: ero annoiato perché non potevo fare
alcunché
all’esterno e dovevo restare chiuso in casa, anche se poi
Rita mi ha dato
qualcosa da fare…» fece una piccola pausa, prima
di continuare, come a darsi
coraggio: «Il giorno dopo, il cielo è rimasto
grigio e cupo e quando mi sono
svegliato, mi sono abbattuto nel rivedere quel cielo
ombroso… e mi è venuta in
mente lei…»
Mi
si strinse il cuore in un morsa di ferro: Stè era forte e
portato al sorriso,
ma sapevo che dentro di sé, il suo cuore era ancora ridotto
ad uno straccio. E
compresi perché non me ne aveva parlato per telefono: quello
era un dolore troppo
grande e troppo intimo, dovevamo condividerlo di persona, donandoci il
sostegno
reciproco, come avevamo sempre fatto.
L’abbracciai
senza aprire bocca e lui continuò il suo racconto:
«Non
so perché mi sia venuta in mente quella mattina: il giorno
prima, tutta quella
pioggia mi aveva dato fastidio perché volevo uscire, ma la
cosa è finita lì.
Quella mattina invece, ho iniziato a pensare che con la presenza di
Simona,
quel luogo sarebbe stato bellissimo anche con un cielo così
triste e pesante. Nel
pomeriggio ho fatto una passeggiata nel bosco per cercare sollievo, mi
mancava
l’aria in casa e ho sperato che una passeggiata nei boschi mi
avrebbe fatto
bene…» lo sguardo di Stè si fece
distante, «… ho trovato una roccia e mi ci
sono seduto su ma è stato peggio: ho guardato il paesaggio e
ho sentito una
fitta nel petto, perché avrei voluto averla accanto a me in
quel momento. Ma a
differenza di tutte le altre volte in cui ci fantasticavo su, dicendomi
che
prima o poi ce l’avrei fatta, stavolta sapevo che non avrei
più avuto occasioni
per provare a dirle ciò che sentivo…»
mi strinsi più forte a lui «E sai la cosa
più penosa qual è stata? Rendermi conto che mi
sarebbe bastato anche solo
vederla in lontananza, anche ammirarla da lontano, pur di sapere che
fosse ancora
viva.»
Testa
di Paglia serrò le sue braccia intorno a me, ma tra i due a
commuovermi fui io,
travolta dal mio dolore e dal suo e dal senso di colpa per non essergli
stata
accanto in quel momento.
«Stè
mi dispiace così tanto… se fossi stata
lì, avresti potuto sfogarti con me…
invece ti sei tenuto tutto dentro…»
Inspiegabilmente, sentii il mio amico
sorridere…
«Non
preoccuparti per questo, hai avuto una degna sostituta.»
«Rita.»
La
nostra amica–mamma era la persona più adatta a cui
confidare certi stati d’animo,
aveva sempre una parola confortante per tutti. Non dubitai che fosse
stata una
mia degna sostituta, se non persino più brava di me nel
dargli conforto. Anche
se l’idea di essere stata sostituita, non mi stava risultando
gradevole…
«No
Testarossa, non si tratta di Rita… sto parlando di
Sofia.»
«EHHHH?!»
Mi
staccai sorpresa da quell’abbraccio: Sofia che consolava
Stefano, era una scena
da universo parallelo! Cosa diavolo le era accaduto? E cosa diavolo era
successo tra loro due, per avvicinarsi così?
«Esatto:
la nostra piccola Nonna Sofia ha avuto la mia stessa idea e
passeggiando per il
bosco, si è imbattuta in me e le mie lacrime.»
Il
mio sguardo doveva essere allucinato, ma ero soprattutto curiosa di
sapere come
si fosse svolto quell’evento che aveva
dell’incredibile.
«Si
è avvicinata a me e mi ha incitato a parlare, mi ha
ascoltato e poi mi ha
stretto la mano.»
«W-O-W!»
Quel
gesto, fatto da qualcun altro sarebbe stato un normale segno di
empatia, ma
conoscendo Sofi e quanto fosse difficile per lei esternare
ciò che sentiva, si
trattava di un grande passo in avanti!
Sull’onda
di quei pensieri ebbi anche la risposta alla mia domanda: Sofi e
Stè erano
accomunati da un sentimento inespresso, da un amore che non avevano
rivelato e
sicuramente la nostra amica, non doveva aver avuto
difficoltà ad immedesimarsi
nel dolore di Stefano.
«Sono
davvero senza parole… Che cambiamento!»
«Già…
Sofi sta screscendo… chi l’avrebbe mai detto che
ti avrebbe sostituito!»
«Sì,
ma non facciamone un’abitudine, eh!? Sono io il tuo padre
confessore!» cercai
di mantenere un tono ironico, ma dentro di me sentii una forte gelosia,
al
pensiero che Stè avesse trovato una nuova confidente. Sapevo
di essere una
persona possessiva e in quel momento compresi che avrei sempre lottato
per
difendere il mio legame con il mio migliore amico e con tutte le
persone che
amavo.
Stè
mi sorrise e tornò ad abbracciarmi: «Non
preoccuparti Testarossa, lo sai che la
mia preferita sei tu.»
Come
una bambina capricciosa che è stata appena accontentata,
sorrisi soddisfatta e
m’immersi nuovamente tra le braccia del mio amico, godendomi
quel momento di
calore umano che tanto mi era mancato.
_______________________________________________________
NDA
Posso dirvi che sono
quasi emozionata? Eh, posso? Vabbè, ve l'ho detto.
È trascorso talmente tanto tempo da quando ho pubblicato il
capitolo precedente, che stavo dimenticando persino cosa si prova ad
aggiornare questa storia.
In questi mesi non sono stata del tutto ferma: nonostante la mia Musa
sia stata bastardissima e molto capricciosa, ho ugualmente continuato a
scrivere e tra qualche one-shot da contest e un paio di capitoli
sofferti di Love Sucks, ho messo su anche questo che doveva essere
l'ultimo di Rosso come il Destino. Ma alla fine, i sei mesi trascorsi
dall'ultimo aggiornamento, si sono fatti sentire anche qui,
perché questo capitolo 32, è arrivato ad essere
lungo esattamente 32 pagine, per cui ho deciso di dividerlo.
Quindi, posso dirvi in via ufficiale che avete appena finito di leggere
il penultimo capitolo. Non credo di allungarmi ancora, come ho
già fatto ripetute volte, quando ho annunciato il termine e
poi ho continuato a scrivere, perché il prossimo capitolo
è praticamente completo, devo solo limare alcune
imperfezioni e al massimo, aggiungere dettagli. Ma non credo che possa
allungarsi al punto da essere diviso ulteriormente, anche se posso
dirvi sin da adesso, che sarà un capitolo bello lungo, anche
più di questo. Per cui, se preferite una lettura
più breve divisa in due parti, fatemelo sapere e
agirò di conseguenza, altrimenti preparatevi ad una lunga
lettura (almeno mi faccio perdonare questo ritardo ignominioso!)
:D
Ovviamente, spero che
ciò che abbiate letto, vi sia piaciuto e che nonostante
l'estremo ritardo di pubblicazione, siate ancora legate a questa storia
e non vi siate stancate di attendere. Per me è molto
importante, perché è il mio primo figlio e
sarò sempre legata ai miei bambini per cui sarei davvero
felicissima, se anche voi che l'avete letta, foste legati ad Emile e
Pasi e a tutti gli altri personaggi. Spero di non deludervi sul finale
e spero che una volta terminata, questa storia rimanga in qualche modo,
con voi. Di me, ovviamente, sarà sempre parte, una parte
davvero importante e profonda.
Il prossimo (e
*sigh*
ultimo) capitolo, sicuramente non tarderà come questo,
conto di pubblicarlo nel giro di un paio di settimane al
massimo.
E giusto
perché sono un grande bradipo e perché tutto
ciò che faccio è sempre un po' sofferto, arrivo
solo al penultimo capitolo, con le immagini dei miei bambini. Ho
impiegato due vite per trovare i visi perfetti per tutti loro e
purtroppo, in alcuni casi (per non dire in quasi tutti) ho dovuto
armeggiare di Photoshop per rendere l'aspetto giusto (viso, capelli,
occhi etc etc) con risultati non sempre eccelsi. La foto che ritrare
Francesco e Filippo è abbastanza orrida e conto di cambiarla
o di migliorarla, ma almeno, potete farvi un'idea dei volti di quei
due. So che sicuramente, arrivati a questo punto, avrete tutte
un'immagine precisa di loro, ma almeno, sapete come li vedo io
:D
Questo è
l'album in cui potete vedere tutti i volti dei miei bambini:
Rosso
come il Destino
per
immagini - Album Fotografico
Per ora è scarno, ma conto di riempirlo con
altre immagini che rammentino alcuni momenti della storia, oltre a
mostrare i volti di tutti i personaggi.
Hope you Like it ^_^
Ah, stavo per
dimenticare: se volete sentire, Unforgiven
II, la canzone che Emile canta sulla
spiaggia (per la gioia di Francesco xD), è qui
sotto, sia in versione originale che acustica (più simile a
come l'ha cantata Emile):
*Disclaimer*
A me questa song piace e non ho nulla contro i Metallica,
sia chiaro, mi dissocio dalla mia creatura! :P
Buon ascolto ^_^
Angolo dei Ringraziamenti
Un grazie di proporzioni
cubitali, ve lo meritate esclusivamente per la pazienza che avete
avuto, nell'attendere quest'aggiornamento. Odio far aspettare, ma
purtroppo, la mia Ispirazione è stata davvero pessima, se
non inesistente per mesi.
I grazie più
sentiti, vanno come sempre alla mia beta/tomodachi Fiorella Runco,
madrina ufficiale di questa storia, che per prima mi ha invogliata a
pubblicarla e che ogni volta che legge un capitolo, mi fa sentire come
se avessi scritto un capolavoro <3
Un milione di grazie alle mie sorelline speciali, che hanno letto
questa storia sin dall'inizio: Niky, Vale, Concy, Saretta: con le vostre recensioni e
l'affetto che avete dimostrato a questo racconto, senza contare la
partecipazione emotiva, avrei perso una delle maggiori spinte a
continuare. Un grazie infinito non ve lo leva proprio nessuno!
Così come un grazie immenso va alla mia Cicci, che ha
letto una serie interminabile di capitoli in pochi giorni, rimettendosi
in pari con gli aggiornamenti e scoprendo una certa affinità
con Emile, che è ormai il suo gemellino (e come
potrei non adorarti per questo, moglie?
<3<3<3).
Un grazie immenso va Dreamer_on_earth
e a ThePoisonofPrimula/hitori_janai,
che si sono legate ad Emile e Pasi in modo splendido: ogni vostra
recensione, mi ha fatto sentire speciale, ogni vostra dimostrazione
d'affetto verso i miei bambini, mi ha riempito di gioia. Grazie,
grazie, grazie, davvero! <3<3
Un grazie grandissimo va a KiraYashal,
la mia adorata admin, perché si è appassionata
dal primo capitolo e ha a cuore questa storia al pari di chi l'ha
seguita dalla sua nascita. Grazie davvero tantissimo, per il tuo
affetto e la partecipazione!
E un grandissimo grazie, va a Sheylen, la
mia omonima, che sta leggendo questa storia, lasciando puntualmente una
recensione ad ogni capitolo, nonostante i numerosi impegni la
tengano lontana dal sito spesso e volentieri. Grazie davvero
tantissimo. <3
E grazie tanto ma davvero tanto ad Ana-chan ed Ely,
perché anche se si sono fermate nella lettura, so che hanno
apprezzato questa storia e che continuano a sostenermi. Grazie
sorelline, davvero tanto tanto ma proprio tanto!
Un grandisimo e immenso grazie va anche ad Airis, una
delle mie bloodysisters, che nel giro di tre giorni, ha letto questa
storia tutta d'un fiato, facendomi sentire davvero molto, ma molto, ma
molto contenta e soddisfatta. Non sai che gioia mi hai dato sister,
grazie davvero tantissimo!!!!!
E ovviamente, grazie tantissimo
a tutte voi che leggete in silenzio, che avete avuto la pazienza di
attendere che aggiornassi, senza abbandonare questa storia e che mi
fate sentire in grado di scrivere qualcosa che possa
appassionare. (me lo lasciate un ricordo al
prossimo capitolo? *me fa gli occhi dolci*)
Grazie davvero a tutte voi, dalla prima all'ultima!!
demigirlfun, Heaven_Tonight,
Jude92, lillay,
Minelli,
samyoliveri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
firstlost_nowfound,
incubus life,
JennyChibiChan, kikka_love94, princy_94,
Ami_chan,
Amy_, Camelia Jay,
chicchetta,
costanzamalatesta,
cris325,
Deademia,
epril68,
georgie71,
gigif_95,
IriSRock,
Iulia_E_Rose,
jejiia,
KarlyCatt,
kiki0882,
LAURA VSR,
Lilly Aylmer, matt1,
myllyje,
nicksmuffin,
Origin753,
petusina, Queensol, sel4ever, smile_D, Veronica91, you are special,
_anda.
Grazie grazie e sempre
più grazie!!
ARIGATOU GOZAIMASU!!!!!!
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Capitolo 33 *** Capitolo 33 ***
Capitolo 33
Nei
giorni successivi, mi misi in pari con il resto del gruppo: chiamai
Rita e
andai a trovare Sofia e saltai letteralmente addosso a Lucien, quando
tornai in
quella che era diventata la mia seconda casa. Nonostante fosse con noi
da pochi
mesi, ormai lo consideravo parte integrante del gruppo e mi stupii
quando,
rivedendolo, realizzai quanto mi fosse mancato anche lui.
Io
e le distanze, proprio non andavamo d’accordo.
E
questa constatazione non fece che incupirmi.
I
giorni passarono in fretta e i GAUS terminarono tutte le pratiche per
il lancio
dell’album: Settembre era iniziato e il tour era ormai
prossimo.
Emile
era ogni giorno più entusiasta, più energico.
Vedevo il suo sguardo accendersi
di quella luce d’acciaio sempre più spesso ed ero
consapevole che in cuor suo,
non vedeva l’ora di partire per conquistare i palchi su cui
si sarebbe esibito.
Non
potevo essere infelice a causa di qualcosa che lo rendeva
così elettrizzato e
vivo, per cui iniziai paradossalmente, ad amare anch’io
l’idea che presto
sarebbe partito.
Volevo
quanto lui che la sua musica fosse conosciuta e apprezzata.
Avevo
la sua stessa volontà che riuscisse dove sua madre si era
arresa.
E
soprattutto, avevo giurato a me stessa, che sarei sempre stata un
appoggio per
lui.
Non
potevo permettermi di odiare qualcosa che rappresentava la sua
felicità,
soprattutto quando vedevo il suo sguardo finalmente acceso di vita.
Anche
se la sola idea di separarmi da lui, continuava a causarmi delle grosse
fitte
al centro del petto.
A
due settimane di distanza dalla partenza del gruppo per il tour, anche
la
grafica della copertina e dell’intero booklet
del CD erano stati completati e il prodotto finito era già
in mano della band.
Il
disegno di Alberto fu inserito come cover rispettando la
volontà del frontman e
sopra di esso, campeggiava il nome della band con il titolo del CD: Made of Steel .
All’interno,
una serie di foto della band (sia al completo che dei singoli
componenti),
accompagnava le lyrics di dieci dei dodici brani; essendone due,
puramente
strumentali.
Eravamo
nella sua tana nel sottoscala, quando Emile mi porse la prima copia del
CD tra
le mani. Appena giunta a casa sua, mi condusse direttamente
nell’ambiente
adiacente alla saletta e arrivando prima di me al tavolino, prese
quell’oggetto
prezioso dal ripiano, per poi porgermelo con un sorriso estatico.
Appena
mi resi conto di cosa si trattasse, tremai
per l’emozione: era tutto così
professionale, così simile ai
dischi che avevo lasciato in camera mia e consumato a iosa, quando
vivevo con i
miei genitori!
Realizzai
in quel preciso istante, che il mio Pel di Carota stava per diventare
un vero
professionista e che entro pochi mesi, la sua musica sarebbe stata
conosciuta
da milioni di persone.
«Streghetta,
cos’hai?»
Emile
mi guardava incuriosito, mantenendo una luce di pura soddisfazione
nello
sguardo e quella scintilla d’acciaio che gli avevo visto
sempre più spesso
negli ultimi tempi, quell’acciaio che dava il nome
all’album e che
rappresentava tutti i colpi di martello ricevuti dalla band, per poter
essere
forte e indistruttibile come quel metallo.
«Non
ho parole, Emile!»
«Tu,
sei senza parole? La fine del mondo è proprio vicina,
allora!» fece quella
battuta senza perdere minimamente l’entusiasmo e quella luce
vitale negli
occhi.
«Non
so davvero che dire, è… stupendo, meraviglioso,
è come una magia… Abbiamo
parlato così tanto di quest’album, ti è
costato così tanta fatica… ed ora
eccolo qui, così piccolo, eppure così
grande… così carico di lavoro, sacrificio
e speranza…»
«Wow,
menomale che non sapevi cosa dire!»
«Tu
non sei emozionato? Io sto tremando e non è nemmeno roba
mia!»
Emile
mi sorrise affettuoso: «Non sto più nella pelle,
ma prima di dare sfogo alla
mia soddisfazione, voglio testare l’impatto delle nostre
canzoni sul pubblico.
Solo allora potrò lasciarmi andare davvero
all’entusiasmo.»
«Pignolo
come sempre.»
«Realista
semmai: è inutile farsi prendere dalle illusioni, senza aver
prima avuto un
riscontro con la realtà.»
«Ha
ragione tuo padre, tra voi due il più vecchio sei
tu.»
«Questo
vecchietto però gode dei tuoi apprezzamenti, se non
erro.»
«Sì…
a volte.» tenni un’aria fintamente sostenuta,
preparandomi al contrattacco del
mio rossino, quando la mia attenzione si concentrò su
qualcos’altro: «E
queste?»
Sul
tavolino nella stanza adiacente alla saletta, c’era una serie
di fotografie di
Emile e di tutta la band.
«È
il resto del photoshoot che è servito per il booklet del CD.
Queste sono le
foto che non sono state più utilizzate, ce ne hanno dato una
copia.
Essendo
adattato al formato del CD, il booklet era di dimensioni ridotte e le
foto
della band al suo interno, non particolarmente dettagliate. Quelle sul
tavolo
invece, avevano delle dimensioni notevoli e potei ammirarne tutti i
dettagli.
Il
fotografo aveva usato un filtro grigio, che dava a tutto il servizio
una luce
metallica e cupa da cielo nuvoloso, ma nonostante quei toni scuri, i
capelli di
Emile restavano accesi come lingue di fuoco.
Tutti
i membri della band avevano un’aria grave e decisa e tutto il
photoshoot
ricordava l’acciaio del titolo dell’album. Ognuno
di loro aveva anche il suo
personale primo piano, in cui risaltava la luminosità degli
occhi e la fiera
volontà nello sguardo.
Persino
Claudio sembrava un soggetto interessante e carismatico: per un momento
dimenticai persino l’odio smisurato che mi travolgeva al solo
guardarlo e lo
percepii come se fosse un perfetto estraneo e vidi un volto
interessante, che
avrebbe sicuramente attratto le fans.
Ma
io lo conoscevo bene e quella sensazione durò solo per
qualche istante, dopo
tornò ad essere il solito arrogante, odioso, perfido e
maligno vigliacco, che
aveva gettato Emile nello sconforto più nero a causa del suo
stupido rancore.
Guardando quella foto di Claudio, gongolai pensando che
nell’album successivo,
quell’immagine sarebbe stata sostituita da quella di Luca. Mi
sarebbe piaciuto
vederlo protagonista di quel photoshoot che stringevo tra le mani: con
i suoi
piercing e i suoi tatuaggi, sarebbe stato perfetto, ritratto nella luce
metallica e fredda di quel servizio fotografico.
Feci
un silenzioso sospiro e mi diedi forza, pensando che tutti i passi
fatti fino a
quel momento, non facevano altro che ridurre il tempo di Claudio
insieme ai
GAUS. Ormai la sua
carriera con loro
stava percorrendo il tratto in discesa e avremmo dovuto solo stringere
i denti
per un po’, prima di liberarci definitivamente di lui.
Quasi
come se fosse un passaggio rituale, misi alle spalle quella foto
fastidiosa e
mi concentrai sulle altre. Oltre ad essere ritratti singolarmente, i
gemelli
erano i protagonisti una foto in cui erano insieme, dandosi le spalle
mentre la
luce cupa illuminava il volto di uno per lasciare in ombra
l’altro, come se
fossero il corrispettivo musicale dello Yin e dello Yang. Era una foto
di
grande effetto e mi dispiacque che non fosse stata inserita nel
booklet, sperai
che la casa discografica, decidesse in seguito, di sfruttarla per
qualche altro
tipo di promozione.
Andai
avanti e vidi anche la foto di Maurizio: era insieme alla sua chitarra
e
osservava avanti a sé, verso l’orizzonte. Aveva
un’aria distante e pensierosa,
molto simile a quella che aveva nella realtà.
Probabilmente
se, come pensavo, i gemelli avevano avuto qualche difficoltà
nel rimanere seri
davanti all’obiettivo, per Maurizio sarà stato
estremamente facile assumere
quell’aria cupa e concentrata.
Le
foto migliori le avevo conservate per ultime, per potermele godere in
pieno. Il
mio Emile era terribilmente fotogenico: qualsiasi fosse lo stile della
foto, la
sua risultava sempre una figura che comunicava con
l’osservatore.
Così
come osservava direttamente il pubblico quando cantava, allo stesso
modo aveva
uno sguardo diretto e penetrante verso l’obiettivo. Il grigio
dei suoi occhi
non faceva che richiamare il metallo dell’acciaio, come se
lui fosse l’esatta
incarnazione dello spirito che pervadeva quell’intero album.
E
quando il suo viso era distante, allora era la sua figura a raccontare
di sé e
sopra ogni cosa, lo erano quei riccioli ribelli che sfuggivano al
controllo e
che catturavano l’osservatore con le sue lingue di fuoco, in
mezzo a tutto quel
grigio metallico.
Mi
resi conto con un improvviso contrarsi del cuore, che Emile era nato
per stare
sul palco, era destinato a parlare alle folle, era scritto nel suo DNA
che
dovesse diventare un frontman. Volente o nolente, avrei dovuto
dividerlo con il
pubblico e uno stuolo scalmanato di fans… Perché
ovunque fosse stato, ne avrebbe
sicuramente avuti di fans, avrebbe sicuramente avuto un impatto sul
pubblico
tale, da restare per sempre impresso nelle loro menti.
Sì,
Emile era destinato al successo, ne ero certa.
Al
successo e alle fans invadenti.
Prima
me ne sarei fatta una ragione e meglio avrei accettato quella
realtà, quando si
fosse avverata.
«Streghetta…
ti sei incantata di nuovo?»
Mi
girai verso di lui, con ancora le foto in mano e
l’abbracciai: d’un tratto
sentii il bisogno urgente di stringerlo a me, per ricordare ad entrambi
che lui
era mio, che nessuno avrebbe mai dovuto osare mettere le sue mani su di
lui.
«Ehi!
Pasi, che c’è?»
«Niente…
voglio stare così per un po’, voglio stringerti a
me.» Con un movimento
leggero, Emile prese le foto dalle mie mani e le poggiò sul
tavolo, per poi
stringermi a sé a sua volta:
«Possiamo
restare così quanto vuoi.»
Serrai
la mia stretta sulla sua vita sottile, avrei voluto fondermi con lui in
quel
momento, per poter essere sempre insieme, ovunque fossimo andati.
«Emile…
io ti amo.»
Non
era la prima volta che glielo dicevo: da quella mia confessione un
po’
burrascosa, nella saletta dell’ospedale, avevo ripetuto
ciò che provavo per lui
tante volte, ma in quel momento sentii così forte dentro di
me la profondità
dei miei sentimenti, che mi sembrò di dirglielo per la prima
volta in assoluto.
Probabilmente quella era davvero la prima occasione in cui tutto il mio
essere,
tutta la mia anima, i miei muscoli e le mie ossa, dichiaravano
all’unisono il
mio amore ad Emile.
E
forse il mio Pel di Carota percepì quella differenza
sottile, perché a sua
volta strinse maggiormente il mio corpo al suo e poggiò il
viso sulla mia
testa, quasi come se volesse ripiegarsi intorno a me:
«Sei
la mia casa, Pasi.» prese una piccola pausa, mentre il mio
cuore subì un
arresto istantaneo «È da te che vorrò
sempre tornare, è da te che tornerò
sempre.»
Rimasi
in silenzio, commossa da quelle parole, tremante per la portata delle
emozioni
che stavo provando in quel momento: ero felice, ma ero anche spaventata
al
pensiero che tutto ciò potesse terminare, terrorizzata
all’idea che potessi
perdere per un motivo o un altro, quel pezzo di Paradiso che stavo
costruendo
insieme ad Emile.
«Quando
partirò, porterò con me la tua chiave, ne
farò un ciondolo che terrò sempre con
me e non toglierò mai. E quando tornerò, la prima
cosa che farò, sarà usarla
per venire da te. Mi mancherai tantissimo, mia piccola e adorabile
strega.»
Avevamo
affrontato quel discorso sempre dibattendo, ognuno fermo sulle proprie
prese di
posizione: quella era la prima volta che Emile sembrò
comprendere la mia
tristezza e la mia paura al pensiero del distacco da lui e quella frase
così
dolce e rassicurante fu una benedizione, un piccolo sigillo che
riuscì ad
arginare le mie
paure irrazionali.
A
quel punto la mia commozione prese il sopravvento e finii col piangere
lacrime
silenziose, abbracciata al mio Emile, che altrettanto in silenzio,
continuò a
tenermi stretta a sé, accarezzandomi la testa con una mano.
*****
Più
si avvicinava il momento della partenza di Emile, maggiormente
trascorrevo il
tempo libero a casa sua. Sapevamo entrambi che la mia presenza costante
poteva
rischiare di soffocarlo, ma era anche vero che in quella casa, mi
sentivo
talmente a mio agio, talmente bene, che non era necessario che
trascorressi
esattamente tutto il tempo in sua compagnia. Mi bastava sapere che
condividevamo le stesse mura, potevo anche trascorrere la maggior parte
della
giornata in compagnia di Lucien o di Alberto, ma sarei stata rilassata
sapendo
che in qualsiasi momento avessi voluto, mi sarebbe bastato fare un
passo per
vedere il mio Pel di Carota.
La
domenica ormai, era fissa la mia presenza a pranzo in casa Castoldi:
era
l’unico giorno in cui tutti gli abitanti di quella casa
fossero presenti e
quello del pasto era il momento più adatto per stare tutti
insieme e unire i
vari elementi della famiglia.
In
una di quelle occasioni, quando avevamo appena finito di prendere il
caffè,
d’un tratto Emile si rivolse a suo cugino:
«Lucien
vieni, ti faccio vedere ciò di cui ti parlavo.»
«Oui.»
«Ehi,
non crediate di scamparvela così! Ci sono i piatti da
lavare, scansafatiche!»
Alberto richiamò i due ragazzi ai loro doveri, ma stava
sorridendo soddisfatto
nel vederli allontanarsi insieme.
«Sai
cos’hanno da dirsi, quei due?» mi chiese, con un
sorriso estatico sul volto,
mentre iniziava a sparecchiare.
«Per
niente… forse Emile vuole fargli vedere il CD, non parla
d’altro ormai!» dissi
fintamente risentita, aiutando Alberto a ripulire.
In
quell’ultimo periodo, quel testone del mio ragazzo doveva
essere talmente
felice e soddisfatto, da sentirsi ben predisposto verso gli altri o
forse in
virtù del fatto che a breve sarebbe partito, aveva capito
che la famiglia è un
bene prezioso… Fatto stava, che Emile aveva ufficialmente
messo da parte i suoi
pregiudizi nei confronti di suo cugino.
Quando
Lucien era arrivato in quella casa, quei due avevano trascorso del
tempo
forzatamente insieme, quando
si erano
trovati alle prese con il pranzo da preparare o i lavori domestici da
dividersi
e pian piano, Emile aveva messo da parte quel suo atteggiamento
aggressivo e
pieno d’odio, che aveva mostrato quando il cugino era giunto
dalla Francia,
anche se aveva mantenuto una certa distanza tra loro, non permettendo al francese di
avvicinarlo. Ma da quando Lucien
era tornato dalle vacanze, il mio Pel di Carota aveva iniziato ad
abbattere
anche quell’ultimo muro, avvicinandosi al cugino attraverso
discorsi su libri e
musica, arrivando persino a trovarsi d’accordo con lui nei
riguardi di qualche
autore che amavano entrambi.
Era
una gioia per gli occhi vedere quei due seduti uno di fronte
all’altro che
conversavano e a volte li lasciavo soli volontariamente, per far
sì che
cementassero il loro legame.
«Sono
così felice che finalmente abbia accettato Lucien.»
«Anch’io
bambina mia, anch’io… Claudine sarebbe stata
felicissima di vedere suo figlio e
suo nipote che parlano come due fratelli. Sperava di riuscire a tornare
in
Francia e di farsi accettare da Odette attraverso i bambini. Diceva che
la
nuova generazione avrebbe potuto cancellare i dissidi tra le loro
madri. Lucien
aveva due anni quando ma chère rimase incinta e
all’epoca era figlio unico;
Claudine sperava di poter far giocare insieme i bambini e di farli
crescere
come due fratelli.» Alberto sorrise, ricordando i desideri di
sua moglie e non
potei che fare lo stesso, soprattutto tenendo presente che forse,
almeno quel
sogno di Claudine, poteva finalmente realizzarsi.
«Sono
sicura che sarà così e magari Emile
avrà voglia di conoscere anche il resto
della famiglia, in seguito!» dissi quella frase con impeto,
ma subito dopo
averla detta, mi resi conto che forse stavo diventando troppo
ottimista…
«Di
questo non ne sarei tanto sicuro, bambina, sappiamo benissimo quanto
sia
testardo quel ragazzo, vero? Ma mai dire mai, potrebbe
stupirci!» Alberto rise
ed io rimasi in silenzio, mentre gli davo una mano a lavare le
stoviglie,
crogiolandomi in quell’attimo di pura felicità.
Non
è necessario vivere avventure fuori dal comune o sentirsi
dire frasi plateali,
per scoprire la felicità. Quella vera, quella più
essenziale e pura, è nelle
piccole cose. È nel calore di un abbraccio, in un sorriso
scambiato con una
persona a cui vuoi bene, in una battuta di spirito compresa solo da te
e dal
tuo migliore amico, è nel vedere al tuo risveglio il volto
della persona che
ami o nell’aiutare colui che reputi al pari di un padre, a
risistemare la
cucina, condividendo la gioia di vedere due persone che amate, andare
finalmente d’accordo.
Ero
immersa in quelle riflessioni, con un sorriso sereno sul viso, quando
d’un
tratto, Alberto mi distolse dai miei pensieri: «Pasi,
seguimi.»
«Ora?
Ma… e i piatti?»
«Lasciali
lì, li faranno quei due scansafatiche!
C’è una cosa che devo darti.»
«A
me? Ma perché? È successo qualcosa?»
seguii Alberto nel salotto.
«Ricordi
quando ti ho sporcato il vestito con i colori? Ricordi cosa ti dissi?
Che ti
avrei ripagato per il danno.»
«Ma
no! Ancora stai pensando a quella faccenda? Il vestito è
recuperato, non è
rovinato definitivamente, perciò non stare più a
preoccuparti!»
«Non
esiste, ho sempre pagato i miei debiti e sempre lo farò e
comunque sia, è
troppo tardi ormai, il tuo risarcimento è pronto.»
Il padre di Emile, si
arrestò accanto alla credenza.
«Non
puoi portarlo indietro al negozio… qualunque cosa
sia?»
«È
letteralmente impossibile, a meno che tu non conosca qualche formula
chimica
per far tornare indietro nel tempo gli elementi…»
Quella
risposta mi lasciò alquanto perplessa.
«Che
vuoi dire? Mi ha preso un kit da “Piccolo
Chimico”?»
Alberto
si sporse verso il retro del mobile e allungò un braccio a
prendere qualcosa,
che evidentemente era stato nascosto in quel punto… Nel
frattempo, si fece una
risata sentendo la mia domanda.
«Bambina
ma cosa vai a pensare? È qualcosa di molto più
semplice… tieni, aprilo.» mi
porse un pacco dalle dimensioni notevoli, ma dal volume molto
piatto… Era di
forma rettangolare e
aveva tutta l’aria
di essere…
«È
tuo, vero? È opera tua?» dissi emozionata, prima
ancora di aprire il pacco, al
solo pensiero che Alberto avesse dipinto un quadro esclusivamente per
me.
«Coraggio
aprilo, inizio ad avere l’ansia da prestazione!» Il
padre di Emile sorrise come
sempre, ma c’era una piccola nota di tensione nella sua voce:
era davvero in
ansia di sapere se mi sarebbe piaciuto il suo quadro! Come poteva
lontanamente
supporre il contrario? Dopo tutte le opere che avevo visto nel suo
laboratorio,
mi ero fatta un’idea ben precisa del suo stile e sapevo che
qualunque cosa
avesse dipinto, l’avrei letteralmente adorato per quel senso
di vitalità e di gioia
di vivere che sapeva infondere persino alle nature morte. E invece
quell’uomo
che amavo come un padre, era lì davanti a me, come un
inesperto ragazzino, in
preda all’ansia di sapere se la sua opera fosse stata gradita
o meno.
Iniziai
ad aprire il pacco, mentre gli risposi per tranquillizzarlo.
«So
già che l’amerò, non
c’è bisogno che ti agiti, comprerei tutti i tuoi
quadri ad
oc…»
Non
terminai la frase, perché d’improvviso la gola mi
si chiuse e la commozione mi
zittì del tutto: avevo aperto il pacco solo nella sua parte
superiore, ma le
teste che vidi spuntare da quel dipinto, mi toccarono il cuore come se
avessi
già visto l’opera completa.
I
membri della famiglia Castoldi, in quel quadro erano tutti vicini,
tutti adulti
e sorridevano felici uno accanto all’altro. E già
così, quel dipinto era un
cimelio, perché rappresentava il sogno utopistico di Emile e
di Alberto, di
avere Claudine serena e felice accanto a loro… un sogno che
non si sarebbe mai
avverato. Ma ciò che mi fece crollare del tutto, fu vedere
accanto a quelle
teste, anche una quarta, dai capelli neri e dal sorriso sbarazzino,
quel
sorriso che non mi abbandonava mai…
«Allora,
ti piace? Mentre dipingevo il ritratto di ma chère, mi sono
reso conto che
avrei potuto continuare a dipingere il suo volto in tutti i modi e con
tutte le
espressioni che preferivo. Così ho deciso di mettere
Claudine nel luogo che più
di tutti l’attendeva: accanto alla sua famiglia. E a quel
punto ho deciso che
avrei potuto fare anche di meglio, avrei potuto dipingere la famiglia
al
completo.»
La
mia reazione a quelle parole e al dipinto che si era svelato lentamente
ai miei
occhi, fu così improvvisa e forte, che sorprese anche me:
m’inginocchiai a
terra, scossa dalle lacrime che scorrevano violente e inarrestabili sul
mio
viso. Ero talmente felice di vedere il mio volto accanto ai loro, ero
così
immensamente felice di vedermi parte di una famiglia, che quando mi
resi conto
della violenza di quell’emozione, iniziai a singhiozzare
sonoramente.
«Ehi,
piccola mia, cos’hai?» Alberto si chinò
accanto a me preoccupato e mi abbracciò
mentre io, ancora scossa da quelle lacrime violente, riuscii solo a
ricambiare
quel gesto, senza proferire parola.
«Pasi,
c’è qualcosa che ti ha turbato in quel quadro? Se
è così non prenderlo, non ti
preoccupare, ne farò un altro per te.»
Feci
un cenno di diniego con la testa e provai ad abbozzare una risposta:
«È… è…
bellissimo… sono… felice…» e
continuai a singhiozzare…
«Oh
beh, allora credo che la tua felicità tra poco ci
farà chiamare un idraulico!»
risi a quella battuta e continuai a stringermi a lui.
«Coraggio
bambina, cos’è questa valle di lacrime? Non ti si
addice! Su, fammi un
sorriso.»
Alberto
alzò il mio viso verso il suo e fece una smorfia buffa con
il viso, che riuscì
a farmi ridere.
«Oh,
così ti voglio, vedo che la mia cura funziona…
sei fortunata, sennò sarei
dovuto passare alla terapia d’urto: il solletico.»
«No,
no, il solletico no!» Finalmente trovai il fiato per parlare
e riuscii a
riprendere il controllo di me, necessario a non avere più i
singhiozzi.
«Visto,
sei tornata a parlare: le minacce funzionano!» sorrisi ancora
lacrimante e mi
asciugai quelle ultime gocce traditrici.
«Io…
non so da dove iniziare a ringraziarti… Questo quadro
è bellissimo, perché ci
siete tutti voi e ci siamo tutti noi… Non mi sono mai
sentita parte di una
famiglia così come in questa casa e vorrei tanto che
Claudine fosse ancora qui
con noi…» a quel punto un sospetto tremito nella
voce, mi costrinse a prendere
una pausa per riprendere il controllo, mentre io e Alberto restavamo
inginocchiati accanto al dipinto «Non potrò mai
ringraziarti abbastanza, per
avermi donato una famiglia a cui appartenere.»
Alberto
mi guardò con tutto l’affetto di cui era capace e
mi strinse in un abbraccio:
«Continui a sottovalutarti, bambina mia. Quello che ho fatto
è niente rispetto
a ciò che hai fatto tu per tutti i componenti di questa
famiglia. Includerti
era il minimo che potessi fare.»
Mi
crogiolai nella stretta affettuosa di quell’uomo adorabile,
ma dopo poco fui
distratta dalla voce di Emile, che doveva essere tornato in cucina,
insieme a
Lucien:
«Gliel’ho
detto anch’io, ma non ha voluto asc… ma dove sono
andati? Ehi papà! Ci hai
lasciato tutto questo caos da rimettere a posto?!»
Alberto
sorrise soddisfatto, prima di rivolgersi a me, sottovoce:
«Che ne dici, andiamo
ad aiutarli?»
«Ma
dove diavolo si sono cacciati quei due, basta che giro lo sguardo per
un attimo
e spariscono!»
Sorrisi
sentendo la preoccupazione di Emile: aveva sempre scherzato sul legame
tra me e
suo padre, ma quell’ansia improvvisa iniziava a farmi pensare
che fosse davvero
geloso.
«Saranno
nel laboratorio, Oncle Albert non doveva darle il quadro?»
«È
vero… beh allora iniziamo a far qualcosa, altrimenti diranno
che siamo due
scansafatiche!»
A
quel punto, io e Alberto ci alzammo e andammo in cucina, ma il padre di
Emile
non aspettò di essere visto, per farsi sentire:
«Voi
due infatti, siete degli scansafatiche! Altrimenti non vi sareste
alzati così
in fretta, prima ancora che terminassimo di prendere il
caffè.»
Emile
trasalì per la sorpresa, non si aspettava di sentirci
arrivare dalla stanza
attigua: «Ma che dia… Si può sapere che
facevate lì? Giochiamo a nascondino,
ora?» il suo sguardo si posò su di me e dovette
vedere i miei occhi gonfi di
lacrime, perché la sua espressione si oscurò di
preoccupazione all’istante:
«Pasi, cos’hai? È successo
qualcosa?» venne immediatamente accanto a me,
accarezzandomi il viso.
«Credo
che il mio regalo le sia piaciuto anche troppo.» disse
Alberto, sorridendo ed
io feci un cenno affermativo con il viso:
«È
bellissimo… non avrei mai potuto chiedere di
meglio.»
«Posso
vederlo?» disse Lucien incuriosito, mentre Emile mi
abbracciò protettivo.
«Sì,
è di là in salotto.»
«Andiamo,
sono curioso di vederlo completato.» il mio Pel di Carota
sciolse l’abbraccio,
prendendomi per mano.
Tutti
e tre andammo in salotto e rimasi accanto al mio ragazzo, mentre in
silenzio
guardava se stesso accanto ai suoi genitori e a me.
Lucien
apprezzò subito: «C’est trés
beau. Sembra quasi una fotografia.»
«Già…
una foto da una vita parallela.» disse Emile, con un tono
malinconico… e prima
che l’atmosfera si potesse appesantire, feci una battuta:
«Ora
Alberto dovrà farne un altro con Lucien!»
Il
mio Pel di Carota sorrise e rispose alzando la voce, per farsi sentire
volutamente, da chi non era accanto a noi: «No, no, se mi
ritrae di nuovo con i
capelli verdi, è meglio se la smette ora di fare il pittore
da strapazzo!»
«Ancora
questa storia? Se sei daltonico non è colpa mia!»
Alberto rispose direttamente
dalla cucina, senza nemmeno avvicinarsi a noi. Ecco che ricominciavano
a
beccarsi!
«I
miei occhi ci vedono benissimo, sono quelli di qualcun altro che
risentono
dell’età!»
«Intanto
il vecchietto in questione è stato lasciato da solo a fare
la cucina… siete un
branco di lavativi!»
Ci
ritrovammo a ridere tutti e tre e con il sorriso sul viso, tornammo dal
“vecchietto”, che proprio come un anziano, stava
continuando a borbottare sulle
nuove generazioni che non sapevano cosa fosse il sacrificio e il duro
lavoro.
Quel
quadro l’avrei appeso con grande orgoglio accanto al mio
letto, mi avrebbe
salutato al risveglio ogni mattina, ricordandomi qual era la famiglia a
cui
appartenevo.
*****
Alla
fine, arrivò il giorno ics, da me tanto temuto. Ma due
giorni prima che i GAUS
partissero per il tour, la band ci regalò un live nella
nuova formazione, così
potei finalmente sentire Luca alla batteria e riascoltare la voce di
Emile dal
vivo, direttamente su un palco. Il locale scelto per salutare il
pubblico che
da anni aveva seguito e sostenuto la band, fu il Dada
e mai scelta mi sembrò più adatta, dato
che personalmente, era
stato in quel locale che era nato il mio amore per Emile e per la sua
musica.
La
scelta non fu del tutto casuale nemmeno per la band: essendo il Dada tra tutti quella della zona, il
locale più frequentato, se non quello storico che aveva
visto esibirsi i GAUS
sin dai primi tempi della loro formazione, era il luogo più
adatto a
raccogliere tutti i fans e promuovere la vendita del CD, da una
settimana in commercio.
Sicuramente con quell’esibizione, si sarebbero assicurati una
buona fetta di
acquirenti per la loro prima fatica musicale.
Quando
rimisi piede in quel locale, venni travolta dall’emozione:
c’ero stata altre
volte da quella sera, ma quella era la seconda volta che ci andavo per
sentire
Emile e il paragone con la volta precedente, fu automatico. Allora ci
ero
andata per sfidarlo, per assicurarmi che quel gruppetto da quattro
soldi, non
fosse niente di eccezionale rispetto ai miei amati TresneT
e invece fui sconfitta su tutti i fronti, perché da quella
volta, Emile era entrato di prepotenza nel mio cuore per scombussolarmi
la vita
e quella sera, la prima sera in cui rimasi totalmente ammirata dal suo
modo di
cantare, non riuscii a dormire.
In
quella seconda occasione invece, conoscevo benissimo i brani, conoscevo
tutti i
componenti della band, e avevo imparato a conoscere la luce e
l’ombra che
caratterizzavano il frontman. Quell’esibizione la sentivo mia
in parte, perché
ero a conoscenza di tutti i retroscena, di tutti i passi condotti dai
GAUS, per
arrivare su quel palco, in quella sera.
Ero
ansiosa di assistere a quella performance e di vedere il pubblico in
estasi;
speravo con tutto il cuore che in quelle ore, tutti i presenti
sarebbero stati
fatti a fette dall’esibizione prepotente dei GAUS.
Insieme
a me come di consueto, venne Stè, proprio come quella
fatidica prima volta, con
l’aggiunta di Lucien, che aveva ritardato la sua partenza per
la Francia,
proprio per poter ascoltare suo cugino e che, alla luce del rapporto
che si era
creato fra loro, era emozionato quanto me, all’idea di
assistere a
quell’esibizione.
Il
resto del mio gruppo di amici non si unì a noi: Rita e Fede
avevano i
rispettivi impegni e avevo messo in conto sin dall’inizio che
non sarebbero
stati presenti, ma l’assenza di Sofi mi stupì. Ero
convinta che avrebbe
presenziato, non di certo per Emile, dato che non le era simpatico, ma
per
stare insieme a Lucien, considerato che negli ultimi tempi non avevano
avuto
modo di vedersi spesso. E invece, la mia riservata amica aveva
declinato
l’invito, dicendomi che doveva studiare in vista degli esami
che erano
ormai prossimi…
Chissà cosa le passava
per la mente!
Ma
a rendere quella serata ancora più speciale, fu la presenza
di Alberto.
Fino
ad allora, il padre di Emile non aveva mai potuto ascoltare suo figlio
sul
palco, perché era sempre stato impegnato ad accudire
Claudine. Quella era la
prima volta anche per lui, oltre che per suo nipote. Alberto però, non volle
venire con me e i miei amici,
mi disse che sarebbe apparso al momento opportuno e che non voleva
appesantire
noi ragazzi, con la presenza di un “vecchietto”.
Ribattei che lui era il
genitore più lontano dall’essere un vecchio che
avessi mai conosciuto, ma non
volle sentire ragioni: la testardaggine era una dote comune in quella
casa!
Nonostante
fossimo solo in tre, decidemmo di arrivare al locale relativamente
presto per
poterci accaparrare un tavolo in prima fila: non avevo alcuna
intenzione di
assistere al live dei GAUS con
le teste
degli altri astanti davanti al viso e non avrei mai permesso a me
stessa, di
non essere in linea diretta con gli occhi di Emile. Quel palco poteva
anche
dividerci nei nostri ruoli di cantante e pubblico, ma non avrebbe messo
ulteriore distanza tra me e il mio Pel di Carota!
Come
se stessimo ripetendo i passi di quella prima volta, arrivammo alle
ventuno e
trovammo il locale ancora sgombro dalla folla: nel momento in cui mi
diressi
trionfale verso un tavolo in prima fila, vidi che seduta ad uno di
essi, c’era
Iulia. Non avevo pensato minimamente a chiamarla, perché
davo per scontato che
fosse venuta con le sue amiche e vederla da sola a quel tavolo, mi fece
sentire
improvvisamente in colpa. Dal canto suo invece, Iulia mi venne incontro
sorridendo, com’era suo solito, senza darmi
l’impressione che fosse adirata con
me.
«Pasi!
Ma dove ti eri cacciata?»
La
guardai perplessa, di cosa stava parlando?
«Ciao
Iulia! Non mi aspettavo di trovarti già qui… per
cosa sono in ritardo?»
«Come
“per cosa”? Hai perso le prove!»
«Le
pro… Iulia, tu da quanto sei qui?» Non potevo
credere alle mie orecchie: quella
ragazza doveva essere nel locale da ore!
«Dalle
sei! Sono venuta con Franz, così avrei potuto assistere alle
prove… credevo che
ci fossi anche tu.»
«N-no…
non sapevo nemmeno che potessi venire a quell’ora!»
Iulia
mi guardò sconvolta: «Non ci posso credere! Ma
Emile quella bocca per che cosa
la usa?»
«…»
«Sì
vabbè, a parte le cose piacevoli, ovviamente!
Perché non te l’ha detto?»
sembrava davvero sorpresa che Emile non me ne avesse parlato…
«Non
lo so, forse non c’ha pensato.»
«Uhm…
in effetti non è abituato… non ha mai portato
qualche ragazza alle prove…»
Al
solo pensiero di Emile insieme a qualcun’altra, sentii il mio
stomaco
contrarsi: continuavo imperterrita ad essere gelosa del suo passato,
nonostante
sapessi che fosse un sentimento del tutto inutile.
«Però
a pensarci bene, nemmeno io li ho seguiti tanto spesso, anche se avrei
voluto… Immagino
che il Duce abbia fatto
sentire la sua volontà in molti casi.»
Già,
Emile non avrebbe tollerato la presenza di persone deconcentranti come
una
fidanzata. Quella che doveva essere l’unica volta in cui si
fosse concesso uno
strappo alla regola, era finita con un bel litigio corale tra lui e
Claudio e
tra lui e me… era ovvio che non mi avesse chiesto di essere
con loro al locale,
per assistere alle prove!
«Iulia!
Amoore come stai?»
Mi
voltai verso la voce che aveva interrotto i miei pensieri: due ragazze
erano
appena arrivate e si erano avvicinate a noi, con l’intento di
salutare la mia
compagna.
«Isa,
Deb! Da quanto tempo!»
Nonostante
le parole della mia interlocutrice fossero amichevoli, il tono usato
non lo
sembrava affatto: Iulia sembrava fingere una gentilezza che non
provava, il suo
tono di voce era alterato, sapeva di finto, come se stesse recitando
una
pantomima.
«E
la tua amica? Non l’ho mai vista prima.» disse una
delle due, una ragazza che
aveva un aspetto simile a quello di Iulia: il suo abbigliamento era
altrettanto
scuro, ma più barocco, corredato com’era di un
corpetto rosa cipria dai
merletti neri, che sovrastava una lunga gonna nera.
Un’acconciatura ricca di boccoli scuri e un
trucco altrettanto pesante completavano il quadro, dandole
l’aspetto di una
bambola inquietante.
«Oh
lei è Pasi, la ragazza di Emile.»
«QUELL’
Emile?» disse la seconda: una ragazza abbigliata di borchie,
con i capelli
biondo platino cortissimi e il trucco pesante: alla luce della
rivelazione di
Iulia, mi guardò con un nuovo interesse, scandagliando ogni
centimetro del mio
corpo ed io m’irrigidii in atteggiamento di sfida, aspettando
la sua prossima
esclamazione. «Piacere mio, mi chiamo Isa.» mi
allungò una mano poco convinta,
che strinsi con vigore.
«Il
piacere è tutto mio.»
Le
risposi con voce ferma e decisa: se pensava d’imbarazzarmi
col suo modo di
fare, aveva del tutto sbagliato soggetto e gliel’avrei fatto
capire subito!
«Ma
che piacere conoscere la nuova ragazza di Castoldi! Io sono
Deb.» Nonostante
l’aspetto non propriamente allegro, Deb mostrò un
atteggiamento molto più
socievole nei miei confronti, rispetto alla sua amica; mi
abbracciò
calorosamente e mi rivolse uno sguardo allegro, prima di aggiungere: «Benvenuta tra
noi.»
Nonostante
l’apparente cordialità, quella frase mi
lasciò scettica e balbettai un “Grazie”
poco convinto.
«Andiamo
Isa, lasciamo che Pasi si ambienti… ci vediamo dopo,
ragazze.»
Trascinandosi
l’amica, si allontanò da noi, lasciandomi
perplessa.
«Cosa
diavolo intendeva con “Benvenuta tra
noi”?» dissi a Iulia, senza nemmeno
attendere che quelle due fossero abbastanza distanti da non sentirci.
La mia
compagna fece una smorfia prima di rispondere:
«Stai
lontana il più possibile da quelle due, sono delle
iene.»
«Eh?»
«Deb
ha la capacità di mettere zizzania tra le persone
più unite e Isa è il suo
cagnolino fedele.»
«Eppure
sembrava tanto cordiale.»
«Sì,
è il sorriso di chi ti dichiara guerra.»
«Quindi
mi è stata dichiarata guerra? E per quale motivo?»
«Invidia.
Deb un paio di anni fa, era la vocalist di una gothic band che aveva
anche la
sua buona fetta di pubblico. Ma accadde qualcosa all’interno
del gruppo e i Bleedingthornes si
sciolsero e da
allora, Deb non fa altro che tentare di entrare nelle band
altrui… e nei letti
dei loro componenti!»
«Ah…»
«Un
anno e mezzo fa, durante un contest a cui parteciparono i GAUS mentre
lei era
la guest di una band, ci provò con Franz.»
«E
ovviamente lei sapeva benissimo che lui era il tuo
ragazzo…»
«Certamente:
ero con loro e sono stata tutto il tempo accanto a lui, tranne durante
l’esibizione e quando sono stati dietro le quinte.»
«Ho
capito… e quindi tu pensi che possa provarci anche con
Emile?»
Al
solo pensiero di quella tipa che provava ad allungare le sue mani
addosso al
mio ragazzo, mi sentii ribollire il sangue nelle vene: le avrei
staccato la
testa a morsi piuttosto che permetterle di avvicinarsi a lui!
«Ne
sono più che certa. Le piace provarci con quelli
già impegnati… gode quando
riesce a dividere una coppia, si sente potente. Con me e Franz non
c’è
riuscita, ma siamo stati quasi gli unici ad uscirne
indenni…»
Cercai
con lo sguardo quelle due nuove conoscenze e vidi che Deb in quel
preciso
istante, stava parlando con un ragazzo, dandosi arie da donna vissuta:
mi
fidavo di Emile, ma non avrei mai permesso che quella tipa si
avvicinasse a
lui!
«Isa
la segue sempre?»
«Sì,
è il suo cagnolino: fa tutto ciò che Deb le dice
di fare.»
«Come
Claudio e Maurizio?»
«Sì…
solo che questo caso è più complicato: Isa
è innamorata di Deb.»
«Ah.»
«Già…
e ovviamente lei lo sa, ma non fa assolutamente nulla per risparmiare
all’
“amica”, la visione di lei che ci prova con tutti.
Le piace l’idea di avere
potere su Isa.»
«Ma
sembra una telenovela!»
«In
effetti lo è. Nell’ambiente ci conosciamo tutti e
come spesso capita nei gruppi
sociali, vuoi per collaborazioni musicali, vuoi per puro
intrattenimento personale,
si stringono relazioni in continuazione all’interno di questa
comunità.»
«Un
modo gentile di dire che tutti si passano tutti, in pratica.»
«Sì,
detto in parole povere, questo è il succo del discorso.
Questo è un ambiente
ipocrita e difficile, Pasi, inoltre
anziché collaborare, i vari musicisti cercano di farsi le
scarpe l’un l’altro
per poter emergere… e
quando ci si
mettono in mezzo le case discografiche è anche
peggio!»
Guardai
sconcertata Iulia e una domanda fece capolino nella mia testa:
«A-anche le
altre… le ex di Emile erano
dell’ambiente?»
«Forse
ce n’è stata una… Sinceramente non
saprei risponderti con certezza, Emile non
ha mai fatto venire qualche ragazza ai live, probabilmente voleva
tenerle
lontane da quest’ambiente…»
«No,
probabilmente voleva tenerle lontane da lui.»
Come
aveva cercato di fare anche con me. Non voleva mischiare i suoi affari
personali con la musica.
Invece
io ero in quel locale, a dargli sostegno, a sentirlo suonare nuovamente
sul
palco dopo mesi…
«Ma
tu sei qui però e questo, è
importante.» disse Iulia, cercando di distogliermi
dai miei inutili attacchi di gelosia. Ma il suo tentativo fu superfluo,
perché
stavo già sorridendo, rincuorata al pensiero che quelle
fantomatiche ex che mi avevano
preceduto e di cui ero
patologicamente gelosa, non fossero mai state dov’ero io in
quel momento.
«Sì,
ci sono e ci sarò sempre!» dissi decisa, guardando
in direzione di Deb,
raccogliendo silenziosamente la sua sfida.
«Così
ti voglio vedere, Pasina! Dovremo essere forti, dovremo lottare per
difendere
ciò che è nostro e perché saremo noi
ad essere l’appoggio dei nostri ragazzi,
quando le cose diventeranno difficili.»
«Hai
ragione. Spero che ciò non accada mai, ma sono pronta a
tirare fuori gli
artigli, se dovesse essere necessario.» Iulia mi sorrise
soddisfatta e in quel
momento, Stè mi chiamò. Feci cenno al mio amico
che li avrei raggiunti al
tavolo e mi rivolsi alla mia compagna: «Se sei sola,
perché non vieni a sederti
al tavolo con noi?»
«Oh
no, stai tranquilla, tra poco arriveranno le mie amiche. Io sono
arrivata prima
per sentire le prove, ma le altre mi raggiungeranno presto.»
«Ah,
ok… ma se per qualsiasi caso volessi unirti a noi, un posto
per te al tavolo
c’è sempre.»
«Grazie
Pasina!» Iulia mi diede un bacio affettuoso sula guancia e si
accomiatò, mentre
io raggiunsi i miei amici.
Quando
mancava una ventina di minuti all’inizio
dell’esibizione, nel locale regnava il
caos: era impossibile riuscire a capire le parole del vicino senza
dover alzare
la voce e c’era anche il rischio che qualcuno si poggiasse
sullo schienale
della tua sedia e che finisse a darti una gomitata dietro la nuca!
Ero
seduta accanto a Stè che a sua volta aveva Lucien accanto,
perciò Testa di
Paglia sarebbe stato il mio interlocutore principale, anche se il caos
che si
era creato intorno a noi, non permetteva molto dialogo nemmeno col
proprio
vicino!
Tuttavia,
Stè decise di sfidare il caos infernale e iniziò
a parlarmi: sulle prime
faticai non poco per capire cosa diceva, ma quando captai alcune parole
e capii
qual era l’argomento del discorso, d’improvviso il
mio udito divenne perfetto.
«COOOOSA!?»
«È
così Testarossa, hai capito bene.» Stè
mi guardava con un’espressione
soddisfatta, per avermi sorpreso con quell’affermazione.
Non
riuscivo a credere a ciò che avevo sentito: Emile aveva
chiamato il mio amico
per parlargli! Al sentire quella notizia, un’ansia terribile
s’impadronì di me:
temevo di sapere cosa si fossero detti.
«Ehi,
stai bene? Sei impallidita
all’improvviso…»
Stè
sembrava parlare dell’argomento in tono tranquillo, non
sembrava risentito;
forse non c’era motivo di preoccuparmi…
«Ma...
p-perché? Per quale motivo? Cosa voleva da te?»
«Proprio
quello per cui stai facendo quella faccia preoccupata!»
Stè continuava a
sorridere e a prendermi in giro bonariamente, ma io non riuscivo a
rilassarmi
affatto!
«Oh
mio Dio! Stè io…»
«Sta’
tranquilla Pasi, non c’è stata alcuna discussione:
Emile è venuto per scusarsi
personalmente con me, per il suo modo di fare nei miei
confronti.»
Se
fossi stata la protagonista di un cartone animato, in quel momento
avrei dovuto
raccogliere i pezzi della mia mascella sparsi sul tavolo,
poiché quella fu la
sensazione che mi pervase: ero del tutto sbigottita! Emile mi chiedeva
scusa
facilmente quando capiva di sbagliare, ma conoscendo la sua chiusura
verso gli
altri e la gelosia che lo pervadeva se solo nominavo Stè,
sapere che fosse
andato di proposito da lui per scusarsi, mi lasciò senza
fiato! Dovevo avere
un’espressione alquanto idiota poiché il mio amico
si fece un’altra grande
risata a mie spese:
«Testarossa
dovresti vedere la tua faccia!»
«E
come vuoi che stia?! Sono del tutto senza parole!» riuscii a
riprendermi quel
tanto che bastava per ascoltare ciò che Testa di Paglia
aveva da dirmi.
«In
effetti ha lasciato sorpreso anche me. Ero consapevole che avesse
dell’astio
nei miei confronti, ma sai bene che non essendo la prima volta che
capita, non
ci ho dato troppo peso… Evidentemente lui si è
reso conto che ci soffrivi,
perché mi ha detto chiaramente che cercherà di
non comportarsi più in quel modo
astioso per il tuo bene, ma ha
aggiunto
anche, che per lui
sarò sempre una spina
nel fianco.»
Testa
di Paglia fece un’espressione perplessa e ironica: per
fortuna non l’aveva
presa male, nonostante Emile non fosse stato così remissivo
nel porgere le sue
scuse.
«Come
al solito gli manca l’umiltà… mi
dispiace che ti abbia detto una cosa del
genere!»
«Ma
no Pasi, non c’è nulla per cui offendersi: mi ha
parlato con calma, senza
alterarsi, mi ha detto semplicemente come stanno le cose, in modo che
io sappia
il motivo del suo comportamento una volta per tutte.»
«E
come stanno davvero le cose? Cosa ti ha detto di preciso?»
Non ero ancora
serena, il pensiero di Emile e Stè che si confrontavano, mi
creava ansia e un
senso di catastrofe imminente!
«Questo
resterà tra me e lui. Tu però rilassati, volevo
solo fartelo sapere per farti
sentire meglio.»
«E
come faccio a sentirmi meglio, Stè!?» La mia voce
iniziò a salire di tono… per
fortuna eravamo circondati dal caos e nessuno mi aveva sentito.
«Prima mi dici
che Emile ti chiama per parlare con te e poi non mi spieghi cosa ti ha
detto e
pensi che debba rilassarmi così!? Da quando, fai comunella
con il mio ragazzo?
Non eravamo amici io e te?!»
Il
mio amico fece un enorme sorriso affettuoso e mi diede un buffetto sul
viso:
«Noi
saremo sempre amici Testarossa, ma ci sono cose che non posso dirti.
È una cosa
tra uomini. Prendila come l’inizio dell’amicizia
tra me ed Emile.»
Mi
sorrise raggiante e mi lasciò di nuovo senza parole: Emile e
Stè amici… cosa
diavolo si erano detti? Possibile che un incontro tra loro, non fosse
sfociato
nel sangue? Ero davvero preda dell’ansia, con
l’intento di riempire di domande
il mio amico, finché non si fosse arreso e mi avesse detto
tutto riguardo
quella faccenda, ma la mia curiosità era destinata a non
essere appagata,
almeno non quella sera, perché d’improvviso si
spensero le luci e si accesero
quelle sul palco.
Emile
era al centro, come sempre in prima linea, nuovamente abbigliato di
nero, ma
stavolta i pantaloni in pelle e la cintura borchiata, gli davano un
look più
aggressivo ed incisivo. Come al solito, quel total black, faceva
risaltare per
contrasto i suoi riccioli rossi, che sembravano catalizzare tutta la
luce. Alla
sua destra, a stento riuscii a vedere Maurizio, che sembrava volersi
nascondere
nelle zone scure del palco, mentre Luca direttamente dietro Emile,
nonostante
ricevesse la luce, restava nascosto in buona parte dalla sua batteria:
“Lola”,
nipote della vecchia Betsy, per anzianità di acquisto. Mi
scappò un sorriso
pensando a quella mania di dare i nomi ai propri strumenti musicali e
osservai
il resto del gruppo: Francesco era alla sinistra di Emile, molto
più vicino a
lui di quanto non lo fosse Maurizio, ma quella era una scelta che
andava al di
là dei rapporti tra loro; i due gemelli rischiavano di
urtarsi con i propri
strumenti se fossero stati troppo vicini e visto che il frontman non
aveva
strumenti con sé, avvicinarsi a lui era la scelta migliore.
Filippo era
posizionato più indietro rispetto a suo fratello a
metà strada tra Francesco e
Luca e quella sera, aveva lasciato i capelli sciolti, rendendo ancora
più
palese la somiglianza con il suo gemello. Tutti i componenti dei GAUS
sembravano abbigliati di nero o al massimo blu, a parte Francesco che
aveva
scelto d’indossare un paio di jeans. Di Luca non avrei saputo
dire molto, dato
che vedevo a mala pena il suo viso, ma sembrava indossare un gilet
direttamente
sulla pelle, senza maglietta.
Quando
iniziarono a sentirsi le prime note, dimenticai tutti questi dettagli
sul look
della band e iniziai ad immergermi nel mondo musicale di Emile e dei
GAUS.
Nonostante
li avessi sentiti svariate volte, quella sera dovevano essere carichi
di
entusiasmo all’idea della partenza, perché
suonarono tutti con un’energia tale,
da rendere il suono molto più forte e incisivo. La loro
musica risuonava nel
mio battito cardiaco, l’onda sonora degli amplificatori,
sembrava far vibrare i
tavoli e tutto ciò che v’era poggiato sopra. Gli
assoli di Francesco mettevano
i brividi e la batteria di Luca era potente: avevo sentito Claudio
molto più
spesso e sapevo di cosa era capace e Luca ne era davvero un degno
sostituto,
aggiungendo quel tocco personale un po’ più freddo
e spigoloso, ma di grande
effetto.
Il
brano quasi omonimo al titolo dell’album, Steel,
era energico e deciso, con profondi accordi di basso e forti impennate
di
chitarra:
I’m
made of steel
My
blood is strong
My
flesh is unbreakable
Show
me
your strenght
I’ll beat you
|
Sono
fatto d'acciaio
Il
mio sangue è forte
La
mia carne è indistruttibile
Mostrami
la tua forza
Ti
batterò |
Ci
ritrovammo tutti in piedi a battere le mani a tempo, qualcuno
cercò persino di
pogare, ma lo spazio libero tra il pubblico e il palco era talmente
esiguo, che
non era possibile spostarsi più in là di qualche
centimetro.
Fu
emozionante riascoltare Ghost as I am,
la canzone dedicata al dolore di Claudine, quella che sentii al Sandbox
e che mi commosse quando
compresi di che parlasse…
I
see
your world
But
do
you see mine?
I’m
a
ghost now
Nobody
can see my scars
Nobody can hear my
scream
|
Io
vedo il tuo mondo
Ma
tu vedi il mio?
Sono
un fantasma ora
Nessuno
può vedere le mie ferite
Nessuno
può sentire il mio urlo |
A
quel punto mi venne spontaneo guardarmi intorno, in cerca di Alberto,
ma la
folla era talmente tanta, che fu letteralmente impossibile vederlo
senza
dovermi alzare e girare lungo tutto il locale. Sperai che fosse
riuscito ad
entrare prima che si fossero spente le luci, perché suo
figlio quella sera
stava dando il meglio di sé.
La
voce di Emile era calda, impetuosa, aggressiva: quel tono graffiante
era così
profondo e carico di emozioni diverse, che ogni canzone mi scuoteva
l’anima,
ogni brano riusciva a infondermi dei sentimenti diversi. Sentivo le sue
corde
vocali vibrarmi nel sangue, percepivo ogni piccola variazione di
tonalità come
se fossi stata sul palco accanto a lui e riuscivo ad emozionarmi, anche
per un
singolo acuto o un passaggio sussurrato. Quella sera, sentii il mio
amore per
lui scoppiarmi dentro, come se fosse stato troppo grande da trattenere
nel mio
corpo.
Ma
non c’era solo quello.
Più
l’ascoltavo, maggiormente sentivo aumentare il mio orgoglio
per Emile: il
pubblico l’ascoltava rapito, non si perdeva una sola nota e
non si distraeva in
chiacchere. Il locale era piccolo, ma c’era la stessa
atmosfera da concerto che
si trova negli stadi o nei grandi edifici appositi: sapevo che la
maggior parte
del pubblico era costituito da fans e da persone che conoscevano bene
la band,
ma vedere l’effetto che quella musica stava facendo su tutte
quelle persone,
non fece che rendermi felice all’idea che quella reazione, si sarebbe potuta
moltiplicare con un
pubblico molto più vasto, durante i prossimi mesi di tour.
Ero davvero
orgogliosa del mio Emile!
Cercai
con lo sguardo Lucien, per sapere se condivideva la mia stessa emozione
e lo
trovai totalmente rapito: la sua espressione era concentrata, ma un
lieve
sorriso indicava che si stava godendo lo spettacolo. Non riuscii ad
attendere
la fine dell’esibizione per chiedergli un parere e
allungandomi verso di lui,
gli diedi un colpetto sulla schiena. Si voltò verso di me e
gli feci un cenno
per chiedergli cosa ne pensasse: in tutta risposta mi fece un grande
sorriso,
si allungò verso di me lungo la schiena di Stè e
mi disse ciò che stava
provando:
«È
davvero bravo, sono sbalordito. Sono felice di essere riuscito ad
ascoltarlo,
ne valeva la pena.»
Il
mio orgoglio crebbe sentendo quelle poche parole: sapevo che Lucien
provava un
sincero affetto nei confronti di suo cugino e vedere che a quel
sentimento era
stata aggiunta anche l’ammirazione,
mi
fece gongolare di soddisfazione. Di sicuro al suo ritorno in Francia,
Lucien
avrebbe parlato del talento di Emile e la fama della sua bravura
sarebbe giunta
alle orecchie di quella famiglia, che aveva sempre fatto finta di non
conoscerlo, che aveva messo alla porta lui, suo padre e soprattutto sua
madre.
Emile sarebbe diventato famoso e avrebbe fatto vedere a tutti di che
pasta era
fatto!
Sorridendo
in direzione di Lucien, tornai a concentrami sulle note che stavano
vibrando in
quel locale proprio nel momento in cui Luca
diede dei colpi di batteria che mi fecero capire
immediatamente di
quale canzone si trattava: era l’intro di uno dei brani
strumentali, Ocean, in cui Emile
avrebbe suonato una
parte col violino. Era un brano che avevo sentito poche volte, ma che
era
profondo e vario, nella sua parte ritmica importante, fino passare a quella
più lirica in cui il violino
sembrava quasi l’unico strumento in azione.
Durante
l’esecuzione di quel brano, precisamente nella parte con la
batteria, ricordai
come se fosse un’improvvisa rivelazione, perché
Luca mi fosse sembrato
familiare: l’avevo già visto.
Proprio
in quel locale, proprio quella sera in cui avevo sentito i GAUS per la
prima volta.
Era stato lui a darmi il flyer con le tappe delle esibizioni nei
locali, era
lui quel ragazzo che si era limitato a porgermi quel volantino, per poi
sparire
prima ancora che potessi finire di dirgli quanto mi erano piaciuti i
suoi
amici!
In
quel momento mi parve ancora più chiaro che quella sera, si
stesse chiudendo un
cerchio, per dar vita ad un altro ciclo di eventi.
I
ragazzi alternarono delle covers alle proprie canzoni, per poter dar
modo al
pubblico che non li conosceva, di apprezzare ugualmente la loro musica
e verso
la fine della serata, intonarono Highway
to Hell, che scatenò il pubblico in un coro
energico e compatto… E con mio
estremo fastidio, vidi alcune ragazze avvicinarsi al palco, che non
avevano
remore ad agitarsi “seguendo la musica”, mettendo
in mostra le proprie grazie
sotto il naso di Emile. Fui invasa dalla gelosia come una furia ed ebbi
persino
il timore che tra quelle scellerate ci fosse Deb, in procinto di
scagliare il
suo primo attacco. Ma dopo un attimo in cui vidi rosso, mi tornarono
alla mente
le parole di Iulia:
“Dovremo
essere forti, dovremo lottare per
difendere ciò che è nostro e perché
saremo noi ad essere l’appoggio dei nostri
ragazzi, quando le cose diventeranno difficili.”
Sì,
dovevo essere forte e sopportare l’esuberanza di certe
ragazze, dovevo
sostenere Emile e avere fiducia in lui.
Sarei
stata davvero un misero sostegno per lui, se avessi creato scompiglio
per
quattro ochette starnazzanti durante la sua esibizione. Dovevo rendermi
più
forte e fiduciosa, se volevo essere un valido sostegno per lui, nei
momenti
critici.
Avevo
avuto già modo di assaporare un momento simile e sapevo
benissimo quanto avesse
rischiato di mandare in frantumi i progetti di Emile e della band
intera. E
sapevo altrettanto bene che, nonostante fossi stata la causa
involontaria dei
suoi guai, il mio appoggio nell’accettare le condizioni di
Claudio, avevano
aiutato Emile a superare quel momento buio della sua vita personale e
professionale.
Mi
ero sempre chiesta come le compagne dei musicisti più
affermati, affrontassero
la vita e riuscissero ad essere accanto ai loro uomini nei momenti di
crisi
professionale.
Sid
e Nancy si erano distrutti reciprocamente, così come Jim e
Pam, per non parlare
di Courtney e Kurt*…
però
ci sono anche donne come
Alison Stewart, che vivono
accanto al loro uomo da più di trent’anni, che
hanno osservato silenziosamente
ogni piccolo passo fatto dall’assoluto anonimato, fino al
successo mondiale,
senza vacillare, senza mai lasciare il proprio ruolo di compagna, anche
quando
la fama del suo Paul, iniziava a creare dei gossip velenosi sulla loro
vita
privata, anche quando i singoli componenti degli U2 avevano
attraversato
momenti di crisi esistenziale tali, da mettere in discussione
l’intero futuro
della band.
Sarei
stata in grado di essere una Alison anch’io? Avevo giurato a
me stessa di non
venir meno al mio ruolo di sostegno verso Emile e dovevo essere in
grado di
mantenere a tutti i costi quel solenne proposito.
Il
mio Pel di Carota si stava per affacciare in un mondo vasto, crudele e
spietato. Avrebbe potuto incontrare la fama più grande o
l’ignominia più
profonda per un semplice gioco della fortuna, oppure farsi strada
nonostante
tutto, solo grazie al suo talento, alla sua testardaggine e alla ferma
volontà
di andare avanti contro tutto e tutti.
E
per farlo aveva bisogno anche del mio sostegno.
Non
avrei mai dovuto vacillare.
Emile
era mio, anche se dovevo sopportare la vista del pubblico femminile che
lo
guardava adorante, anche se dovevo dividerlo con la musica, anche se
lei
l’avrebbe portato via da me per un po’ di tempo e
se gli avesse donato dei
momenti di puro sconforto.
Lui
era mio ed io ero il suo sostegno, nel presente, come lo sarei stata
nel
futuro.
Ero
appena giunta a quella considerazione che m’infuse forza e
coraggio, quando
quella stessa forza, rischiò di annientarsi dietro
un’emozione fortissima.
Il
termine dell’esibizione era prossimo, il repertorio personale
dei GAUS era
terminato e al massimo rimanevano un paio di covers. Ma a quel punto,
Emile
prese il microfono per parlare:
«Siamo
giunti alla fine di questa serata e vi ringrazio a nome di tutta la
band,
perché siete stati un pubblico magnifico. I brani che avete
ascoltato potete
trovarli nel nostro album…»
Forse
avevo fatto male i conti ed era giunto direttamente il momento del
commiato,
con la presentazione dei membri della band.
«…
tranne il prossimo.»
C’era
ancora un brano? Allora avevo davvero sbagliato i conti.
«Il
prossimo brano non è riuscito ad entrare
nell’album perché si è completato in
ritardo. Vogliamo farvelo ascoltare perché lo sentirete in
futuro e perché
dovevo dedicarlo alla persona che me l’ha ispirato, la
persona che ha
contribuito a far sì che fossi su questo palco stasera.
»
Doveva
essere una nuova canzone dedicata a Claudine… immaginai la
commozione di
Alberto e mi preparai ad ascoltarla, ma a sorpresa, Emile si
girò in mia
direzione:
«Questa
canzone è per te, Pasi. Spero che possa farti capire quanto
io ti ami.»
In
quel preciso istante, il mio cuore si fermò:
l’emozione che provai rendendomi
conto che Emile aveva scritto una canzone pensando a me e il fatto che
avesse
detto davanti a tutti che mi amasse, mi fece tremare le gambe e solo il
puntuale sostegno di Stè, fece sì che non cadessi
a terra, nonostante fossi
comodamente seduta.
E
quando la musica iniziò, rimasi totalmente
esterefatta, perché quel brano
lo conoscevo!
Quella
melodia era la stessa che stava componendo quel giorno sotto
l’albero di
magnolia, quella dolce melodia che aveva suonato con
l’armonica, mentre ci
godevamo quel pomeriggio di pace insieme!
I’m
here in the shadows
And
I
think of you
Your
smile is a ray of light
That
shine on me
|
Sono
qui tra le ombre
E
penso a te
Il
tuo sorriso è un raggio di luce
Che
splende su di me |
Quelle
parole le ricordavo, perché quando le avevo lette su quel
foglietto dimenticato
a casa mia, le avevo amate all’istante… E quando
giunse il ritornello, ritrovai
le parole che Emile mi aveva detto solo due settimane prima:
You’re
my home, baby
I
will
always go back to you
I
will
always be with you
You’re
my safe place, baby
My
soul
dream of you
My heart belong to you
|
Tu
sei la mia casa, baby
Tornerò
sempre da te
Sarò
sempre con te
Tu
sei il mio luogo sicuro, baby
La
mia anima sogna te
Il
mio cuore appartiene a te |
Quel
brano parlava di noi, della nostra storia, del modo in cui entrambi
eravamo
entrati nel sangue dell’altro. Ma era anche una dolcissima
dichiarazione
d’amore, costruita nel tempo, attraverso momenti bui e
difficili e attimi di
pura perfezione.
Ripensai
alle parole di Alberto sul dipingere la persona che amava:
“Dipingere la
persona che ami è un’impresa
difficile ma anche la più gratificante, è un
omaggio a ciò che lei rappresenta
per te, un omaggio a ciò che riesce a lasciarti dentro, al
modo in cui la tua
vita muta drasticamente per il solo fatto che lei è
lì con te”
Lui
aveva messo la sua arte a servizio del suo cuore e dei suoi sentimenti
e suo
figlio aveva fatto altrettanto con me: in quel momento mi stava
dichiarando il
suo amore attraverso la sua musica!
Non
avrei potuto ricevere una dichiarazione d’amore
più bella, profonda e vera né
da lui, né da nessun altro.
Se
la prima volta che mi aveva rivelato i suoi sentimenti, quelle parole
erano
state intrise di paura, quella canzone era invece piena di gioia e
riusciva a
trasmettermi ciò che Emile sentiva dentro di sé e
che lui non era mai stato
capace di descrivere, privo della musica.
Percepii
in una parte della mia coscienza, il braccio di Stè che mi
sosteneva ancora, ma
tutta la mia attenzione si concentrò in quel brano e su
tutto ciò che si
portava dentro. A completamento di quel momento così
emozionante, vidi
risplendere al collo di Emile qualcosa sotto i riflettori: non potevo
esserne
certa, ma dato che non era sua abitudine portare ciondoli, supposi che
dovesse
essere la mia chiave, quella che gli avevo regalato per dargli la
possibilità
di entrare in casa mia ogni volta che avesse voluto, quella che, come
mi aveva
detto, avrebbe portato con sé durante il tour…
Si
poteva morire di felicità? In quel momento pensai che fosse
una realtà a me
molto prossima, perché temetti che il cuore non avrebbe
retto a tutta la gioia
che mi scoppiò dentro.
Sentii
le lacrime bagnarmi il viso mentre Emile cantava guardandomi negli
occhi: tutto
ciò che mi circondava sparì dalla mia visuale,
non c’era più nessuno accanto a
noi: dimenticai Sté, dimenticai Lucien e Alberto…
Dimenticai le fans invadenti,
Isa e Deb e tutto quel mondo difficile che quella sera ci
attorniava… In
quell’istante c’eravamo solo io ed Emile, la
mia felicità e la musica che in quel momento ci stava
unendo.
Emile
mi amava, ne ero sempre stata certa, ma ricevere una canzone scritta da
lui
appositamente per me, fu la prova del nove, fu la certezza che il mio
Pel di
Carota, aveva trovato un modo per unire quelle parti di se stesso che
l’avevano
fatto tremare, davanti a ciò che provava per me. Grazie a
quel brano, io e la
sua musica eravamo diventate un tutt’uno, ci eravamo unite,
sostenendoci a
vicenda e dando modo al mio Emile, di esprimere in una sola volta tutti
i suoi
amori.
Non
avrei potuto ricevere regalo più grande e le lacrime di
felicità che scorrevano
sul mio viso, risposero per me a quella meravigliosa dichiarazione
d’amore,
mentre Emile continuava a cantare osservandomi.
In
quell’istante, con i suoi occhi fissi nei miei e il sorriso
di pura felicità
che ci stavamo scambiando, fui assolutamente certa, che io e il ragazzo
che
stava cantando su quel palco non ci saremmo mai separati.
Le
parole di quella canzone divennero anche le mie: Emile era la mia casa,
era da
lui che avrei fatto sempre ritorno, era con lui che avrei voluto vivere
tutti i
giorni della mia vita. Ci sarebbero stati sicuramente altri momenti
bui,
avremmo litigato tante altre volte e altrettante volte avremmo
chiarito,
innumerevoli volte si sarebbe allontanato da me per seguire la sua
musica ed io
altrettante volte l’avrei seguito nel suo cuore, come lui
sarebbe rimasto nel
mio mentre l’attendevo e costruivo il mio futuro.
Qualsiasi
ostacolo ci avrebbe presentato la vita, l’avremmo affrontato
insieme, anche a
suon di litigi e battibecchi com’era ormai nostra tradizione,
ma niente ci
avrebbe mai separato.
Non
l’aveva fatto la gelosia per Stè e nemmeno la mia
intromissione nella sua vita
professionale e nemmeno le distanze più vaste ci sarebbero
riuscite, nemmeno i
dolori più grandi o le delusioni più cocenti,
perché i nostri mignoli erano
legati da un filo rosso che
non si
sarebbe mai spezzato, un
filo rosso
come il mio carattere da fiammifero, rosso come i ricci di
Emile… Rosso perché
era il Filo del Destino che lega due persone fatte per stare insieme.
------------------------------------------------
Highway
To Hell
= Canzone degli AC/DC
*Jim
e Pam = Jim Morrison e Pamela Courson. Jim era
stato il
cantante del gruppo blues rock psichedelico The Doors. Pamela
è stata la sua compagna storica. [Per info: Wikipedia]
Sid
e Nancy = Sid
Vicious e
Nancy Spungen. Sid era il
bassista del gruppo punk Sex
Pistols e Nancy la sua compagna storica. [Per info:
Wikipedia]
Courtney
e Kurt =Courtney
Love e
Kurt Cobain. Kurt era il cantante
del gruppo
grunge Nirvana; Courtney, sua moglie fino al suicidio del cantante,
canta nel gruppo The
Hole. [Per info: Wikipedia]
In
tutti e tre i casi, le coppie sono andate incontro alla propria
autodistruzione, vittime di violenza, droghe e stati depressivi.
Alison
e Paul = Alison
Stewart e Paul Hewson. Paul, conosciuto
meglio con il
soprannome di Bonovox/Bono, è il cantante del gruppo rock
U2. Alison è sua moglie e compagna da tutta la vita. [Per
info: Wikipedia]
___________________________________
NDA
Ecco.
Non so che dire. Ho annunciato la fine di questa storia così
tante volte, che ora che è giunta davvero, non so nemmeno
come affrontarla. Quando ho messo la parola fine a questo
capitolo (dopo aver scritto metà di esso in una sola serata,
presa da
un'ispirazione folle che non mi era mai capitata prima), mi sono
sentita
davvero felice e appagata. E non solo perché finalmente
sono riuscita a portare a termine qualcosa, ma anche perché
ero ancora così piena della gioia di Pasi, che sentivo
dentro di me la sua stessa felicità. Però,
insieme a
quest'appagamento, mi è venuta addosso anche una strana
sensazione di vuoto, perché sapevo che non avrei
più scritto sul suo conto, che non sarei stata
più in compagnia di Testarossa e Pel di Carota e di tutta la
combriccola.
Anche se a dir la verità, resta
ancora dentro di me la volontà di scrivere un seguito a
questa storia e dare voce anche all'amore di Alberto e Claudine con uno
spin-off a loro dedicato. Entrambe le ipotetiche storie, hanno
già un capitolo quasi terminato, ma da qui a dire che
saranno terminate, ci vuole ancora tempo. Se mai riuscirò
nell'intento di portare a termine
questi due progetti, spero che siate felici all'idea di restare ancora
un po' con i miei bambini ^ ^
A questo proposito, se ci fosse qualcuna di voi che volesse essere
avvisata nel caso pubblicassi una delle due storie, potete farmelo
sapere sia tramite recensione, che tramite messaggio privato, oppure
potete
contattarmi direttamente tramite il mio profilo facebook.
Spero con tutto il cuore che questo capitolo sia stato abbastanza
appagante per tutte: immagino che ognuna di voi avesse in mente
l'ultimo atto ideale e lungi da me avere la presunzione di soddisfare
tutte le vostre aspettative, ma visto che questo era il finale che
avevo sempre avuto in mente, sin da quando questa era una storia con
appena diciannove capitoli, lunga meno di cento pagine (ed ora siamo a
quota 302!), non avrei mai potuto concepire un modo diverso per
chiuderla.
E a questo proposito, non so se avete notato, ma
ufficialmente questa storia risulta ancora in corso. Questo non
perché non sia finita o io sia preda dell'Alzheimer (oddio,
forse un po' sì...), ma perché nonostante quello
che avete letto sia a tutti gli effetti il capitolo finale,
c'è ancora un piccolo extra in serbo per voi, che
pubblicherò al più presto, per cui non togliete
ancora Rosso come il Destino dalle storie seguite, perché
c'è ancora una piccola cosa da leggere. ^ ^
E per concludere in bellezza, ho due piccole aggiunte grafiche da
mostrarvi. La prima, non è altro che un disegnino di poco
conto, che ritrae Emile e Pasi così come li ho immaginati e
che putroppo la mia mano non ha reso al 100%, ma essendo il mio primo
esperimento di colorazione digitale con ombreggiature sfumate, mi
ha lasciato soddisfatta dal punto di vista coloristico. ^^
La seconda
invece, è la copertina dell'album dei GAUS, con il disegno
di Alberto. È in una versione semplificata rispetto a quanto
avevo immaginato il disegno di Castoldi Sr. perché la mia
apatia cronica non mi ha permesso di mettermi con pazienza a riprodurlo
davvero, ma almeno potete farvi un'idea. xD
Emile
e Pasi || Cover
CD
Spero che vi piacciano. ^ ^
Angolo dei
Rigraziamenti
Eccomi qui, ancora una volta a ringraziare tutte voi che mi avete
seguito fino alla fine. Grazie tantissimo alla mia sorellina/beta Fiorella Runco,
sarà
sempre a lei che dovrò la nascita di questa storia,
sarà sempre grazie a lei, se Emile e Pasi hanno avuto modo
di essere conosciuti da più persone, senza restare
imprigionati in un anonimo file di Word nel mio pc.
Grazie
tesoro, grazie di tutto, grazie per gli incoraggiamenti che mi hai
dato, per tutte le volte che mi hai tolto qualsiasi dubbio e per
l'entusiasmo con cui hai sempre accolto la lettura di ogni capitolo.
Grazie davvero tantissimo sorellina, sei un tesoro prezioso. <3
Grazie mille a tutte le mie sorelline che hanno letto e commentato
questa storia sin dalla sua nascita, che sono state una presenza
costante e un supporto immancabile: Vale, Niky, Concy, Cicci, Saretta
(e a quest'ultima va un immenso e incomparabile grazie per avere
ospitato la mia storia nel suo blog, pubblicizzandola persino su
twitter: grazie all'infinito Mon Trèsor, non ho nemmeno
parole adatte per dirti quanto mi ha commosso questa tua
partecipazione. <3).
Grazie sorelle mie, siete state la mia luce
nel buio. :*
Grazie tantissimo a KiraYashal,
hitori_janai
e Dreamer_on_earth,
perché mi avete fatto sentire costantemente il vostro
affetto e la vostra partecipazione a questa storia, perché
le vostre considerazioni sono sempre state importanti per me e
perché mi avete fatto sentire capace di trasmettere delle
emozioni attraverso le parole. Grazie davvero tantissimo!
Grazie tantissimo a Sheylen,
che in egual modo si è
appassionata alla lettura e un grazie immenso ad Airis che non
vedeva
l'ora di avere questo capitolo sotto gli occhi per poter leggere il
gran finale, dopo essersi immersa totalmente in questa storia. Grazie
anche a Grace,
per il suo interessamento e per le belle parole che mi
ha detto dopo aver letto solo il primo capitolo. Mi fate sentire
davvero soddisfatta, in un momento in cui la mia autostima sta toccando
fondi oceanici.
Grazie anche ad Ana-chan
ed Ely,
per il loro sostegno silenzioso e
implicito.
Grazie a sel4ever
per la sua recensione al capitolo scorso, perché mi ha dato
una profonda gioia leggere che questa storia le era mancata tantissimo.
Grazie per il tuo affetto, grazie davvero!
Grazie mille a tutte voi, dal profondo del cuore!
Grazie tantissimo anche a voi tutte che avete messo questa storia tra
le preferite, le ricordate e le seguite:
demigirlfun,
elspunk93,
Heaven_Tonight,
Jude92,
lillay,
Minelli,
samyoliveri,
smokeonthewater,
Tattii,
Thebeautifulpeople.,
Aly_Swag,
firstlost_nowfound,
incubus life,
JennyChibiChan,
kikka_love94,
princy_94,
Ami_chan,
Amy_,
Camelia Jay,
chicchetta,
costanzamalatesta,
cris325,
Deademia,
epril68,
georgie71,
gigif_95,
IriSRock,
Iulia_E_Rose,
jejiia,
KarlyCatt,
kiki0882,
LAURA VSR,
Lilly Aylmer,
matt1,
myllyje,
nicksmuffin,
Origin753,
petusina,
Queensol,
smile_D,
Veronica91,
you are
special.
Mi farebbe piacere se lasciaste due righe a quest'ultimo capitolo, per
farmi sapere cosa ne pensate di tutta la storia. ^ ^
Stavolta devo ringraziare anche chi sta all'apice di tutto, coloro
grazie ai quali ho capito quanto sia bello leggere, coloro che mi hanno
trasportato nei loro mondi dai quali non mi staccherò
finché
vivrò.
Grazie prima di tutto a Fuyumi
Souryo, per le sue storie dolci,
romantiche ma anche realiste, prive di fronzoli, crude e amare, per
avermi dato più di un esempio su ciò che vorrei
ci fosse in una storia d'amore. La ringrazio soprattutto per
aver creato Rei e Kei, quest'ultimo soprattutto, perché
Emile è nato prendendo una grande ispirazione da lui.
Essendo questa la prima storia che porto a termine, non posso che
ringraziare i miei esempi viventi di ciò che debba essere
uno scrittore: Margaret
Weis &
Tracy Hickman, una donna e un
uomo che sono stati capaci di creare personaggi così veri,
da farmeli entrare nel sangue.
A loro devo la nascita di almeno due dei miei personaggi,
perché se non ci fosse stato Caramon, non sarebbero esistiti
né Stefano, né Alberto.
(E se non ci fosse stato Raistlin, Emile e Sofia sarebbero stati
decisamente più simpatici xD)
Se Weis&Hickman non avessero creato un gruppo di amici come
protagonisti delle loro storie, il gruppo di Pasi forse non avrebbe avuto
l'importanza che ha avuto.
Ringrazio a questo proposito anche Kazuya Minekura,
perché
se non ci fossero stati i suoi quattro scalmanati protagonisti, alcune
dinamiche nei rapporti all'interno del gruppo di Pasi non avrebbero
visto la luce.
Grazie a tutti voi, davvero. Sarà anche una semplice
storiella pubblicata su un semplice sito di Fanfiction, ma per me
conta davvero tantissimo averla scritta e averla portata a
termine, ecco perché stavolta, non potevo evitare di
scrivere
un papiro di ringraziamenti. ^ ^
Arigatou
Gozaimasu, Minna!
|
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Capitolo 34 *** Bonus Track ***
Bonus Track
«È
questa la casa?»
«Sì,
è questa… Sicuro che non vuoi che ti
accompagni?»
«Sì.
Ti ringrazio Stefano, sei stato gentilissimo, ma questa è
una cosa che voglio
fare da solo.»
«Ok,
buona fortuna allora, spero che ti ascoltino.»
«Lo
spero anch’io… grazie di tutto.»
«Di
nulla figurati, per Testarossa questo ed altro.»
Non
era stato facile parlare con Stefano, ma dopo aver rotto il ghiaccio,
mi sembrava
di essermi tolto un gran peso dallo stomaco.
Avevo
preso il suo numero di telefono dal cellulare di Pasi, evitando che lei
mi
vedesse e in tutta segretezza l’avevo contattato, per
chiedergli se potevamo
vederci. Avevo rimandato quell’incontro per troppo tempo e
prima di partire per
il tour avrei dovuto affrontare quella grossa spina nel fianco.
Fortunatamente, Stefano
accolse la mia
telefonata senza dare segni di fastidio o di risentimento e
acconsentì di buon
grado ad incontrarmi. Non era facile per me accettare quel legame tra
lui e
Pasi e ancor più, ammettere di essere stato davvero incivile
e fin troppo
aggressivo nei suoi confronti, ma quel suo modo di fare sempre
così tranquillo
e socievole, mi aveva aiutato molto ad esternare dei sentimenti che
difficilmente
avrei mostrato a qualcun altro che conoscessi così poco.
Senza troppi giri di
parole, gli dissi chiaramente che per me lui sarebbe stato sempre una
spina nel
fianco e nonostante il tono duro con cui gli avevo parlato, Stefano non
aveva
battuto ciglio e mi aveva risposto in tutta tranquillità che
ne era
consapevole, ma che avrei dovuto conviverci per il resto della
vita… O almeno
finché Pasi avesse voluto la sua amicizia, perché
lui non ci avrebbe mai
rinunciato.
Mi
aveva davvero sorpreso la sua determinazione: quel ragazzo sembrava una
persona
che prendeva tutto alla leggera, ma quando si trattava di qualcosa a
cui
teneva, sapeva essere deciso e caparbio. Mi ricordava, a tratti, mio
padre:
avevano lo stesso modo di fare gioviale che nascondeva un carattere
deciso nei
momenti importanti e alla luce di quella considerazione, dovetti
ammettere a me
stesso che tutto sommato, quel ragazzo non era male, anzi, iniziava
persino a
starmi più simpatico!
Del
resto se tra lui e Pasi c’era un affetto così
profondo, se la mia streghetta
era così legata a lui, doveva essere perché
Stefano era davvero una brava
persona. Eppure, se solo pensavo al rapporto profondo che li univa, non
riuscivo a darmi pace.
Non
riuscivo ad ignorare la gelosia che mi prendeva quando pensavo alla mia
ragazza
in compagnia del suo migliore amico. Forse dipendeva dal fatto che in
vita mia
non avevo mai stretto un legame così forte con qualcuno e
quindi non potevo
davvero capire come facessero quei due ad essere così
uniti… o forse era solo
quella dannata insicurezza!
Non
ero mai stato un insicuro, avevo sempre avuto fiducia in me e nelle mie
capacità e mi fidavo di Pasi, eppure pensare al fatto che
provasse un affetto
così forte verso un altro ragazzo, mi bruciava dentro come
se fossi stato su una
pira. Non riuscivo a rassegnarmi che al mondo ci fosse una persona che
la
conosceva meglio di
me, che avesse
diviso con lei attimi che io non avrei mai potuto vivere, che conosceva
aspetti
della mia strega che io non avrei mai visto… Se solo mi
fermavo a rifletterci
su, mi sembrava d’impazzire!
Non
mi piaceva sentirmi travolgere da quella gelosia e men che meno mi
piaceva
sentirmi così insicuro, ecco perché sentii il
bisogno di parlare chiaro a
Stefano: sapevo che in futuro avrei trovato un modo per trattenermi, ma
sapevo
anche che sarebbero capitate occasioni in cui non l’avrei
fatto e non volevo
far soffrire Pasi, non volevo metterla in imbarazzo. Per questo motivo
decisi
di chiarire a Stefano che non era mia intenzione mettermi in mezzo, ma
che non avrei
nemmeno potuto trattenere sempre ciò che provavo.
Dopo
avergli parlato, mi sentii meno in colpa per averlo aggredito
verbalmente a
casa di Pasi: ero stato davvero incivile, soprattutto considerando che
avevo
assicurato alla mia ragazza che quella sera non avrei creato scompigli
e invece
avevo messo in imbarazzo sia lei che tutti i suoi amici…
Almeno
dopo averne parlato, sia io che Stefano eravamo consapevoli di cosa
pensavamo
l’uno dell’altro e sarebbe stato più
facile per entrambi accettare i nostri
comportamenti e sopportare la vicinanza reciproca. Anche se avevo
l’impressione, che quel ragazzo non avesse alcun problema ad
avermi nei
paraggi… Come
al solito, ero io quello
complicato!
Avevo
sempre saputo di avere un carattere difficile e avevo sempre pensato
che nella
vita non mi sarei mai concesso il lusso di avere una relazione seria:
stare
insieme a qualcuno richiede compromessi e attenzioni, senza contare la
deleteria tendenza ad annullare se stessi in funzione
dell’altro…
Non
avevo mai permesso a me stesso di farmi prendere da una ragazza fino a
quel
punto: non avrei mai commesso lo stesso errore dei miei genitori. Al
centro
della mia vita doveva esserci solo ed esclusivamente la musica, lei
doveva
essere la ragione della mia esistenza.
Questo
era il mio credo, la mia filosofia di vita…
Finché non è arrivata Pasi.
Da
quando l’avevo incontrata, il mio mondo si era ribaltato:
aveva messo a
soqquadro le mie priorità e mi aveva messo involontariamente
davanti ad una
scelta che mai avrei voluto fare, ma mi aveva anche aiutato a risalire
dal
fondo, mi aveva sorretto innumerevoli volte,
nonostante io l’avessi sempre messa in un
angolo, nonostante avessi
continuato a darle poco spazio.
Ero
una persona difficile da amare, eppure lei lo stava facendo ed era
grazie al
suo amore se ero riuscito ad andare avanti, durante uno dei periodi
più bui
della mia vita.
Ecco
perché decisi di ripagarla in qualche modo, prima di partire
per il tour. Motivo
che mi aveva spinto a parlare con Stefano, perché dopo
avergli detto ciò che
avevo dentro di me, mi sentii più libero di chiedergli il
favore che mi aveva
portato dov’ero in quel momento.
Prima
di partire per la tournée, dovevo assolutamente fare quello
che ero in procinto
di compiere… Sperando che potesse essere un incontro civile
e non uno scontro
di lotta libera.
Avevo
chiesto a Stefano di condurmi in quel luogo, perché non
conoscevo l’indirizzo
esatto e l’unica persona che poteva dirmelo, era
l’unica a cui non volevo far
sapere che fossi intenzionato ad andarci.
Una
volta andato via il mio accompagnatore, rimasi ad osservare
quell’abitazione:
solo qualche mese prima Pasi viveva lì e nel momento in cui
avrei varcato la
soglia, sarei entrato nel suo passato, avrei conosciuto una parte della
sua
vita che apparteneva a ciò che ancora non conoscevo di lei.
Probabilmente il
mio desiderio di conoscere tutto ciò che la riguardava,
aveva avuto un ruolo
importante nel farmi prendere quella decisione e assaporai quel
momento,
bloccato tra il desiderio di andare avanti e la contemplazione di
quell’attimo
in cui stava per mutare qualcosa nel nostro rapporto.
Quando
mi decisi a compiere quel passo verso casa sua, riportai alla mente il
discorso
che avevo preparato e bussai alla porta concentrato: in un modo o in un
altro,
avrei detto ciò che mi premeva far sapere.
Venne
ad aprirmi suo padre. Non avevo ancora avuto modo
d’incontrarlo, ma la
parentela con la mia strega
era palese
sul suo volto: avevano gli stessi tratti somatici e gli stessi occhi
verdi, che
però nel caso del suo genitore, erano molto più
spenti e non avevano quel
guizzo vitale che adoravo osservare sul volto di Pasi.
Mi
guardò con evidente sorpresa e curiosità sul
viso, perciò mi affrettai a
presentarmi.
«Buonasera,
lei è il signor Vittorio Isoardi?»
«Sì,
sono io… Chi mi cerca?»
«Sono
Emile Castoldi… Sono il ragazzo di sua figlia
Pasi.»
Vidi
il suo sguardo indurirsi e prima che potesse cacciarmi in qualche modo,
mi
affrettai a continuare la mia presentazione: «Pasi non sa che
sono qui e non
voglio nemmeno farglielo sapere. Sono venuto
perché credo che stiate
commettendo un grave errore nel tenerla lontano dalle vostre vite, come
se
fosse un’estranea, senza sapere alcunché al suo
riguardo… ad iniziare dalla mia
esistenza.»
La
diplomazia non era mai stata il mio forte, davvero non riuscivo ad
essere
gentile nemmeno all’interno di una sola frase…
Sperai di non aver iniziato col
piede sbagliato, ma ero consapevole che serviva uno scossone per
svegliare i
genitori di Pasi dal loro coma indotto e dall’orgogliosa
indifferenza che
rivolgevano alla loro ormai unica figlia.
«La
vedo soffrire ogni giorno per un rapporto che non riesce ad avere con
voi, che
siete le persone più importanti della sua vita e non riesco
a capire il motivo
per cui voi che l’avete cresciuta, non vediate tutte le
qualità che la
contraddistinguono e che ne fanno la splendida persona che
è.»
Come
volevasi dimostrare, suo padre mi guardò con
un’espressione sempre più
diffidente e minacciosa e mi rispose con poca grazia: «Ma lei
come si permette
di venire a bussare a casa mia, per sputare sentenze gratuite dal
perfetto
estraneo quale è? Per quello che mi riguarda potrebbe essere
un qualsiasi
truffatore, spacciatosi per una persona che non conosco! Non abbiamo
niente da
dirci, il rapporto con mia figlia non è affare che le
compete.»
Vittorio
stava per chiudere la porta di casa: dovevo insistere in qualche modo,
a costo
di sembrare un perfetto maleducato, così poggiai una mano
sulla porta per
contrastarne la chiusura.
«Sua
figlia è venuta qui il mese scorso e avete avuto una
discussione, perché lei
l’ha accusata di aver abbandonato la famiglia e qualche tempo
dopo ha
incontrato sua moglie per strada, con cui ha avuto un’altra
discussione. Come
potrei sapere una cosa simile, se non
avessi parlato con Pasi?»
La
porta si arrestò e il padre della mia streghetta, mi
guardò dal poco spazio
ancora rimanente tra l’anta e l’uscio:
«Cosa vuole lei, da noi? Il rapporto con
nostra figlia non è affar suo.»
«Lo
è dal momento in cui ho scelto di starle accanto,
perché voglio vederla felice
ed ora non lo è. Le mancate e vi sente ogni giorno
più lontani.»
La
mia mano era ancora ferma sulla porta e continuai a fronteggiare deciso
il
volto dell’uomo che avevo davanti. Stavo rischiando di
ferirmi: se Vittorio
avesse deciso di chiudere la porta violentemente, questo avrebbe potuto
pregiudicare la mia capacità di suonare, ma ero intenzionato
a non farmi
sconfiggere per nessuna ragione al mondo.
Per
fortuna le mie parole dovettero risultare convincenti, in qualche modo,
perché
il padre di Pasi finalmente aprì la porta e seppur
riluttante, mi fece entrare:
«Smettiamola di dare spettacolo e parliamo come si deve, in
casa.»
Pasi
aveva ragione: quell’uomo avrebbe fatto di tutto pur di non
far parlare i
vicini!
Appena
varcai la soglia di casa, vidi arrivare in lontananza quella che doveva
essere
la madre della mia ragazza. Aveva un aspetto patito: i segni della
sofferenza
erano ben visibili nelle occhiaie profonde, nel volto emaciato e nei
capelli
sciupati. Quella donna non si curava più di se stessa da
tempo. Mi ricordò
terribilmente mia madre e sentii una fitta al cuore nel ripensare a
lei: quel
vuoto mi avrebbe segnato per il resto della vita e al solo pensiero che
anche
Adele potesse finire nello stesso stato di mia madre, sentii ancora
più forte
il desiderio di fare qualcosa per avvicinarla a sua figlia, che di
sicuro
sarebbe stata in grado di farla risalire dal pozzo di sofferenza in cui
era
caduta, di ridarle la gioia di vivere e la speranza, come aveva fatto
con me.
Rimasi
sull’uscio senza perdermi in inutili convenevoli e iniziai a
parlare appena la
madre di Pasi fu abbastanza vicina da sentirmi.
«Non
voglio imporvi la mia presenza più di quanto sia necessario,
quindi andrò
direttamente al sodo: vostra figlia è una persona
eccezionale. È stata in grado
di ridarmi fiducia negli esseri umani nel modo più eroico
che io conosca: con
la pazienza, la dedizione e l’amore incondizionato. Senza il
suo appoggio,
probabilmente ora sarei solo un mucchio di rabbia tenuta insieme a
stento,
invece grazie a lei sono riuscito a riprendere i fili della mia vita.
Vostra
figlia è in grado di donare un amore infinito alle persone
di cui si circonda,
quello che fa con tutti ha qualcosa di miracoloso; so che voi non date
peso al
suo impegno comunitario e mi permetto di dirvi che state sottovalutando
uno dei
pregi più grandi di cui è dotata.»
«Ho
capito, lei è un altro di quei perditempo della
comunità, allora.»
Vittorio
mi guardò con superiorità, come si guarda un
insetto fastidioso e iniziai ad
avvampare di rabbia: sicuramente i miei piercings e le parole che avevo
detto,
mi avevano bollato ai suoi occhi come un “drogato”, qualcuno che è
considerato solo feccia perché
nella vita ha preso la strada sbagliata. Odiavo le persone che si
fermavano a
giudicare dall’apparenza e quelle piene di pregiudizi vecchi
e assurdi: se
fosse stato un perfetto estraneo, avrei sicuramente risposto per le
rime a
quell’uomo che viveva con i paraocchi. Ma mi ero ripromesso
di dire tutto ciò
che avevo intenzione di far sapere loro, prima di uscire da
quell’abitazione e
se mi fossi fatto prendere dall’ira, nessuno avrebbe
più dialogato
civilmente.
«No,
io non appartengo alla comunità, la mia esperienza
è del tutto personale:
Pasi è stata accanto ad una donna malata,
ogni santo pomeriggio per mesi, sacrificando tante ore della sua vita
senza
nemmeno essere pagata, ma solo per poterle dare conforto e per aiutare
me e mio
padre. Ha riportato il sorriso in casa nostra salvando tutti i suoi
abitanti, è
una gran donna e dovreste iniziare a conoscerla davvero per quella che
è, non
per quello che fa ai vostri occhi.»
«Non
tollero quest’atteggiamento: non solo entra in casa mia con
la forza, ma si
permette anche di sentenziare…»
«Mi
sono permesso esclusivamente perché ho visto troppo spesso
sul viso di Pasi, il
dolore per non essere apprezzata e accettata da voi. I genitori sono
dei
pilastri per ogni essere umano e lei finora ne ha sempre fatto a meno.
Pasi è
forte, ha affrontato due lutti nell’arco di pochi mesi quasi
del tutto da sola,
riuscendo persino a dare appoggio a chi soffriva come lei. Ma anche le
persone
più forti hanno bisogno di avere il sostegno e
l’affetto di coloro che amano e
Pasi ha bisogno di voi, ha bisogno dei propri genitori e di un affetto
incondizionato. Quello stesso affetto che lei dona a tutti, senza
chiedere altro
in cambio.»
«Quando
l’ho vista non mi sembrava che stesse male.»
Sua
madre prese parola per la prima volta dopo il mio monologo, la sua
frase aveva
una nota di disappunto, eppure sentivo anche una reale preoccupazione
dietro di
essa.
«Apparentemente
non mostra alcun dolore, ma ogni volta che la vedo osservare mio padre,
ogni
volta che noto quanto lui sia ciò che di più
vicino ad un genitore lei abbia,
sento la sua tristezza. Il suo sguardo si vela ogni volta che accenna a
voi…
perché deve soffrire per la vostra mancanza, quando siete
entrambi vivi?»
Il
mio pensiero corse nuovamente a mia madre, ma non dovevo permettere che
il mio
dolore offuscasse la mia mente e mi distraesse dal mio scopo.
Volsi
lo sguardo in direzione di entrambi, sperando di essere stato il
più
convincente possibile: avevo solo le parole da parte mia, non avrei
potuto
aprire le loro teste e modificare i loro pensieri. Dovevo solo sperare di essere stato abbastanza
convincente da far
breccia nella loro orgogliosa ostinazione… quella stessa
ostinazione che ogni
volta mi faceva cedere alla volontà della mia strega.
«Meno
di un anno fa, avevate due figlie ed ora vivete come se fossero morte
entrambe.
Perché avete deciso di mettere alla porta, l’unica
figlia che vi è rimasta?
Cosa ha fatto di così sbagliato, per non meritare il vostro
affetto?»
Forse
mi ero spinto troppo oltre, ma dovevo giocarmi tutte le carte, dovevo
rischiare
di essere insolente, per farli riflettere. Vidi Adele stringersi il
petto, come
se stesse cercando di trattenere un grande dolore, mentre Vittorio
divenne il
ritratto della rabbia.
«È
lei che ha scelto di andarsene da casa! Non l’abbiamo mai
messa alla porta! Non
accetto che lei venga in casa mia ad offendermi!»
«Può
anche non averle chiuso la porta in faccia direttamente, ma con la sua
freddezza e chiusura, le ha precluso ugualmente la
possibilità di dialogare e
avere un rapporto sincero con voi!» iniziai ad alterarmi
anch’io, l’ostinazione
di quell’uomo era davvero irritante!
«Se
ne vada immediatamente, fuori da casa mia!»
«Mia
madre è morta e non potrò più
abbracciarla finché vivrò. So quanto si sta male
quando si perde una persona cara e so che questo dolore, dovrebbe
servire per
capire che dobbiamo viverci le persone care finché sono in
vita: non uccidete
Pasi prima del tempo!»
Adele
iniziò a piangere e scappò via, mentre Vittorio
cercava un modo per farmi
uscire da quella casa. Ma io ero piantato davanti alla porta e se non
mi fossi
spostato, nessun uscio sarebbe stato aperto.
«Chiamo
la polizia, la farò arrestare per violazione della
privacy!»
«Quanto
vi terrà in piedi l’orgoglio? Quanto vi
aiuterà a superare il dolore per la
perdita di vostra figlia? Trovate logico piangerne una morta e
allontanare
l’altra ancora viva? Mi auguro che possiate rifletterci
su.»
Vittorio
aveva la cornetta del telefono in mano, ma non aveva ancora composto
alcun
numero.
«Le
chiedo scusa per questa invasione, ma le chiedo di riflettere su
ciò che le ho
detto: Pasi è ancora viva e ha bisogno dei suoi genitori, ha
bisogno di
piangere Simona con voi, ha bisogno di andare avanti e di sentirsi
appoggiata
da chi le ha dato la vita. Non uccidetela, non eliminatela dalle vostre
esistenze.»
Rimasi
per qualche secondo ancora fermo in quell’ingresso: di Adele
non c’era più
traccia, ma sentivo i suoi singhiozzi in lontananza, mentre Vittorio
era ancora
fermo con la cornetta in mano e lo sguardo basso, fisso su un punto non
ben
definito.
Sentii
di aver detto tutto ciò che era in mio potere e mi decisi a
concludere quella
visita forzata.
«Non
si scomodi a chiamare la polizia, levo subito il disturbo…
Arrivederci.»
Senza
attendere una replica, aprii la porta e andai via da quella casa,
mettendomi
alle spalle tutto il dolore e le parole scomode che vi avevo lasciato
dentro,
con la speranza di essere riuscito a seminare in quelle due persone
devastate
da dolore, la volontà di riabbracciare davvero, la loro
unica figlia.
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NDA - the last one
Eccomi qui, è
questa è davvero l'ultima volta. La storia ora è
davvero conclusa. *me tira su col naso*
Spero che abbiate apprezzato questo capitoletto extra,
perché mi è piaciuto per una volta, entrare nei
pensieri di Emile e dargli anche la possibilità di ripagare
Pasi per tutto ciò che la ragazza ha fatto per lui. Non so
se il suo gesto avrà delle conseguenze, ma mi piaceva
mostrarvi che nel Pel di Carota c'è un piccolo Darcy, che
silenziosamente cerca di risolvere i problemi della sua amata, senza
farsene un vanto.
Aspetterò di sapere i vostri pareri, per chi
vorrà darmeli. ^ ^
Grazie a tutte per
essere arrivate fin qui.
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