La tua storia prosegue sempre avvincente e ben costruita, nel senso che si sente che, ogni atteggiamento dei personaggi, ogni loro frase o gesto, sono supportati da una precisa indagine introspettiva e da un interesse lusinghiero su ciò che può albergare nell’animo umano. Hai aggiunto anche una dimensione “gialla”, che si era “affacciata” anche nel precedente capitolo,; qui allunga la sua ombra sinistra sui fatti e sui personaggi. Da manuale cinematografico la scena (“…sedendosi accanto a lui sui gradini. È una serata insolitamente mite…”) di Sh, John ed Amanda seduti fuori, quasi a sottolineare la distanza che li separa dalla mediocrità, rappresentata da Harry e i suoi invitati. Mi è sembrato di essere lì anch’io, tanta è la precisione con cui costruisci la scena e tratteggi gli atteggiamenti dei personaggi : la freschezza non banale della ragazza, il tormento di John, relativo alle incomprensioni con Holmes, mai sopito durante gli anni, l’apparente calma di Sh che, invece, nasconde la sua disperazione aggrappandosi alla sigaretta ed al silenzio come un naufrago ad un relitto. “…Un altro momento, un’altra possibilità sfumata…”: quando Amanda rientra, lasciandoli soli, è un drammatico ed angoscioso rincorrersi l’un l’altro, mascherato da una formale conversazione, stanchi, svuotati dal tempo trascorso dolorosamente lontani, braccati dal rimorso e dalla realtà di un grande sentimento, reso asfittico dall’incomprensione e da tutto ciò che non ha trovato la giusta via per esprimersi liberamente. La tua scrittura è sciolta, scivola tra dolore e rimpianto fotografandoli con coinvolgente partecipazione. Concludo, con una frase che voglio salvare, per il suo struggente significato, dall’oceano sconfinato del fandom: “…Mycroft era il mio albero, John, tu il mare su cui navigavo…”. Splendido. |
Ciao! |
“…Mrs Hudson se ne era andata…”: il mondo accogliente del 221b si sta via via sgretolando e perde un pezzo importante, e cioè la persona che, sullo sfondo, ha sempre “cucito” le scene di quotidianità con la sua discreta presenza, dando una parvenza di normalità a ciò che “normale”, certamente, non può essere definito. Molto piacevole la scena del flashback in cui i due coinquilini e Mrs Hudson fanno rimbalzare tra loro, come una palla, il consueto argomento che riguarda l’”elefante nella stanza” a Baker Street e interviene uno Sh che sembra più una rigida governante che un brillante detective. Divertente. La tua storia prosegue velata da una profonda malinconia, che nasce da ciò che poteva essere per sempre ma ha avuto una vita travagliata ed asfissiante, non per il raffreddarsi di un sentimento unico ed originale ma per la sua travolgente intensità, troppa per poter essere supportata in una vita di coppia così particolare. Come ho già osservato in precedenza, hai inserito perfettamente Amanda nello svolgersi dei fatti, tanto che sembra, e te lo dico senza retorica, un personaggio presente nella serie BBC. Per quanto riguarda Mary, se posso permettermi di fare un appunto , ma è la mia opinione, quindi, confutabilissima, l’inserimento della scena che la vede dialogare con Watson, non lo trovo in armonia con quello che c’è prima e che c’è dopo. È possibile, comunque, che io non abbia colto esattamente il meccanismo narrativo. Secondo me, hai sbilanciato un po’ la bella costruzione narrativa fatta di incursioni nei vari piani temporali. Ma è un moscerino su un cristallo terso…La storia è veramente valida. Chiudo con un’ immagine efficace che concretizza la speranza che si è accesa tra Sh e John di poter riannodare il legame che li teneva uniti: “…tanto fango e tanta neve da grattare via dalle loro scarpe, prima di poter entrare in casa…”. |
Mi piace sempre di più il modo in cui hai costruito il personaggio di Amanda, senza eccessi, credibile e perfettamente complementare alle vicende che hai messo in piedi. Riporto qui alcune parole: “…rimaneva una vecchia testuggine dal cuore arrugginito…”. Questa è una delle più azzeccate immagini per rappresentare l’umanità di John, cocciuto ma affidabile, purtroppo, però, senza la capacità di cogliere i segnali più reconditi che Sh inviava; del resto credo che, con lui, restiamo nel raggio d’azione di una mente normale. Efficace anche la similitudine che stabilisci tra l’edera ed il consulting, la cui complicata ed inesauribile energia intellettiva bene è rappresentata dalla pianta in questione, che tutto copre con la sua struttura elegante. L’immagine di un muro coperto da quel rampicante è suggestiva, dona un tocco di leggerezza ma, ci si chiede come potesse essere in realtà il pezzo di costruzione avvolto nel verde. La qualità di ciò che segue nella narrazione è reperibile solo raramente nel fandom, e tu sei un autore di quelli affidabili, carichi di una capacità introspettiva matura ed acuta. I moti dell’animo li rendi con reale carica empatica, coinvolgente, davvero. |
Non credo sia un capitolo superficiale, sinceramente, e ho pianto abbastanza, ancora più sinceramente. Mycroft è uno dei personaggi a cui tengo di più della serie, e non vederlo in questa storia, saperlo addirittura morto, boh, mi spezza il cuore ogni volta. Soprattutto sapendo che è stato avvelenato. |
Capitolo, questo, non di passaggio e non superfluo, nonostante le tue autofustigazioni, in quanto, per esempio, ci fornisce un tassello prezioso che ci servirà per meglio definire e comprendere l’atteggiamento che Sh ed Amanda avranno reciprocamente (“….Sherlock si era preparato ad un lungo interrogatorio, e invece si ritrova a dover guardare la strada…senza sapere cosa dire. La ragazza sembra concentrata…”). Infatti è molto interessante seguire “l’assestamento” relazionale che il consulting avrà nei confronti della figlia di John e le reazioni di quest’ultima, ancora traumatizzata dalla scoperta che Holmes non è suo padre. Inoltre, mi confermi l’impressione che ho avuto nel precedente capitolo riguardante lo Sh che ritorna, dopo tanto tempo, al 221b: sembra in effetti più lucido, più deciso e più equilibrato anche di fronte al grande lutto che lo aspetta al Bart’s, cioè alla morte, rivelatasi misteriosa, di Mycroft. Come lo hai descritto tu, lo trovo gigantesco nel suo dolore, attonito ma composto, quasi maturato dall’altra lancinante sofferenza, lunga sette anni, che riempie di solitudine e di disperazione il vuoto lasciato da John (“…sì, gli sarebbe piaciuto vederla diventare la giovane donna che oggi è – insieme a John…”). Ritrovo il tuo stile piacevole, efficace nella sua essenzialità. Perfettamente IC anche Molly, anche se io, però, non sono completamente d’accordo con te sul refuso che le attribuisci riguardo a Zurigo: forse, e dico forse, lei avrebbe saputo l’esatta collocazione di quella città. Per il resto, splendida storia. |
“… profilo granitico, dai suoi occhi troppo liquidi, dalle pupille troppo grandi – occhi di bambino…”: nel fandom milioni di parole sono state assemblate in frasi più o meno azzeccate per meglio descrivere l’indescrivibile e cioè l’inafferrabile fascino di Sh. Questo tuo colpo d’occhio è da “copia-incolla” in una virtuale cartella che contenga le migliori definizioni. Davvero. E, com’era prevedibile, John rientra emotivamente nella sua orbita (“…non riesce a staccare gli occhi…”), troppo grande il sentimento che si è acceso tra loro, fin dal primo incontro al Barts e, anche se sono trascorsi sette anni, la ferita di una situazione irrisolta ed incompiuta dal punto di vista sentimentale, è ancora aperta. Con Sh, al 221b ritorna anche la forza della razionalità che travolge le incertezze e le sofferenze nascoste di Watson, basta una frase (“…Perché dici di essere mia figlia?...”) per accendere un potente riflettore che aiuti Amanda a trovare delle risposte e abbagli John per scuoterlo dal suo malinconico ed impotente torpore. Bene completano la scena uno sguardo ad un passato dove già si addensavano le ombre e la voce di Mycroft che giunge attraverso una lettera al fratello. Mi è piaciuto molto questo Sh che fai ricomparire al 221b, uno Sh deciso, lucido, che contrapponi alla disperata stanchezza psicologica di John in un efficace contrasto umano. |
Finalmente il nuovo capitolo! Lo stavo aspettando con ansia e non ha deluso! Bellissimo il pensiero finale di John e mi piace molto la caratterizzazione di Sherlock, sempre sociopatico. Non vedo l'ora di scoprire cosa è successo 7 anni fa!!! |
Ciao, dunque. Ho tentennato a lungo su questa storia. Tanto e forse persino troppo. In un primo momento non riuscivo a decidermi se iniziare a leggerla oppure no, poi invece non sapevo se lasciarti o meno una recensione. Mi ritrovo qui a commentare il quinto capitolo, e non il sesto, per una ragione ben precisa. Di fatto, non ho ancora deciso se andrò o meno, avanti nella lettura. Non che non sia bella o che abbia qualche difetto narrativo o stilistico, affatto! Solo che... beh, non è facile da spiegare. Ma ci proverò. |
“…sono tipo sommerse negli alberi…”: comincio con una velocissima osservazione stilistica, che ho inviato anche ultimamente in un’altra recensione rivolta ad un altro autore; cioè noto, e non è automatico trovarlo in ciò che si legge, la tua capacità di adeguare il registro linguistico ai personaggi o alle circostanze in cui essi si esprimono. Infatti, chi sta parlando all’inizio del capitolo, è Victoria che è una ragazza che vive ai margini della società, si arrangia come può, frequentando persone un po’ “varie”(“… in cambio di un po' d'erba…”). Dunque non può parlare come, per esempio, un Mycroft. Brava, non è secondaria questa attenzione a ciò che contribuisce a rendere credibile la storia. Andando avanti nella lettura, ritorna l’eterna attesa di John (“…Ha lasciato il Sussex…”) e non occorre specificare chi sia partito, lui è presente non solo nel cuore di Watson ma in tutto ciò che scorre dentro e sotto queste vicende. Il passato sembra riaffiorare qui e là, per esempio in uno sguardo arrabbiato di Amanda o in certi, apparentemente incomprensibili, atteggiamenti di John. Ritroviamo in questo capitolo ancora i tuoi validi flashback che riportano delle scene del passato che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio il presente ma, ti confesso, che sono un po’ incerta nei confronti di quella Greta: è Mary che che nasconde la sua identità anche alla figlioletta?! Potrebbe essere ma non voglio in alcun modo fare ipotesi azzardate, aspetto con interesse gli sviluppi che promettono senz’altro qualcosa che ci sorprenderà. “…Nessuno ha le chiavi di casa sua. Tranne una persona…”): eccolo, l’attesa è terminata, non c’è bisogno di chiedersi chi è entrato nella stanza facendo trattenere il respiro a John (e a me); chi altri potrebbe guardare le cose che lo circondano “scannerizzandole”?! |
Splendido inizio, con un tuffo nell’atmosfera goliardica ma accogliente del 221b, dei “vecchi” tempi, con tante cose e tante emozioni taciute e non condivise. Due persone le cui esistenze, ad un certo punto, come succede nella vita, s’intrecciano e percorrono un tratto del cammino insieme. Ma, per quanto riguarda Sh e John, non si è avuto il coraggio, o forse il tempo ed il modo, di liberare l’energia di quello che intercorreva fra loro. Nel ritorno al presente ritroviamo la dolce Molly, ora moglie di Lestrade, sempre innamorata senza speranza di Holmes, sempre alla ricerca di un qualche segno di lui che le dia la spinta per continuare a vivere un matrimonio che immaginiamo sereno ma non all’apice della felicità, almeno per quanto la riguarda. Hai trattato questo passaggio con una precisione che ci riporta ai casi della vera quotidianità, tanto, per esempio, è verosimile la titubanza della Hooper per arrivare, nel suo dialogo con Watson, alla domanda che le sta più a cuore (“…E Sherlock?..”). Nell’intersecare, poi, abilmente i piani temporali, ricuci i fili che si erano spezzati e prepari, penso, un incontro che aleggia fin dall’inizio di questa ff. Non tanto tra Amanda e il padre, chiunque esso sia, ma tra Sh e John, dopo sette lunghi anni di separazione. Uno di quelle lievi tracce perdute, cui accennavo nella frase precedente, è ciò che afferma il Bardo nel sonetto e che cioè l’amore è come una stella che guida chi percorre un lungo viaggio, non lo abbandona mai e questo è il legame che sentiamo tra i due protagonisti pur nella lontananza del tempo, delle circostanze e dei meccanismi imprevisti della vita (“…Io sono sposato con il mio lavoro, tu con Mary…È troppo tardi…Una parola, Sherlock, una parola sarebbe bastata…”). A proposito del momento finale del capitolo, dico che è carico di tensione emotiva, mi ha veramente coinvolto, grazie soprattutto alla tua capacità di rappresentare le emozioni e la grandezza dei sentimenti con parole lievi, leggere, quasi tu avessi timore di offuscare lo splendore di quel fiume impetuoso (“…silenzio… La luce fioca del mattino… tepore soffuso… baci soffici…un sussurro della consistenza del mattino…”). A conclusione voglio che non vada perduta una “perla” come la seguente, una delle descrizioni più azzeccate della voce di Sh: “…Era come venire inghiottiti da un mare di seta scura, di soffice velluto…”. E chi non vorrebbe nuotare in un mare del genere?! |
Ci vuole bravura (ce ne vuole davvero molta) per muoversi tra i piani temporali come sai fare tu. |
“…Pugno stretto… Cellulare scagliato via”: Sh non compare , ma lo racchiudi efficacemente in quelle due immagini che esprimono, pur nella loro scarna consistenza, l’atteggiamento che lui ha verso il passato. Infatti non c’è una nostalgica accettazione di quanto è avvenuto, e che noi non conosciamo ancora, che però possiamo immaginare, ma la rabbia e il dolore per cose che, molto probabilmente, avrebbero potuto andare diversamente e non è stato così. Forse c’è stata la rinuncia, c’è stato il sacrificio di sentimenti che avrebbero potuto essere fraintesi o addirittura dannosi per la vita altrui. Chissà, ma Sh è ben presente anche in questo capitolo, con tutta la sua carismatica personalità. Accanto alla sua “ombra” proiettata sulla scena c’è, protagonista assoluto, un John invecchiato, stanco, tornato al suo bastone ma grande nella sua malinconica riservatezza. Sembra reso più opaco nelle sue reazioni da un dolore lontano nel tempo ma sempre causa di sofferenza. Ad un tratto, però, quella specie di nebbia che gli vela lo sguardo, scompare (“…Per un momento, ha colto un lampo negli occhi di John…”) e s’intravvede la luce di sentimenti ed emozioni mai sopiti, troppo grandi per essere dimenticati (“…Più di quanto due persone dovrebbero mai essere…”). La figura di Amanda la considero, se posso, una specie di “deus ex machina” che entra nello scenario ormai pervaso di rassegnazione e provoca uno scompiglio notevole, come un colpo di vento che irrompe prepotentemente facendo sbattere le finestre. Si possono richiudere, certo, ma rimane, forse, un vetro rotto. Così lei provoca in John qualcosa che, probabilmente, potrà essere ricacciato nel buio dell’oblio ma ha lasciato una traccia indelebile, una crepa sottile. Fino a qui, se mi permetti un’immagine personale, la tua ff ha la grazia di un acquerello con i colori e i tratti delle figure sfumati e leggeri ma il colpo d’occhio rivela un insieme sorprendentemente bello. |
Delle volte resto spaesata da come storie assolutamente meritevoli restino con (relativamente) poche recensioni. |
Aspetto i nuovi capitoli! questa storia mi intriga! |