Che belle...
Ho scovato questa raccolta e me la sono divorata tutto d'un fiato, dispiaciuta solo della brevità delle storie e della mancanza di altre che seguissero. Le tue storie sono sempre belle, e curate, e non potrei esprimere una preferenza in ordine a stile, contenuti o originalità. Però posso dire che quando lasci correre questa malinconia così pacata, ma struggente, per me è un pugno nello stomaco. Come ricordo che mi colpì la storia su Sirius e Lupin, questa Peacock Vanity mi ha scossa allo stesso modo.
Sarà che mi sento davvero affine a questa malinconia che non è uggiosa ma bensì critica, che è una molla che spinge a pensare e sentire. Riesci a cristallizzare una scena in un'atmosfera sospesa nel tempo, a renderla allo stesso tempo dolorosamente reale eppure rarefatta, sfocata. Dolorosamente elegante. Inserisci dei dettagli apparentemente di poco conto, che sono tuttavia il reale tramite attraverso cui il lettore riesce a fare l'ultimo passo di immedesimazione nella storia: ancorare la propria vita a quella di personaggi di fantasia, vivere con loro un momento e diventare tremendamento consci che potrebbe capitare in qualsiasi momento a chiunque. Che forse ci è già capitato -non dico la malattia, ma quantomeno la fine squallida di un rapporto che tanto brillava e che alla fine si è rivelato per il suo poco spessore solo al momento della lacerazione-.
Ed è stata la smorfia di lei, il suo parlare di gesti plateali e non portarli mai a termine, le sensazioni di lui, quell'illazione che non riesce a fare a meno di formulare per il nuovo taglio di capelli... cielo, Alice, era tutto così vero.
Faccio tante metafore e non riesco a esprimermi, ma forse davvero avrei bisogno di vederti di persona, adesso, per riferirti tutte le mie impressioni su questa storia -che è una di quelle che mi ha colpita di più, o perlomeno in modo più devastante, tra tante che ho letto-.
E non è tanto il tema della malattia. La cosa su cui mi sono concentrata io, maggiormente, è il modo crudele in cui ci pavoneggiamo con noi stessi di quanto grande e maestoso, eterno, possa essere il nostro amore -di quanto a volte sembri addirittura renderci immortali-, per poi renderci conto -perchè ce ne rendiamo conto, anche se non lo diciamo mai ad alta voce- che abbiamo fatto promesse che non siamo mai stati in grado di mantenere, che abbiamo giocato con i fatti concreti convinti di essere onnipotenti, solo per sentirci vivi... che abbiamo amato qualcuno solo per essere in grado di amare di più noi stessi, perchè la passione che sentivamo di provare finalmente ci rendeva interessanti ai nostri stessi occhi. Non più vuoti, non più come tutti gli altri. Macchie di colore in un mondo grigio. Perché solo noi sappiamo amare così, oh sì; gli altri sono tutti ingenui, stupidi, superficiali. Noi, solo noi, siamo così profondi da poter sperimentare un sentimento così grandioso.
Credo che a volte sentire di essere innamorati ci possa davvero far delirare, rendere megalomani. Quasi come se fosse un'esperienza che appartiene più al mistico che al quotidiano. E esasperiamo quel sentimento allora, ci aggrappiamo all'unica cosa che può scuotere la nostra vita, con il soffocante e sepolto terrore che un giorno ci troveremo invece a ritrattare tutto e a capire di non essere mai stati altro che egoisti.
Ed è così che va qui.
Tante dichiarazioni, tanti attimi all'ultimo battito, addirittura la spietatezza di aver trovato una malattia mortale un nuovo stimolo, qualcosa che potesse rendere ancora più speciale un percorso insieme al proprio amato...
E poi eccoli, tutti i castelli di carte che cadono ai loro piedi.
Forse l'aspetto più aspro è stato che il protagonista fosse così realista e profondo da rendersi conto che per lei è stato tutto un gioco, anche se forse si era davvero convinta di credere in quel loro futuro.
Forse sì, sarebbe stato meglio credere che la fine potesse essere rappresentata da un nuovo amore, un nuovo evento, una resa. Se lei gli avesse detto, cuore in mano: "Sono giovane, non sono abbastanza forte da portare con te il fardello della tua malattia", sarebbe stato più umano, più giusto.
E invece lui in questi attimi sente congelarsi il cuore, nel prendere coscienza che è stato strumentalizzato, lui e il suo tumore, per donare il surrogato dell'amore vero a una ragazzina egoista e immatura. Ma un surrogato si esaurisce in attrattive, finchè non rimane solo la pesantezza, la sensazione che non ne vale la pena come mai ne è valsa. Che si è soli come prima di quel teatrino, di quella finzione, che anche durante quello lo si è stati.
Solo lui, con la sua malattia. Ma anche lei, sola con un'anima che sente arida e su cui ha provato, fallendo, a lasciar germogliare qualcosa che fosse vivo, anche se fragile.
Quasi nessun amore muore, perchè sono talmente pochi quelli che nascono davvero, e che col senno di poi non si rivelano illusioni abortite...
Io ti ringrazio, davvero, per questa piccola storia, che conserverò come un qualcosa di prezioso.
Forse è una questione soggettiva, dipende dalla sensibilità di ognuno e dal momento specifico, ma mi ha trasmesso così tanto da lasciarmi meravigliata. Se penso che una paginetta corta corta possa segnarci a volte così a fondo...
Questo era un tempo che non avevo, ed è il motivo per cui non mi metto adesso a commentare anche le altre storie della raccolta -le ho amate tutte, e su ciascuna avrei tanto da dire-. Ma questa è stata quella che mi ha colpita di più, e avevo davvero il bisogno, io per prima, di lasciarti un commento.
Scappo dicendo che l'idea di base è bellissima, come sempre unica e originale, ma allo stesso tempo semplice. È più che interessante immaginare quale accostamento sceglierai, ogni volta, tra uomo e animale. E unito al tuo stile di scrittura il tutto è magnetico.
Ti faccio davvero i miei complimenti più sinceri, non solo per come scrivi, ma anche per la sensibilità che ti contraddistingue, e che a volte, davvero, non può fare a meno di brillare anche se riflessa in una pagina web.
Un abbraccio grande <3
Ps.: Io lo so che il tuo tempo è tiranno... ma non ho potuto fare a meno di pensare a quanto mi piacerebbe leggere della stessa scena, ma dal punto di vista di lei. Capire quanto lei stessa sa di sè, quanto è sincera con se stessa, quello che prova in quel momento, se è fredda come appare a lui adesso che la guarda e la sente sconosciuta... insomma, mi sono fatta mille domande.
Lungi da me darti commissioni. Però se mai tu avessi tempo di scriverla mi faresti un regalo enorme. Anche fuori pubblicazione, anche in privato -ma perchè dovresti privare EFP di una tua storia?-. Insomma, se mai penserai a scriverla io la accoglierò con trepidazione.
Adesso vado davvero. Non vedo l'ora di leggere i prossimi capitoli.
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