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Autore: Black Ice    25/03/2012    1 recensioni
Matthew Bellamy era uno di quei ragazzi di cui i connotati fisici - a dir poco acerbi per un adolescente di 16 anni - riuscivano a trarti in inganno. Mingherlino e con un fisico troppo asciutto, quando lo si incrociava per i corridoi della scuola non si prendeva neanche in considerazione l'ipotesi che lui, nella sua vita, avrebbe potuto fare grandi cose.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Qualcuno può pensare, giustamente, che ad una come me non freghi un cazzo di trovarsi un ragazzo pur avendo come alternativa finire sola come un cane in una stanza della casa di riposo più vicina a casa. E in tutta onestà era proprio così. Avevo troppe cose in mente, troppe cose da fare e enormi obbiettivi da raggiungere per pensare a quello che ci sarebbe stato dopo, o anche solo quello che ci sarebbe potuto stare durante.
Se non me ne curai io, in ogni caso ci pensò qualcun'altro a farmi ricordare che c'era qualcosa oltre ai dipinti da sistemare e le mostre da allestire. Conobbi Michael una sera di Marzo del 2007 ad un bar nelle periferie di Londra nei pochi giorni di pausa dal lavoro. Nonostante fossi a dir poco atterrita dalla prospettiva di ridurmi ad avere una vita dannatamente ordinaria con un marito ed una casa propri, dovetti accettare il fatto di essermi innamorata di nuovo senza fiatare. La cazzata che al cuore non si comanda è vera, purtroppo, e non serviva a niente ricordarmi che non ero adatta ad una relazione e che la distanza avrebbe rovinato il nostro rapporto. Perchè, di fatto, non lo rovinò per niente.
Michael faceva lo scrittore; amava la musica e sapeva strapparmi un sorriso strimpellando qualche nota con la chitarra, o facendo un dannato casino con quella sua batteria infernale.
Cominciai a dubitare per l'ennesima volta di aver sbagliato tutto quando fuori da un borsone scivolarono fuori sparpagliandosi sul letto, uno dietro l'altro, i cinque cd dei Muse che Matthew mi aveva regalato.
Michael riuscì ad agguantarne uno, che tra l'altro era anche quello che avevo ascoltato più di una volta, diversamente dagli altri.
"Non sapevo che avessi anche i loro cd."
"Non me lo ricordavo più neanche io, sinceramente. Non li ascolto da quando me li hanno regalati."
"Fanno così tanto schifo?"
Risi e riposi il libro che mi ero portata dietro nel viaggio di una settimana nella capitale spagnola sul comodino.
Matthew aveva sempre considerato il fatto di essere un musicista come una cosa normale, ed era evidente che era portato per farlo. Nelle sue canzoni, però, col tempo, gli argomenti erano cambiati ed erano stati elevati ad una chiave di lettura per la quale non bastava soltanto leggere il testo; non erano più storielle, quelle che cantava. In un certo senso non ascoltavo i loro cd per paura di quello che avrei potuto sentire e interpretare.
"Perchè te li porti dietro, allora?"
Alzai le spalle, "Non lo so."
E non lo sapevo veramente. Ogni volta che facevo la valigia mi capitavano tra le mani e non avevo il coraggio di non portarli con me. Erano come una sorta di pegno da pagare, per cosa poi, non lo sapevo precisamente neanche io.
Una delle cose che tanto mi piaceva di Michael era che riusciva a capire quando intervenire e quando no. Ringraziai, in quel momento, che non approfondisse la questione più del dovuto, perchè non sarei riuscita a fargli capire che nei cd, certe volte, c'erano molto più che una decina di canzoni: in Hullabaloo c'era tutta la mia vita con Matt.

Poi, finalmente, uscì anche il sesto album dei Muse. Chris mi invitò più di una volta a qualche loro concerto e puntualmente rifiutai. Mi sembrava di ricominciare ogni volta da capo con loro, ogni volta che li rivedevo. Come se affrontassi perennemente il primo giorno di scuola.
Le telefonate che facevo alla band erano aumentate vistosamente e non c'era più quella nota di accusa nella loro voce, quando rispondevano. Perfino il rapporto con Dominic era nettamente migliorato, e quello era tutto dire.
Io e Michael, invece, viaggiavamo costantemente sul filo del rasoio, ma quella non era mai stata una novità da prima pagina: non ero mai stata una a cui andassero bene le relazioni a distanza perchè semplicemente non ci riuscivo; il mio lavoro non ne ammetteva, e Michael nemmeno si sognò di accompagnarmi ovunque andassi, per fortuna.
A parte quello, per una volta mi sembrava che stesse andando tutto per il meglio.
Ero in un paesino nel nord della Francia, in quel periodo, ed erano i primi mesi del 2010. Quella dev'essere stata l'unica commissione per la quale non vedessi l'ora di scappare da lì e andare ad occuparmi di qualche altra cosa, lontano dalla Francia. Lavoravo per un signore che aveva messo a disposizione, a me e ai miei compagni con cui lavoravo, un'intera ala della villa nella quale viveva. Non c'era da lamentarsi per quello, certo, ma quell'uomo - Dorian, si chiamava, e non aveva niente a che fare con Gray - era la quintessenza dell'egoismo.
Ad ogni modo in quell'ala della villa/castello dividevo la camera doppia con Susan, che era la persona che più si avvicinava, per me, ad una migliore amica. Con i capelli rossi, una spruzzata di lentiggini sul viso e una risata contagiosa, quando c'era lei era ovvio che c'era anche l'allegria.
"Sai che il tuo amico ha mollato la ragazza?"
Se ne uscì così, facendo scoppiare la bolla di chewing-gum rosa e sfogliando una rivista di gossip sdraiata sul letto.
"Il mio amico chi?"
"Bellamy. E l'italiana. Si sono lasciati."
Mi bloccai con un paio di calze per aria, cercando di assimilare quello che Susy mi aveva appena detto.
Da una relazione come la loro non ti saresti mai aspettato che sarebbe incorso qualche problema... certo, se solo accantonavi in un angolo la fama che ormai sotterrava i Muse fino al collo. Quello che sarebbe stato adatto per sconfiggere il dislivello tra il successo di Matt e il lavoro ordinario di psicologa di Gaia, era una buona dose di amore puro e oltre ogni limite, e forse quello che c'era tra loro non era stato abbastanza per tenerli legati.
"Qualche mese fà. Qua dice fine 2009. Bel modo di festeggiare il nuovo anno, no?"
"Da quando leggi stupidi giornali di gossip, tu?"
"Da quando mi fanno ricordare quanto la mia amica Roxy sia stata stupida a lasciare Matthew Bellamy."
"È successo un secolo fà, Susy!", la guardai esasperata, "La tua mezza cotta per una rockstar del cazzo altera la tua visione delle cose, lo sai?"
"Sì, come ti pare.", masticò la gomma e fece scoppiare un'altra bolla, "Come mai tu non ne sapevi nulla, poi?"
"Matthew non è tipo di sbandierare ai quattro venti la sua vita privata."
"Beh, ma tu non sei un cazzo di giornale. Sei stata anche la sua fidanzata. E poi Gaia l'hai anche conosciuta, o sbaglio?"
Quando si tiravano in ballo in Muse non c'era verso di non farle tirar fuori anche la mia relazione con Matthew, che ormai apparteneva al paleolitico. Si ostinava a precisarlo ogni volta e per quanto le dicessi di smetterla non mi dava ascolto.
Beh, era molto da Susan, in fondo. Rompere i coglioni, intendo.
"Sei esasperante, Susy. Davvero esasperante."
"Ma che c'è?! Da quando le cose con Michael vanno uno schifo sei diventata più isterica, lo sai?"
"Ma vaffanculo."
Già. Io e Michael stavamo lentamente colando a picco e sapevo benissimo che gran parte della situazione era per causa mia.
Il declino iniziò quando eravamo a Londra: dopo pochi giorni sarei dovuta partire per la Spagna; a me piaceva viaggiare e piaceva il mio lavoro, quindi non avevo alcuna ragione per lamentarmi degli spostamenti. Non pensavo neanche che prima o poi mi sarei dovuta fermare e fare una famiglia: quello era sempre venuto dopo.
Ero appena rientrata a casa quando Michael si catapultò di fronte a me con gli occhi che mandavano scintille di felicità, tenendo in mano due buste. Parlava così velocemente che non capii nulla di quello che stava dicendo.
"Mike, di che diavolo stai parlando?"
"Delle tue lettere!"
Mi sbattè di fronte al naso le due buste che aveva in mano, al colmo della felicità: una proveniva da San Francisco, l'altra direttamente da Londra; una era l' Academy of Art University della California, l'altra la Sotheby's Institute of Art dell'Inghilterra.
Non avevo mai preso in considerazione altre vie che portassero alla realizzazione del mio sogno per diventare e restauratrice della cultura artistica, e sicuramente non mi ero mai sognata di diventare professoressa di storia dell'arte in un'università oltre oceano, né tantomeno lo desideravo.
Mi offrivano entrambe un posto come insegnante e sebbene sapessi che non potevo andare avanti tutta la vita a girare mezza Europa, l'idea di ammuffire dietro una cattedra a spiegare cose che per capirle bisognava solo vederle dal vivo mi ripugnò fin da subito.
'Che tempismo, però. Due in un solo giorno.'
Ascoltai distrattamente e con una punta di fastidio le conclusioni affrettate che traeva Michael.
"Così non dovremo star più separati! E ti giuro, Roxy, che se anche sceglierai l'America io ti seguirò. In fondo lo scrittore si può anche fare da lontano, no?"
Ma non avrei scelto né l'America, né l'Inghilterra. Io il mio posto l'avevo già trovato e non lo avrei mollato per qualcos'altro.
"Le rifiuto entrambe."
Michael si bloccò - finalmente - e sembrava quasi che stesse per cadere prima di aggrapparsi con forza ad un mobile. Mi guardò serio, ferito e sorpreso, infliggendomi con lo sguardo tutto il peso della mia scelta.
"Cosa? Non puoi... è... è una pazzia. Andiamo, Roxy..."
"Mike, non ho intenzione di fare l'insegnante. Quello che faccio adesso mi piace ed è la cosa migliore che possa fare."
"Ma sei brava con i ragazzi!"
"E allora? Se il mio sogno sarebbe stato insegnare stai pur certo che se anche fossi stata negata l'avrei fatto comunque. Non mi importa di queste lettere e non voglio un nuovo lavoro."
Mi fissò allibito per qualche secondo dopo i quali riprese a supplicarmi.
"Roxy, sono due delle più importanti Università di Arte di due continenti diversi, non puoi rifiutare quest'opportunità senza pensarci!"
"Invece ho pensato, Michael. Quello che voglio fare non ha alcun punto in comune con una scuola. Quando sarò vecchia e mi faranno male le ossa allora accetterò volentieri, ma ora no."
"Cazzo Roxy. Non si parla solo del tuo stupido lavoro, ma anche della nostra stabilità! Quanto pensi che riusciremo ad andare avanti quando ogni due mesi parti per un altro stato?"
"Non rinuncierò a quello che voglio fare da una vita intera, Michael. L'hai detto anche tu, no? che lo scrittore si può fare dovunque. Se ti sarebbe importato così tanto mi avresti seguito fin dall'inizio."
"Stai dicendo un mucchio di cazzate, Roxy."
"Comunque sia, non accetterò le proposte."
Michael mi guardò per un attimo, sbattè un pugno sul tavolo con rabbia e uscì fuori di casa.
Sarebbe stato infinitamente meglio se mi avessse gridato contro che non me ne fregava nulla del nostro rapporto e che ero un'egoista, ma lui era fatto così. Alla fine dello scazzo sarebbe ritornato a casa supplicandomi di perdonarlo perchè era stato proprio un cretino a non capirmi, e se c'era una cosa che odiavo, era proprio il suo sottomettersi.

Alla fine, così come Matthew aveva fatto con Gaia, lasciai Michael.
Quella fu forse la situazione che fino a quel momento legò me e Matthew molto più intensamente di quanto ci potessimo immaginare: era il legame che si crea tra due esseri della stessa specie che si ritrovano contro tutto e tutti. Cominciammo a sentirci molto di più e accettavo più spesso gli inviti che lui o Chris mi facevano per assistere a qualche loro concerto in giro per il mondo.
"A me non stava neanche simpatico."
"Chi?"
"Il tuo ex fidanzato. Era terribilmente... idiota."
"Certo, perchè tu sei Dio in terra, no?"
"Che c'è, era solo una mia considerazione! anche se era oggettivamente un cretino qualunque. Un giorno mi dovrai raccontare come cazzo hai fatto a viverci insieme.", disse Matthew esplodendo poi in una risata.
"Sei proprio uno stronzo quando fai così, Matt. Perchè devi per forza rompere le palle a me quando siamo entrambi sulla stessa barca?"
"Ah-ah.", ondeggiò l'indice davanti al mio viso facendo gesto di diniego con un sorriso ebete in volto. Era la seconda birra per entrambi e si vedeva chiaramente che Matthew era già partito da un pezzo.
"Io me la faccio con Kate."
Rimasi quasi orripilata dalle sue parole e mi venne la tentazione di lasciarlo lì in balìa dell'alcool nel tentativo di trovare da solo l'uscita dal locale. Mi calmai solo perchè realizzai che era solo colpa della birra se parlava così.
Se c'era una cosa che faceva mandare letteralmente fuori di testa tutte le donne - in senso buono - erano le attenzioni che Matthew riservava loro: metteva veramente tutto se stesso in una relazione e ti faceva sentire amata con pochi gesti che toccavano i punti giusti. E il bello era che lui era così veramente: se aveva voglia di regalarti un mazzo di fiori senza motivo lui lo faceva e basta, perchè se era innamorato sapeva diventare l'uomo perfetto.
Non era quindi da lui parlare di donne come se fossero oggetti.
Kate la conobbi ad un loro concerto alcuni mesi dopo e appresi da Dominic che era un'attrice americana e che già da alcuni mesi era fidanzata con Matt. Non andavo molto d'accordo con lei, e in ogni caso non riuscivo a capacitarmi di come la coppia Matt-Kate riuscisse a funzionare così apparentemente bene. Perchè, in tutta franchezza, non ci azzeccavano niente l'uno con l'altra, e io non ero l'unica a pensarlo. Me lo confessò - in un certo senso - anche Dominic sotto gli effetti di una sbronza una sera ad un bar, quando si staccò dalla biondina con cui stava sfacciatamente limonando pochi metri dietro di me, che dal canto suo rimase indispettita.
"Eri meglio te, sai, Roxy?"
Mi voltai e non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto vedendolo con le mani a palpeggiare il fondoschiena della ragazza alla quale, a quanto la sua espressione faceva intendere, quel trattamento non dispiaceva per niente.
"Dominic, per carità. Sei ubriaco, di che cazzo stai parlando?"
"Sei meglio te di Kate. Peccato che hai fatto quella cazzata, era più bello quando c'eri te."
Alla ragazza non dovevano tanto piacere le parole, perchè si era già stufata di vedere la bocca di Dominic fare qualcos'altro che non fosse baciarla - o peggio -, e lo aveva attirato verso di sè con un moto di impazienza, troncando così la nostra conversazione.
'Era senz'altro più difficile, quando c'ero io."
In ogni caso, sebbene non ci credesse nessuno nella loro relazione, Matt e Kate se ne fregarono dei pronostici negativi che li davano ognuno per la propria strada nel giro di pochi mesi e continuarono ad essere fidanzati per mesi.

"No, dico, ma sei scema?"
"Cazzo Susy, potresti anche essere un tantino più felice per me, no? Non sto andando in guerra, tra l'altro."
"Lasciala perdere Roxy. È gelosa."
Melissa lavorava con me e Susan, ma a differenza nostra aveva qualche anno in più, anche se dall'aspetto non si sarebbe detto. La prima volta che la vidi mi ricordò una sottospecie di folletto, con quel berretto verde calcato sulla testa e i capelli corti biondi che ne uscivano a ciuffi.
"Non sono gelosa! Sono terribilmente incazzata perchè mi lasci qua da sola!"
"Susy, ti stai facendo problemi inutili e stai risultando ridicola."
"Ha ragione Roxy, è un tantino da squilibrate fare que..."
"Non me ne frega un cazzo se è da squilibrate o no, perchè so anche io che Roxy ha fottutamente ragione. Il punto e che questa cosa non mi piace!", sbottò Susan sbattendo un piede per terra.
"È una cosa di pochi mesi, Susy, e ti ripeto: non vado in guerra!"
"No, vai solo oltre oceano! C'è di tutto qua, perchè devi andare in America a fare una cosa che nemmeno ti piace così tanto?"
"Semplicemente perchè ho bisogno di farlo. Non ti succede mai di voler fare qualcosa eppure non sapere perchè la dovresti fare?"
"Non sono complicata come te, Roxy."
Sbuffai spazientita, "Ti prometto che quando avrò finito tornerò e ricomincieremo tutto da dove abbiamo interrotto, okay?"
"Non ho bisogno delle tue cazzo di promesse, io ho bisogno della tua presenza! Non riesco a fare come te, che ti tieni tutto dentro e rimedi da te a quello che non ti sta bene. Se finirò in depressione, e stai pur certa che succederà, sarà tutta colpa tua."
Susy fece una faccia imbronciata così adorabile che non riuscii a trattenermi dall'andarla ad abbracciare. Liz da dietro fece una faccia esasperata, perchè quando Susan ci si metteva, sapeva fare i capricci come una bambina a cui non andavano bene i regali di Natale. Liz e io sapevamo entrambe, comunque, che quello era il suo modo per manifestare affetto, ed ero combattuta tra lo sciogliermi perchè capivo quanto mi voleva bene e l'irritazione più totale.
"Ti odio.", disse lei contro il mio orecchio e non potei far altro che scoppiare a ridere.
"Per Natale sarò qui a lavorare con voi, ci puoi scommettere."
"Non ricordarmi quanto tempo starai via, per favore. Se senti il rumore come di un ramo che si spezza sappi che è stato il mio cuore."
"È una delle cose più romantiche che mi hai mai detto."
"Non è affatto romantica, è semplicemente drammatica."
"Roxy cerca di ritornare il più in fretta possibile perchè io per quattro mesi questa non la reggo."
"Potreste chiedere qualche settimana di vacanza e venirmi a trovare. Sono sicura che Billie ve le lascia."
"Ovvio, è innamorato perso di te.", borbottò Susy.
Billie era quello che si può definire il nostro "capo", ma non era assolutamente innamorato perso di me. Semplicemente mi aveva preso molto a cuore perchè da quando avevo incominciato a fare la restauratrice non l'avevo mai abbandonato; era stato lui che mi aveva obbligato ad andare a occuparmi personalmente di una mostra di fama mondiale nel Massachusetts e non avevo potuto far nulla per oppormi. Non ero neanche tanto sicura di non volerci andare, alla fine.
"Se mai riusciremo a prendere queste due settimane libere, credi che riusciremo a sopportare il fatto di essere in vacanza e di non poterci godere la nostra migliore amica perchè lei, a differenza nostra, si starà facendo il culo? Non credo proprio."
Lanciai un'occhiata di traverso a Melissa. Se ci si metteva pure lei non ne saremmo uscite vive.
"Beh, se non altro potremo visitare la città e goderci il mare, se ci pensi bene.", riflettè Susy.
'Dio, grazie. Sia ringraziato il cielo.'
"Fà un freddo cane a Boston, soprattutto in inverno."
Melissa sapeva intervenire nel momento giusto per demolarizzare qualcuno: era una cosa che le riusciva particolarmente bene, e in quel momento la odiai più che mai.
"Okay, mi arrendo. Sappi che se ritarderai di un solo giorno ti strapperò tutti i capelli, sei avvisata."
"Grazie a Dio Susy, l'hai capito. Te l'ho già detto, vero, che sei esasperante?"
"Solo un paio di volte. Cerca di non dimenticarti di noi però, eh."
Risi, "So che se faccio qualcosa che non va bene ti ritroverò appiccicata alle mie chiappe come una sanguisuga."
"Divertiti, scema."
"Ritornerò sana e salva, non ti preoccupare. So ancora badare a me stessa."
"Oh, di quello stai pur certa che non dubitiamo. Solo cerca di non cambiare troppo, okay?"

Così, nel giro di una settimana accolsi con un misto di incredulità e paura la notizia che effettivamente stavo andando in un altro continente per organizzare una mostra di fama mondiale al Museum of Fine Arts di Boston.
Non avevo mai avuto il desiderio di lasciare l'Europa perchè sapevo che tutto ciò di cui avevo bisogno si trovava dove ero cresciuta e non in America, ma in quella precisa circostanza mi ritrovai a ringraziare Billie: cambiare aria non mi aveva mai fatto più bene.
Quando arrivai a Boston ci si stava avviando verso l'autunno. Per le strade c'era il caratteristico foliage per il quale una come me sarebbe riuscita a stare seduta per ore a guardare le foglie color pastello che coloravano gli alberi. E ce n'erano ovunque.
Il 3 Novembre notai una chiamata persa sul cellulare, e quando vidi che era di Chris intuii subito che era nato suo figlio.
"Sei in America? Cosa diavolo ci fai in America?"
"Ci lavoro, Dominic. Anzi, stavo lavorando giusto fino a qualche minuto fa. E adesso mi puoi passare Chris? ho chiamato lui se non sbaglio."
"Cazzo, che gentilezza; adesso te lo chiamo. A che stai lavorando?"
"Curo l'organizzazione delle opere di un museo. Quello famoso a Boston, hai presente?"
"No."
Sospirai, "Chissà perchè ma la cosa non mi stupisce. Ma dove si è cacciato Chris?"
"Ehy! Guarda che io sono un uomo che di cultura se ne intende, eh. Non posso certo sapere i nomi di tutti i musei del mondo, così sprecherei la mia memoria, no? Me l'hai raccontata te, vero, la cazzata che la memoria umana ha un limite e che andando avanti con l'età tendiamo a cancellare i ricordi più vecchi?"
"Non è una cazzata, è appurato scientificamente, Dom, e ora vai a cercare Chris! Cazzo, è nato suo figlio e io devo star qua a parlare con te al posto che congratularmi con lui e Kelly."
"Vado, vado. Quanto sei acida."
Dopo qualche minuto sentii finalmente la voce di Chris e smisi finalmente di torturarmi le unghie.
"Roxy! Non immagini quanto sia felice! Credo che non mi ci abituerò neanche se avrò altri dieci figli."
"Scommetto che altri dieci figli non ve li toglie nessuno seriamente. Kelly sta bene?"
"Si è tutto a posto, grazie.", aveva il tono di chi è soffocato dall'emozione e lo sentii tirar sù col naso, "Ha partorito con qualche giorno di anticipo e abbiamo dovuto cancellare un paio di concerti, ma a parte questo è andato tutto una meraviglia."
"Appena trovo una settimana libera vi raggiungo: non ne posso più di questo posto qui, non è proprio adatto a me e voglio vedere assolutamente il tuo bambino."
Rise, "Sei già andata a New York? Quella si che ti destabilizzerebbe"
"No, e ho paura di quello che potrei vedere, infatti. Tutti continuano a propormi gite clandestine, anche per il fatto che New York non è molto lontana da qui, ma continuo a rifiutare. È troppo... chiusa, per i miei gusti, non credo che mi piacerebbe."
"Già, lo penso anche io. Ma dovresti comunque andare a vederla, c'è talmente tanta pazzia in giro per quelle strade che potresti andarci solo per farti due risate. Fino a quando ne avrai ancora là?"
"Fino a metà Dicembre. Voi come state messi col tour?"
"Riprendiamo fra un mese, ci fermiamo fino a Febbraio e riprendiamo con date sparse in giro per l'America; più che altro accompagnamo gli U2. È bellissimo e tutto, ma certe volte vorrei solo star fermo in un posto per due mesi di fila e godermi la mia vita in pace, giusto per riassaporare la routine quotidiana. Non è così facile come si crede."
'No, non è così facile. E vorrei tanto che lo capiste anche voi.'
"Quando sarete troppo vecchi e mollerete tutto rimpiangerai questi momenti."
Sospirò, "Già, lo so. Senti Roxy, devo ritornare da Kelly, sai com'è..."
"Certo, certo. Salutamela e salutami anche Matt, è da un casino che non lo sento."
Perchè il pretesto per chiamare Matthew era sempre stato il senso di malinconia che certe volte mi opprimeva. Quel genere di conversazioni e quelle domade - esistenziali, le definivo io - che mi venivano in mente erano perfette da discutere con Matt e, anzi, lui solo aveva l'esclusiva dei miei problemi più intimi. Ma la cosa, passato il tempo di depressione riflessiva, finiva lì. Con tutte le cose da fare nell'ultimo periodo non avevo avuto né lo spazio né il tempo necessario per pormi problemi per i quali avrei dovuto confidarmi con Matthew.
Dalla sua parte, Matthew si ricordava di me solo quando non aveva cose troppo importanti a cui pensare.
Il nostro era un rapporto estremista: fin quando uno dei due non si rendeva conto che l'altro era fondamentale, si continuava ognuno per la propria strada senza neanche ricordarsi che, all'altro estremo della linea d'aria che attraversava qualche stato e più spesso l'oceano, c'era qualcuno pronto ad ascoltarti.
'È come quella cosa che non ti rendi conto di quanto qualcosa possa valere finchè non la vedi scivolarti via tra le dita. Solo che in questo caso la cosa è una persona, il che è ancora peggio. Ed è addirittura straziante quando la persona è Matt.'
Tuttavia fu solo dopo un mese che mi decisi a chiamarlo.
Qual'era la causa? Semplice: New York.
Alla fine Brian (uno dei ragazzi che lavorava con me) mi tese una trappola e, dato che non vedevo alcuna via di fuga che non conducesse alla Grande Mela, non potei fare altro che accettare a malincuore quella gita. Come mi ero aspettata, New York non mi era piaciuta affatto: da quel poco che avevo visto l'avevo giudicata e archiviata nelle cose "finte". Non che non fosse affascinate e folle, ma era troppo scenografica per risultare bella per i miei gusti. Central Park era si un posto bellissimo ed era anche quello che mi era piaciuto più di tutti, ma era anche vero che quello che molta gente ne definiva il bello - quel grande spazio verde in mezzo a costruzioni grigie e troppo moderne - io lo consideravo semplicemente fuori luogo e più una presa per il culo che altro. Se uno degli hobby dell'umanità era il redimersi, Central Park ne era una prova concreta.
"A cosa devo questa telefonata, Roxy?"
"È perchè ho visitato New York: mi ha fatto venire voglia della tua psicanalisi. Stare lontana dall'Inghilterra mi fa andare in depressione dopo un po'. A te non capita mai, Matt?"
"Scherzi? È la parte più brutta di fare la rock star. Senza contare che dopo due mesi di concerti tutto quello che vorresti fare è stare sul divano a fare zapping alla tv."
"Penso sia veramente ora di fermarmi."
Silenzio. "Cosa?"
'Da quando Roxanne Thompson si arrende così facilmente?'
"Beh, ovvio che non ho certo intenzione di mollare tutto. Sono solo stanca di girare il mondo senza poter mai chiamare un posto "casa mia". Credo che sia ora di accettare una di quelle proposte per la cattedra all'università che mi sono arrivate e smettere di fare la cazzara."
"Qualche anno fa non avresti rinunciato per nulla al mondo a girare musei su musei. Non può essere una cosa così importante, quella della casa."
"Non è solo il fatto della casa, è anche per avere un punto di riferimento: perchè, se ci pensi bene, neanche Teignmouth sta avendo un ruolo così centrale nella mia vita. Ci torno e mi sembra vuota. E poi i tempi sono cambiati, tutti abbiamo cambiato priorità."
"Tutti tranne me. Io non ho cambiato proprio niente, il mio chiodo fisso è sempre la musica."
"Ora mi racconterai che non hai mai pensato di mettere su famiglia, vero? Chi ci crede, Matt."
Silenzio. "Sei frustrante quando mi leggi nel pensiero, lo sai?"
"Ti conosco come le mie tasche, è normale che prenda il posto della tua coscienza."
Una risposta come quella avrebbe obbligatoriamente tirato in ballo certe considerazioni che stavano troppo strette a tutti e due, ma in tacito accordo andammo avanti come se nulla fosse, perchè la questione dell'essere uguali avrebbe fatto riaprire vecchie ferite inutilmente.
Che fosse quella la prova che eravamo cambiati? Forse non eravamo più così masochisti da rinfacciarci tutto ogni santa volta?
"Una volta ho letto in un libro che le persone tendono ad assimilare due versioni di significati diversi, da una conversazione."
"Nel senso che non capiamo cosa ci viene detto?"
"No, nel senso che quando parliamo una parte del discorso la recepiamo tutti uguale, mentre l'altro è una visione più nostra, di un significato più intimo. Secondo me è vero."
"Non è che l'hai letto su Focus Junior o cazzate del genere per bambini?"
"No, scemo. E sai cosa dovremmo fare, un giorno di questi? una festa stratosferica di quelle che facevamo alla fine di ogni concerto del vostro primo tour."
"Guarda che anche quando tu te ne sei andata abbiamo continuato a fare feste ed ubriacarci come ragazzini."
"Eravate ragazzini, a quel tempo, Matt, lo eravamo tutti. E comunque non saranno state certamente così fighe senza la mia presenza, no?"
"Già.", trattenne il fiato come se volesse aggiungere qualcosa che avesse paura a dire, e lì per lì pensai che stesse male ma quando glielo chiesi mi rispose un no nervoso.
La pausa era più che giustificata, però, dalla frase che disse dopo.
"Kate è incinta."
Avevo sempre pensato che in qualche modo si potesse recuperare il tempo che avevamo passato insieme come fidanzati. In un modo malsano ed egoista, ma avevo sempre tenuto in considerazione quella possibilità. Quando realizzai ciò che mi aveva detto, però, dovetti arrendermi e convincermi che il tempo in cui eravamo innamorati era ormai finito da tempo. Ed ero felice per lui, dopotutto.
"Cosa?"
"Hai capito benissimo."
"Porca puttana Matt! non ti ho mai pensato come ad un padre! Cazzo sono felicissima per te! Come lo chiamate? e quando nasce?"
"Frena, frena.", sospirò profondamente, "Io non sono sicuro di voler fare il... papà. Cioè... è troppo... troppo."
"Sei scemo? Primo: te lo dico con tutto l'amore possibile, ma non hai scelta. E poi è una cosa bellissima! Andiamo, un marmocchietto tutto tuo!"
"Il problema è che...", sospirò, "Io e Kate non ci eravamo messi d'accordo su niente. Sai di cosa ho paura? Che non sia mio."
"Come?... andiamo, conosco abbastanza Kate da sapere che non ti ha tradito con nessuno, sarebbe stata una stupida a farlo e lo sa anche lei."
"... Il punto è che io non so se la amo abbastanza da crescere un figlio con lei. Non stiamo insieme da neanche così tanto tempo! Io non... devo avere i miei progetti da seguire e non c'era scritto da nessuna parte la venuta di un bambino."
"La verità è che le cose che non sono sotto il tuo controllo ti fanno uscire fuori di testa."
"Non mi aiuti così, Roxy."
"Senti: ti fidi di Kate?"
Lo sentii sospirare e in quel momento mi chiesi se Dominic e Chris lo sapessero. 'Certo che si, che domande. Sono praticamente fratelli. Come fai a non dare l'anteprima di una cosa così ai tuoi fratelli?'
"Sì, credo di si.", disse infine.
"E allora il bambino stai tranquillo che è il tuo."
'Se sei così cagasotto da non chiederlo direttamente a lei ma rivolgerti a me, però, comprenderai da solo anche te che stai messo abbastanza male.'
"Vi amate e siete insieme, ce la farete tranquillamente. E tu ormai hai più di trent'anni, è ora che pensi di metter sù famiglia, no?"
"Solo perchè hai tre anni in meno di me non devi trattarmi da vecchio, Roxy. Che poi trent'anni non sono neanche così tanti, c'è ancora tempo per tutto..."
"Senti, Matt: smettila di dire cazzate e di fare il cagasotto e affronta questa cosa da persona matura. Non stai per morire ma stai per avere un figlio e questa cosa andrebbe vissuta come una cosa splendida: guarda Chris, anche a farne altri dieci sarebbe sempre con gli occhi lucidi a tenere in braccio l'ultimo figlio. Lo hai mai visto dubitare se fosse la cosa giusta o se fosse pronto?"
"Ma io non sono Chris! Io... io certo che lo voglio un bambino, maledizione, ma non adesso! Ci pensi? me padre! Insomma, è successo troppo velocemente, è venuta in camera tutta felice e mi ha detto che era incinta. E io cosa potevo fare? Anzi, cosa posso fare?"
"Nulla di diverso dallo starle vicino e prenderti cura di quel bambino insieme a lei. Kate, ora come ora, ha più responsabilità di te su quel bambino e se la lasci sola avrà da affrontare ancora più problemi, e tu stai pur certo che non rimetterai piede in Inghilterra vivo. Non farle questo, Matt. Non se lo merita."
In verità, per quanto mi riguardava, la persona che non si meritava di avere problemi inutili dovuti dall'incertezza era proprio Matthew, perchè a lui serviva solo una spinta per capire che quello che gli importava realmente era stare vicino a Kate e essere un buon padre; se il mio ruolo era aiutare Matt a capire qual'era la strada giusta da intraprendere, potevo benissimo accantonare in un angolo l'antipatia che nutrivo nei confronti di Kate. In situazioni delicate come queste si impara a dosare il peso delle parole per farle suonare più convincenti. A quanto pare, c'ero riuscita.
Lo sentii sospirare, "Hai ragione. Sono uno stupido. Solo che è successo così velocemente che ho avuto... una paura fottuta."
"Cazzo, dovrei sparare fuochi d'artificio solo per il fatto che hai ammesso di aver paura anche tu, qualche volta."
Ignorò il mio commento, "Grazie, Roxy. Avrei fatto qualche cazzata senza di te."
"E ora sarebbe il momento di una bomba nucleare. Sul serio Matt, stai facendo progressi nell'ammettere che sei umano."
"E tu resti sempre così idiota da non saper dire neanche un prego, vero?"
Alzai le spalle, sicura che avrebbe immaginato comunque il movimento anche se non poteva vederlo con i suoi occhi.
"Che ci vuoi fare, ognuno vive come può."

Ritornai in Inghilterra pochi giorni prima di Natale e ripromisi a me stessa che non sarei stata più in America. Accantonare il masochismo per la salute morale non era una cosa da tutti giorni per me, quindi lo considerai un grande passo.
A metà Febbraio Billie mi mandò in Italia per curare l'allestimento di un museo sull'arte seicentesca nella capitale, e nel giro di due mesi successero cose fondamentali per la mia vita.
Era metà Marzo, il mio lavoro in Italia era concluso, e così decisi di ritornare a Londra. Di fronte alla porta di casa mia, però, non mi aspettai certo di trovare decine di rose bianche sparse ai piedi della porta che attendevano solo di essere raccolte e messe in un vaso. Le presi una per una con le lacrime agli occhi, e quando aprii la porta vidi Michael nel centro della stanza con un sorriso felice sul volto.
In quel momento mi accorsi di quanto l'amassi ancora, perchè la sua presenza lì aveva spazzato via tutti i litigi e le incomprensioni che c'erano state in passato. Non importava più un fico secco se era passato più o meno un anno dall'ultima volta che ci eravamo visti, dei suoi difetti, che ci avessimo messo un periodo esageratamente lungo a capire che eravamo fatti l'uno per l'altro e del nostro rapporto malato che sarebbe continuato inesorabilmente, anche con l'intervento di decine di promesse.
L'unica cosa che sapevo era che il mio principe azzurro aveva i capelli ricci, occhi azzurri e che aveva spaccato il vetro della finestra come un ladro per entrare lì.
Mollai tutte le rose su un mobile e corsi ad abbracciarlo, mentre Michael si toglieva lo sfizio di vedermi almeno una volta piangere di fronte a lui.
"Mi dispiace, Roxy. Mi dispiace da morire.", sussurrò contro il mio orecchio.
Scossi semplicemente la testa contro la sua felpa per asciugarmi le lacrime senza aver la forza di dire niente. Mi era semplicemente mancato da morire, e di fronte a lui avrei potuto benissimo ammettere che io ero una persona orribile, orgogliosa ed egoista. Per Michael avrei buttato senza rimpianti la corazza che mi ero costruita in ventinove anni di esistenza per affrontare senza troppe difficoltà i dolori della realtà.
"Lo so che sei una testa calda e che non ti fermi di fronte a nulla. So anche che in fondo soffri un casino pure te, anche se non lo ammetti mai apertamente. Capisco che se decidi di fare una cosa non guardi in faccia nessuno e prosegui per la tua strada, e probabilmente se io non fossi esistito avresti vissuto benissimo comunque, Roxy."
'Sbagliato. Avrei avuto un sacco di problemi senza te e i tuoi occhi dolci.'
"Ma io ti amo, Roxy. E scusami per tutte le cazzate, ma è difficile capire uno spirito libero come il tuo."
A quel punto mi staccai dalla sua felpa e in punta di piedi gli raggiunsi le labbra e vi posai un bacio.
Ed era esattamente , il punto: nel bacio. L'unica cosa di cui le donne avevano bisogno per risistemare tutto era un semplice bacio che sapesse far capire che non erano sole al mondo. Gli uomini, spesso, non richiedevano niente di più e niente di meno di una notte di sano sesso su cui scaricare la tensione per qualche incomprensione di coppia. Roxy, nel suo profondo, si riteneva fortunata perchè era sicura di aver trovato, nel mondo, gli unici due uomini che avevano saputo farla sentire importante con poche cose.

"Ho deciso di accettare la cattedra di storia dell'arte alla Sotheby's Institute of Art qua a Londra."
Michael mi guardò con gli occhi sbarrati e il sorriso che piano piano gli si apriva sul volto. Erano trascorse tre settimane dal mio rientro in Inghilterra, e solo adesso avevo avuto il coraggio di dirglierlo.
Mi abbracciò stretta e mi sollevò da terra ridendo. Quando mi rimise a terra il suo sorriso si spense per un'espressione preoccupata.
"Ne sei sicura?"
Feci una smorfia, "Per niente, in verità."
"Roxy, non devi fare qualcosa solo perchè te l'ho chiesto io. Fregatene di quello che voglio, avrei troppi pesi sulla coscienza altrimenti."
"No, ci ho pensato da sola. E anche se non è quello che voglio, so che è quello che è più giusto. Ho solo una fifa blu."
"E di cosa?"
"Di non essere abbastanza matura per capire le differenze tra le scelte giuste e quelle sbagliate. Chi l'ha detto che quello che farò non si rivelerà una grande cazzata?"
"Nessuno, ed è proprio per questo che devi rischiare. Ti stai facendo problemi inutili, Roxy. Hai sempre odiato quello che non riuscivi a controllare e non hai mai capito che il rischio va a pari passo con la paura."
Sospirai, "Io non ho paura, è solo che ultimamente stanno cadendo tutte le mie convinzioni. Sai che Matthew diventerà padre? Non avrei mai immaginato che sarebbe accaduto così in fretta. Cioè, sembrava ieri che eravamo due ragazzini innamorati."
"Sono felice per lui. E sono super felice per te e per noi."
Mi aveva stretta in un abbraccio e mi aveva sussurrato un grazie mentre mi posava un bacio tra i capelli.
'Non so cosa caspita mi muova ad essere più razionale e a prendere in mano le redini della mia vita, ma stai pure certo che in qualche modo c'entri soprattutto te.'
"Se sopravviverò per almeno un mese imprigionata dentro quella scuola, giurami che prenoteremo il primo volo e scapperemo in qualche bella città in riva al mare."
"Ti porterei anche sulla luna, lo sai."
"No.", gli baciai la punta del naso sorridendo, "Grazie, ma mi accontento del mare."

Lo squillo del cellulare mi svegliò e pregai che Michael non si svegliasse a sua volta. Guardai automaticamente la sveglia a lato del letto: 4. 21
"Si?", sbadigliai.
"Roxy, sono diventato padre! È nato! È nato il mio bambino!"
Non ci misi tanto a capire il significato di quelle parole, ma quando lo feci mi svegliai come se mi avessero buttato una secchio d'acqua gelata sulla testa. E, in effetti, era più o meno quello che era successo, no?
"Cazzo Matt! Sono super felice! Come si chiama? Kate sta bene?"
"Stanno tutti e due benissimo, il bimbo si chiama Bingham ed è... è bellissimo, Roxy, è qualcosa di indescrivibile."
Si sentiva dalla sua voce che era commosso e che era cento volte più su di giri di Chris quando era stato il suo turno. Anche se non avevo mai pensato a Matthew come ad un genitore, c'era però da ammettere che in fondo lui era l'incarnazione del padre perfetto, e quindi perchè no? Il bambino era veramente fortunato ad avere lui come padre.
"... Bingham?"
"Che c'è? Qua piace a tutti!"
"Mi rifiuto di chiamare quella povera creatura Bingham. Il diminutivo quale sarebbe, Bing?"
"In ogni caso appena saranno entrambi dimessi dall'ospedale torneremo in Inghilterra, per starci. Ti ho già detto che bbiamo comprato una casa lì?"
"No! Ma cazzo, è perfetto! Fatevi sentire quando venite qui, mi raccomando. Voglio assolutamente vedere il marmocchio."
Rise e sentii voci sovrapposte dall'altro capo del telefono, intorno a lui.
"Roxy mi stanno chiamando per firmare alcuni documenti, devo andare."
"Certo, Matt. Auguri e buon papà."
'E sii felice. Ti impartisco la benedizione di Roxanne Thompson, ora và in pace.'
Ridacchiò, "Grazie!"
Alla fine, Matthew era la copia sputata del ragazzino sedicenne che era: con un sacco di cose per la testa, prima fra tutte la sua chitarra e il suo pianoforte. Come alcune persone si erano augurate, era solo maturato un po' rispetto a quel tempo, ma in fin dei conti restava sempre lo stesso ragazzino determinato di allora, pronto a raggiungere quello che voleva.
'Ricordi, Matt, quando mi cantasti quella canzone di Johnny Cash? 'You are my sunshine'. In quel momento, quando imitavi in modo maldestro la sua voce, pensai che avremmo potuto vivere tutta la vita insieme in una casa bianca con il giardino sempre pulito. Avere dei figli, persino. Erano le illusioni di una ragazzina innamorata che cercava di fare la dura solo per non venir schiacciata dal peso del mondo, ma che alla fine era convinta che una vita perfetta sarebbe potuta benissimo essere realtà con la tua presenza. Non avevo intenzione di prendere in considerazione l'ipotesi che tu, in un giorno qualunque e neanche ben preciso, te ne saresti andato per intraprendere una strada diversa dalla mia. Lo sapevo, nel profondo, che non ci sarebbero stati arcobaleni perennemente ancorati al cielo, ma avevo paura di pensare qualcosa di diverso.
È sempre stata una questione di paura, fin dall'inizio: credo che sia vero che a volte riesce a salvare delle vite, perchè ha salvato la mia e la tua da un destino pressoché impossibile.'

Incominciai a sospettare qualcosa - non sapevo esattamente che cosa, ma ero certa che ci fosse qualcosa di fondato per cui valeva la pena sospettare -, quando un tardo pomeriggio rincasai e feci in tempo ad ascoltare Michael che parlava al telefono con un certo "Dominic". Pensai subito che si trattasse di Howard, e ne ebbi la conferma quando Mike sussurrò anche il nome di Matthew. Non poteva essere una coincidenza, no? No, infatti, ma che caspita ci parlava a fare Micheal con Dom?
Appena varcai la soglia del salotto con le mani sui fianchi e un'aria truce, Mike chiuse velocemente la chiamata e si intascò il telefono con un sorriso finto sul volto.
"Amore!"
"Perchè stavi parlando con Howard?"
"Howard? Dominic Howard? Guarda che non ero al telefono con lui. Non mi sta neanche simpatico, tra l'altro."
"Andiamo, non dirmi cazzate.", roteai gli occhi, perchè sapevo benissimo che stava mentendo. Si vantava sempre di essere un bravissimo attore con tutti, e ammetteva anche, pieno di orgoglio di fronte alle facce stralunate di chi lo stava ad ascoltare, che l'unica persona con cui non gli riusciva quella sua innata capacità, ero proprio io.
"Avanti, che state complottando?"
"Niente, amore, te l'ho detto.", si avvicinò cingendomi i fianchi con le braccia, "Ti porto fuori a cena, stasera. Contenta?"
"Sai che in una coppia ci dovrebbe essere fedeltà reciproca? In ogni caso accetto l'invito comunque, ma sappi che non mi corrompi con una pizza."
"Brava. Andiamo? Ho una fame da lupi."
Uscimmo di casa abbracciati e salimmo in macchina mentre le prime goccioline di pioggia cadevano dal cielo e si infrangevano sul parabrezza dell'auto.
Dopo una decina di minuti mi accorsi che non stavamo affatto andando al nostro solito ristorante, ma da tutt'altra parte.
"Non stiamo andando al ristorante, vero?"
Per risposta Michael rise, "Fai sempre le domande giuste al momento giusto. No, stiamo andando da un'altra parte." Distolse per un attimo gli occhi dalla strada e mi guardò sorridendo, "Ti fidi di me?"
Non ebbi né dubbi né tentennementi nella risposta: annuii decisa e il suo sorriso si ampliò ancora di più. Costeggiò la macchina e tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans un foulard spiegazzato e quelli che mi sembrarono due tappi per le orecchie.
"Ho detto che mi fido, non che voglio essere la cavia dei tuoi esperimenti, Dottor Jekyll."
"Dai, scema. Non fare domande." Mi infilai i tappi per le orecchie e mi legai il foulard sulla testa per coprire gli occhi.
"Se non sarà una sorpresa davvero clamorosa, ti farò rimpiangere di avermi fatto diventare cieca e sorda."
Non sentii la sua risposta - se mai ce n'era stata una - ma solo la mia voce nella testa.
Incominciai a diventare nervosa dopo pochi minuti perchè non vedendo e non sentendo nulla, non ero sicura che la situazione nella quale mi trovavo era uguale a quella di quando mi ero isolata. Qualche volta Michael mi sfiorava la mano e solo allora avevo la certezza che era lì con me. Ma mi fidavo, giusto? Avrei fatto quello che mi chiedeva senza ripensamenti.
Ad un certo punto percepii la macchina fermarsi e dopo poco l'aria fresca mi scompigliò i capelli. Michael mi aveva aperto la portiera, mi aveva preso le mani e ora mi stava aiutando a scendere.
Mike mi accarezzò le guance, mi stampò un bacio sulle labbra e mi tolse i tappi, senza però toccare la benda.
"È stata una delle esperienze più brutte della mia vita, cazzo. Siamo arrivati?"
"Manca ancora poco."
Quello che più mi preoccupava era la totale assenza di rumori. Sentivo solo i nostri passi battere su un pavimento e, dopo, neanche più quello. Stavo camminando sull'erba, probabilmente, e qualche volta sentivo dei rumori in lontananza che però non sapevo identificare.
Di tacito accordo, non rivolgevo domande a Micheal perchè sapevo che si sarebbe sotto qualcosa, lo sentivo. Strinsi più forte la sua mano e continuai a seguirlo.
Quando mi fece fermare mi baciò sulla fronte e sussurrò: "Ti dico io quando togliere il foulard, okay?"
Annuii per non rompere il silenzio attorno a me, che per un momento mi sembrò fatto di persone in carne ed ossa e respiri trattenuti, e Michael mi lasciò le mani. Era andato lontano da me, quello lo sentivo, ma non mi preoccupavo.
Dopo qualche minuto la sua voce amplificata da un microfono raggiunse le mie orecchie.
"Puoi scoprirti gli occhi."
Quando mi tolsi la benda la lasciai cadere a terra senza rendermene conto. Ero al centro di un cerchio di persone che mi guardavano sorridenti, alcune piangevano commosse, e distavo di una ventina di metri da un grandioso palcoscenico. Mi trovavo in uno stadio, e quelli che c'erano sul palco erano i Muse, messi nelle posizioni assegnate ai concerti. Al centro del palco, di fronte a me, Michael mi guardò sorridendo, scoprendo i denti bianchi.
"La tua canzone preferita.", annunciò solo, prima di ritirarsi in un angolo del palco lasciando spazio ai Muse.
Li guardai uno per uno e tutti e tre mi sorrisero felici. Avrei voluto abbracciarli e ammazzarli insieme, ma ero bloccata al centro del cerchio di persone che si tenevano a debita distanza da me, forse perchè sapevano che quello era il mio momento.
Dalla prima nota riconobbi "Simple Man" dei Lynyrd Skynyrd, e automaticamente mi vennero le lacrime agli occhi.
Quando Matthew iniziò a cantare, mi si sciolse definitivamente il cuore e le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance.
'Me lo merito davvero, tutto questo?'
Più di una volta, ad un concerto, mi era capitato che la foga e una buona dose di entusiasmo da fangirl mi avessero fatto credere che il cantate avesse puntato gli occhi esattamente su di me. In realtà sapevo che era tutto un gioco della mia mente, perchè avevo solo avuto l'illusione di aver visto quello che la mia testa voleva farmi vedere. Ora, però, non avevo dubbi riguardo a quello: gli occhi di Matthew, così come quelli di Chris e Dominic, erano perennemente puntati su di me.
Quando finì la canzone, la folla intorno a me esplose in urla e fischi che si placarono definitivamente quando Michael riprese di nuovo possesso del centro del palco con il microfono in mano.
"Grazie ragazzi."
Vidi di sfuggita Matthew fare un inchino accennato, senza prendere mano al microfono perchè sapeva che non era il suo momento. Lui si era prestato con felicità a fare l'intermediario di un messaggio con il quale non aveva niente a che fare, ma ora sapeva che doveva restarsene nel suo angolo a guardare quello che sarebbe successo.
Il realtà sia Roxy che Matt sapevano, nel profondo, che quel momento non era stato programmato così, e che erano incorsi degli imprevisti che li avevano portati fino a quel punto; ci sarebbe dovuto essere Matthew al posto di Michael. Si erano però accontentati di quello che avevano sempre considerato un fattore secondario. Probabilmente, se in passato avessero guardato un po' più alla loro felicità e non soltanto ai loro obbiettivi, avrebbero passato tutta la vita insieme.
Michael incastrò il microfono all'asta e scese dal palco. Arrivò di fronte a me, e l'unica cosa che l'emozione mi concesse di dire fu: "Sei un cretino, Michael."
Lui sorrise e si inginocchiò di fronte a me e di fronte alle migliaia di persone che erano presenti in quello stadio. Tirò fuori da dietro la schiena una piccola scatola di velluto blu.
"Roxanne Thompson, vuoi sposarmi?"
Per un secondo cercai con lo sguardo Matthew, ma sul palco restavano solo Chris e Dominic. Per un altro istante il mio sorriso vacillò, ma mi rianimai subito quando capii quello che Michael mi stava chiedendo. Mi inginocchiai di fronte a lui e lo baciai, perchè si, mandando a puttane tutti i miei principi secondo i quali nessun uomo mi avrebbe mai messo il collare al collo camuffato con un anello al dito, scelsi di volere Michael accanto a me per il resto della mia vita e mi lasciai mettere il fatidico anello.
"Certo! Certo che lo voglio!"
In quel momento non capii più niente: la folla attorno a noi urlò e fischiò, il cerchio si ruppe e Michael mi prese per mano, mi fece alzare e mi abbracciò. Non c'erano altre parole, in quel momento: ci amavamo e tanto bastava.
Feci appena in tempo a chiedermi perchè mai la folla si fosse ammutolita così improvvisamente, quando in sottofondo sentii le note appena accennate di una canzone che conoscevo benissimo. La riconobbi al primo istante: era la prima canzone che Matthew aveva cantato di fronte a me, e da quel momento me ne innamorai più di prima.
Al centro del palco Matt era seduto su uno sgabello e imbracciava una chitarra classica; cantava ad occhi chiusi e l'unica azione che mi fu concessa fu quella di mettermi una mano davanti alla bocca e di reggermi a Michael per non cadere, il quale guardò Matthew confuso. Probabilmente non sapeva neanche lui - così come Dominic e Chris che se ne stavano vicino alla batteria con un'espressione di pura sorpresa - di quella sua improvvisata.
Quando mi fece ascoltare quella canzone (quanti anni aveva? 18? 19?), mi disse che continuando a cantarla dappertutto gli avevo fatto venire voglia di dedicarmela.
In quel momento la sua voce mi riportò anni indietro, quando eravamo entrambi dei ragazzini pieni di ambizioni. Riuscivo a vedere Matt chiaro come il sole mentre mi cantava quella canzone che era più una sorta di dichiarazione che un semplice giro di accordi. Mi ricordo che pensai che in mano sua tutto poteva diventare perfetto.
"La musica, come il sale, conserva meglio." Chi è che l'aveva detto?*
Quando Matthew finì la canzone si alzò e tolse il microfono dall'asta: "Grazie Roxy."
Gli sorrisi e lo guardai allontanarsi dietro le quinte del palco. Avevo comunque colto il suo movimento delle labbra prima di allontanarsi rivolto esclusivamente a me, e quello mi diede il colpo di grazia: un "I love you" mimato prima che con le labbra, con gli occhi.

"Michael è andato a colpo sicuro, facendo suonare voi. Non riuscirò a dimenticare facilmente un momento come quello."
Matthew sorrise. Lo avevo tolto dalle grinfie di fan e compagni di tour per averlo un po' per me e quando Michael mi aveva visto uscire dallo stadio da un'uscita secondaria gli avevo fatto cenno che andava tutto bene. Nessuno mi avvrebbe tolto del tempo con Matt, neanche una dichiarazione così fantastica. Quello Michael lo sapeva benissimo e nelle rare occasioni in cui avevo un punto di contatto con la mia infanzia, sapeva che doveva farsi da parte, aspettare e ricomparire quando fosse stato il suo momento. Aveva troppa paura di perdermi per far qualcosa che andasse contro la mia stabilità e minacciasse la mia felicità ed io, in modo meschino, sfruttavo il suo buon cuore.
"È stato Michael ad organizzare tutto. E' stata una bellissima idea, sono felice che ci abbia coinvolti."
"Non la canzone finale, però. A quella ci hai pensato da solo."
Matthew annuì e sorrise.
"So Central Rain. Ti piaceva così tanto che l'ho studiata per una giornata intera e la sera te l'ho fatta ascoltare. Quanti anni avevamo? 16? 17?"
"Grazie Matt."
Rise senza motivo e mi mise un braccio attorno alle spalle. Era il suo modo di dire prego, probabilmente.
"Come hai fatto a fare il cerchio?"
"L'ho chiesto ai fan. Farebbero di tutto per me, non l'hai ancora capito? Gli ho chiesto pure di stare zitti mentre entravi e mi hanno ubbidito!", gongolava come un bambino.
Risi, "Avrei preferito una cosa più intima, in ogni caso. Certo, è stato spettacolare, qualunque donna vorrebbe una dichiarazione così, ma avrei preferito qualcosa di più nostro."
Annuì, "Lo sapevo che non ti sarebbe andata a genio tutta quella teatralità, ma Michael ha preferito pensare in grande e io mi sono arreso. Dopotutto, era lui che si doveva dichiarare, no?"
'Già.'
"Non credo di essere adatta al matrimonio, comunque. Ho come la sensazione di essere legata."
"Non staresti buona neanche se ti mettessero una camicia di forza, Roxy; con il matrimonio puoi ancora fare di tutto, non devi preoccuparti per quello."
Sospirai, "Ma io sto ancora cercando di capirmi. Insomma, non è troppo presto?"
"Non sei l'unica, e no, non è troppo presto. Non capisco perchè ti preoccupi così tanto: in fondo non ti scombussola più di tanto la vita, questa cosa del matrimonio. C'è solo un anello al tuo anulare", ribattè Matthew sorridendo, posandomi un bacio sulla fronte.
Guardai l'anello che brillava al mio dito e per una volta mi dissi che ne avevo abbastanza di prendere decisioni da sola, avevo bisogno qualcuno a cui appoggiarmi e quel qualcuno era proprio Michael. Era passata da tempo la convinzione che nel centro della mia vita ci fosse Matthew.
"Ci pensi mai che se fosti rimasta le cose avrebbero preso una piega totalmente diversa?"
'Peccato però che forse non avrebbero preso una bella piega. Di sicuro non migliore di quella di adesso, no? Dobbiamo convincerci che sarebbe andata peggio per sopravvivere, non ci è dato di pensare qualcosa di diverso.'
"Io avevo una paura fottuta di lasciare tutto quello che fino a quel momento era stata casa mia e le mie certezze, in verità. Facevo finta di niente ma volevo solo che mi legaste ad un albero con una catena di ferro. Vi avrei odiato da morire ma almeno...", mi morsi le labbra.
La frase intera sarebbe stata: "Vi avrei odiato da morire ma almeno avrei avuto la prova certa che per voi io contassi qualcosa.", ma mi bloccai in tempo e conclusi con un alzata di spalle. L'ultima cosa che volevo era scaricargli addosso tutto quello che il rancore e il dolore mi persuadevano a sputargli in faccia.
Perchè nemmeno adesso, a distanza di anni, si riusciva a mettere tutto a posto?

Per coronare alla perfezione quel momento, di fronte alla notte che si faceva sempre più buia, sarebbe dovuto risuonare nell'aria qualcosa di molto simile ad un "Ti voglio bene.". Magari da parte di tutti e due. Anche se non sarebbe servito a risistemare proprio ogni cosa avrebbe almeno fornito quella consolazione necessaria per tirare avanti almeno per un po'.
L'unica cosa che si ottenne fu il silenzio, ma sia a Matt che a Roxy, andava bene così. Erano abituati, riesumando vecchi vizi adolescenziali, a parlarsi tramite l'assenza di suoni, con sguardi e telepatia, e quel che significò quel momento andava di molto oltre ad un grazie.
Senza rendersene conto, Matthew e Roxy rappresentavano l'uno la colonna portante dell'altra. Se non c'era uno dei due, l'altro cadeva automaticamente. Senza il sostegno morale di qualcuno che ti capisce non saresti nessuno, e la stessa cosa valeva per loro due. Avevano dovuto fare i conti con la distanza e lo scazzo quasi perenne, ma l'importante era che c'erano, no?
Era quello che contava, alla fine.

 

 
* I meriti di una citazione così bella vanno tutti a Erri De Luca.

NdA: fine! Dire che ho messo molto di me in questa storia è dire poco, credo di non essermi mai legata così tanto ad una storia come è successo con questa. Comunque, ora che è finita vorrei fare alcune precisazioni: come ho già detto all'inizio le date dei tour le ho volute rendere il più possibile vicine alla realtà e così anche i vari gossip amorosi di cui più o meno tutti siamo al corrente. Le università citate esistono veramente, e So central rain è una canzone dei R.e.m., che qui l'ho fatta cantare in versione più lenta (rende molto meglio, secondo me.)
Detto questo, ho finito! Grazie mille a chi a letto e seguito e alla mia Lisa che ha recensito! <3

  
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