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Autore: Aine Walsh    26/03/2012    1 recensioni
In quella calda giornata di metà Giugno l’aeroporto straboccava di gente da tutte le parti, come se le vacanze estive fossero state anticipate per tutti. C’era chi saliva e chi scendeva dalle scale mobili, chi entrava e usciva dai gate, chi salutava amici e parenti con un «Torno presto» e chi esclamava trionfante «Sono tornato!», chi perdeva tempo passeggiando tra i negozi o sorseggiando qualcosa allo Starbucks e chi si affrettava per paura di non riuscire a prendere il volo, e così via.
Ma posso assicurare che tutti, proprio tutti, erano in compagnia.
Eccetto me, naturalmente.
[...]
Amanda Blair Morris, ventidue anni. Nata da padre americano di Baltimora e madre italiana, da otto anni risiedeva a Roma, Città Eterna, ma era stata invitata dal sottoscritto a trascorrere l’estate negli USA.
Ed era la mia migliore amica.
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tre - Alex
 
I miei occhi si aprirono di scatto, come fossero indipendenti, per via del ticchettare contro la finestra. Do un’occhiata all’orologio e vedo che sono le otto passate, quasi le nove, ma la stanza non è illuminata a giorno: mi alzo per spostare le tende e guardare fuori, con una brutta sensazione.
«E che cazzo!» protestai.
Pioveva. A Los Angeles pioveva per la prima volta dopo settimane. Era estate, c’era un caldo così soffocante che a stento permetteva di respirare e fuori pioveva a dirotto. Pioveva durante il mio primo giorno di vacanza.
Meraviglioso, no?
Sbuffai rumorosamente e mi stropicciai gli occhi con i palmi delle mani, feci un salto al bagno e andai in cucina dove un intenso odore di caffè mi mandò in tilt il cervello.
Amanda era appoggiata contro il muro e sorseggiava una tazza di caffelatte - non lo vidi, ma ne ero certo perché ha da sempre odiato bere caffè liscio - con lo sguardo perso nella vetrata davanti.
Il cielo era coperto di nubi grigio piombo e l’oceano sotto si muoveva impetuoso, scosso dal vento che spirava forte.
«E’ affascinante, non è vero?».
«Oh, certo» ironizzai.
Mi stampò un bacio sulla guancia a mo’ di buongiorno. «Sai che amo i giorni così».
«Le catastrofi naturali ti sono sempre piaciute, effettivamente» osservai sedendomi dietro il tavolo.
Fece il giro e mi si posizionò di fronte, passandomi una confezione aperta di brioches intanto che si copriva la bocca con una mano, sbadigliando.
«Gli altri dormono tutti?» domandai per spezzare quell’assonnata assenza di parole.
«No, solo Jack. Io, Rian e Zack siamo svegli da almeno un’ora e mezza».
«E dove sono loro adesso?».
«Hanno deciso di sfidare la tempesta per andare alla ricerca del bagaglio smarrito del Dawson».
«Quindi sono all’aeroporto?».
Mandò giù l’ultimo sorso di caffelatte. «Sì, e hanno anche l’auto...».
«E noi siamo bloccati qui. Iniziamo bene» conclusi addentando con ferocia una brioche - cosa che non passò inosservata ad Amy, che mi guardò perplessa - per sfogare quel minuscolo groppo di rabbia che stava cominciando a formarmisi dentro.
Rumore di passi lenti e strascinati per le scale: non poteva essere nessun altro se non Bassam. Ci raggiunse, buttandosi a sedere accanto ad Amanda intanto che biascicava qualcosa di incomprensibile, ma ero abbastanza sicuro del fatto che stesse dicendo «Buongiorno».
«Jack Barakat, la voglia di vivere fatta uomo» commentai provocando le risate della mia migliore amica. Jack, invece, mi guardò di traverso ed emanò un grugnito.
Finimmo di fare colazione chiacchierando del più e del meno e, una volta che mi alzai, mi accorsi guardando fuori dalla finestra che aveva smesso di piovere e che il cielo sembrava schiarirsi.
Forse la giornata poteva essere salvata.
«E se andassimo ad Hollywood?» proposi.
«Hollywood?» ripeterono i miei migliori amici all’unisono.
Come c’era da aspettarsi, le loro voci erano equilibrate tra stupore ed entusiasmo, così confermai: «Hollywood, sì. La Walk of Fame, Sunset Boulevard... Quella insomma. In tutti questi anni non ho ancora avuto la possibilità di visitarla come si deve».
«E con la macchina come la mettiamo?».
«Beh, nel caso in cui Zack e Rian tornassero in tempo potremmo andare tutti insieme, altrimenti chiameremo un taxi». Ero abbastanza esaltato anch’io già alla sola idea e credo che lo dessi a vedere.
Con un sorrisone in volto, Amy si complimentò con me della mia intelligenza - a suo dire “intermittente" - e sparì dietro la porta della sua camera, lasciandosi dietro il suo tipico buon profumo.
Ora, finchè fossi io a guardarla andava tutto bene; ma Jack? Perché fissava Amanda? O meglio, perché fissava Amanda in quel modo?
Io la guardavo da amico, da fratello quasi, ricordandomi ogni volta quella bambina con cui avevo fatto i giochi più stupidi, con cui avevo litigato e fatto pace un milione di volte, quella ragazzina che obbligavo a confidarmi le sue cotte e che è stata in assoluto la mia prima fan. Io la vedevo così.
E Barakat? Conoscevo quel tipo di sguardo, e non era di certo fraterno.
«Tu mi preoccupi» disse facendomi sobbalzare un paio di metri in aria.
Il tempo che io avevo portato avanti tutta quell’accozzaglia di pensieri, lui mi aveva detto qualcosa e, non udendo una mia risposta, si era avvicinato materializzandosi dietro di me.
«Merda, sei un coglione! Non farlo mai più!» gli urlai contro; mi ero istintivamente portato una mano sul petto e potevo sentire il cuore palpitare velocemente.
«Non l’avrei fatto se tu mi avessi risposto. - si difese con tono eloquente mentre faceva spallucce - Ho chiamato Zack e mi ha detto che saranno qui al massimo fra mezz’ora. Ti consiglio caldamente di andare a fare una doccia».
 
In macchina la situazione era la seguente: Rian guidava, io ero seduto al suo fianco e dietro, nella “fossa dei leoni”, stavano Zack, Amy e Jack. Merrick stava aggiornando la Morris della sua ultima conquista amorosa mentre lei lo ascoltava tranquilla, dandogli qualche consiglio ogni tanto; Barakat giocava allegramente con il suo cellulare; Dawson cercava di non farci perdere ed io mi godevo il paesaggio.
Il cielo si era ormai del tutto schiarito e attraverso le nuvole riusciva a filtrare qualche raggio che ben giustificava il fatto che portassimo tutti gli occhiali da sole.
«Eccola!» esclamai zittendo tutti di colpo. Di fronte a noi, in lontananza, si ergeva la grande collina con l’ancora più grande “HOLLYWOOD” bianca in bella mostra.
«Che gran figata! - disse eccitata Amanda – E’ proprio come appare nei film!».
«Anche meglio» aggiunse Rian.
Nonostante fossi stato lì più di una volta, finalmente avevo l’occasione di poter visitare bene il luogo e ciò mi rendeva parecchio entusiasta.
Una volta per tutte ebbi la possibilità di poter scattare una foto su questo o quel pezzo di strada, mentre a turno tutti gridavano i nomi dei propri idoli: «John Lennon!», «Sandra Bullock!», «I Doors!», «Johnny Depp!», e così via.
La gente passeggiava con calma, come se non facesse per nulla caso all’asfalto sul quale si trovava a camminare, e magari per loro era davvero indifferente trovarsi sulla famosa Hollywood Boulevard; ma se lo era per loro, non lo era di certo per noi, che sembravamo una banda di ragazzini inselvaggiti, correndo come degli scalmanati a destra e sinistra. Bambini che non pensavano alle conseguenze, ecco cos’eravamo al momento.
Ero alla ricerca dell’ennesima stella accanto alla quale farmi scattare un’altra foto, con Blair al seguito, quando la ragazza mi poggiò una mano sulla spalla e mi sussurrò all’orecchio: «Gaskarth, non vorrei allarmarti, ma c’è un gruppetto di ragazze che ti pedina da almeno venti minuti».
«Fan?».
«Suppongo di sì. Prova a girarti e a guardarle».
Annuii e mi voltai. Inutile dire che da quella piccola folla si levarono degli urletti striduli, emozionati e sommessi.
«Coraggio superstar, è il tuo momento» sorrise.
«Se non sarò tornato prima di mezz’ora vieni a salvarmi, va bene?» risi.
Non appena mi voltai verso le ragazze, un’altra serie di esclamazioni si levò nella mia direzione. Mi avvicinai sorridente, alzando le braccia al cielo. «D’accordo belle, per la prossima manciata di minuti sarò tutto vostro».
Una foto, un autografo, una foto, un abbraccio, un autografo, ancora una foto, un’altra firma, stavolta un bacio, una strizzatina d’occhio, un breve commento, e poi di nuovo una foto, un autografo…
D’un tratto udii una voce familiare che cercava di farsi spazio tra la nube di fan - cresciuta a dismisura non si sa come. «Permesso… Permes… Scusa, scusa… Ti ho chiesto scusa, cavolo!» esclamò.
Presi freneticamente a tastare tra la folla, nella speranza di riuscire a capire dove si trovasse, quando alla fine la vidi e la tirai a me per un braccio.
«Din don, la mezz’ora è passata, io sono venuta e non ho idea di come trascinarti fuori di qui, sappilo» disse sarcastica.
«Tu? Senza idee? La ragazza dalle mille risorse è rimasta senza idee? Nah, non ci credo», dovetti interrompermi più di volta mentre parlavo a causa delle foto che mi venivano scattate.
«Ok, ho qualcosa in mente, va bene? Anche se non sono sicura che riuscirà al cento per cento… - sospirò profondamente prima di urlare - Oh Cielo, ma quello non è Jake Gyllenhaall?!».
Quella numerosa confusione di ragazze che fino a un istante prima era lì solo per me, adesso era sparita nel nulla, schizzando via dappertutto come delle biglie. L’effetto mi lasciò di stucco, dovetti ammetterlo. Sarei rimasto qualche momento in più a contemplare la fuga delle fan e la semplice genialità della frase urlata da Amanda, ma questa mi strattonò per la manica dicendo: «Abbiamo forse dieci secondi prima che si accorgano di essere state prese in giro; vuoi mandare tutto a puttane o ti decidi a correre come non hai mai fatto in vita tua?».
Inutile dire che la seconda parte della domanda mi sembrò la più ragionevole.
Non corremmo per molto tempo, una volta fermi mi accorsi di essermi spostato dall’Hollywood Boulevard al vicino Santa Monica Boulevard, esattamente di fronte ad un posto chiamato Sharkey’s Pizza Parlor; un posto abbastanza affollato, squallido ma carino nella sua semplicità, anche se le varie macchie di sugo schizzate qua e là su muri non mi fecero un gran bell’effetto.
I ragazzi erano già dentro, comodamente seduti accanto ad un tavolo un po’ appartato.
«Finalmente si mangia!» disse Zack sollevato.
«Credevamo fossi stato rapito», Robert.
«Che posso farci? - presi posto accanto alla Morris - Sono troppo bello».
Jack mi guardò compassionevole. «Amico, la convinzione è una bella cosa» mormorò dandomi una pacca sulla spalla.
Per evitare di procurare una crisi da astinenza di cibo al nostro famelico bassista, decidemmo di ordinare subito, scegliendo a caso tra le varie specialità del menù - tutte pizze, non l’avrei mai detto.
Eravamo ancora nel bel mezzo del nostro pranzo, tra risate e insulti vari, quando il Merrick scaraventò lontano da sé il suo cellulare sbuffando: «Voi donne!».
«Che è successo?» domandammo tutti in coro. Poco mancava che anche la cameriera si unisse al nostro quartetto, visto che non si era allontanata più di tanto dal nostro tavolo da quando avevo ordinato.
«Chi vi capisce è bravo!» continuò totalmente demoralizzato, mentre recuperava il telefonino per passarlo ad Amy.
La mora lesse il messaggio, con la fronte corrugata e il solito “tic del ciuffo”.
«Devo leggerlo a voce alta?».
Zack mugugnò una specie di sì e la ragazza cominciò.
«Fammi capire, in pratica lei non vuole più vederti perché non sa come potrebbe prenderla il suo ex?» chiesi per avere maggior conferma.
Esasperato, Zachary annuì.
«Non ha molto senso...» osservò Rian.
«No, non ha senso e basta» corresse Bassam.
Dopo qualche istante di silenzio ci voltammo tutti e quattro in direzione dell’unica ragazza del gruppo, l’unica che potesse fare da mediatrice tra il “nostro mondo” e il “loro”.
«Non ha senso, è vero, - disse - però magari avrà le sue buone ragioni per dirti una cosa simile, no? Certo, io avrei preferito parlarne di persona e cercare di capire cosa fare... E poi beh, se è il suo ex io ritengo che non dovrebbe più interessarsene... Comunque sia, Zacky caro, prova a chiederle di vedervi per parlare un po’, non penso che ti dirà di no: per quel che mi hai raccontato mi sembra di aver capito che sia una brava ragazza, questa...».
«Liz».
«...Questa Liz, sì. Mi hai detto che è in vacanza a Santa Monica: ancora meglio!» concluse.
«Secondo me, - iniziò Barakat incrociando le braccia al petto - il fatto è che voi ragazze non sapete mai cosa volete davvero. Facciamo un esempio: in un primo momento siete indecise fra A e B; scegliete A, ma presto la cambiate con B che cambierete presto con C. Dopo non molto vi accorgete che C non è proprio come pensavate e vi convincete dell’idea che A possa essere la strada giusta, seppur modificata: ecco perciò D. Naturalmente nemmeno D vi soddisfa e in tal modo modificate B che diventa E. Capite che E è improponibile, e allora, prima di scegliere G, passate a F. Infine, scoprite di non volere, e di non aver mai voluto, né A, né B, né C, né le altre soluzioni, e ricominciate da capo. Intricato, ma è così» terminò con aria da saccente.
«Io mi sento confuso» ammisi.
«Io no, e sono pronta a smentire tutto quello che hai detto» ribatté Amy con fare combattivo. La femminista convinta che c’era in lei stava per entrare in gioco.
Appoggiai la schiena contro il sedile della sedia, divertito già da quello “scambio di opinioni” non proprio equo prima ancora che iniziasse. Mi sarebbe piaciuto avere dei popcorn davanti, ma, in assenza, mi accontentai di un’altra fetta di pizza.
«Se io voglio A, prendo A senza pensare a B, C, D e tutto il resto. Però, siccome si dà il caso che io sia un essere umano e che come tale possa avere dei ripensamenti, qualora mi renda conto del fatto che A non sia la scelta migliore, prenderò B; e se B non sarà l’ideale, sposterò la mia attenzione verso C e via dicendo. Il punto è: a tutti capita di avere ripensamenti e di conseguenza tutti cambiano scelta, chi la cambia prima e riesce a salvarsi in calcio d’angolo e chi la cambia dopo e ne resta scottato, ma questa è un’altra cosa. Ora, essendo tipico degli esseri umani ragionare e pentirsi di qualcosa, tutti cambiano idea e quindi nessuno sa mai cosa voglia veramente, che si tratti di un uomo o di una donna. Ho finito».
A quel chilometrico discorso seguì un profondo e diversificato silenzio. Amanda era soddisfatta, Jack spiazzato ma colpito e ammirato nel suo profondo, Rian pensieroso, Zack cercava di ricordare come fossimo arrivati all’argomento e quale scopo ne conseguisse, ed io mi godevo la scena divertito, riconoscendo che la mia migliore amica - ancora una volta - fosse dalla parte giusta.
«Non ti facevo così femminista» sorrise beffardo lo sconfitto.
«Non ti facevo così maschilista».
«Tu leggi troppo».
«E tu leggi troppo poco».
«Dovresti studiare Giurisprudenza, sai?».
«Forse, ma preferisco Lingue Orientali».
Chissà per quanto altro tempo ancora sarebbe continuato quel secco battibecco se Merrick non fosse intervenuto per dare sfogo ai suoi dubbi.
«Scusate, ma tutto questo discorso dove vuole arrivare?».
«Semplice: Jack pagherà per tutti noi perché così non si pentirà di non essere stato gentile nei nostri confronti e perché ha appena imparato che io ho sempre ragione. E adesso, se non vi spiace, io vado in bagno», si alzò scompigliandomi i capelli mentre sorrideva. 
«Dovreste sentirvi, - commentò divertito Dawson - litigate come due fidanzati!».
Senza nemmeno degnare la frase di una risposta, Jack si alzò di scatto per andare a pagare ed Amy corse veloce in direzione del bagno, cercando accuratamente - ma senza riuscirci - di apparire impassibili.
Per la seconda volta in quel giorno ebbi la sensazione che qualcosa stesse bollendo in pentola.


Imagine all the people living life in peace...

Chiedo scusa D: Cioè, manco da un bel po' e torno con un capitolo brutto come questo... Mi dispiace tanto.
Il fatto è che sono parecchio/abbastanza/molto/sempre/super impegnata... Quindi non so nemmeno dirvi quando aggiornerò.
Spero di farlo presto, ma in caso sappiate che ho intenzione di scrivere tantissimo quest'estate, quindi aspettatevi di tutto! :D
Ringraziandovi e chidendo ancora scusa,

A.






 
  
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