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Autore: Aphasia_    27/03/2012    1 recensioni
Spesso la mancanza di coraggio ci porta a fare cose che non sono proprio da noi, persino mentire, o fingere di essere chi non si è. Questa è la storia di Emma, ma non è solo la sua, è quella di tutte quelle ragazze che non sono riuscite a dichiararsi, ad aprirsi verso l'amore. Questa è la storia di chi ha tirato fuori il peggio di sè solo per la paura di essere sè stessa, di chi alla fine non ha avuto un lieto fine, solo per il fatto di non aver agito e di essere stata alla fine, vittima del suo stesso destino.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Caro Diario,
non è facile spiegare come mi sento e non è facile spiegarlo da dove sono ora. I pensieri profondi spesso scaturiscono nei posti più impensabili, persino qui dove sono io, in una panchina. Perciò mi appello a te, tu che puoi capirmi anche se non puoi parlare, anzi, visto che nemmeno sei una persona grazie al cielo. Infatti credo che la persone non potranno mai capirmi quanto mi capisci tu. Non è incredibile?
Ma non mi interessa, perchè almeno tu non sei come gli altri, quelli che mi chiamano asociale, quelli che mi trovano noiosa solo perchè preferisco i libri alle persone, solo perchè le cose mi piacciono per davvero e non solo perchè sono di moda. Tu non mi giudichi, non è vero? Non puoi farlo.
Eppure è successo qualcosa di strano, qualcosa che mi ha sviato da quel mio odio verso le persone, o almeno CERTE persone.. Io l'ho visto. L'ho visto per la prima volta. Oggi. E se te lo scrivo ora, non è stato uno sguardo veloce seguito da aprezzamento. Io l'ho visto per davvero. E credo che non vedrò mai nessun altro.


"Terra chiama Emma!" Il colpetto alla spalla fece tornare Emma alla realtà, a malincuore. Solo Marzia sapeva come farla tornare, perchè lei sapeva benissimo cosa volesse dire viaggiare per rotte sconosciute. Lo sapevano entrambe, perchè entrambe giudicate. Sempre.
"Vorrei solo che il tempo passasse e basta. Perchè gli diamo sempre così tanta importanza?" chiese Emma, lo sguardo ancora fisso nel vuoto.
"Perchè è ciò che sappiamo fare meglio, insieme a giudicare" rispose Marzia, fissando le ragazze dei banchi accanto.
"Loro non lo sanno, che noi sappiamo intendo?" chiese Emma alla compagna di banco.
"Certo che lo sanno. Ma su una cosa si sbagliano: Credono di ferirci." rispose Marzia.
"E allora perchè non farglielo credere?" disse Emma e entrambe si misero a ridere, mentre finsero di piangere in modo drammatico.
La campanella suonò e l'ora, quella tanto temuta del compito in classe di matematica, arrivò. Emma fissò il foglio e i suoi pensieri si arrestarono, come solo la matematica sapeva fare. Sospirò e riprese il controllo. La penna non era veloce quanto voleva, così come la sua capacità di mettere in piedi un ragionamento matematico logico, ma scriveva, produceva, mirava al 6, e quella era la cosa più importante. Sollevò poi lo sguardo e, come faceva sempre, si divertiva ad analizzare le facce disperate dei compagni, tanto che ognugna sembrava possedere un tipo diverso di disperazione: C'era la faccia non-sapevo-ci-fosse-un-compito, o quella non-capisco-NIENTE. Ma c'era un volto completamente calmo, tra quella massa d'ansia e disperazione. Era quello del compagno nuovo, quello che aveva completamente ignorato perchè troppo presa dai suoi sogni ad occhi aperti. Non stava scrivendo niente e fissava il vuoto. Emma lo fissò e cercò di capirlo, per la prima volta, ovvero capire una persona, senza ignorarla, senza disprezzarla. E, ad u tratto, come se i suoi occhi fossero magneti molto potenti, lo sguardo del ragazzo si sollevò e incrociò quello di Emma. Supernova. Era questa la parola che venne subito in mente ad Emma. Supernova. Luminosità e potenza allo stato puro. Il ragazzo continuò a fissarla, come se la stesse sfidando al chi dei due ride prima. Ma nessuno rise, ed Emma non aveva mai provato nulla di simile, e pensò che i sentimenti più profondi scaturivano spesso nei luoghi più inaspettati, persino in una scuola, nell'ora di matematica. Assurdo.Illogico. Era tutto il contrario dei pensieri dell'ora di matematica, così razionali, così equilibrati. Quelli di Emma erano immobili su quegli occhi, nessun parola, nessun commento, ma solo quell'immagine. Sedeva nel cinema della sua mente e fissava l'immagine nel megaschermo, ancora e ancora e ancora. Senza audio, senza effetti speciali, a colori per preservarne la bellezza, senza spettatori, perchè quello spettacolo era solo suo, senza popcorn, perchè il cibo non aveva senso. Non aveva senso nemmeno definirli, e l'iride non aveva alcuna importanza, perchè quegli occhi sarebbero potuti essere benissimo persino rossi come quelli dei demoni. Così belli. Magnetismo. Fu la seconda parola che venne in mente ad Emma, e pensò che se quella fosse stata l'ora di fisica per una volta le cose si sarebbero potute allineare come si deve. Il ragazzo finalmente distolse lo sguardo e sorrise tra sè, sapendo di aver fatto centro.
Anche Emma sorrise e ripensò a quelle poche parole che le erano venute in mente.
Non vedeva l'ora di sedersi nella sua panchina, rilassarsi, e scrivere nel suo diario.


Il giorno seguente non ci sarebbe stata scuola, ma a Emma in fondo andava bene, visto che l'immagine degli occhi era ancora vivida nei suoi pensieri. Odiava quella parte di sè, quella parte di ragazzina che si entusiasma per una cotta. E odiava l'idea sentirsi così... così sola, così brutta, indesiderata. Era abituata all'idea di non attirare nessun sguardo e di essere piuttosto spettatrice di sguardi dedicati ad altre. Ci aveva fatto l'abitudine tranquillamente, nonostante non fosse una cosa piacevole. Un pò come le capitava sempre, ovvero di dover presentare persone, o assistere alla quotidianità di coppiette. Tutto ciò le faceva pensare che se si fosse innamorata non sarebbe mai diventata così, anche se in cuor suo sapeva che lo sarebbe diventata, che avrebbe perso la testa, che sarebbe cambiata. Dicono "l'amore ti cambia", ma lei non ne voleva sapere. Voleva stare se stessa e amare, ma non poteva avere entrambe le cose. Per ora comunque non poteva lamentarsi, visto che il destino -nel quale credeva ciecamente e su cui faceva affidamento- non aveva programmato ancora niente per lei. Navigava infatti in quella dolce libertà di chi disprezza la condivisione di un cuore con un'altra persona, ma sotto sotto sarebbe ben disposta. E navigava nella consapevolezza di un corpo e un viso che anche se non perfetti, facevano parte di lei, e che dopotutto, non avrebbe scambiato con altri. Anche se in effetti spesso si immaginava con tutte quelle caratteristiche che adorava e che avrebbe voluto avere: Un corpo snello, una cascata di lunghi riccioli rossi e due occhi di ghiaccio. Bello sognare. Emma si doveva però accontentare di due occhi nocciola, dei capelli castani chiari corti, un'altezza media e un fisico nella norma, forse un pò rotondo. Certo, a volte riceveva complimenti, ma non erano di certo quelli che servivano ad alzare l'autostima. Emma sapeva cosa ci sarebbe voluto, ma era esattamente la cosa che più temeva e bramava e stava in quella parola che disprezzava sempre, ma che in fondo, sognava di poter dire. Condivisione.


La seconda volta che Emma vide quel ragazzo era nel corridoio fuori dalla classe. Aveva finito prima il tema e così si era goduta la libertà fuori. Lui era uscito e l'aveva trovata lì, seduta, assorta.
"Che tema hai scelto?" le chiese lui.
Emma alzò di scatto gli occhi e non riuscì a crederci. Nella sua sala apparve un suono. Era una voce.. e di colpo all'immagine degli occhi si associò quella di una bocca che si muoveva, e dalla quale usciva una voce. Arrossì un pò e si maledisse di questo, ma poi rispose seria.
"Quello sull'inquinamento" rispose Emma e la sua voce risulto strana e poco musicale. Non si era controllata abbastanza e non aveva impresso abbastanza dolcezza nella voce. Era sembrata sgarbata? Scontrosa? Una secchiona? Troppo tardi per pensarci. Non le aveva nemmeno chiesto "E tu?". Che disatro.
"Anche io" disse il ragazzo dopo una breve pausa. E prima che potesse aggiungere altro le sorrise ancora, ma stavola in un modo che Emma non seppe decifrare. Rideva di lei? Le parve proprio di sì, anche se in modo divertito e non di scherno. Avrebbe voluto sorridere anche lei come aveva fatto lui, ma sentiva di non essere abbastanza brava, goffa sia nei movimenti che nel linguaggio del corpo, perciò ne uscì fuori un debole sorriso, che agli occhi esterni sembrava in effetti..un ghigno. Ecco, pensò Emma, ora penserà che sono una smorfiosa che crede di prendere più lui!. Ancora troppo tardi. Ma quando lui sparì con altri compagni, Emma sorrise ancora (e avrebbe voluto mostrare quello..di sorriso), perchè sapeva che il destino forse...si, forse si stava dando una mossa, e che la prossima volta le avrebbe regalato un sorriso decente,uno vero, uno sincero. Carpe Diem. Carpe Diem gridò dentro di sè, e per la prima volta... ci credette davvero.
  
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