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Autore: paffywolf    29/03/2012    3 recensioni
Quinn Fabray era convinta che la sua vita stesse prendendo la giusta piega dopo la sua ammissione a Yale. Ma basterà diventare la damigella d'onore al matrimonio di Rachel Berry per far sì che ogni cosa che Quinn conosce di se stessa sia destinata a cambiare. O forse no? Leggete e lo scoprirete...
[Faberry] - Gli eventi della trama non tengono conto degli avvenimenti successivi all'episodio 3x13.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry | Coppie: Quinn/Rachel
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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2. Love is love

La luce del sole filtrava dalle finestre invetriate e illuminava magnificamente l’altare e l’intera navata della chiesa. Feci il segno della croce e mi avvicinai all’organo in silenzio, l’eco dei miei passi che rimbombava nella struttura. Non appena fui accanto all’organo, allungai una mano e salutai con un sorriso l’organista, la Signora Flynn.
L’anziana signora, membro attivo della comunità cristiana di Lima, si girò al mio tocco sulla sua mano e sorrise felice, come faceva sempre ogni volta mi vedeva. Biascicò qualcosa che come al solito non riuscii a capire e mi limitai a sorriderle, accarezzandole la mano. Per colpa della sua sordità ormai quasi totale la povera donna si limitava a biascicare qualche parola incomprensibile, cui tutti rispondevano con un sorriso. Nessuno riusciva a comprendere cosa dicesse, ma i sorrisi delle persone intorno a lei bastavano a ricompensarla.
Mi scompigliò i capelli come amava fare quando ero bambina, poi aprì la sua borsa e prese un sacchetto di carta, porgendomelo. Lo aprii e come al solito vi trovai uno dei suoi leggendari tortini alla ciliegia, da sempre il mio preferito. La ringraziai con un bacio sulla guancia e la salutai, avviandomi verso la sagrestia.  

Il Pastore Roche era nel suo studio e la grande porta vetrata lasciava intravedere la sua figura seduta alla scrivania, impegnato nel controllo di alcuni documenti.
Bussai con le nocche alla porta e dissi “Pastore, posso entrare? Sono Quinn Fabray.”
“Certo, entra pure Quinn.”
La faccia rubiconda del pastore era uno dei motivi per cui godeva di grande stima all’interno della nostra comunità. Era impossibile non uscire dalla chiesa dopo la messa e non sentire uno strano calore nel petto: era questo il motivo per il quale la Holy Nativity in quegli anni era riuscita a raccogliere fondi che permettessero la ristrutturazione totale della facciata e un maestoso organo a canne nuovo, che la signora Flynn suonava ogni Domenica con grande maestria.
Il pastore mi fece segno di accomodarmi e mi invitò come al solito a prendere una di quelle che lui amava chiamare “il mio piccolo peccato quotidiano”: delle pepite di cioccolato ripiene di caffè.
“No pastore, la ringrazio.”dissi, porgendogli la piccola ciotola lignea.
“Ah Quinn, quanto vorrei avere la tua forza.”disse ridacchiando, prendendo un cioccolatino e infilandoselo in bocca. La sua espressione ogni volta che ne mangiava uno era quella di un bambino che assaggia la cioccolata per la prima volta nella sua vita.
“Io a queste delizie non riesco a resistere” proseguì, rigirandosi in bocca il cioccolatino.“D’altronde ci sarà un motivo per cui il Signore ha voluto che il signor Chattergee ideasse queste delizie, no?”
“Solo il Signore può dirlo, pastore.”
“Ma non è di cioccolatini che tu vuoi parlare, non è vero?”disse, affondando nella maestosa poltrona di pelle verde.
“No pastore, ma… Ecco, è successo qualcosa che non riesco davvero a spiegarmi. Lei conosce la mia storia, sa quanto mi sia stato difficile accettare la gravidanza e tutto ciò che ne è susseguito.”
“Oh Quinn, non ricordarmi i tentativi che ho fatto per farti tornare in Chiesa. Quando giravi con quei capelli rosa sembravi quasi posseduta dal demonio.”disse, facendosi il segno della croce e baciando il rosario che portava al collo.
“Lo so pastore, ma quello che ho passato allora non era niente in confronto a quello che sto vivendo adesso.”
Il pastore si allungò sul tavolo e mi prese la mano, sorridendo appena per incoraggiarmi.
“Qualunque cosa tu stia vivendo, parlamene. Sai che puoi fidarti di me.”
“Ecco, io non so da dove iniziare… Temo di essermi presa una bella sbandata per una persona.”
Il pastore non potè trattenere un’espressione di sorpresa. “E in che modo l’esserti innamorata ti crea così tanti tormenti?”
“Il punto è proprio questo, non so se mi sono innamorata di questa persona.” Dissi, alzandomi dalla sedia e percorrendo in circolo la stanza gesticolando. “Non so se è semplicemente un desiderio di proteggerla da un grave errore che sta commettendo, se ne sono infatuata o se è solo il tè che ho bevuto questo pomeriggio ad avermi fatto avere le palpitazioni.”
“Quinn, se sei innamorata lo sei e basta.”mi disse con dolcezza. “Possono essere diversi i sintomi, ma la malattia è sempre la stessa.”
“Ma è la persona sbagliata, pastore. Ed è una cosa che non riesco a concepire. Quest’anno era solo per me stessa e ci sono riuscita: sono riuscita a non innamorarmi di nuovo, sono riuscita a concentrarmi per riuscire a costruire basi solide per il mio futuro. Eppure ci sono ricascata, perché?”
“E’ nella natura umana, Quinn. L’uomo non è fatto per vivere da solo, vuole costruire insieme ad un’altra persona il proprio futuro. Può essere un marito, una moglie, un’amica o un amico. Ma tutti abbiamo bisogno di una persona al nostro fianco per sostenerci nei momenti di difficoltà.”
Mi sedetti di nuovo sulla sedia, rigirandomi il bracciale che portavo al polso.
“Quinn, cos’è che ti tormenta davvero?”
“Non… non lo so bene nemmeno io, Pastore. Vorrei essere capace di capirlo.”
“Forse è proprio l’accettazione  il vero problema. Devi razionalmente accettare il fatto che sei innamorata di questa persona, giusta o sbagliata che sia. Perché, figliola, non ti ho mai vista così agitata in tutta la tua vita. Nemmeno quando venisti qui a dirmi che eri incinta, ancora prima che lo sapessero i tuoi genitori. C’è qualcosa dentro di te che ti tormenta e ti angustia, ma devi essere tu a capire bene di cosa si tratti. Dal canto mio, posso solo dirti di fare ciò che il tuo cuore ti consiglia di fare.”
“E se mi stesse suggerendo di fare la cosa sbagliata?”
“In tal caso, sai sempre di avere un amico a tua disposizione dal quale poter venire a piangere. E, se posso darti un consiglio, se credi davvero che questa persona speciale stia facendo un errore che può costargli caro… Beh, devi fare tutto ciò che è in tuo potere per far capire a questa persona che sta facendo qualcosa di cui un domani potrebbe pentirsi.”

Uscii dall’ufficio in silenzio, dopo aver salutato il pastore.
Mi sentivo quasi in colpa per non avergli confessato chi fosse la persona di cui mi ero innamorata, di non avergli parlato a fondo dei miei tormenti. Forse si era trattata davvero solo di una sbandata dovuta a un irrazionale desiderio di proteggerla?
La Signora Flynn era ancora seduta all’organo e mi misi accanto a lei, accomodandomi sul lungo sedile di velluto rosso. Presi uno spartito dal cesto accanto all’organo e glielo aprii sul leggio, invitandola a suonare il mio pezzo preferito: una sonata di Mozart che ogni volta mi riduceva alle lacrime. Lei si limitò a fare segno di no con la testa una volta visto lo spartito e iniziò a suonare liberamente, gli occhi semichiusi e un’espressione beata in volto. Rimasi in silenzio per diversi minuti, beandomi del suono magico dell’organo che ormai a tutti gli effetti apparteneva a lei. Alla fine del brano, la signora si girò di nuovo verso di me con un sorriso e biascicò ancora quelle tre parole indistinte. Ma quella volta fu diverso. Perché per la prima volta capii cosa dicesse: amore è amare.

“Tesoro, la cena è pronta!”disse mia madre. Alzai lo sguardo sconsolata dal libro, maledicendo per l’ennesima volta me stessa per non essermi ricordata del mio mega-ripasso per il compito. Mi accomodai a tavola con il libro poggiato sulle ginocchia, ripassando mentalmente le formule.
“Tuo padre è sempre stato più bravo di me in questo genere di cose.”disse mia madre. Alzai lo sguardo dal libro e la vidi sorridere mestamente. “A scuola era il migliore in tutte le materie scientifiche, prendeva sempre voti altissimi.”
“Ma io assomiglio più a te, mamma. ” le dissi, stringendole la mano tra le mie. Si limitò a sorridermi, mentre una lacrima solitaria le rigava la guancia.
“A volte mi chiedo come farò l’anno prossimo, quando anche tu te ne sarai andata via. Prima tua sorella, poi tuo padre e dall’anno prossimo tu, la mia piccola Quinnie.”
“Mamma, ci vedremo ogni volta che potrò. Te lo prometto, non ti lascerò mai da sola.”
“In realtà stavo pensando di vendere questa casa. E’ troppo grande per noi due, figuriamoci quando anche tu te ne sarai andata via.”
“Beh, puoi sempre prendere un cane.”
“Non è male come idea! Quasi quasi…”
“Mamma, stavo scherzando.”
“Io no.”

Il giorno dopo mia madre pensò bene di farmi trovare un vaporoso cucciolo di Golden Retriever al mio ritorno a casa. Aveva già rosicchiato tre cuscini del divano.

Continua...
   
 
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