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Autore: Chocolatewaffel    30/03/2012    1 recensioni
Per chi ha letto "Katharin Kimmel, una ragazza come tante" questa sarà semplicemente una riscrittura, più completa. In ogni caso spero che darete lo stesso un'occhiata veloce.
Tratto dal quinto capitolo: "TOM: tu pensi che io sia un egoista, insensibile, puttaniere senza cuore, vero? Beh sai una cosa. E' vero sono un egoista di merda però tu lo sei più di me, e sai perché? Perché quella che si ostina a farci soffrire entrambi sei TU! Quella che deve crescere sei TU! TU non io! Sei tu quella che deve superare quello schifo di passato per poter essere felice.. con me. CAZZO KIMMEL IO TI VOGLIO E TU VUOI ME! Perché devi creare altri problemi?
La voce della ragazza era resa insicura da un groppo alla gola, non voleva piangere lì, davanti a lui"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 1 kat
Ed ecco a voi il primo capitolo. Lo so che è molto simile, praticamente uguale, a quello della storia precedente ma dopo  questi primi capitoli la storia si evolverà. Prometto.
Bene, detto questo, buona lettura e, se avete anche un po' di tempo, fermatevi qualche secondo in più per commentare, pleeease :D

                                                                       
                                                             

                              - Non puoi dimenticare il passato -

Una ragazza dai lunghi capelli rossicci stava camminando sommersa dai ricordi per le vie di Magdeburgo, una città impregnata di ricordi ancora vivi in lei.
Quello non era un giorno a caso ma era esattamente il  23 Marzo, ossia il giorno in cui, quattro anni addietro, la sua adorata zia era morta. L'aveva lasciata sola e lei, da sola, si era fatta sopraffare da tutto e da tutti senza mai riuscire a ribellarsi o a farsi valere. 
Inconsciamente aveva percorso le vie di quella città del passato e, dal cimitero, si era ritrovata davanti alla scuola che aveva frequentato per un anno.
Se Magdeburgo era piena di ricordi quel posto ne era stracolmo e purtroppo nessuno di quelli era particolarmente positivo o, anche se per breve lo erano stati, si erano ben presto trasformati in alcuni dei suoi incubi peggiori.
Guardando il cortile antecedente alla scuola, la fermata del pulmino scolastico e l'entrata  si sentì travolta da tutti i ricordi che fino ad allora era riuscita a tenere lontani.
Risentiva tutte le voci e gli schiamazzi, rivedeva tutti i volti dei suoi compagni, risentiva l'odore nauseabondo dello sgabuzzino e immancabilmente risentiva il suo profumo, il suo tocco, le sensazioni e le emozioni che provava in sua compagnia.
Ecco, lo stava rifacendo, stava per risprofondare nei ricordi, ormai gli occhi le si erano inumiditi, le gambe iniziavano a non sopportare più il suo peso e scongiuravano di potersi lasciare andare. Cosa che sarebbe sicuramente successa se una voce alle sue spalle non l'avesse chiamata distraendola temporaneamente dai suoi pensieri.
Quella voce, l'avrebbe riconosciuta fra mille. L'aveva ascoltata per un anno intero dal vivo e l'ascoltava tutt'ora alla radio o in tv.
Con la mente ritornò velocemente al giorno in cui sentì quella voce per la prima volta, il 7 Settembre 2004.


Per Katharin Kimmel e per molti altri ragazzi della Germania quello sarebbe stato un giorno particolare. Il giorno in cui avrebbero dovuto cominciare un nuovo, lungo e stressante anno scolastico.
Per la ragazzina c'era anche un'altra importante novità: avrebbe cominciato il nuovo anno scolastico in un'altra scuola e in un'altra città.
La cosa le metteva un po' di inquietudine, anzi "un po'" era un'eufemismo, lei era completamente e semplicemente terrorizzata. Come l'avrebbero accolta i nuovi compagni? La scuola era bella? I professori erano severi o simpatici? Sarebbe riuscita ad integrarsi?
Per scoprire le risposte a tutte quelle domande c'era solo un modo ossia alzarsi, vestirsi, prendere il pulmino scolastico e andare a scuola. Niente di più semplice, no? No.
Tutti questi motivi non erano abbastanza validi per spronarla ad alzarsi.
Dopo un mugugno assonato la ragazzina si era rigirata nel suo caldo lettone quando un urlo la svegliò completamente e chi poteva essere se non sua madre?
MAMMA: Kat, alzati!!! Non vorrai mica arrivare in ritardo il primo giorno di scuola vero?
Uff. Ecco, ora sì che aveva trovato un valido motivo per lasciare il suo comodo letto e andare incontro alla sua sorte crudele. Mai fare arrabbiare la madre. Mai.
In meno di mezz'oretta era già pronta perciò ne approfittò per fare la colazione con calma.
Appena finito di risciacquare i piatti controllò l'orologio, 7.19. Era ora di andare.
Con un lungo respiro di autoincoraggiamento aprì la porta di casa, salutò la madre con un educato "ciao" e si incamminò verso la fermata.
Alle 7.23 era arrivata a quella che tutti in quel paesino disabitato avevano il coraggio di chiamare "fermata". Come si faceva a chiamare fermata una sottospecie di misera baracca decadente? Bah. Una cosa bella di Kiel erano proprio le fermate dei bus. Su questo non c'era dubbio.

Alle  7,34 il bus era finalmente arrivato. Ben 2 minuti di ritardo!
Se c'erano delle cose che proprio non sopportava erano proprio queste; i ritardi e il disordine. Entrambi finivano sempre per lo scombussolarti i programmi e crearti dei problemi.

Quando era salita sul bus si era immaginata di sentire un gran fracasso come su quello che prendeva a Kiel invece, se non fosse stato per la musichetta di qualche lettore CD in sottofondo, ci sarebbe stato un silenzio di tomba.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei. Perché era nuova o perché aveva qualcosa di strano addosso?

In ogni caso non riusciva a muoversi, le gambe non davano segno di volersi muovere, riusciva solo a guardare tutti quei volti che la stavano fissando e, sfortunatamente, giudicando.
Per sua fortuna, prima di svenire per l'imbarazzo, aveva incrociato lo sguardo di un ragazzo strano seduto nei primi posti che, col labiale continuava a ripeterle "siediti, siediti, siediti" . Quando finalmente era riuscita a ricollegare il cervello alle funzioni motorie, si era seduta velocemente. Subito dopo aveva iniziato a levarsi un leggero brusio di sottofondo che in pochi minuti erano diventati dei veri e propri schiamazzi.

Come si era sentita stupida!
Ecco, un'altra cosa che odiava era quella di essere al centro dell'attenzione, tutti che ti fissano, tutti che ti giudicano, tutti che sono pronti a parlare male di te appena volti loro le spalle.

Appena era arrivata a scuola si era fiondata giù dal bus per poi dirigersi velocemente verso l'ingresso dove si trovava la segreteria. Sperava davvero di mettere fine il prima possibile a quell'imbarazzo, le sembrava quasi di sentire i commenti malevoli degli altri ragazzi e le loro fastidiose risatine alle sue spalle.
Una volta entrata in classe aveva riconosciuto alcuni di quei ragazzi che, quasi volessero darle la conferma della sua figuraccia, appena la videro iniziarono a sghignazzare.
Le prime tre ore di lezione se le ricordava bene. Le aveva passate con la testa immersa nel libro, quasi sperando che questo la rendesse invisibile cosa che, evidentemente, era impossibile.

Appena era suonata la campanella che segnava l'inizio dell'intervallo se l'era filata, di nuovo, ed era andata alla ricerca del suo armadietto. Non aveva mai avuto un armadietto e la cosa l'entusiasmava. Che cosa stupida entusiasmarsi per così poco, ma allora non aveva molte altre cose per cui avrebbe potuto essere felice.

Le veniva sempre da sorridere quando ripensava al suo primo armadietto. La prima volta lo aveva quasi rotto nel vano tentativo di aprirlo. Ed era stato proprio allora che aveva incontrato di nuovo il misterioso ragazzo che l'aveva aiutata sul pullman qualche ora prima.

Era da cinque minuti buoni che cercava di aprire quell'aggeggio ma, da quando era arrivata, non aveva ancora fatto progressi anzi, si era rotta un'unghia. Non che le interessasse particolarmente dell'aspetto delle sue mani ma faceva male, tanto male. Stava per andare dal preside a lamentarsi quando lo stesso ragazzino del pulmino era accorso in suo aiuto, non senza nascondere una sorta di divertimento nella voce.
RAGAZZO: E' inutile che tiri con tanta forza..

KAT: Davvero? E allora mi spieghi come faccio ad aprire questo sportello dispettoso?
RAGAZZO: S-sportello dispettoso? Oddio.. Ahahah.. Comunque devi fare così
Sotto lo sguardo attento di Kat il ragazzo diede una botta allo sportello per poi fare pressione sul codice e infine tirare con decisione.
KAT: M-ma, così lo romperai!
E invece no, si era pure aperto quel benedetto sportello.
RAGAZZO: Naaaaah, sono sportelli tarocchi, o fai così o non si aprono. Io sono Bill, tu?
KAT: Mi chiamo Katharin, ma per gli amici Kat, piacere.
BILL: Bene, Katharin ma per gli amici Kat, ora è meglio se vado. Ci si vede.
Risvegliatesi dal leggere stato di trans in cui era finita la ragazzina
, più a se stessa che al ragazzino che orami si era dileguato tra la folla, sussurò un flebile: "Mi farebbe piacere se tu mi chiamassi Kat.."


KAT: Bill?
Che domanda sciocca, certo che era lui.
Chi altri poteva guardarla con quello sguardo così dolce? Nessuno.
Dopo pochi secondi le lacrime che fino ad allora era riuscita a trattenere iniziarono a uscire copiose per poi bagnarle il viso pallido.
Il moro, vedendo la reazione della ragazza, l'aveva raggiunta a grandi falcate per abbracciarla e cullarla dolcemente. Non gli era mai piaciuto vederla piangere. Per essere più precisi non gli piaceva vedere nessuno piangere ma lei, la sua piccola Kat, meno di tutti. 
Quando si accorse che l'amica si stava riprendendo, si staccò quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi e si decise a parlare.
BILL: quanto tempo.. Perché non ti sei più fatta trovare?
KAT: non volevo.
BILL: mi mancavano le tue risposte. Cosa ci fai in questa landa desolata dimenticata dal mondo?
KAT: sono venuta a trovare la zia. Sai..
BILL: capisco, anch'io stavo andando a trovarla..
Solo in quel momento la ragazza notò quello che aveva in mano il ragazzo. Nella destra teneva un paio di occhiali da sole firmati mentre nella sinistra stringeva un paio di girasoli. Dei girasoli, proprio come quelli che trovava ogni 23 Marzo sulla tomba della zia da ormai quattro anni. Che fosse stato lui a metterli per tutto questo tempo?
Ma cosa andava a pensare? Era lì, lo vedeva con i suoi stessi occhi.
I girasoli erano i fiori preferiti di sua zia, però erano i fiori preferiti anche di Irina. Magari alla fine lui e Irina si erano fidanzati. Li aveva sempre visti così bene insieme.
Irina era stata la sua ancora di salvezza quell'anno, l'unica che non le avesse mentito.

 "Bill, Bill, Bill". Ormai riusciva a pensare solo a quel nome. Insomma, c'erano parecchie possibilità che riuscissero a diventare amici! Sarebbe stato primo amico maschio, o forse era semplicemete gentile..
Con questi pensieri e queste nuove speranze era tornata in classe e si era riseduta al proprio posto. Era così sovrappensiero che non si era accorta che il posto al suo fianco, che le ore prima era stato vuoto, era stato occupato da una ragazza.
RAGAZZA: Ciao... Ehi... Ciao.. Ragazza? Sei sorda per caso?.. Ragaz...
KAT: uhm..eh.. ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh
RAGAZZA: Aaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhh
KAT: Aaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhh.. ma si può sapere perché urli?
RAGAZZA: Non lo so, tu urlavi e allora mi sono unita a te..
KAT: Sì ma.. Cioè.. Ehm.. Io mi chiamo Katharin...
RAGAZZA: Irina, Irina Lerner, piacere! Da oggi saremo compagne di banco, sei felice? Io sì! Sai, in questa classe sono tutti con la puzza sotto il naso. Per la precisione, le ragazze sono delle oche e i ragazzi.. Beh.. I ragazzi sono ragazzi, solo che questi sono più stupidi degli altri.. Allora, vedi da quella parte ci sono quei quattro, quello basso coi capelli a spazzola e l'espressione da stordito si chiama Christian mentre...
PROFESSORE: Ragazzi, sono in classe!
RAGAZZO: E quindi?
PROFESSORE: Bender, se non vuoi finire fuori dalla classe chiudi quella ciabatta e siediti! Ma te guarda, siamo solo al primo giorno e questi già mi fanno tribolare!
IRINA: Questo è il professore di storia, è un po' schizzofrenico però è un bonaccione. Lo sai che una volta con questo prof..

Nonostante gli sforzi non riusciva proprio a ricordarsi di un singolo momento passato con lei in cui era stata zitta e ferma, o almeno una di queste due cose. Neanche quella volta che aveva avuto 39 di febbre stava zitta. Certo, diceva cavolate senza senso, però parlava, parlava e parlava.
Sì, i fiori dovevano essere sicuramente per lei. Probabilmente non si ricordava nemmeno dei fiori preferiti di sua zia. Però, chiedere non le costava nulla..
  
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