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Autore: Annaluz    02/04/2012    1 recensioni
Dopo anni passati a leggere e altrettanti a scrivere poesie, è la prima volta che mi cimento nella prosa. L'ispirazione me l'ha data l'Isola di Pasqua, un posto che mi ha lasciato nel cuore più di quanto avrei creduto possibile. E' lì che è ambientata questa storia.
C'è Rapa Nui e ci sono i Moai; c'è l'Ombelico del Mondo e ci sono amore e guerra, sangue e spiriti, famiglia e amicizia.
La storia sarà lunga, non so ancora quanto. E non so se riuscirò ad aggiornarla in maniera sistematica, ma lo spero, come spero che vi piaccia.
Ma, soprattutto, spero di riuscire ad ottenere dei commenti che mi aiutino a migliorarla. Grazie fin da ora a chi avrà voglia e pazienza di leggermi.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sono nata su quest’isola, e su quest’isola ho contato diciannove primavere e altrettante reincarnazioni dell’uomo uccello.
Sono nata su quest’isola, come i miei genitori e i miei nonni, e i loro genitori prima di loro. E come loro non ho fatto altro che vedere acqua intorno a me, rassicurata e minacciata da questa presenza ingombrante, dolce e soffocante.
Ma a differenza loro, io sono da sempre convinta che il mondo non finisca qui, che i confini della nostra isola non siano i confini del mondo, e che le mie orme non debbano per forza ricalcare le loro. Anche se non so dove altro potrei portare i miei passi.
D’altronde sull’acqua le impronte non rimangono.
 
Distesa su una roccia, rimuginando tra i miei pensieri, fissavo il cielo e godevo del vento fresco che imperversava sulla rupe. Mi misi a sedere e portai le gambe a pendolare sul ciglio del dirupo, mentre vagando con lo sguardo fino a Moto Nui, realizzai che anche quest’anno quasi c’eravamo... ancora qualche settimana e poi sarebbero tutti impazziti e non avremmo più avuto un attimo di pace per giorni. La odiavo questa storia dell’uomo uccello, e la odio ancora adesso.
Ma non potevo dirlo, e non avrei dovuto neppure pensarlo, probabilmente.
In effetti il tempismo con cui si interruppero i miei pensieri sarebbe apparso di natura quasi magica, se non avesse avuto, invece, la concretissima irruenza del mio cugino più piccolo che arrivò urlando e annaspando da dietro un arbusto.
“Mahinete! Mahinete!” si fermò appoggiando le piccole mani alle ginocchia, piegando il busto in avanti e ansimando e sbuffando come un cavallo stremato.
“Arona, calmati, respira e dimmi cosa c’è” non riuscivo a trattenermi dal sorridere mentre mi alzavo per raggiungere mio cugino, arruffato come sempre. Non potei comunque evitare di guardare con rimpianto gli ultimi disegni che avevo iniziato, e non ancora finito, sulla roccia di Orongo.
“Allora? Vuoi dirmi perchè sei qui o devo tirare a indovinare?”
“Nanihi...” prese fiato, di nuovo.
“Nanihi, cosa?” la preoccupazione era salita in me come una marea improvvisa, al sentire il nome di mia sorella.
“Nanihi... sta per avere il suo bambino” sputò tutto d’un fiato.
 
Corsi. Corsi come poche altre volte in vita mia. Mi resi conto solo vagamente di essermi ferita un piede su una roccia e continuai a correre, a correre, a correre.
Sul ciglio della scogliera i miei occhi presero nota in maniera superficiale di quanto il mare si andasse ingrossando e il cielo scurendo. Era di certo in arrivo una tempesta, il che non era una novità, ma in quel momento, non lasciava presagire niente di buono. Il mare era sempre più burrascoso e oscuro, e il vento freddo e sferzante portava con sé piccole goccie salate.
Avevo lasciato indietro Arona da parecchio ormai quando arrivai a casa di Aniata. Mi abbassai velocemente per entrare e non feci nemmeno caso a dove ella fosse mentre, raccogliendo la sacca che teneva sempre alla destra della soglia, inizia a farfugliare a voce decisamente troppo alta e a vagare per la casa in maniera confusionaria.
 
“Aniata, Aniata presto! Non c’è tempo... Nanihi sta per dare alla luce il bambino, presto, sbrigati!”
La vecchia si stava alzando con irritante calma e stava sistemandosi la veste, mentre io mi agitavo in preda alla più cupa preoccupazione.
“Mahinete, mia giovane figlia, calmati” mi disse serafica e leggermente divertita.
La sua tranquillità mi stava oltremodo irritando quindi spazientita esclamai “Avanti, sbrighiamoci, non c’è tempo!”.
Aniata sorrise comprensiva e, spostando i suoi occhi ciechi verso la mia voce, esplose in una risata di dolce scherno.
“C’è più tempo di quanto tu possa immaginare, e di certo, più di quanto piacerebbe sapere a tua sorella!”
Finii di raccogliere quello che immaginavo potesse esserci utile, poi le andai vicino prendendola per il gomito. Scalpitavo per uscire di lì. Aniata si bloccò.
“Hai preso la pietra?” mi chiese con un sospiro rassegnato.
“Che pietra?”
“La pietra di Rano Kau... Mahinete, ma non ti ho insegnato nulla in questi anni?”
Senza nemmeno risponderle iniziai a cercarla freneticamente per tutta la casa. Ero affannata, stanca, preoccupata e assolutamente poco lucida.
“Dov’è quella maledetta pietra?” sbuffai stizzita pestando un piede sulla terra rossa e profumata.
“L’avresti già trovata se riuscissi a calmarti. Non puoi sperare di sostituirmi se non impari l’arte della pazienza e della ragionevolezza.”
Il suo tono di voce era calmo, freddo e sapeva vagamente di rimprovero.
Mi ghiacciai, immobile, inginocchiata tra un tavolo e il pavimento e con le mani quasi del tutto immerse nella terra.
L’ennesima lezione di Aniata arrivava nel momento meno opportuno.
Sapevo che non potevo risponderle come il mio istinto mi suggeriva, così feci l’unica cosa possibile: respirai a fondo, abbassai le palpebre e con gli occhi del cuore provai a sentire le vibrazioni e l’energia della pietra. Percepii nell’aria la mia forza, frenetica e nervosa, che, come un sasso nello stagno riempiva l’acqua di cerchi evanescenti, scandagliando la casa in cerca della pietra.
“Non la trovo! Maledizione, non la trovo!” l’ansia non mi rendeva abbastanza lucida da affrontare quel pur semplice compito. Mi sentivo affrante e inutile.
“Basta Mahinete!” la voce imperiosa di Aniata mi sorprese, non usava mai quel tono se non quando era molto arrabbiata.
“Questo è il massimo che sai fare per tua sorella?” mi fissava, ed era incredibile come sembrasse vedere molto oltre il visibile.
“Ah, mia cara Mahinete, ne hai di strada da fare…” scuotendo la testa con aria desolata mi si avvicinò piano, mi mise una mano sulla nuca, e improvvisamente mi sentii percuotere dal più freddo, potente e sferzante di tutti i venti dell’oceano.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trascinare dalla sua energia, mi alzai e mi diressi sicura verso una nicchia nella roccia.
Affidandomi a lei, dopo appena un battito di ciglia, avevo trovato la pietra e l’avevo messa nella sacca.
Aniata mi guardava, pur senza vedermi, con aria ironica e mesta. “Ah, ma quando imparerai Mahinete… ascolti ancora troppo il tuo cuore, e i tuoi istinti… finchè non li padroneggerai dovrai accontentarti della tua mente… ne parleremo di nuovo, in un altro momento, mia giovane allieva. Ma ora andiamo da tua sorella”
Sorrisi, finalmente sollevata, e mi avvicinai da sola alla soglia della casa. Sapevo che sarebbe stata perfettamente in grado di trovare la strada anche senza di me, e forse anche meglio di come avrebbe fatto se l’avessi accompagnata.
“Ti precedo” urlai schizzando via più veloce del pensiero. Mentre correvo sentii Aniata lasciarsi andare ad una risata argentina e vivace come quella di una bambina, e mi chiesi, per l’ennesima volta, come fosse possibile. Di certo la sua anima non era vecchia quanto il suo corpo poteva far pensare.
 
Vidi per primo mio padre, seduto su un masso, che parlava con un altro degli anziani del villaggio. Stava gesticolando in maniera nervosa e scoordinata, non riusciva a nascondere del tutto la tensione che lo attanagliava. In questi casi eravamo più simili di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere.
Non vedevo da nessuna parte la mia matrigna, né alcuna delle mie sorelle, ma immaginai che fossero tutte dentro con Nanihi e così inizia a correre verso l’entrata, finchè un braccio, abbronzato e muscoloso, si tese come un fulmine davanti al mio viso, fermando bruscamente la mia corsa. Un urlo di frustrazione mi si strozzò in gola.
“Orava…” sibilai ferocemente con tutto la rabbia di cui mi sentivo capace.
“Togliti immediatamente di mezzo, o stavolta ti ammazzo sul serio!” alzai lo sguardo e fissai con sdegno e disprezzo l’uomo che meno tolleravo nel mio clan, e probabilmente nell’intero universo.
“Oh-oh! Mahinete è arrabbiata...” mi fissava con aria divertita, mentre scuoteva la testa sorridendo beffardamente.
“E come mai la tua strega non è qui? Ha deciso che non ne può più di farti da balia?” mi fissava con la sua solita aria arrogante e presuntuosa e, ancora, non mi lasciava passare. Ormai ero fuori di me e ad un solo passo dall’aggredirlo.
“La strega è qui, valoroso Orava, proprio dietro di te”
Solo io avevo avvertito i passi leggeri di Aniata, prima ancora di sentire la sua voce, e dentro di me iniziai a sorridere pregustando la vittoria sul borioso Orava, ‘grande, veloce ed ammirabile eroe’. I nomi dei Moehau avevano tutti un significato, percui non mi spievago il suo, non avevo ancora trovato niente di grande, veloce od ammirabile in lui.
“Dovresti imparare che guardarsi le spalle è il miglior modo di difendersi...” gli disse Aniata mentre lo superava con leggerezza.
Orava era inebetito e sorpreso dall’arrivo silenzioso e inaspettato di Aniata;  il rispetto dovuto all’anziana e il suo senso dell’onore non gli concedevano di ribattere.
“E ora ti consiglio di lasciarci passare”. Orava si fece da parte con deferenza, abbassando il capo, e Aniata passò tra la piccola folla che si era formata alle nostre spalle.
Quasi tutto il villaggio era lì, sullo spiazzo polveroso, in trepidante attesa della nascita di mio nipote; e intanto si intratteneva sbirciando l’ennesimo diverbio mio e di Orava.
L’anziana mi si avvicinò e mi fece un cenno veloce con la mano.
La sua ramanzina avrebbe atteso che fosse passata l’emergenza, ma ero certa del suo arrivo come ero certa che di lì a poco si sarebbe scatenata una bella tempesta, ed in entrambi i casi, ero preparata.
Passando accanto a Orava lo guardai con rabbia e sussurrai minacciosa verso di lui “Questa me la pagherai”. Ignorando il suo minaccioso sguardo di risposta, proseguii decisa, seguendo Aniata all’interno della capanna.
  
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