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Autore: Aphasia_    03/04/2012    0 recensioni
A parlare è un uomo, chiamato Il Creatore, ormai anziano che, in fin di vita e in procinto di redimersi, decide di scrivere un libro nel quale rivela come ha creato la maledizione delle Ofelia e i suoi motivi, in questo modo confessando i suoi peccati nel tentativo di cancellare il suo terribile passato.
Esiste uno sguardo che uccide? E se la storia di quest'uomo fosse vera? Se avesse davvero creato delle donne capaci di uccidere con un solo sguardo?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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quindi ora sapete la mia triste storia. Possiamo definirla tale? Decidetelo voi questo, perchè io sarei di parte, lo sapete, e non impiegherei poi molto a gettare altro dolore sulle ceneri. Cosa dovrebbe fare un uomo con questa storia ora? Fare, che so, un resoconto? Odio doverlo fare, ma credo di averne bisogno dopotutto, perchè sento che questa è l'unica cosa ordinata della mia vita, ho proprio bisogno di un pò d'ordine, non credete? Perciò dopo aver incontrato Roger Hope, il velo del dolore, o per meglio dire il macigno costantemente presente nella mia vita si era come ridotto considerevolmente. Come era possibile? Era stato possibile perchè Roger mi capiva, era stato possibile grazie ai sorrisi di Elise e alla sua speranza, alla sua voglia di vivere nonostante tutto. Perchè io non avevo saputo trovare quella forza? Ma dopotutto non sono stato poi così male, perchè quella forza io l'ho avuta, in un certo senso, perchè la mia forza giaceva nella tenebra, nel dolore, ma giaceva, esisteva. Ancora una volta mi ero dovuto accontentare di quella forza oscura ma presente e sapete che vi dico? Che non mi lamento, perchè almeno ho vissuto. Ho vissuto tanti dolori, tante delusioni, sofferenze, cuori infranti, tra i quali il mio e non una volta sola, ma almeno ho potuto dire ogni giorno della vita.."Io ci sono". E se puoi dire questa frase puoi ritenerti fortunato caro mio, perchè è sempre meglio esserci, il resto lo combina il destino, che sia bene o male. Forse la mia non è da considerarsi fortuna, nel fatto che il destino abbia scelto per me il male, ma questo non va considerato come un dispetto, è come un enorme vaso pieno di biglietti. Noi siamo i biglietti, e il destino è la mano che li estrae, perciò ecco, cari lettori: Non siamo altro che giocatori. Giocatori che sperano di essere estratti e di vincere ottenendo il bene, altri invece sono giocatori che falliscono e ottengono il male, ma almeno hanno giocato onestamente, hanno vissuto, sono stati regolarmente estratti, hanno avuto la loro occasione. Io sono un giocatore che ha fallito, posso aver fallito come padre, o come marito, ma in una cosa non credo di aver fallito: vivere. Ho vissuto nel rimpianto, nella pena e nella commiserazione, ho vissuto nell'odio e nella rabbia, ma HO VISSUTO, sono ancora così sfortunato?. E nemmeno quando ogni anno dopo quell'incontro Roger Hope tornava a darmi notizie sulle mie figlie mi scoraggiavo. Anche loro erano state giocatrici che avevano fallito, e lo avevano fatto per mano mia, ma questo non mi importava perchè anche loro avevano vissuto, ed erano state fortunate, perchè IO le avevo fatte vivere, io avevo creato quell'illusione che credevo assurda, ma almeno funzionante. Si può vivere persino nell'illusione, a patto che si viva. E questo mi bastava. Elise lavorava per l'organizzazione occasionalmente, e solo su sua decisione , e per questo che l'adoravo, lei era la padrona del suo destino, aveva deciso che nessun altra mano avrebbe estratto a sorte la sua vita. Era Elise, infatti che mi portava, insieme a Roger, le informazioni sullo stato delle mie figlie, quando sbrigava qualche faccenda come riportare in vita membri uccisi ingiustamente, come mogli, mariti e figlie per i quali non si poteva sopportare la perdita. Le ragazze stavano tutte bene, uccidevano ancora, sebbene non più frequentemente (e di questo ne ero felicissimo), e vivevano..insomma, erano felici dopotutto. Di Sophie sapevo pochissimo, ma Elise era riuscita a scoprire che era andata a vivere in Francia, con suo marito. Anche lei era felice, e anche se mi aveva gettato acqua fredda più di una volta, le ero grato con tutto me stesso. Era felice, e aveva l'amore, so cosa si prova e per questo mi chiedo..cosa c'è di meglio? La sorte di Ofelia invece è l'unico velo nero che ancora non riesco a smaltire nonostante ormai col passare del tempo si debba superare il dolore. Mi sembra ancora impossibile che lei non c'è più, e il vuoto lo sento talmente bene che potrei quasi colmarlo mettendo un pugno dentro il cuore tastando il buco che vi è dentro. Era stato Hugo, suo marito, a darmi la notizia, il capo dell'organizzazione, proprio a casa nostra. Erano state delle parole fredde, veloci, dolorose, e ogni parola aveva una piccola vanga personale che scavava quel buco ancora presente in me. Era stata un frase sola, ma aveva fatto male quanto un intero discordo...
"Ofelia si è uccisa. Con uno specchio"
Hugo non aveva saputo dirmi altro, perchè parlare ancora avrebbe allargato il buco che supponevo avesse anche lui dentro. E' strano parlarne ancora, dopo tanto tempo, con la stessa identica freddezza e tristezza di allora, perchè si dovrebbe supporre di averlo superato. Ma non credo che ci riuscirò, forse lo posso fare per le mie figlie, per ciò che avevo commesso con la luna, ma con Ofelia...non sono sicuro di farcela. Prima o poi il dolore si ridurà, ma se dovesse succedere sarà lentissimo, tanto che nel momento stesso in cui l'umida terra della mia patria toccherà il legno della mia cassa, quella freddezza mista a quella della mia morte, ci sarà ancora, presente nel corpo anche se non riuscirò a percepirla, e presente nell'anima, insieme a me..in qualunque posto io debba andare. E ci andrò ve lo assicuro, ci andrà Eveline purtroppo, la mia Eveline, anche se spero più tardi, e ci andranno le mie figlie prima o poi, e Ofelia..c'è già. Non so ancora se sarà paradiso o inferno, e se fosse per me spero proprio che sia il purgatorio, dove almeno per una volta le colpe non fanno così dannatamente male. C'e una cosa comunque che mi risolleva lo spirito, forse l'unica, ma c'è, la sento. Hugo mi ha fatto una promessa, l'ha fatta ad Ofelia prima di morire: ha promesso di proteggere le Ofelia. E sebbene io non mi fidi di lui, allora ci penserò io a proteggerle, le proteggerò tutte quante, nel futuro, dal mio comodo posto in purgatorio, perchè come ho già detto, il purgatorio è un posto perfetto per chi vuola la pace nonostante abbia vissuto nel dolore. E ogni persona ha bisogno di pace anche se ha le colpe, colpa di esser nata, colpa di uccidere, colpa di amare troppo. E non importa quale sarà la tua sorte, quale sarà il fortunato vincitore dell'estrazione, perchè caro lettore la cosa più importante è che tu viva, e chiunque abbia questa fortuna, credimi, non merita di soffrire così dannatamente tanto.



Le mie dita si erano fermate perfettamente in tempo, precisamente in sincrono con la storia, con le parole, con le mie idee. Era magnifico. Avere la mente collegata ad una semplice macchina da scrivere era qualcosa che non riuscivo nemmeno a concepire lontamente finchè le mie dita non hanno toccato il freddo dei piccoli tasti. E le lettere poi! quei piccoli segni in rilievo sui tasti mi facevano sentire in paradiso, come se..mi accarezzassero. Si poteva provare così tanto amore? La storia era appena finita e io ero al settimo cielo, in estasi come non mai. Poteva esserci qualcosa di storto in quel momento così perfetto? Cosa poteva rovinare la perfezione di quei fogli ordinati, quei tasti perfettamente lucidi, quella storia scritta e terminata sotto i miei occhi?. Sarebbe piaciuta? I gusti delle persone sono sempre l'ostacolo maggiore per uno scrittore, ma dopotutto pensavo che la storia di Eric Sullivan sarebbe stata alla portata di tutto, proprio perchè tutti soffrono. Sarebbe diventato un eroe, un mito, un esempio. Chi lo sa? Non riuscivo a continuare nemmeno il filo dei miei pensieri, perchè mentre ammiravo la perfezione del mio creato, in opposizione al personaggio da me creato, qualcosa nella mia stanza mi aveva distratto. Pensavo fosse un riflesso, un illusione, un gioco della mia immaginazione febbricitante e ancora attiva dopo aver finito il mio romanzo. Era...Vero. E quello che avevo visto nella mia stanza nemmeno le lucide lettere della macchina da scrivere potevano esprimerlo. Forse..nemmeno le parole.
C'era qualcosa che filtrava attraverso la finestra della mia stanza, qualcosa che proveniva da fuori, dalla fresca notte estiva. Era una luce, la luce della luna. Ma conoscendo bene quella luce, talmente l'avevo amata da piccolo, posso dirvi, ora che cerco invano di descrivere quel particolare raccapricciante, che non era quella che avevo sempre conosciuto, quella che chiunque aveva conosciuto. La tazza del caffè si precipitò nel pavimento a causa della mia mano diventata insensibile. Non avevo sentito nemmeno il rumore della ceramica in mille pezzi. Vedevo solo quel particolare...

La luna...era viola.
  
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