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Autore: Giulia_G    04/04/2012    3 recensioni
«E’ la mia prima volta» dissi, tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi e attendendo una sua risposta. Mi sarei aspettata uno di quei suoi sorrisi da togliere il respiro, un bacio appassionato o una parola dolce, ma tutto quello che ottenni fu il fatto che si bloccò, rimanendo fermo per più di un minuto nella stessa posizione.
«Merda» esplose, più ad alta voce di quanto mi sarei aspettata, mettendosi a sedere e abbandonando la testa tra le mani.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hola :D Oggi pomeriggio non avevo niente da fare quindi vi pubblico un altro capitolo di questa mia seconda fan fiction xD Spero vi piaccia almeno quanto piace a me xD
Mi raccomando, recensite *w* Vi prego, mi fa un sacco piacere vedere le recensioni che qualcuna di voi lascia, vi ringrazio e vi apprezzo singolarmente (:
Quindi, niente xD Leggete, commentate e via xD
Passate anche dall'altra mia ff a leggere e recensiere, se vi va (:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=982308&i=1

Bacioni a tutti, Giulia (:




«Cosa ci fai qua?» chiesi al ragazzo in piedi di fronte a me, non preoccupandomi di fermare le lacrime che comunque continuavano a scendere sulle mie guance. Stropicciai gli occhi, sfregandoli con le mani e facendo leggermente fatica a riaprirli sotto la pioggia.
«Ti ricordo che abito lì» mi fece notare, indicando con un braccio una delle villette a schiera di quella zona. Annuii, mentre si sedeva di fianco a me, probabilmente aspettando che gli svelassi quale fosse la causa del fatto che mi trovassi su quella panchina alle dieci passate di sera, da sola. Lo guardai, sperando che capisse che l’ultima cosa che volevo era ritrovarmi costretta a raccontare quello che era successo, e quando distolse lo sguardo capii che gli era arrivato il messaggio.
«Non ti preoccupare» disse piano, tanto che sentii appena la sua voce, coperta dal suono della pioggia che batteva sul legno. Allungò una mano verso di me e mi cinse le spalle, accarezzandomi un braccio. Mi lasciai andare completamente, sapendo che non avrebbe giudicato né me, né le mie lacrime. Appoggiai la testa al suo petto, tirando su le gambe e accavallandole alle sue, per farmi di nuovo prendere dai singhiozzi. Non era più un pianto di rabbia, di angoscia e di tristezza, ma un pianto liberatorio, con il quale speravo di riuscire a farmi scivolare addosso tutto quello che era accaduto, nonostante sapessi bene che non sarebbe bastato quello. Mi passò una mano tra i capelli, percorrendoli fino alle punte, per poi tornare su e ricominciare a sfiorarli, mentre io mi facevo cullare dalla sua voce e dal ritmico cadere dell’acqua sul mio corpo. Faceva freddo, nonostante qualche settimana prima la bella stagione avesse fatto capolino, portando con sé il sole tipico di fine marzo. Probabilmente stavo tremando, ma non mi interessava. Ero tra le sue braccia, ero al sicuro.
 
 
Non so quanto tempo passò prima che mi riprendessi, ma quando finalmente ciò accadde, era come se sentissi su di me un peso in meno. Ruotai il busto, portando le gambe di fronte a me, pulii leggermente le guance dal nero bagnato e appiccicoso del trucco, e guardai dritto per qualche minuto. Mi alzai velocemente, cercando di mantenermi in equilibrio. Gli porsi una mano e quando la afferrò lo tirai a me per abbracciarlo ancora una volta, nonostante fossimo stati vicini per tanto tempo che ormai non averlo accanto mi lasciava quasi un senso di vuoto.
«Grazie Liam» gli dissi all’orecchio, scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Lo vidi sorridere, nonostante intorno a noi fosse buio pesto: il suo sorriso avrebbe illuminato anche l’oscurità di una caverna.
«Ti accompagno a casa» si offrì, prendendomi per mano. Non aveva la più pallida idea del perché fossi scoppiata a piangere sulla sua spalla, né del perché mi fosse così difficile per me anche solo abbozzare un sorriso, ma era riuscito comunque a farmi sentire meglio, semplicemente con un abbraccio e qualche canzone accennata all’orecchio. Era quella la sua magia.
Un piede davanti all’altro, oltrepassammo la fila di alberi che separava la strada dal marciapiede, per poi avanzare per qualche isolato.
«You light up my world like nobody else» gli canticchiai a bassa voce, riprendendo una delle melodie che mi aveva fatto ascoltare non molti giorni prima. Sentii la sua stretta aumentare, non c’era nessun bisogno di usare delle inutili parole per capirci.
La sensazione che provai ritrovandomi di fronte al portone di casa mia fu di assoluto benessere. Finalmente ero a casa, lontana da tutto e da tutti.
«Ci sentiamo domani» si raccomandò, incurvando un lato della bocca in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso d’incoraggiamento. Annuii, stampandogli un bacio sulla guancia e oltrepassando la porta di casa. All’interno faceva caldo, più di quello che mi sarei aspettata. Salii con calma le scale, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare chiunque stesse dormendo. Sbirciai nel corridoio e vedendo la luce spenta lo attraversai tranquillamente, con la testa bassa e le scarpe bagnate in mano. La mattina dopo mi sarei dovuta inventare una buona scusa per spiegare le impronte di acqua lasciate in tutta la casa. Mi spogliai in fretta, infilandomi sotto il lenzuolo, chiudendo gli occhi e sperando con tutta me stessa di addormentarmi all’istante.
 
Camminava avanti e indietro per la stanza, aumentando sempre più in altezza. Ogni secondo che passava si avvicinava di più al soffitto della stanza, fino a quando non arrivò quasi a toccarlo.
«Harry calmati» lo pregai, ponendo le mani avanti contro qualcosa che comunque sarebbe riuscito ad abbattere facilmente quella mia barriera. Chiusi gli occhi, in attesa del colpo che avrebbe sferrato da un momento all’altro. Quando li riaprii gridai più forte che potei, per farmi sentire anche dai morti. Qualcuno sarebbe dovuto venire ad aiutarmi! Era a pochi centimetri da me, il suo occhio era grande almeno quanto la mia mano, e si beava di una risata che mi incuteva un terrore che non avevo mai provato.
«Smettila» lo implorai ancora, portando le mani davanti agli occhi e cercando di respirare normalmente.
«Allyson!» pronunciò il mio nome come se fosse una maledizione.
«Allyson!» ripeté, non ancora contento del risultato ottenuto.
 
 
«Allyson!». Mi svegliai di soprassalto, sudata e tremante. Il viso di mia sorella regnava sul resto della stanza, più vicino a me di quanto avrei voluto che fosse. La spinsi via con una mano, girandomi verso il muro e mugugnando qualcosa.
«Tutto bene?» chiese preoccupata, sfiorandomi una spalla. Annuii velocemente, accompagnando il gesto con un verso. Rimase in quella posizione per almeno un altro minuto, fino a quando non mi decisi a guardarla in faccia e assicurarle che era tutto a posto.
«Tutto bene Brooke, è stato solo un brutto sogno, torna a dormire».
  
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