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Autore: Sybeoil    04/04/2012    1 recensioni
Non è facile crescere in un paese che tutto il mondo critica ma che nessuno si scomoda ad aiutare, non è nemmeno facile crescere in una famiglia speccata come la mia. A dirla tutta non è affatto facile crescere in generale. La vita cambia, i problemi crescono, le delusioni aumentano e i sogni colano a picco. Ti rendi conto che tutto ciò in cui credevi da bambina, tutto ciò che la tua mamma ti raccontava, sono solo bugie vuote.
E così alla fine ti rassegni e ti integri a quel mondo che ti vuole schiava del lavoro. Diventi una dei tanti non una tra i tanti.
Succede però, che a volte e dico solo a volte, il Destino sembra volerti dare una mano e allora... allora succede l'impossibile. Ciò che hai sempre desiderato ti si presenta sotto gli occhi e tu non puoi fare a meno di afferrarlo e tenertelo stretto.
A volte ci si mette anche a l'amore, quello vero che fa battere i cuori e venire il mal di stomaco. Quell'amore così impensabile da sapere che è quello giusto.
Quando tutto va come dovrebbe andare, ci si mette l'amore per il ragazzo riccio conosciuto a Londra!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

 

 

 

 

L’aeroporto di Caselle era il più grande, meraviglioso aeroporto avessi mai visto, forse perché era l’unico che avessi visto in tutta la mia vita o perché da lì cominciava la più grande avventura della mia vita, fatto sta che rimasi stupita dalla sua immensa bellezza.

Rischiai anche di scoppiare a piangere tanto era l’emozione di salire su quel volo che mi avrebbe portata lontana chilometri da casa mia e soprattutto dalle persone che amavo.

Quel giorno a salutarmi c’erano proprio tutti. Mia madre con un pacco di fazzoletti stretti in mano e le lacrime agli occhi, mio fratello con il suo solito sorriso sfacciato che a quanto pareva faceva impazzire le ragazze, la sua fidanzata Irene che consideravo quasi una sorella e in fine mia nonna Gaia. Lei era quella che mi sarebbe mancata di più dopo mamma.

Era sempre stata una presenza costante nella mia vita, una specie di vecchia quercia forte e resistente a qualsiasi tipo di tormenta che non si piega ma non si spezza mai. Lei era la mia nonnina dal viso pieno di rughe che mi divertivo ad accarezzare, era la donna che da piccola mi teneva sulle sue ginocchia raccontandomi storie divertenti su animaletti strani e dandomi i biscotti che mamma mi proibiva sempre di mangiare.

Lei era le braccia che mi accoglievano quando piangevo o litigavo con mio fratello, il profumo di casa dopo le vacanze al mare con mamma.

Lei era ciò che sarei diventata in futuro. Una donna amabile e così coraggiosa da non abbandonare mai i propri ideali.

< Fai la brava > mi sussurrò mia madre all’orecchio mentre mi stritolava tanto da togliermi il fiato. < Stai attenta e chiama sempre > La voce rotta dall’emozione le rendeva un po’ più difficoltoso il suo compito di madre premurosa e protettiva ma non le impedì comunque di mettermi in guardia dai mille pericoli nascosti a Londra.

< Divertiti anche per me > si limitò a dirmi Irene prima di stringermi in un abbraccio breve ma intenso.

Il saluto con mio fratello fu un po’ più… particolare. Non eravamo abituati ad abbracci o simili smancerie, ma saremmo morti uno per l’altra, di questo ne ero certa. Per cui, quando si avvicinò e senza dire nulla mi strinse a se sovrastandomi con il suo metro e ottantacinque abbondante, ne rimasi sorpresa ma anche contenta. Avevo bisogno di quel contatto intimo che per troppo tempo ci eravamo impegnati a negarci. Ne avevo bisogno per capire che fossimo ancora degli alleati come quando lo eravamo da bambini, per capire che ci fosse ancora quella scintilla di complicità che rendeva ogni gioco più divertente.

Rincuorata di aver ritrovato quella sensazione di sazietà, mi ancorai con le braccia alle sue spalle sorridendo come un’idiota per poi staccarmi e fissarlo negli occhi castani come quelli di mia madre.

< Sappi che sono geloso > disse abbozzando un sorriso < Quindi a meno che non abbia intenzioni serie, nessun ragazzo > aggiunse dandomi una spallata scherzosa che però rischiò di farmi rovinare a terra tanto era la sua forza.

La nonna la lascia per ultima perché sapevo sarebbe stata quella a soffrire di più “l’addio”. Per lei l’idea di vedere qualcuno della sua famiglia allontanarsi equivaleva a perdere un pezzo di cuore o uno di stomaco. Era come perdere una parte di se stessa.

Accorgendomi solo in quel momento di tutta la sua fragilità, l’abbracciai sicura che presto mi avrebbe donato una delle sue rare perle di saggezza.

< Vai, divertiti ma soprattutto innamorati > mi sussurrò all’orecchio in modo che potessi sentirla solo io < Alla tua bisognerebbe innamorarsi ogni giorno, ora e minuto della propria vita > aggiunse dandomi un bacio sulla guancia e sciogliendo l’abbraccio per concedermi nuovamente la libertà.

< Lo farò > le risposi guardandola dritta negli occhi azzurro cielo e promettendo a me stessa che lo avrei fatto; l’avrei fatto per lei, ma soprattutto, l’avrei fatto per me!

L’ora di partire era finalmente arrivata e con un respiro che voleva essere di incoraggiamento ma che sembrò solo d’ansia, afferrai il mio Eastpack da terra e mi diressi verso il check-in.

Consegnai il mio biglietto e il mio passaporto ad una ragazza bionda sorridente che mi augurò buon viaggio e mi incamminai. Una volta arrivata alla fine della passerella che conduceva alla pista di partenza dell’aereo mi voltai un’ultima volta a fissare chi stavo lasciando.

Dedicai loro un sorriso, mi stampai in mente i loro volti, i loro sorrisi e sì, anche le loro lacrime e poi proseguì per la mia strada.

Ormai era fatta, da lì a poche ore sarei atterrata all’aeroporto di Londra.

***

La voce bassa e calda del comandante emanata da degli altoparlanti sistemati ai lati dell’aereo ci avvisò che saremmo atterrati da lì a una ventina minuti e pregandoci di allacciare le cinture di sicurezza, cominciò le manovre di atterraggio.

Quella fu forse la parte più terribile e spaventosa di tutto il volo. L’altezza non mi aveva mai spaventata, al contrario di mio fratello, mi trovavo bene in posti elevati. Mi facevano sentire libera.

Ritrovarsi però a tremolare in modo convulso, chiusi in una specie di uovo di metallo e per di più sospesi a chissà quanti metri dal suolo, non è esattamente qualcosa di eccitante.

Dopo quelli che credo siano stati i venti minuti più terrificanti di tutta la mia vita, l’aereo tocca finalmente terra ed io posso tornare a respirare in modo normale e smetterla di ansimare come un cane dopo una corsa di cento chilometri.

Appena la trappola volante, come lo chiama mia madre, si arresta sulla pista di atterraggio mi slaccio la cintura di sicurezza e quasi mi precipito verso il portellone d’uscita travolgendo una signora che era davanti a me.

< Mi scusi > dico senza però degnarla di uno sguardo e continuando a camminare in direzione della porta di tutti i miei sogni.

Arrivata davanti al grande portellone in metallo bianco mi arresto. Ciò che desidero da quando ho imparato a parlare l’inglese è a pochi passi da me ed io sto per raggiungerlo. Sto per raggiungere Londra.

< Arrivederci > mi dice cordiale un’hostess prima di farmi un cenno in direzione del portellone che lentamente si apre lasciandomi intravedere il cielo plumbeo dell’Inghilterra.

Respiro quell’aria inglese a pieni polmoni colmandomene come se da ciò dipendesse la mia vita, il che poi è la verità scientifica, ma non fossilizziamoci.

< Mi scusi signorina > mi chiama una donna < Ma noi vorremmo scendere dall’aereo > aggiunge indicandomi i gradini sotto di me.

Sorridendo a modi scusa percorro gli ultimi gradini che mi separano dal suolo inglese e finalmente tocco terra. La terra che per anni ho sognato, desiderato e amato più di ogni altra cosa.

Sorridendo come un ebete mi dirigo verso l’interno dell’aeroporto dove potrò recuperare le mie ben tre valigie. Dentro all’aeroporto l’atmosfera è molto più calma di quel che pensavo, nessuna orda di turisti nervosi, nessun imprenditore esaurito e nessun viaggiatore improvvisato.

Ci siamo solamente io e un sacco di altra gente molto silenziosa e discreta, oltre che uno strano gruppo di uomini in giacca e cravatta assomiglianti a degli enormi gorilla che fissano insistentemente il check-out di un volo appena atterrato.

Cercando di non farmi distrarre da quel piccolo dettaglio fuori posto proseguo nella mia direzione.

Finalmente raggiungo il nastro metallico sul quale scorrono le valigie di tutti i passeggeri e quando scorgo la prima delle tre corro ad afferrarla prima che venga nuovamente risucchiata dal rullo.

Aspetto ancora un paio di minuti e poi entrambe le altre valigie sbucano da dietro le fascette di gomma.

Più svelta di prima mi affretto a tirarle giù dal rullo rischiando di capitombolare a terra con tutte loro messe insieme ma ne esco vittoriosa.

Ora non resta che trovare un modo per raggiungere quella specie di collegio nel quale dovrò risiedere per i prossimi tre mesi della mia vita.

Caricatami il borsone nero in spalla, afferrati i due trolley con entrambe le mani, mi dirigo verso l’uscita consapevole di dover usare un taxi per raggiungere Londra.

Con tutti quei borsoni non sarei mai riuscita a prendere un autobus.

Sto giusto per varcare le porte dell’uscita posteriore dell’aeroporto, dove a quanto pare fermano tutti i taxi, quando un’orda impazzita di ragazzine urlanti e piangenti mi travolge facendomi capitombolare a terra.

< Ehi! > proteso cercando di alzarmi senza però riscuotere molto successo.

< Ti serve una mano? > domanda una voce bassa e profonda da dietro le mie spalle.

Io mi volto e ciò che mi trovo davanti mi provoca una serie di risate davvero poco composte che però non riesco a frenare.

Davanti a me c’è un ragazzo con una massa di ricci che qualunque parrucchiere sarebbe felice di rasare, un paio di occhiali esageratamente grandi , una felpa di almeno due taglie in più e uno stupido capello di lana a forma di panda calcato sulla testa.

< Cosa c’è da ridere? > domanda con tono risentito porgendomi però una mano come sostegno.

< Niente > ribatto trattenendo a stento le risate. < Ridevo per la mia caduta > aggiungo notando i suoi angoli della bocca contorcersi in una smorfia poco convinta.

< Già > afferma lui ritirando la mano e infilandosela in tasca < A proposito, mi dispiace > dice accennando un sorriso.

< Fa niente > replico io sollevando le spalle < Ci sono abituata. Ora scusa ma devo proprio andare >

Afferro tutte le mie valigie e le carico sul primo taxi che trovo, poi mi volto e prima di salire in macchina saluto il primo ragazzo inglese che abbia mai conosciuto.

< E’ stato un piacere e grazie per l’aiuto > gli urlo da col finestrino abbassato.

< Figurati, il piacere è stato mio > replica lui sorridendo affabile < E a proposito, mi chiamo Harry > aggiunge prima che il mio taxi parta ed io scompaia per sempre alla sua vista.

 

 

Angolo autrice:
Sono tornataaaaa...Vi mancavo vero? xD
Bene, a parte i miei stupidi scherzi e le mie battute per nulla divertenti, direi di concentrarci sul prima capitolo di questa storia che piano piano prende forma nella mia contorta mente.
Dunque, la nostra protagonista di cui ancora ignoriamo il nome, è finalmente arrivata nella sua città dei sogni. Per ora l'unica cosa che ha potuto vedere sono state le pareti dell'aeroporto e un ragazzo dall'aspetto bizzarro, ma presto tutto ciò che ha sempre desiderato potrebbe avverarsi.
Cosa rappresenterà per lei quest'incontro così bizzarro? Che ruolo avrà quel ragazzo nella sua vita? E quanto inciderà sul suo futuro?
Se siete curiosi, e sono certo lo siate, restate con me!
Alla prossima, Sybeoil!



  
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