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Autore: xEsterx    05/04/2012    3 recensioni
Los Angeles.
La los Angeles delle corse clandestine, delle notti illuminate a giorno.
La los Angeles dove anche al destino piace giocare, unendo fuoco e ghiaccio senza che il fuoco si estingua o il ghiaccio si sciolga.
Ma addirittura si diverte nel vedere come i due riescano a compensarsi, uno alleviando l’eccesso dell’altro. Perché alla fine il fuoco capisce che bruciare e distruggere non è l’unica cosa di cui è capace, e il ghiaccio scopre che sotto di sé, come protetta, la vita riposa silente e indisturbata, per rinascere rigogliosa, ogni anno e per sempre.
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Degel, Scorpion Kardia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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IMPORTANTE: dopo tempo immemore sono finalmente arrivata a postare il seguito della storia. Però ho al contempo deciso di cambiare qualcosa nei capitoli già scritti per un diverso sviluppo delle cose che ho maturato in questo periodo di impegni incessanti (ad esempio la facoltà e quindi lo stage di Degel, per dirne una). Quindi, per cortesia, sarebbe meglio che rileggiate i primi due, ci troverete delle cose un tantino diverse :). Grazie e scusate il ritardo <3.











Degel fissava dritto davanti a sè, forse perchè sperava con tutto se stesso che una faccia amica e salvatrice avrebbe fatto capolino al di là delle sbarre il prima possibile, o forse perche stava semplicemente cercando di non pensare alla strana sensazione che gli infastidiva la mano destra da qualche minuto a quella parte. Era un formicolio? Una scottatura?


-Ei, francesino.-.

Di nuovo quella voce sporca, quel tono impertinente e sornione che gli dava sui nervi. Degel non rispose, si limitò a posare gli occhi addosso all'americano senza nessun peso.

-Ehi, non fare il ghiacciolo, dopotutto stiamo respirando la stessa puzza da più di due ore.- ridacchiò Cardia, per poi fare un cenno col capo verso le proprie spalle, accompagnato da una smorfia -Senti, fammi il favore, dammi una grattatina qua dietro, ho un prurito che mi sta facendo impazzire.-.

-Ma non ci penso nemmeno!- Degel inorridì strabuzzando gli occhi, ma non fece in tempo a dire nient'altro che la voce di un poliziotto richiamo l'attenzione di entrambi i detenuti: al di là delle sbarre, accanto a quello, c'erano altri quattro agenti armati e un  uomo sulla cinquantina, magro e brizzolato, con indosso vestiti eleganti sì, ma che dovevano essere andati di moda non meno di cinquant'anni prima; però, dietro la polvere di quella giacca grigio topo e quei mocassini consumati, si scorgeva un'intelligenza non comune, spruzzata da due occhi vispi, a tratti inquietanti, e un'espressione severa. Aveva il viso allungato in maniera quasi equina, incorniciato da una barba incolta e dei capelli arruffati.

-Quello là, amico mio non lo è di sicuro.- sghignazzò sommessamente Cardia, mentre lo sguardo di Degel andava illuminandosi di un baluginio di euforica speranza.

Il poliziotto parlò, mentre frugava in un corposo mazzo di chiavi che teneva tra le mani: -Signor Arnaud, ci scusiamo per il terribile inconveniente. Si è trattato di un caso di omonimia, e il signore qui presente ha dato ulteriore conferma alle ricerche condotte dagli agenti.-.

Degel fissò l'uomo con cipiglio interrogativo, ma fu soltanto un riflesso di prassi, dato che era quasi sicuro di aver capito l'identità del suo salvatore; cosa che venne confermata dalle parole che quello subito pronunciò: -Signor Arnaud, sono il Dottor Ackroyd, il suo tutore qui a Los Angeles.-.

-Non credevo sarei mai stato così felice di conoscerla...- sospirò il ragazzo, rilassando le membra e fremendo di sollievo.

Cardia se ne stava lì, silenzioso e a testa bassa, rimanendo piegato con i gomiti sulle cosce, apparentemente infischiandosene della romantica scenetta. Solo per un momento diede accenno di muoversi, perchè abbassò le mani ammanettate a grattarsi la caviglia destra, ma nient'altro. Degel non ne capì il perchè, ma quel gesto fece formicolare il suo sesto senso, cosa che però si sbrigò a sopprimere, pensandola come una semplice suggestione, e anche perchè ormai l'agente aveva trovato la chiave e la stava infilando nella toppa.

-Ero venuto  a prenderla in aeroporto,- cominciò il medico. -ma dato che di lei non c'era traccia nonostante il volo fosse arrivato da un bel pezzo, e il cellulare risultava essere inattivo, l'ho descritta ad un dipendente e questo mi ha detto di averla visto portare via dalla polizia.- Parlava a voce bassa, modulando ogni parola con cura e lentezza, come volesse assaporarne ogni minimo suono, oppure, pensò Degel con un filo di ammirazione, come se la consapevolezza che più di altri aveva sulla morte gli permettesse di apprezzare ogni soffio dell'effimera vita, e la cosa non poteva che trapelare in ogni suo gesto e modo. -E dato che non credo che la squadra di ricerca possa affidarmi dei delinquenti, eccomi qui.-.

Ora in piedi vicino alle sbarre, Degel si limitò ad annuire, stanco e parecchio scosso, nonostante si fosse sforzato fino a quel momento di lasciar intendere il contrario.
La serratura scattò rumorosamente e il poliziotto aprì finalmente la porta, mentre gli altri rafforzavano la prese sulle armi e le puntavano contro un innocuo Cardia che per tutta risposta si limitò a poggiare le spalle contro il muro e sbuffare infastidito.
Al 'venga pure avanti' dell'agente, lo studente fece per avvicinarsi all'uscita della cella, e stando ben accorto a non farsi vedere troppo coinvolto, lanciò un fugace sguardo all'altro ragazzo, che ricambiò con un ghigno mefistotelico; vedere quella smorfia sul viso di Cardia lo lasciò interdetto per un istante, ma evitò comunque di darle peso dato che la priorità del momento era uscire di lì.
Ma contro ogni sua aspettativa, non ci volle molto per far luce su quella stranezza che aveva deciso di lasciar correre, perchè non appena Degel compì il suo quinto passo, Cardia scattò in piedi e prima che i poliziotti potessero reagire alla cosa, questo aveva già fatto suo il francese, facendogli passare attorno al collo la catena delle proprie manette e portando una mano a stringergli la mascella verso l'alto, per fare così bella vista del suo collo niveo; l'altra teneva una lamina di ferro affilata pericolosamente vicino alla pelle di Degel, minnacciando di poter percorrere quando più le aggradava, e senza il rischio di venire interrotta in tempo, i pochi millimetri che la separavano dalla giugulare pulsante.
Cardia aveva fatto giusto in tempo ad abbracciare la sua preda che tutta la squadra tolse la sicura dalle armi e gliele puntò contro, mentre l'agente che aveva aperto la porta si fece indietro.
A Degel mancava il respiro: come aveva fatto ad essere così veloce, quello lì? Aveva appena cominciato ad assaporare la libertà, che Cardia gli si era avvinghiato addosso e stava minacciando di ammazzarlo. E nemmeno gli passò per la testa l'idea di divincolarsi, perchè non avrebbe avuto nessuna speranza di vittoria contro quel bestione tutto muscoli, e soprattutto ogni minimo movimento sarebbe stato rischioso con quella lamina sul collo.
Gli balenò nella mente l'immagine di poco prima, quella in cui la sua attenzione era stata rapita dal fare di Cardia, il quale aveva abbassato le mani verso la caviglia apparentemente per grattarla, e tutto improvvisamente gli fu chiaro. Si maledisse allora per non aver dato retta al suo sesto senso che aveva cercato di avvertirlo... Ma come poteva immaginare che quel bastardo stesse nascondendo un ferro affilato in prossimità dei piedi? Di sicuro si sarebbe inoltrato in conseguenti pensieri riguardo l'inettitudine e la poca efficienza della polizia americana e dei suoi metodi di perquisizione, se solo in quel momento non gli fosse salita veloce lungo la schiena la consapevolezza di trovarsi in serio pericolo. E ad averlo appena messo in quella pessima situazione era proprio il ragazzo che poche ore prima l'aveva infiammato con quello sguardo.

-Ha un ostaggio, ha preso un ostaggio!- gridava qualcuno ad un ricevitore, mentre gli altri si radunavano nel fatidico corridoio, a dare man forte agli agenti già presenti.
In poco tempo l'agitazione si impadronì della stazione di polizia, che si animò di squillanti allarmi e via vai di agenti.
 -Torna al tuo posto, cosa diavolo credi di fare?!- lo ammonirono i poliziotti urlandogli contro -Lascia il ragazzo e non ti spareremo!-.

Cardia rise. E rise di gusto. Fu una risata divertita, ma non appena le sue vibrazioni giunsero alle altrui orecchie, nessuno potè fare a meno di rabbrividire. Era un gorgeggio spaventoso, dalle vibrazioni così basse ed intense che sembrava nascere direttamente dalle budella di chi lo ascoltava, anzichè dall'esterno. Solamente Degel non fu colto da quell' impressione, per il semplice fatto che quelle vibrazioni le sentì su di sè direttamente dalla fonte, dato che l'ampio torace di Cardia spingeva con forza contro la sua schiena.
E ci fu di nuovo quel fuoco, di nuovo quel divampare di fiamme che prima aveva visto in quegli occhi, e che stavolta stava sentendo in quella voce e percependo sulla pelle.
Possibile che tutto di quel tizio fosse fuoco?

-Non fatemi ridere, signori.- Sibilò lascivo Cardia, lasciando che il suo sguardo tagliente scorresse su quello di ciascun presente, nessuno escluso. E quando il malcapitato del momento si concedeva un quasi impercettibile fremito una volta colpito, beh, questo non faceva altro che mettergli in circolo ancora più adrenalina. In quel momento era come se stesse correndo nel cuore di Los Angeles a più di duecento all'ora, ed era raro che qualcos'altro oltre alle corse sfrenate fosse in grado di fargli provare simili sensazioni.  
Sorrideva di un sorriso malsano, sentendo andare il proprio corpo a fuoco come non mai. E il fatto che gli stessero puntando contro armi cariche e prive di sicura non faceva che rendere il tutto ancora più esaltante, inducendolo a giocare la propria parte come meglio poteva.


Se solo non fosse stato lui uno dei due protagonisti della vicenda, Degel avrebbe pure potuto trovare assurdo ed ironico il fatto che ci fosse bisogno di così tanti uomini per sventare quello che aveva tutta l'aria di essere un tentativo di fuga di un coatto tutto muscoli; la spiegazione a ciò, era proprio il fatto che c'era qualcuno che stava rischiando la vita, e probabilmente Degel non aveva realizzato del tutto che quel qualcuno fosse proprio lui, dato che ebbe voglia di provocare il suo aggressore:

-Cos'è? Hai paura che gli altri detenuti possano rubarti la merenda, una volta dentro?-

Per tutta risposta, Cardia rafforzò la presa sulla sua mascella, inducendo Degel a grugnire di dolore, e lo avvicinò ancora di più al suo viso, tanto da arrivare a premergli le labbra contro l'orecchio: -Stammi a sentire, principessa...- Parlava ringhiando, alitandogli contro il collo aria tanto bollente da sembrare pericolosa.
Aveva ancora quel ghigno stampato in faccia, ma Degel non poteva di certo vederlo; come non poteva sapere che tutta quella situazione lo stava esaltando quasi al piacere. Sentiva solo il suo torace muoversi per i respiri veloci e profondi, che da tutto gli sembravano causati tranne che dalla paura, visto il soggetto.
 -... Non credo tu sia nella posizione di poter scherzare, adesso.- E come a dare ancora maggior credibilità alle proprie parole, Cardia fece scorrere delicatamente la punta fredda sulla gola dell'altro, ben accorto nel far sì che il gesto fosse visibile a tutti i presenti.

Degel rabbrividì in silenzio, digrignando i denti: quello stava facendo sul serio. Si guardò attorno facendo guizzare gli occhi in ogni direzione, in cerca di qualcosa che avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio per togliersi da quella situazione, ma si stupì nell'appurare che per la prima volta il suo cervello non stava lavorando come doveva: mai si era trovato in una situazione di stress tale da influire sulle sue capacità cognitive; e più questa consapevolezza prendeva forma nella sua testa, più il corpo la seguiva, rendendo palese ciò che fino a quel momento la razionalità era riuscita a sopprimere: che stava tremando come un coniglio aveva cominciato ad accorgersene solo adesso, così come si era appena reso conto del respiro affannoso e del cuore che pulsava a mille ormai in gola. Deglutì a forza, poi cercò di modulare qualche parola, accorgendosi che la bocca gli si era fatta irrimediabilmente riarsa: -Ehi, Cardia.- pensava che il chiamarlo per nome e usare un tono calmo e affabile avrebbero potuto instaurare una certa confidenza che sarebbe stata utile a persuaderlo, o almeno così si ricordava di aver letto in un qualche libro di psicologia. -Diavolo, ti stai mettendo nei guai. Se prima bastava che ti facessi qualche anno in reclusione, adesso non penso te la caverai così facilmente.-.
  Ancor prima di aprire bocca per parlare, qualcosa nella propria testa gli aveva detto che sarebbe stato tutto inutile con quello, e infatti ci volle pochissimo tempo prima di ricevere conferma dal diretto interessato, il quale, non appena Degel terminò il suo paternale, si premurò nel ricordare chi era il capo tra i due:  strattonò di nuovo la mascella del suo ostaggio e tese la catena delle proprie manette per stringergliela forte al collo. Il francese tossì, artigliando istintivamente il braccio di Cardia che lo teneva a sè, per cercare invano di allontanarlo. Dannati libri di psicologia.

-Adesso la pianti di fare la mammina che fa finta di preoccuparsi per me e vediamo di andarcene da qui.- Cardia gli aveva di nuovo parlato all'orecchio, a denti stretti, stando ben attento a non farsi sentire dai poliziotti, i quali ormai sembravano più delle belle statuine, che degli uomini d'azione.

Tra di essi, tra l'altro, Degel scorse Millard, armato di pistola, ma con una strana espressione scossa sul viso. Fu lui a parlare, mantenendo una notevole padronanza di sè: -Stammi a sentire, ragazzo. Se lascerai immediatamente l'ostaggio non saranno presi provvedimenti alla pena, parola mia.-. Pronunciò quel 'ragazzo' con un tono che colpì  Degel, anche se non riuscì a spiegarsi il motivo.

Cardia sputò a terra. -Me ne fotto della vostra clemenza, comandante.-  guardava l'ufficiale con aria di sfida, gli occhi spalancati e animati di un baluginìo folle, decisamente inquietante. -Io non voglo farmici nemmeno un giorno, nel vostro porcile.-. E non era un mero capriccio, perchè era sicuro che sarebbe morto, se fosse stato più di due giorni là dentro senza la sua principessa e la sua Los Angeles. Perchè Los Angeles era sua, e non avrebbe permesso a degli idioti in divisa di strapparlo dal proprio trono per permettere a un qualsiasi stronzo di sedervisi al suo posto. No, ormai su quel trono c'era la sagoma del proprio culo.
-Ora fate un favore al vostro Cardia, da bravi. Aprite un varco tra di voi così posso passare tranquillamente...- poi indicò Degel con un'occhiata e un gesto del capo, sorridendo famelico -...senza che nessuno qui si faccia male.-.

Al sentire quelle parole, tutti gli agenti si smossero e borbottarono tra loro, offesi e spazientiti. -Fai sul serio?!- gridò uno, rafforzando la presa sull'arma che teneva davanti al viso, già con gli occhi puntati sul mirino. -Figurati se ti lasceremo passare! Ora molla il ragazzo e metti la faccia al muro, oppure ti spariamo!-.

La minaccia non spaventò di certo Cardia, sia perchè non era proprio il tipo facile da impressionare, sia perchè aveva il pieno controllo della situazione, di fatti era stato ben attento a posizionarsi nella stanza in modo tale da offrire a fucili e pistole soltanto il corpo di Degel, e impedendo ai poliziotti qualsiasi mossa avventata grazie alla lama che teneva ben posizionata sul collo del francese. E per la prima volta i suoi pensieri andarono a lui, traendo divertimento dal fatto che, appena giunto oltreoceano, aveva già avuto modo di toccare con mano quella che era la VERA America: la splendida, libera, selvaggia America. L'America dove solo chi è disposto ad ammazzare può meritarsi il rispetto e una buona posizione in mezzo alla gente. A dir la verità un po' gli dispiaceva per quello straniero snob dal musetto presuntoso, ritrovatosi in quella situazione per puro caso; forse una volta liberi e lontani dagli sbirri non lo avrebbe nemmeno ammazzato, ma decise di riservarsi quella decisione per dopo: ora la cosa importante era andarsene da lì.
E soprattutto farlo sotto gli occhi di Russ Millard.
-Uhn!- un mugolio di Degel lo strappò dai suoi pensieri, facendogli accorgere di aver premuto un po' troppo sul suo collo. Cosa che scosse tutti i presentii, dato che sulla pelle del francese stava scivolando giù una goccia di sangue, resa ancora più cremisi dal contrasto con la pelle diafana. Beh, Cardia pensò che un po' di effetto scenico non faceva mai male.
Allora strinse a sè il corpo magro con ancora più forza, beandosi dei suoi brividi e del suo respiro rotto dalla paura. -Non scherzo, come potete vedere, e se non mi lasciate passare lo ammazzo sul serio.- si interruppe per un attimo, il tempo per posare gli occhi sul comandante e guardarlo con una malizia che era di piena sfida. -Comandante, ormai mi conosci da tanto tempo, sono anni che mi date la caccia, e sono sicuro che sai che preferirei ammazzare qualcuno e bruciare sulla sedia elettrica piuttosto che starmene qui buono buono a scontare la mia pena.-.


Faceva sul serio? A Degel una vocina interiore diceva di sì. Quell'americano era completamente pazzo e se la giornata era cominciata in quel modo già dall'aeroporto, non poteva non chiudersi così in bellezza. Aveva paura. Anche se non voleva ammetterlo a se stesso, ringraziava che  ci fossero lo forti braccia di Cardia a sorreggerlo, perchè sentiva che le gambe non erano in grado di sorreggerlo già da un bel po'. Poi, ora che il collo aveva preso a bruciargli per il piccolo taglio, era come se la consapevolezza di un'orribile e molto probabile evenienza si stesse facendo largo dentro di sè, privandolo di ogni capacità di iniziativa: poteva morire. Se Cardia era il fuoco a cui ogni fibra del suo essere rimandava, lui non era altro che un cubetto di ghiaccio in balia delle fiamme. Stava giusto abbandonandosi a questa insolita immagine, che fu costretto dal corpo di Cardia ad avanzare. Questi aveva compiuto giusto due passi lenti, prima di ruggire un potente: -Allora?!-.

I poliziotti non smisero di puntargli contro le armi, ma nemmeno si azzardarono a prendere iniziative, dato che il colpire Cardia senza prima attraversare il corpo di Degel era praticamente impossibile. Il comandante era un fascio di nervi, e la sua fronte si era imperlata di sudore già da un bel pezzo, ma nemmeno per un secondo si concesse di sottrarre il proprio sguardo da quello di Cardia, il quale, vedendo che nessuno dava l'impressione di muoversi, aveva ripreso ad avanzare.
Ora, sarebbe stato ammirevole da parte di Degel uscirsene con un: "No, per amor del cielo! Non pensate a me, sparate comunque e fermate questo delinquente!", ma non si trattava mica di un film e teneva troppo alla propria pelle. E soprattutto, non c'era il minimo senso patriottico che lo muoveva. Per lui gli americani potevano divertirsi con i loro criminali quanto volevano, non erano affari suoi, gli interessava solo andarsene da lì... e possibilmente con la testa attaccata al collo.

-Mettete quelle cazzo di armi a terra.-  fece poi Cardia, perentorio. E per dare manforte alle parole, si concesse un altro piccolo graffio al proprio ostaggio, stavolta pericolosamente vicino alla giugulare, gesto che venne accolto dal diretto interessato con un lamento di dolore.
Tutti gli agenti posarono gli occhi sul loro comandante, che dopo qualche secondo di titubanza, abbassò il capo, definitivo. Il rumore del metallo impattante con il pavimento rieccheggiò per il corridoio, mentre i poliziotti si liberavano di fucili e pistole.
-Bene.- continuò Cardia tirando su col naso -Ora tenete alzate le mani per bene, tutti quanti...- parlava lentamente ed utilizzava uno strano tono gentile, come se stesse ammonendo dei bambini. -...Così che possa avere il tempo di tagliare la gola al francese, se qualcuno si facesse venire la stupida idea di abbassarsi a prendere l'arma.-.
Una volta appurato che tutti si fossero attenuti al suo ordine, rimaneva il problema di come svignarsela dalla stazione di polizia cercando di non esporre il proprio corpo senza lo scudo offerto da quello del signor Baguette. Cardia si guardò attorno, alternando occhiate nervose tra il luogo e i poliziotti, così da tenere sempre sotto controllo persino i loro respiri. In tutto ciò la sua attenzione si posò anche su quello che diceva essere il tutore del suo ostaggio, che con sua grande sopresa, se ne stava immobile in mezzo agli agenti, senza mostrare il minimo accenno di panico. Fissava la vicenda con lo stesso sguardo di quando si era presentato poco prima davanti alla cella, e pareva che tutto quel trambusto non gli avesse nemmeno fatto sgualcire la camicia. Neanche la seguente occhiata di Cardia, una delle più grottesche del suo repertorio, lo fece scomporre. Tra lui e l'escargot facevano a gara a chi era più faccia di cazzo, pensò, mentre nella sua mente si formava finalmente anche una buona idea per lasciare quel postaccio. Trovò ispirazione nel guardare le pareti che delimitavano il piccolo corridoio in cui si trovavano lui e gli agenti di polizia, e che collegavano quello principale alla cella d'attesa. Quindi lasciò la presa  sulla mascella di Degel, ma solo per afferrargli il braccio, più comodo per quando avrebbe dovuto costringerlo a muoversi assieme a lui. -Adesso, signori, vi pregherei di spostarvi tutti a destra, e attaccarvi al muro.-.

Stavolta i poliziotti si mossero senza l'autorizzazione del comandante, tutti rassegnati al fatto che  finchè quel delinquente fosse rimasto là dentro a farsi scudo di quel povero straniero, non avrebbero potuto fare proprio nulla.
Così, annuendo soddisfatto, Cardia strattonò Degel per il braccio ed uscì dalla cella lentamente, tenendo sempre la schiena appiccicata alla parete opposta rispetto a quella dove si erano ammassati i poliziotti. Si compiacque del fatto che il francese si stesse muovendo senza fare capricci, rendendogli il lavoro facile. No, quasi sicuramente non l'avrebbe ucciso se avesse continuato a comportarsi così bene. Una volta raggiunte le armi lasciate a terra dai poliziotti si fermò l'attimo che bastava per piegarsi velocemente verso una di esse, portandosi appresso Degel che quasi perse l'equilibrio, e sostituire la lama con una pistola, per poi puntargliela subito alla tempia.


La velocità con cui Cardia eseguì la manovra fu, se possibile, ancora maggiore di quella con cui si era fiondato prima su Degel. E dopo che la catena delle manette lo spinse giù con forza, mozzandogli il respiro e rischiando di farlo finire con le ginocchia a terra, il francese non riuscì a capire cosa stesse accadendo finchè, una volta che fu rizzato di nuovo su da uno strattone dell'altro, non sentì qualcosa di freddo spingere contro la propria tempia . Siccome non era affatto uno stupido, ci mise un attimo a capire di cosa si trattava. Rabbrividì, chiudendo per un momento gli occhi: più i secondi passavano, e più veniva meno la speranza di poter tornare sano e salvo a casa. Perchè tornare a casa, se fosse uscito di lì vivo, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto, e Los Angeles poteva scordarsi di vedere ancora la sua faccia finchè fosse stato capace di intendere e di volere: questa era una delle due certezze che aveva in quel momento; l'altra era la consapevolezza di essere giunto ad odiare quell'americano con ogni centimetro del proprio essere.

Con la pistola puntata alla testa, si accorse solo in quel momento di quanto stava sudando: fu una cosa che lo sorprese non poco, dato che non era solito sudare nemmeno quando faceva quel poco di sport ogni tanto. Però, poichè in quel momento la possibilità di sentirsi perforare il cranio da piombo rovente non era per niente da escludere, sentire la camicia umida appiccicarsi alla pelle non era poi così strano; soprattutto se si considerava il fatto che il corpo di Cardia sembrava avere una temperatura che superava sì e no di una decina di gradi quella di una qualsiasi altra persona.
A stare con la schiena a contatto con il suo torace, quasi sentiva il proprio sangue bollirgli nelle vene. E quel cuore che sentiva martellare dietro di sè con così tanta veemenza, gli dava l'impressione che prima o poi avrebbe potuto fracassare la gabbia toracica che lo ospitava e uscirne con una forza tale da entrare nel corpo che gli stava davanti. Cosa che poteva risultare alquanto romantica se solo si pensava alla presente situazione, la quale aveva tutte le carte in regola per favorire una perfetta sindrome di Stoccolma, ma si sa, Degel Arnaud avrebbe preferito ammalarsi di tumore al cervello, piuttosto che di quella.
Frenò l'istinto di gettare occhiate supplicanti a quelli che avrebbero dovuto essere i suoi salvatori, ma una volta che Cardia lo costrinse a muoversi insieme a lui, facendolo camminare di lato, incontrò gli occhi severi del dottor Ackroyd, al quale non potè nascondere il terrore che lo attanagliava. Lui ricambiò con uno sguardo caldo, rassicurante a modo suo, ma in quel momento nemmeno la vista di babbo Natale con tanto di doni e campanellini lo avrebbe fatto sentire meglio.
Cardia prese quindi a camminare lentamente con la schiena attaccata al muro, senza mai smettere di puntare la pistola al suo ostaggio e di tenere d'occhio ogni singolo poliziotto. Un po' per quella che Degel interpretò come vanità, Cardia non si trattenne nel regalare qualche occhiata spocchiosa al comandante, il quale stava stringendo i pugni con così tanta forza da sbiancarsi le nocche ed era diventato paonazzo in viso, chissà se per vergogna o per rabbia. Magari entrambe, d'altronde stava per venire sconfitto in casa propria, e non avrebbe potuto sopportare una simile onta. Come non l'avrebbero sicuramente sopportata i superiori, dai quali sarebbe stato degradato senza troppi problemi. Una vita dedicata ad ottenere quel posto e onorarlo come meglio poteva, ed ecco che per colpa di uno squilibrato stava vedendo andare in fumo tutto quello per cui aveva lavorato.

Ma Degel non poteva di certo sapere che si stava sbagliando di grosso, e che in verità ciò che stava tormentando il poliziotto era qualcosa che non avrebbe mai potuto immginare: quella che sembrava vergogna era in realtà un profondo senso di frustrazione, di promesse fatte ma mai mantenute, di quello che avrebbe potuto essere ma che invece non era stato, e la rabbia che gli stava spezzando il respiro era rivolta solamente verso se stesso.


Non era facile, non lo era mai stato, ma mai Millard avrebbe immaginato di ritrovarsi in una situazione del genere. Non poche volte era stato combattutto tra il suo essere di uomo e di poliziotto, ma era la prima volta che si vedeva coinvolto in maniera così intima, e prendere la decisione giusta era in quel momento la cosa più difficile che gli fosse mai capitata; senza contare poi il fatto che doveva assolutamente affrettarsi nel farlo data la situazione critica, e che tutta la centrale dipendeva dalle sue decisioni, sbagliate o giuste che fossero.

E tutto perchè il ricordo di quello che era successo tredici anni fa, ma che aveva portato i suoi strascichi per molto tempo a seguire, era ancora vivo nella sua mente, e ora si stava riproponendo con violenza, impedendogli di fare ciò che andava fatto.
Alla fine chiuse gli occhi con gravità, abbandonandosi alla sensazione di un lungo brivido che serpeggiava lungo tutta la spina dorsale, messaggero di una dolorosa consapevolezza: era giunto il momento di finirla, anche se ciò voleva dire riportare alle luce un passato che si era promesso di lasciare nell'oblio.
-Scorpio.-.

Bastò quella semplice parola per immobilizzare Cardia sul posto e far nascere sul suo viso un'espressione di pura incredulità (o era terrore?). Il ragazzo si voltò lentamente verso l'uomo, annaspando l'aria con concitato affanno.
-Come... come mi hai chiamato?- sussurrò, con le labbra in preda ad impercettibili spasmi.






Beeeeene.
Non so nemmeno che parole usare per scusarmi con coloro che seguivano -e spero seguiranno ancora- la storia, riguardo la mia lung(hissim)a assenza. Davvero, non saprei che inventarmi, se non dirvi la verità, e cioè che ho appena avuto un semestre infernale all'università per quanto riguarda le lezioni e l'ammontare di studio, e che il poco tempo libero che avevo a disposizione mi permetteva giusto di uscire ogni tanto da casa per prendere un po' d'aria ._. Al sol pensiero mi viene da vomitare *Bleaauurgh* Ma bando alle ciance *si pulisce*, spero che siate comunque rimasti soddisfatti dagli sviluppi (e dai cambiamenti apportati), ma soprattutto che abbiate ancora voglia di leggere. Tanto manca poco (spero), solo che sento il bisogno di approfondire un po' un particolare rapporto che pare essere venuto fuori proprio in queste ultime righe.
Fatemi sapere se la fic vi gusta, così magari mi impegno per allungare un po' il brodo, altrimenti chiudo subito in un altro paio di capitoli e via :).
Giuro che sarò un tantino più presente, sia per postare, sia per riprendere a leggere quelle fic che ero solita commentare!
Un'altra cosa che ci tenevo a dire è questa: qualche giorno fa, ho avuto il piacere di leggere un cult del genere noir, dal titolo 'Dalia Nera'. E ho scoperto di citarlo involontariamente quando parlo di Cardia e Degel rispettivamente come fuoco e ghiaccio. Lì nel libro, anche  per i due personaggi principali vengono usate dal narratore (che è uno di questi due) queste due parole come soprannomi. Dato che ho amato il romanzo e dato che ormai ho combinato questa cosa, ho deciso  di citarlo ancora (stavolta volontariamente) dando al comandante il nome dell'unico, a mio avviso, personaggio della storia che può essere definito positivo.
Detto questo, grazie a coloro che leggono per la pazienza che hanno con questa povera studentessa esaurita, e scusatemi ancora per avervi fatto aspettare così tanto. Al prossimo capitolo! <3
Essie.
  
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