Autore: Sophrosouneh
Titolo: Il nome dell’odio
Fandom: Angel Sanctuary
Personaggi: Yue Kato, Ruiet
Genere: Introspettivo,
Malinconico
Avvertimenti: missing moment
Rating:
Verde
Credits: tutti i personaggi appartengono a quella
santa donna di Kaori
Yuki, che personalmente venero anche solo per il fatto di aver
disegnato questo
manga.
I brandelli di canzone che trovate
disseminati nel testo appartengono a “Hallelujah”
di Rufus Wainwright.
Note: non so
perché, ma sono
follemente innamorata di questa sottospecie di coppia che
più crack non si può.
Comunque volevo scriverci qualcosa ed è venuta fuori questo
aborto incentrato
su Kato e i suoi pensieri per-morte. Sì, perché
io vi sfido a non piangere
leggendo la sua morte (quella definitiva!). Io ho finito una scatola di
klinex.
Piccola nota: ricordo che
Yue è un carattere che si pone sulle lapidi davanti al nome
dei morti. E suo
padre stesso asserisce di averlo chiamato così
perché sperava in una sua morte
prematura.
Il
nome
dell’odio.
Era
una giornata come un’altra.
Il tempo pareva destinato a fermarsi per quanto
scorrevano lenti i minuti. Nell’immobile silenzio del luogo
la sua anima sembrava
un paradosso. Eppure mai aveva trovato un paesaggio che tanto gli fosse
simile:
un’immensa distesa di detriti dai quali si levano al cielo
miasmi tossici.
Quelli erano gli scarti del più puro dei regni, i resti di una guerra immortale che
le alte
cariche combattevano da prima che l’essere umano vedesse la
luce.
E lì giacevano i ricordi: merkavah completamente
distrutte, resti di città devastate dall’onda
distruttrice della guerra. Di
quel cielo, il più vicino al regno di Gehenna, non era
rimasto che uno sbiadito
ricordo.
Era un figlio ingrato e un ragazzo problematico.
Così si divertivano ad apostrofarlo genitori e
professori. Un modo tanto gentile, quanto disgustoso per sottolineare
quanto
inutile e dannoso fosse per la società.
Suo padre lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Per questo gli aveva dato quel nome: Yue.
Il nome di un bimbo che non sarebbe dovuto nascere, il
nome da incidere su una lapide bianca.
Kato
odiava il suo nome, quasi quanto odiava la sua
famiglia.
Solo lei aveva
saputo volergli bene. Sua sorella Sae lo aveva sempre, in qualche modo,
difeso
dalle ire del padre.
Era un uomo tradito
che ogni volta nel volto del figlio rivedeva
l’empio e folle tradimento
perpetrato dalla moglie. Eppure sua sorella non la pensava
così, Kato avrebbe
persino potuto azzardarsi a dire che per lui lei provasse una qualche
forma di
amore.
E lui cosa aveva fatto? L’aveva odiata con tutto il suo cuore
tentato di violentarla il giorno precedente alle sue nozze.
Era vero quello che dicevano di lui, era un dannato
mostro.
Eppure, nonostante ciò, lei continuava a rimanere
costante nel suo amore per lui. Glielo aveva mostrato Setsuna quel
giorno
nell’Ades. Sua sorella ancora custodiva il suo cuore in un
portagioie in
frantumi, simbolo del loro legame impalpabile ed eterno.
Sae era l’unica che mai avesse creduto in lui e
che ancora continuasse a ricordarlo dopo la morte.
Love
is not a victory
march
It's a cold and it's a broken Hallelujah
Una
fitta di dolore gli attraversò il braccio. Ormai il
corpo che Uriel gli aveva donato stava marcendo. Era
venuto il
tempo di agire. Non aveva mai desiderato la gloria eterna,
ma
neppure era disposto ad abbandonare la sua anima
all’incoscienza così
facilmente. C’era ancora un’ultima cosa che doveva
fare prima di congedarsi.
“Intanto
prendi questo, dovrebbe bastarti come acconto”
Kato gettò malamente un arto, infagottato in un panno di
lana, sul banco dello scienziato.
Il piccoletto si limitò solamente ad alzare lo sguardo
dal proprio lavoro per rivolgergli un’occhiata interrogativa.
“Quando tutto sarà finito potrai avere il mio
corpo, come
promesso. Ma, per il momento, mi serve.”
Lo sguardo di Kato non ammetteva repliche, profondo e
sicuro. Una splendida maschera per contenere il lancinante dolore e lo
smarrimento che provava in quel momento.
Lentamente stava perdendo la consapevolezza di tutto. Per
questo tentava di aggrapparsi il più possibile ai pochi
punti fermi che
possedeva. Se avesse continuato ad aspettare avrebbe finito per
dimenticare
ogni cosa.
“Non me ne faccio nulla di un pezzo di carne da
macello”
sussurrò severamente Ruiet.
“Non mi aiuterai?”
L’arcangelo sospirò, appoggiando definitivamente
sul
tavolo i ferri del mestiere.
Poi fissò i suoi occhi grandi e penetranti in quelli di
Kato. Per quanto piccolo fosse quel marmocchio, quando voleva, sapeva
apparire
più severo di un padre.
“Non ho
detto questo.”
There was a time you let me know
What's real and going on below
But now you never show it to me, do you?
Stava
dimenticando tutto. A stento riusciva a mantenere
le sembianze del suo volto umano.
Ormai non era che una vecchia marionetta rotta che
ancora, negli ultimi spasmi di agonia, tenta di trascinarsi avanti.
Tutto per
uno scopo quanto mai lontano e irraggiungibile. Anche lei voleva
sentire di
nuovo gli appalusi.
Per lui applausi non ce ne sarebbero stati, e neppure
lacrime di commiato.
Allora perché andare avanti? Non lo sapeva. Era la sua
anima che continuava a seguire la via che aveva imboccato. Vide mille
volti ma
non ne riconobbe neppure uno. Tutto era bianco nella sua mente. Non
c’era più
giusto o sbagliato, amici o nemici, tutto era diventato pallido e
amorfo.
Non gli era mai piaciuto il bianco. Era troppo puro e lui
non lo era mai stato.
O almeno così gli sussurrava una vocina morente da
qualche parte in quell’immensità.
Sapeva che la fine stava arrivando. Non c’era più
modo di
tornare indietro.
“Io vado.” Urlò vedendo il portellone
della merkavah che
si apriva di fronte ai suoi occhi. Avrebbe aiutato il Salvatore per
quell’ultima volta.
Un verso indistinto di disapprovazione si levò dalla
poltrona di pilotaggio dell’immensa macchina da guerra.
Pareva suonare come un
“andrai a farti ammazzare,
cretino”.
Rilassò le labbra in sorriso sincero, fino
all’ultimo
Ruiet avrebbe continuato a trattarlo come uno sciocco idealista.
Curioso come, la
prima volta che faceva qualcosa di buono e disinteressato, ormai di
ideali
nella sua mente vuota non ne avesse praticamente più.
“Prenditi cura di lui, Fifì!”
urlò all’androide che
rispose con un metallico bip di
assenso.
Per quanto intelligente potesse essere, Ruiet rimaneva
pur sempre un bimbo capriccioso e testardo.
Quasi quanto lui. Per questo gli piaceva divertirsi a
torturarlo.
“So badare a me stesso, e ora vattene prima che le
uniformi bianche ci scoprano!” non si era neppure voltato a
guardarlo.
Kato continuò imperterrito a sorridere avvicinandosi al
portellone.
“Grazie di tutto, moccioso”
Si imporporarono le guance del bimbo, lacrime gli
rigarono il volto, eppure parlò nascondendo il tutto.
“Vattene, prima che cambi idea.” Mai più
di adesso
avrebbe voluto fermarlo e ordinargli di tornare indietro, rievocando le
clausole di un contratto di cui non importava più a
nessuno dei due.
Ma
non lo fece mai.
E Kato scomparve abbracciato dalla calda luce
dell’Aziluth.
Non lo
rivide più.
Maybe
there's a God
above
And all I ever learned from love
Was how to shoot at someone who outdrew you.
Yue
Kato.
Yue Kato.
Odiava
il modo in cui queste due parole suonavano, odiava
un lontano abominino di famiglia e, ancor di più, odiava
quegli assillanti
compagni di viaggio (ammesso che ne avesse avuti).
Li odiava tutti. Oppure, per quanto ne sapeva, poteva
anche amarli.
Se ne stava seduto, inondato dalla bellissima luce della
cometa e della sua via non ricordava assolutamente nulla. Perfino i
pallidi
ricordi che tanto aveva rincorso adesso erano svaniti, lasciando il
posto a una
lontana consapevolezza di aver in qualche modo vissuto. Di essere stato
qualcuno, anche solo per un secondo.
Presto avrebbe dimenticato anche questo.
C’era solo quel nome che tornava insistentemente a
martellargli il cervello.
Era un nome stupido che probabilmente apparteneva ad una
persona inutile ed insignificante.
Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare
dove lo avesse sentito, né, tantomeno a chi appartenesse.
Yue Kato.
Perfetto per una lapide vuota.
It's
not a cry you can
hear at night
It's not somebody who's seen the light
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah.