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Autore: Claire Piece    06/04/2012    4 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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                          Crostata alla marmellata di fragole


Una settimana, era passata solo una settimana e non c’era stata una sola volta in cui non avessi voluto rivedere quella sagoma, quel ragazzo strano.
Definirlo strano non basta, aveva dell’altro, molto di più, forse la definizione più giusta sarebbe diverso, ma probabilmente nemmeno questo è il termine giusto. Fatto sta che non riuscivo a togliermelo dalla testa dal giorno in cui eravamo rimasti a fissarci insistentemente a scuola.
Volevo riprovare quelle sensazioni confuse, ingannevoli ma allo stesso tempo vere. Credo che l’unica cosa che volessi era rivederlo e sentirmi allo stesso modo impaurita e attratta.
Dopo l’unico e vero confronto diretto di sguardi, non avevo avuto più occasione di incontrarlo o forse sarebbe meglio dire che non si era fatto più vivo nel mio quartiere. Guardavo ogni giorno se fosse passato per dei lavori a casa del signor Morrison, poi finivo per osservare davanti al marciapiede della casa della signora Rosemary. Ma niente, si era dileguato. Sparito.
La cosa che non mi aspettavo fu che la delusione si rivelò cocente. Possibile che quel ragazzo mi avesse coinvolto a quel modo? Fino a quel punto?
Non riuscivo a capacitarmene, pensai perfino di chiamare la pizzeria dove io e Jesse avevamo ordinato la pizza a domicilio, ma rinunciai, mi sentivo già fin troppo idiota.
“Allora? Hai finito di osservare il vuoto?” Sbottò Jesse mentre era intenta a staccarsi dalla cannuccia del suo frappè alla vaniglia.
“Non sto osservando il vuoto. Sto pensando.” Dissi con espressione seria ma con voce divertita.
Era l’undici di Luglio e faceva un caldo assurdo, così io e Jesse decidemmo di andare al parco a prendere del fresco. Andammo verso le sei del pomeriggio, l’ora più accettabile per sopportare il caldo e il sole mentre si cammina per la strada.
Io mi ero accomodata sulla panchina ma non sedevo normalmente come Jesse, mi ero adagiata sulla spalliera, poggiando i piedi sul legno della base per sedersi. Tenevo in mano il mio frappè al cioccolato ma non ero molto invogliata a volerlo finire.
Lo stomaco mi si chiudeva al solo ricordo dell’episodio degli sguardi.
“Quindi hai deciso. Finiti gli esami del diploma ti iscriverai alla Università della California. Ti rendi conto che anche se sarai a Los Angeles sarà come se non lo fossi?” Poi mi imbronciai e continuai sbottando “Westwood! Ti rendi conto?!”
Ero malinconica perché la mia Jesse se ne sarebbe andata all’università e non ci saremmo viste per un po’, magari ancora meno di quanto ci saremmo aspettate.
“Leo. Westwood è dietro l’angolo. Ci è praticamente attaccata!” Jesse rispose calma, iniziando a ridacchiare e poi ricominciando a sorseggiare il suo frappè dalla cannuccia.
“Lo so…” Dissi seguitando a tenere il broncio “ Ma non ci vedremo spesso. Chi mi aiuterà con la matematica? Io odio la matematica!” Presi a trangugiare anch’io il mio frappè ma in modo meccanico e svogliato.
“Allora sei mia amica solo perché ti aiuto con la matematica.” Disse Jesse sorridendo.
“Smettila, lo sai che non è per quello.” Iniziai a ridacchiare anch’io.
“Comunque non ti preoccupare, inizio a Settembre, non domani. Poi nei weekend in cui non avrò da studiare e magari tu non avrai il solito impegno con tuo padre, ci potremo vedere. Forse anche nel mezzo della settimana. Quindi smettila di frignare.” Jesse mi guardò addolcita e poi cambiò argomento per non continuare a intristirci più di quanto già non fossimo “ Ma non lo finisci il tuo frappè? E’ un po’ che lo sorseggi senza voglia.”
Mi alzai dalla panchina, scesi con un saltello e andai a buttare nel cestino, davanti la nostra postazione, il bicchiere plastificato ancora mezzo pieno. “Non mi va più. E poi il cioccolato non mi piace come gusto.”
“Scusa, ma allora perché non lo hai preso alla fragola? Ti piace molto di più.” Jesse si alzò scansandosi dal petto le lunghe trecce bionde e mi raggiunse al cestino per buttare il suo bicchiere vuoto.
“L’ho preso al cioccolato perché stasera la mamma mi aveva promesso di farmi la crostata alla marmellata di fragole. Quindi per non togliermi il gusto ho preso un frappè diverso.” Dissi con un tono infantile, abbassando gli occhi sui miei sandali e iniziando a giocherellare muovendo gli alluci.
“Ah, beh! Un’occasione importante direi.” Jesse provò a trattenere una risata ma scoppiò vedendomi fare la bambina e continuò “ Che ne dici di tornare dalla mamma? Sono le sette e io sarei già in ritardo per cena, i miei mi sbraneranno quando torno a casa.” Disse Jesse osservando distrattamente l’orologio al polso e prese la borsa che aveva lasciato sulla panchina.
Io mi limitai ad annuire serena e a seguirla.
Il cielo stava imbrunendo, sentivo, camminando e guardandomi attorno, le sensazioni di tranquillità e pace del crepuscolo. La leggera aria serale mi dava un senso di benessere. Jesse mi accompagnò fino a casa, mi salutò con un abbraccio da strangolamento e poi si diresse verso la metro.
Mentre attraversavo il vialetto di casa non riuscivo a togliermi il sorriso dalla faccia. Come avrei fatto senza di lei nei mesi a venire?!
Aprii la porta di casa e sentii il vociare di mia madre che stava parlando con qualcuno, forse qualche nostra vicina. A volte la signora Rolland era avvezza venirci a fare visita e ci portava spesso e volentieri dei muffin ai mirtilli, venendoci a raccontare tutti i fatti che capitavano a lei e a tutto il vicinato ogni santo giorno.
Ma la voce che sentivo non era di una donna o di una signora matura, era maschile e non era quella di mio padre.
Percorsi il piccolo corridoio che portava alla cucina, lentamente, restando in ascolto, ma non delle parole che si scambiavano. Ascoltavo solo il suono della voce virile.
Una voce familiare, l’avevo già sentita, sembrava essere chiara ma nascondeva una profondità e una sensualità disumane. Stava parlando di sciocchezze con mia madre, ma era tremendamente attraente, non potevo fare a meno di starla a sentire. Una voce del genere avrebbe fatto tornare l’udito a chiunque.
Arrivai quasi titubante sulla porta della cucina, poggiai la mano sull’architrave e rimasi di stucco.
I capelli neri spettinati, informi. Una frangia scompigliata copriva gli occhi che erano di un colore indefinito, somigliava al castano ma erano filtrati da qualcosa che non li faceva apparire autentici, forse delle lenti a contatto scurissime. Uno sguardo pungente ma allo stesso tempo intelligente. Il viso allungato e il mento levigato, tondo. Il naso perfetto, dritto e la bocca era l’anima del suo volto, lei rendeva vivo il suo viso. Le labbra erano rosee, morbide al solo guardarle, il labbro superiore non era né troppo sottile né troppo carnoso, ma aveva la proprietà di farlo apparire provocatorio al solo guardarlo.
Alto e snello, nascondeva una leggera muscolatura sotto la maglia nera a maniche lunghe che indossava. Dei jeans azzurro spento e larghissimi gli cadevano su delle scarpe da ginnastica bianche e logore.
Riportai il mio sguardo sulla sua faccia e quando aprì la bocca in un sorriso non ebbi dubbi, lo riconobbi. Lui, il ragazzo tutto fare, l’individuo mescolatosi ai curiosi del vicinato, il ragazzo degli sguardi a scuola.
Ero ancora incredula e rimanevo immobile, non riuscivo a dire nulla, avevo le labbra serrate.
“Tesoro! Sei arrivata! Ero in difficoltà qui davanti casa con la chiusura della portiera della macchina e il tuo amico Beyond si è offerto di aiutarmi. E’ stato davvero gentile, non trovi?”
Amico?! Aveva detto a mia madre di essere un mio amico.
La cosa mi fece piacere e paura insieme, ma mi limitai a reggere quel gioco, altrimenti la mamma avrebbe avuto un attacco di panico in diretta.
Mi tolsi l’espressione sorpresa dalla faccia e sorrisi nervosamente “Oh! Sì. Beyond. Beh, lui ci sa fare con queste cose.” Il mio tono era incerto, soprattutto pronunciando il suo nome e lo guardai con curiosità. Era un elemento nuovo nella mia casa, in quella stanza, nella mia cucina.
Spiccava come un colore sgargiante su un foglio bianco e immacolato.
“Sei troppo buona Leonor.” Disse con tono rilassato il mio gradito e sconosciuto intruso, che da uno sguardo basso sollevò gli occhi su di me.
Mi fece talmente piacere sentir pronunciare il mio nome dalle sue labbra, che non pensai minimamente al particolare che non ci fossimo mai presentati.
Rimanemmo a scrutarci fissi, fermi e prima che potesse sopraggiungere il retro gusto del leggero timore di quel momento, come era successo una settimana prima, la mamma ci interruppe.
“Leonor, ho appena tirato fuori dal forno la crostata alla marmellata di fragole. Vogliamo mangiarla? Beyond ne vuoi? Vuoi unirti a noi? Sai, di solito le nostre cene sono così insolite. A volte io e Leo ceniamo anche con il gelato.” La mamma rise, era euforica e soddisfatta perché la crostata le era venuta bellissima. La vidi alle sue spalle, poggiata sopra i fornelli, l’impasto si era dorato e il rosso della marmellata spiccava come non mai.
“Certo signora Summers, ne gradirei davvero un pezzo.” Mentre mia madre si voltò per prendere il coltello da cucina per tagliare la crostata, lui fece di nuovo piombare il suo sguardo su di me, ma questa volta non era come i precedenti. Era acuminato, la sua bocca fece un ghigno di piacere, la sua faccia era mutata in un’espressione lasciva e terrificante.
Mi sbigottì, ma controllai la mia reazione, se avessi perso il controllo con un qualsiasi gesto d’ansia e panico, la mamma si sarebbe insospettita sul fatto che non lo conoscessi davvero quel ragazzo.
Mia madre si voltò con in mano la crostata e il coltello, li poggiò entrambi sul ripiano in marmo.
Non so perché ma ebbi il desiderio di prendere il coltello e gettarlo da qualche parte, il più lontano possibile.
“Prego, accomodati Beyond.” Disse con tono cordiale mia madre indicando con la mano lo sgabello che si trovava davanti a Beyond. Lui nel frattempo aveva cambiato espressione, tornando pacato in modo fulmineo , si sedette e poggiò entrambe le mani sul ripiano.
Mani affusolate ma da uomo, le nocche sporgevano virili, le amai all’istante.
“Oh! Che sbadata, ho scordato di prendere i piatti. Tesoro, io vado a prenderli di là in salotto. Tu nel frattempo prendi le forchette, i bicchieri e il latte in frigo. Torno subito.” La mamma si allontanò tutta sorridente.
Io ero disorientata, non sapevo che pensare, quel cambio d’espressione era stato destabilizzante, agghiacciante. Presi a muovermi nella cucina cercando di apparire normale ai suoi occhi. Presi il latte dal frigo e lo poggiai sul ripiano di marmo proprio davanti a lui. Presi le forchette nel cassetto, i bicchieri dallo sportello sopra il lavabo, ma non mi abbandonava quella sensazione raccapricciante.
Lo sentivo guardarmi anche se non portai una sola volta i miei occhi su di lui.
Non riuscivo a capire perché quella sensazione fosse così bella e spaventosa, ancora di più non capivo perché la volessi così tanto.
Mi voltai per tornare di nuovo al ripiano e trovai il nero della sua maglia nei miei occhi.
Sbarrò la mia visuale mettendomisi davanti.
Sussultai, alzai lentamente gli occhi sul suo viso. Aveva lo stesso sorriso beffardo e angosciante di pochi istanti prima, i suoi occhi erano freddi. Riuscirli a vedere così da vicino fu in qualche modo esaltante. Erano mascherati da delle lenti scure, come avevo intuito poco prima, ma riuscivo a percepire una corposa sfumatura castana, eppure non era castana.
Allungò la mano sul ripiano in alluminio del lavello e prese i bicchieri. “Non puoi riuscire a portare sia le forchette che i bicchieri. Questi li prendo io.” Disse basso e intenso.
“Grazie.” Quasi lo sospirai, non so se per sollievo o se per l’improvvisa sua comparsa davanti ai miei occhi.
Mi scostai e raggiunsi il piano in marmo e iniziai a disporre le forchette sui tovaglioli che erano stati messi lì in precedenza dalla mamma. Lui nel frattempo iniziò a sistemare i bicchieri, ma non mi mollava un secondo con gli occhi, sembrava volermi mangiare.
“Eccomi qua. Piatti presi! Possiamo cominciare.” La mamma irruppe in cucina dissolvendo quell’atmosfera meravigliosamente soffocante.
Tagliammo la crostata e iniziammo a mangiare, se posso definire il mio piluccare mangiare.
Alternavo continui sorsi dal mio bicchiere colmo di latte, a piccoli bocconi. La mia bocca non riusciva a masticare. In quel momento, qualunque cosa avessi messo tra i denti mi sarebbe sembrato sempre e comunque cemento.
Eppure io adoro la crostata alla marmellata di fragole!
“Leonor tesoro, tutto bene? Non è buona?” Disse la mamma preoccupata.
Di solito io sbrano quella pietanza e il vedermi comportare in quel modo la fece pensare.
Non feci in tempo a rispondere che Beyond mi anticipò “No, signora Summers, al contrario è buonissima. Forse Leonor non ha semplicemente fame.” Guardò la mamma sorridente e poi me in maniera penetrante. Ebbi un fremito.
“Beh, effettivamente prima al parco con Jesse ho bevuto un frappè al cioccolato, ma non ho finito nemmeno quello. Oggi probabilmente non ho fame. Scusami mamma, è buonissima, davvero. La finisco non ti preoccupare.” Dissi con tono desolato mentre abbassavo gli occhi sulla mia fetta di crostata.
“Ma come sei brava Leonor.” Beyond mi canzonò e poi si portò alla bocca l’ultimo pezzo di crostata rimastogli nel piatto. Poi con tono sfacciatamente educato e adulatore chiese “Ne potrei avere un altro pezzo?”
“Certo che puoi averne un altro!” Mia madre iniziò a ridacchiare soddisfatta tagliando e porgendo a Beyond la seconda fetta di crostata. Cominciò a mangiare il secondo pezzo ed ogni volta che la marmellata colava dall’impasto, la raccoglieva col dito indice e se la portava alla bocca.
“Però è un bel nome Leonor.” Esordì poi Beyond dal nulla con tono ironico. “Ed inizia con una ‘L’."Alzò gli occhi su di me con leggero astio e mi lasciò di nuovo turbata.
“Oh, sì. Lo scelsi proprio perché il suono della ‘L’ iniziale è così dolce. Non trovi?” disse la mamma totalmente rilassata.
Ed io la interruppi prima che potesse cominciare a narrare le vicende della mia vita da quando ero nata ad allora. “Oh! Mamma non cominc…” Mi bloccai perché vidi Beyond con il viso basso, pensieroso e sembrava stesse iniziando ad innervosirsi.
Eppure non era stato detto nulla che potesse scatenare una reazione così intensa.
Mi guardai bene dal dirgli qualcosa, intuii che se avessi provato a parlare probabilmente sarebbe scattato come una molla.
Guardai la mamma che parlò “Caro, tutto bene? Qualcosa non va?”
Ero pronta a vederlo esplodere, ma si trattenne con estremo sforzo, riassorbì il tutto e sollevò il volto sorridendo, ma in modo falso e artificioso. Mi osservò e disse “Nulla, tutto bene…mi sono ricordato ora che devo andare. Domani ho un lavoretto che devo fare e devo alzarmi presto.” Scese dallo sgabello e proseguì “Quindi io andrei.” Sorrise di nuovo nervosamente, finto. Poi di nuovo i suoi occhi su di me, questa volta agitati e sfuggevoli. Sembravano nascondere vergogna, ma non per quella situazione che si era creata, ma per qualcos’altro che sapeva solo lui, qualcosa che riguardava solo lui.
“Oh! Beh, scusaci tanto per averti trattenuto Beyond. Leonor accompagnalo alla porta.” Disse la mamma disponibile e sinceramente impensierita.
“No, non si deve scusare. Tutto bene. Grazie e arrivederci signora Summers.” Beyond si voltò veloce e io lo seguii.
Mentre lo accompagnavo all’ingresso avevo il cuore che mi martellava in testa.
Lui era strano e totalmente instabile, ispirava ansietà il solo averlo accanto.
Era vicino. Io ero vicina. Le nostre braccia, ciondolando nel camminare, avrebbero potuto sfiorarsi in qualsiasi momento.
Mi dispiaceva che volesse andare via, ma allo stesso tempo speravo se ne andasse subito.
Il corridoio mi sembrò un tunnel senza fine mentre lo attraversavo con lui.
Quando arrivammo alla porta di casa, mi sembrò di aver raggiunto una meta che non avrei mai voluto raggiungere.
Aprii la porta piano, con calma, non volevo spalancarla. Lui scivolò via senza guardarmi in faccia, senza concedermi la possibilità di guardare in quegli occhi di un colore inesistente.
Il mio atteggiamento non era tranquillo o rilassato come sarei dovuta essere in una normale circostanza, ma era afflitto e demoralizzato.
Avevo bisogno che mi guardasse.
Lui si voltò di sfuggita sfoggiando improvvisamente il suo sorriso provocante, sembrò avermi percepito “Ah! Ciao Leo. A presto.”
Alzai la testa veloce, mi aveva lasciato sorpresa.
Il suo modo di salutarmi non era usale o imposto dal momento. Fu una specie di promessa, una confidenza presa all’improvviso.
Leo, mi aveva chiamato Leo.
Non ebbi nessun fastidio a sentirlo pronunciare dalla sua voce, mi piacque moltissimo.
Avrebbe potuto chiamarmi così all’infinito, in una infinità di modi.



Ciaooo!
Mi sono accorta oggi che devo pubblicare, perché tra sabato e domenica dubito di riuscirci, figuriamoci poi il lunedì di Pasquetta.
Quindi eccomi con questo capitolo, strano. Non so se sono riuscita a creare il giusto equilibrio di sbalzi d’umore di BB.
Più rileggo e meno mi spavento ahahahaahah XD Perdonatemi!
Intanto vi ringrazio comunque in anticipo ;)
Grazie a tutti i lettori silenziosi e non. Grazie a chi recensisce siete la mia linfa vitale! Ahahahaha
Grazie a chi mi inserirà tra le preferite, ricordate e seguite.
Detto questo vi auguro una Buona Pasqua e mangiate tanta cioccolata ^__^.

   
 
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