Capitolo 1
Colori caldi, colori freddi
Il pennello
si muoveva leggero, tracciando curve sinuose e appostandosi delicato nei pochi
spazi bianchi rimasti. Precisione, ci voleva precisione e lei ce l’aveva sempre
messa in tutto. Stavolta, però, la mano ferma sembrava sempre sul punto di
tremare, rovinando per sempre quel lungo velo fatto di mille gradazioni di blu
che stava creando.
In verità,
non sapeva nemmeno lei cosa stava disegnando. Aveva semplicemente chiuso gli
occhi e si era lasciata andare ai suoni, agli odori che la circondavano,
tentando di cogliere qualcosa che le potesse dare una qualche ispirazione. E
infine l’aveva trovata. Nell’aria aveva sentito odore di salsedine, anche se a Radiant Garden non c’era l’ombra del mare nemmeno a
chilometri di distanza; ma lei lo aveva sentito e questo le aveva stuzzicato la
fantasia.
Osservandola
ora quella che dipingeva sembrava una donna, una principessa, magari, coperta
da un lungo velo fatto di mille tonalità di blu. Il volto era una piccola
macchia rosa, seminascosta dal vestito che ricopriva totalmente quel corpo. Lei
la trovava bella, anche se non sapeva chi era.
Fermò la
mano e guardò il suo lavoro. Un sorriso di soddisfazione si dipinse sul suo
volto.
Abitare lì a
Radiant Garden, una piccola città tutta racchiusa su
se stessa e baciata dai raggi del sole, con i suoi prati fatti solo di fiori,
era stata la migliore delle sue scelte: l’aria di questo posto le faceva bene
alla sua vena artistica. Era in questi momenti che notava i risultati.
“Buongiorno,
mia principessa…” sussurrò amorevolmente al suo dipinto, come se stesse
parlando per davvero a un essere vivente.
“Che fai,
adesso ti metti a parlare perfino ai tuoi quadri?” disse una voce beffarda
dietro le sue spalle, una voce che richiamava alla mente i pomeriggi soleggiati
e le braci scoppiettanti.
Lei non si
girò nemmeno, ma allargò ancora di più il suo sorriso. Aveva riconosciuto
subito quella voce.
“Ieri
parlava ai colori, oggi ai quadri. Di cosa ti sorprendi, Lea?” disse sarcastica
l’altra voce, fredda, distante, che faceva pensare alle notti di luna piena.
“Se credete
che io sia pazza, allora perché mi venite a trovare ogni volta?” ribatté lei,
rimettendo a posto il pennello con estrema calma.
Un volto
tondo e due occhi verdi acqua la fissarono da sotto il mento, mentre un sorriso
divertito la riscaldò ancora di più.
“Perché ci
divertiamo a darti fastidio mentre lavori!”
“Piccole
pesti…! Avanti, levati di qui, Rosso
Veneziano, mi ostruisci la visuale!” gridò lei, dando un leggero schiaffo per
togliersi quella testa rossa dagli occhi.
Il ragazzo
soprannominato Rosso Veneziano si allontanò con un agile salto all’indietro e
per poco non travolse il suo compagno, che lo spinse via urlandogli un insulto.
Il secondo arrivato, un ragazzino della stessa età del rosso con corti capelli
azzurri e un paio di occhi di un verde brillante e felini che scrutavano ogni cosa, si
avvicinò silenzioso alla pittrice e si affacciò curioso per vedere la tela.
“Cosa
dipingi oggi?” domandò, mantenendo un volto impassibile, nonostante la
curiosità.
“Una
principessa, mio caro Turchese! Se
osservi bene, da qualche parte nel velo dovrebbe esserci anche la tua tonalità
di capelli”
Il ragazzo
sbatté più volte le palpebre e, a un osservatore più attento come lei lo era,
parve arrossire impercettibilmente. La pittrice sorrise e gli mise una mano fra
i capelli, scompigliandoglieli; Turchese si allontanò infastidito, senza però
allontanare la mano.
“Allora? Non
siete venuti qui solo per vedere una povera pazza che parla ai suoi quadri,
giusto?” li intimò lei, alzandosi in tutta la sua altezza.
Rosso
Veneziano prese la parola, mettendosi sull’attenti.
“Lea e Isa a
rapporto, signora! Nessun nuovo cliente che necessita di un ritratto”
“Oh…”
sospirò delusa lei. C’erano sempre meno clienti di quei tempi.
“Ma…” intimò
Turchese, che corrispondeva al soprannome di Isa.
“Ma non
tutto è perduto! Sono arrivati dei tipi strani qui in città che sembrano
apparsi dal nulla. Due ragazzi, di cui uno della nostra età, e una ragazza.
Sembravano però cercare qualcosa…” disse pensoso Lea.
“E voi li
avete seguiti?” domandò lei.
“Purtroppo
no, non sono arrivati insieme” rispose Isa, incrociando le braccia.
“E allora
cosa fate ancora qui a perdere tempo?! La volete o no questa cena offerta da me
in un ristorante? Bene, se la volete, al momento non ve la posso offrire perché
non ho soldi, ma se riesco a vedere qualcosa a questi turisti avrete la vostra
ricompensa per la ricerca di miei possibili clienti! Soldi uguale cena. Niente
soldi, niente cena di lusso. Chiaro?”
Questo
discorso fece brillare di desiderio gli occhi dei due ragazzi. Lea le rivolse
un sorriso furbo e fece per partire a guadagnarsi il suo meritato compenso,
quando fu fermato per il colletto dal suo amico.
“Fermo lì,
Rosso Veneziano” lo canzonò Isa.
“Che vuoi,
Turchese?”
“Chi
dobbiamo intrattenere?” si rivolse alla pittrice, come un subordinato si
rivolgerebbe al proprio capo.
“Dunque… Io
mi occuperò della ragazza, è possibile che sia più propensa a farsi ritrarre
rispetto agli altri due…”
Vanità femminile… La conosco bene.
“Pensate al
ragazzino, tenetelo occupato finché non arrivo! E se va via, correte da me a
dirmi dove si è diretto”
“E l’altro?”
domandò Lea.
La pittrice
si fermò a riflettere, colta alla sprovvista dalla domanda. Non ce l’avrebbe
mai fatta a fare un ritratto a tutti e tre, quindi uno lo doveva sacrificare…
“Pazienza!
Se ce la farò, un ritratto potrà averlo anche lui. Adesso, sparite dalla mia
vista, funghetti!” ordinò con un gesto imperioso, mentre si voltava per
rimettere a posto la sua attrezzatura.
Con la coda
dell’occhio vide i due ragazzi – che considerava quasi come suoi fratelli o,
addirittura, come figli – tornare nella direzione da cui erano venuti. Entrambi
riuscirono però a gridare poco prima di scomparire un augurio.
“Buona
fortuna, Cassia!”
Cassia
dentro di sé sorrise di nuovo, sorprendendosi del fatto che potesse ancora
riuscirci, come si sorprendeva ogni volta che scopriva di voler sempre più bene
a quei due ragazzini. Si chiese se la sua fosse solo ipocrisia, ma accantonò
subito questo fastidioso pensiero. Da quando abitava qui aveva iniziato la sua
nuova vita, lontana dai ricordi e dalle immagini di quella notte, di molti anni
fa…
Piccole ombre scure.
Occhi gialli che la fissavano.
Una sagoma scura, alta, vicino
all’impermeabile color cappuccino.
Un cuore disegnato sull’asfalto, il tubetto
di sangria aperto.
E un nome.
“Adesso
basta” si disse, cancellando ogni traccia di quelle immagini che richiamavano
solo ricordi spiacevoli. Aveva già passato la fase in cui disegnava solo
quelle, non intendeva ripeterla.
Prese la
valigetta di colori, la tela della principessa, il cavalletto e poi si
allontanò anche lei per dirigersi a casa a prendere tre nuove tele. Si portò
una mano al petto, dove doveva esserci il cuore.
Niente,
neppure un battito. Solo silenzio.
Cassia
sospirò, ma continuò ad avanzare con la sua solita andatura sicura per quelle
strade che aveva imparato a conoscere e ad amare. Lea e Isa – un misto di
colori caldi e freddi in grado di riscaldarla, rinfrescarla e donarle quelle
sfumature tanto amate – la stavano aspettando. E perfino i soldi.
Forza, è ora di andare a lavorare, papà…
Spazio dell’autrice:
Ecco subito
il capitolo uno, l’inizio di tutto… Che carini Lea e Isa quando ancora non sono
dei Nessuno *-* e Cassia, beh, il suo carattere verrà definito in seguito,
capitolo per capitolo, passo per passo… Soprattutto grazie anche a una certa
persona. Mi ha sempre attirato il lavoro di un pittore e chissà perché l’ho
sempre associato a una carriera maledetta, forse per colpa dei romanzi di
Carlos Ruiz Zafon che mi
hanno influenzato molto anche a scrivere questa storia. Vabbè, spero di avervi
incuriosito con questo capitolo, vi aspetto al prossimo!
See
you again!