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Autore: Serith    10/04/2012    2 recensioni
Raphael, gli intrighi dell'alta società francese, la fuga in Romania, un unico obiettivo: la Soul Edge. La sua vita è come una parabola: è ascendente... ma anche discendente.
5. Congiure: Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. Madre?

 

Era una magnifica giornata, temperata e luminosa; decisamente troppo bella per i suoi gusti, considerato che non poteva godersela. Raphael si stropicciò gli occhi stanchi, posando per un momento la testa sopra le pagine intiepidite dal sole del suo libro di matematica. Non era una lettura semplice. Se il suo precettore fosse stato lì con lui avrebbe capito di più e più in fretta, ma non era un problema. Preferiva fare le cose da solo. L’unico inconveniente era che con molta probabilità avrebbe passato tutto il pomeriggio lì sullo scrittoio, quando il suo unico desiderio sarebbe stato quello di uscire per cavalcare un po’ sul suo cavallino. Non era giusto. Non poteva nemmeno sperare d’ingannare suo padre, dato che era lui a costringerlo a quella noiosa routine. Non che fosse molto presente nella sua vita, sebbene vivessero entrambi nella stessa casa; ma aveva di tanto di tanto il vizio d’interrogarlo per rassicurarsi che avesse studiato seriamente.

Albèric non era tipo da usare punizioni corporali, ma sapeva bene come farsi rispettare.

Il bambino non era sicuro dei sentimenti che aveva nei suoi confronti. Era un padre spesso assente, ma a suo modo invadente. Non era generoso nell’elogiare lodi, ma quando lo faceva rimarcava spesso la sua intelligenza, sollecitandolo quindi a parlare della situazione della famiglia, della sua posizione e dell’importanza di ostentare il proprio rango nobile, cosa che purtroppo loro non potevano fare perché erano caduti in disgrazia. Raphael capiva i suoi discorsi, ma avendo solo sette anni non riusciva a capirne le implicazioni. Allora suo padre con pazienza glieli spiegava, facendolo sentire fiero di essere nobile, ma anche in ansia per essere in una situazione precaria. Quando le sue osservazioni si rivelavano particolarmente acute per la sua età gli arruffava affettuosamente i capelli chiari, con gli occhi pieni d’orgoglio. Raphael si sentiva soddisfatto, ma mai del tutto.

Era qualcosa nel modo in cui lo guardava suo padre… anche quando si addolciva –sempre in modo discreto, mai troppo esplicito-, sembrava in qualche modo pensieroso, anche se il suo sguardo faceva intendere che era presente.

Raphael si ridestò dai suoi pensieri. Era entrato in una fase di piacevole sonnolenza, stimolato dal rilassante  tepore del sole pomeridiano. Non che le materie dei suoi studi non gl’interessassero: aveva dimostrato spesso di essere un bambino attento e ricettivo. Il problema era il lento e regolare scorrere noioso delle sue giornate, scandite da orari precisi che lui doveva rispettare, qualunque fosse il suo umore, che fosse stanco oppure no.

Per fortuna almeno oggi avrebbe fatto qualcosa di nuovo.

-E’ importante per quelli del nostro rango conoscere un’arte nobile come la scherma, - aveva detto suo padre quella mattina –essa può risolvere le dispute, è un mezzo di difesa, ed in più è un ottimo esercizio.-

Raphael aveva una certezza: se era così importante per Albèric, che aveva la reputazione di essere un bravissimo spadaccino, allora si sarebbe impegnato al massimo per superarlo.

 

In segreto e quasi con vergogna, Hèloise osservava suo figlio attraverso uno spiraglio della porta.

Era un atto vile e meschino, degno di un qualsiasi furfante… ma non poteva farne a meno. Ogni giorno alla stessa ora si avvicinava silenziosamente alla sua stanza, socchiudeva l’entrata ed osservava la sua schiena piegata sui libri, dilaniata dal senso di colpa.

Era diventato un rituale, qualcosa da cui aveva dipendenza. Osservare suo figlio, esserci per lui anche se a sua insaputa era un modo per rassicurarsi che in fondo lo amava, anche se a modo suo.

Hèloise non aveva mai compreso, o forse non aveva mai voluto comprendere quello che provava nei suoi confronti.

Sapeva, nel profondo del cuore, di non sentirsi una madre per nessuno dei suoi figli. Finchè si fosse trattato solo di Raphael, avrebbe potuto costruirsi una fitta rete di giustificazioni che l’avrebbero messa al sicuro dalla vera se stessa; l’illusione dell’inesperienza l’avrebbe protetta da un doloroso esame di coscienza.

Dal giorno della scoperta della gravidanza fino a pochi mesi dopo il parto era stato effettivamente così. Era giovane, si era detta. Era la sua prima esperienza di maternità. Probabilmente l’amore sarebbe arrivato col tempo, quando avrebbe compreso la gioia di quell’atto precluso agli uomini.

Hèloise aveva sempre pensato all’istinto materno come appunto, ad un istinto. Una cosa primordiale ed insopprimibile, che viene non appena una donna posa gli occhi sul viso di suo figlio. Se non avviene in quel momento, allora è inevitabile nella suzione, quando la madre dona qualcosa di se stessa al bambino.

Per lei non era stato così. Non lo aveva amato sin dal primo giorno, ne lo avrebbe mai amato come meritava in quel momento. Non riusciva ad abbracciarlo, a confortarlo, ne tantomeno ad essere gentile. La sua vicinanza le metteva addosso un nervosismo che col tempo era diventato peggiore di quello che le metteva suo marito – quell’essere meschino che con quel sorriso viscido riusciva a manipolare lei e i suoi figli; ma un giorno gliel’avrebbe fatta pagare…-.

Con Raphael era stata un fallimento di madre, ma si era convinta che con il figlio successivo tutto si sarebbe sistemato. Già pronta all’esperienza della gravidanza e del parto, avrebbe finalmente capito la gioia della maternità, ed allora avrebbe amato entrambi i suoi figli.

Dopo circa un anno e mezzo dalla prima gestazione era nato Ghislain. Non era cambiato nulla.

Hèloise si toccò pensosamente il ventre. Aveva detestato il suo primo figlio, ed infine dopo vane speranze aveva fatto lo stesso con il secondo. Cosa sarebbe mai potuto cambiare con il terzo? Il suo destino era quello di fabbricare eredi a suo marito, come una macchina.

In cuor suo però sperava che fosse una femmina. Albèric non le avrebbe messo addosso i suoi occhi di falco, non gliel’avrebbe allontanata come aveva fatto con i suoi altri due bambini. Per una volta non l’avrebbe fatta sentire inutile e meschina, costretta a bassezze come spiarli da una fessura pur di sentirsi vicina a loro. Finalmente si sarebbe sentita una madre… non una sciocca oca frustrata e pettegola.

Era quella la figura che faceva nei confronti di Raphael. Non tanto di Ghislain, che si era trincerato in un doloroso rifiuto fatto di silenzio e di occhiate ostili, troppo adulte per un bambino di soli 5 anni.

Ma Raphael… Raphael sembrava un Albèric in miniatura. Gli somigliava tantissimo, con quei capelli biondi e gli occhi azzurri – no, infine non avevano cambiato colore, come aveva sperato quando l’aveva preso in braccio per la prima volta -, ed ultimo ma non per importanza… il carattere.

Era totalmente indifferente alla sua presenza, come se fosse un soprammobile grazioso, ma comunque inutile.

In quel tipo di occasioni, le uniche cose che le riuscivano bene era rimproverarlo, oppure ignorarlo a sua volta. Se avesse potuto, il nervosismo e lo stress l’avrebbero portata a sgridarlo perché respirava, e quindi perché esisteva. Senza mai perdere il controllo, però; non si addiceva ad una donna d’alto rango. L’unico modo in cui le era concesso d’esprimere il suo fastidio era fulminandolo con lo sguardo per un momento, prima di sbattere più volte le ciglia ed il ventaglio e di starnazzare esasperata: -Per cortesia, smetteresti d’infastidire tua madre?! Fila!

Oppure, nel caso di ospiti in casa: -Mio caro, non ti abbiamo per caso insegnato a non dare fastidio ai grandi, se non richiesto?-breve pausa scenica, seguita da un cinguettante –i giovani d’oggi- a cui le sue amiche di pettegolezzo avrebbero risposto con un’educata risatina.

Il peggio sarebbe arrivato in quel momento. Raphael l’avrebbe guardata; ed allora, solo per un attimo, avrebbe visto nel suo volto gli occhi di Albèric, freddi e sprezzanti.

Lei ne avrebbe riso con le sue amiche, lamentandosi scherzosamente dell’impudenza di suo figlio; dentro di sé però, sarebbe bruciata di frustrazione.

A quei pensieri, gli occhi di Hèloise si assottigliarono pericolosamente; senza davvero rendersene conto aveva stretto spasmodicamente la presa sulla maniglia della porta.

Odiava tutto e tutti, senza eccezioni. Odiava senza remore Albèric, perché sposandola l’aveva messa in quella situazione. Odiava la sua famiglia, che l’aveva lasciata in balia di un uomo meschino. Odiava la società, che la stringeva in una morsa d’acciaio di buone maniere ed arrendevolezza. Detestava i suoi figli perché non li amava e loro la ignoravano.

Più di tutto, odiava se stessa.

Decise che ne aveva avuto abbastanza. Presto Raphael avrebbe finito di studiare, e con molta probabilità sarebbe andato a giocare fuori. I suoi orari li organizzava Albèric; non aveva un’idea precisa di quello che faceva.

Con lentezza cercò di chiudere la porta, lasciando comunque un piccolo spiraglio. Fece un passo indietro, poi un altro.

Sotto il suo piede una tavola di legno cigolò, mandando in fumo il suo piano di una ritirata silenziosa.

Dalla fessura notò che Raphael aveva rizzato la schiena, pronto a ricevere chiunque entrasse nella sua camera.

Con un sospiro, Helòise aprì la porta.

 

**

Non sono soddisfattissima del capitolo, ma va bè, ormai è fatta. Era ora che aggiornassi. Sono molto incostante, ma andrà avanti. Prevedo che sarà una fiction lunga. Ma la finirò è_é.

   
 
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