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Autore: Nykyo    08/11/2006    7 recensioni
Quale rapporto lega Albus Silente e Severus Piton? Qual è la vera natura di Silente: è solo un abile stratega, un condottiero che muove le sue pedine sulla scacchiera della guerra, o è anche un uomo, capace di paterno affetto? La vicenda dei diciassette anni trascorsi da Piton e Silente, fianco a fianco, raccontata dal punto di vista di chi, come il Preside, ha fiducia in Severus Piton.
Questo racconto ha vinto il primo premio al concorso "Piton e la Giustizia" del Sotterraneo di Piton
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Grazie a Kagome (scrivere il 7° libro mi pare un po’ troppo ^_-) e anche a Mixky per i complimenti e buona lettura a tutti.

 

Nykyo

 

 

2. La maschera del condottiero.

 

 

Nonostante l’età, aveva ancora un ottimo udito, quindi percepì distintamente il rumore della scala di pietra che conduceva al suo studio, quando iniziò a girare su se stessa per condurre a lui un visitatore.

Severus… – una speranza per sé e per la causa, dopo ore ed ore di attesa, trascorse misurando a grandi falcate il cerchio inesorabilmente ristretto della stanza.

Si affrettò alla scrivania. Meglio non mostrare la propria agitazione. Il Professore di Pozioni, se era davvero lui, non l’avrebbe gradito e non era comunque il caso.

Sedette al suo solito posto, e indossò nuovamente la maschera del condottiero, ma si concesse una fulminea occhiata in direzione della porta che si stava aprendo lentamente, mentre afferrava a casaccio il primo oggetto a portata di mano: un libro.

Avrebbe finto di leggere fino all’ultimo istante, anche per poter osservare Piton con maggior agio, mentre si faceva avanti.

Una snella figura scura si staccò dall’ombra densa del vano della porta ed avanzò diritta verso di lui, solo appena più lentamente e rigidamente del solito.

Il Preside lo fissò di sottecchi, ancora chino sul libro, e ricacciò in gola un sospiro di sollievo, fingendo di non vedere quanto provato appariva il volto scarno della sua perfetta spia e quanto il nero dei suoi occhi sembrava essersi fatto ancor più profondo e cupo.

Una spia davvero eccellente, dato che era ancora viva.

Fanny alzò il capo piumato una frazione di secondo prima del vecchio mago, emettendo un breve trillo squillante e gioioso, prima di volare fuori dalla finestra aperta.

Severus era vivo, anche se di sicuro doveva aver pagato il prezzo per essere accorso in ritardo presso il suo padrone di un tempo.

Un prezzo doloroso, a giudicare dalla smorfia contratta che a tratti affiorava a sconvolgergli i lineamenti, per quanto, con tutta evidenza, il mago bruno tentasse di trattenersi.

Ma è vivo!

“Ben tornato Severus” – era tutto ciò che il Preside poteva concedere a se stesso e al suo uomo, perché prima di ogni altra cosa doveva sapere. Conoscere ogni singolo particolare rilevante dell’incontro di Piton con Voldemort, ogni parola pronunciata da chi da troppo tempo minacciava il mondo magico.

E devo sapere, ragazzo mio, cosa ti ha fatto quel pazzo, capire, anche se magari tu non me lo dirai.

Comprendere fino a che punto è a rischio la tua vita, se continueremo con questo pericoloso doppio gioco.

Il mago più giovane non accennò nemmeno a sedersi.

“Ci sono riuscito. Mi ha creduto. L’ho ingannato!” – annunciò, e l’orgoglio che non trapelava dalla voce gli traboccava involontariamente dalle iridi, ora accese di un nuovo fuoco, dopo anni in cui si era sforzato sempre di spegnervi ogni calore, perché nessuno potesse scorgervi il suo animo.

Silente annuì vigorosamente e si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto.

Anche io sono orgoglioso di te, Severus. Estremamente orgoglioso.

“La prima buona notizia di una giornata orribile” – ammise calorosamente – insieme col fatto che sei ancora tutto intero, ragazzo mio.

Poi tornò ad incarnare la causa.

“Raccontami tutto” – domandò, con ben contenuta urgenza.

Piton avrebbe avuto soprattutto bisogno di riposo, ma, ormai, la situazione era tale che ogni minuto ed ora poteva essere fondamentale. Lui doveva sapere.

Severus fece un cenno d’assenso col capo, e iniziò il proprio resoconto.

Parlò con l’usuale misurata calma, senza omettere nulla, tranne ciò che riteneva riguardasse soltanto lui e l’Oscuro Signore: il tormento che Voldemort gli aveva inflitto, mentre ascoltava le menzogne che Piton aveva da qualche tempo in serbo per lui.

Non era affatto necessario che il vecchio sapesse quel che Severus Piton aveva appena finito di sperimentare con successo: che poteva mentire a Lord Voldemort, con le parole e con la mente, anche mentre era sottoposto, più e più volte, alla maledizione cruciatus.

Non è un dato rilevante per la causa, basta che sia io ad esserne consapevole.

Lui sconterà anche questo, se appena mi sarà possibile presentargli il conto.

Sconterà anche questo, sebbene sia il meno tra tutte le cose orribili di cui è responsabile.

Pagherà, soprattutto per le tante vite innocenti spezzate; per i Potter, per Diggory e dopo io penserò alla mia parte, anche io ho colpe che richiedono un saldo, ma prima sarà il Suo turno.

“Non posso affermare che Lui non abbia alcun dubbio sulla mia effettiva lealtà” – concluse, infine, Severus, realistico – “Ma non ha certezze in senso contrario e non è il tipo che rinunci ad un servo dotato delle qualità che io gli ho mostrato anche in passato, a meno che non vi sia costretto. Mi terrà d’occhio e dovrò metterci attenzione ed impegno, molto più che quindici anni fa, però posso dire di aver raggiunto il mio scopo: sono nuovamente nelle sue grazie, almeno per ora. Credo che potrò ricavarne ottime informazioni. Farò in modo di mettere a frutto la mia ritrovata posizione”.

Reciterò a perfezione per ingannarlo, sono anni che mi alleno a fingere.

Il vecchio lo ascoltò con grande attenzione, poi lo congedò con premura, lasciandosi andare ad un altro sorriso, lievemente amaro - perché quella, comunque, non era una giornata gioiosa - ma colmo d’affetto.

 

 

Malgrado fosse molto stanco, Silente non potè riposare quel giorno.

Prima di tutto sbrigò una serie di faccende inerenti l’Ordine e la scuola, dando anche disposizioni riguardo alle opportune manifestazioni di lutto per la prematura scomparsa di Cedric Diggory, dopo di che si preoccupò di far sì che nessuno desse noia a Harry.

Il ragazzo era già abbastanza provato e sofferente senza che tutta la scuola se ne rimanesse imbambolata a fissarlo o gli ponesse dolorose domande sull’accaduto.

Harry ebbe la precedenza su chiunque altro, perché non aveva che quindi anni, o quasi, e, ancora una volta, la sorte aveva voluto metterlo davanti ad una prova fin troppo gravosa e dolorosa per lui. Cosa di cui il Preside era immensamente addolorato.

Ma Silente non aveva scordato il suo più fidato collaboratore.

Pur non perdendo mai di vista i suoi tanti doveri, pensò a Severus Piton per tutta la giornata, preoccupato per le sue condizioni fisiche.

Il Professore di Pozioni non aveva lamentato alcun disturbo, sofferenza o fastidio, al suo ritorno a Hogwarts, ma il Preside lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, anche se Voldemort l’avesse torturato per ore, l’indole schiva e l’orgoglio avrebbero impedito al mago bruno di parlarne o recarsi in infermeria. Severus avrebbe provveduto a se stesso personalmente, il vecchio ne era certo.

Gli aveva concesso l’intero giorno libero, perché potesse riprendere le forze, ma Piton si era comunque presentato al tavolo della cena, mostrandosi severo e cupo come suo solito, ma anche calmo e padrone di sé. Però, non aveva quasi toccato cibo e ogni tanto era parso ancora più rigido del solito, come se stesse compiendo un enorme sforzo per controllarsi.

Da dietro le lenti a mezzaluna Silente aveva sbirciato i suoi movimenti, domandandosi se era solo una sua impressione, oppure realmente le mani del mago più giovane tremavano un poco.

Anche Minerva McGranitt aveva occhieggiato di sottecchi il collega, per poi cercare lo sguardo del Preside, come ad avere conferme.

Ma in quel momento l’alto mago canuto non aveva la possibilità di mostrare la propria preoccupazione. La scuola era ancora sottosopra per la clamorosa notizia – che andava rapidamente spargendosi a macchia d’olio – del ritorno di Voldemort e gli studenti erano anche in subbuglio per la morte del giovane Cedric. Al tavolo di Tassorosso ogni tanto qualcuno scoppiava rumorosamente in singhiozzi e tutti gli studenti, perfino i Serpeverde, bisbigliavano e sembravano guardarsi intorno in cerca di conferme.

Silente era certo che Piton si fosse presentato in Sala Grande proprio per questo: per verificare la situazione e rassicurare almeno gli studenti della sua Casa con la propria presenza.

Naturalmente quei ragazzi erano tutti di famiglie più o meno implicate con Voldemort, in passato e probabilmente tuttora, però anche loro erano disorientati dalla novità che aveva sconvolto tutti, pur se magari per motivi diversi.

 

Piton si era congedato immediatamente dopo la fine del pasto e Silente aveva deciso di andare a dormire, ma non gli era riuscito di prender sonno.

La verità era che continuava a preoccuparsi per la salute del proprio collaboratore. Così decise di andare a dare un’occhiata nei sotterranei.

Trovò ovviamente la porta chiusa e bussò, ma non ottenne risposta.

A volte gli capitava di permettersi di essere indiscreto e sfacciato.

Uno dei vantaggi dell’età e della mia posizione – si disse, mentre, senza la minima esitazione, girava la maniglia ed entrava nella camera da letto di Piton; l’angolino privato del giovane Professore, il suo spazio personale, in cui raramente qualcuno era ammesso.

Il mago bruno era solito sprangare la porta con un incantesimo che teneva fuori tutti gli altri; ma non Silente. Il Preside aveva libero accesso a quelle stanze, anche se, di solito, non entrava mai se non era il loro occupante a dargliene il preventivo permesso.

Comunque, per il vecchio gli incantesimi di protezione erano come inesistenti. Un idea di Piton.

Dal momento che Silente si fidava ciecamente di lui, al pozionista pareva giusto che nulla gli fosse precluso o nascosto.

Tanto per dimostrarmi ulteriormente che la mia fiducia è ben riposta, vero ragazzo mio? E soprattutto per mostrarmi che anche tu ti fidi di me. Immagino sia importante per te farmelo sapere a modo tuo.

Si guardò intorno. La camera era, come al solito, ordinatissima. Severus sembrava immerso nel sonno, giaceva ad occhi chiusi sul letto che non era nemmeno stato disfatto. Il mago ci si era semplicemente sdraiato ancora quasi totalmente vestito. Si era soltanto levato le scarpe e la lunga casacca nera, che era adagiata sulla spalliera della poltrona. Aveva slacciato i tanti laccetti che chiudevano la camicia candida e si era arrotolato in alto la manica sinistra.

Deve aver osservato il Marchio prima di addormentarsi.

Il viso di Silente s’incupì, non gli piaceva che quel simbolo orribile deturpasse il braccio di Piton e non avrebbe saputo dire se era così perché sapeva quanto il suo uomo detestasse quell’emblema dei propri errori, oppure perché lui stesso non riusciva a sopportare l’idea di aver intuito per tempo quale strada Severus avrebbe preso dopo la scuola e non averlo fermato.

Eppure, se tu non portassi quel marchio d’infamia sulla pelle non saresti la mia spia perfetta, ragazzo.

Sospirò profondamente – No, non lo saresti e sarebbe un male per la causa, immagino, però non dovrei preoccuparmi per la tua vita.

Si avvicinò al letto e lo squadrò serio e concentrato. Il mago bruno era pallido, la fronte era imperlata di sudore. Gli parve che tremasse un po’; non solo le mani, come aveva constatato durante la cena, ma tutto il corpo asciutto e spigoloso.

Come pensavo: non stai affatto bene, Severus.

Gli posò delicatamente una mano rugosa sulla fronte, decidendo che non gli importava se l’altro si fosse svegliato. Non era un gesto che Piton avrebbe gradito, dato che non amava il contatto fisico, ma il vecchio voleva controllare di persona se il mago bruno aveva la febbre.

Sì, ce l’hai – constatò, levandogli subito la mano dal viso – Non alta, ma pur sempre febbre. E naturalmente non hai detto nulla e non sei andato in infermeria a domandare aiuto a Poppy.

Notò un paio di ampolline vuote sul comodino.

No, niente infermeria, tu preferisci fare da te, come immaginavo. Non importa, so che i tuoi rimedi non sono meno efficaci di quelli di Poppy, ti rimetterai in sesto.

Però hai finto di stare bene per tutto il tempo che è durata la cena. E’ proprio da te, Severus. Chissà che sforzo c’è voluto per non mostrare altro che quel minimo fremito delle tue mani e tenere a bada tutto il corpo, mostrandoti rigido e compassato come al solito. Eppure hai ingannato tutti gli altri, tranne me e forse Minerva.

Sì, sei proprio la spia perfetta.

I suoi occhi chiari brillarono d’orgoglio per il mago più giovane che era steso sul letto davanti a lui, ma quello sguardo non era un tributo alla spia era un riconoscimento per l’uomo.

“Mi spiace, ragazzo mio, qualunque cosa tu abbia dovuto subire, nella mente, nel cuore e nel corpo, quando ti ho rimandato da Voldemort” – sussurrò dolcemente – “Mi dispiace veramente. Ma sei tornato, sei qui, ancora vivo. E’ un grandissimo sollievo”.

Gli era facile parlare ora che Severus dormiva; dire tutto quel che avrebbe voluto dirgli sin dal principio, ma che aveva dovuto tacere, perché lui era un condottiero e una guerra era in corso, e anche per via del carattere del suo giovane collaboratore.

“Avrei voluto non dovertelo chiedere” – continuò, sempre a voce bassissima – “Ma, anche se non lo avessi fatto, tu saresti comunque voluto andare, non è così? Desidererei solo che fosse più facile. Ho sempre dedicato la mia vita ad un bene superiore, Severus, anche quando Voldemort non era nemmeno nato. C’è sempre stata una causa per me ad assorbirmi totalmente e così non ho mai sentito troppo la mancanza di una famiglia mia, di figli. Del resto, ho sempre guardato ai miei studenti come ad una grande famiglia allargata, ma non ho mai avuto particolari preferenze, fatta eccezione per Hagrid. Poi siete arrivati tu e Harry… un capo, un comandante d’uomini non dovrebbe avere un cuore, ragazzo mio, o rischia di commettere gravi errori. Però, evidentemente, non sono fatto di pietra come i gargloyle di Hogwarts… “.

Fece una pausa, guardandosi nuovamente intorno. La stanza non mancava di rispecchiare la personalità del suo proprietario, ma era così fredda e cupa; perfino il camino rimaneva troppo spesso spento. Era tetra, come se le mancasse qualcosa.

Silente decise che quel che mancava a quello spazio dei sotterranei erano la serenità e l’ottimismo.

Caratteristiche che certo non possono appartenere ad una stanza, che è di per sé inanimata, ma che, tuttavia, sembrano trasmettersi da chi la abita all’ambiente, cosicché chi vi entra può percepirle, come se le respirasse.

Il suo studio era un luogo di quel tipo, come se vi aleggiasse un’atmosfera rassicurante.

Invece, la camera da letto in cui si trovava parlava di incubi notturni, profonda solitudine e dolore.

Alla fine, sono riuscito a tenerti qui, accanto a me, a farti sopravvivere, ma non mi è mai riuscito di ridarti la voglia di vivere. Anzi, io stesso a volte ho dovuto spingerti a sopire il fuoco che covi dentro per modellarti agli occhi del mondo, di modo che tu potessi essere il mio efficace braccio destro; il mio asso nella manica.

Mi dispiace immensamente anche di questo, ma la fiamma non si è mai spenta del tutto e un giorno la guerra finirà. Allora forse ragazzo mio potremo entrambi levarci la maschera. Io potrò mostrarti cosa davvero rappresenti per me e tu potrai lasciar libera la tua luce, così che tutti possano vederla chiaramente come l’ho sempre vista io.

Per ora devo rassegnarmi a guardarti gelare in quest’arido mondo in cui ti sei rifugiato.

“No, decisamente non sono fatto di pietra” – ammise in un soffio, mentre le constatazioni cui era giunto gli opprimevano il petto, come se la stanza stessa gli si stesse richiudendo addosso – “Nemmeno un po’, o non mi sarei affezionato tanto a te e a Harry. Eppure… anche se a volte devo mordermi la lingua per non chiamarti addirittura figliolo, Severus, non posso permettermi di lasciar decidere ai miei sentimenti e quindi nemmeno di esprimerli troppo liberamente. Non sarà l’ultima volta che Voldemort ti farà del male, ci giurerei, ma non ti sottrarrai, né io farò nulla per evitare che accada. Come potrei? Impedendoti di tornare da lui, di fare ciò per cui ti prepari da una vita? Non posso permettermelo. A volte ho perfino pensato che era troppo ingiusto consentirti di far leva sui tuoi rimorsi, e lasciare che i tuoi tormenti ti spingessero ad abbracciare la causa a costo della vita. Ho detto a me stesso che ormai, anche se tu non ritieni che sia così, hai già pagato abbastanza e che l’unica cosa corretta da fare sarebbe mandarti via, lontano, in un luogo nascosto e sicuro, dove lui non riesca a trovarti e nuocerti in nessun modo”.

Si strinse nelle spalle, prima di proseguire con la bocca troppo asciutta – “Non avrebbe senso. Voldemort potrebbe trovarti ugualmente e poi, ragazzo mio, tu sei come me: io e te, se proprio dobbiamo morire, preferiremo farlo combattendo con onore, non come vigliacchi che tentano di sottrarsi al nemico. Non è per noi la fine miserevole dei topi in trappola, ne sono sicuro. Quelli come noi, Severus, raramente muoiono nel proprio letto, ma almeno cadono dignitosamente, adempiendo al dovere, lottando per ciò in cui credono”.

Sorrise, con dolce amarezza – “Ma è tanto più facile pensare alla mia fine, comunque debba presentarsi un domani, che non alla tua o a quella di Harry… siete molto più giovani di me… siete… non importa… finchè potrò vi starò accanto, qualunque cosa succeda. Non voglio pensarci ora. Adesso sei qui, sano e salvo, e domani il dolore, qualunque cosa Voldemort ti abbia fatto, sarà più debole, finchè non passerà e forse ci sarà dato tempo a sufficienza per far sì che io riesca a mostrarti che sei ancora vivo, che hai davvero ancora speranza, che devi smettere di torturarti per il passato. Devi stringere i denti e andare avanti, Severus. Dritto per la tua strada come hai sempre fatto, qualunque cosa dicano di te, qualunque cosa accada. Devi proseguire la lotta. Ma abbi cura di te, ragazzo mio, non buttare via la tua vita per incoscienza. Renderesti un cattivo servigio alla causa se fossi imprudente e io davvero non sono fatto di pietra… non voglio dover piangere per te come hanno dovuto fare i Diggory per il loro Cedric. Bada a te, figliolo e io sarò con te, per tutto il tempo, finchè mi sarà concesso”.

Scordando per un attimo ogni prudenza e l’indole fin troppo riservata del mago bruno, Silente allungò di nuovo una mano e gli sfiorò piano l’avambraccio sinistro, seguendo con i polpastrelli le linee in rilievo del Marchio, in una carezza che era il gesto più paterno che mai si fosse concesso con la sua preziosa spia.

“Lotteremo insieme per farlo sparire” – promise in un sussurro affettuoso, con incrollabile determinazione nelle iridi chiare – “Per farlo svanire davvero questa volta”.

Poi si voltò e lasciò rapido la stanza.

Severus Piton prese fiato, mentre la porta si richiudeva dietro al vecchio.

Ci proverò, Albus. Ce la metterò tutta, te lo prometto. Per la causa e perché, anche se odio doverlo ammettere, nemmeno io sono fatto di pietra.

 

 

 

   
 
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