Grazie a Kagome (scrivere il 7° libro mi pare un po’ troppo ^_-) e anche a Mixky per i complimenti e buona lettura a tutti.
Nykyo
2. La maschera del
condottiero.
Nonostante l’età, aveva
ancora un ottimo udito, quindi percepì distintamente il rumore della scala di
pietra che conduceva al suo studio, quando iniziò a girare su se stessa per
condurre a lui un visitatore.
Severus… – una speranza per sé e per la causa, dopo
ore ed ore di attesa, trascorse misurando a grandi falcate il cerchio
inesorabilmente ristretto della stanza.
Si affrettò alla
scrivania. Meglio non mostrare la propria agitazione. Il Professore di Pozioni,
se era davvero lui, non l’avrebbe gradito e non era comunque il
caso.
Sedette al suo solito
posto, e indossò nuovamente la maschera del condottiero, ma si concesse una
fulminea occhiata in direzione della porta che si stava aprendo lentamente,
mentre afferrava a casaccio il primo oggetto a portata di mano: un libro.
Avrebbe finto di leggere
fino all’ultimo istante, anche per poter osservare Piton con maggior agio,
mentre si faceva avanti.
Una snella figura scura
si staccò dall’ombra densa del vano della porta ed avanzò diritta verso di lui,
solo appena più lentamente e rigidamente del
solito.
Il Preside lo fissò di
sottecchi, ancora chino sul libro, e ricacciò in gola un sospiro di sollievo,
fingendo di non vedere quanto provato appariva il volto scarno della sua
perfetta spia e quanto il nero dei suoi occhi sembrava essersi fatto ancor più
profondo e cupo.
Una spia davvero
eccellente, dato che era ancora viva.
Fanny alzò il capo
piumato una frazione di secondo prima del vecchio mago, emettendo un breve
trillo squillante e gioioso, prima di volare fuori dalla finestra
aperta.
Severus era vivo, anche
se di sicuro doveva aver pagato il prezzo per essere accorso in ritardo presso
il suo padrone di un tempo.
Un prezzo doloroso, a
giudicare dalla smorfia contratta che a tratti affiorava a sconvolgergli i
lineamenti, per quanto, con tutta evidenza, il mago bruno tentasse di
trattenersi.
Ma è
vivo!
“Ben tornato Severus” –
era tutto ciò che il Preside poteva concedere a se stesso e al suo uomo, perché
prima di ogni altra cosa doveva sapere. Conoscere ogni singolo particolare
rilevante dell’incontro di Piton con Voldemort, ogni parola pronunciata da chi
da troppo tempo minacciava il mondo magico.
E devo sapere, ragazzo
mio, cosa ti ha fatto quel pazzo, capire, anche se magari tu non me lo
dirai.
Comprendere fino a che
punto è a rischio la tua vita, se continueremo con questo pericoloso doppio
gioco.
Il mago più giovane non
accennò nemmeno a sedersi.
“Ci sono riuscito. Mi ha
creduto. L’ho ingannato!” – annunciò, e l’orgoglio che non trapelava dalla voce
gli traboccava involontariamente dalle iridi, ora accese di un nuovo fuoco, dopo
anni in cui si era sforzato sempre di spegnervi ogni calore, perché nessuno
potesse scorgervi il suo animo.
Silente annuì
vigorosamente e si lasciò sfuggire un sorriso
compiaciuto.
Anche io sono orgoglioso
di te, Severus. Estremamente orgoglioso.
“La prima buona notizia
di una giornata orribile” – ammise calorosamente – insieme col fatto che sei ancora tutto
intero, ragazzo mio.
Poi tornò ad incarnare la
causa.
“Raccontami tutto” –
domandò, con ben contenuta urgenza.
Piton avrebbe avuto
soprattutto bisogno di riposo, ma, ormai, la situazione era tale che ogni minuto
ed ora poteva essere fondamentale. Lui doveva
sapere.
Severus fece un cenno
d’assenso col capo, e iniziò il proprio resoconto.
Parlò con l’usuale
misurata calma, senza omettere nulla, tranne ciò che riteneva riguardasse
soltanto lui e l’Oscuro Signore: il tormento che Voldemort gli aveva inflitto,
mentre ascoltava le menzogne che Piton aveva da qualche tempo in serbo per lui.
Non era affatto
necessario che il vecchio sapesse quel che Severus Piton aveva appena finito di
sperimentare con successo: che poteva mentire a Lord Voldemort, con le parole e
con la mente, anche mentre era sottoposto, più e più volte, alla maledizione
cruciatus.
Non è un dato rilevante
per la causa, basta che sia io ad esserne
consapevole.
Lui sconterà anche
questo, se appena mi sarà possibile presentargli il
conto.
Sconterà anche questo,
sebbene sia il meno tra tutte le cose orribili di cui è
responsabile.
Pagherà, soprattutto per
le tante vite innocenti spezzate; per i Potter, per Diggory e dopo io penserò
alla mia parte, anche io ho colpe che richiedono un saldo, ma prima sarà il Suo
turno.
“Non posso affermare che
Lui non abbia alcun dubbio sulla mia effettiva lealtà” – concluse, infine,
Severus, realistico – “Ma non ha certezze in senso contrario e non è il tipo che
rinunci ad un servo dotato delle qualità che io gli ho mostrato anche in
passato, a meno che non vi sia costretto. Mi terrà d’occhio e dovrò metterci
attenzione ed impegno, molto più che quindici anni fa, però posso dire di aver
raggiunto il mio scopo: sono nuovamente nelle sue grazie, almeno per ora. Credo
che potrò ricavarne ottime informazioni. Farò in modo di mettere a frutto la mia
ritrovata posizione”.
Reciterò a perfezione per
ingannarlo, sono anni che mi alleno a fingere.
Il vecchio lo ascoltò con
grande attenzione, poi lo congedò con premura, lasciandosi andare ad un altro
sorriso, lievemente amaro - perché quella, comunque, non era una giornata
gioiosa - ma colmo d’affetto.
Malgrado fosse molto
stanco, Silente non potè riposare quel giorno.
Prima di tutto sbrigò una
serie di faccende inerenti l’Ordine e la scuola, dando anche disposizioni
riguardo alle opportune manifestazioni di lutto per la prematura scomparsa di
Cedric Diggory, dopo di che si preoccupò di far sì che nessuno desse noia a
Harry.
Il ragazzo era già
abbastanza provato e sofferente senza che tutta la scuola se ne rimanesse
imbambolata a fissarlo o gli ponesse dolorose domande
sull’accaduto.
Harry ebbe la precedenza
su chiunque altro, perché non aveva che quindi anni, o quasi, e, ancora una
volta, la sorte aveva voluto metterlo davanti ad una prova fin troppo gravosa e
dolorosa per lui. Cosa di cui il Preside era immensamente
addolorato.
Ma Silente non aveva
scordato il suo più fidato collaboratore.
Pur non perdendo mai di
vista i suoi tanti doveri, pensò a Severus Piton per tutta la giornata,
preoccupato per le sue condizioni fisiche.
Il Professore di Pozioni
non aveva lamentato alcun disturbo, sofferenza o fastidio, al suo ritorno a
Hogwarts, ma il Preside lo conosceva fin troppo bene e sapeva che, anche se
Voldemort l’avesse torturato per ore, l’indole schiva e l’orgoglio avrebbero
impedito al mago bruno di parlarne o recarsi in infermeria. Severus avrebbe
provveduto a se stesso personalmente, il vecchio ne era
certo.
Gli aveva concesso
l’intero giorno libero, perché potesse riprendere le forze, ma Piton si era
comunque presentato al tavolo della cena, mostrandosi severo e cupo come suo
solito, ma anche calmo e padrone di sé. Però, non aveva quasi toccato cibo e
ogni tanto era parso ancora più rigido del solito, come se stesse compiendo un
enorme sforzo per controllarsi.
Da dietro le lenti a
mezzaluna Silente aveva sbirciato i suoi movimenti, domandandosi se era solo una
sua impressione, oppure realmente le mani del mago più giovane tremavano un
poco.
Anche Minerva McGranitt
aveva occhieggiato di sottecchi il collega, per poi cercare lo sguardo del
Preside, come ad avere conferme.
Ma in quel momento l’alto
mago canuto non aveva la possibilità di mostrare la propria preoccupazione. La
scuola era ancora sottosopra per la clamorosa notizia – che andava rapidamente
spargendosi a macchia d’olio – del ritorno di Voldemort e gli studenti erano
anche in subbuglio per la morte del giovane Cedric. Al tavolo di Tassorosso ogni
tanto qualcuno scoppiava rumorosamente in singhiozzi e tutti gli studenti,
perfino i Serpeverde, bisbigliavano e sembravano guardarsi intorno in cerca di
conferme.
Silente era certo che
Piton si fosse presentato in Sala Grande proprio per questo: per verificare la
situazione e rassicurare almeno gli studenti della sua Casa con la propria
presenza.
Naturalmente quei ragazzi
erano tutti di famiglie più o meno implicate con Voldemort, in passato e
probabilmente tuttora, però anche loro erano disorientati dalla novità che aveva
sconvolto tutti, pur se magari per motivi diversi.
Piton si era congedato
immediatamente dopo la fine del pasto e Silente aveva deciso di andare a
dormire, ma non gli era riuscito di prender sonno.
La verità era che
continuava a preoccuparsi per la salute del proprio collaboratore. Così decise
di andare a dare un’occhiata nei sotterranei.
Trovò ovviamente la porta
chiusa e bussò, ma non ottenne risposta.
A volte gli capitava di
permettersi di essere indiscreto e sfacciato.
Uno dei vantaggi dell’età e della mia
posizione – si disse,
mentre, senza la minima esitazione, girava la maniglia ed entrava nella camera
da letto di Piton; l’angolino privato del giovane Professore, il suo spazio
personale, in cui raramente qualcuno era ammesso.
Il mago bruno era solito
sprangare la porta con un incantesimo che teneva fuori tutti gli altri; ma non
Silente. Il Preside aveva libero accesso a quelle stanze, anche se, di solito,
non entrava mai se non era il loro occupante a dargliene il preventivo
permesso.
Comunque, per il vecchio
gli incantesimi di protezione erano come inesistenti. Un idea di
Piton.
Dal momento che Silente
si fidava ciecamente di lui, al pozionista pareva giusto che nulla gli fosse
precluso o nascosto.
Tanto per dimostrarmi
ulteriormente che la mia fiducia è ben riposta, vero ragazzo mio? E soprattutto
per mostrarmi che anche tu ti fidi di me. Immagino sia importante per te farmelo
sapere a modo tuo.
Si guardò intorno. La
camera era, come al solito, ordinatissima. Severus sembrava immerso nel sonno,
giaceva ad occhi chiusi sul letto che non era nemmeno stato disfatto. Il mago ci
si era semplicemente sdraiato ancora quasi totalmente vestito. Si era soltanto
levato le scarpe e la lunga casacca nera, che era adagiata sulla spalliera della
poltrona. Aveva slacciato i tanti laccetti che chiudevano la camicia candida e
si era arrotolato in alto la manica sinistra.
Deve aver osservato il
Marchio prima di addormentarsi.
Il viso di Silente
s’incupì, non gli piaceva che quel simbolo orribile deturpasse il braccio di
Piton e non avrebbe saputo dire se era così perché sapeva quanto il suo uomo
detestasse quell’emblema dei propri errori, oppure perché lui stesso non
riusciva a sopportare l’idea di aver intuito per tempo quale strada Severus
avrebbe preso dopo la scuola e non averlo fermato.
Eppure, se tu non
portassi quel marchio d’infamia sulla pelle non saresti la mia spia perfetta,
ragazzo.
Sospirò profondamente –
No, non lo saresti e sarebbe un male per
la causa, immagino, però non dovrei preoccuparmi per la tua
vita.
Si avvicinò al letto e lo
squadrò serio e concentrato. Il mago bruno era pallido, la fronte era imperlata
di sudore. Gli parve che tremasse un po’; non solo le mani, come aveva
constatato durante la cena, ma tutto il corpo asciutto e
spigoloso.
Come pensavo: non stai
affatto bene, Severus.
Gli posò delicatamente
una mano rugosa sulla fronte, decidendo che non gli importava se l’altro si
fosse svegliato. Non era un gesto che Piton avrebbe gradito, dato che non amava
il contatto fisico, ma il vecchio voleva controllare di persona se il mago bruno
aveva la febbre.
Sì, ce l’hai – constatò, levandogli subito la mano dal
viso – Non alta, ma pur sempre febbre. E
naturalmente non hai detto nulla e non sei andato in infermeria a domandare
aiuto a Poppy.
Notò un paio di ampolline
vuote sul comodino.
No, niente infermeria, tu
preferisci fare da te, come immaginavo. Non importa, so che i tuoi rimedi non
sono meno efficaci di quelli di Poppy, ti rimetterai in
sesto.
Però hai finto di stare
bene per tutto il tempo che è durata la cena. E’ proprio da te, Severus. Chissà
che sforzo c’è voluto per non mostrare altro che quel minimo fremito delle tue
mani e tenere a bada tutto il corpo, mostrandoti rigido e compassato come al
solito. Eppure hai ingannato tutti gli altri, tranne me e forse
Minerva.
Sì, sei proprio la spia
perfetta.
I suoi occhi chiari
brillarono d’orgoglio per il mago più giovane che era steso sul letto davanti a
lui, ma quello sguardo non era un tributo alla spia era un riconoscimento per
l’uomo.
“Mi spiace, ragazzo mio,
qualunque cosa tu abbia dovuto subire, nella mente, nel cuore e nel corpo,
quando ti ho rimandato da Voldemort” – sussurrò dolcemente – “Mi dispiace
veramente. Ma sei tornato, sei qui, ancora vivo. E’ un grandissimo
sollievo”.
Gli era facile parlare
ora che Severus dormiva; dire tutto quel che avrebbe voluto dirgli sin dal
principio, ma che aveva dovuto tacere, perché lui era un condottiero e una
guerra era in corso, e anche per via del carattere del suo giovane
collaboratore.
“Avrei voluto non
dovertelo chiedere” – continuò, sempre a voce bassissima – “Ma, anche se non lo
avessi fatto, tu saresti comunque voluto andare, non è così? Desidererei solo
che fosse più facile. Ho sempre dedicato la mia vita ad un bene superiore,
Severus, anche quando Voldemort non era nemmeno nato. C’è sempre stata una causa
per me ad assorbirmi totalmente e così non ho mai sentito troppo la mancanza di
una famiglia mia, di figli. Del resto, ho sempre guardato ai miei studenti come
ad una grande famiglia allargata, ma non ho mai avuto particolari preferenze,
fatta eccezione per Hagrid. Poi siete arrivati tu e Harry… un capo, un
comandante d’uomini non dovrebbe avere un cuore, ragazzo mio, o rischia di
commettere gravi errori. Però, evidentemente, non sono fatto di pietra come i
gargloyle di Hogwarts… “.
Fece una pausa,
guardandosi nuovamente intorno. La stanza non mancava di rispecchiare la
personalità del suo proprietario, ma era così fredda e cupa; perfino il camino
rimaneva troppo spesso spento. Era tetra, come se le mancasse
qualcosa.
Silente decise che quel
che mancava a quello spazio dei sotterranei erano la serenità e
l’ottimismo.
Caratteristiche che certo
non possono appartenere ad una stanza, che è di per sé inanimata, ma che,
tuttavia, sembrano trasmettersi da chi la abita all’ambiente, cosicché chi vi
entra può percepirle, come se le respirasse.
Il suo studio era un
luogo di quel tipo, come se vi aleggiasse un’atmosfera
rassicurante.
Invece, la camera da
letto in cui si trovava parlava di incubi notturni, profonda solitudine e
dolore.
Alla fine, sono riuscito
a tenerti qui, accanto a me, a farti sopravvivere, ma non mi è mai riuscito di
ridarti la voglia di vivere. Anzi, io stesso a volte ho dovuto spingerti a
sopire il fuoco che covi dentro per modellarti agli occhi del mondo, di modo che
tu potessi essere il mio efficace braccio destro; il mio asso nella
manica.
Mi dispiace immensamente
anche di questo, ma la fiamma non si è mai spenta del tutto e un giorno la
guerra finirà. Allora forse ragazzo mio potremo entrambi levarci la maschera. Io
potrò mostrarti cosa davvero rappresenti per me e tu potrai lasciar libera la
tua luce, così che tutti possano vederla chiaramente come l’ho sempre vista
io.
Per ora devo rassegnarmi
a guardarti gelare in quest’arido mondo in cui ti sei
rifugiato.
“No, decisamente non sono
fatto di pietra” – ammise in un soffio, mentre le constatazioni cui era giunto
gli opprimevano il petto, come se la stanza stessa gli si stesse richiudendo
addosso – “Nemmeno un po’, o non mi sarei affezionato tanto a te e a Harry.
Eppure… anche se a volte devo mordermi la lingua per non chiamarti addirittura
figliolo, Severus, non posso permettermi di lasciar decidere ai miei sentimenti
e quindi nemmeno di esprimerli troppo liberamente. Non sarà l’ultima volta che
Voldemort ti farà del male, ci giurerei, ma non ti sottrarrai, né io farò nulla
per evitare che accada. Come potrei? Impedendoti di tornare da lui, di fare ciò
per cui ti prepari da una vita? Non posso permettermelo. A volte ho perfino
pensato che era troppo ingiusto consentirti di far leva sui tuoi rimorsi, e
lasciare che i tuoi tormenti ti spingessero ad abbracciare la causa a costo
della vita. Ho detto a me stesso che ormai, anche se tu non ritieni che sia
così, hai già pagato abbastanza e che l’unica cosa corretta da fare sarebbe
mandarti via, lontano, in un luogo nascosto e sicuro, dove lui non riesca a
trovarti e nuocerti in nessun modo”.
Si strinse nelle spalle,
prima di proseguire con la bocca troppo asciutta – “Non avrebbe senso. Voldemort
potrebbe trovarti ugualmente e poi, ragazzo mio, tu sei come me: io e te, se
proprio dobbiamo morire, preferiremo farlo combattendo con onore, non come
vigliacchi che tentano di sottrarsi al nemico. Non è per noi la fine miserevole
dei topi in trappola, ne sono sicuro. Quelli come noi, Severus, raramente
muoiono nel proprio letto, ma almeno cadono dignitosamente, adempiendo al
dovere, lottando per ciò in cui credono”.
Sorrise, con dolce
amarezza – “Ma è tanto più facile pensare alla mia fine, comunque debba
presentarsi un domani, che non alla tua o a quella di Harry… siete molto più
giovani di me… siete… non importa… finchè potrò vi starò accanto, qualunque cosa
succeda. Non voglio pensarci ora. Adesso sei qui, sano e salvo, e domani il
dolore, qualunque cosa Voldemort ti abbia fatto, sarà più debole, finchè non
passerà e forse ci sarà dato tempo a sufficienza per far sì che io riesca a
mostrarti che sei ancora vivo, che hai davvero ancora speranza, che devi
smettere di torturarti per il passato. Devi stringere i denti e andare avanti,
Severus. Dritto per la tua strada come hai sempre fatto, qualunque cosa dicano
di te, qualunque cosa accada. Devi proseguire la lotta. Ma abbi cura di te,
ragazzo mio, non buttare via la tua vita per incoscienza. Renderesti un cattivo
servigio alla causa se fossi imprudente e io davvero non sono fatto di pietra…
non voglio dover piangere per te come hanno dovuto fare i Diggory per il loro
Cedric. Bada a te, figliolo e io sarò con te, per tutto il tempo, finchè mi sarà
concesso”.
Scordando per un attimo
ogni prudenza e l’indole fin troppo riservata del mago bruno, Silente allungò di
nuovo una mano e gli sfiorò piano l’avambraccio sinistro, seguendo con i
polpastrelli le linee in rilievo del Marchio, in una carezza che era il gesto
più paterno che mai si fosse concesso con la sua preziosa
spia.
“Lotteremo insieme per
farlo sparire” – promise in un sussurro affettuoso, con incrollabile
determinazione nelle iridi chiare – “Per farlo svanire davvero questa
volta”.
Poi si voltò e lasciò
rapido la stanza.
Severus Piton prese
fiato, mentre la porta si richiudeva dietro al
vecchio.
Ci proverò, Albus. Ce la metterò tutta, te
lo prometto. Per la causa e perché, anche se odio doverlo ammettere, nemmeno io
sono fatto di pietra.