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Autore: eloise de winter    16/04/2012    4 recensioni
Helen cosa sogna di notte? Niente. Helen non sogna.
Helen scappa da un passato che non ha e da un presente che non dovrebbe essere.
Helen sta morendo.
Dentro.
Salvatemi.
Helen vuole vivere, ma non vive. Helen desidera, ma non ha desideri.
O no?
Forse Helen un desiderio ce l'ha.
Helen, qual è il tuo desiderio?
Cosa sogna Helen?
Chi desidera Helen?
Chi sogna Helen tutte le notti?
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sei
- Running in the Dark-

 
 

…Don’t, don’t let me go,
 it’s not the End…

 

 
Helen era davanti all’armadio spalancato, osservava intenta tutti i suoi vestiti.
 
Non riusciva a capire perchè non avesse già pescato qualcosa a caso e l’avesse indossato, ma sentiva che quel giorno non poteva vestirsi a caso.
 
Sentiva che quel giorno era diverso.
 
Aveva ancora paura degli sguardi, ma per quel giorno decise di lasciare perdere e fregarsene.
 
Si, era decisamente masochista.
 
Sadica e masochista.
 
Prese un paio di shorts di un jeans di un colore indefinito, e li indossò sopra le calze nere.
 
La larga e lunga maglietta di Chanel, bianca con il logo della stilista francese impresso, enorme, davanti.
 
Un chiodo di pelle nera, lucido e corto, che ad annusarlo potevi ancora sentire l’odore forte della pelle appena lavorata.
 
E la sua collana dorata, lunga ed enorme.
 
Una grande H inscritta in un cerchio.
 
Perchè una H?
 
Non lo so. Ce l’aveva sempre avuta.
 
Prese al volo le sue scarpe preferite, delle tacco nove nere, totalmente chiuse ed uscì con la borsa zeppa di libri.
 
Si sentiva una ribelle, oggi, come non lo era mai stata.
 
Aveva lasciato i capelli sciolti, la chioma scura al vento.
 
Camminava velocemente, ma a testa alta, e fulminava con gli occhi chiunque stesse voltando lo sguardo verso di lei, prima che i crampi la assalissero e la costringessero a piegarsi in due dal dolore.
 
Credeva che la fissassero perchè era diversa da loro, ma si sbagliava.
 
La fissavano perchè era bella di una bellezza diversa, misteriosa, coperta da un’ombra di terrore, innocenza, e paura.
 
Entrata nel cortile della scuola, si muoveva rapida e con passi sicuri tra le macchine parcheggiate, cercando di non farsi investire da qualche compagno tornato tardi dalla discoteca ed ancora mezzo rincoglionito.
 
Ma cosa cazz..!”  

I pensieri dell’innocente Helen mutarono rapidamente a quelli di un camionista incazzato quando una Mercedes nera le passò così vicino che la borsa sfiorò la carrozzeria lucida dell’auto.
 
Voltatasi verso l’assoluto deficiente che doveva essere alla guida di quel mezzo di distruzione di massa targato, vide la portiera aprirsi e delle scarpe così costose che, a rivenderle, avresti potuto sfamare mezza Africa, poggiare sul terreno e venire verso di lei.
 
Si fermarono ad un metro da lei, che continuava a fissare il suolo, incapace di distogliere lo sguardo da quelle scarpe.
 
O forse terrorizzata da ciò che avrebbe visto se avesse alzato gli occhi per guardare la persona che aveva di fronte.
 
Iniziò a far risalire lo sguardo dalle scarpe ai pantaloni cachi all’ultima moda, risalendo poi alla felpa color notte con scritto, in bianco, “Hollister superior”.
 
Egocentrico e riccone.
 
Al collo aveva legata una sciarpa.
 
Verde brillante.
 
Orrore!
 
Una bocca fine e rossa, un naso alla francesina e due occhi
 
Verdi
 
E poi tanti, tanti, tanti ricci scuri.
 
Un cespuglio scuro circondava un viso ovale dalla pelle chiara ed un riccio copriva lo sguardo della persona davanti a lei.
 
“Bella collana, Helen.”
 
Stava fissando la sua H inscritta nel cerchio con uno sguardo in parte serio ed in parte ironico, ma in fondo agli occhi si  potevano scorgere ancora tracce oscure di quell’ira che tanto l’aveva perseguitata nei suoi sogni.
 
Nei suoi sogni?
 
Nei suoi sogni??!
 
Lei non sognava.
 
Si era sbagliata, erano probabilmente illusioni ad occhi aperti di una folle.
 
Si, nei suoi vaneggiamenti di drogata di follia.
 
“Sciarpa orribile, Riccio.”
 
Detto questo lo sorpassò e, cercando di dimenticarsi di quelle scarpe.
 
Si, scarpe, Helen, scarpe.
 
Sogna.
 
No, io non posso.
 
Non so come si fa.
 
Fiera di me e di quella piccola vittoria, avanzai, scappando verso l’aula e arrivando ultima.
 
Ultima?
 
Non potevo crederci.
 
I miei compagni mi guardavano, chiedendosi magari chi fossi.
 
Perché certamente non mi avrebbero collegata con…con chi?
 
Per loro Helen non esisteva.
 
Per loro io non esistevo.
 
E allora tutta l’adrenalina che circolava nelle mie vene scemò, lasciandomi da sola con le mie paure ed i miei terrori.
 
E le mie domande.
 
Come perchè mai io mi ricordassi il nome di quel ragazzo che non avevo mai visto prima, ma di cui vedevo, nitide, delle immagini, nella mia testa.
 
Sono cose che nessuno sa.*
 

****

 
 
 

Tornava a casa, correndo.

 
Era troppo per lei, tutti si giravano verso di lei appena sentivano un rumore di tacchi e tutti restavano a fissarla per un bel po’, finché lei non riusciva a correre così veloce da seminare quegli sguardi insistenti.
 

E correva, Helen, correva.
 
Arrivò a casa e perse minuti interi nel tentativo di infilare le chiavi nella serratura che non si decideva ad aprirsi, perchè le mani le tremavano troppo, ed era piegata in due dal dolore per i crampi.
 

Prima che riuscisse finalmente ad entrare nel suo rifugio, vide, con la coda dell’occhio, un gruppetto di ragazzi e ragazze passare e sentì uno stralcio di conversazione.
 
“ E’ appena arrivato da…”
 
“Mi ricorda qualcuno…”
 
Spinse con così tanta foga la porta verde che inciampò nello zerbino, cadendo in avanti ma riuscendo a chiudere la porta prima di far vedere al mondo intero la sua clamorosa goffaggine.
 
Sdraiata sul pavimento freddo chiuse gli occhi e sospirò.
 
Le vennero in mente alcune strofe di una canzone…
 
Because maybe
 
You’re gonna be the one who saves me?
 
And after all
 
You’re my wonderwall.
 
Sapeva benissimo che nessuno sarebbe venuto a salvarla, perchè non c’era nessuno che potesse salvarla.
 
O meglio.
 
Qualcuno c’era.
 
Ma sarebbe stato troppo doloroso, anche per lei.
 
Perchè era già morta una volta, e due sarebbe stato troppo.
 
E allora il mondo girava, girava, girava, intorno a lei che, immobile nel centro del tutto e del niente pensando e ricordando cose che non aveva mai vissuto,
 
lei che era già morta, ma che non voleva morire ancora.
 
Ancora e di nuovo, in un circolo vizioso che si sarebbe estinto solo con il più primordiale dolore, quello che tutta l’umanità sempre ricorderà, sempre ricorda e sempre ha vissuto e che mai ha dimenticato.
 
Non riusciva a capire perchè, se tutto era destinato a finire nella morte, era necessario soffrire così in vita.
 
E lei ne aveva passate tante di vite, ma in fondo ne aveva vissute solo una.
 
E poi era morta.
 
E poi non era morta.
 
Ed era lì, sdraiata sul pavimento freddo e osservava il soffitto candido e la luce, bianca, che faceva male agli occhi.


 

****

 
 
Una figura si avvicinava alla villetta bianca dalla porta verde, correva.
 
Aveva qualcosa in mano.
 
E correva, avvicinandosi.
 
Sembrava disperato.
 

****

 
 
Il campanello e dei passi, proprio dietro di lei, dietro la porta a dieci centimetri da lei, ancora stesa immobile su pavimento dell’ingresso, i capelli sparsi intorno alla testa come raggi di un sole ormai buio.
 
Si alzò, mentre il suono insistente del campanello le penetrava le sottili membrane timpaniche vibrando nella scatola cranica.
 
Era furiosa.
 
I suoi capelli scuri parevano quelli di Medusa, la Gorgone: sembravano vivi e vorticavano intorno alla sua figura esile ma alta, mossi da un vento improvviso, creato dal nulla.
 
Ma i suoi occhi Neri, erano quelli di una persona pronta ad uccidere, le pupille strette e le iridi totalmente nere, sembravano poterti pietrificare con uno sguardo.
 
Era pronta ad uccidere, letale e fredda, impassibile e spietata, un demone degli Inferi.
 
Aprì la porta ed il vento si liberò, sibilando, nell’aria.
 
La figura entrò dentro, schiacciando Helen contro il muro e chiudendo con il piede la porta.
 
Il suo corpo premeva contro quello della ragazza, furiosa, che cercava di liberarsi spingendolo via, fino a quando lui non si avvicinò al suo orecchio e sibilò, pieno di furia, queste parole
 
“Smettila Helen, smettila di giocare. Io so chi sei, lo so perfettamente. Smettila. Dimmi ciò che hai ricordato. Perché certamente, io lo so, tu hai ricordato.
 
Devi averlo fatto.”
 
Helen, appena sentita quella voce ed il suo profumo, affondò una mano nei ricci scuri di lui, e con l’altra lo prese dietro la schiena, trascinandolo bruscamente verso di lei, ancora più vicino al suo corpo, non c’era più spazio fra i due corpi che premevano uno sull’altro, lei annusò il suo profumo e sibilò suadente ed irata
 
“Vattene. Subito. Io so chi sei, ma non ti conosco. Ti conosco perfettamente. So chi sei e come sei fatto. Vattene. Io non ti conosco. Io ti conosco.
 
Vattene.”
 
Detto questo il vento tornò più forte, vorticando in mulinelli, ed Helen si staccò dal ragazzo osservando, con il volto trasfigurato da una smorfia di rabbia e furore, gli occhi verdi e scuri di ombre di lui.
 
Poi una scintilla ed una luce azzurrina invase lo stretto corridoio, illuminando i due che si fronteggiavano.
 
L’aria era carica di elettricità**, Helen si avvicinò di nuovo al ragazzo che la osservò ancora una volta, impavido, scattò in avanti, stringendola un millesimo di secondo e affondando le labbra nel collo di lei, poi sparì.
 
Rimase solo la porta aperta e il suo odore.
 
E l’ira di Helen.
 
Sbattè la porta, ed urlò, liberando tutta quell’ira repressa.
 
Uno schianto ed un odore di bruciato si diffuse nella casa, ma non le importava.
 
Svenne, nello stesso punto in cui, poco prima, era ancora sdraiata a fissare la luce bianca.
 
Solo che stavolta era tutto nero.
 

 
****
 
 
Devo dire che questo è il capitolo che mi piace di più, tra quelli che ho scritto.
Spero piaccia anche a voi
Andate ad ascoltarvi la canzone The End dei Simple Plan, mi ha ispirato per la parte finale.
UN GRAZIE ENORME A JOAN CH EHA BETATO QUESTO CAPITOLO, ti voglio bene cara.
Note:
*Sono cose che nessuno sa: è riferito al libro Cose che nessuno sa di D’Avenia.
**L’aria era carica di elettricità: non è in senso figurato, intendo letteralmente, capirete più avanti.
Dedico questo capitolo, come sempre,
A Joan, Piperita Patty, Leave Me Alone e Joisishea.
In più vorrei anche regalare questo capitolo a me stessa, perchè Helen mi somiglia così tanto che a volte vengo chiamata da quelle che mi hanno letto come lei.
Helen.
Always
 
 
eloise
e.d.w.
 
 
p.s. potete trovarmi su Twitter come @_Helen_Hawkins_ twitterò alcune notizie relative alla storia.
 

   
 
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