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Autore: sayuri_88    17/04/2012    13 recensioni
« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa.
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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2 parte

 

A che cosa faccia appello la musica in noi è difficile sapere; è certo però che tocca una zona così profonda che la follia stessa non riesce a penetrarvi.

( Emil Cioran, L'inconveniente di essere nati, 1973 )


 

Era passata una settimana e Masen ci stava ancora pensando.
Io vivevo nell'ansia e avrei potuto aprire una pasticceria, tanti erano i dolci che per l'insonnia avevo preparato.
Anche il mio capo ne approfittava e cosi avevo iniziato a portare una fetta in più per lui, visto che finiva sempre per mangiare la mia.
Alla mattina quando mi recavo nel suo ufficio gli lasciavo il dolce del giorno con una frase di qualche musicista famoso sulla musica, sperando che aiutasse a far riemergere il lato più sentimentale del mio capo.
Non aveva mai detto nulla ma quando spiavo la sua reazione, aveva sempre un sorrisino, la prima volta era stupito, aveva alzato lo sguardo per cercarmi e quando mi aveva inquadrato, me l'aveva mostrato incuriosito. Io avevo semplicemente sorriso e alzato le spalle per poi riprendere il mio lavoro.
« E sta funzionando? » mi chiese Jake portandosi la tazza di caffè alla bocca.
« Non lo so, lo spero » dissi poggiando la testa sul palmo della mia mano « anche se il suo silenzio non mi fa ben sperare ».
« Non devi perdere la speranza. Se era un no secco, credimi, te lo avrebbe già detto » cercò di rassicurarmi e riuscì nel suo intento. Aveva ravvivato quella fiammella che ancora bruciava testarda.
Forse gli avevo insinuato il dubbio, non azzardavo nello sperare in uno sviluppo positivo.
« Sì, hai ragione, me lo avrebbe già detto ». Jacob sorrise e mi cinse le spalle sorridente. Arrossì per quel gesto spontaneo e intimo.
« Così ti voglio, Bella ».
 
Il messaggio del mio capo mi lasciò interdetta. Erano le cinque di sera e lui mi chiedeva di raggiungerlo al bar dove lo avevo portato per ascoltare Alice. Subito mi preoccupai, non mi aveva spiegato nulla, era stato lapidario. “Ora, al bar. EM”
Nessuno avrebbe pensato positivo al mio posto e così temendo di poterlo irritare se avessi fatto tardi corsi giù per le scale e mi precipitai dall’altra parte della strada.
Entrai e mi guardai attorno. Nell'ombra, a uno dei primi tavoli, scorsi il profilo del Signor Masen seduto a sorseggiare un bicchiere di birra mentre ascoltava Alice che trasudava felicità da tutti i pori.
Quando la ragazza mi vide, mi fece segno di raggiungerli attirando cosi l'attenzione dell’uomo che mi seguì fino a che non arrivai al loro tavolo, si alzò proprio come aveva fatto con Alice al primo incontro.
« Bella, non mi avevi detto che eri nel settore della musica e che lui era il tuo capo » non era un’accusa la sua, il tono era divertito, nemmeno una punta di risentimento per la bugia, ma la guardai lo stesso sbattendo le palpebre diverse volte prima di rispondere.
« Scusami, solo che non volevo darti false speranze ».
Perché aveva confessato tutto?
Il mio sguardo doveva essere molto eloquente poiché indusse il Signor Masen a intervenire.
« Bella voleva essere sicura di avere qualcosa di concreto prima di parlarti ».
Io ero bloccata, resa muta dal significato di quelle parole. Qualcosa di concreto prima di parlarti.  Voleva dire che…
« Si, lo capisco e forse sarei stata anche più nervosa sapendo di star facendo un provino davanti al proprietario della C-Major ».
« Non ne hai motivo. Sei bravissima » intervenni dopo essere rinsavita dal mio stato catatonico.
« Grazie, Bella e anche a lei Signor Masen per questa opportunità. Non sa quanto le sono grata ».
« Non ringraziarmi ora, c’è molto da fare prima di poter fare un album » le disse. Avrei tanto voluto pestargli i piedi con un tacco a spillo per il poco tatto che aveva usato e che rischiava di buttare il morale di Alice a terra. Fortunatamente la ragazza non sembrò risentirne.
« Ne sono consapevole e non la deluderò » affermò, « ora, però, dovete scusarmi ma devo andare. Ho una cena di famiglia e mia madre mi uccide se arrivo con un minuto di ritardo ».
Certamente, appena arrivata, avrebbe comunicato la nuova notizia, ancora prima di dire “ciao”, pensai. Mi aveva detto che sua madre non aveva mai creduto in una sua carriera canora, non che non credesse in lei ma perché sapeva gli ostacoli che la figlia avrebbe dovuto affrontare.
« Bene, allora rimaniamo d'accordo per dopo domani all’una al Monini, discuteremo meglio davanti a un buon piatto di spaghetti » disse il mio capo che ne frattempo si era alzato e stringeva la mano della ragazza. Sembravano Davide e Golia tanto era la differenza di altezza.
« Perfetto, a domani » ci salutò Alice e se ne andò, felice e spensierata. La seguì con lo sguardo poi lo stridio della sedia al mio fianco mi fece girare verso il Signor Masen.
« La scritturerai? » chiesi stupita e felice.
« Un singolo e un album.La seguirai tu »disse spiazzandomi completamente.
« Davvero? Ma sono solo l’assistente dell’assistente ».
« Sei tu che l’hai scoperta… »
Non potevo crede alle sue parole, insomma da quattro anni avevo aspettato quel momento e finalmente era arrivato. Se era un sogno, avrei ucciso chiunque mi avrebbe svegliato. Fui presa dall’entusiasmo, dalla smania di mettermi subito al lavoro. Dovevo dimostrare quello che valevo e non dovevo perdere tempo. Avevo già delle idee in testa e avevo bisogno di un taccuino su cui scrivere o ero certa che grazie alla mia memoria di ferro arrugginito avrei dimenticato tutto prima di mettere piede in casa.
« Ti assumerai tutte le responsabilità. Rischi anche il licenziamento se tutto questo sarà un inutile spreco di tempo e denaro ».
Tentennai per un momento. Io avevobisogno di quellavoro ma ogni cosa avevail suo rischio e per quella ne valevala pena.
« No, non lo sarà. Grazie, Signor Masen »e in uno slancio di estraniazione del mio entusiasmo lo abbracciai. Il suo profumo di colonia mi colpì subito. Era buono, speziato e gradevole. Molti uomini usavano immergersi in prodotti tanto forti da essere nauseanti dopo qualche minuto ma il suo era leggero e per nulla nauseante.
« Emh… Bella? » farfugliò picchiettando sul braccio.
« Oddio, scusi » dissi imbarazzata dall’ennesima figuraccia. Anche lui sembrava provare le stesse emozioni ed era strano vederlo in quello stato. Insomma era sempre così tutto di un pezzo che era insolito, per me e per chiunque credo, vederlo con le guance rosse. « Mi spiace » mi scusai ancora.
« Nulla » disse dopo essersi schiarito la gola « Se avrà successo potremmo parlare del suo futuro alla C-Major e a un tuo avanzamento ».
« Okay, ora è meglio che vada » balbettai recuperando tutta la mia roba. « Buona continuazione, Signor Masen » e scappai senza sentire la sua risposta.
 
« E poi sei scappata? Oddio, Bella queste figure le puoi fare solo tu » disse Jessica tenendosi la pancia per le troppe risate. Anche le altre non erano da meno. Fortunatamente eravamo in pausa pranzo ed eravamo sulla terrazza, altrimenti tutto il piano le avrebbe sentite.
« Lo so, Dio che faccio quando lo vedo? » dissi nascondendo il viso tra le mani. La mattina non si era fatto vedere e in cuor mio speravo che non si facesse vedere nemmeno nel pomeriggio.
« Rilassati non succederà nulla. Era solo un abbraccio. Quello su cui ti devi focalizzare è Alice e il suo singolo ».
Rosalie la più pragmatica di tutte.
« La mia occasione » mormorai trasognate. Quasi non ci speravo più e poi eccola lì, nascosta in un bar in cui ci sono finita per caso, per curiosità.
« Sono felice per te, Bella » disse Angela abbracciandomi « te lo meriti ».
Ricambiai mostrandole tutto il mio affetto.
« Quindi direi che bisogna festeggiare. Domenica a pranzo tutte da Bella a mangiare » aggiunse liberandosi.
« Scusa ma se sono io la festeggiata non dovrei lavorare! » obbiettai.
« Cosa? E poi chi cucina? » fu la sua reazione sconcertata.
« È bello sapere che sei mia amica solo per il cibo » le dissi assottigliando lo sguardo con fare fintamente offeso.
« Oh, lo sai che non è solo per quello » borbottò lei sinceramente dispiaciuta.
« Lo so Angela » la rassicurai.
« Ma dimmi. Com’è? Ha i muscoli tonici e guizzanti come sembra? » ovviamente Jessica doveva interessarsi a quello. Lei era un po' la Samantha del nostro gruppo. Gli autori di Sex and the City si devono essere ispirati a lei.
« Beh… è decisamente messo bene » dovetti ammettere anche se un po' imbarazzata a ripensare a quando gli sono saltata addosso. Nemmeno un grammo di grasso a coprire quei fasci di muscoli tonici. Poi era meglio non parlare del suo profumo, mi era rimasto attaccato ai vestiti e per tutta la sera non la smisi di annusarli. Sembravo una maniaca ma nonostante ne fossi cosciente, continuavo a tenere il mio maglione attaccato al naso. Anche la mattina dopo, quando ormai credevo fosse sparito, perché non poteva rimanere attaccato l’odore per così tanto tempo, e con quella intensità, lo ripresi per sentire se c’era ancora. E sì, alcune note del profumo impregnavano la stoffa leggere dal mio maglione. E ancora, come una maniaca, lo annusai.
 
« Allora sei pronta? »
« Pronta per cosa? »
Ero seduta alla mia scrivania e stavo finendo di sistemare alcuni contratti prima della pausa pranzo quando il mio capo spuntò, bello come il sole, al mio fianco facendomi prendere un accidenti.
« A pranzo, con Alice. Ci devi essere anche tu » rispose serafico « muoviti, ti aspetto in macchina » disse e si diresse verso gli ascensori entrando nel primo libero. Rimasi per un momento a fissare le porte dell’ascensore che si erano chiuse davanti alla figura del mio capo e lentamente il mio cervello elaborò la nuova notizia. Rapidamente presi giacca e borsa e corsi giù per le scale. Fortunatamente eravamo solo al terzo piano.
« Sei lenta, ragazzina » disse quando presi posto nel sedile accanto al suo.
« E ragazzina da dove salta fuori? » domandai stizzita. Girai la testa per guardarlo, indossava un paio di occhiali da sole e la luce che entrava dal finestrino della portiera illuminava il suo profilo, creando come un’aura attorno a lui.
« Quanti anni hai? » chiese sviando la mia domanda.
« Ventotto ».
« Quindi sei una ragazzina in confronto a me » mi spiegò e credo che trovasse un certo gusto a definirmi “ragazzina”.
« Perché lei ne ha quanti, cinquanta? Li porta bene » dissi sarcastica, facendolo scoppiare in una sonora risata.
« No, ne ho trentatre ».
« Allora non posso dirle che li porta bene » dissi con tono dispiaciuto. Scosse la testa divertito e si sistemò gli occhiali da sole mormorando a mezza voce un “ragazzina impertinente”.
 
Parlammo del tempo, della città, del traffico. Cose banali, insomma, il giusto per riempire il silenzio nell’abitacolo. Impiegammo tre quarti d’ora ad arrivare al ristorante, ci avremmo impiegato di meno se non fosse stato per le macchine che intasavano le strade.
Quando entrammo nel locale, arredato in modo semplice e sobrio, pensai che probabilmente un solo piattino per gli antipasti costasse come il mio stipendio mensile.
Alice ci stava già aspettando seduta a un tavolo vicino alla grande vetrata che dava sulla strada e leggeva il menù. Il piede batteva sul pavimento a ritmo serrato e per quanto potesse sembrare tranquilla, quel piccolo particolare tradiva tutto il suo nervosismo.
Si agitò ancora di più quando vide il Signor Masen e si esibì in un sorriso nervo ma parve tranquillizzarsi appena realizzò la mia presenza al suo fianco.
Durante il pranzo non parlai molto, fu il Signor Masen a spiegarle quello che aveva in mente. Il singolo, l’album e la partecipazione a un concerto dove si sarebbero esibiti diversi gruppi e cantanti famosi e non per beneficenza.
Io avrei seguito Alice, assistito alle registrazioni, avrei fatto quello per cui avevo deciso di trasferirmi a Chicago.
Rose si era subito proposta per aiutarmi a fare i primi passi, lei era una veterana del settore e avrebbe potuto darmi molte dritte, avevo chiesto a Emmet di occuparsi del suono ma era troppo impegnano con altri artisti e così Jessica era stata ben felice di salire a bordo.
La mia cantante si congedò dopo aver bevuto il caffè, la sua pausa pranzo stava finendo e lei doveva essere al lavoro prima del suo capo. Anche la mia stava finendo, ero l’assistente e se James avesse avuto bisogno, io dovevo essere presente, ma quando glielo feci notare, il Signor Masen liquidò la faccenda con il fatto che da quel momento fino alla fine della collaborazione con Alice, lei aveva la priorità.
« E poi James non dirà nulla sapendo che stavi con me per una questione di lavoro » concluse la sua arringa mentre gentilmente mi teneva la porta aperta per uscire.
« Questo è abuso di potere » gli feci notare.
« Perché non usarlo quando lo si ha? E poi mica sto preparando un colpo di stato. Ma passando a cose più serie: com’era la cucina? » mi chiese ed io trattenni a stento un sorriso. La cosa era davvero seria.
« Buona » dissi tentennando, non volevo certo offenderlo quando aveva pagato tutto lui.
« Un pranzo da duecento dollari lo definisci solo buono? »
« Cosa! » gracchiai sconvolta. « Ma è una ladrata! Oddio, mi si è bloccata la digestione » dissi portando le mani alla pancia. Era nauseante pensare a quanto potesse spendere lui per un pranzo mentre io dovevo accontentarmi del minimo indispensabile e solo poche volte mi concedevo lo sfizio di spendere qualcosa in più per me.
« Duecento dollari non sono molto per un ristorante del genere e il Monini è considerato il miglior ristorante di cucina italiana della città. Tu sei mezza italiana, che ne dici? È vero? »
« Quello che so è che solo un italiano può preparare un vero pranzo italiano. Ci sono locali in cui fanno vera cucina italiana e paghi quindici dollari a persona, ma preferisco prepararmi le cose a casa, per i tempi che corrono, sono sicura di ciò che mangio ».
« Questo è vero, i dolci che porti sono ottimi » si complimentò mandando il mio ego alle stelle. Amavo quando la gente mi faceva i complimenti per la mia cucina.
« Lo so, e non sono brava solo con i dolci ».
« Modesta ».
« È il mio secondo nome, Signor Masen ».
Lui ridacchiò e mi lanciò una veloce occhiata prima di ritornare a guardare la strada.
 
Come da accordi il giorno dopo iniziò il nostro lavoro. Ci trovavamo alla sera, dopo le cinque quando né io né Alice dovevamo lavorare e potevamo concentrarci senza essere disturbate. Lavorammo sulla canzone, il Signor Masen voleva un pezzo nuovo entro al fine della settimana. Sì perché io avrei gestito tutto, ma poi doveva essere lui ad accettare le mie scelte.
E così iniziammo anche noi a passare del tempo insieme, era bello lavorare con lui allo stesso piano. Era professionale, preciso, attento.
Di Edward Masen, sapevo che prima di dirigere la società aveva lavorato come produttore e si era fatto le ossa, mentre il padre dirigeva la casa discografica. Aveva molto da insegnare a una alle prime armi come me.
Restava in sala registrazione mentre Alice parlava ed io la aiutavo, silenzioso ma attento ma quando arrivava quel fatidico momento, quello che cantanti e scrittori temevano più di tutto, il fatidico “blocco dello scrittore” Edward faceva distrarre Alice, parlava di altro o usciva per poi tornare con frullati, yogurt dalle strane combinazioni, gelati o quando la situazione si faceva critica ci portava fuori a passeggiare sul lungo mare.
Per quanto può sembrare facile scrivere una canzone non lo è, dietro a ogni singola parola, come in un libro, c’è tanto sudore e fatica. Da parte del cantante, del produttore, del tecnico del suono, dei musicisti. Fortunatamente i tentativi del capo si rivelavano efficaci e una volta tornati in sala eravamo super cariche.
Così tra risate e impegnative sessioni di registrazioni, nel giro di due settimane, avevamo scritto una canzone - e altri testi erano pronti per l’album - e avevamo anche una base per il singolo, anche se ancora da perfezionare.
Scoprì che Alice era una stacanovista al lavoro e quello si rivelò molto utile perché le permise di chiedere dei gironi di ferie, che ci permisero di dedicare interi giorni alla registrazione delle canzoni e al loro perfezionamento.
Il giorno del concerto era fissato per la fine del mese di maggio e quindi avevamo ancora due settimane per prepararci. L’evento sarebbe servito per sondare il terreno e lanciare il disco. Battere il ferro finché è caldo aveva detto il Signor Masen ed ero d’accordo con lui.
 
Il ventitré maggio eravamo pronte per la prova del fuoco.
« Oddio, ho paura e se dovesse andare male? E se faccio schifo? » dire che fosse agitata era un eufemismo. Alice era terrorizzata.
Ci trovavamo dietro le quinte del concerto e dopo la cantante che si stava esibendo sarebbe toccato a lei.
Anch’io ero nervosa, in un certo senso era come se dovessi salire su quel palco e cantare di fronte a tutte quelle persone assieme a lei.
« Alice, non andrai male » la rassicurai « immagina il pubblico in mutande, a teatro aiuta per alleggerire la tensione ».
La mia professoressa di teatro me lo diceva sempre prima di uno spettacolo.
« In mutande… » non pareva molto convinta. Iniziò ad annuire e si fece seria « okay » mormorò « immaginarli in mutande » disse prendendo un respiro profondo.
« Nervosa? »
Il Signor Masen, apparve al suo fianco, pantaloni nero camicia bianca e gilet nero. Stava benissimo
« Immagino il pubblico in mutande » esordì la mia cantante sparendo poi verso il buffe per mangiare qualcosa.
« Mutande? » chiese lui stranito.
« Per calmare il nervosismo » gli spiegai « la Signora Martin diceva che era il metodo migliore per recitare davanti alla gente ».
Alla sua espressione confusa aggiunsi qualche particolare che potesse aiutarlo a capire di chi stessi parlando.
« Facevo teatro al liceo e la Signora Martin era un’attrice mancata che insegnava per sfornare nuovi talentuosi attori. Probabilmente l’hai vista in 90210 sa serie originale, ha fatto la comparsa. Quello è stato il suo miglior ingaggio e anche l’unico ».
« Chi non sa fare, insegna » fu la sua saggia risposta.
Edward Masen non era lo stronzo che credevo. Era severo sul lavoro, chiedeva sempre il massimo e spesso e volentieri gli avrei tirato qualcosa in testa ma mi aveva aiutato molto con Alice e aveva aiutato la stessa cantante quando questa andava in crisi, mostrando un lato che non avevo mai visto. C’era un bravo ragazzo nascosto sotto la scorza di uomo bastardo del lavoro.
« Ed ora siete pronti per una nuova scoperta. Una nuova voce del soul bianco, al pari di… ».
Il cuore schizzò in gola quando la chiamarono, non ascoltai la sua presentazione troppo elettrizzata.
« Fate un bell’applauso ad Alice ».
Mi passò al fianco ed io le sorrisi incoraggiante e con entrambi i pollici in su.
 
Alice fu strepitosa con i ballerini che ballavano attorno a lei e alla fine della sua esibizione mi misi a battere le mani e saltellare come una bambina al Luna Park, scatenando l’ilarità del mio capo.
Anche Alice si unì a me quando, fatti i ringraziamenti, tornò dietro gli spalti.
« Oddio, Bella hai visto? Ero così nervosa ma quando è iniziata la musica, tutto è andato al suo posto. E hai visto come hanno applaudito alla fine? » parlava a macchinetta e non avevo cuore di frenare il suo entusiasmo. Presto fu chiamata dai giornalisti che si lanciarono su di lei come avvoltoi e sopravvisse solo grazie all’intervento del Signor Masen che li tenne a bada.
« Niente male, ragazzina » esordì il capo raggiungendomi « alcuni programmi televisivi e radiofonici mi hanno contattato. Usare i social network si è rilevato molto fruttuoso e con questo concerto abbiamo attirato l’attenzione » mi rivelò mandandomi in brodo di giuggiole.
« Ne ero certa. Alice è stata bravissima » affermai mentre osservavamo Alice mentre veniva intervistata da un giornalista della MTV.
« Lo ammetta » dissi già pronta a godermi la vittoria. Gli lanciai una rapida occhiata ma lui aveva lo sguardo fisso davanti a se, per nulla toccato dalle mie parole.
« Non so di cosa stai parlando » ribatté lui serafico.
« Forza, lo ammetta. Alice avrà successo e porterà anche tanti soldi alla C-Major con la sua musica non richiesta dal mercato » cantilenai avvicinandomi a lui e sorridendo sorniona.
« Okay, forse avevi ragione » concesse prima di riservarmi un’occhiata storta, « ma non montarti la testa ».
« No, ovviamente » garantì ma dentro di me stava succedendo tutto il contrario. Ero così felice di avergli dimostrato quello che valevo e di avergli buttato in faccia il talento di Alice.
« È presto per lasciarsi andare ai festeggiamenti, vedremo come andrà il CD » disse riuscendo ancora una volta a smontare il mio entusiasmo.
« Non riesce per una volta a pensare positivo? »
« Sono realista, Bella. Per me contano i fatti » disse girandosi per guardarmi in faccia.
 
Nelle settimane seguenti Alice si ritrovò a girare per stazioni radio, televisive e feste facendosi conoscere, intanto i lavori per finire il disco, avanzavano a regime serrato e una settimana prima del termine di scadenza avevamo finito di registrare l’ultima traccia.
« Ed ecco a te il Master » disse con tono solenne Jessica come se fosse la regina d’Inghilterra che consegnava una medaglia al valore a un suo suddito. Beh… la solennità era quella.
Il mio primo master, mio e di Alice, nostro. Rappresentava un traguardo, la vittoria di una sfida che ci vedeva perdenti in partenza.
« Oddio, le mani mi tremano, Bella prendilo tu » mi chiede Alice guardando con occhi luccicanti di gioia l’oggetto che contiene tutte le canzoni del primo album.
« Ora, Edward mi ha chiesto di portarglielo quando avevo finito » iniziò Jessica mentre indossava la giacca « ma ho un appuntamento e sono già in ritardo ».
« Oh, lo porto io se vuoi » mi proposi entusiasta di poter passare ancora un po' di tempo con il mio bambino. Sì, era strano ma quel Cd era stato un parto e ti ci affezioni. « Poi casa sua è nella mia direzione ».
« Davvero? » mi chiese conferma. Il suo tono ha un non so che di sospetto, e non ci misi molto a capire che probabilmente il suo intento era proprio quello di scaricare il lavoro su di me.
« Sì ».
« Grazie, sei la migliore. Allora vado. Buona serata ragazze » e uscì correndo, senza un tentennamento, anche se indossava dodici centimetri di tacco.
« Bene, vado anche io, devo andare dalla parte opposta e chissà quando arrivo » disse Alice accompagnando la frase con uno sbadiglio. Erano le nove di sera e avevamo lavorato tutto il giorno senza fermarci nemmeno un attimo.
Scendemmo insieme e ci salutammo davanti alla macchina di Alice, una mini nera e sul tettuccio la bandiera inglese. In onore delle sue origini, mi aveva detto quando gli avevo chiesto il perché.
 
Arrivai sotto casa del mio capo in poco tempo e con in mano il master del CD di Alice suono il campanello.
« Sì? » la voce di Masen arriva metallica dal citofono.
« Sono, Bella ho il master… » nemmeno il tempo di terminare la frase che il cancello scattò.
« Sali, ultimo piano » disse e poi non sentì più nulla. Così entrai coprendo con poche falcate il piccolo e stretto vialetto per poi fare velocemente la breve scalinata e spingere con tutta la forza che avevo la grande porta di vetro e raggiunsi gli ascensori, grandi come quelli che si trovano nei centri commerciali.
Arrivata davanti alla porta, indugiai qualche secondo prima di suonare il campanello. Mi chiedevo come potesse essere la casa di un uomo sulla trentina, single e benestante.
Pochi secondi e la porta si aprì.
« Ciao, ragazzina » sbuffai nel sentire quel nomignolo che mi faceva sentire una bambina piccola e non una donna grande e vaccinata.
« Salve, Signor Masen. ho portato il master, Jessica si scusa ma aveva un impegno ed io ero già di strada » spiegai.
« Grazie, ti va di entrare? Ti offro qualcosa » mi propose ed io accettai anche se con un po' di titubanza. Sapevo che le intenzioni non erano quelle di portarmi nella sua camera da letto, ma era da molto tempo che non rimanevo sola con un uomo in casa sua e di sera.
Ma tutto passò in secondo piano quando una volta che la mia vista fu libera di spaziare dove volesse, mi persi a osservare la casa.
« Io stavo bevendo del vino, va bene? » gli sentì dire.
« Sì » mormorai con voce estasiata. La cosa lo fece ridere ma non m’interessava così come non m’interessava il fatto di aver accettato di bere alcool a stomaco vuoto. Bella, non iniziamo bene, mi ammonì il mio grillo parlante ma lo zitti subito.
La prima cosa che colpiva era il grande camino al centro che d’inverno certamente riusciva a riscaldare l’ambiente cacciando il freddo della città. Poi c’era la grande libreria che da terra arrivava fino al soffitto, tanti, anzi tantissimi scaffali pieni di libri.
C’era anche la scala per raggiungere i ripiani più alti.
Essa divideva il grande salone da un’altra ala, forse la zona musica visto che un bellissimo piano a coda, nero e lucido, faceva bella mostra di se.
Quando ero piccola, avrei voluto imparare a suonarlo ma dovetti accontentarmi della chitarra, i costi erano eccessivi e ai tempi non potevamo permettercelo. Non che poi le cose siano cambiate molto.
Nel salotto, il protagonista assoluto era un grande divano a forma di elle, affiancato da due poltroncine e al centro un tavolino rotondo di legno di noce.
Faretti infissi lungo le pareti proiettavano la loro luce tutto attorno creando giochi di luci e ombre, perfettamente studiati.
Sulla sinistra la cucina. In una casa era la zona che preferivo e con quella, era stato amore a prima vista.
Moderna e lineare, con un piano cottura gigantesco, e tutto era curato nei minimi dettagli. Tremavo al solo pensiero di quanto la doveva aver pagata.
Già m’immaginavo a cucinare lì, mi vedevo preparare le lasagne con quel magnifico forno di produzione tedesca, impastare la pasta sul piano di lavoro di marmo. Non esageravo nel dire che avrei potuto avere un orgasmo al solo guardarla.
La frequentazione di Jessica non mi faceva bene. Per nulla.
Tornai a far scorrere lo sguardo attorno e cercai di immaginarmi la casa di giorno. Le grandi vetrate sul tetto e lungo le pareti dovevano illuminare tutta la casa e il bianco delle pareti avrebbe riflesso la luce donando luminosità.
Potevo dichiarare senza dubbi che quella era la casa dei miei sogni.
« Ti piace? » la sua voce mi fece sobbalzare. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza.
« Cosa? »
Mi girai e me lo trovai più vicino di quanto pensassi.
« La casa » disse con tono divertito e con i calici in mano indicò tutto attorno con un gesto stanco.
« Sì, è molto bella anche se si nota la mancanza di tocco femminile ».
« Per il momento non ce n’è bisogno » disse porgendomi un calice pieno di vino bianco.
« E quando sarà il tempo? Quando sarà stempiato e pronto per la pensione? » scherzai accettando il bicchiere. « Grazie » e ne bevvi un sorso.
Il sapore gradevole e leggermente frizzante mi risvegliò le papille gustative e subito ne bevvi un altro sorso, ipnotizzata dal suo sapore.
« No, ma per ora non rientra nelle mie priorità. Voi donne direste “è perché non hai trovato la donna giusta, quando la troverai, vorrai mettergli subito l’anello al dito per impedire ad altri di rubartela”, almeno così dice mia madre. Ma lei è reduce dal suo terzo divorzio. Non so quanto vale » commentò bevendo anche lui una sorsata generosa.
« Guardati pure in giro ».
« Non vorrei essere invadente » mormorai ma i mie occhi non la smettevano di guardare in giro e i mie piedi non vedevano l’ora di muoversi per scoprire nuovi posti ancora nascosti.
« Non ho cadaveri nascosti. Fai pure » disse con un sorriso allegro. Gli occhi erano leggermente lucidi e si muoveva a rallentatore, segno che si era già versato qualche bicchiere di troppo.
Non me lo feci ripeter un'altra volta e continuando a sorseggiare il vino superai il camino per spiare quello che sembrava un piccolo studio. C’erano dei divanetti addossati alla parete e un tavolo di cristallo, circondato da sedie di legno finemente decorate.
« Ti va di ascoltare con me il Cd? » urlò e senza pensarci risposi di sì. Quella sarebbe stata una tranquilla serata passata ad ascoltare musica.
Tornai in salotto e mi accorsi che una scala, vicino all’ingresso portava al soppalco da cui si vedeva un piccolo salottino, con anche una piccola libreria e quella che doveva essere la camera da letto. Quella parte della casa era meglio che mi rimanesse nascosta.
Si avvicinò al lettore e inserì il CD facendolo partire. La musica aveva iniziato a diffondersi nell’aria, grazie anche a delle casse sparse per la casa.
Si sedette sul divano e picchiettando al posto vicino a lui mi disse di sedermi. Feci come mi chiese e in silenzio ascoltammo una canzone dietro l’altra sorseggiando il buonissimo vino che mi aveva offerto.
 
« Allora, come è venuto? » mi chiese quando iniziò la quinta canzone. Lo guardai di sbieco mentre finivo di bere.
« Beh può sentire lei… » risposi non capendo la sua domanda. Sorrise e si stravaccò sul divano girando la testa per guardarmi. Quella sera era più tranquillo come se avesse lasciato i freni e avesse deciso di superare i limiti di velocità.
« Sì, ma vorrei sentire il tuo parere ».
Io mi girai nella sua direzione, raccolsi le gambe poggiandole sul cuscino e, dopo aver bevuto un altro sorso di vino, risposi.
« Possiamo definirla acerba, è la sua prima esperienza dopo tutto, ma è molto buono, certamente migliore di molti. In Italia c’è un modo di dire “nessuno nasce maestro” e Alice credo abbia fornito un’ottima prova di se. Bisogna solo vedere come cresce. Signor Masen… ».
« Chiamami Edward, Bella » mi interruppe.
« Okay, Edward » dissi ma mi suonò strano chiamarlo con il nome di battesimo. Quattro anni a chiamarlo Signor Masen si facevano sentire. « È strano chiamarla così » mormorai sovrappensiero.
Bevvi un altro sorso di vino per poi affrettarmi ad aggiungere la mia spiegazione.
« Cioè voglio dire per me lei è sempre stato il Signor Masen… non che non mi piaccia il suo nome » mi affrettai a spiegare prima che pensasse male.
« Questione di abitudini e dammi del tu, intesi? ».
« Intesi » e quello era ancora più strano.
« Ancora? » mi chiese piegandosi in avanti con la bottiglia.
« Oh, no. Non ho ancora fini… o mamma » stavo per dire che ne avevo ancora nel bicchiere ma non era così, avevo bevuto tutto senza accorgermene. « Okay » dissi avvicinando il mio bicchiere.
Avrei dovuto fermarmi, una persona coscienziosa l’avrebbe fatto. Purtroppo per me, non ero una persona che reggeva l’alcool e già con secondo bicchiere la mia testa si era fatta leggere e mi aveva resa sorda alla voce della mia coscienza. E poi quel vino era davvero buono. 
« Dicevi? » chiese, per poi versarsi un po' di vino e berne un generoso sorso.
« Dicevo, sono certa che avrà un grande successo che crescerà nel tempo » e lo guardai con un sorriso fiducioso prima di assumere un espressione preoccupata. « Tutto bene, Edward? »
Sogghignò e si stravaccò sul divano, un braccio sullo schienale e la testa poggiata sopra. Lo imitai ritrovandomi pericolosamente vicina a lui ma non me ne preoccupai, in quel momento non mi sembrava che ci fosse qualcosa di male.
Lui limitò ad annuire senza smettere di fissarmi. I suoi occhi erano verdi e non lo avevo mai notato, non era un verde acceso, avevo sempre creduto che fossero marroni, invece solo attorno alla pupilla c’erano delle pagliuzze color nocciola.
Erano belli, per quanto non avessero nulla di speciale, erano semplici, banali occhi verdi ma mi trasmettevano calore e sicurezza.
Il mio cuore prese a battere a ritmo serrato e deglutì cercando di liberarmi di quel groppo in gola. La situazione si era ribaltata, avevo paura per quello che sarebbe potuto succedere, ma allo stesso tempo fremevo dalla voglia che succedesse.
« There’s a fire starting in my heart / Reaching a fever pitch, / it’s bringing me out the dark / Finally I can see you crystal clear / Go head and sell me out / and I'll lay your shit bare ».
« Ecco, questo sarà il singolo » mormorai senza distogliere gli occhi dai suoi a pochi centimetri dai miei.
« There’s a fire starting in my heart / Reaching a fever pitch / And its bring me out the dark* ».
Era una situazione strana e rischiosa. Il mio cervello se ne rendeva conto ma elaborava la reazione lentamente, forse era meglio dire che era in pausa, non ragionava. Non feci nulla, rimasi ferma ad attendere quello che sarebbe arrivato. Edward iniziò ad avvicinarsi, sapevo, dovevo, spostarmi, era il mio capo e sarebbe stato un problema se qualcosa fosse successo, ma non lo feci.
L'unica cosa che vedevo erano i suoi occhi, le sue labbra sottili e dischiuse da cui arrivava il suo respiro caldo e dal leggero sentore di vino.
Rimasi con lo sguardo nel suo e fui io a eliminare completamente le distanze quando mancavano pochi centimetri.
Era un bacio cercato, avido e umido, le nostre lingue si cercavano, si rincorrevano a ritmo della musica di Alice.
Un basso gemito nasce nella sua gola e muore nella mia bocca, la mia mano corre al suo collo spingendolo maggiormente verso di me, sfiorai e poi strinsi i capelli soffici e freschi.
Edward mi prese per i fianchi, portandomi sopra di lui. Io, invece che resistere lo assecondai posizionandomi a cavalcioni su si lui. Sentivo la stoffa del mio vestito alzasi fino a metà coscia. Le mani di Edward vagavano sulle mie gambe alzandolo ancora di più.
Sentivo la sua eccitazione crescere, eco della mia che bruciava nel mio basso ventre.
« Ti andrebbe di vedere il sopra? » mormorò con voce roca senza però allontanare le sue labbra dalle mie.
« Molto » mormorai. Una volta salite le scale, non mi fece fare nessun giro turistico ma d'altronde lo sapevo perfettamente.




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Allora? Che ve ne pare? Bella ha avuto la sua occasione e Alice è stata accolta più che bene dal pubblico. Basterà? Che combineranno i nostri due protagonisti... un pò alticci e soli soletti al piano di sopra?
Spero di leggere qualche vostro commento.
La canzone è quella di Adele "Rolling in the deep" che personalmente trovo molto bella.

Grazie mille per le 10 reensioni al primo capitolo davvero non me ne aspettavo così tante! scusate il ritardo nel risponedere ma ho avuto molto da fare. Grazie anche ai lettori silenziosi e tutti quelii che hanno messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Vi ricordo la mi apagina
facebook per avvisi, anticipazioni o se volte chiedermi qualcosa,...
Ora scappo o se no perdo il treno^^ 

   
 
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