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Autore: Haruakira    17/04/2012    9 recensioni
Estratto: "Quando vide una testa bionda soffocò un urlo tra i denti facendo girare la padrona del locale verso di sè. Il primo istinto fu quello di nascondersi dietro il bancone e strisciare fino alla porta di servizio per scappare a gambe levate, le pizzicavano un poco gli occhi. Quando il ragazzo si girò e potè vedere il suo viso tirò un sospiro di sollievo, si toccò il cuore che pareva scoppiarle nel petto e si andò a nascondere in un angolino a ridere e a piangere insieme"
(N.B. Accenni shonen-ai Milo/Camus.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Kanon, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C.1 Libertà
Running away










Dov' era Dio in quella tenebra?
Dov' era il posto degli Dei in quel mondo?
Ci sono tanti piccoli Inferni su questa Terra , uno di questi Inferni era una sudicia prigionia traboccante di dolore ad un passo appena da un mondo di luce. Un Inferno mondano per nulla dissimile da tanti altri.
 Ma Dio non poteva varcare quel confine?
No, gli dei non scendono dai loro scranni illuminati per bagnarsi i piedi in questo mare miserevole di dolore e impotenza.
Ma se lo chiese comunque, disperatamente: Dov' era finito il suo Dio?




Da piccoli ti insegnano ad avere paura dell' uomo cattivo, di fantasmi che non possono toccarti  e  di bestie che non sono di questo mondo. Poi ti dicono di non fidarti degli sconosciuti, di non accettare le caramelle da nessuno, di non allontanarti da sola.
Ti inculcano la paura per il lupo, per il serpente, a volte ti invitano persino a temere l' animale più innocuo.
Ma nessuno ti dice che il tuo dolore può venire dalle persone a te più care, che l' uomo cattivo, il fantasma, la bestia, l' animale può essere chi ti sta accanto.
Nonna Katia era solita avvisarla con quella sua voce un po' rude e un po' gracchiante che il dolore poteva provenire da chiunque e da qualunque luogo. Non doveva mai fidarsi, glielo diceva una il cui marito era espatriato in un altro paese dopo quarant' anni di matrimonio. Puntualmente sua madre la rimproverava perchè secondo lei il mondo non era poi così brutto come diceva la nonna, che la stava spaventando inutilmente. Iniziò ad ammonirla sempre più spesso e con più vigore quando Dimitri entrò nelle loro vite.
Quanto si sbagliava sua mamma. Eppure era strano che proprio lei credesse ancora nella bontà della gente.
Era una specie di sonno offuscato, poco vivido e sempre più lontano, il viso di sua nonna si faceva sempre meno delineato, lo scialle verde si confondeva con il quadro appeso alla parete alle sue spalle, inesorabilmente quelle vecchie immagini sparivano risalendo in alto verso la coscienza di sè stessa e di ciò che la circondava.
Eiri aprì lentamente le palpebre degli occhi arrossati, sentì una specie di rantolo allo stomaco ma non era sicura di aver fatto nessuno verso. Ma quale sogno? Quale? La freddezza dell' acciaio intorno ai polsi e il riconoscimento dell' ambiente le diedero immediatamente la consapevolezza della realtà in cui era confinata come un pugno improvviso contro il petto. Dovette resistere all' istintiva reazione di piegarsi su sè stessa. Si mosse piano sentendo vibrare chiaramente nelle orecchie il suono molesto delle catene che la legavano al muro ricordandole ulterioremente la sua condizione. Cercò di mettersi meglio a sedere nel vano tentativo di appoggiare la schiena contro la parete. Un malcelato gemito di dolore le uscì dalle labbra facendola desistere dall' impresa. Alzò gli occhi scuri verso la piccola finestra alla sua destra, l' unico buco da cui filtrava la luce del sole, l' avevano sempre colpita i raggi immobili e sereni all' interno del quale sambrava danzare quieto un fitto pulviscolo.
 Sulle gambe poteva sentire la polvere accumulata sul pavimento, persino l' umidità viscida e ammuffita dalle pietre.
Lo squittio di un topo le fece istintivamente portare le gambe al petto in un moto di disgusto e paura. Rimase in quella posizione nonostante avesse visto la coda sottile sparire in un buco scavato nell muro. Avrebbe voluto essere un topo. Le fogne e la terra sarebbero state di gran lunga migliori di tutto quello.
Abbassò stancamente la testa di lato, avrebbe preferito essere ancora incosciente, magari addormentarsi per sempre.
Sarebbe stato bello, le pareva quasi poetico quel disperato agognare alla pace eterna. Persino il suono, pace eterna, le richiamava alla mente una quieta staticità beatamente luminosa, un sorriso ampio e distaccato sulle labbra, un corpo mollemente adagiato senza che nulla possa raggiungerlo o urtarlo o ferirlo.
Invece sentiva il corpo intero pulsare per il dolore, reclamare l' annullamento dei sensi quando il suo sangue colava dal naso sulle labbra, le scendeva fino al mento e gocciolava sui vestiti sporchi. Avvertiva il senso di bagnato sulle spalle e al tempo stesso quello del sangue rappresso e appiccicato alla camicia del pigiama.
Iniziò a dolerle la gamba sinistra, forse il tempo doveva cambiare. Era sempre così. Anche sua nonna diceva sempre che le facevano male le ossa quando il clima cambiava bruscamente.
Tirò leggermente le mani in avanti più che potè per vedere fin dove arrivasse la sua libertà costatando con la solita disperazione che era davvero breve. Non era neppure un metro, la sua libertà, ed era fatta con l' acciaio di una catena pesante e con i braccialetti duri che si portava legati ai polsi e alle caviglie come marchio di proprietà.
Non era quella la libertà, era un' illusione sperare che quel metro scarso di metallo potesse essere chiamato libertà.
Era schiavitù.
E il suo marchio di schiava era l' anello d' oro che portava all' anulare sinistro.
Doveva scappare quel giorno, quando lo aveva visto in faccia per la prima volta. Bastardo.
Gli occhi vuoti presero a guardare i pantaloni del pigiama logori e sporchi di sangue, era lì dentro da quattro giorni, ed era davvero strano perchè di solito Dimitri dopo due o tre giorni la tirava fuori di lì e si scusava... bè... più o meno, visto e che la considerava comunque una specie di cosa, un animale a voler essere generosi.
Un rifiuto che lui aveva generosamente sottratto alla strada e a cui aveva fatto il dono di essere la moglie agiata di un uomo importante, poteva dormire su guangiali morbidi e tra lenzuola di seta quel suo corpo indegno.
Ma rimaneva pur sempre un rifiuto.
Dimitri si premurava gentilmente di ricordarglielo assai spesso in modo che non potesse mai dimenticarlo.
Doveva avere memoria solo di lui, senza passato nè presente nè futuro che potessero essere diversi da lui, che potessero riguardare altro che non fosse lui.
Questa volta era stata punita perchè aveva cercato di togliersi la fede.
Oh, andiamo! Era stata punita per capriccio.
Perchè era un pazzo.
 Era di fronte allo specchio, uno sguardo come sempre rivolto alla porta nel terrore che Dimitri entrasse all' improvviso e l' altro sull' immagine di sè che le veniva riflessa. Si stava pettinando con cura i capelli castani cercando di disricare bene i nodi perchè a Dimitri piaceva farsi scivolare i suoi capelli tra le mani, senza ostacoli.
Aveva abbassato lo sguardo sulle proprie mani arrossate, una era ancora fasciata con le bende dopo l' ultima sfuriata di quell' uomo. Aveva adocchiato la fede e si era messa a piangere, tremando l' aveva sfilata lentamente come se in quel modo potesse avere l' illusione di un attimo di libertà, che tolta la fede non esistesse neppure Dimitri e tutto il resto.
Quando la porta alle sue spalle si aprì, alzò lo sguardo sullo specchio, di scatto, facendo rotolare l' anello sul tavolino, si girò verso di lui che le veniva incontro sorridendo rilassato, bello e apparentemente affabile con i lunghi capelli biondi che ricadevano placidi sulle spalle, gli occhi azzurri e il completo bianco che aderiva perfettamente sulla pelle.
Dimitri vestiva sempre di bianco, oppure di rosso. Diceva di amare quei due colori per ragioni completamente diverse, uno perchè puro, l' altro perchè gli ricordava la passione del sesso e assieme l' espiazione che simbolicamente donava il sangue versato.
Si avvicinò a lei poggiandole delicatamente le mani sulle spalle, abbassandosi all' altezza delle sue labbra per salutarla, scese a prenderele delicatamente le mani accorgendosi subito che qualcosa non andava, di sicuro.
-Tremano- notò quasi stupito guardandole coperte dalle sue con la coda dell' occhio senza però allontanarsi troppo dalle sue labbra.
Si mise dritto aprendole entrambe sui palmi delle proprie. Rimase qualche secondo in silenzio, sospirò come se fosse di fronte a un bambino che aveva commesso l' ennesima marachella, sfiorando l' anulare libero con il pollice e l' indice.
-Qui... qui manca qualcosa, non trovi?
-Io...- Eiri non sapeva che dire, si sarebbe messa a piangere e a implorare pietà se la paura non l' avesse bloccata.
Dimitri arricciò le labbra, lo faceva sempre quando pensava:- Perchè hai tolto la tua fede? Non ti piaceva più? Era il simbolo del nostro amore.-
Il simbolo della sua sottomissione.
Del suo non appartenersi più e dell' appartenere incondizionatamente a lui.
Eiri sfilò le proprie mani dalle sue, tastando il tavolino alla ricerca dell' anello, si piegò e tirò una specie di sospiro quando lo vide a terra, raccogliendolo. Lo indossò nuovamente e si accorse che era preciso.
-Era stretto- si giustificò prendendo la palla al balzo.
Dimitri si sedette di fronte a lei accavallando le gambe e poggiando pigramente la testa contro il pungo di una mano:- Ah... era stretto.-
Glielo sfilò e poi glielo rimise, ripetendo l' operazione un altro paio di volte.
Sorrise:- Non mi sembra. Voi rifiuti avete la pessima abitudine di mentire- fece una smorfia- e non sapete neppure vestirvi- osservò il pigiama azzurro che indossava- cos' è, Eiri? Non ti piacciono i vestiti che ti compro? Vuoi farmi buttare i soldi dalla finestra? - ciò che la inquietava di più era il tono estremamente calmo con cui le parlava, quasi indifferente, come se la cosa non lo riguardasse affatto. Altre volte sembrava più un medico che la analizzava, distaccato.
-Tu più di tutti dovresti conoscere l' importanza del denaro.- aggrottò le sopracciglia- e poi sai cosa? Mi da fastidio il fatto che tu non ti faccia mai bella per me. Non sei affatto sensuale. Poi è normale che io mi arrabbi o che ti tradisca. -sospirò- Oggi ho avuto una pessima giornata, sai?
Si alzò, afferrandola all' improvviso per il polso e trascinandosela dietro tra i corridoi enormi dell' antico palazzo. Eiri vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi leggermente sentendo gorgogliare una risata divertita. 
Spalancò gli occhi rabbrividendo mentre avvertiva chiaramente la pelle d' oca sulle braccia.
Arrivarono nella piccola cella.
Dimitri le sollevò le maniche del pigiama scoprendo uno dei polsi circondato da un vecchio bracciale spesso.
-Questo lo conosco- si ritrovò a sospirarle sulla sua guancia a occhi chiusi.
Era il bracciale della prima catena a cui l' aveva legata. Aveva voluto che lo tenesse. Per ricordo, diceva lui. Perchè gli piaceva che lei portasse un segno che la macchiasse ulteriormente, che la classificasse come sua proprietà.
La legò per i polsi e come ogni volta Eiri iniziò a piangere, con l' orgoglio e la dignità sotto le scarpe a implorare una pietà che non sarebbe arrivata.
-Questa sottomissione è eccitante, peccato che tu piagnucoli troppo- aveva affermato crucciato.
Eiri ruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri, lo avrebbe fatto ugualmente a dire il vero.  In quel momento sentì dei rumori improvvisi, dei passi concitati, infine degli spari. La porta della cella si spalancò e lei non potè fare a meno di urlare. Un uomo con una specie di divisa scura e un equipaggiamento pesante le puntò contro l' arma che reggeva tra le mani.
-Un ostaggio- gridò prima di entrare e di liberarla.
Non le sembrava vero, spostò le pupille da una parte all' altra seguendo i movimenti bruschi dell' uomo, le labbra semiaperte per lo stupore.
-Non si preoccupi, è tutto finito.
Eiri non stava capendo più niente. Forse era la volta buona che arrestavano Dimitri, ma per quanto ne poteva sapere   quello avrebbe potuto essere benissimo una specie di assalto da parte di qualche banda.
L' uomo sparì nuovamente verso il corridoio non appena sentì altri spari. Le aveva detto di restare lì ma Eiri aveva troppa paura. Non voleva morire in una sparatoria o roba del genere, inoltre quella poteva essere la sua unica occasione di essere libera. Si resse malamente sulle gambe e cercò in qualche modo di scappare velocemente, più facile a dirsi che a farsi in quelle condizioni. Camminava più rapida che poteva aggrappandosi al muro, imboccò un ingresso secondario difficilmente conosciuto dagli uomini che imperversavano all' interno del palazzo e si ritrovò ai piani superiori. Regnava uno strano silenzio, a tratti inquietanti. Eiri se lo spiegò immaginando che le forze di Dimitri erano tutte impegnate al piano terra e al massimo nei sotterranei dove si trovavano la maggior parte delle armi e macchinari vari, oltre che i laboratori di ricerca. Afferrò un vestito e un paio di scarpe da ginnastica,  degli oggetti di valore e il denaro che Dimitri non si creava problemi a tenere nel cassetto della scrivania, infine la cassetta di primo soccorso nel bagno, per mettere poi tutto nello zaino con cui era arrivata un anno primo in quel posto.
Nell' ala sinistra del corridoio c' erano delle scale strette, proprio dietro a una porticina di legno, che portavano fino alla cucina, Eiri si ritrovò nell' ambiente odoroso di cibi che cuocevano lentamente sul fuoco, la porticina che portava all' esterno spalancata e nessuna traccia di cuochi o domestici vari. Mise il naso fuori soffocando un ulteriore imprecazione per tutti quei movimenti bruschi.
Si accorse che lo scontro armato era concentrato sul lato principale della villa e di una cameriera che spariva al di là di una siepe. Si mise a correre ritrovandosi senza aspettarselo dall' altro lato del giardino, in un piccolo roseto. Si accodò alla gente che scappava. Attraversò con loro un campo di viti per accasciarsi stanca e in preda agli spasmi del dolore delle ferite tra i grappoli che iniziavano a crescere. Strinse i denti, gli occhi le pizzicavano, faceva male da morire.
Dannatissimo Dimitri.
-Marcisci all' Inferno!- si ritrovò a sputare con un tono ringhioso e abbastanza alto.
I domestici ormai non li vedeva nemmeno più.
Avrebbe continuato da sola, quel miraggio di libertà l' avrebbe fatta andare avanti. Era la sua occasione, forse l' unica. Si alzò in piedi ed attraversò il terreno.
Non si sarebbe fermata fino a che non si sarebbe sentita al sicuro.
Tre mesi più tardi...

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Note: Salve a tutti, spero che la storia possa piacervi, mi auguro di non commettere troppi errori e di creare un personaggio il più vicino possibile a una qualsiasi persona reale. Speriamo bene. Ovviamente vorrei sapere cosa ne pensate voi, sia in positivo che in negativo eventualmente, la speranza è l' ultima a morire XD
So di avere altre storie in corso, sto cercando di continuare a scrivere "Il buon vicinato".
Il raiting arancione mi sembra vada abbastanza bene, come vedete nonostante la tematica trattata non sia delle più leggere, ho evitato di descrivere le scene violente vere e proprie soffermandomi sul lato psicologico senza comunque, appunto, renderlo eccessivamete pesante. 
DISCLAIMER: I personaggi di Saint Seiya non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo di lucro.
   
 
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