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Autore: sayuri_88    24/04/2012    7 recensioni
« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa.
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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3 parte

La musica è l'unica lingua veramente internazionale. Un lied di Schubert, di Schumann o di Hugo Wolf non è tedesco. È umano.

( Charles Régismanset, Nuove contraddizioni, 1939 )

 

 

Era buio quando mi risvegliai. Ancora nell’incoscienza del sonno mi mossi nel letto, stiracchiandomi come Coca-Cola quando si svegliava. Il lenzuolo accarezzava la mia pelle dandomi una bellissima sensazione di benessere. C’era però qualcosa di strano, il materasso era troppo morbido e anche il cuscino, tanto che lo abbracciai come se fosse un peluche.

Ieri sera era stata una serata strana. Edward era stato così affabile e mi era piaciuto chiacchierare con lui, i bicchieri di vino di cui ormai avevo perso il conto avevano aiutato a sciogliere il ghiaccio, solo che avevo un buco enorme nella memoria e il mal di testa che mi stava torturando non era di grande aiuto.

Com’ero tornata a casa? Ma bastò che il mio olfatto registrasse una fragranza conosciuta e la nebbia che offuscava i miei ricordi si schiarì. Come tante diapositive che venivano proiettate una dietro l’altra, tutto tornò a galla. Io non avevo mai lasciato la casa di Edward e quello in cui ero distesa non era il mio letto!

Timidamente alzai il lenzuolo per vedere le mie condizioni e la realtà dei fatti mi colpì come un pugno in pieno viso. Tutto si poteva spiegare in una semplice e concisa frase: Io e il mio capo nello stesso letto a fare sesso.

« Oddio, no, no, no. Non è possibile » fu la mia litania. Nascosi il viso sotto il cuscino e voltai il capo verso il lato che avrebbe dovuto occupare il mio capo. Non c’era, era freddo, segno che si era alzato da tempo.

Che cosa avevo combinato? Non era da me fare quelle cose, l’avevo fatto una volta ed era stato così imbarazzante e squallido che mi ero ripromessa di non fare più cavolate di quel genere. C’era da dire che l’alcool aveva avuto la sua parte e mi aveva annebbiato il giudizio. Io l’avevo baciato, ero stata io a dare inizio a tutto. Valutai l’ipotesi di sgattaiolare fuori senza farmi vedere, cosa inoltre improbabile, e presentare io stessa la lettera di dimissioni per evitare che fosse Edward a cacciarmi a calci nel sedere. Certo che però lui non si era tirato indietro, anzi… era andato ben oltre le mie aspettative e quelle di Jessica.

Scacciai dalla mente i discorsi della mia amica, e le sue considerazioni, dicendomi che non era il momento più adatto per valutare le dimensioni della sua terza gamba, per dedicarmi al trovare una soluzione a quello sbaglio.

Sì, perché andare a letto con il mio capo, era stato un errore dalle dimensioni catastrofiche. Ne ero certa, avremmo parlato come persone adulte e avremmo trovato una soluzione. Almeno speravo.

Uscì dal letto come mamma mi aveva fatto e raccolsi tutto il mio coraggio assieme ai miei vestiti e mi chiusi in bagno. Un bagno che era grande come la zona giorno, cucina e salotto, del mio appartamento.

Sulla destra due lavandini e un grande specchio che copriva tutta la parete, sul lato opposto una doccia con la porta in vetro, e dietro a un divisorio una grande vasca idromassaggio e i servizi igienici. Repressi l’invidia che provavo in quel momento e mi lavai cercando di sistemarmi alla bell’e meglio.

Quando finalmente scesi, l’orologio segnava le due e trenta del mattino.

Trovai Edward seduto su uno degli sgabelli della cucina a sorseggiare una tazza di caffè. Tossì per palesare la mia presenza. Lui alzò lo sguardo e accennò un sorriso, non sembrava stupito, probabilmente mi aveva sentito andare in bagno, e nemmeno infastidito dalla mia presenza. Era un buon segno, no?

« Caffè? » mi chiese con tono pacato.

« Sì, grazie ».

Alla mia risposta si alzò e raggiungere la macchina. Recuperò una tazza e dopo averla riempita di quel liquido nero fumante, me la porse.

« È stato un errore, concordi con me? » dissi sedendomi su uno sgabello lontano dal suo. In qualche modo cercavo di creare delle distanze.

« Perfettamente, quindi non dovrà più succedere » concordò Edward « ammetto di essere attratto ma non voglio mischiare lavoro e il privato, altrimenti… »

« Ci sarebbero troppi casini » conclusi per lui anche se non potei impedire alle mie labbra di piegarsi in un sorriso - prontamente nascosto dalla tazza - e anche gonfiare il petto. Infondo conoscevo la sua politica e il fatto che abbia fatto uno strappo alla regola con me mi elettrizzava. Finimmo di bere il caffè in religioso silenzio e quando ebbi terminato, me ne andai.

In mente la promessa che una cosa del genere non riaccadesse più.

 

Si sa però, che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e alla prima ne è seguita una seconda, una terza, una quarta e via discorrendo. Non c’era più l’alcool da incolpare per non esserci riusciti a fermare. Mi chiamava adducendo alla scusa di Alice o qualche compito, ed io non riuscivo mai a dire di no.

 

 

Però la situazione aveva avuto un risvolto positivo, mi aveva aiutato a capire quello che davvero provavo per Jake. Insomma se ne ero davvero innamorata non mi sarei mai prestata a fare del sesso, del buon sesso occasionale, con qualcun altro. E quando lo vedevo con qualche ragazza, non sentivo più quel prurito alle mani che invece mi prendeva sempre prima.

Avevo capito di aver scambiato del semplice affetto per qualcosa di più, forse per il fatto che non avevo un uomo da due anni. Non che non abbia avuto pretendenti ma perché, dopo il primo appuntamento, massimo terzo, troncavo il rapporto. Certe volte era la scintilla a mancare, altre perché erano così fissati con il lavoro che non parlavano d’altro ma il più delle volte era perché volevano una notte e via mentre io cercavo qualcosa di più stabile.

Perché con Edward è una cosa stabile?

Il mio grillo parlante me lo chiedeva sempre e aveva ragione, tra noi non c’era nulla di più ma, ogni volta che m’impuntavo di andare a casa sua e parlare e porre fine al quella situazione, finivamo a rotolarci nel letto.

Non ero quel genere di ragazza da rapporti occasionali, ero sempre stata convinta che lo avrei fatto solo con il mio ragazzo ma non mi pentivo di quello che c’era con Edward e non me ne vergognavo.

A un certo punto, avevamo anche iniziato parlare, quando stesi sul letto, stanchi ma appagati, cercavamo di riempire il silenzio del "momento dopo". Gli avevo raccontato cose su di me che non avevo detto mai a nessuno e lo stesso fece lui. Senza nemmeno accorgercene avevamo superato una linea di non ritorno.

Il punto era che nessuno dei due lo aveva ancora capito.

Non sapevo cosa fossimo, certo non una coppia, forse potevamo entrare nella categoria “amici di letto”, ma non m’interessava. Eravamo solo noi e quello bastava.

Sguardi rubati, sorrisi maliziosi scandivano la mia giornata lavorativa, temevo che prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto ma, non facevo nulla per mettere un punto definitivo alla cosa. Eravamo arrivati anche a farlo in una sala registrazione, non avevo nemmeno dovuto trattenermi dal non urlare perché la stanza era insonorizzata e nessuno avrebbe potuto sentirci.

 

Confessai la tresca alle mie amiche durante il nostro solito pranzo del sabato, un mese dopo che tutto era iniziato. Non ci girai intorno altrimenti, conoscendomi, sarebbe arrivato Natale ed io non avevo ancora trovato le parole per dirlo. Si stavano complimentando con me per il dolce quando avevo sganciato la bomba. Tutte erano rimaste con la bocca aperta e Angela per poco non si strozzò con l’acqua che stava bevendo.

 

 

« Tu e il Signor Masen? » mi chiese dopo essersi ripresa.

« Sì ».

« E ce lo dici senza prepararci psicologicamente? » intervenne Jessica sistemandosi meglio sulla sedia e sporgendosi verso di me con sguardo acceso dalla curiosità. Non prometteva nulla di buono. Avrebbe voluto i dettagli, anche quelli più insignificanti.

« È una bomba del sesso? Com’è messo? Come lo avete fatto? » appunto…

« Jessica queste sono cose private. Non mi sembra il caso… » tentati sperando che presa da compassione chiudesse il discorso, purtroppo stavo dimenticando chi era il mio interlocutore.

« Al diavolo Bella, sono cose che si devono condividere con le amiche » obbiettò lei ma in mio aiuto soggiunse Angela che non aveva nessuna intenzione di scoprire le doti nascoste del suo capo. Non sarebbe più riuscita a guardarlo in faccia.

« Rose? Tu non hai detto nulla » dissi quando rimanemmo sole. Le altre due erano andate in salotto per guardare la loro puntata di Grey's anatomy.

« Che ti devo dire? » disse con un tono calmo che mi fece gelare sul posto, riuscendo a farmi sentire sbagliata. Se mi avesse urlato contro, avrebbe fatto meno male. « Ti devo dire che è okay o che stai facendo un enorme cazzata? Che sei diventata la… » ma si bloccò prima di terminare la frase guardandomi dispiaciuta.

Indurì lo sguardo e sprezzante mi ersi in tutta la mia statura, per quello che mi permetteva.

« Che cosa Rose? Perché non completi la frase? »

Rose abbassò lo sguardo e prese un respiro profondo.

« No, Bella non lo sei mi dispiace per quello che ho detto, non lo pensavo davvero, è la preoccupazione per te che parla… »

« Sono grande e vaccinata ».

« Sì, ma questo non è da te e ho paura che quando tutto finirà sarai tu quella distrutta e io non voglio vederti ridotta male per colpa di Masen ».

Potevo capirla, erano le mie stesse preoccupazioni, io non ero una che riusciva a separare amore e rapporto fisico, e l’apprensione di Rose che prima o poi sarei caduta nella rete era più che comprensibile. Edward era intelligente e simpatico e galante, qualsiasi donna sarebbe caduta ai suoi piedi ma fino a quel momento ero riuscita a mantenere tutto sotto controllo ed ero fiduciosa.

« Rose non ti devi preoccupare, so quello che faccio. Se le cose inizieranno a sfuggirmi di mano, la smetterò » la rassicurai e anche se non ne era molto convinta sorrise e insieme raggiungemmo le altre in salotto, ignare del nostro piccolo battibecco.

« A proposito, Angela? »

« Dimmi ».

« Tu hai mai bucato volontariamente delle gomme di un auto? »

« Che domande sono? Certo che no. Perché? »

« Nulla » risposi indifferente.

Potevo fidarmi?

 

Così continuai a vedere il mio capo al di fuori dell’ambito lavorativo e tra un’incontro e l’altro erano passati due mesi durante i quali era successo molto.

 

 

Il primo disco di Alice aveva avuto un buon successo, più di quello che pensassi ed erano in molti a chiederla come ospite in programmi sempre più importanti.

Ero felice per lei e già iniziavo a sperare in un secondo disco soprattutto dopo che Edward, durante una delle nostre serate mi aveva confessato che voleva discutere con il padre per stipularle un contratto che le avrebbe permesso di pubblicare altri due album con la C-Major.

Quella notizia mi aveva riempito di gioia e apprensione. Edward Senior Masen aveva lasciato la direzione della casa discografica al figlio ma spesso e volentieri continuava a mettere il becco nella società. In fondo erano soci alla pari nella gestione.

Quello che mi preoccupava maggiormente era che il padre era la versione più vecchia e arcigna del figlio. Un uomo che aveva come obbiettivo guadagnare il più possibile.

 

“ Non bisogna origliare ”. Quella era la prima cosa che le madri insegnano ai figli ed io da piccola non davo ascolto alla mia. Ecco perché mi trovavo con un bicchiere poggiato sulla porta della sala riunioni a cercare di capire quello che padre e figlio si stavano dicendo.

 

 

Purtroppo quello che captavo erano poche frasi e per nulla incoraggianti.

« Non andremo avanti » aveva detto il Signor Masen Senior a un certo punto.

« Perché? È molto buono. Hai visto le vendite, certo non sono altissimi, visto che il budget a disposizione era limitato ma con un giusto investimento… »

« Edward, quello che ci interessa è l’incasso che si ricaverà. I vestiti che hai addosso li pagano quei cantati che hai definito spazzatura. Non è un bel ringraziamento ».

« Papa lo capisco benissimo ma anche Alice porterà incassi e darà maggior spessore alla C-Major ».

« Il primo ha avuto successo ma prima o poi queste cose stancano ».

 

Colui che non può contare su alcuna musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo. Nessuno fidi mai in un uomo simile.

( William Shakespeare, Il mercante di Venezia, 1594/97 )

 

Ascoltando i pochi frammenti del loro discorso avevo capito cosa intendeva Edward quando mi parlava di suo padre. Con un uomo così anch’io avrei accantonato i miei sogni, ormai dei ruderi a furia di essere presi di mira da mio padre, e sarei diventata come lui.

Edward voleva solo essere apprezzato, cercava di trovare l’approvazione de padre e questa l’aveva trovata ignorando quello che lui provava per convertirsi al credo paterno.

Ma stava cambiando, pensai con un sorriso, aveva iniziato a riscoprire i suoi sogni e i suoi desideri, lui stesso me lo aveva confessato additando la mia testardaggine come causa primaria.

Io ero felice di averlo aiutato.

 

Dei rumori di sedie che stridevano sul pavimento, mi fecero scattare e per poco non mi cadde il bicchiere di mano. Corsi a nascondermi dietro la porta del bagno delle donne, lì vicino, e vi rimasi finché non sentì la voce autoritaria del padre di Edward allontanarsi. Sbuffai irritata, poiché persa com’ero nei miei pensieri, mi ero persa la parte finale del loro discorso. Che avranno deciso? Mi chiesi poco prima che la porta fosse spalancata con un tonfo, rivelando la figura elegante di Edward che, appena incrociato il mio sguardo si aprì in un sorriso sghembo.

« Bella, che ci fai nel bagno degli uomini? »

Rimasi interdetta dalla sua domanda. Era lui ad aver sbagliato, quello era il bagno delle donne.

Quando glielo feci notare, ridacchiò e m’indicò il piccolo cartellino appeso sulla porta e poi quello della porta a fianco. Sul primo c’era il disegno di un uomo in giacca e cravatta mentre sulla seconda una donna con indosso un vestito anni sessanta.

Senza troppe gentilezze mi trascinò dentro fino a farmi entrare in un bagno.

« In quattro anni non ti ho mai visto indossare tante gonne o vestiti come in questi ultimi mesi » mormorò prima di abbracciarmi e chiudermi le labbra con le sue, senza darmi il tempo di rispondere. Proprio quando stavo per ricambiare, ripresami dalla sorpresa, lui si staccò, lasciandomi insoddisfatta, e riprese a parlare. « Anche se la volta delle autoreggenti non la batte niente ».

Ridacchiai prima di baciarlo. Era stato quando mi aveva trascinato nella sala registrazione. L’unica volta che c’eravamo lasciati andare così tanto al lavoro.

« Qualcuno ha detto che gli piace quando li indosso » mormorai maliziosa, quando ci staccammo per prendere aria.

« Sai che mi tenti così » o sì che lo sapevo. Li indossavo solo per quello.

Per quanto avessi altro per la mente, molto probabilmente erano le stesse cose che passavano per la sua testa, prima dovevo chiedergli com’era andata a finire la chiacchierata. Mi staccai e lo guardai negli occhi cercando di ignorare quella nota di desiderio che leggevo nel suo sguardo.

« Che ha detto tuo padre? »

Edward sbuffò.

« Tu si che sai come rovinare certi momenti » disse per poi raggiunse il lavandino. Aprì l’acqua e si sciacquò il viso.

« Per quello ci hai già pensato tu chiudendoci nel bagno » gli dissi con un cipiglio indispettito e incrociai le braccia al petto. « Non è propriamente un luogo romantico per una coppia ».

Lui alzò lo sguardo sorpreso ed io lo ricambiai con uno incuriosito.

Perché gli si era rizzato il pelo?

 

Lo raggiunsi.

« Tutto bene? » chiesi poggiando la mano sul suo braccio. Indossava solo una maglietta a maniche corte e la pelle bruciava sotto la mia. Lui si scostò come scottato lasciandomi interdetta dal suo bizzarro comportamento.

« Sì, scusa, ora devo andare » borbottò asciugandosi velocemente le mani. « Cercherò di convincere papà per il contratto con Alice, quando si sarà calmato » promise, « ora come ora non mi darebbe retta »  non feci nemmeno in tempo a chiedergli cosa fosse successo che si avvicinò e mi lasciò un veloce bacio sulla guancia prima di sparire dalla mia vista, come Beep Beep che scappava da Willy il coyote.

Rimasi interdetta da quel cambio repentino di umore, e per diverso tempo rimasi a guardare la porta che continuava a cigolare avanti e indietro. Solo quando si fermò, mi decisi a uscire ma una brutta sorpresa mi attendeva.

« Isabella, hai sbagliato bagno a quanto vedo » esordì la voce melliflua di James. Non aveva gradito il mio colpo di stato con Alice e da quando avevo iniziato a lavorare come sua produttrice, aveva cercato di rendermi la vita un inferno.

« Ora capisco perché hanno preso Alice » sogghignò in un modo che mi diede sui nervi. James non mi era mai piaciuto e lo sopportavo solo perché mettermi contro di lui avrebbe voluto dire licenziamento.

« Ah si e perché? » chiesi usando un tono fintamente curioso.

« Beh… sei stata furba. Andare con il capo è stata una mossa geniale » raggelai a quell’accusa, che poi tanto accusa non era visto che era la verità ma Alice non era stata presa per quello. Lei era brava, se lo meritava.

« Come ti permetti? Alice è stata presa perché è brava e ha talento al posto delle tue cantanti da strapazzo che non sanno nemmeno cosa sia una scala musicale ».

« Certo, certo… » liquidò la faccenda con fare da superiore « ma la prossima volta vieni da me, non andare a sprecare le tue doti con Masen, io sono disponibile a venirti in contro » le ultime frasi le sussurrò al mio orecchio provocandomi tanti brividi lunga la colonna vertebrale, ma non certo di piacere all’idea della sua proposta.

La mia vista si fece rossa e poco dopo vidi James coprirsi la guancia con una mano e guardarmi prima sorpreso e poi con un sorriso diabolico. Solo dopo mi accorsi della mia mano che tremava e del palmo era completamente rosso, tanta era la forza che avevo usato per colpirlo. Gli avevo dato uno schiaffo ma non mi era bastato. Gliene avrei voluto dare altri mille per avermi offesa, per aver offeso Alice e infangato Edward con le sue accuse.

« Non avvicinarti a me. Mai più, sappi che mio padre è sceriffo e credimi quando ti dico che so usare benissimo un fucile da caccia se è necessario » lo minaccia con la voce che sembrava più il sibilo di un serpente.

« Abbiamo gli artigli vedo » mormorò lui senza nessun timore come se non credesse a nessuna parola. Se avesse fatto un passo falso, se ne sarebbe reso conto di quanto invece ero seria.

Un’ultima occhiata e se ne andò, scomparve dietro la porta del bagno.

Tutta l’adrenalina scomparve ed io iniziai a tremare come una foglia mentre a passo incerto mi recavo al piano in cui lavoravo. La prima a vedermi fu Angela che mi chiese cosa fosse successo. La tranquillizzai dicendo che sarei andata a casa prima poiché non mi sentivo bene. Non disse nulla, solo di riposare.

Passarono i giorni e Edward non si fece più sentire, lo vedevo al lavoro, quelle poche volte che veniva, ma non riuscivo mai ad attirare la sua attenzione. Al telefono neanche a parlarne. Era passata più di settimana e non capivo cosa fosse successo.

Pensavo di riuscire a parlargli all’inizio della nuova ma non si fece vedere. Un viaggio di lavoro che sarebbe durato qualche giorno, era stata la telegrafica risposta del signorino, erano le due di notte quando me lo inviò. Non disse altro, nessuna spiegazione del perché aveva ignorato i messaggi e tutto il resto e la cosa mi aveva fatto imbestialire. Il primo istinto era stato quello di mandargli un messaggio molto chiaro al riguardo ma, alla fine, avevo optato per l’indifferenza, più efficace di mille parole.

Ripensavo e ripensavo al nostro ultimo incontro nel bagno e niente mi aiutava a capire che cosa fosse successo.

Mi mancava, e non solo per il sesso, mi mancava il suo tocco, la sua bocca, mi mancava parlare con lui, ridere con lui, scambiarci giudizi su quel film o su quel programma televisivo, insomma mi mancava tutto e i sogni che popolavano le mie notti non aiutavano.

« Bella, ci sei? » la domanda della mia amica mi fece riprendere contatto con la realtà.

« Scusa mi sono distratta. Dimmi ».

« Sono nervosa per la cena con Emmet. Mi piace davvero tanto, non voglio fare figuracce perché spero tanto che funzioni tra noi » confessò con un sorriso innamorato sulle labbra. Emmet McCarty era riuscito nell’impresa impossibile. Aveva fatto sciogliere come un ghiacciolo al sole, la bella quanto algida Rosalie. 

« Sareste davvero una bella coppia » le dissi a cuore aperto. Erano belli insieme e l’allegria di Emmet, il suo carattere estroverso avrebbero giovato alla mia amica.

Ma quella frase, appena pronunciata, aveva fatto scattare qualcosa.

Non è propriamente un luogo romantico per una coppia…

Coppia: una parola, tre sillabe e sei lettere, che mi fecero comprendere quello che avrebbe dovuto essere chiaro da tempo. Avevo definito il mio rapporto con Edward come coppia.

Tutto era scivolato dalle mie mani come sabbia, ero caduta nella rete e l’illusione di essere riuscita a evitare l’irreparabile era caduta.

« Rose sono stata una stupida » mormorai guardando la mia amica disperata. Lo avevo fatto scappare, inconsciamente gli avevo confessato che mi ero innamorata o che comunque ero sulla buona strada.

« Bella? Che vuoi dire? »

Era ovvio che lei non capisse, prima parlavamo del suo primo appuntamento o poi io iniziavo una tragedia.

« Avevi ragione. Me ne sono innamorata e lui l’ha capito. È per questo che m’ignora » mormorai ripensando alle patetiche scuse che propinava quelle poche volte che riuscivo a parlargli.

Rosalie mi abbracciò, il mio viso era poggiato sulla sua spalla, cercava di trasmettermi il suo calore e la sua vicinanza.

« Vuoi che resti? Dico a Emmet di fare un altro giorno… » disse mentre mi accarezzava la schiena.

Mi sentivo rifiutata, gettata via come carta usata che non poteva più essere riciclata e per quanto avessi bisogno di parlare con qualcuno e passare la serata in compagnia non avrei permesso alla mia amica di rovinarsi la serata con il ragazzo che amava. Lei che lo aveva.

Feci un respiro profondo e ripresi il controllo di me stessa. Ero una donna matura che affrontava le avversità a testa alta, non era più la ragazzina vittima del acne che si rintanava a casa a ogni delusione amorosa, per quelle poche che avevo avuto.

« No, ho solo bisogno della mia vaschetta di cioccolato » mormorai alzandomi dal divano e correndo in cucina a recuperare il gelato.  

« Che me faccio di Edward Masen se ho Ben e Jerry*? » dissi tra me e me recuperando la vaschetta dal frizer.

Come chiamata la mia gatta fece la sua comparsa in cucina proprio quando recuperando i cucchiai. Presi anche una tazzina e tornai in salotto.

Avevo bisogno di affetto e tenerezza e in mancanza di un uomo la cioccolata era il miglior rimedio, come afferma anche Renée Zellweger in “Abbasso l’amore”.

 

 

Film che in quel momento mi sarebbe stato molto utile per capire come una donna potesse fare sesso senza sentimenti, proprio come gli uomini. Per mia fortuna faceva parte della filmologia che avevo in casa. Lo recuperai sotto lo sguardo incuriosito di Rose, lo inserì nel lettore e ripresi posto accanto alla mia amica.

Come sottofondo i miagolii di disapprovazione della gatta che elegantemente si sedette tra me e Rose anche se non la smetteva di far volare le sue zampette verso al ciotola.

Misi qualche cucchiaio nella ciotola e la sistemai davanti alla gatta che tra mille fusa si mise a leccare con ingordigia il contenuto.

« Mi fai compagnia mentre aspetti Emmet? » gli chiesi porgendole un cucchiaio.

« Non devi nemmeno chiederlo, Bella. Sicura che non ne vuoi parlare? » tentò lei accettando la posata.

« No, voglio vedere il film. Spiega come fare sesso senza sentimenti. Al momento ne ho molto bisogno ».

Scosse la testa e rimase in silenzio, aveva capito che quando m’impuntavo su qualcosa non mi smuovevo più. Bisognava prendermi in un momento di calma quando potevo ragionare.

 

« L’amore è una distrazione ».

« Ma se le donne dovessero smettere di innamorarsi sarebbe la fine della razza umana ».

« Niente affatto ho detto che le donne devono astenersi dall’amore e non dal sesso ».

 

« Ben detto Barbara, vedi lei ha capito tutto dalla vita » dissi rivolta alla mia amica che mangiava il suo gelato senza dire nulla. Anche se le accuse le leggevo tutte nei suoi occhi.

Te la sei andata a cercare, sembrava urlarmi.

 

« Perché non sono la medesima cosa? »

 

« Visto? L’uomo ragiona solo con la protuberanza che ha tra le gambe e basta ».

Rosalie alzò gli occhi al cielo mentre mangiava il suo gelato.

Intanto il film andava avanti, la protagonista stava spiegando il suo metodo a tre livelli per arrivare a comportarsi come gli uomini. Spiegando la sua soluzione.

« La cioccolata » dissi sovrastando la voce della protagonista « è la chiave di tutto ».

La cioccolata provocava le stesse reazioni che si provavano nell’atto sessuale. Nessun problema, mangi, godi e sei felice, in pace con il mondo.

« Bella non fare di un erba un fascio. Tu ti sei cacciata in questo guaio » disse con voce seria.

Mi sembrava strano che non avesse ancora detto quello che pensava. Come potevo darle torto? Aveva ragione da vendere.

Io mi ero cacciata in quella situazione, lei mi conosceva bene e sapeva che prima o poi per me la cosa sarebbe evoluta.

Abbassai lo sguardo per la veridicità delle sue parole.

« Sì, ma il pensare che lui mi abbia in qualche modo circuito mi fa sentire meglio » le risposi facendola sorridere.

« Bella, parla con lui, Masen sembra una preda braccata dal cacciatore quando è in ufficio ».

La guardai stranita. A me non sembrava impaurito.

« Forse anche per lui è lo stesso, forse anche lui si è accorto di aver superato un certo punto e di averne paura ».

« Sai, » iniziai per poi mangiare un po' di gelato « tu hai sbagliato lavoro » e la indicai con il cucchiaio sporco « dovevi fare la psicologa ». 

Rose ridacchiò e mi spintonò, cosa che non fu molto gradita da Coca-Cola che soffiò infastidita.

« Comunque non credo proprio che lui sia impaurito » dissi senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Era come in quel film di qualche anno prima, “La verità è che non gli piaci abbastanza” dove nelle scene iniziali, le amiche cercavano di rassicurare la protagonista con quello che lei voleva sentirsi dire.

Sentì Rosalie accarezzarmi il braccio. Ricambiai con un piccolo sorriso, contenta di avere un’amica come lei.

Guardammo il resto del film con i miei commenti di sottofondo, la mia amica sopportò i miei scatti in silenzio fino alla fine e solo verso le diedi di sera si congedò per raggiungere Emmet.

« Bella, non avrai intenzione di continuare se si dovesse ripresentare alla tua porta, vero? » mi chiese prima di uscire.

« No, parlerò prima con lui e se per lui non c’è nulla chiuderò la faccenda e andrò oltre » le dissi e lei più rassicurata se ne andò.

 

Sarei riuscita mantenere la mia promessa? Ne ero innamorata e si sa, quando si ama, spesso e volentieri, una donna mette l’orgoglio sotto i piedi.  Se fosse capitato a me, avrei resistito… è così che dicevo sempre quando sentivo le mie amiche parlare dei loro problemi o quando nei film la donna cedeva, appena l’uomo tornava.

Se fosse capitato a me, avrei resistito… già ma ora che mi trovavo in quella situazione non ne ero poi tanto sicura. Fortunatamente avevo ancora tutta la domenica e il lunedì per organizzare un piano di azione che mi avrebbe fatto uscire da quella situazione.

« Bene, Coca-Cola, siamo rimaste tu ed io ».

Alla la gatta non sembrava interessare, l’attirava di più la vaschetta di gelato da cui stava mangiando. Aveva fatto cadere la vaschetta che avevo poggiato sul tavolino ed vi si era infilata dentro nel tentativo di leccare il contenuto rimasto sul fondo.

Sembrava una di quelle foto buffe che si trovavano su internet con gatti o cani in situazioni strane.

« Sei un disastro » borbottai.

Raggiunsi il tavolino e recuperai la vaschetta e per poco non scoppiai a ridere svegliando tutto il piano. Coca-Cola era completamente ricoperta di gelato fino alla pancia.  La presi in braccio e la portai al lavandino dove, con l’aiuto di uno straccio cercai di ripulirla.

Avevo appena finito quando il suono del campanello mi fece sobbalzare guadagnando così un graffio sulla mano da parte di Coca cola che spaventata dal mio gesto improvviso era fiondata in bagno a nascondersi.

« Chi è? » dissi cercando di darmi un tono sicuro e vagamente intimidatorio.

In quel momento mi maledì per aver rifiutato la proposta di comprare una porta con lo spioncino, ma ero giovane e ingenua quando ero arrivata a Chicago e a Forks non ne avevamo mai avuto bisogno di certi mezzi per proteggerci da eventuali malfattori.

« Sono Edward » mi rilassai all’istante ma durò solo un momento perché fui presa dal panico. Che dovevo fare? Potrei fare finta di nulla e non aprire… ma ormai avevo parlato e sapeva che ero sveglia.

« Bella? » mi richiamò preoccupato non vedendo aprire la porta.

« Sì! » e quasi lo urlai « aspetta un momento non sono presentabile » esclamai raggiungendo la camera da letto dove recuperai una leggera vestaglia a chimono, che mi copriva fino a metà coscia, e poi gli aprì senza avere la minima idea di come mi sarei dovuta comportare.

Forse l’indifferenza sarebbe stata la mossa migliore, comportarmi come quando non sapevo nemmeno cosa provavo.

« Ehi, straniero sei tornato? » e mi stampai un gran sorriso in faccia. Edward invece tentennò, sembrava quasi imbarazzato, erano poche le volte che lo avevo visto in quello stato. Era una parte di se che non mostrava mai a nessuno e che lo faceva assomigliare a un bambino bisognoso di coccole.

Tutta la rabbia scemò nel nulla e rimase solo il desiderio di abbracciarlo come se fossi stata la fidanzata di un marinaio che dopo mesi vedeva il suo uomo tonare a casa.

L’amore è una distrazione diceva Barbara nel film e in quel momento le stavo dando pienamente ragione. Non m’importava che fosse sparito per una settimana senza farsi sentire e nemmeno che quella prima mi aveva quasi ignorato e non m’importava che forse non provava quello che sentivo io, che per lui nulla era cambiato da quando avevamo iniziato. L’amore mi stava dicendo di cancellare con una spugna tutto quello che era successo.

Edward non rispose subito, troppo concentrato a sottopormi a un esame a raggi X. Lo vidi deglutire e dentro di me gongolai per l’effetto che gli facevo nonostante tutto. Avrei potuto giocare con lui, fargli veder quello che si era perso. Finalmente alzò lo sguardo fissandolo nel mio ma non era quello che mi aspettavo.

« E tu così saresti presentabile? » disse con sguardo torvo. Sobbalzai per la sua domanda inattesa. « Che facevi se non ero io? » continuò. Adesso avanzava diritti che non aveva?

« Primo ti sei annunciato, quindi sapevo benissimo che eri tu e secondo non sono la tua fidanzata su cui puoi far valere i tuoi diritti » obbiettai. Edward strinse la mascella e chinò il capo.

« È vero » soffiò rialzando lo sguardo, come se il fatto che io non fossi la sua ragazza lo infastidisse molto.

« Soprattutto dopo essere sparito per una settimana » terminai accompagnando il tutto con uno sguardo torvo.

Lui addolcì lo sguardo tanto da sembrare imbarazzato e continuò « scusa se non mi sono fatto sentire per un po' ma avevo delle cose da fare » rispose e sembrava davvero dispiaciuto. Sorrisi e alzai le spalle in segno di non curanza.

« Non preoccuparti, non devi giustificarti » invece si che doveva, obbiettai nella mia mente.

Aveva visto qualcun’altra? Se la era portata a letto? Nello stesso letto dove lo avevamo fatto più di una volta o nella vasca?

« Entra » gli dissi facendo spazio per lasciarlo passare. Entrò e si guardò attorno come se fosse la prima volta.

« Senza di me questo posto è peggio di un porcile. Sei la solita casinista » disse guardandomi con un sorriso furbo. Gonfiai le guance, indispettita. Non si faceva sentire e poi appariva dal nulla e criticava il mio modo di tenere la casa. Forse c’erano troppe felpe, stracci, libri e riviste sparsi un po' ovunque, ma a me piaceva così. Era un appartamento vivo.

« Sei tu che sei un perfettivo maniaco dell’ordine ».

Ed era vero, quando veniva a casa mia negli ultimi tempi, si era messo a riordinarla. Alla mattina quando mi svegliavo trovavo il salotto ripulito dalle schifezze che avevo  lasciato in giro. Nemmeno una macchia di grasso sul lavandino. 

« Beh… ma tu sei un tornado, guarda qua… » mormorò recuperando un paio di ballerine nascoste sotto una delle poltrone del salotto.

« Senti io nel caos trovo il mio ordine, va bene? Quindi tieni i tuoi commenti per te » ed ero davvero arrabbiata, mi sembrava di sentire mia madre quando entrava nella mia stanza. Edward in risposta rise e scosse la testa. Solo lui ci trovava qualcosa di divertente.

Aprì la finestra che dava sul terrazzo e lasciò le scarpe fuori, poi la richiuse.

« Lo so, per questo sei la mia casinista preferita » disse con una sincerità disarmante che mi lasciò ferma davanti alla porta ancora aperta a boccheggiare.

Imbarazzata, gli diedi le spalle e la chiusi, un gesto che compì con lentezza, per darmi il tempo di ordinare le idee.

« Sai sono stato a Forks » disse di punto in bianco. Che ci era andato a fare? « I miei nonni materni vivevano lì e mi hanno lasciato la loro casa. Ogni estate passavo un mese da loro ».

« Anche io sono di Forks ».

« Lo so ».

« Non ti ho mai visto » mormorai mentre dimezzavo la distanza tra di noi e con un gesto della mano li indicai di accomodarsi. Edward si sfilò la giacca con un gesto fluido, deglutì quando vidi i suoi muscoli dell’addome tendersi.

« Se per questo nemmeno io » rispose, « li raggiungevo a luglio ». Si sedette proprio dove poco prima c’ero io.

« Io andavo da mia madre a Jacksonville nello stesso periodo » confessai.

« Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere la Bella adolescente ».

Mi accomodai stringendo le gambe al petto e poggiano la testa sulle ginocchia.

« Non ti sei perso nulla. Non sono cambiata molto » bugia, ma non potevo dirgli la verità « ma chi sono i tuoi nonni? Magari li conosco, anzi certamente li conosco. A Forks tutti sanno tutto di tutti ».

Ero arrabbiata con lui visto che si era presentato di notte dopo una settimana di silenzio e propinandomi una scusa che alla fine non lo era, ma ero una persona civile e avrei rispettato le regole della cortesia.

« Carlisle Cullen e Esme Platt ».

« Il Dottor Cullen? » chiesi conferma, anche se di Cullen c’era solo lui e, infatti, Edward annuì « Non sai quante volte mi abbia ricucito dalle mie cadute ».

« Era davvero bravo » disse con tono triste.

« Mi spiace per la sua morte. Era davvero una brava persona » mormorai con un sorriso amaro. Il Dottor Cullen era morto quando frequentavo il secondo anno di College, ero in piena sessione esami e non ero riuscita a tornare a casa a dargli l'ultimo saluto. Esme, povera donna lo aveva seguito un anno dopo. Non potevano stare separati.

« Anche a me è per lui che ho iniziato a suonare il piano, lo adorava » mi disse guardando fuori dalla finestra dove le luci dei lampioni illuminavano creando un gioco di luci ed ombre sugli edifici e gli alberi che costeggiavano il viale. Però il suo sguardo non guardava nulla di tutto ciò, Edward era perso nei ricordi dal retrogusto amaro.

Mi battei una mano sulla fronte stizzita « Che pessima padrona di casa non ti ho chiesto se vuoi qualcosa da bere. Acqua, caffè, birra…? »

« Della birra va benissimo » disse e si passò una mano sul viso con fare stanco. Recuperai la birra per me e per lui e tornai in salotto. Mi ringraziò e dopo averne bevuto un sorso, lanciò la bomba.

« E ho conosciuto tuo padre ».

« Cosa! »

« Un po’ burbero ma simpatico » se avesse saputo cosa faceva con sua piccola non sarebbe stato molto cordiale.

« E spiegami, come hai fatto a incontrarlo? Ti sei fatto arrestare? »

« Se te lo dico perderei tutto il mio mistero » ammiccò. « Mi hanno anche raccontato qualche aneddoto sulla tua infanzia e adolescenza » e per poco non mi strozzai alla sua affermazione. Lo guardai letteralmente terrorizzata, da piccola ero un peperino che non stava mai fermo e ne avevo combinate di cotte e di crude.

« Non è vero, papà parla con il primo estraneo che incontra » dissi assottigliando lo sguardo, certa che fosse una burla.

« È vero, ma come hai detto tu a Forks tutti sanno tutto di tutti ».

« Spara, che ti hanno detto? »

Il signorino prese tempo come a voler creare l’atmosfera e, in effetti, non stavo più nella pelle per sapere che cose gli avevano raccontato le male lingue di Forks.

« Primo, non sapevo fossi una piromane bruciare i capelli di Billy con la candela o allagare il bagno perché volevi fare una piscina per fare i tuffi visto che non potevi uscire per la neve ».

« Avevo nove anni quando l'ho incendiato ed è stato un incidente e per la piscina ne avevo quattro. Chi te l’ha detto? »

« Il tuo amico Mike New… qualcosa  ».

M’infiammai a quella rivelazione, quel piccolo traditore del mio migliore amico, voltagabbana, Giuda, e probabilmente sarei potuta andare avanti con insulti ben peggiori se un’altra coltellata alle spalle da parte del mio amico assente ma più che mai presente in quel momento.

« E ne avevi quindici quando al campeggio con la scuola hai inserito la spina del ferro da stiro  nel generatore togliendo la corrente a tutti o alla riserva... ».

« Okay, basta » dissi saltandogli letteralmente addosso e iniziando a fargli il solletico.

« No, Bella fermati » cercò di implorarmi quando riusciva a recuperare abbastanza fiato.

« Ve la siete cercata Signor Masen ».

« Bella, dovrò punirti » ritentò cercando di liberarsi di me, solo che io quando volevo ero peggio di un koala, di una scimmietta o dell'edera, ero meglio del super attak.

« Bene, l'hai voluto » disse per poi abbracciarmi e alzandosi di scatto dal divano, obbligandomi in quel modo a desistere dalla mia vendetta e aggrapparmi a lui con tutte le forze per non cadere.

« Mettimi giù, subito » gracchiai dimenandomi. « Aiah… » mi lamentai quando Edward mi lasciò un pizzicotto sulle natiche.

« No, ti avevo avvisata. Ora sarai punita » disse con tono che doveva essere fermo ma che non nascondeva una nota di divertimento.

Io non soffrivo il solletico, se non in un punto e lui lo aveva scoperto.

Mi buttò sul letto e mi prese i piedi intrappolandoli tra il braccio e il fianco e iniziò a farmi il solletico sulla pianta dei piedi.

Le preghiere non erano servite a nulla.

« O… o mamma » ansimai quando finalmente mi lasciò libera. Sentivo le guance accaldate che mi dolevano per le troppe risate, così come la pancia.

« Così la prossima volta impari » disse anche lui con il fiato corto. Si alzò dal letto e mi guardò con le mani sui fianchi. Un sorriso divertito e sincero sulle labbra e gli occhi lucidi. In quel momento il desiderio di averlo vicino era forte.

L’amore è una distrazione, dannatamente vero ma una bellissima distrazione.

Allargai le gambe e il suo sorriso prese una sfumatura maliziosa. Lo ignorai e stesi le braccia, invitandolo a venire da me. Lentamente appoggio il ginocchio sul materasso che si piegò sotto il peso. Poggiò le mani ai lati del mio busto e si chinò su di me fino a far scontrare che nostre labbra in un bacio lento, umido e delicato. Le mie mani corsero al suo viso, lo accarezzai, la fronte, gli zigomi, il mento per poi scendere sul collo fino ai suoi capelli, morbidi e setosi proprio come li ricordavo.

« Bella » soffiò sulle mie labbra per poi sfiorare con le sue il mento e il collo fino a scendere suoi miei seni, per quello che la canotta permetteva.

« Mi sei mancata da matti » disse mentre ripercorreva il percorso in salita. Con una mano nel frattempo scioglieva il nodo della vestaglia e lasciava che la sua mano malandrina s’intrufolasse sotto la canotta.

Io respiravo a fatica preda dei brividi e sensazioni che mi trasmetteva. Avrebbe potuto fare quello che più lo aggradava ed io non avrei mosso un dito per fermarlo.

« Non ti sono mancato? »

« Molto » riuscì a dire poco prima che il suo bacino si scontrasse con il mio ed io venivo pervasa dal desiderio di lui. Annullai tutto, tranne lui e la necessità di sentirlo in me.

In quel momento non m’importava che lui avesse fatto lo stronzo, che non si era fatto sentire e che dovessi essere arrabbiata con lui.

Liberai i bottoni dalle loro prigioni e presto tutti i vestiti superflui furono scaraventati a terra per la sua ilarità. La sua mania di ordine era ben presente anche in quei momenti. Sistemava i vestiti sulla sedia e poi mi raggiungeva a letto, se all’inizio ero rimasta allibita poi l’avevo presa sul ridere e spesso e volentieri lo canzonavo. Poi, certo, lui sapeva come azzittirmi proprio come in quel momento…

 



* Ben e Jerry è la marca di gelato più famosa in America, tra poco arriverà anche in Italia.




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Eccomi! Scusate il ritardo ma quando sono tornata mamma stava guardando Hachiko, è finito ora, e non potevo ignorarlo^^ è un bellissimo film se non lo avete visto ve lo consiglio. Allora questo doveva essere l'ultimo come avevo detto ma rileggendo mi sono accorta che erano 20 pagine e passa e ho deciso di dividerlo. L'ho detto sulla pagina FB ma per chi non mi segue lì lo scrivo anche qui.
Per il capitolo vi lascio ancora una volta a bocca asciutta ma nel prossimo mi faccio perdonare : )
Grazie 1000 alle 12 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, *O* mai ricevute così tante, e tutti quelli che hanno messo tra le seguite, preferite e ricordate la storia e anche quelli che leggono silenziosamente.

p.s: perdonate eventuali errori perchè ho avuto poco tempo per correggere e sitemare. 

   
 
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