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Autore: MaTiSsE    26/04/2012    2 recensioni
Nell'anno reale 421 il re Misticus muore improvvisamente lasciando il suo regno - il regno di Union - privo di un erede. La sua terra, un tempo prospera e felice quindi, si trasforma in un campo di battaglia allorché due famiglie rivali cominciano a contendersi il trono: la stirpe dei Malaleuca, cui era affidata la gestione dell'esercito nel vecchio regno, e quella dell'Edera, da sempre consiglieri del re. La guerra dura cinque anni e termina il giorno in cui gli Intoccabili – i vecchi sacerdoti - decidono di dividere il regno principale in due regni più piccoli, affidati uno ai Malaleuca e l'altro agli Edera e separati da Terra di Mezzo ossia la terra dei medesimi sacerdoti. Una tregua apparente s'instaura tra i due popoli fino al giorno in cui il secondogenito dei Malaleuca, Ioannes, non decide di rapire Crysalis, promessa sposa del principe ereditario di Edera…
Genere: Dark, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Under Cover Of Darkness
***










La donna alzò rapidamente gli occhi dal suo lavoro di cucito appena udì passi concitati fuori dal salottino. Era certa di vedere apparire la sua Crysalis tutta trafelata, con i bei capelli arruffati e le guance rosse perché aveva corso troppo per non arrivare a casa in ritardo.
Come se fosse servito a qualcosa, poi! In realtà, non avrebbe mai avuto coraggio di rimproverarla.
Fu tuttavia delusa: un’altra figlia fece il suo ingresso dalla porta.
 
“Ortensia?”
“Buon pomeriggio, madre.” rispose l’interessata alzando i capelli castani in una crocchia scomposta sulla nuca.
“Dov’è tua sorella?” rispose la donna senza ricambiare.
“Quale fra le tre?”
“Crysalis.”
“In giro per boschi.”
La donna sfilò gli occhiali da vista, rivelando due iridi blu e luminose.
“Perché mai Crysalis è in giro per boschi?”
 
Per un qualche motivo a lei sconosciuto, Rosaline cominciò a tremare: non si sentiva sicura a sapere sua figlia lontana da casa, specie da quando era stata ufficialmente presentata come promessa sposa del principe ereditario. I pericoli erano sempre in agguato quando si raggiungevano certe posizioni di potere.
 
Ortensia non rispose comunque. Non subito almeno.
Ci pensò qualcun altro al posto suo:
 
“Oh la caviglia! Attenta sorella, mi fai male così!”
 
Iris – l’ultima delle figlie dell’Amamelide – entrò nel salotto sorreggendo sua sorella maggiore Liliana, in lacrime e zoppicante. In ogni caso, la minore sembrava decisamente esasperata dalle sue lagne poiché non risparmiò di alzare gli occhi scuri al cielo di fronte all’ennesimo “ahi” pronunciato dalla ragazza.
La signora madre, di fronte a quella scena, si alzò quasi subito dalla poltrona di velluto rosso dove sostava pigramente, lasciando cadere senza premura il lavoro di cucito.
 
“Liliana! Cosa ti è accaduto?”
“Non le è accaduto un bel nulla, madre. O almeno, nulla di così drammatico.”
“Iris! Sei crudele! Oh madre, uno scivolone terribile lungo le scale del giardino…non riesco a poggiare il piede in terra!”
“Mi fa tanto male la caviglia” la scimmiottò Iris, sempre continuando a sorreggerla.
“Smettila! E aiutami a sedermi, piuttosto!”
Ortensia guardò ad entrambe con un risolino, prima di lanciarsi a soccorrere Iris nel tentativo di sistemare Liliana sul divano più vicino. Poi, tornò a rivolgersi alla madre:
“Ecco il motivo per cui Crysalis è per boschi, madre. E’ alla ricerca di erbe medicamentose per questa combinaguai.” spiegò valutando la gravità della ferita della sorella.
“Ho capito, ma in quali boschi si è diretta?”
“L’ho vista andare verso Ovest.” rispose subito Iris, accomodatasi sul bracciolo del divano accanto a Liliana: per quanto detestasse le lagne della sorella e fosse solita prenderla in giro per la sua debolezza, le voleva un gran bene e non riusciva mai a staccarsi da lei.
“Verso…Ovest? Verso Terra di Mezzo? Iris, verso Terra di Mezzo?” domandò la donna ancora più freneticamente, arpionando la figlia minore per le spalle. Iris la guardò sconcertata: sua madre era sempre stato un tipo calmo e pacato e non conosceva di certo il significato della parola panico. Da dove le veniva dunque tutta quell’ansia?
“Madre, tranquillizzatevi: cosa c’è di strano? Crysalis è abituata a girare per boschi…”
La donna guardò sua figlia con occhi vacui: Iris aveva ragione. Perché si stava preoccupando tanto? Crysalis conosceva perfettamente i boschi al confine del regno dell’Edera, anzi: lei stessa era solita prenderla in giro bonariamente, chiamandola “fatina della natura” proprio per quella sua passione.
Eppure… eppure l’idea che per quel giorno si fosse spinta a Ovest, per un qualche ragione che non le riusciva di afferrare, la destabilizzava. Aveva un peso sul cuore cui non era in grado di dare una spiegazione.
 
Ortensia le rivolse uno sguardo perplesso.
“Madre, non è il caso che vi agitiate così: tornerà fra poco, vedrete.”
“E’ già tardo pomeriggio… tra non più di un’ora il sole comincerà a calare.”
“Per quel momento sarà già tornata.”
“Oh madre, perché vi disperate per Crysalis quando sono io quella inferma? Guardate la mia povera caviglia gonfia!” si lamentò ancora una volta Liliana, sentendosi messa da parte. Tutto ciò che rimediò, tuttavia, non fu altro che uno scappellotto bonario da parte della sorella minore:
“Io dico che l’unico problema qui sei tu perché sei una stupidona… Ecco!”
 
Ortensia ridacchiò: nonostante il tono delle conversazioni non fosse propriamente il più adatto per le discendenti dell’Amamelide né per le sorelle di una futura regina, le procurava sempre molta ilarità e anche stavolta non se la sentì di rimproverarle. Dopodiché tornò a guardare sua madre col suo sorriso gentile: era molto diversa da Crysalis, più dolce e pacata. A volte sembrava lei la maggiore.
 
“Madre, adesso rilassatevi, per favore, e terminate il vostro lavoro di cucito. Vedrete che per cena Crysalis sarà tornata a casa. Certamente col vestito logoro e i capelli in disordine, quindi preparatevi a farle una bella strigliata”
Le fece l’occhiolino e la donna sorrise: quella sua figlia così saggia e assennata sapeva sempre tranquillizzarla.
“D’accordo tesoro, hai ragione: mi sto facendo prendere da un’ansia inutile. Adesso devo terminare il mio lavoro ma tu, Liliana, metti del ghiaccio su quella caviglia. Prossima volta sii meno sbadata e non lamentarti sempre: noi donne dell’Amamelide raramente piagnucoliamo in questo modo. Forza e coraggio!”
Iris scoppiò a ridere di fronte alle parole della madre.
“Lily è una piagnucolona, Lily è una piagnucolona!” intonò con vocina infantile prima di fiondarsi verso la porta.
“Vieni qui se hai coraggio!”
“Fossi pazza! Prova a prendermi!”
 
 
 
“Cresceranno mai?” domandò la donna ad Ortensia. La ragazza sorrise, divertita.
“Penso proprio di no.”
 
 
 
***
 
 
Un’altra madre, in un altro regno, quel pomeriggio se ne stava seduta  elegantemente sulla sua poltrona di velluto viola. Il libro dalla copertina blu che stava leggendo si confondeva tra le pieghe del suo vestito scuro; il velo leggero che indossava non poteva nascondere quello che in passato doveva esser stato uno tra i più bei volti di tutto il regno di Union.
Quella madre si chiamava Layra, sposa di Hector e regina della Malaleuca.
La donna più potente del regno.
 
 
“Dovreste illuminare la stanza quando leggete, madre, o la vostra vista ne risentirà.”
 
Alzò gli occhi scuri Layra ma non ebbe bisogno di soffermarsi per comprendere a quale dei suoi figli appartenesse quella voce: l’avrebbe riconosciuto a prescindere, persino dal semplice rumore dei suoi passi.
Ioannes entrò fieramente nella camera della madre e si inginocchiò ai suoi piedi; Layra gli allungò una mano per riceverne un delicato bacio sul dorso, e dopo gli lasciò un buffetto affettuoso sulla spalla.
 
“Alzati, figlio caro. Com’è andata la tua giornata?”
“Meravigliosamente”
Gli occhi scuri di Ioannes brillarono d’improvviso nella penombra della stanza. Layra, piuttosto, rabbrividì riconoscendo in essi un luccichio che le era familiare. Un luccichio di crudeltà e follia, lo stesso che aveva più volte scorto negli occhi di suo marito anni prima, quando i bambini erano non più alti di un alberello appena piantato e lei li distraeva raccontando favole divertenti. All’epoca Union bruciava tra le fiamme di una guerra che non le apparteneva e nel silenzio della notte il rumore metallico delle spade che si incontravano e le urla dei prigionieri apparivano intensificate e impossibili da sopportare. Eppure Hector s’infiammava a certe scene, davanti alla visione della battaglia, all’idea del sangue, del nemico sconfitto e torturato: in quei momenti quasi non riusciva a ritrovare in lui l’uomo che amava e che aveva sposato.
Scoprire adesso il medesimo luccichio di compiacimento e crudeltà negli occhi di suo figlio le era quasi più insopportabile che individuarlo nello sguardo del marito. Perché Ioannes era cresciuto trasformandosi in un giovane bellissimo ma per lei restava sempre il bambino che nelle notti di tempesta faceva capolino dalla porta della camera da letto padronale perché aveva paura. Se lo ricordava ancora, mentre correva a darle la mano stando bene attento a non svegliare l’austero papà: Hector, infatti, non tollerava che un figlio della Malaleuca potesse temere i fulmini e le saette. E allora lei gli sorrideva nel buio, sempre tenendolo per quella sua manina morbida e calda, e si nascondeva in camera con lui a cantargli dolci nenie finché non ciondolava, esausto, tra le sue braccia.
Le diceva “ti voglio bene mamy” ancora, mentre già sonnecchiava.
Cosa ne era stato dunque di quel bambino? Chi l’aveva trasformato in un uomo dallo sguardo di ghiaccio?
Hector, forse?
 
“E’ accaduto qualcosa in particolare?” domandò perplessa.
“Sì. Ho rinchiuso con le mie stesse mani una prigioniera nelle Celle Nere.”
 
Layra sussultò. Pensava fosse passato da un pezzo il tempo dei prigionieri.
 
“Che diamine vai dicendo?”
“Quello che avete sentito, madre. Abbiamo una prigioniera: una figlia dell’Amamelide. La figlia dell’Amamelide, per eccellenza: Crysalis, promessa sposa del futuro sovrano del regno dell’Edera.”
 
Layra scattò dalla sua postazione mentre il pesante volume che portava in grembo rovinò miseramente sul pavimento. Strinse le mani in un pugno finché le sue nocche non sbiancarono del tutto. Tremava visibilmente: conosceva fin troppo bene le donne dell’Amamelide per non risultare scossa da una simile notizia.
 
“Come hai potuto, Ioan? Perché?!”
Quasi urlò: soltanto il suo rango le consentì di trattenersi. Non poteva credere alle sue orecchie.
Ioannes, di tutta risposta, si versò un bicchiere di succo di cedro che la madre teneva sempre a portata di mano sul tavolino del salotto, senza scomporsi. Piuttosto, col medesimo bicchiere tra le mani, si avvicinò alla finestra dandole le spalle.
 
“Davvero c’è da chiederlo, madre? I motivi sono due.”
“Ossia?”
“In primis perché in questo modo avremo un buon pretesto per ricominciare la guerra con la Stirpe dell’Edera. Appena si renderanno conto che la loro pupilla sia stata rapita si precipiteranno qui e finalmente metteremo fine a questa ridicola tregua. E siccome noi della Malaleuca siamo evidentemente i più forti, questa volta li sconfiggeremo senza problemi, cosicché potremo riunificare Union sotto il nostro esclusivo potere. In secondo luogo perché rapire una figlia dell’Amamelide rappresenta un atto di coraggio da parte mia, un atto che convincerà finalmente mio padre a designarmi successore al trono. Né Iratius né Sardiff prenderanno il mio posto, madre,, e non m’importa che siano miei fratelli maggiori: il regno spetta a me, me lo merito. E’ mio e lo voglio.”
 
Si voltò a guardarla, di nuovo con i suoi occhi scuri e quel sorriso crudele da vincitore. Layra rabbrividì; aveva la risposta, ancora una volta: la persona che aveva trasformato Ioannes era Hector, suo padre. E la sete di potere cui l’aveva abituato. Soltanto per compiacere lui il giovane Ioan aveva ripudiato il bambino felice che era stato un tempo.
 
“Non voglio credere che tu sia così venale, assolutamente privo di sentimenti e terribilmente votato alla guerra.”
“Sono un Malaleuca madre, di cosa vi stupite?”
“Hai realmente catturato una fanciulla?”
“Certo. Non vi mentirei mai.”
 
 
Mentirmi non lo faresti mai ma causare del male al mio cuore sì, figlio scellerato!
 
 
“Dove…l’hai rapita?”
“Al confine con Terra di Mezzo.”
“Nel regno degli Intoccabili?” sgranò gli occhi, sconcertata “Vuoi lasciarmi intendere che l’hai rapita davanti a loro?”
“Non hanno fatto in tempo a fermarmi: ero già lontano quando se ne sono resi conto.”
“Tu…tu sei impazzito!” sbottò infine agitando le mani per aria “hai perso il rispetto per gli dei, Ioannes? Gli Intoccabili…”
“…Sono sacri e rappresentano la personificazioni in Terra delle nostre divinità. Sì, lo so” rispose scettico “ma non m’interessa. Voi li temete, io ci rido sopra. Non ci credo, sono solo sciocchezze e non li rispetto.”
“Ioannes!” urlò nuovamente ma senza speranze: sapeva che il suo rimprovero non valeva tanto quanto quello del coniuge. Da troppi anni ormai nessuno dei suoi tre figli le dava più ascolto. “Sai che la volontà degli Intoccabili è imprescindibile e superiore alla nostra! Persino il buon Misticus…”
“…Si piegava ai loro ordini. Lo so madre, me l’avete ripetuto fino alla nausea. Ma Misticus è morto quindici anni fa ormai e, pace all’anima sua, di ciò in cui lui credeva e obbediva a me non importa un fico secco. I tempi sono cambiati e francamente questa storia degli Intoccabili mi ha un po’ scocciato: nel loro territorio non puoi dire o fare nulla e guai a pensar male contro di loro… ma per favore! E’ colpa di quei quattro sacerdoti da strapazzo se Union non esiste più e dobbiamo accontentarci di un regno piccolo e misero. Se non avessero deciso di porre fine al contendere dividendo Union in due differenti reami…”
“Adesso saremo tutti morti, vittime della nostra ingordigia.”
“Voi dite madre?” rispose il bel giovane riponendo il bicchiere sul tavolino in legno “io invece dico che a quest’ora Union sarebbe una e immensa e noi Malaleuca ne saremmo i signori e padroni. Adesso vogliate scusarmi, vado a chiedere notizie della prigioniera.”
Si chinò quindi per baciare la mano della venerabile genitrice; Layra non arretrò ma un pochino fremette: non riusciva a guardarlo negli occhi quel suo figlio tanto amato. Perché avrebbe dovuto piuttosto bacchettarlo e allontanarlo mentre stava lì, viceversa, a ricevere quel bacio e desiderare di cambiarlo, renderlo una persona migliore. Se foste stato un estraneo a parlarle in quel modo l’avrebbe già fatto fustigare per tanta irriverenza: con Ioannes, invece, non poteva nulla. Lui era più forte.
 
Non lo guardò andar via. Continuò a dargli le spalle mentre il tonfo della porta che riecheggiava nell’aria le lasciava intendere che fosse ormai lontano.
Avrebbe dovuto saperlo che non lo perdonava per quelle parole eppure Ioannes sembrava non curarsene, proprio come non si curava degli dei e degli Intoccabili. Piuttosto l’aveva lasciata lì, da sola, con i suoi dubbi e i suoi perché.  Layra avrebbe persino pianto se il suo orgoglio di donna della Malaleuca non gliel’avesse impedito: non era soltanto Hector a dover portare alto il loro nome.
Lei era pur sempre la sovrana. E la madre di quei figli disgraziati.
Cosicché vagò un po’ incerta per la stanza, concedendosi del tempo per riflettere; raccolse da terra il libro che stava leggendo, tirò le tende con un gesto secco e poi si fermò ad osservare la sua figura nel grande specchio della camera padronale. Scoprì occhiaie scure e profonde e qualche ruga all’angolo di quella sua bocca dalle labbra tirate.
Quasi non si riconobbe: Ioannes, con quei suoi comportamenti vergognosi, sapeva sempre trasformarla regalandole un’espressione di dolore che non le si addiceva.
Chiuse gli occhi e si voltò: non voleva continuare a guardarsi.
Piuttosto, afferrò il campanello con il quale era solita chiamare la servitù e lo agitò più volte, con foga: una servetta accorse quasi istantaneamente.
“La signora desidera?”
“C’è una prigioniera nella Celle Nere, Cristina?”
“A quel che dicono sì, signora.” rispose la giovane standosene inchinata al cospetto della sua padrona.
“Ha mangiato?”
“Non saprei…”
“Bene. Allora fammi preparare un vassoio con del cibo…molto cibo. E dopo portami da lei.”
“Ma…Signora! Il signor padrone…”
“Ho detto portami da lei e non discutere. Al signor padrone ci penserò io.”
 
La servetta la guardò a bocca aperta per qualche istante, da dietro le ciocche bionde di capelli sfuggite al suo severo chignon. Poi annuì prima di correre verso la porta d’uscita, in direzione delle cucine.
Meglio non contravvenire ai desideri della signora di Malaleuca: non ci teneva ad essere punita.
 
Layra tornò a guardarsi allo specchio: stavolta sorrise.
Aveva fatto qualcosa per se stessa, ignorando quella che sarebbe stata l’ira di suo marito. Si sentiva meglio.
Inoltre, stava lavorando per il bene di una povera fanciulla: anche questo l’aiutava a sentirsi meglio. Forse Ioannes dava poco credito ai sommi sacerdoti ma per lei la misericordia che le avevano insegnato valeva ancora qualcosa.
 
“Non lascerò che nessuno – neppure mio figlio – tratti male una figlia dell’Amamelide. Tratti male tua figlia, Rosaline.” dichiarò infine prima di abbandonare la camera buia.
 
 
 
***
 
 
 
Verso mezzanotte, decine di uomini, a cavallo dei loro destrieri, lasciarono il palazzo dell’Amamelide per dirigersi verso la dimora reale dei signori dell’Edera. A capo della processione vi era la carrozza dei signori padroni in cui sedevano due agitatissimi genitori assieme alla secondogenita.
“Lo sapevo, lo sapevo” ripeteva Rosaline torcendosi le mani “…me lo sentivo.”
“Madre, vi prego, calmatevi. Vedrete che Blanes la ritroverà e sistemerà tutto.” rispose Ortensia ma il suo tono di voce era poco convinto: in realtà, sembrava non crederci neppure lei.
“Rosaline, ha ragione Ortensia. È inutile crucciarsi in questo modo. Basta Liliana a disperarsi per richiamare sciagure.” aggiunse Oscar, suo marito.
In effetti, Liliana, a casa, non faceva altro che singhiozzare e colpevolizzarsi. Quando – sceso ormai il buio – era stato chiaro a tutti che Crysalis non sarebbe tornata né per cena né oltre, la sorella minore si era data della stupida: se non fosse caduta e non avesse piagnucolato tanto per una simile sciocchezza, la maggiore non si sarebbe allontanata. Chissà fin dove si era arrischiata  per lei e cosa le era accaduto!
Ecco perché gli augusti genitori avevano preferito non portarla con sé fino alla dimora reale degli Edera: piuttosto, avevano chiesto ad Iris e alla servitù di tenerle compagnia e prepararle una qualche tisana rilassante. Nessuno, tuttavia, era certo che avrebbe funzionato.
 
Quando giunsero al palazzo reale non fu necessario neppure che qualcuno li annunciasse: Blanes, Idias suo padre e la madre Caronne già li aspettavano nel cortile.
Rosaline sporse appena la testa dal finestrino della sua carrozza e così scoprì, accanto ai sovrani – nonché futuri parenti – Nominus.
Il primo segretario dell’Ordine degli Intoccabili nonché spalla destra del Sommo Sacerdote.
 
“Che gli dei mi aiutino! Nominus è qui!” commentò portandosi una mano sul cuore: era sul punto di svenire.
Oscar allontanò Rosaline dal finestrino tirandola per la vita e dopo vi si affacciò a sua volta: sua moglie aveva ragione: Nominus era lì con i sovrani. Ora, già l’idea che avesse abbandonato Terra di Mezzo per giungere ad Edera non era un buon segno: se a questo si sommava la strana ed angosciata espressione di Caronne o lo sguardo furioso e disperato di Blanes il tutto prendeva una piega assolutamente terrificante. Per la prima volta in tutta quella strana giornata rabbrividì anche lui e la voce gli tremò mentre ordinava al cocchiere di fermarsi.
 
I due coniugi scesero in fretta dalla vettura mentre Ortensia – la cui corporatura non era esattamente esile e longilinea – arrancava con qualche difficoltà in più. Stranamente, nessuno se ne curò fatta eccezione per un garzone dei sovrani: erano tutti troppo presi da altro per badare a sciocchezze come quella.
 
“Blanes, figlio mio” incominciò Oscar inchinandosi al cospetto delle sue altezze reali “Sono qui per parlarti di qualcosa che mi angoscia enormemente…”
Blanes alzò la mano, costernato.
“Non c’è bisogno di parlare, Oscar. So già tutto.”
 
Caronne singhiozzò nel mentre, correndo ad abbracciare la povera Rosaline: nessuno, più di lei, poteva conoscere il suo dolore. Erano madri entrambe.
Ma Rosaline non comprese, non subito almeno. O forse, semplicemente non voleva accettare che sua figlia fosse ormai in trappola. Cosicché la guardò sconcertata per qualche istante prima di parlare.
“Perché piangete?”
“Oh, Rosa, mia cara Rosa…”
“La ritroveremo…”
“Che cosa…?” domandò Ortensia ma non riuscì a terminare la sua domanda.
“Non sapete dunque? Nominus…” chiamò Blanes “per favore, spiegate voi…”
Nominus annuì.
Portava una barba lunghissima, bianca e grigia: il suo saio color crema scendeva a toccare il selciato sottostante ed un grosso cappuccio ne copriva in parte le fattezze: a guardarlo vestito in quel modo trasmetteva ancora più angoscia del necessario.
“Riteniamo quasi certamente che vostra figlia, signore dell’Amamelide, sia stata rapita da un servo della Malaleuca. Forse da qualche membro della stessa famiglia.” spiegò.
 
Un urlo squarciò il silenzio della notte:
 
“No…NO!”
Rosaline si accasciò sul terreno, appena sorretta da Caronne e Ortensia.
Oscar, viceversa, deglutì a malapena, sconcertato. Non aveva parole per commentare ma era il capo famiglia ed il patriarca della stirpe: la sua posizione richiedeva mente fredda e lingua pronta, non c’era spazio per i sentimentalismi.
“Come potete…esserne certo, Nominus?”
Il sacerdote sospirò, prima di porgergli una spilla: di un argento scintillante, rappresentava un ramoscello esile cui si dipartivano degli strani petali, di forma vagamente rettangolare, intrecciati e disordinati così com’erano i petali dei fiori di Amamelide.
 
“Questo è la spilla della vostra casata, non è così?”
Oscar annuì, rabbrividendo.
“Sì. La spilla che solo la primogenita indossa al di sotto dello stemma che è cucito su ogni abito che le appartenga. Questa è proprio quella di Crysalis…” concluse con voce strozzata, accogliendo il gioiello fra le proprie mani.
 
Il sacerdote annuì a sua volta, nascondendo più attentamente il volto al di sotto del cappuccio.
“Mi dispiace, non abbiamo agito abbastanza velocemente da salvarla: il suo rapitore è stato accorto, quasi paradossalmente silenzioso. Se non fosse stato per quell’urlo e per il rumore assordante degli zoccoli quando il cavallo è stato lanciato al galoppo nessuno tra noi se ne sarebbe accorto…”
 
Di nuovo Rosaline singhiozzò. Non riusciva ad immaginare la sua bambina trascinata via da un barbaro e gretto suddito della Malaleuca.
 
“Come fate ad essere certi che si trattasse di un Malaleuca?”
“Abbiamo riconosciuto i loro destriero: nero come la notte, come solo un Malaleuca può possederlo.”
“Che siano maledetti!” sussurrò allora Blanes, stringendo le mani convulsamente. Tornava a parlare dopo interminabili minuti di silenzio e riflessione; i suoi occhi apparivano inverosimilmente azzurri, quasi di ghiaccio. A guardarlo metteva terrore, pallido e tremante com’era: sua madre Caronne temette per la sua salute.
“La ritroveremo Blanes…” cercò di tranquillizzarlo.
“Ovviamente, madre” rispose quest’ultimo senza ricambiare la sua occhiata: fissava un punto nel buio e parlava meccanicamente. Amava troppo la sua promessa sposa per concepire una scelleratezza del genere.
“La ritroveremo presto perché io stesso mi recherò nel regno della Malaleuca e ucciderò con le mie mani chiunque abbia osato torcerle un solo capello o anche soltanto sfiorarla.”
“Voi non potete. In questo modo contravverrete all’ordine degli Intoccabili.” rispose Nominus prontamente “Come sacerdote…”
“Come sacerdote dovreste preoccuparvi di punire i Malaleuca piuttosto che reguardire me. Io vado soltanto a riprendermi ciò che è mio.”
“Abbiamo lavorato per anni affinché la pace tornasse a regnare fra voi, principe Blanes. Non lasceremo che la roviniate con la vostra sventatezza. Ci sono altri modi per ritrovare la vostra promessa sposa…”
“Non m’interessa!” urlò allora il giovane, esasperato, allontanando la mano con la quale il padre cercava invano di trattenerlo. “Non m’interessa della vostra stupida pace! Rivoglio indietro la mia Crysalis, questo è tutto ciò che conta! Dunque, il suo rapimento è un segnale? Desiderano la guerra? E guerra sia!” tuonò infine prima di percorrere a grande velocità la scalinata d’ingresso che riportava a palazzo. Nel mentre richiamò una decina fra i cavalieri più fidati, ordinando loro di prepararsi.
 
Tra i presenti calò il silenzio; tra chi era troppo sconcertato per parlare, chi aveva paura e chi soltanto voglia di piangere, nessuno aprì bocca veramente. Perfino Nominus sembrava essersi piegato al volere di quel giovane principe: in realtà, aveva soltanto scelto la via della diplomazia fittizia, in quel momento. In tutta onestà, gli Intoccabili non avrebbero mai permesso né perdonato lo scoppio di una nuova guerra; di chiunque fosse stata la colpa a loro non sarebbe importato: la punizione inflitta sarebbe stata esemplare e uguale per tutti.
I due capofamiglia si scambiarono un’occhiata afflitta ma non fiatarono. Ortensia, lasciata sola, non riuscì ad elaborare altro pensiero che non riguardasse quella povera sorella – preda di chissà quale orribile carnefice – unitamente alla preoccupazione per come Liliana avrebbe reagito di fronte a quella notizia angosciosa.
Nel mentre, Caronne  –  ormai accucciata anch’essa in terra – continuò a stringere, senza essere ricambiata, la mano della povera Rosaline che, tremante, seguitava a singhiozzare senza ritegno. Ci vollero diversi minuti affinché la stessa Rosaline si decidesse a parlare.
“E’. La. Fine…” mormorò, piangendo.
Tutti la guardarono ma nessuno osò contraddirla: sapevano che aveva perfettamente ragione.
 
 
 
***
 
 
“Crysalis…”
 
 
Crysalis! Svegliati, bambina mia…
 
 
“…Mamma!”
“No, Crysalis, non sono tua  madre. Non ricordi dove ti trovi?”
 
Crysalis aprì a fatica gli occhi: la luce del giorno che filtrava senza premura dalla feritoia le procurava enormemente fastidio e fu costretta a portare le mani sulla fronte per proteggersene.
Altrettanto faticosamente riuscì a mettere a fuoco il volto della propria interlocutrice; per un attimo – un attimo soltanto – quella voce così dolce l’aveva ingannata. Era riuscita a farle credere che si trattasse di sua madre o forse questo era soltanto ciò che lei desiderava.
Tuttavia, quando la vista tornò a collaborare attivamente, furono diversi gli occhi che incontrò: non blu e luminosi come quelli di Rosaline, né allo stesso modo dolci e sorridenti. Erano scure e profonde le iridi che la scrutavano vagamente preoccupate e del tutto simili a quelle di quel giovane crudele che l’aveva fatta prigioniera.
Un po’ rabbrividì e si rannicchiò nella sua brandina, coprendosi con la coperta di tela logora e bucata.
“Non so chi tu sia ma va’ via…non ti voglio qui!”
“Crysalis, calmati, te ne prego. Vengo in pace, ti ho portato da mangiare.”
Layra guardò quella povera, splendida fanciulla – le cicatrici sul viso, le labbra screpolate ed i capelli arruffati non potevano di certo nascondere la sua innata bellezza – e il suo cuore di mamma pigolò, chiedendole di aiutarla. Tuttavia, sapeva sarebbe stato difficile: Crysalis non poteva fidarsi di lei, non dopotutto quanto le era accaduto.
“Non voglio niente da voi! Sarà certamente avvelenato! Chi t’ha mandato qui? Quello scellerato che mi ha rapita? Sei una sua serva?”
La guardò con occhi terrorizzati e al contempo terribili: era una coraggiosa figlia dell’Amamelide e Layra un po’ sorrise, nonostante la piccola Crysalis l’avesse scambiata per una cameriera. Era feroce e spaventata come un tigrotto in gabbia e questa considerazione le causò enorme dispiacere.
“Sono Layra, signora della Malaleuca e sovrana di questo regno. Lo scellerato di cui parlavi prima è mio figlio Ioannes e sì, hai ragione: è proprio uno scellerato. Ti prego, mia cara, mangia qualcosa: da ieri pomeriggio non tocchi nulla, avrai una fame da lupi.”
 
Crysalis si drizzò a sedere sul letto, continuando a guardare la donna con sospetto: indossava una lunga veste nera e nascondeva parte del volto dietro un velo. Aveva occhi scuri, contornati da lunghe ciglia ed ombre nere ma non le sembrava crudele. In ogni caso, decise di non fidarsi.
“Che ore sono?”
“E’ mattino inoltrato. Sono le dieci. Avrei voluto farti visita ieri sera, avevo fatto anche preparare del cibo appositamente per te. Tuttavia, mio marito e Ioannes erano in giro e non mi è stato possibile raggiungerti. Oggi sono fuori, forse a caccia, non lo so. Per questo ho avuto via libera per venire a trovarti: spero che la colazione di stamattina sia di tuo gradimento” concluse sospingendole avanti un vassoio ricco di ogni tipo di leccornie: dolci alla marmellata e al cioccolato, pane fresco e fragrante, frutta di stagione, tè, latte, aranciata e decine di biscotti differenti.
Lo stomaco di Crysalis si contorse: era davvero affamata. Tuttavia, non voleva piegarsi e decise di non accettare.
“Non ho fame. Tenetevi il vostro cibo, signora della Malaleuca.”
Layra un po’ sospirò e un po’ sorrise. Poi, senza insistere, si accomodò ai piedi di Crysalis, con le mani in grembo.
“Un tempo son stata la migliore amica di tua madre, Crysalis.”
 
Crysalis quasi soffocò con la sua stessa saliva.
“Prego?!”
 
“Ero anche già sposata quando sei nata tu. I miei figli più grandi, Iratius e Sardiff, avevano rispettivamente cinque e due anni mentre Ioannes – lo scellerato che t’ha rapita – era appena un bimbetto in fasce. Ti ho tenuta tra le braccia e t’ho cullata esattamente come facevo con Ioan. Cinque anni dopo non t’ho vista più: la tua famiglia si era alleata con la stirpe dell’Edera allontanandosi dai Malaleuca. Io e tua madre non abbiamo più contatti da quindici anni: pensare che siamo cresciute insieme, come fossimo state gemelle.”
Crysalis guardò la donna a bocca spalancata.
“Non vi credo.”
“Che senso avrebbe mentirti, Crys?”
“Non lo so, non so più nulla! Non so che giorno sia, da quanto tempo sono qui né il motivo di questo mio rapimento, soprattutto! Ditemi dunque perché dovrei fidarmi di voi, signora!”
“Perché sono una madre, Crysalis, soltanto per questo. E perché ho voluto bene a Rosaline con tutta me stessa, anche se la vita ha scelto per noi dividendo le nostre strade. In ogni caso oggi è il terzo giorno del terzo mese dell’anno indutias 436. Questo dovresti saperlo, credo. Sei qui da meno di quarant’otto ore, mia cara.”
 
Crysalis la rivolse un’occhiata perplessa: era ancora indecisa se crederle o meno. Tuttavia, Layra aveva parlato con tale giudizio e precisione che le parve quasi un’eresia pensare le stesse mentendo, cosicché un po’ s’addolcì e quantomeno tentò di rilassarsi anziché restarsene appiccicata come una salamandra a quel ruvido muro di pietra. Layra dovette rendersene conto e tornò a sorriderle mentre le sospingeva nuovamente avanti il vassoio.
“Te ne prego, mangia qualcosa: ti assicuro che non è avvelenato. Lo giuro sui miei figli.”
“Non ho fame, signora.”
“Non essere sciocca e non mentirmi. Il tuo stomaco parla per te” ridacchiò mentre suddetto organo lanciava chiari segnali di appetito, rumoreggiando piuttosto comicamente. Crysalis avvampò di vergogna.
“Non c’è bisogno di imbarazzarsi, sei un essere umano e hai i tuoi bisogni: non ti pare appetitoso questo?” domandò porgendole un panino bianco e morbido, ripieno di una confettura rossa che Crysalis ipotizzò fosse fragola o ciliegia.
“Io…”
“Avanti! Assaggia!”
Ancora tentennò la ragazza ma quando si ritrovò quella prelibatezza tra le mani e si rese conto di quanto fosse soffice e calda l’istinto prevalse e l’addentò senza riserve. Avrebbe dovuto pentirsene e vergognarsi di se stessa per aver accettato del cibo che proveniva dalla mano di una Malaleuca ma la confettura era così dolce e quel panino così morbido e zuccheroso che…no, non vi riuscì. Al momento tutto ciò che contava era saziarsi. Oltretutto, sua nonna Blanca le diceva sempre che soltanto a pancia piena il cervello si metteva in moto, dunque tanto valeva carburarsi e cercare di venire a capo di quella scomoda situazione.
In dieci minuti trangugiò altri due panini, bevve un bicchiere di latte fresco e cremoso, assaggiò del cioccolato bianco e mangiò fragole e chicchi d’uva.
 
“Perbacco se avevi fame, Crysalis!” considerò la donna ridendo ora apertamente: era realmente felice di averla vista mangiare con così tanto appetito.
La ragazza non rispose; piuttosto, sorrise voltandosi verso la feritoia mentre si leccava le dita.
“C’è il sole…” considerò.
“Sì, è una bella giornata.”
“E io starò qui per sempre? Aiutatemi ad uscire, se volete fare davvero qualcosa per me. Se volete bene a mia madre, come dite.”
La donna la guardò spaesata. Poi, tristemente rassegnata.
“Non posso aiutarti a fuggire se è questo che intendi, Crysalis. Neanche io posso…aiutarmi. Ma se tu lo desideri, cercherò di rendere il tuo soggiorno qui quanto più comodo possibile.”
“Non voglio restare nella Malaleuca! Ho una famiglia a casa che mi attende, mio padre, mia madre…le mie sorelle! E Blanes…Vi prego, signora!”
 
Layra la guardò ancora un po’, desolata. Poi, le carezzò la chioma castana, sistemandola.
 
“Hai gli occhi di tua madre…”
“State cambiando discorso.”
“Conosci già la mia risposta, te l’ho appena detta. Quante sorelle hai, Crysalis?”
“Tre.” rispose di malavoglia.
“E hanno i tuoi stessi occhi blu?”
“No, sono l’unica. E sono l’esatta copia di mia madre.”
“Oh, questo lo so. Me la ricordo bene Rosaline da giovane: faceva girare la testa a tutti gli uomini di Union. E scommetto anche tu adesso.”
“Nessuno mi guarda, appartengo già ad un uomo.”
“Forse lui appartiene a te ma non essere mai troppo certa del contrario.”
 
Crysalis la guardò, senza comprendere.
 
Layra sorrise ma dopo poco, come se il contatto fosse diventato troppo intimo, si alzò.
“Questa cella è troppo piccola. Intercederò per te affinché te ne venga assegnata una più comoda. Sarai anche la nostra prigioniera ma ciò non implica che tu debba vivere come un animale in gabbia.”
“A quale stirpe appartenevate in origine, signora?” domandò d’improvviso la fanciulla senza considerare quelle ultime parole.
“Alla casata del Giglio” rispose prontamente la donna e gli occhi le si illuminarono per un istante, persi nel ricordo di una giovinezza felice e irrecuperabile.
 
Crysalis avvampò.
“Il Giglio?! Ma il Giglio…”
“E’ fedele alla stirpe dell’Edera. Lo so. Ma ho sposato Hector molto prima che la guerra per la conquista di Union avesse inizio ed in ogni caso non avrei abbandonato mio marito. Mia madre me lo chiese anche all’epoca ma io mi rifiutai: ad oggi mi considerano come la pecora nera, la traditrice. Non ho più contatti con loro.”
“Perché? Perché avete scelto il male?”
“Perché Hector non è il male. È un uomo selvaggio, talvolta irrispettoso, cruento e incomprensibile. Ma non è il male. E’ mio marito, il padre dei miei figli e l’unico che io ami a questo mondo, nonostante tutto. Crysalis, figlia mia…” si voltò a guardarla, lo sguardo lontano di chi abbia molto sofferto e altrettanto amato “quando ami veramente…tutto il resto si annulla. Ci sarà un’unica ragione a sostenerti: quella del cuore. La mente potrà dirti che è tutto sbagliato e potrà indicarti la retta via. La tua volontà ti dirà di fare cento passi indietro. Ma il cuore no e al cuore ubbidirai dimenticando tua madre, tuo padre, i tuoi fratelli, i tuoi amici. Ho amato Hector, lo amo tutt’oggi e per quanto abbia sbagliato in passato non rinnegherai mai questo mio matrimonio.”
“Ma è assurdo!” sbraitò Crysalis, sconcertata “Questo non è amore! E’ ridicola dipendenza! Io amo Blanes ma non ho dimenticato chi sono a causa sua!”
 
Layra le puntò gli occhi scuri addosso e un po’ la costrinse a rabbrividire. Il suo sguardo profondo era quasi imbarazzante.
 
“Allora non lo ami veramente” concluse. “E adesso scusami, ma devo andare figlia mia. Fra mezz’ora manderò una servetta a ritirare il vassoio: mangia quanto più ti è possibile, te ne prego. Io cercherò di lavorare per te, dall’altro lato.”
 
Layra se ne andò così, rapidamente e senza preavviso, esattamente com’era arrivata.
Crysalis, intontita, seguitò a guardare verso la pesante porta della sua cella ancora quando questa risultava ormai chiusa da un pezzo, mentre l’eco dei passi della bella signora si spegneva sul fondo di un corridoio che la ragazza neppure conosceva.
Non riuscì a decifrare il senso di quella visita: le era chiaro che la donna avesse agito in nome del suo ruolo di madre e del primitivo legame con Rosaline cui sembrava tenere ancora molto. Le aveva permesso di sfamarsi, magari l’avrebbe anche aiutata a lasciare quelle celle sporche e umide ma…non sembrava disposta a intercedere per la sua liberazione.
Le aveva trasmesso un senso indicibile di costrizione, come fosse stata lei per prima una prigioniera: non poteva ribellarsi, schiava com’era del suo amore per quell’uomo crudele che doveva essere Hector della Malaleuca, degno rappresentante della sua famiglia di soldati senza scrupoli. Non poteva liberarsi e non poteva liberare Crysalis.
 
Sospirò: avrebbe dovuto contare sulle sue sole forze per trovare la via d’uscita. Il suo sesto senso raramente l’ingannava e così aveva già compreso che Layra non agiva contro di lei. Avrebbe potuto fidarsene ma fino ad un certo punto: non l’avrebbe mai rispedita nel regno d’Edera ma, quantomeno, non l’avrebbe neanche avvelenata con i suoi cibi succulenti.
Dopotutto, si disse, la decisione migliore della giornata era stata proprio quella di accettare la ricca colazione offertale dalla signora della Malaleuca: neanche a casa propria aveva mai mangiato dei panini tanto succulenti.
Tanto valeva trarre il meglio da quella situazione assurda, no?
 
Tuttavia, il peggio non era patire la fame o morir dal caldo in quello spazietto angusto, né arrovellarsi il cervello su come fuggire dal regno nemico: a quello, ne era certa, ci avrebbero pensato il suo coraggioso padre ed il caro Blanes.
Il problema principale era passare il tempo standosene con le mani in mano. Così, senza poter far nulla, la giornata sembrava moltiplicarsi. Crysalis era prigioniera da appena un giorno e mezzo e già le sembrava un’eternità e certo non poteva dormire in continuazione soltanto per ingannare il tempo. Di seguito provò anzitutto a mangiare un altro po’ e, successivamente, a comprendere il numero dei topi che correvano per la cella dall’intensità con la quale grattavano contro il muro grezzo e sotto le travi di legno: almeno trenta, se non di più. Poiché rabbrividì a quella prospettiva – i topi non costituivano di certo i suoi animali preferiti – passò oltre e s’impegnò nel decifrare i segni lasciati sui mattoni grigi della cella con coltellini di fortuna. Ci mise davvero tutta se stessa, poi però comprese che tali segni altro non erano che lettere tracciate alla bell’e meglio, retaggi di dediche e ricordi lasciati dai prigionieri che l’avevano preceduta.
Non si arrischiò a leggere le frasi complete: non voleva sapere che fine avessero fatto quei prigionieri.
Alla fine si rassegnò a starsene seduta, buona, nell’attesa di qualcosa – qualsiasi cosa – che avesse potuto movimentare la sua giornata. I raggi del sole non avevano cambiato di molto la propria inclinazione mentre illuminavano il pavimento sconnesso sotto di lei: era passato poco tempo. Pochissimo.
 
Se ne stava con la testa poggiata alla parete e le ginocchia al petto già da un po’, comunque, quando un rumore catturò la sua attenzione. Più di uno, in realtà: passi concitati, armeggiare di chiavi e di nuovo lo stridio della porta che arrancava sui suoi cardini.
Immaginò si trattasse della servetta che le aveva preannunciato Madame della Malaleuca – il suo vassoio era ancora lì, poggiato in terra – e si arrischiò a parlare.
 
“Vi manda la padrona?”
 
Tuttavia avrebbe voluto mordersi la lingua lunga che si ritrovava quando occhi scuri quanto quelli di Layra apparvero alla sua vista, fissandola con ostilità.
 
Gli occhi del crudele Ioannes.
 
“Chi diavolo ti ha portato da mangiare, ragazzina?!”  urlò quasi subito, senza premura.
Crysalis tremò – era da sola con quell’uomo orribile – ma si ripromise di non mostrarsi impaurita. Cosicché si fece coraggio e respirò a fondo prima di aprire bocca:
 
“E’ stata tua madre, sciagurato.” commentò infine.
 
 















***

Volevo ringraziarvi per l'interesse mostrato allo scorso capitolo...spero
che anche questo sia di vostro gradimento :)
Come avrete notato, è quasi tutto incentrato sul ruolo della madre e su come questo
venga a variare tra un regno e l'altro. 
Layra e Rosaline sono due mamme diverse e al tempo simili su certi aspetti:
soffrono entrambe, per cause differenti e lo fanno secondo
atteggiamenti che si discostano l'uno dall'altro.
Sul finire ritorna il crudele Ioannes...a me, francamente, seppur cattivo
Ioan piace tanto! ;)
Spero vorrete lasciarmi un commentino per farmi sapere se vi piace
come sta andando la storia :)
Nel mentre vi lascio con un forte abbraccio
Matisse
   
 
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