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Autore: lithi    26/04/2012    8 recensioni
E se Kurt e Blaine non si conoscessero? Se Kurt partisse per NY, costruendosi una vita lì, mentre Blaine rimanesse in Ohio? Si incontrerebbero comunque o la loro sarebbe una delle tante storie che potevano essere ma che non saranno mai?
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Avrebbe dovuto rendersi conto che c’era qualcosa che non andava in quel momento, quando sentì un dolce strimpellio provenire dall’interno della camera. Ma si disse che molto probabilmente era la stanchezza a giocargli un brutto scherzo e girò la maniglia della porta.
Fu allora che qualcosa di totalmente inaspettato apparve davanti ai suoi occhi.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ma saaaaaaaaaalve! XD
Eccomi qui con il secondo capitolo...
Per prima cosa, vi chiedo scusa per il ritardo ma ho avuto quello che si dice un problemino tecnico. Il mio pc ha deciso che non voleva più vivere e è morto per qualche minuto prima che riuscissimo a resuscitarlo. Fondamentalmente c'è stato un problema di tensione alla batteria, ma purtroppo ha scelto il momento in cui stavo scrivendo il secondo capitolo, che se n'è andato dato che non l'avevo salvato. Appena ho riavuto indietro il computer mi sono messa giù d'impegno e ho riscritto tutto il capitolo dal principio. Quindi scusate se in alcuni punti sono stata magari mediocre, ma l'ho fatto davvero di corsa.
E' che non mi andava di non pubblicare nemmeno questa settimana...
Un grazie particolare a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite o tra le preferite (*-*) e alle tre dolcissime persone che hanno commentato lo scorso capitolo.
Fatevi sentire anche questa volta, mi raccomando...il vostro parere mi aiuta a migliorare...XD
Un bacione e alla prossima,

Giulia

 



2 – A Guitar and a cup of tea






La mela che Kurt aveva in mano scivolò a terra con un tonfo sordo mentre il ragazzo osservava a bocca aperta un perfetto estraneo spaparanzato sul suo letto. Con le scarpe ai piedi. Scarpe. Sul letto. Il suo letto.
“E tu chi diavolo sei? Che ci fai in camera mia?”
Kurt rimase lì a boccheggiare. Perché no, non era stato lui a fare la domanda, ma il misterioso possessore di due occhi gialli e lucenti che adesso brandiva la chitarra a mo’ di mazza da baseball verso di lui.
“Scusami?!” Camera sua? Ma stava scherzando? “Dovrei essere io a chiederti cosa diavolo fai tu qui. In camera mia. E metti giù quelle dannate scarpe dal mio letto!”
Il ragazzo misterioso strinse un poco la presa sulla chitarra.
“Vivo qui da cinque mesi ormai. Se fosse stata camera tua me ne sarei accorto, direi.”
“Vivi qui da c-. Tu sei pazzo.”
“Disse l’uomo con la faccia spiritata alla mia porta…”
“Che fai, prendi per il culo? E metti giù quella chitarra!”
“Certo, così mi puoi anche venire addosso, no?!”
Kurt si strinse la base del naso tra le dita con un respiro profondo. Ma perché tutte a lui?
“Senti, piccolo hobbit della Contea. Oggi è stata una giornata stressante e tu non fai che peggiorarla!”
“Mi insulti pure?”
“Credo di avere il diritto di insultare un perfetto estraneo che se ne sta in piedi sul mio letto…e che cazzo! Togliti almeno le scarpe!”
“Non ci penso nemmeno. Non riesco a correre velocemente senza, e se tu mi aggredisci è l’unico modo che ho per scappare.”
“Ti rendi conto che se io fossi davvero un serial killer, mi avresti appena detto cosa fare e cosa non fare per farti a pezzi?!”
“Oppure potrei averti detto una cavolata e vedere se tu ci sei cascato!”
Kurt lo fulminò con lo sguardo.
“Non ho nessuna voglia di stare a sentire i tuoi giochetti mentali. Esci immediatamente fuori da questa casa prima che chiami la polizia!”
“Io non me ne vado da nessuna parte! Sei tu che sei entrato in casa mia senza permesso e…a proposito, come sei entrato?”
“Con le chiavi?!”
“Chiavi?! Si certo, come no. Come se io fossi così scemo da credere che tu- aspetta un attimo.” Il ragazzo sgranò gli occhi come se si fosse trovato di fronte ad un fantasma. Lentamente abbassò la chitarra che ancora teneva alta sopra la testa per studiare il viso dell’altro.
Kurt, dal canto suo, lo osservava con gli occhi sgranati come se fosse un pazzo. Chi diavolo era quello? Perché lo stava fissando in quel modo? E dove diavolo erano i suoi sai quando gli servivano?
Dopo quasi cinque minuti passati nel più totale silenzio a fissarsi, il giovane non ce la fece più e sbottò infastidito.
“Hai finito?”
Il moro sembrò pensarci un attimo prima di aprire la bocca.
“Kurt…Kurt Hummel?”
Kurt sgranò gli occhi. Come faceva a sapere il suo nome?
“Ci conosciamo?”
L’altro ragazzo abbandonò finalmente la chitarra sopra alla trapunta blu notte prima di crollare sul letto scosso da una serie di risatine isteriche.
“Porca puttana Kurt. Mi hai fatto prendere un colpo! Credevo seriamente che tu fossi un serial killer o qualcosa del genere.” Kurt continuava a fissarlo come se fosse appena uscito da un manicomio. E la cosa era altamente probabile per quanto ne sapeva lui. Quello non stava bene. “E scusami se non ti avevo riconosciuto, ma sei cresciuto parecchio e non mi sembravi la stessa persona che c’è in praticamente tutti i ritratti di casa.” Il ragazzo continuava a ridere tenendosi la pancia come se qualcuno avesse detto la cosa più divertente del mondo.
“Ma si può sapere chi cazzo sei?”
Il moro alzò la testa rivelando gli occhi pieni di lacrime dal troppo ridere. Si alzò in piedi, operazione resa complicata dagli spasmi che ancora lo prendevano di tanto in tanto e gli porse la mano.
“Mi chiamo Blaine. Blaine Anderson. E sono l’inquilino di casa Hudmel.”
 
Blaine Anderson. Cosa posso raccontarvi di lui…
Bè, tanto per cominciare Blaine Anderson proveniva da un’ottima famiglia. Una delle più ricche e facoltose dell’Ohio. Si era diplomato alla Dalton Academy, una delle scuole private più care di tutto lo Stato, con il massimo dei voti. Aveva conseguito poi una laurea in Educazione Musicale e Letteratura Inglese all’Università del Michigan.
Avrete notato la battuta non tanto velata di Kurt sulla sua somiglianza con un hobbit. Era alto? No. Ma era la prova vivente che “altezza mezza bellezza” era solo un modo di dire. Perché si, era bello. Molto bello.
Aveva i capelli ricci e scuri come l’ebano, illuminati dalle pietre dorate che erano i suoi occhi, posti appena sopra la curva piena e rosata delle labbra. La pelle olivastra li faceva risplendere ancora di più, facendoli sembrare due soli al tramonto. Per dirla in breve, tralasciando altre sviolinate che ci farebbero solo perdere tempo, era un gran figo.
Insomma, era bello, ricco, talentuoso. Vi chiederete cosa ci facesse allora in una casa che non portava il suo nome.
C’era un piccolo dettaglio in lui che sembrava cozzare con tutto quello che vi ho appena raccontato. Perché vedete, Blaine Anderson era gay. Gay come il 4 di Luglio.
E la sua famiglia non aveva mai visto di buon occhio la cosa, terrorizzata che il mondo potesse vedere una crepa nella perfezione che ostentava quotidianamente.
All’inizio avevano semplicemente ignorato quello che Frank Anderson chiamava “il piccolo problema di Blaine”, certi che con il passare del tempo il figlio minore sarebbe rinsavito, si sarebbe trovato una buona moglie e avrebbe procreato allegramente con lei fino a quando i muscoli della schiena avrebbero potuto lavorare sulle spinte giuste.
Le loro certezze cominciarono a vacillare dopo che Blaine portò a casa il suo primo ragazzo, Mason.
Poi cominciarono a riempirsi di crepe quando arrivò Paul.
E infine rovinarono paurosamente quando fu il turno di Jeremia.
Ora non state lì a pensare che il giovane Blaine se ne andasse in giro a fare strage di cuori volutamente. Non poteva farci niente se trovava sempre qualcuno disposto a “trascorrere il resto della vita con lui”. E non vi passasse neanche per l’anticamera del cervello che lui non soffrisse nel vedere le sue storie finire e cadere una a una come foglie autunnali disperse dal vento. Perché Blaine era per prima cosa un romantico. E come tale viveva le sue storie con una passione e una dedizione che avrebbero fatto invidia a Jack Dawson. Il tizio di Titanic per capirci.
Ma stiamo divagando.
Dopo Jeremia le cose erano diventate complicate.
Suo padre a malapena gli rivolgeva la parola. Sua madre lo guardava con una sorta di risentimento dietro gli occhi chiari. E sua sorella non gli permetteva neanche di toccarla.
L’unico che sembrava avere ancora un po’ di sale in zucca era suo fratello maggiore, Cooper, che non sembrava avere problemi con le sue preferenze sessuali. Sfortunatamente, Cooper viveva in Inghilterra, quindi la cosa non incideva granché sulla quotidianità di Blaine.
Insomma, Jeremia e Blaine decisero di andare a vivere insieme.
In fin dei conti all’epoca Blaine aveva 23 anni mentre Jeremia ne aveva 26, e stavano insieme da più di un anno. Sarebbe sembrata una cosa abbastanza naturale.
Il problema si pose quando Blaine lo annunciò alla famiglia riunita per il Ringraziamento.
Basti solo dire che un’ora dopo stava già sfacendo gli scatoloni a casa del fidanzato, con un occhio nero come saluto e augurio da parte di suo padre.
E qui potrebbe concludersi la storia di Blaine Anderson.
Potrebbe.
Perché evidentemente le cose con Jeremia non erano andate tanto bene come aveva immaginato se adesso lui si ritrovava a casa Hudmel.
E infatti, dopo due anni di convivenza, le loro strade si erano divise.
Fortuna volle che in quei due anni Blaine avesse iniziato a lavorare al McKinley High School di Lima, e che lì avesse conosciuto Finn Hudson.
Il bietolone era l’assistente della Coach Beiste, l’allenatrice della squadra di football, e aiutava Will Schuester, il professore di storia, con il Glee Club. Blaine, dal canto suo, aveva trovato lavoro come professore di letteratura. Inutile dire che, dopo il primo giorno, si era unito alle fila del professor Schue. E quindi aveva conosciuto Finn.
Quindi sembrò naturale che il gigante buono lo accogliesse in casa, quando lui e Jeremia decisero di prendere strade diverse.
In fin dei conti, non è questo quello che i migliori amici fanno?
 
“Casa Hudmel?”
Dopo aver passato mezz’ora buona a convincerlo che non era un ladro entrato di soppiatto in casa per rubare la sua collezione di tiare (“Guarda, questo è il contratto.” “Sei un falsario?” “Ma no che non sono un falsario!”), Blaine era finalmente riuscito a convincere Kurt della sua buona fede. E questo li aveva portati a sedersi l’uno di fronte all’altro in cucina, una tazza fumante di tè in mano e le scuse per gli insulti precedenti ancora sulle labbra. Fu in quel momento che il castano fece quella domanda.
Blaine si passò una mano tra i riccioli scuri mentre ridacchiava, scoprendo una fila di denti bianchi e lucenti.
“Si, io e Finn la chiamiamo così. Burt ogni tanto ci scherza su e dice che dovremmo chiamarla casa Hudmelson.”
Al nome del padre, Kurt si tese come una corda di violino. Il fatto che lui non sapesse niente di questo inquilino lo aveva ferito, e non poco. Certo, adesso i rapporti con suo padre si erano fatti più radi, ma avere una nuova persona dentro casa era un passo importante e il ragazzo non poté fare a meno di sentirsi escluso dalla propria famiglia.
Quante altre cose il padre gli aveva taciuto? Non era necessario che volasse fino a New York per dirgli che un ragazzo occupava la sua stanza. Glielo avrebbe potuto dire con una telefonata.
Kurt spalancò gli occhi e si rese conto finalmente del perché non sapesse niente della situazione.
Ogni volta che lui e Burt si sentivano al telefono, la conversazione non durava più di una manciata di minuti. Minuti che passavano veloci mentre lui correva da una parte all’altra della Grande Mela, troppo impegnato per parlare con l’uomo che lo aveva allevato.
Kurt nascose il viso tra le mani ancora calde per via del tè.
Sarebbe rimasto in quella posizione per ore se non avesse sentito una mano callosa stringere dolcemente la presa sul suo polso e obbligarlo a scoprirsi.
“Kurt, tuo padre non è arrabbiato con te.” Il castano spalancò gli occhi davanti all’affermazione di quel quasi-sconosciuto. “Lo sa che il lavoro ti prende tanto tempo, e non te ne fa una colpa.” Blaine si mise a sedere sulla sedia di fianco a lui. “Lo sai cosa dice ogni volta che chiude il telefono?!” Kurt scosse impercettibilmente la testa, spaventato dal dolore pungente che lo stava assalendo dalla gola e dagli occhi. “Dice “Bè, il mio ragazzo lavora sodo. Proprio come il suo vecchio.” Tuo padre è fiero di te, Kurt.”
Kurt non seppe perché lo fece.
Forse per il fatto che quella era stata una giornata davvero lunga.
Forse perché aveva appena realizzato che aveva lasciato gran parte del suo guardaroba a New York.
Forse perché Blaine era riuscito a leggere all’interno della sua anima in un attimo.
Fatto sta che le lacrime presero a scorrere sulle sue guance prima che lui potesse fermarle.
E l’attimo dopo stava respirando per la prima volta l’odore di muschio bianco e sandalo di cui era intrisa la pelle di Blaine.
 
Finn Hudson parcheggiò l’auto sul vialetto di casa, proprio dietro a quella di Blaine, e tirò un sospiro di sollievo.
Casa dolce casa.
Qualche volta si domandava come avesse fatto durante il liceo a conciliare il football con il Glee Club. Senza contare tutti i casini che la sua vita amorosa gli aveva causato. La gravidanza di Quinn, la storia con Rachel, la sua prima volta con Santana, la storia con Rachel, il tradimento di Rachel, la storia con Quinn, la storia con Rachel, la lite con Rachel quando non l’aveva seguita a New York. Doveva ammettere che la sua vita al liceo era stata piuttosto avventurosa da quando aveva deciso di unirsi al Glee Club al secondo anno.
Ora, dall’alto dei suoi 25 anni (e del suo metro e 97), Finn poteva dire di essere abbastanza soddisfatto della sua vita: aveva un lavoro che amava, una famiglia che era sempre presente e un migliore amico che non gli avrebbe mai fregato la ragazza. Neanche gli allenamenti improvvisi in vista della finale di campionato riuscivano a buttarlo giù più di tanto.
Mentre prendeva il borsone dal bagagliaio dell’auto e avanzava verso l’entrata della casa, pensò a Puck e alla sua attività di pulizia delle piscine. L’amico l’aveva chiamato due giorni prima per raccontargli di quanto stesse andando tutto alla grande, e doveva ammettere che era davvero fiero di lui. Il senso di colpa per non averlo seguito in quell’avventura se n’era finalmente andato dopo che Puck gli aveva raccontato del suo nuovo socio in affari, e adesso si sentiva libero di essere contento per lui senza nessun rimpianto.
Chiuse la porta di casa e fece per appoggiare le chiavi al gancio quando si accorse che era già occupato da un mazzo che gli risultava vagamente familiare.
“Blaine?!”
“In cucina Finn.”
Il gigante buono lasciò il borsone di fronte all’ingresso prima di seguire la voce di Blaine.
“Amico, sai per caso di chi siano le chiavi appese vicino alla porta? Per caso Burt ha fatto un nuovo maz-”.
Finn si bloccò sul posto. Perché a salutarlo non erano stati gli occhi gialli del suo migliore amico, ma quelli cristallini di suo fratello.
“Kurt…”
 
In quel momento Kurt non sapeva un sacco di cose.
Non sapeva per quanto tempo era rimasto appoggiato alla spalla di Blaine.
Non sapeva per quale motivo era crollato all’improvviso di fronte a quel ragazzo che aveva appena conosciuto.
Non sapeva come la sua famiglia avrebbe reagito alla sua visita.
Non sapeva neanche dove avrebbe dormito quella notte, vista l’impraticabilità della camera degli ospiti e il fatto che la sua fosse già occupata.
Ma sapeva che era piacevole starsene lì, cullato da un profumo sconosciuto e rassicurante insieme e da delle dita che gli accarezzavano dolcemente la schiena, disegnando piccoli cerchi immaginari sopra la maglietta.
Si riscosse solo quando la voce di Finn all’ingresso lo fece sobbalzare sulla sedia.
Si asciugò velocemente gli occhi mentre Blaine rispondeva a suo fratello e si alzò in piedi per andargli incontro, non fidandosi del suono della sua voce.
Fu in quel momento che alzò gli occhi, incontrando quelli increduli del bietolone di casa.
“Ciao Finn.”
“Oh mio Dio!” Finn si lanciò contro di lui, abbracciandolo così stretto quasi da soffocarlo, e procurandogli una mezza risata. “Non ci posso credere! Kurt! Quando sei arrivato? Perché non hai chiamato? Ti sarei venuto a prendere.”
Kurt aspettò di avere di nuovo aria nei polmoni prima di arrischiarsi a dire qualcosa.
“Sono arrivato nemmeno mezz’ora fa. Volevo solo passare un po’ di tempo con voi. Mi siete mancati da impazzire ultimamente…”
Finn gli poggiò una mano sulla spalla.
“Ci sei mancato anche tu.” Rispose sorridendo. “E quanto ti fermi?”
Le labbra di Kurt si aprirono in un sorriso malinconico.
“Un mese più o meno. Se per voi va bene. Ho pensato di prendermi le ferie che mi spettavano adesso, piuttosto che durante l’estate. Febbraio è un mese morto per quanto riguarda l’arredamento.”
“Ma certo che va bene!” Finn era davvero contento di avere di nuovo a casa il fratello. Gli era mancato incredibilmente sentirsi rimproverare ogni volta che si strafogava di schifezze davanti a una partita di football in tv. “E Aiden? Lui non viene?”
Un’ombra di tristezza velò per un attimo gli occhi del castano.
“No. Lui non viene.”
Finn si bloccò un decimo di secondo prima di guardarlo sorridendo. Era incredibile quanto fosse diventato intuitivo lavorando a stretto contatto con degli adolescenti cinque giorni alla settimana. “Bè, meglio così. Non mi era mai piaciuto quel tipo.” Sollevò gli occhi verso il ripiano della cucina, dove Blaine stava mettendo via le tazze ormai vuote, cercando di dare un po’ di privacy ai due fratelli. “Ehi Blaine. Verso che ora torna Burt?”
Il moro ci pensò un attimo prima di rispondere.
“Mi pare abbiano detto verso le sette. Giusto in tempo per la cena.”
“Bene. Perché qui abbiamo un cuoco eccezionale che sono certo abbia già in mente qualcosa di salutare e genuino da farci mangiare.” Disse indicando Kurt che stava già alzando gli occhi al cielo.
“Dovevo immaginarmelo che ti mancava il fatto che io cucinassi. L’ho sempre detto io: un uomo bisogna prenderlo per lo stomaco.” Sospirò prima di aprire le ante del frigorifero e controllare quello che c’era all’interno. “Va bene allora. Ma voi due signori mi aiutate, perché non ho assolutamente intenzione di fare tutto da solo.” Aprì il cassetto degli strofinacci e cominciò a cercare.
I due ragazzi si misero in fila come se fossero ad un addestramento militare, prendendo al volo i grembiuli che Kurt gli stava lanciando.
“Perfetto. Finn: lava l’insalata. Blaine: prepara la macedonia.” Kurt si tirò su le maniche della maglia in modo da non stropicciare la camicia. “Io penso alla carne.”

  
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