Capitolo 9
Ghost World
La festa di inizio anno era finita disastrosamente. Vicki
aveva tentato, grazie all’aiuto di una strega dell’Altro lato, di ritornare
completamente nel regno dei vivi e Bonnie e Nicole erano state costrette,
l’ultima non molto a malincuore, a ricacciarla indietro, impedendole di
realizzare il suo folle piano, poi erano tornati tutti a casa, sconvolti, ma
salvi. Matt era distrutto, i suoi occhi azzurrini erano velati di lacrime amare
quando aveva detto addio a sua sorella. Era stato lui a compiere il vero incantesimo,
non le due streghe. Nicole, solo per il bene che provava nei suoi confronti,
non aveva esultato quando l’aveva vista scomparire. La ferita non si era mai
del tutto rimarginata. Era stata in grado di perdonare Tyler, questo era
autentico e reale, ma non lei, non quella ragazzina che si era fatta beffe di
lei, umiliandola dinanzi al resto dei suoi compagni. Bonnie era quella più
stanca, spossata. Magari la mattina dopo sarebbe stata meglio. Nicole non lo
sapeva, non se lei e Jeremy stavano attraversando un momento di crisi che
sembrava non dovesse mai trovare una riconciliazione. Jeremy. Non sembrava aver
sofferto molto per Vicki e quella constatazione le aveva sollevato l’animo da
mille dubbi sull’effettiva volontà del suo fratellino. Caroline e Tyler avevano
accompagnato Matt a casa sua dopo che Nicole, non essendosi potuta trattenere,
l’aveva abbracciato a lungo, stringendolo per infondergli tutto il suo affetto.
Era sempre il suo cognatino. Anche se
lui ed Elena non erano più fidanzati da molto tempo. Elena sembrava, come lei,
più rincuorata, ed erano tornati, proprio come una famiglia, a casa Gilbert.
Sua sorella aveva guidato la sua jeep sino al vialetto, rispettando le regole,
ma guardando sempre nello specchietto retrovisore per osservare Jeremy. Nicole,
seduta al suo fianco, lo osservava dal suo e lo vedeva assorto nella
contemplazione del paesaggio. Alaric, l’ex marito di sua madre, Isobel, quasi a
disagio nel guardarla, era accanto a lui. Nicole gli rivolse un sorriso appena
accennato. Non aveva nulla contro di lui: se Elena si fidava, doveva essere un
brav’uomo. Quando erano entrati in casa, Nicole aveva sorriso,
inconsapevolmente. Era tutto proprio come se lo ricordava. La casa in ordine,
ben pulita, brillante quasi, i mobili tutti al loro posto, forse solo un paio
di fotografie in più sulla consolle che mostravano Elena e Jeremy negli ultimi
tempi, con la zia Jenna. Avevano salito in silenzio le scale e il ragazzo si
era congedato con un sorriso dolce prima di chiudersi la porta della sua camera
alle spalle. Elena aveva aperto la loro, quasi con timore, e Nicole aveva
capito che non era proprio tutto come nei suoi ricordi. Non c’era più il suo
letto, né la sua toletta personale. Quella stanza immensa era solo per Elena
oramai. La ragazza schiuse le labbra per scusarsi, vedendole chinare il capo,
ma Nicole le sorrise, facendole cenno di non dir nulla.
« Ti capisco, Ele,» mormorò solamente, dirigendosi verso
l’armadio per prendere una coperta, ricordandosi poi che il divano era già
occupato. Bloccò le mani a mezz’aria e chiuse gli occhi, « Se vuoi, vado alla
pensione della signora Flowers. Sono sicura che per una notte mi ospiterà. Ha
sempre voluto molto bene alla mamma,» aggiunse, sporgendosi verso sua sorella
ancora sulla porta, con la mano poggiata sullo stipite e i capelli a coprirle
il volto ovale. Aveva i canini poggiati sul labbro inferiore. Era nervosa e lo
sguardo di Nicole si addolcì. Si avvicinò e l’abbracciò, tenendola teneramente
stretta contro di sé. Elena ricambiò subito, gettandole le braccia al collo,
scusandosi più volte.
« Mi dispiace tanto, Nicole. Io…» bisbigliò tra i suoi
boccoli sciolti, lasciati morbidi sulle spalle.
« Ehi,» la interruppe in un soave sussurro carezzando i suoi
capelli lisci e lucenti, « Non importa. Davvero,» aggiunse, scostandosi per
prenderle il viso tra le mani, sorridendole con dolcezza. Elena era imbarazzata
e i suoi occhi da cerbiatto spalancati e incerti, bramosi di scusarsi ancora.
« Se vuoi,» esclamò la voce di Alaric, dubbiosa e gentile.
Nicole lo osservò. A pelle sentì che era buono e gli sorrise, invitandolo a
continuare, « Puoi dormire sul divano. Lo so,» aggiunse dopo una breve risata,
portandosi la mano sul mento irsuto, massaggiandoselo, « Non è il posto più
comodo del mondo, ma penso andrà bene per questa notte,» concluse con un
sorriso impresso sulle labbra rosee e negli occhi marroni.
« E tu? » gli domandò incuriosita. Aveva lasciato Elena che
si era diretta in bagno per cambiarsi ed era usciti, dopo aver chiuso la porta,
per parlare liberamente. Si portò la mano sull’avambraccio, cingendosi per
proteggersi dal vento che era penetrato da una finestra lasciata aperta,
probabilmente quella della cucina. Alaric le aveva fatto cenno di incominciare
a scendere le scale e Nicole lo seguì.
« Io tornerò a casa mia, per oggi. Devo sistemare alcune
faccende lasciate in arretrato. Dei compiti in classe e la festa di domani,» le
comunicò volgendosi verso di lei prima di prendere la giacca di pelle nera.
Nicole rimase sull’ultimo scalino ancora per qualche secondo, sino a quando
Alaric non fu vicino alla porta d’ingresso, poi scese e schiuse le labbra. Non
avrebbe dovuto parlare, solo ringraziarlo, ma quella frase diruppe nel suo
animo, arginando il suo controllo.
« L’amavi? Mia madre? » sussurrò. Sperò che non l’avesse
sentita, ma si era bloccato con la mano poggiata sulla maniglia. Non si era
girato, aveva chinato il capo e Nicole aveva potuto percepire un sospiro
malinconico. Si volse dopo pochi istanti e la guardò greve, una smorfia di puro
dolore delineata sui suoi lineamenti giovani. Annuì e Nicole sospirò,
scusandosi con lo sguardo. Lacrime le velarono gli occhi, ma le trattenne. Non
le era mai piaciuta sua madre. L’aveva abbandonata quando era solo in fasce, ma
aveva solo sedici anni. Era troppo giovane per potersi prendere cura di due
bambine, per sposarsi con John, per creare una famiglia. Nicole la comprendeva,
per quando non riuscisse ad accettarlo almeno si era sforzata di capire,
soprattutto grazie a suo padre. Aveva diciotto anni. La situazione non era
molto più felice. Non sarebbero mai stati una famiglia. Così John si era
accontentato di vederle crescere da lontano, rimanendo nell’ombra, mostrando il
proprio affetto con piccoli gesti che valevano molto di più, per lei, che mille
dichiarazioni, mentre Isobel non era mai apparsa nella loro vita. A Nicole
piaceva pensare che non l’avesse fatto a causa della sofferenza di saperle
lontane da sé, inavvicinabili, almeno da quando suo padre si era tanto
accalorato nel difenderla, con gli occhi azzurri, quelli che lei stessa aveva
ereditato, tristi e spenti. Nicole aveva compreso che l’amava, ma non aveva
detto nulla né aveva più parlato con lui. Se davvero soffriva in quel modo per
quella storia finita male, non sarebbe stata lei a ricordarglielo, lei che
odiava tanto vederlo infelice e angosciato, lei che tentava sempre di farlo
sorridere per sentire la sua risata dolce che le alleviava i dispiaceri
dell’anima, lei che provava un bene indescrivibile e inimmaginale nei confronti
di quel padre che non aveva potuto crescerla come avrebbe sperato, con il ruolo
che gli competeva. La risposta di Alaric la scosse. Talmente assorta nei suoi
pensieri, non si era resa conto che l’uomo non era ancora andato via, ma
indugiava sulla soglia, guardandola mestamente.
« Ho amato tanto Isobel, non puoi capire quanto,» aggiunse,
assottigliando lo sguardo per trattenere le lacrime. Il battito del cuore di
Nicole risuonava nelle sue orecchie, rendendo qualunque altro suono ovattato,
ma quelle parole erano arrivate chiare e nitide. Degluitì per trattenere dentro
di sé tutte le sensazioni che percuotevano il suo essere, facendola tremare
inconsapevolmente, « Non penso riuscirò mai a smettere di pensare a mia moglie.
Adoravo tua zia. Jenna era meravigliosa e sono stato così felice con lei. Era
brillante. Un sole luminoso in grado di scacciare ogni oscurità,» ricordò con
un sorriso più dolce, lo sguardo ancorato al suo. Tremava anche lui e Nicole
gli si avvicinò sfiorandogli il braccio fasciato dalla camicia grigia. Portava
l’anello che John aveva donato a Isobel. Doveva essere un pegno d’amore per
lui, avere il valore della fede che oramai non indossava più. Nicole gli
sorrise, rimembrando anche lei sua zia, la sorella della sua mamma, così
diverse, proprio come lei ed Elena, ma legate da un rapporto profondo come gli
abissi di un Oceano infinito. Era vero. Zia Jenna era stupefancente, un fiume
in piena, perennemente alla ricerca dell’amore che non riusciva mai a trovare.
Aveva avuto tante storie che non era finite bene. Quella con suo padre e Fell
erano solo le più ecletanti, « Però,» continuò facendola ritornare a lui. Era
divenuto più malinconico, dispiaciuto quasi, come se avesse desiderato chiedere
perdono a Jenna per le sue successive parole, « Non amerò mai nessun’altra come
ho amato Isobel,» concluse serio. Nicole annuì e il suo sguardo limpido fu
velato da un’ombra di dolore che le stava soffocando l’anima. Nessuno era
felice in quella città, non veramente. Tutti si portavano dietro un macigno
costituito dal proprio passato carico di afflizione e tormento, non
liberandosene mai del tutto. Era orribile, ma era la verità. Era come una
condanna che pendeva sulle loro teste, come se dovessero scontare una pena
perpetua, crudele e ingiusta. Tutti, indistintamente. V’era Elena, troppo
ancorata a quella ragazza che era stata prima della morte dei suoi genitori,
impegnata a darsi la colpa di tutto quello che era accaduto a Mystic Falls in
quei lunghi mesi alle persone che amava. Jeremy, troppo preoccupato a
rimuginare su qualcosa che aveva perduto per sempre per pensare al proprio
futuro, andare avanti in qualche modo. Stefan. Damon. Alaric. Caroline. Bonnie.
Matt. Tyler. Tutti identici, da quel punto di vista, tutti soli e costretti a
vivere un’esistenza che non avevano desiderato, con mille pericoli dietro
l’angolo, dolori insormontabili e paure che rendevano i loro animi tediati e
spenti. Nicole avrebbe pianto se ne avesse avuto la forza, ma qualcosa la
tratteneva ancora. Alaric era uscito di casa, scomparendo dalla sua vista, e la
fresca brezza autunnale sostituì la figura dell’uomo. La giovane sospirò, poi
richiuse la porta di casa, accompagnandola per non causare alcun suono che
avrebbe potuto spezzare la quiete. Si trascinò nella sala, lasciandosi cadere
sul divano. Era stanca, ma non aveva sonno. Notò che ai piedi del divano
v’erano delle coperte bianche, di lana, confortevoli. Si tolse le scarpe e si
coprì, avvolgendosi in un abbraccio caloroso. Si sciolse la coda ed estrasse il
cellulare dalla tasca. Era tardi, quasi l’una di notte. Lo poggiò sul tavolino
accanto a lei e chiuse gli occhi, sistemandosi meglio contro il cuscino. Prese
sonno quasi senza accorgersene pochi secondi dopo, lasciandosi cullare dalla
quiete apparente e da una voce che intonava una nenia dolce che aveva sentito
mille volte. Era quella di nonna Elizabeth, amorevole e bassa. Quanto le era mancata. Sapeva che era
solo uno scherzo della sua mente, ma la sentì nuovamente accanto a sé quella
notte. Forse le sue antenate le avevano offerto la possibilità di udire il suo
canto e le ringraziò più volte durante il sonno. Un timido sorriso increspò le
labbra rosee e sottili, donandole pace e serenità, facendola rassomigliare a
una bambina, facendola sentire a casa.
Pallidi i primi raggi del Sole risplendettero nel cielo di
Mystic Falls, non riuscendo del tutto a eludere le nubi bianche cariche di
pioggia. Nicole, infasdita, si era girata verso lo schienale del divano quando
li aveva avvertiti sul suo viso, ma non si era destata. Voleva ancora un po’
appagarsi dell’abbraccio soffice delle lenzuola. Era entrata nella dormiveglia
e sperava di poter ricadere nel sonno pochi minuti dopo. Una risata, però,
squasso l’aria. Era maschile, alta, e in quel momento non era in grado di
riconoscerla. Non appartenava a Jeremy. Le labbra le si schiusero con un
piccolo schiocco, poi aggrottò le sopracciglia e spalancò gli occhi chiari,
volgendosi verso la sua fonte. Un ragazzo, che non poteva avere più di
venticinque anni, era accomodato sul tavolino e la stava guardando. Aveva gli
occhi azzurri e i capelli castano chiari, ricci e corti, il volto lievemente
abbronzato e ricoperto da un sottile strato di barba. Portava una camicia
azzurrina e aveva i muscoli ben delineati. Rassomigliava a una persona di cui,
in quel momento, le sfuggiva il nome. Era legata al suo passato, a Tyler e a
Katherine. Lo guardò ancora. Un sorriso amichevole gli distendeva le labbra
piene e Nicole lo ricobbe.
« Mason,» lo chiamò con la voce più acuta e incredula. Non
poteva essere davvero lì. Lo zio di Tyler era morto per mano di Damon Salvatore
per avvertire Katherine. Si portò un boccolo dietro l’orecchio mentre il
ragazzo annuiva e si lasciava sfuggire una breve risata, « Cosa ci fai tu qui?
» gli domandò incerta, poggiando i piedi sul paviemento, guardandosi intorno,
verso la scalinata, timorosa che Elena o Jeremy potessero ascoltarla.
« Mi dispiace per l’ora, ma ho bisogno di te. Vieni alle
vecchie cantine dei Lockwood tra un’ora,» mormorò prima di scomparire. Confusa,
Nicole si alzò e si volse il capo. Non c’era più. Era un fantasma, questo era
certo. Il problema era che non avrebbe dovuto essere lì. Avevano sbagliato
qualcosa con l’incantesimo della sera prima, qualcosa a cui doveva
assolutamente rimediare. Si inumidì le labbra e sentì la porta di una camera al
piano di sopra chiudersi lievemente. Percepì i passi e riconobbe la figura di sua sorella. Era già
vestita con una semplice maglietta scura con dei disegni floreali bianchi, una
giacca bianca e una gonna di jeans che le arrivava sino a metà coscia lasciando
libere le gambe snelle e olivastre. Elena
le sorrise, sorpresa, e Nicole ricambiò.
« Già sveglia? » le domandò la bruna, dirigendosi in cucina.
Nicole la seguì lasciandosi sfuggire una breve risata.
« Purtroppo sì.»
« Perché? Se vuoi, puoi tornare a dormire,» affermò
gentilmente, guardandola incuriosita e versando il caffè in una tazza bianca
per poi porgerlo alla sorella. Nicole ne ebbe un sorso, poi alzò le spalle.
« Devo vedermi con una persona tra un po’. Non ne vale la
pena,» le comunicò prima di finirlo. Sperava di non dover espliticare con chi
dovesse realmente incontrarsi ed infatti Elena non glielo domandò. Mason era
stato piuttosto ambiguo sulle proprie intenzioni, ma Nicole si fidava di lui.
Ero lo zio di Tyler ed era sempre stato molto gentile con lei, intravedendo che
tra lei e il ragazzo c’era sempre stato un rapporto che andava oltre la
semplice amicizia. Elena annuì e le sorrise, distendendo le labbra rosee.
« Io devo andare in piazza. Questa sera ci sarà la festa
dell’Illuminazione. Verrai anche tu? » le domandò gentilmente prendendo una
borsa a tracolla, di cuoio, abbstanza capiente da contenere un paio di libri
tascabili. Le sembravano dei diari, ma erano troppo vecchi per essere quelli di
sua sorella. Aggrottò le sopracciglia e scelse di non esplicare i suoi dubbi,
proprio come aveva fatto sua sorella. Le faceva male che ci fossero dei segreti
tra di loro, ma, per il momento, era la cosa migliore.
« Chi mancherebbe mai a uno degli eventi più sciocchi, e
falsi, di questa città? » domandò retoricamente, prima di sbuffare e sorridere.
Elena le gettò un’occhiata in tralice poi le sorrise. Si avvicinò a lei e le
posò un bacio sulla guancia prima di stringerla in dolce abbraccio.
« Sono contenta che tu sia tornata, Nicole,» sussurrò tra i
suoi capelli. La giovane sorrise, emozionata e commossa, e ricambiò l’abbracciò
tenendo la sorella stretta contro di sé. Era meraviglioso poter sentire
nuovamente il calore che sprigionava dalla sua pelle olivastra, il profumo
dolce dei suoi capelli, il battito regolare del suo cuore. Non importava che
percepisse qualcosa di sbagliato in lei. Se e quando avesse voluto parlarne con
lei, Nicole ci sarebbe stata per ascoltarla, per starle vicino proprio come in
passato, quando era incerta se accettare l’amore di Matt perché pensava di
essere troppo giovane per cominciare una storia seria. Era bello ricordare il
passato felice. Tutto era più semplice. Il sovrannaturale complicava
maggiormente quelle situazioni già di per sé molto delicate e instabili. Elena
si scostò dopo molto tempo, beandosi del suo calore, poi le carezzò la guancia
e uscì di casa chiudendo la porta d’ingresso con un tonfo inudibile. Nicole
sospirò e si avvicinò alla macchina per il caffè. Ce ne era ancora tanto da
riempire una tazza. Lo svuotò e lo bevve per riprendere le forze. Odiava
svegliarsi presto, anche se poi tanto presto non era più. Si diresse nella sala
e si sedette sul divano ancora caldo. Prese il telefono e controllò l’ora.
Mancavano ancora quaranta minuti prima che dovesse incontrarsi con Mason, ma
prima voleva concedersi una lunga doccia calda e una colazione ristoratrice
nella pasticceria più buona della città. Si alzò e cominciò a salire le scale
lentamente, con gli occhi ancora chiusi, dirgendosi verso la camera di Jeremy
per controllare che fosse in casa. Il letto era perfettamente in ordine, le
coperte scure con delle fantasie geometriche grigie era perfettamente distese e
anche la camera non era ridotta male. C’erano solo degli album da disegno
sparsi sulla scrivania con dei carbonici e dei pastelli colarati. Nicole entrò
e sfiorò il disegno superiore. Non era concluso, ma dalle linee Nicole comprese
che raffigurava lei e sorrise dolcemente imbarazzata. Probabilmente era un
regalo per il suo ritorno a casa. Arrossì e si morse leggermente il labbro
inferiore. Era commossa. Suo fratello aveva il potere di addolcirle l’animo,
rendendolo più felice con piccoli, significati, gesti d’amore. Era così
orgogliosa del suo cuore nobile tanto da rimembrare Miranda e Grayson in ogni
suo gesto. Si chiuse la porta alle spalle ed entrò nella camera di Elena, in
ordine anch’essa. Constatò che sua sorella non aveva perso le proprie doti di
ragazza mattiniera e precisa. Si avvicinò all’armadio e decise di prendere,
almeno per quel giorno, dei vestiti vecchi di sua sorella. Era più alta di lei
di qualche centimetro e si sarebbe notato troppo se avesse indossato qualcosa
di nuovo. Scelse un top turchese, con sopra del tullè bianco e minigonna, non
troppo corta, della stessa tinta. Dopo una doccia rilassante, ridiscese le
scale e guardò il telofono. Dieci minuti. Avrebbe fatto appena in tempo.
Qualcosa di strano attirò la sua vista. Una chiamata persa. Aprì e lesse il
nome. Sconosciuto. Probabilmente
apparteneva a Klaus. Il suo cuore accelerò i suoi battiti nel ricordare
l’ibrido e uno strano brivido le percorse la spina dorsale, scuotendola
interamente. La sera prima aveva chiuso il telefono senza quasi salutarlo e se
ne dispiacque. Fece per chiamarlo, ma Mason la stava attendendo e poi cosa
avrebbe potuto dirgli? Arrossì e portò l’indice sulle labbra che avevano
sfiorato quelle di Klaus. Ricordava ancora la loro constistenza così morbida e
vellutata. Degluitì a vuoto nel percepire quanto il suo corpo fosse attraverso
dai quei pensieri. Non andava bene, per
niente. Lei e Klaus erano incompatibili. Nicole era una strega, una figlia
della terra, una serva della natura. Klaus era un vampiro, una creatura della
notte, un abominio della natura. Inoltre era anche un licantropo, un maledetto.
Chiuse gli occhi, sospirò e scosse il capo. Sarebbe andato contro tutti i suoi
principi provare qualcosa per lui e, per di più, non pensava di essere così
interessante da attirare l’attenzione di un Immortale. Prese le chiavi della
jeep che aveva lasciato vicino al bosco e si incamminò chiudendosi la porta
alle spalle con un tonfo fragoroso. La colazione, grazie a tutte quelle
riflessioni, era oramai saltata e si affrettò a raggiungere l’auto. Per strada
non c’era quasi nessuno, tutte persone che non conosceva, oppure che aveva
solamente visto, poi una chioma bionda come il Sole, due spalle grandi e un
fisico asciutto e muscoloso attirararono la sua attenzione. Si trovava
dall’altra parte della strada e le dava le spalle. Stava camminando verso la
propria casa. Si fermò per essere certa che fosse lui e, assotigliati gli
occhi, lo riconobbe completamente.
« Matt,» lo chiamò ad alta voce, facendolo voltare di
scatto. Lo raggiunse velocemente e il ragazzo le rivolse un sorriso dolce.
« Ehi Nicole,» la salutò sereno, anche se nei suoi occhi era
presente tanto dolore. La giovane gli sorrise apertamente e lo abbracciò
traendolo delicatamente a sé.
« Mi dispiace per ieri sera. Posso capire quanto ti ha
ferito doverla mandare via,» sussurrò quando si sentì stringere dalle sue mani
gentili. Matt abbandonò il capo sulla sua spalla e annuì prima di sciogliere
l’abbraccio.
« Penso sia stato necessario, no? » aggiunse dubbioso, con
la voce tremula per le lacrime che gli velavano lo sguardo limpido. Nicole
assottigliò il suo dolcemente e annuì. Matt sospirò e annuì, abbattuto, «
Andavi da qualche parte? » continuò poi, abbandonando quel momento di
sconforto, tornando ad essere il ragazzo premuroso e simpatico che era stato
come un fratello.
« Sì. Devo prendere la jeep per incontrarmi con una
persona,» gli spiegò prima di guardare l’orologio del telefono. Due minuti.
Mason avrebbe aspettato un po’, « Sono già in ritardo, come al solito,»
aggiunse facendolo ridere allegramente. Si chinò su di lei e le posò un lieve
bacio sulla guancia prima di salutarla e continuare a camminare. Nicole fece lo
stesso e raggiunse la macchina in poco tempo. Era rimasta l’unica ad essere
parcheggiata lì e ringraziò che a Mystic Falls non ci fossero ladri. Si diresse
velocemente verso le cantine, superando anche un po’ limiti, pregando che lo
sceriffo Forbes avesse qualcosa di più importante da fare piuttosto che
controllare il traffico. Arrivò in pochi minuti e parcheggiò al limitar del
bosco, scendendo e affrettandosi a raggiungere le scale sotteranee. Era stata
lì un paio di volte con Tyler, desideroso di mostrarle le rovine della vecchia
villa dei Fondatori Lockwood. Vide un’ombra discendere prima di lei. Portava
uno strano oggetto in mano, una pala, ed era sicura che non fosse Mason perché
indossava una maglia nera. Lì sotto era buio e Nicole si fece coraggio
deglutendo a vuoto e scendendo le scale il più celermente possibile. Una luce
di lanterna aveva illuminato lo spazio circostante e Nicole la benedisse. Aveva
già incominciato a vedere delle ombre che non avrebbero dovuto essere lì.
« C’è
stato un intoppo nell’unica mia altra pista su Klaus. Dunque…»
Era la voce di Damon Salvatore, inconfondibile. Mason si
accorse di lei alle spalle del vampiro e le rivolse un sorriso aperto che
Nicole ricambiò.
« Sono
molto motivato,» continuò il vampiro non accorgendosi di lei.
Nicole aveva fatto cenno a Mason di tacere ancora per qualche secondo. Stava
pensando. Volevano uccidere Klaus, lo sapeva, ma perché un licantropo defunto
avrebbe dovuto dare una pista a dei vampiri? Cosa ci guadagnava e, soprattutto,
perché aveva cercato il suo aiuto? Erano tutti interrogativi presenti nel suo
sguardo. Mason, come unica risposta, sciolse il sorriso e prese la pala che
aveva portato il vampiro.
« Ora siamo tutti al gran completo. Che bella squadra. Un
licantropo fantasma, un vampiro e una strega,» scherzò facendo voltare Damon
dietro di sé. Incontrò gli occhi di Nicole e schiuse le labbra, aggrottando le
sopracciglia e assotigliando lo sguardo chiarissimo, sorpreso e incredulo di
trovarla lì. Nicole gli rivolse un mezzo sorriso, meno dolce di quello per
Mason. Non odiava Damon, no, però non le piaceva il suo rapporto con Elena.
Quel vampiro era troppo implusivo, troppo passionale e avrebbe potuto fare
qualche sciocchezza anche senza accorgersene. Era troppo umano, Damon, troppo
innamorato e troppo disilluso. Le dispiaceva, ma pensava veramente che non
avrebbe mai potuto avere una relazione seria, basata sulla fiducia reciproca,
non solo sull’affetto. Era sicura che sua sorella lo amasse, questo sì, ma non
avrebbe mai scelto lui perché Elena non aveva bisogno di altre preoccupazioni.
« Nicole Gilbert,» la salutò con un sorriso tirato e un tono
sarcastico. Non si fidava di lei. Pensava che fosse dalla parte di Klaus ed era
un po’ vero, anche se non avrebbe messo la vita di Elena in pericolo per niente
al mondo.
« Damon, che piacere vederti qui,» affermò atona
avvicinandosi a Mason, standogli di fronte e guardandolo negli occhi, « Perché
mi hai chiamata? » gli domandò gentilmente. Il licantropo le sorrise e arcuò le
sopracciglia.
« Perché spero che tu voglia ancora tanto bene a mio nipote
da aiutarmi con questa questione dell’asservimento a quel pazziode di un
ibrido,» le confessò ironico, ma anche dolce nella prima parte. Nicole si morse
il labbro inferiore e guardo la parete di mattoni rossi alla sua destra.
« Oh non credo,» esordì Damon, « Penso proprio sia dalla
parte dell’“ibrido pazziode”,» continuò mimando due virgolette. Mason le sfiorò
la mano per far sì che lo guardasse nuovamente. V’era una preghiera, una
supplica, nei suoi occhi limpidi e a Nicole mancò un battito.
« Si tratta di Tyler, Nicole. Si tratta del ragazzo che hai
amato così tanto e che ora sta scomparendo a causa di qualcuno più potente di
lui. Tu puoi aiutarci, lo so. Sei una strega buona, l’ho visto dall’Altro Lato.
Tenti sempre di aiutare gli altri, a fidarti di loro, ma non puoi davvero
credere a Klaus. Lui è malvagio e non esiterebbe nel farti del male. Invece i
tuoi amici sono la tua famiglia. Tyler ha sbagliato nel tradirti, non puoi
immaginare quanto ne sia pentito. Pochi giorni fa l’ho visto con una vostra
foto alla Cascate mentre l’accarezzava dispiaciuto,» le mormorò intenerito. Il
cuore aveva accellerato il proprio battito e lo pregò di smetterla, scuotendo
il capo. Era terribile e straziante.
« Credi che non voglia aiutarti per vendicarmi di Tyler? Non
è vero. Io l’ho già perdonato, molto tempo fa,» sussurrò scostandosi i capelli
dal volto. Era la verità. Non era mai stata davvero arrabbiata con Tyler, certo
delusa, ma lo aveva amato talmente tanto da non riuscire a odiarlo nemmeno per
un istante. Mason le sorrise e annuì.
« Allora puoi aiutarci, streghetta,» esclamò Damon, « Ora, Dunbar, illuminaci,» continuò. Sul volto
di Mason apparve una smorfia infastidita nel sentire quel cognome, quello del
protagonista di Balla coi lupi, ma
non lo diede a vedere. Il vampiro aveva un’espressione sarcastica e gli occhi
leggermente spalancati. Mason fece schiantare la pala contro il muro creando un
piccolo varco. Nicole si portò le mani sulle orecchie per il tonfo e schiuse
leggermente la labbra, sobbalzando e lasciandosi sfuggire un’imprecazione.
« C’è
una vecchia leggenda nella famiglia Lockwood,»
esclamò divertito mentre guardava la reazione della giovane. Un rumore squassò
l’aria mentre continuava a parlare e Nicole estrasse il telefono. Elena le
aveva mandato un messaggio. Lo aprì e sgranò gli occhi limpidi.
Abbiamo
un problema. Jeremy ha baciato Anna e questo non va bene. Io non posso stare
con lui, al momento. Forse c’è un modo per salvare Stefan e devo provarci.
Aiutalo tu, per favore.
Nicole annuì tra sé e sospirò. Alzò il capo e guardò i due.
Damon la stava guardando incuriosito.
« Era Elena. Dice che mio fratello ha baciato Anna.
Perdonatami, ma ho una questione familiare da risolvere,» mormorò prima di
volgersi verso l’uscita.
« Aiutalo, Nicole. Stagli vicino, ti prego. Caroline lo ama,
ma non può comprenderlo. Tu puoi e non perché penso che sia ancora innamorata
di lui, ma perché sei più forte di lei, in qualche modo. Vedi oltre quello che
le persone appaiono e non so se questo sia perché sei una strega o perché è una
tua dote naturale,» esclamò Mason accorato. Nicole si fermò, ancora di spalle,
e appoggiò la mano sul freddo metallo del cancello. Annuì una volta sola poi
riprese a camminare. Sentì la pala sbattere ancora contro la parete e dei
fragori rumorosi. Appena fu fuori notò che le luci del tramonto stavano
illuminando il bosco, filtrando tra i rami degli alberi sempreverdi, creando un
gioco di luci impareggiabile. Nicole sorrise, poi scosse il capo e digitò il numero
di suo fratello. Le rispose al secondo squillo.
« Nicole,» la salutò imbarazzato e sorpreso.
« Ciao Jer. Ti va di vederci al Grill tra una decina di
minuti? » gli domandò gentilmente avanzando verso la jeep. Suo fratello non
rispose, aveva capito che Elena le aveva raccontato tutto.
« Senti, Nicole, io ho sbagliato, è vero, ma...»
« Jer, non voglio farti la paternale. Voglio solamente
ascoltarti, se vuoi ancora aprirti con me,» lo interrupe pacata e dolce, « Ho
promesso che ti avrei aiutato con questa storia e non mi rimangio la parola, ma
tu devi fidarti di me. Puoi ancora, fratellino? » aggiunse pregando in un suo
sì che subito ci fu.
« Vediamo in piazza. Stanno per spegnere le luci,» le
comunicò. Nicole mise in moto e annuì tra sé.
« A fra poco,» lo salutò prima di chiudere la comunicazione.
Avanzò tra le vie vuote più lentamente, gustandosi il paesaggio deserto della
sua città e rimuginando. Se Bonnie
l’avesse saputo, avrebbe sofferto tantissimo. Però non era l’unico
problema, anche se le doleva il cuore nel ripensare agli occhi tristi della sua
migliore amica. Anna era un fantasma e Jeremy era umano. Se davvero lo amava,
avrebbe dovuto lasciarlo andare, essere lei ad abbandonarlo, a non cercarlo, a
mandarlo via, a non udire più le sue richeste, ma i vampiri erano delle
creature egoiste e quello, non poche volte, era risultato un pregio e non un
difetto. Jeremy, così sensibile e innamorato, non sarebbe mai riuscito a non
pensarla più e si sarebbe messo nei guai. Toccava a lei e a Elena aiutarlo,
stargli vicino. Arrivò dinanzi alla piazza quando era già sera, parcheggiò e
vide tutti gli abitanti stretti vicino al palchetto mentre osservavano Carol,
con un bellissimo vestito color smeraldo, parlare. La donna la vide e Nicole le
rivolse un sorriso dolce, subito ricambiato. Avevano spento le luci. Vide suo
fratello tra la folla cercare qualcuno e lo raggiunse, battendogli l’indice
sulla spalle per farlo voltare. Le sorrise e l’abbracciò teneramente. Nicole
ricambiò.
« Dimmi cosa sta succedendo,» sussurrò sfiorandogli la
guancia in un bacio dolce. Jeremy abbassò il capo e lo inclinò. Alaric stava
salendo sul palco per prendere la parola al posto del singor Fell, il padre di
Blair. Si fermarono ad appluaudire con gli altri mentre Nicole percepiva
qualcosa di profondamente sbagliato e si guardò intorno. Jeremy si voltò e
chiamò il nome di Anna e Nicole si volse per comprendere finalmente chi fosse.
Era una bella ragazza dai capelli ricci e neri e dagli occhi marroncini, il
viso a cuore candido e le labbra rosee. Suo fratello la raggiunse mentre lei
restò al suo posto, guardando alla sinistra di Alaric, verso un albero su cui
spiccava qualcosa di anomalo. Nicole chiuse gli occhi e rilassò il respiro per
comprendere cosa turbasse la quiete della natura. Trattenne il fiato e li
spalancò subito. Un conato di vomito la investì, ma lo ricacciò indietro.
Avevano acceso le lanterne. Tobias Fell era appeso a un albero, la camicia
stracciata e il petto squarciato. Schiuse le labbra e sgranò il occhi,
indietreggiando. Sentì qualcuno urlare e la gente di disperse. Era uno
spettacolo orribile. Sentì la mano di qualcuno sulla schiena e si voltò. Era
Tyler. Lo stava guardando accanto a lei, orripilato anch’egli dalla vista.
Nicole gli si fece più vicino, proteggendosi.
« Dio mio, è spaventoso,» bisbigliò con la voce rotta dalle
lacrime. Tyler annuì e la strinse maggiormente a sé. Qualcuno chiamò i
paramedici e lo sceriffo. Anche Carol era sotto shock, « Va’ da tua madre. Ha
più bisogno di me,» gli mormorò dolcemente, ancora tremando. Tyler la guardò,
poi annuì e le baciò il capo, scomparendo tra la folla per raggiungere il
palco. Senza Tyler sembrava tutto più terrificante e si guardò indietro
cercando Jeremy. Aveva gli occhi spalancati e il respiro accelerato. Gli si
avvicinò e gli sfiorò la mano per fargli allontanare lo sguardo. La guardò
anche Anna. I paramedici arrivarono in un attimo e tolsero subito il corpo
dall’albero. Qualcuno stava piangendo. Si voltò di scatto. Blair Fell era
stretta a sua cugina e singhiozzava sulla sua spalla. Dopo sua madre, anche suo
padre non c’era più. Se ne dispiacque, ma la suoneria di suo fratello la
distrasse. Era Caroline. Parlavano della collana, del ciondolo della strega
originaria. Qualcuno doveva averlo preso e nascosto. Pensavano fosse stata
Anna. Nicole la guardò. Le sembrò sincera, ma non si fidò completamente.
« Non sai chi potrebbe averla presa? » le domandò con gli
occhi assottigliati e il battito accelerato. Anna la guardò e scosse il capo,
poi scomparve. Elena arrivò. Stava succedendo tutto troppo velocemente. Le
parole di suo fratello le fecero sanguinare il cuore e non riuscì a comprendere
come sua sorella sembrasse non sentirle. Lui
l’amava. Per quanto sbagliato, insensato e paradossale fosse, Jeremy era
totalmente e incodizionatamente innamorato di lei. Non l’avrebbe mai lasciata
andare.
« Elena,» la chiamò. Sua sorella scosse il capo, capendo le
sue intenzioni.
« Nicole, tu non capisci. È solo un ragazzo. Non può
trascorrere tutta la sua vita amando un fantasma, qualcosa che non è reale.
Anna è morta. Ti stai aggrappando a qualcosa che non c’è più, Jer,» esclamò, « Amerai un fantasma per tutto il resto della
tua vita? » continuò. Jeremy chinò il capo per un solo istante e Nicole gli
strinse la mano. Sapeva che sua sorella aveva ragione, ma era tutto inutile. Per lui era reale. Per lui era più
semplice credere che Anna non se fosse mai andata. Nicole riusciva più a
comprendere le ragioni di suo fratello che quelle di sua sorella e sentiva che
era giusto così. Jeremy era solamente un ragazzino, era vero, aveva tutta la
vita davanti a sé, ma che vita sarebbe stata se la ragazza di cui si era
innamorato non esisteva più? Se non avesse più potuto toccarla, amarla? Si
sarebbe destato da un sogno che, per quanto irreale, gli faceva battere il
cuore. La sua anima sarebbe morta. Per sempre.