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Autore: margheritanikolaevna    01/05/2012    7 recensioni
Volete sapere la verità sulla morte di Aiden Burn? E vedere Mac Taylor come non l'avete mai visto?
Prima classificata e vincitrice del "Premio Giuria" al "The insanity contest", indetto da Liena90 su efp.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mac Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Parte terza
 
L’uomo impallidì ancora di più, abbassò lo sguardo sul pavimento e non rispose.
“Non devi preoccuparti” continuò lei “andrà tutto bene, troveremo qualcuno che saprà aiutarti, tutto il dolore svanirà. E anche Claire finalmente svanirà!”.
Quello che accadde subito dopo fu rapidissimo, inatteso e sconvolgente e lasciò ad Aiden Burn giusto il tempo di capire che quella sera aveva commesso un errore imperdonabile, dal quale non poteva più tornare indietro. E che forse le sarebbe costato la vita.
Mac, infatti, gridò: “No!”.
Fu un urlo basso, roco, come di un animale in gabbia, che alla ragazza ghiacciò all’istante il sangue nelle vene; il grido disperato di un uomo che lotta per sopravvivere, che difende il suo mondo da chi minaccia di distruggerlo.
Una frazione di secondo dopo, la colpì con tutta la sua forza sulla fronte, proprio dove già D.J. Pratt le aveva quasi sfondato il cranio, strappandole un grido strozzato di dolore.
La gettò sul pavimento immobilizzandola col suo peso e si scagliò ancora contro di lei: Aiden era giovane e addestrata, ma lui era molto più forte e, soprattutto, accecato dalla rabbia e dalla paura. La ragazza mugolò, folle di terrore, adesso consapevole che se non si fosse difesa lui l’avrebbe uccisa.
Sollevò le mani per difendersi, ma Mac, con furia cieca e sorda, le afferrò il polso così forte che Aiden sentì il suono della sua ulna sinistra che si spezzava, mentre con l’altra mano lui le tappava la bocca per impedirle di urlare per quel dolore atroce.
Il calcio col quale le fratturò due costole le mozzò il respiro in gola; la bocca le si riempì di sangue e un velo nero le calò implacabile davanti agli occhi. Nello stordimento, udì solo il respiro affannoso di Mac chino sopra di lei e il bruciore al torace che non le dava tregua;cercò di respirare, ma il respiro non volle venire. Ebbe l’impressione di essere scagliata fuori di sé e fuori e fuori e sempre nel vento. Poi, mentre il dolore inspiegabilmente si attenuava, galleggiò e, invece di procedere, si sentì scivolare indietro. Aprì con uno sforzo enorme gli occhi: Mac era in piedi davanti a lei, ma la vista era già confusa e lei non riuscì a distinguere né i suoi lineamenti né la sua espressione.  Cercò di muoversi, di rialzarsi, ma non poté. Prima di riuscire ad articolare un qualsiasi pensiero, l’oscurità l’avvolse e fu solo il corpo, illuminato dalla luce tremula delle candele orami quasi consumate, di una ragazza massacrata, raggomitolata sul pavimento di un’elegante sala da pranzo borghese. ***
 

Mac Taylor, ancora chino sul cadavere di Aiden, sbatté le palpebre e deglutì a vuoto; si passò meccanicamente la lingua sulle labbra aride e, facendolo, sentì il sapore salato del sangue che le macchiava. Guardandosi le mani, si accorse che erano imbrattate di rosso; schizzi di sangue misto a materia cerebrale gli sporcavano la faccia e la camicia, una volta immacolata.
Mentre il respiro tornava regolare poco a poco e la sua mente sconvolta recuperava lucidità, si rese conto finalmente di cosa era appena accaduto. Di cosa aveva fatto.
Si guardò intorno: la sua violenza era stata tale che dal povero corpo della ragazza il sangue, che ora colava formando una chiazza sempre più ampia sul pavimento, era schizzato sulle pareti, sui mobili, persino sul soffitto.
Nel suo cervello disorientato, lo sconcerto per ciò che aveva commesso si confuse con uno straziante senso di colpa: Aiden era una sua amica, era venuta lì in cerca di aiuto e invece lui… era diventato un assassino, come quelli cui quotidianamente dava la caccia da anni. Anzi, persino peggio, peggio di D.J. Pratt, peggio di tutti gli altri: era diventato un mostro.
Dunque, uccidere era una cosa tanto facile?
Sentiva che il sangue gli correva vertiginosamente nelle vene, mentre la nebbia oscura che gli aveva ottenebrato il cervello per pochi, determinanti, minuti si stava dissipando. Non era la prima volta che gli toccava: già in passato aveva provato la terrificante esperienza di togliere la vita a un altro uomo … però in quei casi era stato diverso, profondamente diverso. Era accaduto quando, giovane marine, aveva combattuto durante la campagna in Libano e più recentemente nel corso di un’azione di polizia per arrestare un sospettato, proteggere un civile o un agente della sua squadra, oppure se stesso.
Qui invece aveva ammazzato a mani nude una donna indifesa, ferita, in difficoltà, con l’unico scopo di salvare se stesso, il suo lavoro e la sua vita.
Avrebbe desiderato riflettere, ma non ne fu capace, e anzi ben presto si convinse che non aveva realmente bisogno di perdersi dietro alle elucubrazioni della sua mente sconvolta giacché ogni suo gesto, ogni movimento, ogni passo che l’aveva condotto al delitto era stato dettato dalla necessità.
Proprio così, gli appariva incontrovertibilmente chiaro adesso: non aveva avuto scelta, aveva agito nell’unico modo possibile.
Subito dopo fu assalito dal terrore: se qualcuno avesse sentito? Se fossero riusciti a risalire a lui? Forse uno dei vicini aveva visto Aiden entrare a casa sua e, non appena si fosse saputo della sua morte, immediatamente i suoi colleghi avrebbero fatto due più due.
No, non poteva permetterlo.
Non era pronto a rinunciare alla sua vita, con tutto ciò che essa comportava.
La prima cosa da fare era liberarsi del cadavere e ripulire tutto: di scene del crimine ne aveva viste talmente tante che nessuno meglio di lui sapeva come occultare indizi, nascondere prove e depistare un’indagine per omicidio.
Già, di scene del crimine ne aveva analizzate decine, centinaia, ma mai avrebbe pensato che la sua sala da pranzo sarebbe diventata una di esse.
Tirò giù dal divano il telo che lo ricopriva e, facendo attenzione a non guardarlo in faccia, vi avvolse il corpo di Aiden; poi lo prese tra le braccia, attraversò l’appartamento e lo depose delicatamente nella vasca da bagno, in modo che il sangue che continuava a uscirne non finisse sul pavimento e potesse in seguito essere pulito con maggiore facilità.
Adesso doveva occuparsi degli schizzi: furono necessarie due ore di lavoro serrato per rimuovere le macchie di sangue e Mac dovette fare ricorso a tutta la sua abilità di investigatore per scovare anche le tracce più piccole e nascoste. La capacità di osservazione che di solito gli era utile per incastrare un colpevole adesso la stava usando invece per salvarne un altro: lui stesso.
Quando ebbe finito, era esausto e fradicio di sudore: si guardò intorno, considerando che, avendo passato dovunque l’ipoclorito di sodio (1), il DNA di Aiden ne era stato irrimediabilmente degradato così che, seppure a qualcuno fosse venuto in mente di passare il luminol in quella camera, scoprendo gli aloni invisibili a occhio nudo che non era riuscito a cancellare del tutto, non si sarebbe mai potuto affermare con certezza che la ragazza era stata uccisa lì.
Attento a non lasciare dietro di sé tracce, andò nel bagno di servizio, si spogliò e sistemò i suoi abiti imbrattati di sangue in una busta di plastica: se ne sarebbe liberato più tardi, con calma.
Si infilò sotto la doccia e, mentre si insaponava quasi non rabbia, sfregandosi la pelle e i capelli tanto da farsi male come se, rimuovendo il sangue, potessero scorrere via insieme all’acqua rossastra anche il dolore e il senso di colpa, d’un tratto comprese quale fosse l’unica soluzione possibile per salvare se stesso e insieme riparare almeno a un po’ del male che aveva fatto, rendendo ad Aiden, in qualche modo, giustizia.
***
 
Chiudere il cadavere in una delle grosse valigie di Claire, che ancora conservava sopra all’armadio, fu semplice; più complicato e pericoloso fu invece trasportarla fino alla sua auto e infilarla nel cofano.
In una città come New York non gli risultò nemmeno tanto difficile, nonostante l’ora, procurarsi una tanica di benzina per accendini, praticamente impossibile da rintracciare.
Seguendo le indicazioni che gli aveva fornito Aiden, individuò il posto dove Pratt l’aveva aggredita e, tenendo a mente la descrizione della macchina in cui lui l’aveva spinta, trovò anche la Cadillac nera. Quando, indossati i guanti bianchi di lattice, provò ad aprire la portiera, si accorse che era stata forzata con uno Slim Jim (2) così come il blocchetto dell’accensione: allora era proprio così, pensò, D.J. Pratt doveva avere rubato quell’auto per uccidervi Aiden a riparo da occhi indiscreti.
Per Mac Taylor fu terribile aprire la valigia e, guardandosi intorno col cuore in gola nel terrore di essere sorpreso da qualcuno, tirarne fuori il corpo e distenderlo sul sedile anteriore.
Aprì appena i finestrini, in modo da lasciar passare aria a sufficienza per alimentare la combustione all’interno dell’abitacolo, ma non tanta da far divampare alte le fiamme, attirando così l’attenzione della gente prima che il fuoco completasse la sua opera di distruzione.
Infine, la parte più atroce.
Il tocco che avrebbe incastrato Pratt senza lasciargli alcuna possibilità di salvezza: le mani guantate del detective aprirono le mascelle del cadavere - fortunatamente, considerò, non era ancora sopraggiunto il pieno rigor mortis - e, facendo forza insieme dall’alto e dal basso, le richiusero sul bracciolo del sedile del passeggero in maniera da lasciarvi su un’intaccatura che chiunque non fosse stato presente lì con lui in quel momento avrebbe scambiato certamente per un morso, inferto da Aiden mentre era ancora viva.
Si alzò, sparse tutta la benzina sul corpo e sui sedili e con un fiammifero appiccò il fuoco.
Mentre risaliva in macchina e metteva in moto, udì distintamente il crepitio delle fiamme e vide i primi bagliori rossastri riflettersi sui marciapiedi lucidi di pioggia e sui vetri delle altre auto in sosta. 
Quello sarebbe stato il suo tributo ad Aiden Burn.
Si era ricordato di un caso cui avevano lavorato insieme sei anni prima. Una donna era stata rapinata e uccisa mentre tornava a casa dopo il lavoro; loro avevano un sospettato, ma il suo alibi reggeva, non c’erano testimoni e l’indagine era a un punto morto. Quindi Aiden aveva iniziato a tormentare quel tipo, seguendolo e provocandolo, fino a che lui non aveva ceduto e le era saltato addosso: con l’accusa di aggressione a una poliziotta arrestarlo era stato facile e, una volta in Centrale, si erano accorti che l’uomo aveva una vistosa ferita sull’avambraccio, poi risultata un morso compatibile con la dentatura della vittima. Così la giovane detective era riuscita a incastrare il colpevole anni prima; allo stesso modo, sarebbe riuscita a incastrare D.J. Pratt adesso.
Quando il cadavere fosse stato scoperto, infatti, per la sua squadra sarebbe stato assai facile ricollegare il segno sul bracciolo dell’auto con il morso che Aiden gli aveva dato durante la loro colluttazione; da qui, la conclusione più logica sarebbe stata desumere che la ragazza fosse stata ammazzata all’interno della macchina da Pratt, secondo il piano da lui effettivamente concepito e poi non andato in porto a causa della reazione della ragazza.
Poi ci avrebbe pensato lui a tirare fuori al momento giusto la storia del caso di sei anni prima, facendo credere che Aiden avesse voluto, in punto di morte, lasciare una traccia che avrebbe consentito loro di incastrare l’assassino.
  
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