Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: _hurricane    02/05/2012    13 recensioni
Raccolta di Missing Moments della mia fanfiction Let Me Be Your Sun: 8 momenti diversi della loro vita, alti e bassi, sconfitte, vittorie.
Perchè ci sono tanti modi in cui il sole può splendere. Come le albe, i tramonti e le aurore boreali.
“…mi avresti fermato e mi avresti chiesto Scusa, posso farti una domanda? Sono nuovo qui! e io avrei fatto finta di crederci” concluse Blaine al suo posto, soffocando una risatina di scherno. Kurt gli diede una spallata, per poi raggomitolarsi di nuovo contro di lui.
“Poi mi avresti preso per mano, così, senza pensarci” continuò, lo sguardo lontano.
“Senza neanche conoscerti?” domandò Blaine, un piccolo sorriso sul volto. Dio, sapeva che lo avrebbe fatto. Sapeva che se quando si erano conosciuti Kurt fosse stato diverso, se tutto fosse stato diverso, avrebbe allungato una mano verso il suo cuore alla prima occasione, dal primo istante.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

Kurt legge l'ultima pagina del diario scritta da Blaine.

 

 

 

 

 

Kurt si svegliò lentamente, stiracchiandosi come un gatto e allungando braccia e gambe in ogni direzione come faceva sempre quando si rendeva conto che Blaine si era già alzato, lasciandogli così tutto il letto a disposizione. Si aprì quasi a stella marina, tastando con aria soddisfatta la superficie del materasso resa calda dal corpo di Blaine prima che se ne andasse, e all’improvviso le sue dita entrarono in contatto con qualcosa. Dopo averla toccata più volte alla cieca, il viso girato dall’altra parte sul cuscino, si rese conto che era di forma vagamente rettangolare: era il loro diario. Blaine vi aveva appena scritto sopra, altrimenti sarebbe stato ancora nel secondo cassetto del comodino.

Subito più sveglio, curioso di sapere cosa avesse appena scritto, si voltò e prese il piccolo libriccino, sistemandosi a poco a poco in posizione seduta contro la testata del letto. Lo aprì, sfogliandolo fino all’ultima pagina scritta, e lesse.

 

Ti sto guardando dormire, come al solito te la prendi comoda. Potrei anche convocare una banda musicale per svegliarti a suon di tamburi, ma tu ti limiteresti a voltarti dall’altro lato e grugnire nel sonno. A proposito, mi hai appena dato un calcio. Inizio a pensare che tu mi legga davvero nel pensiero, persino mentre dormi.

Sei bello come allora, lo sai? Come quella notte sulla riva del lago, come quella in cui ti ho baciato per la prima volta, come quella in cui ti ho sposato. Sei perfetto.

E se fossi sveglio adesso, mi daresti una gomitata e mi diresti di smetterla di ripeterlo, e io alzerei le spalle e direi di non poterne fare a meno, perché lo sei.

Chissà se mi stai sognando adesso. Spero di si, perché stai sorridendo ad occhi chiusi. Magari dopo mi racconterai cosa stai sognando e scoprirò che non ha niente a che vedere con me. Quindi se leggi questa pagina prima che io te lo chieda, puoi sempre mentire e dire che c’ero io nei tuoi pensieri, d’accordo? Anche se me ne renderò conto farò finta di non saperlo!

Oh, quasi dimenticavo… buon compleanno, amore mio.

 

Kurt alzò lo sguardo dalla pagina, gli occhi lucidi e il cuore che gli batteva forte nel petto – si era appena innamorato di nuovo di Blaine, ormai sapeva riconoscerlo – e proprio in quel momento se lo ritrovò davanti. Era appena uscito dal bagno, i ricci ancora più neri del solito a causa dell’acqua che non si era preoccupato di togliere – Ti verrà il raffreddore, Blaine gli diceva sempre Kurt – con un asciugamano intorno alla vita e il suo corpo in bella vista quasi per intero.

Muscoli più definiti di quando lo aveva conosciuto, pelle un po’ più scura, gambe un po’ più lunghe, ma era sempre Blaine: era sempre l’uomo con un colore senza nome negli occhi e una luce senza fine nel cuore, e Kurt si innamorò ancora, e chissà, sarebbe forse stata l’ultima volta quella? Probabilmente no.

Perché Kurt era certo che sarebbe successo di nuovo, forse all’ultimo secondo della sua vita. L’ultima cosa che avrebbe voluto fare era scoprire ancora una volta di amarlo.

“Cosa fai?” chiese Blaine con voce affettuosa, la domanda palesemente retorica. Kurt cercò di ritrovare il respiro che aveva perso guardandolo, prima di rispondere.

“Ho letto quello che hai scritto” disse, sfoggiando un piccolo e quasi timido sorriso. “Grazie.”

Blaine gli sorrise di rimando senza dire niente, dirigendosi verso l’armadio per trovare qualcosa da mettersi addosso, ma prima di poterlo aprire sentì Kurt parlare di nuovo come se fino a quel momento non avesse fatto altro che pensare a come rispondere.

“Anche tu lo sei, Blaine. Sei bello come allora.”

Blaine si voltò di scatto, colpito dal suo tono quasi riservato, riflessivo. Come se fosse una confessione scottante da fare, una cosa che aveva paura di dire. Kurt lo fissò per un secondo quasi con riverenza, prima di spostare lo sguardo sul diario che aveva ancora tra le mani. Con aria rassegnata, sospirò e lo richiuse, per poi poggiarlo sul comodino.

“Non scriverai, vero?” gli domandò Blaine in un sussurro. Kurt alzò lo sguardo verso di lui e fece segno di no con la testa.

“Perché?” chiese allora Blaine, spostandosi per sedersi alla fine del letto, vicino ai piedi di Kurt. Distrattamente, iniziò ad accarezzargli una caviglia da sopra le lenzuola, sentendolo rilassarsi sotto il suo palmo.

“Perché è così che voglio che finisca. E’ così che voglio che tu mi ricordi. Mentre sorrido ad occhi chiusi perché ti sto sognando, perché stavo sognando te, Blaine, sogno te sempre, dio.”

Blaine gattonò velocemente sopra di lui e lo attrasse a sé in un bacio dolce e possessivo, cingendogli il viso con entrambe le mani e sentendo Kurt sospirare contro le sue labbra, il suo respiro subito più accelerato. Quando si ritrasse, si accovacciò tra le sue gambe divaricate e rimase a fissarlo, i suoi capelli arruffati, le guance leggermente tinte di rosso, le labbra gonfie e quell’accenno di borse sotto gli occhi che tanto odiava, ma che ai suoi occhi non riuscivano comunque a renderlo meno perfetto di com’era.

Kurt tornò ad essere improvvisamente riflessivo, passandosi la lingua sulle labbra come faceva sempre quando stava pesando le parole da dire. Per un attimo ci fu solo silenzio, e poi-

“Pensi che lo farai mai leggere a qualcuno?” domandò, e la frase colse Blaine leggermente di sorpresa.

“Perché? Pensi che dovrei?” rispose stranito. Da quando Sebastian, tanto tempo prima, lo aveva fatto a loro insaputa, l’idea quasi lo nauseava. Sarebbe stato come tradire Kurt se avesse permesso a qualcun altro di farlo, e al di là di tutto era una cosa a cui semplicemente non aveva mai pensato.

“Non so, potresti farlo” disse Kurt, ma Blaine capì che c’era qualcosa, qualcosa di grande, a cui stava pensando, così incalzò: “E a chi dovrei farlo leggere?”

Kurt alzò lo sguardo dalle mani che aveva stretto alle lenzuola e lo fissò, gli occhi così chiari, così terribilmente chiari, che a Blaine sembrò di essere sott’acqua mentre guardava dal basso la superficie del mare e ancor più su il colore azzurro del cielo. Era uno spettacolo, e ogni volta che Kurt sbatteva le palpebre Blaine agognava per il momento in cui le avrebbe riaperte soltanto per perdersi nell’acqua ancora una volta.

“A tuo figlio, per esempio” disse Kurt dopo una pausa che sembrò interminabile, e a quel punto Blaine capì che stava pensando intensamente al dopo. Al futuro di Blaine senza di lui. Gli si strinse il cuore, a vederlo così triste, ma in fondo non era neanche quello, non gli sembrava propriamente triste. Sembrava perso, come se la sua mente fosse lontana anni luce a fluttuare chissà dove e lui non potesse raggiungerla neanche se avesse allungato una mano per afferrarla. Ma non poteva sopportarlo, così ci provò comunque, allungandola verso la sua e stringendola.

“Come fai a sapere che ne avrò uno?” chiese in un sussurro che fece terribilmente male, perché lo avrebbe voluto con Kurt e adesso stava parlando con lui di un domani in cui non ci sarebbe stato e in cui, forse, avrebbe cresciuto un figlio al fianco di qualcun altro. Sembrava così sbagliato, da essere quasi un oltraggio, un abominio.

“Lo so e basta” rispose Kurt con un piccolo sorriso consapevole, stringendogli la mano di rimando. Lo fissò ancora, e Blaine si sentì morire quando parlò di nuovo, squarciando il silenzio. “Sarai un padre fantastico, Blaine.”

Blaine lo guardò per un attimo prima che il suo viso si contraesse in una piccola smorfia di tristezza, e si abbassò completamente per appoggiare la fronte alle loro mani unite sopra il materasso, come per trovarvi conforto. Pianse qualche lacrima, bagnandole, e poi trovò la mano di Kurt in quell’intreccio e vi lasciò sopra un piccolo bacio.

“Anche tu lo saresti stato” disse in un sussurro impercettibile e strozzato, il cuore che bruciava tanto quanto i suoi occhi per aver appena ammesso una cosa che sapeva con certezza fin nel profondo del suo essere ma non aveva mai osato dire ad alta voce. Bruciava arso dal fuoco dei saresti stato e avremmo avuto e avrei voluto, perché era tardi, era troppo tardi ormai.

Quando udì un lieve singhiozzo sfuggire alle labbra di Kurt, alzò di scatto la testa e raggiunse il suo viso quasi alla cieca, baciandolo in fretta pur di non vederlo piangere, e senza neanche sapere come si ritrovarono avvinghiati l’uno all’altro in un intreccio senza senso a baciarsi e toccarsi ovunque. Blaine iniziò a parlare tra un bacio e l’altro senza neanche accorgersene.

“Gli parlerò di te” disse, soffocando un altro singhiozzo di Kurt con le sue labbra prima di continuare. “Gli darò il tuo nome e gli parlerò di te, di noi. Gli insegnerò a suonare e dipingere e gli dirò di guardare il cielo di notte per trovarti.”

“Davvero lo farai?” chiese Kurt, il viso ad un centimetro dal suo e le braccia strette con possessività intorno alla sua vita, il respiro affannoso e le lacrime ancora fresche. Blaine annuì, strofinandogli il naso nel farlo, e poi rispose.

“Gli dirò che sei una stella.”

 


 

“Si prenda tutto il tempo di cui ha bisogno, signor Anderson” disse l’infermiera, stringendogli la spalla con una mano con fare comprensivo e rassicurante.

“Hummel-Anderson” la corresse Blaine, sfiorando l’anello che aveva al dito quasi inconsapevolmente mentre spostava lo sguardo sul vetro che lo separava dalla stanza che aveva di fronte a sé. Lei gli sorrise in un silenzioso cenno di scuse, e senza dire altro si allontanò.

Blaine rimase in piedi, le mani giunte, a guardare. A guardare quattro bambini diversi, tutti abbandonati dalle loro madri non appena erano venuti al mondo, e dover scegliere quale di loro portare a casa con sé, quale di loro far diventare suo figlio.

A quale di loro dare il suo nome.

Il suo cuore battè un po’ più forte e il respiro si fermò; Blaine si strinse forte il petto, serrò la mascella e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi su come fare a respirare, dentro e fuori, dentro e fuori, prima che occhi azzurro cielo e Lascia che io sia il tuo sole e Ti amerò per sempre, Blaine e Non dimenticarmi gli offuscassero la vista e lo trascinassero verso il basso con i loro artigli affilati.

Si appoggiò al vetro, un palmo piatto sulla sua superficie mentre l’altra mano restava ancorata al suo petto, al suo cuore, stringendolo per costringerlo a rimanere lì dov’era, dentro di lui, invece di scoppiare, volare via dal suo corpo e raggiungere la persona a cui apparteneva davvero.

Era troppo presto, Blaine lo sapeva. Troppo presto per prendersi una responsabilità del genere, per fare un passo così importante dettato dal lutto e dalla sofferenza, da una promessa che aveva fatto ma che non era costretto a mantenere subito. Ma si sentiva così solo, e così perso, e così pieno di amore che non sapeva più dove guardare, non sapeva più che farsene, perché Blaine era fatto così. Non aveva smesso di voler amare. Non aveva smesso di voler vivere. Ma non sapeva come fare.

Sarai un padre fantastico, Blaine.

Anche l’altra mano sul vetro, e poi anche la fronte, e il respiro troppo affannato e strozzato e veloce e Blaine aveva dimenticato di nuovo come fare, il cuore batteva troppo forte – Come facevi a saperlo? Come facevi a sapere che lo sarò? – e suonava una melodia spietata di parole sempre uguali, Mi manchi e Non so come fare e Ti amo più di prima e Mi manchi mi manchi mi manchi mi manchi.

Blaine aprì gli occhi e tornò a fissare dritto davanti a sé, cercando qualcosa di Kurt in uno di quei bambini sconosciuti. Cercava sempre qualcosa di Kurt, quando si guardava intorno. Per ricordarsi che c’era stato.

E fu in quel momento che lo vide: un bagliore. Uno scintillio negli occhi di uno di loro, probabilmente un gioco di luci, un normalissimo riflesso dalla lampada attaccata al soffitto. Ma non appena lo vide, si voltò per guardare gli occhi degli altri bambini e all’improvviso non erano più tutti uguali; quello era diverso. Adesso, di colpo, aveva la pelle più pallida di tutti e gli occhi più chiari di tutti e un giorno probabilmente avrebbe avuto i capelli castani e lisci e un sorriso capace di illuminare la notte più scura.

Un giorno avrebbe conosciuto una persona e avrebbe cambiato la sua vita, avrebbe cercato di dipingere i suoi occhi fino ad impazzire e ci avrebbe fatto l’amore senza pensare alle conseguenze su un pavimento sporco di pittura.

“Lui” disse Blaine, la voce roca e troppo bassa per essere sentita mentre continuava a fissare il neonato al di là del vetro. Provò più forte. “Lui, voglio lui.”

Quando l’infermiera prese il bambino dalla culla e lo adagiò tra le sue braccia, Blaine se lo sistemò al petto e lo fissò. Aveva le guance piene, tinte da due aloni di colore che gli ricordarono il modo in cui Kurt arrossiva. Pochi capelli arruffati sulla sua testa, ancora troppo scuri per stabilire come sarebbero diventati, e due occhi vispi ed espressivi che si guardarono intorno con curiosità.

Blaine alzò la mano libera e con cautela gli sfiorò la guancia con il dorso dell’indice, osservando il movimento delle sue piccole palpebre che svolazzavano placide come quelle di Kurt quando gli sfiorava lo zigomo allo stesso modo. Sorrise teneramente, e solo allora una lacrima sfuggì ai suoi occhi per cadere proprio sulla guancia del bambino. Blaine se ne accorse e la scacciò via, stringendolo un po’ di più a sé.

“Come ha intenzione di chiamarlo?” sentì dire all’infermiera, che era rimasta in silenzio dietro di lui per lasciargli godere il momento. Blaine accennò un sorriso e guardò suo figlio, il loro figlio. Perché ai suoi occhi, quello era comunque il frutto del loro amore: Kurt era l’unica persona al mondo con cui avrebbe mai voluto avere un figlio, e così sarebbe stato.

Sarai un padre fantastico, Blaine.

Anche tu lo saresti stato.

Sì, lo sarebbe stato. Blaine ne era così sicuro che faceva male. Chiuse gli occhi, e per un attimo fu tutto come avrebbe dovuto essere: Kurt dietro di lui, che gli cingeva la vita appoggiando il mento alla sua spalla per guardare il bambino che aveva tra le braccia e sorridergli. Avrebbe detto E’ così bello, Blaine e lui avrebbe risposto Proprio come te e allora Kurt avrebbe accennato una risata e gli avrebbe detto che era uno stupido.

“Kurt” disse Blaine, giocando con la mano del bambino che intanto l’aveva stretta intorno al suo indice. “Si chiama Kurt.”

 


 

   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: _hurricane