CAPITOLO 1
«Senti,
se mi dessi più
tempo, riuscirei ad avere i soldi che ti devo. Basta solo che chiudi un
occhio
per una settimana o due prorogando il termine della scadenza, tutto
qui!»
«No, Matt devi pagarmi
l’affitto di tre mesi non posso più aspettare. Per
venirti incontro non ho solo
chiuso entrambi gli occhi, ho quasi perso la vista per te e lo sai
benissimo.»
Il tono del 56enne non lasciava spazio a supposizioni. Non avrebbe
accettato un
altro rinvio da parte del ragazzo.
«Ok, ok, facciamo 4 giorni
e la chiudiamo qui?» Il sorriso smagliante che faceva cadere
in ginocchio tantissime
ragazze e ragazzi non aveva presa sul suo interlocutore. Difatti egli
era un
pensionato ultra-cinquantenne appassionato di poker e motori.
«Vattene» sentenziò.
«Ti prego, dammi solo un
altro po’ di tempo»
«No basta. Niente più
patti. Se hai i miei soldi rimani, altrimenti te ne vai»
«Per favore, lo sai che
non avrei un posto dove stare!» disse il giovane
ventiquattrenne frenando a
stento le lacrime.
«Mi dispiace figliolo, ma
un contratto è un contratto. Avresti dovuto pensarci prima
di sottoscrivere un
documento» il signor Cough era davvero desolato e dispiaciuto
per aver
utilizzato il pugno di ferro con quel ragazzo che considerava quasi
come un
figlio, ma non poteva fare altrimenti. Ci aveva già rimesso
troppo, non poteva
rischiare un’altra volta.
Matt si passò una mano tra
i capelli, fece due passi indietro, si girò per guardare la
stanza, i suoi
piedi e poi coprì la bocca con la mano. Cercava di
escogitare qualcosa per non
abbandonare quella dimora, ma non gli venne in mente nulla.
«Non sai quanto mi
dispiaccia, ragazzo» Era sincero, la frase gli sarebbe
provenuta dal profondo
del suo cuore se ne avesse avuto uno. Ma essendo un morto vivente, ne
era
privo, aveva il busto completamente aperto, si vedevano le budella e la
cassa
toracica. Ma niente cuore.
Matt fece scivolare la
mano dalla bocca agli occhi, poi si ricompose e lo guardò
fisso nelle pupille.
«Non sai quanto dispiace a
me.»
«Non
ne posso più» sbuffò
la ragazza dai capelli rosso mogano.
«Non dirlo a me! E’ un’ora
che spiega e io non ho avuto la forza di ascoltare una parola del suo
discorso»
rispose la sua vicina di banco in un sussurro, ritornando poi a
reggersi il
viso con la mano destra.
«No, io… Non mi riferivo a
quello» disse Andrea così a bassa voce che nessuno
avrebbe capito cosa avesse
detto. Ma la sua vicina di banco che era anche la sua migliore amica,
colse al
volo il suo disappunto. «Vedi ancora… ehm.. Vedi
ancora quelle ombre?» Chiese
gentilmente, conoscendo tuttavia la risposta. «Sì,
e mi stanno facendo
diventare matta» detto ciò si scostò
dal viso una ciocca di capelli.
«Be’, potrebbe essere la
tua dote, no? Claudio è un incrocio tra un troll e un
gigante, Sara è una
sirena, io sono una strega e tu … tu hai il dono di vedere
le ombre ecco.» Eleonora
cercò di argomentare a favore dell’amica, ma nello
stesso momento in cui
pronunciava quel discorso sentiva che non quadrava.
«Tanto lo so che non ho un
amico perché tutti credono che io sono solo
un’umana»
«Andrea! Io ti sono amica
e ti credo se dici che vedi queste ombre. Non hai ancora capito che
cosa
significano. Magari vogliono dirti qualcosa e tu non lo
capisci» esplose
Eleonora, tanto che l’insegnante le rivolse uno sguardo
ammonitore.
Poi si girò verso Andrea
che alzò il sopracciglio destro e disse: «per
esempio?»
«Ma che ne so, possono
essere entità che rivelano il futuro o il passato. Ti
immagini che fortuna? Non
dovresti più studiare Storia, potresti farti suggerire tutto
quanto dai tuoi
amichetti» sghignazzò l’amica. Ma Andrea
non era affatto convinta, anzi il suo
malumore era peggiorato e anche la sua convinzione di essere solo
un’inutile
umana, senza una dote precisa. Invidiava Eleonora per le sue
qualità di strega.
Desiderava anche lei possedere capacità magiche, poter
ricavare acqua da un
sasso, creare pozioni che facessero innamorare quel ragazzo
ardentemente,
cavalcare una scopa. Ma tutto ciò che aveva erano ombre che
seguivano tutte le
persone che vedeva. Se Eleonora era seguita da una bambina di 5 o 6
anni, da
una ragazza dallo strano cappello e da una signora sulla cinquantina
che
portava un abito consunto e rovinato,
la
sua insegnante da un’anziana, una neonata e una donna adulta.
Per ogni persona
tre ombre di colore grigiastro.
«Smettila, sai bene che
non valgono niente. Niente. Come me. Non valgo niente.»