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Autore: moni93    02/05/2012    9 recensioni
Questa fanfic la dedico ai miei compagni di classe, perchè sono loro i protagonisti. Ebbene sì, qui non si parla di sovrannaturale o di fantasie nate nella mia mente, ma di fatti tangibili, reali e, cosa più importante, idioti.
Se siete curiosi di paragonare la vostra classe con la mia o se volete tornare indietro nel tempo, quando eravate stupidi e ignoranti (perchè il vostro unico pensiero era quello di arrivare vivi fino al fine settimana, per giocare con la play contro gli amici), siate i benvenuti!
Attenzione: i contenuti sono altamente comici e demenziali e potrebbero sconvolgere i più delicati di cuore. Alcune battutine potranno sembrarvi offensive o altro, ma vi assicuro che sono pronunciate con il solo scopo di far ridere tutti, anche i diretti interessati. In classe funziona, perciò non scandalizzatevi.
Non mi rimane che augurarvi buon divertimento! ^^
Genere: Comico, Demenziale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SECONDO GIORNO: LA GENESI DEI GUAI... EN ESPAÑOL, ¡POR FAVOR!

 

La professoressa D’Amico (che d’amichevole aveva ben poco) stava blaterando da quasi un quarto d’ora, per la gioia e la noia dei suoi alunni. L’ora di spagnolo era allo stesso tempo quella più agognata e temuta di tutte; da un lato, vi era la sicurezza che nessuno (persino il secchione della classe) avrebbe mai seguito una sola sillaba, figuriamoci poi parlare in quell’arcana lingua. Dall’altro, vi era la consapevolezza che quei sessanta minuti sarebbero pesati come macigni pesantissimi. Poi dicono che andare a scuola è una bella esperienza... seee, come fare una visita notturna al camposanto: uno spasso!

“Bien, ¿quièn quiere hablarme de sus vacaciones?”

Quella domanda fu accolta con un tremito generale della classe, poiché i suoi componenti furono percorsi da un brivido gelido lungo tutta la spina dorsale. Sì, perchè se c’era una domanda di cui gli alunni conoscevano benissimo la traduzione, era quella.

“Allora? Chi mi racconta qualcosa delle sue vacanze?” chiese nuovamente la D’Amico, stavolta in una lingua comprensibile per il genere umano.

“Matilde!” tossicchiò Mattia.

“Ehi!” protestò la ragazza.

“Cosa? Ti vuoi offrire? Prof! Ha sentito anche lei, no?” fece ad alta voce il moro, osservando con trionfo la docente.

Quella scosse la testa.

“Mattia, ti prego. Sarebbe la nostra prima lezione insieme dalla fine delle vacanze.”

“Appunto! Allora, ci dica, come ha passato le vacanze?” chiese raggiante lui.

“Ve l’ho appena detto, ma hai ascoltato?”

Mattia la fissò con la stessa perplessità con cui si osserva un problema di geometria alla lavagna. Dopo poco, si arrese, e tentò un’altra tattica.

“Ovvio che sì, ma la sua storia mi ha talmente appassionato, che voglio risentirla! Voi no, ragazzi?”

Quei pochi che avevano ascoltato, scossero la testa e Matilde, impietosita, gli aveva pure mormorato un “No”.

“Mattia, vi ho detto che ho passato le vacanze a casa, malata.”

Il silenzio fu così surreale, che mancava solo la pallina di fieno dei film western.

“Oh.” fu l’unico suono che emise il ragazzo.

“Este verano fui al Lago.” iniziò Matilde, desiderosa di porre fine alle sofferenze del compagno e della professoressa.

Seguirono una serie di rumorosissimi sospiri di sollievo, che durarono ben poco. Per quanto la ragazza si fosse impegnata a parlare il più possibile (aveva persino raccontato quello che progettava di fare la prossima estate!), il discorso morì nel giro di una decina di minuti e, di nuovo, la situazione piombò nel nulla più desolante.

“¿Otros que quieren hablar?”

La donna avrebbe fatto prima a chiedere se c’era qualche aspirante professore.

“Bien, vemos... ehm... Sabrina!”

La bionda scattò come un giocattolo a molla.

“Eh? Cosa? Volevo dire... ¿què?” squittì lei, alzando gli occhi dalla sua Settimana Enigmistica.

Mattia iniziò a ridacchiare: finalmente poteva divertirsi in compagnia dei suoi compagni, alle spalle della povera sventurata!

“Mattia, non ridere!” urlò Sabrina, gesticolando più del dovuto.

Mattia rispose, muovendo le mani in aria come un pazzo.

“Eh, scufa Sabrina!” fece lui, parlando come uno stupido (il che gli riusciva piuttosto bene).

“Sabrina, hablame de tus vacaciones. ¿Què hiciste este verano?” chiese la docente, ignorando il commento di Mattia.

Gli occhietti della ragazza brillarono, felici di aver compreso quelle poche parole e decisi a dimostrare la sua bravura.

“Allora.” iniziò decisa (non nel migliore dei modi, a essere sinceri) “Este verano fue...”

“Fui.” la corresse un po’ seccata la professoressa.

Mattia rise come una iena.

“MATTIAA!!! Smettila, che mi fai sbagliare: colpa tua!!”

Lui alzò le mani in segno d’innocenza.

“Non ho fatto niente!”

“Basta la tua faccia!” protestò Sabrina.

“In effetti, non aiuta molto.”

“Matilde, chiudi la ciabatta!” disse Mattia, scompigliando i capelli della compagna.

“Et toi, ferme ta gueule de chien!!” urlò imbronciata lei, ma con un sorrisino stampato in faccia, pronta a pregustare la vittoria.

Infatti, tutti si zittirono e la osservarono curiosi.

“Che?” ebbe il coraggio di chiede Mattia.

“È francese.” disse orgogliosa lei “Me l’ha insegnato mia madre.”

Persino l’insegnate era sorpresa.

“E che significa?” chiese la docente, dato che Mattia preferiva non saperlo.

Dal tono che aveva usato la ragazza, sembrava tutto, fuorché un complimento.

“Significa: chiudi il tuo muso di cane. È parecchio pesante, quasi una parolaccia.” rispose allegra Matilde, facendo pure una linguaccia al suo nemico numero uno.

“Brava!” le disse Eleonora.

“Devo venire a casa tua più spesso!” aggiunse Francesca.

“Matilde...” la chiamò Mattia, con aria cupa.

“Cosa?” chiese innocentemente lei.

“Vaffanculo!”

“Mattia!”

“Scusi, prof.” mormorò a testa china l’imputato, ma solo per nascondere una smorfia divertita.

“Ragazzi, ci terrei a farvi presente che questa è l’ora della seconda lingua straniera.”

“Infatti, profe: non vede come stiamo imparando bene il francese?” disse Francesca, convinta di aver detto una battutona.

Quattordici paia di occhi la fissarono allibiti, senza il minimo segno di un sorriso. Nel vedere quella buffa reazione, Francesca ridacchiò.

“Fra, ma chiudi il... aspetta, com’era Matty?” chiese interessato Mattia.

“Ferme ta gueule de chien?” chiese titubante la mora.

“Sì, quello!”

“Ma, Mattia!!” lo rimproverò Francesca.

“Eh-eh, Mattia!” ripeté il ragazzo, con un esagerato accento del nord “Pota, pota!”

“Mattia, piantala lè de fa el babao!” rispose a tono la ragazza.

“Mattia, insomma, guarda che ti metto la nota, come ai bambini!”

“Oh, ma profe! Perchè solo io?!” si lamentò, indicando Francesca.

“Ah-ah!” gli fece la compagna, ridendogli in faccia.

“Te ria argota!”

“Adesso basta, ti segno davvero sul registro!”

“No, profe!” si lagnò lui.

“Posso andare avanti?” chiese Sabrina, speranzosa.

“Sì, claro que sì.” convenne la docente, esausta per i troppi battibecchi.

“Allora.” incominciò nuovamente Sabrina.

“Bien.” mormorò la profesora.

“Eh? Ah, sì, sì! Bien!” ripeté convinta la bionda “Este verano...” si concentrò al massimo, facendo una pausa esagerata.

“Sento gli ingranaggi che fanno rumore!” ridacchiò Mattia, di nuovo di buon umore.

“Fue!” esclamò sicura.

“Fui.” la voce dell’insegnate distrusse il sorriso dell’alunna.

“Mannaggia!!” protestò questa, sbattendo un pugno sul tavolo.

“Sabrina, calma...”

“Sì, sì, scusi profe! Bien (stavolta ce la faccio, neh!) este verano FUI! a Londres.”

In quel mentre gesticolò con l’indice, come a dire “Eh? So forte!”.

La donna dietro alla cattedra annuì, sperando che quella poverina riuscisse a dire qualcos’altro.

“Para dos... ehm...” si bloccò un attimo “SETTIMANAS!” trillò convinta.

Tutti, persino i più ignoranti, nell’udire una tale boiata, risero come mai in vita loro. Sembrava che non si potesse ridere più di così, ma Sabrina gli regalò un’altra gioia.

“Sabrina, “settimanas” non esiste, al massimo si dice “semanas”.” la corresse demoralizzata l’insegnate.

“Eh, se! L’è ac istes!” rispose l’alunna, che si tappò subito la bocca, imbarazzata.

“Guarda che, anche se c’assomiglia, lo spagnolo non è come il dialetto bresciano!” le fece notare Matilde.

“No, no, lei è convinta che lo spagnolo sia come l’italiano: basta aggiungere la “s” alla fine delle parole!” aggiunse divertita Ofelia, dando delle pacche cariche di pietà sulla testa dell’amica, rossa come un semaforo.

“Perchè, non è così? Io sono arrivato fin qua con questa convinzione!” disse Mattia, tra una risata e l’altra.

Tra tutte le voci, quella che Sabrina non sopportava era quella del pagliaccio della classe, e ci mise poco per renderlo noto a tutti.

“MATTIAA!!” urlò la bionda “Smettila di ridere!!”

“Oh, ma che hai? Ridono tutti!”

“Sì, ma tu mi dai fastidio!”

“E, fosse solo quello il tuo problema!”

“Ragazzi, cerchiamo di ricomporci e di tornare seri.”

Un qualche dio parve esaudire la richiesta della donna, tant’è vero che la D’Amico riuscì a strappare anche solo poche parole ad ognuno dei malcapitati, sebbene non mancarono altri momenti comici.

“¿Què hiciste, Guido?”

“Nada.”

“¿ Donde fuiste?”

“A casa.”

“¿Hiciste algo?”

“Dormir.”

Durò pochi secondi, ma quell’ultimo scambio di battute lasciò stremata sia la professoressa che Mattia. La prima perchè non sopportava più quella classe, il secondo perchè aveva fino a mai il mal di pancia per il troppo sghignazzare.

“Mi spiegate perchè siete venuti al Liceo, se non volete studiare?” chiese esasperata la donna, in un ultimo barlume di forza.

“Mi ci hanno costretto!” fece prontamente Guido.

“Questo spiega molte cose.”

“Profe, dai, non se la prenda! Noi studiamo di solito.”

“EHHH!!!” urlarono in coro profesora e alunni.

“No, davvero!” continuò Mattia “È solo che spagnolo per noi non è una materia di studio, ecco tutto.”

La donna lo fissò basita, le mani tra i capelli.

“Cioè, cos’era? Un tentativo di tirarmi su il morale?”

“Perchè? È fallito?”

“Miseramente, babao!” rispose Matilde, lanciandogli una pallina di carta in testa.

“Oh, vuoi la guerra?” chiese divertito il ragazzo, già pronta alla battaglia.

“Qui fuori il cartello è sbagliato. Non deve esserci scritto “V A”, ma “Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate!”, caso mai!” gemette la donna.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

¡Hola! (tanto per rimanere in tema)

Ecco a voi un altro capitolo e con esso altre follie! Spero di non aver deluso le aspettative (anche perchè, caso mai, se avete lamentele dovreste farle ai miei compagni). Ehh, l’ora di spagnolo! So già che mi mancherà un casino, quando sarò in Uni... nooo!! Non voglio pensare a queste cose tristi! Anche perchè, fra poco è finita... c’è la temibile Maturità! E io che faccio? Scrivo idiozie all’una di notte, normale... XD

Per quelli che se lo chiedono, in questo capitolo la sottoscritta ha un ruolo piuttosto rilevante... ma chi sono?? (domandona dell’anno)

Le scommesse sono ancora aperte: fate la vostra puntata, finché potete!

Alla prossimaaaa!!!

 

Moni =)

 

P.S.: Ho notato che in questo capitolo ho messo qualche parola in dialetto bresciano, che non tutti potrebbero capire, onde per cui, scriverò di seguito la traduzione, contenti? ^^

 

Pota=tipica espressione bresciana, significa... hm... io stessa faccio fatica a trovare un sinonimo! XD Comunque, si usa quando non si sa cosa dire, tipo “Pota, non lo so!”

 

Piantala lè de fa el babao=Smettila di fare lo scemo.

 

Te ria argota=Ti arriva qualcosa (sottointeso qualcosa di pesante o una sberla XD)

 

Babao=stupido.

 

Piaciuta la lezione di Bresciano? ;)

   
 
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