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Autore: TimeLady    04/05/2012    4 recensioni
«- Io direi di darcela a gambe... - cominciò Travis prima di cominciare a correre.
Lo seguii, visto che anche il mega scorpione aveva cominciato a inseguirci. Una volta raggiunto lo presi per un polso e ci nascondemmo dietro un pino.
- Ma cosa ti è saltato in mente?! - sibilai.
- Quella roba ci mangia a colazione! - mi sussurrò lui.
- Hai visto cosa ha al collo? -
- Veramente ero più preoccupato per le tenaglie, il pungiglione, gli occhi rossi... -
Gli tirai uno scapellotto per farlo smettere con la sua stupida lista di cose terrificanti.
»
(...)
«All'improvviso un mano si posò sulla mia spalla.
In una frazione di secondo, i riflessi presero il comando e gli tirai una gomitata nello stomaco. Lo sentii gemere dal dolore e dopo averlo buttato a terra con un calcio, gli puntai la spada alla gola.
Lui alzò il volto e mi fece un sorrisino di scherno.
- Ehi, vacci piano con quella. Potresti tagliare la testa a qualcuno! - disse spostando con un dito la spada.
- Travis, che cacchio ci fai qui? - sbuffai abbassando l'arma.
- Veramente io sono Connor - spolverandosi l'armatura.
Lo fissai un attimo e poi giunsi a una conclusione.
- Certo e io sono Michelle Obama -»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo uno

 

La scuola. Quell'orrido posto dove annoiano le persone e le inducono al suicidio.
Odiavo quel posto e lo odio tutt'ora. Per una come me, iperattiva e dislessica, era una tortura.
Andavo alla Saint Thomas di New York, piena di bulletti idioti che ti prendevano in giro per qualsiasi cosa, anche la più minima e insignificante.
Odio ammetterlo, ma la loro vittima preferita ero io, anche se alla fine non mi facevano niente, perchè scappavo prima.
Ci vedreste me, magra e deboluccia come sono, a prendere a pugni loro, alti e grossi come gorilla?
Proprio no... 
Vivevo nell'isola di Manatthan, in una casa minuscola vicino all'Empire State Building e con mia madre. Mio padre non sapevo neanche chi fosse e mia madre non voleva neanche parlarmene, nonostante le chiedessi in continuazione sue notizie.
A proposito: mi chiamo Elle e ho 14 anni, sono dislessica e iperattiva se non si era capito, mia madre mi riempe di profumo alla rosa, odio la scuola, sono magra, alta nella media, occhi solitamente azzurri ma che variano rispetto al tempo, capelli marroni con riflessi rossi e mossi.
Comunque, quel giorno che mi cambiò totalmente la vita (lo so, lo dicono tutti...) era l'ultimo giorno di scuola. Per me era la fine di un supplizzio, ma anche l'inizio di un altro: le uova e i gavettoni erano il mio incubo.
So che può sembra una roba a cui pensano sole le Miss Universo e robe varie, ma io le uova sui capelli non-le-posso-sopportare! Per non parlare dell'acqua: io e lei proprio non ci intendiamo. L'ultima volta che sono andata al mare, per poco non affogavo travolta da un onda.
Comunque, quando suonò la campanella, corsi fuori all'impazzata per evitare la folla e soprattutto per scappare. Sapevo che i soliti idioti mi avrebbero preso di mira, siccome l'anno prima avevo avuto la fantastica idea di far sapere al mondo che odiavo le uova e l'acqua. 
Spalancai la porta di ingresso d'ingresso con un calcio mentre il bidello mi guardava con occhi assassini, ma non feci nenche in tempo a scendere uno scalino che un gavettone mi colpì in piena faccia. Il lieve trucco che avevo cominciò a scivolare lungo le guance. Perchè non avevo usato la matita impermeabile, perchè?! 
- Ahahahah sei una sfigata! Ahahahah -
Era il bullo più bullo della scuola che si divertiva un mondo a tormentarmi. Sempre lui, solo lui, che trascinava tutta la sua banda. Mi sono sempre chiesta che cosa mai gli avessi fatto...
Sta di fatto che mi girarono i cinque minuti e urlai in faccia.
- Lo sfigato sei tu che te la prendi con i più piccoli -
Come gran finale gli feci una linguaccia e corsi via da quell'orrido posto, cercando di imboccare strade laterali siccome ero sicura che mi stesse inseguendo. Non mi ero mai permessa di rispondergli così perchè sapevo che mi avrebbe pestato di brutto. 
"Che cretina che sono stata" mi ripetevo in cuontinuazione nella mia mente, mentre correvo a perdifiato per le vie di Manhattan.
Cercai di tornare a casa, il luogo più sicuro che a quel tempo conoscevo.
Stavo correndo da almeno 10 minuti e la stanchezza si faceva sentire sul mio corpo deboluccio e tutt'altro che allenato a dovere. Ma non finiva lì: inboccai una vietta e mi trovai davanti a un vicolo cieco.
Ero nei guai, guai seri.
Lanciai la cartella celeste dall'altra parte del muro e cominciai ad arrampicarmi. Beh, diciamo che cercavo di arrampicarmi.
Quando avevo quasi raggiunto la fine del muro, sentii una voce tuonare alle mie spalle.
- ELECTRA ROBINSON! - 
Per lo spavento scivolai giù dalla parete, graffiandomi tutte le mani.
Ma c'era anche un altro problema: nessuno, a parte mia madre e me sapeva il mio nome intero. Forse mio padre, ma dubito che se fosse stato lui mi avrebbe riconosciuto. Ero sicura, anzi sicurissima, di non averlo mai detto a nessuno o mi avrebbero preso in giro a morte.
Mi girai tremante.
Un cosa, o meglio, un essere si stagliava davanti a me. Era rivoltante: aveva un corpo umanoide, tutto coperto di scaglie come quelle dei pesci, i denti erano come quelli dei cani e sia i piedi che le mani erano palmati, tipo quelle delle anatre. Inoltre aveva anche una specie di spada attaccata al fianco. Per poco non mi venne da vomitare. 
- Chi anzi cosa saresti? - mi sforzai di chiedere con tono fermo, anche se si riusciva a scorgere una nota di paura.
- Io sono Lykos, il telchino! E tu, sei il mio prossimo pasto, mezzosangue! -
Mezzosangue?
Ma che cacchio stava dicendo?!
Non sapevo di che nazionalità fosse mio padre, ma di sicuro era di New York visto che mia madre non ha mai lasciato quello schifo di città!
Cominciò ad avanzare e tirò fuori la sua arma. Mischiate un alga gigante con una sciabola e avete ottenuto quello schifo di lama.
Anche se sembrava del tutto innocua per via delle alghe, delle quali avevo potuto consatatare la morbidezza l'estate prima quando ne avevo ingoiata una. In ogni caso era meglio non correre il pericolo di scoprire troppo tardi la sua inefficacia o meno.
Saltai sul cassonetto della spazzatura di fianco a me e cercai di arrampicarmi sul muro presa dal panico. Continuavo a scivolare e la paura di certo non aiutava.
Pregavo il cielo di far succedere qualcosa: un fulmine, un tornado, uno squarcio nel terreno, un infarto... Qualsiasi cosa pur di ucciderlo.
Mi venne un colpo quando sentii la sua mano viscidosa che mi teneva la caviglia. Scivolai definitivamente per terra e proprio mentre alzava la spada algosa (o quel che era), arrivó un fulmine che lo centrò in pieno. Rimasi a terra, tremante, mentre quell'essere si sbriciolava davanti ai miei occhi. Quando fu diventato una polvere nera sottilissima, scomparve del tutto.
Pregare il cielo era servito a qualcosa, anche se mi sentivo più debole, come se quel fulmine avesse preso energia dal mio corpo.
- Stai bene? - chiese una voce.
Alzai gli occhi dal punto dove era scomparsa quella cosa e vidi un ragazzo più o meno della mia età, che avanzava pian piano sulle stampelle.
Scattai subito sulla difensiva.
- E tu chi sei?! Che cosa vuoi da me?! Cercherai anche tu di uccidermi?! -
- Calmati. Non ti voglio uccidere, mi chiamo Soter e sono qui per aiutarti - mi disse.
Non capivo come potesse aiutarmi: ero debole, spaventata affamata e, sembrerà strano, avevo sonno. Non riuscivo a capacitarmi dell'idea che lui, ancora più invalido di me riuscisse a darmi una mano.
Senza dire niente frugò per un po' nel suo zaino cachi e tirò fuori un conteiner.
- Tieni, mangia questo - disse porgendomi un cubetto di una cosa non identificata che aveva pescato dal conteiner.
- Che cos'è, veleno?! - chiesi allarmata scrutando e annusando il cubetto che mi aveva dato.
- No. É nettare di anbrosia e ti farà stare meglio -
Dopo averlo guardato ancora un po' di traverso, lo portai alla bocca, esitante. Aveva un buon sapore di cioccolato fondente e mi sentii subito meglio.
- Yumh! Buona! -
- Stai meglio? -
- Si grazie Soter! -
- Ora andiamo, non c'è tempo da perdere -
Mi porse la mano e, con una forza che non mi sarei mai aspettata, mi fece alzare e mi tascinò letteralmente via mentre cercavo di spiegargli che il mio zaino era dall'altra parte del vicolo. Mi ricondusse per le vie da cui ero passata primaper poi svoltare in una via familiare. Infine ci fermammo davanti a un portone di una casa. Solo allora capii dove eravamo arrivati.
- Ehi! Come fai a sapere dove abito?! - gli chiesi in tono brusco mentre lo fissavo incredula.
Mi guardò facendo un sorrisetto, ma non rispose e suonò semplicemente al citofono.
- Si? -
Rispose mia madre. Il citofono le faceva un voce metallica, tipo robot.
- Sono Soter. Il momento è arrivato -
Il momento?
Che momento?!
Perchè stavano tutti parlando di cose senza senso quel giorno?!
Si sentì un click e il portone si aprì, salimmo con l'ascensore fino al 7° piano e suonammo alla porta di casa mia. Si sentì il rumore inconfondibile delle pantofole di mia madre e poi la porta si aprì. Mia madre, con il fiatone, ci si parò davanti agli occhi.
- ELLE! Stai bene tesoro?! - chiese abbracciandomi e inondandomi di tutto quel profumo alla rosa che odiavo. Non feci neanche in tempo a rispondere che ci incitò ad entrare - Entrate, veloci! - e ci spinse dentro di forza.
- Credo che l'abbia aggredita un telchino, ma se l'è cavata egregiamente -"disse Soter rivolto a mia madre mentre appoggiava le stampelle al muro e si sedeva sul divano azzurro.
- Elle, veloce! Prepara un borsone con dentro solo lo stretto necessario! -
Non capivo cosa cacchio stesse succedendo, ma obbedii a mia madre.
Completato il borsone me lo misi in spalla e tornai in salone.
Erano entrambi davanti alla porta di casa e mia madre aveva in mano le chiavi della macchina.
- Mamma, ma dove stiamo andando? -
- Te lo spiego in macchina. Ora veloci, andiamo! -
Scendemmo in ascensore e quando fummo quasi fuori dal condominio, mia madre mi bloccò e mi spruzzò del profumo alla rosa tutto addosso.
- Mamma! -
- Scusa tesoro, ma è strettamente necessario -
Mi prese per le spalle, mi spinse nel sedile posteriore della Fiat 500 blu elettrico e partimmo sgommando.
- Ora mi spiegate cosa sta succedendo?! -
Mia madre e Soter fecero uno sguardo d'intesa.
- Tesoro, avrei dovuto dirtelo tempo fa, ma avevo paura di perderti. Tu non sei come gli altri ragazzi, Elle. Tu sei una mezzosangue, tesoro. Un semidio. Gli Dei degli antchi greci esisto e tu sei figlia di uno di loro -
Rimasi scioccata. Io, un semidio. E non sembrava affatto uno scherzo.
- Ti ho protetta cospargendoti di profumo per non farti trovare dai mostri - continuò mia madre - Ma oggi è successo. Sei stata quasi uccisa da un telchino. Non so più a cosa pensare. ei in pericolo adesso. Solo un posto è sicuro, ma io non posso venire*
A quelle porele mi bloccai. Il cuore cominciò a battere più forte, sempre più velocemente.
- Mamma cosa stai dicendo? Io non ti lascio... - le dissi mentre una lacrima solitaria solcava la mia guancia.
- Invece si, tesoro. Non è per sempre. Dopo l'estate potrai tornare di nuovo a casa... - mi disse in tono rassicurante e rivolgendomi un piccolo sorriso.
Soter si intromise nel nostro triste discorso, sempre rivolto a mia madre.
- Signora, siamo arrivati -
Mia madre scrutò fuori dal finestrino.
- Me lo ricordavo diverso -
- I tempi sono cambiati, signora -
- Bah, abbiamo già perso troppo tempo. Elle - disse mentre fermava l'auto a bordo della strada e si girava per guardarmi - Mi mancherai -
- Anche tu -
- Ci vediamo dopo l'estate! - mi urlò mentre Soter mi guidava su per la collina che si trovava a lato della strada. Mi girai appena in tempo per vedere la Fiat 500 blu elettrico sgommare via, così come era partita.
- Forza, che ci stanno aspettando! - mi incitò Soter mentre saliva a una velocità impressionante la collina. Quando scalai anche io quella montagna d'erba, Soter stava guardando fisso davanti a sè, con aria raggiante. Guardai anche io. Un arco bianco conadido si trovava al centro di una radura verdeggiante e sull'architrave portava una scritta. Stranamente riuscii a comprenderla, ma Soter mi anticipò.
- Benvenuta al Campo Mezzosangue, Elle -

 

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Beh ecco il primo capitolo della storia. Immagino che abbiate già capito la parentela di Elle...
Comunque, spero di farvi avere il secondo capitolo al più presto, ma credo che ci vorrà un po' di più, siccome la connessione internet va e viene.
Spero vi piaccia :D

  
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