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Autore: Raika    05/05/2012    2 recensioni
Gli opposti si attraggono e quando un demone e un agnello si incontrano la scintilla è inevitabile.
"Nei momenti critici il bene ha qualcuno dalla sua parte. Il male no."
E se il destino concedesse ad un demone l'aiuto di un agnello?
Bene e Male.. Demone e Agnello.. Destino e Scelta..
Il suo nome è Charlotte Hellenton e questa è la sua storia..
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Jin Kazama, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Jin Kazama

Un tempio. Un lussureggiante e antico tempio..
Un giovane.. Un giovane incatenato con degli strani tatuaggi tribali sul petto..

Una voce.. E poi un uomo.. Un uomo che emanava un intenso senso di potere.. Potere oscuro.
<< Proteggili. Proteggili entrambi >> pregò la candida voce femminile.
Poi un volto.. Un volto demoniaco dagli spaventosi occhi bianchi..
<< So cosa sei Charlotte.. >> sussurrò. << E non ci riuscirai.. >>
Una risata fredda.. Fredda come ghiaccio tagliente.. Un enorme potere.. Una forza così oscura da distruggere qualsiasi sensazione di calore..
Un nuovo volto.. Anche questo demoniaco, ma con incandescenti occhi rossi..
Potere.. Immenso potere.. Oscuro e spaventoso come una notte senza stelle..
<< Proteggili. Proteggili entrambi >> chiese nuovamente la voce di donna, poi i due volti demoniaci si sovrapposero e Charlie si sentì sopraffatta.
<< Proteggili. >>
Charlotte aprì gli occhi trovandosi improvvisamente di fronte ad un’altra sé, una sé dai caldi occhi gialli che sorridendo la guardava.. Improvvisamente sparì e l’altra sé divenne il suo riflesso.

<< No! >> esclamò la ragazza svegliandosi di colpo con un inquietante senso di terrore. << No.. >> Il sole era già alto nel cielo e i raggi, filtrati da candide tende, illuminavano tenuemente la stanza in cui la giovane si trovava. Delicatamente Charlie si portò a sedere lasciando cadere le coperte che la ricoprivano e notando di indossare ancora gli abiti della sera precedente. La sera precedente.. Non ricordava molto di ciò che era realmente successo, ricordava di aver seguito Bryan, di essere stata quasi strangolata e poi il nulla.. Il vuoto più assoluto circondava la sua mente e questo la inquietava, la innervosiva ancor di più di non sapere dove si trovasse e soprattutto come ci era arrivata.
Guardandosi intorno Charlotte notò di essere in una spoglia camera di un appartamento probabilmente non molto costoso. La stanza in cui era stata adagiata era piuttosto anonima, infatti, a parte qualche vestito, non conteneva niente che potesse far presagire a chi appartenesse.
Lentamente si alzò dal letto e cercando di far il meno rumore possibile si diresse nella stanza adiacente: il salotto. Anche quella parte di casa era decisamente impersonale e a Charlie sembrò quasi di essere in casa di un fantasma.
<< C’è nessuno? >> chiese, cercando di attirare l’attenzione del proprietario e probabilmente del suo salvatore.
Nessuna risposta arrivò, così la ragazza guardandosi intorno iniziò a percorrere la stanza alla ricerca di qualche indizio che potesse aiutarla a chiarirle le idee. Osservò con attenzione ogni mobile, parete e arredamento, senza però trovare niente che le permettesse di ricordare, fino a che nel suo procedere non finì contro un mobiletto facendo cadere il portafoto che vi stava sopra.
Imprecando la giovane recuperò la cornice percorrendo con dita delicate il contorno per assicurarsi che non si fosse rotto, poi quando ne fu certa osservò la foto al suo intero e ciò che vide la lasciò a bocca aperta: una giovane donna dal candido volto incorniciato da corti capelli castani la guardava con dolci occhi nocciola, occhi che Charlie aveva già visto.. Occhi che fin troppo spesso le apparivano in sogno.

<< Proteggili. Proteggili entrambi. >>
Quella melodiosa frase riecheggio nella mente della ragazza, come l’eco di un sogno lontano, come un’eco persistente.. Persistente ed estremamente confuso.
<< Chi.. >> sussurrò Charlie. << Chi devo proteggere? >>
Come in risposta alla sua domanda la porta d’ingresso si aprì mostrando un giovane ragazzo dai profondi occhi castani, che guardandola sorpreso disse << Sei sveglia. >>
Charlotte osservò quel volto dai lisci capelli neri così inspiegabilmente familiare, lo guardò con attenzione soffermandosi sul suo profilo scolpito..

Che improvvisamente mutò.. Freddi occhi di ghiaccio.. Sorriso tagliente e maligno.. Tatuaggi tribali che gli ricoprivano la fronte, con una specie di rossa pietra incastonata centralmente nella pelle.. E poi una parola, un’unica parola appena sibilata: Charlotte..
Charlie sentì uno schiacciante senso di terrore soffocarla, la stessa terribile sensazione che aveva sentito durante il sogno e che in quel momento le faceva mancare l’aria. Involontariamente si portò le mani al petto e con forza le strinse a pugno, come se con quel gesto potesse estirpare da sé ciò che provava.
Il portafoto che aveva in mano le scivolò cadendo a terra, il vetro all’interno della cornice si ruppe, così come qualcosa all’interno della ragazza, la quale si lasciò andare giù.

Un candido volto di donna dai profondi occhi castani..
 << Proteggili. Proteggili entrambi. >>
 E poi un rassicurante e lucente calore.
Charlotte cadde, o almeno fu quello che credette tenendo gli occhi chiusi.
Quando gli riaprì pochi attimi dopo, infatti, si ritrovò stretta tra due forti braccia, le quali l’avevano afferrata impedendole di poggiare le mani sui vetri sparsi sul pavimento.
Con stupore la ragazza si voltò incrociando i suoi occhi chiari in quelli castani di lui e lentamente la calda sensazione di calore si disperse, passando in qualche modo da Charlie al giovane, facendo così assopire la schiacciante e fredda percezione di malessere che provava.
Il silenzio regnò sovrano per una quantità di tempo indefinito, fino a quando la ragazza riprendendosi da quello strano specie di sogno sussurrò << Scusa.. L’ho rotta. >>
A quelle parole anche il giovane riprese il controllo su di sé e lentamente, quasi come se facesse fatica a separarsi da lei, la lasciò andare, porgendole poi una mano per aiutarla ad alzarsi.
Charlotte accettò tornando finalmente sui suoi piedi. Si sentiva stordita, stordita e spaventata allo stesso tempo, si sentiva come se si fosse appena risvegliata da un brutto sogno, da un incubo improvvisamente trasformatosi in un bel sogno.
<< Mi dispiace per la foto.. >> disse lei.  
<< Non importa >> rispose il giovane inginocchiandosi per ripulire i vetri.  
La ragazza lo osservò darle le spalle, inconsciamente sapeva che non era vero, quella foto era l’unico segno lasciato da lui in quella casa, l’unico oggetto che rendesse quelle stanze anonime realmente sue.  
Lentamente si avvicinò al ragazzo e inginocchiandosi al suo fianco lo aiutò a sistemare il danno che aveva combinato, con cautela riunì i vetri più grossi, finendo però per tagliarsi.
Charlotte osservò il sangue scorrerle dalla piccola ferita alla mano, goccia dopo goccia percorse il suo palmo fino a cadere sulla pelle del giovane, che non appena l’aveva sentita sussultare le aveva afferrato il polso. Lei sentì lo sconosciuto irrigidirsi, o almeno fu quello che percepì, infatti, esattamente come era arrivata quella sensazione sparì e lo sconosciuto, con assoluta tranquillità la fece sedere sul divano lì vicino sparendo poi in bagno, per ritornare poco dopo con del cotone e delle bende.
La giovane osservò quello splendido ragazzo prenderle con delicatezza la mano e medicala con altrettanta premura, lei non si sarebbe mai aspettata tanta finezza nei gesti di un individuo così muscoloso, si aspettava più un tocco rude, forte, quasi impacciato, invece non era così e con sua sorpresa si ritrovò a fissarlo trattenendo il respiro.
<< Che c’è? >> domandò lui notando la sua espressione.
Charlie distolse immediatamente lo sguardo e imbarazzata rispose << No, niente.. Cioè.. Grazie. >>
Il giovane puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei e a Charlie sembrò quasi che stesse trattenendo il respiro, poi tornando improvvisamente ad occuparsi della sua mano disse << Figurati. >>
Egli non era di molte parole e questo diede il tempo alla ragazza di riflettere su qualcosa da dire, la imbarazzava trovarsi in quella situazione con tutto quel silenzio, nonostante però pensasse e ripensasse, per la prima volta nella sua vita non le venne in mente niente da dire, così semplicemente asserì << Charlie. >>
Il giovane inarcò un sopracciglio e lei continuò << Mi chiamo Charlie.. Cioè, Charlotte, però preferisco Charlie. >>
<< Jin >> rispose lui lasciandole andare la mano ormai fasciata.
<< Jin Kazama? >> sussurrò involontariamente Charlotte. Sentendo quel nome le era tornata in mente la conversazione avuta con quel comandante della Tekken Force che l’aveva aiutata.
Sussurro che però non sfuggì a al ragazzo, il quale voltandosi verso di lei chiese << Che hai detto? >>
Charlie sussultò e sul  momento inventò << Che.. È un bel nome.. È scritto con il kanji di carità e umanità, in cinese significa oro, mentre in giapponese bontà, virtù o, metaforicamente, persona che comunque risplende per qualcosa. >>
Jin la osservò senza fiatare con i suoi profondi occhi scuri e per la prima volta Charlotte si sentì a disagio sotto lo sguardo di un uomo, era abituata ad essere osservata dal sesso opposto, le era stato insegnato sin da piccola che la sua avvenenza era un arma ed era abituata ad usarla come tale, con lui però era diverso, Jin non la guardava  con desiderio, non si soffermava sul suo corpo o sul suo volto, la guardava dritto negli occhi, come se stesse cercando di scrutarle all’interno, di capirla, come se il suo aspetto non influisse minimamente su di lui.
Per l’ennesima volta un opprimente silenzio scese tra di loro, silenzio che venne poi interrotto da un specie di gorgoglio, che fece abbassare imbarazzata lo sguardo di Charlie sulla sua pancia.
<< Credo sia il mio stomaco.. >> spiegò lei poggiandovi le mani sopra.
Jin la guardò sorridendo e facendole cenno di seguirlo, disse << Andiamo a fare colazione. >>

La colazione di Charlotte però durò appena dieci minuti, infatti, poco dopo essersi seduti ad uno dei tavoli di un modesto bar poco lontano dall’appartamento del giovane, il cellulare della ragazza suonò e suo padre le chiese di raggiungerlo ai palazzi della Hellenton Corporation.
<< Arrivo >> disse Charlie chiudendo la chiamata e voltandosi poi verso Jin, il quale guardava fuori di finestra con le braccia incrociate al petto. << Devo andare.. >>
Il ragazzo annuì e lei, quasi offesa da quel comportamento apatico aggiunse << Grazie per la colazione, non ho il portafoglio, ma ti farò riavere il prima possibile i soldi spesi. >>
Jin scosse il capo. << Ci vediamo. >>  
<< Ciao.. >> rispose Charlotte sorridendo e uscendo poi dal locale.
Una volta fuori la giovane chiamò un taxi e una volta indicatogli l’indirizzo recuperò il suo cellulare digitando il numero del suo autista personale.
<< Signorina Hellenton >> rispose Ricardo all’altro capo del telefono.
<< Ricardo fatti dare da Amalia i miei vestiti, poi vai da miss Durden a recuperare il mio notebook, io ti raggiungo lì. >>
<< Si signorina Hellenton. >>
Il viaggio fino alla dimora di Alexis durò appena un quarto d’ora, nonostante questo però il suo autista personale era già lì, con il suo computer e i vestiti che aveva richiesto.
<< Ben arrivata signorina >> la salutò l’uomo.
<< Grazie Ricardo e buongiorno. Paga il taxista per cortesia, non ho il portafoglio con me. >>
<< Come desidera. >>
Charlotte salì in auto, osservando con la coda dell’occhio il suo autista svolgere l’ordine affidatogli senza protestare, era questo che ella adorava di lui, Ricardo non si faceva mai problemi ad eseguire un incarico, né faceva troppe domande, lo svolgeva e basta, inoltre in modo davvero eccellente. Come per Maxi, infatti, Adam Hellenton si era assicurato di affidare alla sua primogenita un’autista perfetto per le sue esigenze: in gamba, riservato e avvezzo agli ordini. Come sempre miste Hellenton non aveva lascito niente al caso.
<< Dove la porto? >> domandò Ricardo una volta tornato in auto.
<< Da mio padre. >>
L’uomo annuì e dopo aver sistemato lo specchietto retrovisore in modo da non vedere la ragazza partì. Charlotte si cambiò i vestiti senza fretta, ci sarebbe voluto almeno un mezz’oretta per arrivare ai palazzi della Hellenton Corporation, così quando ebbe finito poggiò stancamente la testa al finestrino, portando scompostamente le gambe sul seggiolino in pelle. Nonostante avesse dormito tutta la notte, si sentiva stanca, probabilmente aveva riposato male a causa di quei maledettissimi sogni che non facevano altro che tormentarla.  L’incubo di quella notte poi era stato particolarmente inquietante, al solo pensiero, infatti, un brivido le percorreva la schiena, per non parlare della sensazione di fredda negatività che le trasmetteva, era davvero orribile.
Scuotendo le spalle per scacciare quell’orrenda percezione chiuse gli occhi, cadendo in uno stato di snervante dormiveglia, dormiveglia che però durò fin troppo poco, o almeno fu quello che le sembrò.
<< Siamo arrivati signorina Hellenton >> disse il suo autista fermando l’automobile.
Charlotte aprì nuovamente gli occhi, stropicciandoseli per scacciare i residui di sonno mancato, poi indossando le scarpe attese che Ricardo le aprisse la portiera e scese.
<< Desidera che l’aspetti? >>
<< Si grazie, però non so quanto tempo ci metterò. >>
<< Non si preoccupi. Mi troverà nel parcheggio >> rispose l’uomo salendo nuovamente in auto e ripartendo.
La giovane osservò per alcuni attimi il veicolo allontanarsi, poi sbadigliando assonnata salì la lunga rampa di scale per i palazzi della Hellenton Corporation, dove una volta nella hall si diresse agli ascensori salutando i vari impiegati e membri della security, che riconoscendola la lasciarono passare.
Quando ebbe superato le pratiche di sicurezza salì sull’ascensore, dirigendosi poi all’ultimo piano, dove erano situati gli uffici della dirigenza.
<< Benvenuta signorina Hellenton >> la salutò un‘avvenente donna castana seduta ad una scrivania. << Il signor Hellenton la sta aspettando. >>
<< Grazie Amanda >> rispose Charlie salutando la segretaria e dirigendosi verso l’ufficio di suo padre, dove dopo aver bussato entrò.
L’ufficio di Adam Hellenton era un’enorme stanza dalle ampie finestre, dalle quali era possibile osservare il paesaggio di cemento sottostante. Fin da quando era piccola Charlotte, aveva sempre provato un senso di disagio in quell’immenso locale, si era sempre sentita minuscola di fronte a quello spazio vuoto, come una piccola piastrella in un immenso mosaico e il solo pensiero che un giorno vi avrebbe passato buona parte della sua giornata la faceva sentire male. L’unica parte che le era sempre piaciuta di quel posto erano le immense vetrate, adorava osservare di notte le luci della città illuminare lo spazio sottostante, la faceva sentire come se si trovasse in mezzo alle stelle.
<< Charlie >> la salutò suo padre distogliendo lo sguardo dal suo computer. << Buongiorno. >>
<< Buongiorno papà >> rispose lei dandogli un lieve bacio sulla guancia.
<< Allora? Come è andata ieri sera? >>
La ragazza estrasse il suo notebook dalla borsa, poi connettendolo al pc di suo padre spiegò << Il combattente si chiamava Miguel Caballero Rojo e non era niente male.. >>
<< Fisicamente o strategicamente? >>  
<< Papà! >> esclamò la giovane scuotendo la testa alle risate divertite dell’uomo, che alzando le spalle disse << Era tanto per chiedere.. >>
<< Bé, non si domandano queste cose ad una figlia. >>  
Adam Hellenton rise facendole cenno di continuare e Charlie, digitando alcuni tasti per inviare il resoconto al computer centrale, aggiunse << Buone capacità di attacco e discrete di difesa, nonostante il suo stile sia incentrato principalmente sull’offensiva. Ottima prestanza fisica, massa muscolare molto sviluppata, altezza intorno al metro e novanta. >>
<< Esito dell’incontro? >>
<< Vittoria di Steve >> lesse la ragazza. Fortuna che Alexis si era presa la briga di finire di stilare il rapporto al posto suo.
<< Conclusioni? >>
<< Il potenziale d’attacco viene ostacolato dalla struttura fisica e non lo rende un combattente ben bilanciato. A mio parere riducendo la massa, ma mantenendo ugualmente la forza si potrebbero ottenere soldati adatti all’assalto, anche se resterebbe comunque da aumentare l’agilità. >>
<< Riducendo la massa l’agilità aumenta. >>
<< Si, ma non abbastanza da compensare la perdita della difesa che risulterebbe come conseguenza. >>
Adam Hellenton rifletté battendo con ritmo lento e regolato l’indici sul tavolo, egli era solito usare quella pratica per schiarirsi le idee, il ticchettio dell’arto a contatto con la superficie, a differenza di molti, lo aiutava a distendere la mente e a pensare con freddezza.
<< Quindi non facciamo progressi >> concluse alla fine.
<< Forse unendo la forza di Rojo alla velocità di Steve potremmo ottenere dei buoni risultati. >>
<< Ma noi non dobbiamo ottenere buoni risultati, dobbiamo averne di ottimi. >>
Charlie alzò le spalle. << Allora non facciamo progressi. >>
Hellenton sospirò e alzandosi per mettere le mani sulle spalle della figlia disse << Non fa niente, troveremo la combinazione giusta. Il prossimo incontro? >>
<< Non mi è ancora stato comunicato. >>
<< Okay, continuerai comunque ad assistervi. >>
La ragazza annuì portandosi una ciocca di capelli color caramello dietro l’orecchio, nel farlo però si scoprì il collo, dove un livido violaceo deturpava il candido colorito della sua pelle.
<< Che ti è successo? >> domandò preoccupato suo padre notando l’ematoma.
<< Come? >>
<< Che hai fatto al collo? >>
Charlotte si portò istintivamente una mano alla parte indicata, senza capire. Da quando si era svegliata non aveva ancora visto il suo riflesso, così portandosi davanti alla webcam si osservò, notando delle preoccupanti macchie violacee che, se toccate, le provocavano dolore.
<< Chi ti ha fatto questo? >>
La giovane sospirò ripensando alla sera precedente e, sfiorandosi il collo proprio nei punti in cui le dita di Bryan si erano chiuse, rispose << Bryan Fury. >>
<< Fury?! >> esclamò l’uomo. << Credevo fosse.. >>
Hellenton si interruppe, insospettendo la figlia, che decisa a scoprire il più possibile su quell’uomo domandò << Credevi fosse? >>
<< Niente, credevo fosse niente. >>
<< Come è possibile? Il dottor Boskonovitch ha stilato una cartella clinica su di lui.. >>
A quelle parole lo sguardo glaciale dell’uomo si puntò sulla figlia, scrutandola attentamente.
<< Cosa sai su Fury? >>
<< Niente ad essere sincera, solo che possiedi un rapporto redatto dal dottor Boskonovitch e che quindi mi fa supporre sia passato tra le sua mani. >>
<< E’ già abbastanza. >>
<< Per quale motivo Boskonovitch si è occupato di lui? >>
<< Non sono informazioni che devono interessarti per ora. >>
La giovane abbassò la testa non molto convinta, cosa le stava nascondendo suo padre? Ma soprattutto, perché?
<< Charlie, non costringermi a spostare il dossier ad un livello di sicurezza maggiore. >>
<< Non capisco perché tu voglia nascondermelo. >>
<< A tempo debito ti sarà tutto più chiaro, vedrai. >>
Lei annuì scettica, non sarebbe finita lì e suo padre lo sapeva, così per evitare qualsiasi altra sua protesta le chiese << Come è successo? >>
Charlie riassunse brevemente gli avvenimenti che l’avevano portata faccia a faccia con Fury, descrivendo frettolosamente il loro piccolo scontro e narrando come fosse stata salvata. Suo padre ascoltò con attenzione, senza tradire nessuna emozione, cosa che non diede affatto fastidio alla ragazza, ormai era abituata alla sua impassibilità, aveva smesso da molto tempo di aspettarsi scenate da padre apprensivo, Adam Hellenton non era così, era un calcolatore e un freddo uomo d’affari e come tale la sua indole si palesava anche nella sfera provata.
<< Di Fury che ne è stato? >> domandò l’uomo alla fine del racconto.
<< Non lo so, ho perso i sensi poco dopo essere stata salvata. >>
Hellenton premette un tasto sul telefono che collegava il suo ufficio a quello della segretaria e quando lei rispose orinò << Amanda, invia la squadra Alpha alla ricerca di Bryan Fury, lo voglio vivo. >>
<< Si signor Hellenton. >>
<< Papà.. >>
<< La pagherà. >>
<< Non sottovalutarlo, è un pazzo e non sa controllare la rabbia. >>
<< Non preoccuparti, so quel che faccio. Adesso parlami del tuo salvatore. >>
<< E’ un ragazzo sui vent’anni, tratti orientali, fisico scolpito. >>
<< Dovrò ringraziarlo a dovere allora, nome? >>
<< Si chiama Jin Kazama. >>
Sentendo quel nome ogni singolo muscolo del presidente della Hellenton Corporation si irrigidì e cercando di non darlo a vedere estrasse dalla tasca interna del suo elegante completo un blocchetto per gli assegni, scrivendovi sopra una cifra.
<< Che fai? >>
<< Compilo un assegno. >>
<< Lo vedo, perché? >>
<< Per ringraziare il signor Kazama per averti salvato la vita. >>
La giovane annuì, suo padre non amava essere contraddetto e lei non lo fece, però, senza sapere realmente perché, era più che sicura che non avrebbe mai accettato.
<< Posso portarglielo io >> si offrì Charlie, una volta che il foglio fu firmato. << Devo anche ripagarli una cornice.. >>
<< No! >>  esclamò con troppa enfasi l’uomo, lasciando la figlia allibita.
Charlotte osservò frastornata il volto di suo padre, non era certo da lui avere reazioni  di quel genere, ed egli accorgendosene aggiunse << Preferisco portarglielo di persona. >>
<< Come vuoi >> rispose la ragazza. << Papà, va tutto bene? >>
<< Certo. >>
Lei annuì senza dire altro, era inutile continuare a fare domando quando la risposta era già stata data.  
<< Charlie, passa da tua madre, voleva vederti. >>
<< Lo  farò. >>
<< Non dirle di Fury, sai com’è, inizierebbe a farsi paranoie inutili. >>
<< Certo. Ci vediamo a casa >> salutò Charlotte uscendo dall’ufficio.
Adam Hellenton guardò sua figlia chiudersi la porta alle spalle e un sospiro preoccupato gli sfuggì lasciandoli scaricare tutta la tensione accumulati in quei pochi minuti. E così alla fine quella vecchia aveva ragione..
  ..La sua memoria tornò a vent’anni prima, quando lui e sua moglie, all’epoca incinta di Charlotte, si erano recati in vacanza in Egitto. Là, nella terra dei Faraoni, avevano visitato un piccolo villaggio confinante con Karnak, sulle sponde del Nilo, dove viveva una piccola tribù dedita ad un’antica e strana religione. Sua moglie ovviamente non poté che rimanerne affascinata e, nonostante la sua disapprovazione e quella della guida, si fece condurre dall’anziana del villaggio, la quale non appena li vide arrivare fece accomodare Rosalie di fronte a sé.  
La vecchia iniziò ad armeggiare con uno strano liquido che si spalmò sulle dita e con cui disegnò dei simboli sulle sue mani, dopo quella pratica andò a posare i suoi palmi sul ventre di sua moglie e chiudendo gli occhi esclamò: << təmiz deyil.. biz saxlanılır! >>
<< E’ pura.. Siamo salvi >> tradusse la guida.
<< Salvi da cosa? >> domandò Rose.
<< Da Stelle maligne.. >> rispose la vecchia. << Şeytan və övladlari. >>
<< Dalla progenie del Demone. >>
Adam Hellenton capì solo molto tempo dopo cosa significassero quelle parole, solo quando conobbe Heihachi Mishima e con lui la sua stirpe dal sangue maledetto.
<< Amanda >> disse l’uomo chiamando la sua segretaria.
<< Si signor Hellenton? >>
<< Mettimi Burton in linea. >>
<< Subito signore. >>
Egli attese e poco dopo una famigliare voce rispose << Signor Hellenton. >>
<< Burton, vieni nel mio ufficio. Ho un incarico per te. >>
<< Certo signore. >>
Hellenton annuì chiudendo la comunicazione, Charlie non doveva incontrare mai più Jin Kazama, imporglielo però sarebbe equivalso a motivarla, il miglior modo era quindi fare in modo e maniera da intervenire al momento opportuno.
Sua figlia non sarebbe diventata la salvezza dalla progenie del Demone.
   
 
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