Capitolo 12
Homecoming Dress
Il Sole sorse alto e meraviglioso nel cielo terso di
Charlottesville, illuminando le sempre trafficate vie della città per
annunciare agli abitanti che un nuovo giorno era in procinto di cominciare.
Però non tutti volevano percepire il messaggio, bramosi di poter riposare
ancora un po’, allontanarsi da quella terribile realtà che era diventata la
loro vita, e seguivano a rimanere a letto. Gli ospiti della Dinsmore House, a
pochi metri sia dal centro che dall’università della Virginia, si accingevano a
scendere per la colazione fumante appena poggiata sul buffet da due camerieri
giovani e aitanti, due ragazzi semplici, tipicamente americani di piccole
cittadine circostanti, sempre pronti ad aiutare e a rendersi utili. In una
delle stanze più belle e caratteristiche, che portava lo stesso nome
dell’hotel, i dimoranti non se ne accorsero e il loro tavolo rimase vuoto sino
a quando il tempo della colazione non fu terminato. Quando fu possibile
percepire il primo rumore di una macchina che veniva accesa, la ragazza schiuse
gli occhi impercettibilmente e aggrottò le sopracciglia, mugugnando qualcosa di
incomprensibile, una protesta per essere stata così bruscamente destata da quel
dolce sogno che aveva vissuto pocanzi. Si era ritrovata a casa sua, quella di
Richmond, e aveva visto suo padre preparare, goffamente, tentando di non
bruciarle, delle uova e della pancetta mentre la luce della macchinetta del
caffè si accendeva mostrando di essere pronta per l’uso. Quel ricordo sbiadito,
filtrato dal proprio nebuloso inconscio, la svegliò completamente e ordinò alla
sua mente di comprendere dove si trovasse. Non era più a Mystic Falls, né stava
dormendo sul divano, ma nemmeno sul cuscino. Sotto il capo aveva una superficie
scolpita, però morbida, che si gonfiava a intervalli regolari, e la mano
destra, quella su cui spiccava l’anello paterno, era poggiata sulla stessa, a
pochi centimetri. Sgranò gli occhi chiarissimi e arrossì, sollevandosi dal
petto di Klaus. Nel sonno non doveva essersi accorta di essersi spostata
cercando il suo abbraccio. La testa era martellata da un dolore fortissimo e si
portò una mano sulla tempia, distendendo le labbra in una smorfia afflitta e
lasciandosi sfuggire un soffio. Nel frattempo guardò Klaus. Era ancora
addormentato. Sbatté le palpebre, estasiata dalla vista delle sue labbra rosee
e lievemente schiuse, meravigliose e sensuali, che le generarono mille brividi
lungo la schiena, delle sue gote rilassate e coperte da una lieve peluria
bionda, quelle di un bambino, delle sue ciglia lunghe che sfioravano gli zigomi
marcati, celando l’osservazione dei suoi splendidi occhi azzurri e limpidi, e
dei suoi capelli ricci e dorati. Era bellissimo e perfetto, constatò mordendosi
il labbro inferiore, negli occhi un’espressione intenerita, ma anche piena
d’imbarazzo. Fortunatamente si era svegliata prima lei, altrimenti sarebbe
stato ancora più delicato e spiacevole giustificare quella posizione. Scostò le
coperte per dirigersi in bagno e farsi una doccia gelida per raffreddare i
bollenti spiriti e rigenerarsi, ma la sua voce roca e impastata dal sonno le
impedì di fare qualsiasi cosa, ancorandola al letto matrimoniale.
« Nicole,» la chiamò. La ragazza si voltò di scatto, ma era
ancora addormentato, o almeno lo sembrava. Il cuore le batté furiosamente nel
petto e il suo suono le occupò tutto il campo uditivo. Schiuse le labbra, le
guance ancora più rosse, e si portò una mano tra i capelli, ravvivandoseli e
scostandoli dagli occhi per poterlo guardare meglio. Klaus aprì gli occhi e sbatté
le palpebre, mettendosi a sedere. Aveva quell’espressione così beata e dolce,
fanciullesca e brillante, che aveva visto quando l’aveva abbracciato nel motel.
La guardò e Nicole deglutì a vuoto per la potenza di quello sguardo, non per
paura, bensì per quel mare di emozioni che le attraversa il cuore quando lui
l’osservava come se fosse la creatura più avvenente e meravigliosa del mondo
intero. Lui allungò la mano cercando la sua e stringendola come per implorarla
di non abbandonarlo, non sapendo che non lei l’avrebbe fatto anche se lo avesse
voluto davvero, « Dove stai andando? » le sussurrò quasi timoroso. Con l’altro
indice indicò il bagno e gli sorrise teneramente.
« Forse è meglio se non rimetto nel letto. Non credo che gli
inservienti gradirebbero,» aggiunse divertita, poggiando i piedi coperti dai
fantasmini bianchi sul pavimento. Klaus annuì, lasciandola andare, e rimase a
letto, passandosi una mano sugli occhi non appena sentì la porta chiudersi. La
spostò sui capelli, frizionandoseli poi la suoneria del suo cellulare attirò la
sua attenzione. L’aveva poggiato sul comodino, lo prese e controllò il nome. Stefan. Sbuffò, impercettibilmente, e
distese le labbra in un sorriso ironico e divertito. Accettò la chiamata,
curioso di scoprire cosa volesse il vampiro.
« Stefan,» lo salutò allegro e pacifico, scostando le
coperte e alzandosi dal letto morbido. Si diresse verso la finestra che si
affacciava sulla strada principale e guardò il paesaggio. Era una mattina
assolata e meravigliosa. Gli studenti passeggiavano svelti per raggiungere
l’università mentre un uomo vestito in modo elegante faceva il percorso opposto
dirigendosi verso il centro.
« Klaus,» mormorò il suo Squartatore, l’amico più sincero
che aveva mai avuto, un fratello per lui, al pari di Kol o Elijah, o anche di
Finn quando non si autocommiserava rendendo vano ogni tentativo di provare un
sentimento che non fosse la pietà e la compassione nei suoi confronti. No,
Stefan non era più il vampiro spietato degli anni del Proibizionismo, però
Klaus non era del tutto convinto che fosse poi tanto incorruttibile. Sorrise mefistofelico
per quel pensiero e richiuse le tende con un gesto secco, « Tuo padre è morto,» gli comunicò atono. Klaus sobbalzò,
impercettibilmente, e sgranò gli occhi per poi assottigliarli e curvare le
labbra in un’espressione meditabonda. Schiuse le labbra e fece per parlare e
domandargli spiegazioni mentre Stefan era già in procinto di fornirgliele, «
Mikael è morto, non del tutto, ma ora è ornato da un bel pugnale nel petto,»
continuò con più emozione, caustico e più leggero. Percepì un lieve movimento e
volse il capo verso la porta del bagno. Nicole l’aveva appena richiusa e lo
stava osservando interrogativa. Era pallida, ma non più del solito, piccola
come una bambina con quei piedi scalzi e i capelli sciolti a incorniciarle il
volto meravigliosamente luminoso. Il rosato antico delle sue labbra a cuore le
offriva colore e gli occhi sembravano due cieli notturni pieni di stelle. Era
bella, Nicole, di un’avvenenza inconsueta e particolare, come un giglio bianco
e puro. No, non un giglio, bensì una rosa, si corresse divertito. Nicole aveva
le sue spine. L’aveva notato quando poteva leggerle la mente. V’erano tanti
segreti, tante ombre nella sua esistenza, tanti dolori. Assorto in quei
pensieri, non si era dimenticato di Stefan e delle sue parole. Mikael era
morto, temporaneamente. Non ne era pienamente convinto, non aveva vissuto mille
anni per lasciarsi abbindolare da un vampiro così giovane come lo era Stefan
Salvatore.
« Com’è
successo esattamente? » gli domandò ancora imprimendo nella sua
voce quell’allegria che non era presente nel suo animo. Nicole gli si avvicinò
e poggiò la mano sulla sua per poi stringerla. La guardò e Nicole gli sorrise,
rassicurante.
« Elena l’ha pugnalato. Legittima difesa, la stava per
attaccare,» gli raccontò, « E usare il pugnale su Rebekah,» continuò. Klaus
serrò le labbra increspate in un’espressione di pura ira e strinse la mano
della giovane con maggior forza. Nessuno avrebbe mai dovuto toccare sua sorella
con un dito, soprattutto suo padre. Rebekah era troppo preziosa, l’unica persona
che gli fosse rimasta dopo che anche Elijah gli aveva voltato le spalle. Si
erano giurati che sarebbero rimasti per sempre e oltre insieme, come una
famiglia, sulla tomba di Esther, sua madre, la donna che lo aveva messo al
mondo, poi rinnegato e maledetto. Le aveva strappato il cuore dal petto, senza
esitazioni, anche se molte volte l’aveva rimpianto in quei lunghi secoli.
«
Voglio vedere il suo corpo,» esclamò incollerito da quei
pensieri. Percepì la mano gentile di Nicole sfiorargli la guancia e tornò ad
osservarla veramente. Sembrava implorarlo di mantenere la calma. Era proprio
una Bishop, l’erede perfetta di sua zia, la bella Rowena dagli occhi azzurri e
dai capelli biondi come l’oro, « Con i miei occhi,» aggiunse tentando di
controllarsi per non spaventarla. Nicole annuì, più rilassata e scostò la mano
dal suo volto, facendola ricadere lungo il fianco magro.
« È
qui, nella sala,» affermò pacato Stefan, « Puoi venire quando vuoi.»
« Se stai mentendo, l’ammaliamento ti smaschererà, Stefan, e
pagherai con la vita il tuo tradimento, quindi ti consiglio caldamente di dirmi
la verità,» esclamò scandendo con forza ogni parola. Nicole divenne più seria,
non un’ombra di sorriso nei suoi occhi, solo più meditabonda. Neanche lei era
molto convinta.
« L’ho
visto con i miei occhi,» gli confermò Stefan. Si ricordò di
Rebekah. Lei gli avrebbe detto sicuramente la verità, era sua sorella e non
l’avrebbe mai tradito schierandosi dalla parte di Mikael, il padre che le aveva
dato la caccia per mille anni. Anche lei glielo confermò e chiuse la
comunicazione più sereno. Era vero. Mikael era morto.
Sbuffò e sorrise, scuotendo il capo. No. Non si fidava.
Aveva notato che nella voce di sua sorelle v’era un’inclinazione sbagliata, più
acuta, tipica di quando tentava di mentirgli. La conosceva, meglio di chiunque
altro, ed era impossibile sbagliarsi.
« Ti fidi? » gli domandò Nicole, incredula.
« No, sweetheart, per niente. I Salvatore devono essersi
alleati con il mio caro paparino per farmi fuori coinvolgendo la mia sorellina.
Non so come ci sono riusciti. Rebekah non mi tradirebbe mai,» aggiunse irritato
andandosi a sedere sul letto. Nicole lo seguì subito dopo e annuì.
« È strano che mia sorella abbia pugnalato qualcuno,
soprattutto Mikael. Insomma lui è terrificante. Io stessa ho avuto paura di
lui, quindi è impossibile che Elena, senza battere ciglio, l’abbia ucciso,»
sussurrò incerta. Sua sorella non era un’assassina, di quello era pienamente
convinta. Klaus la guardò per un impercettibile istante, poi annuì.
« Sai cosa faremo, Nicole? » le domandò divertito. La strega
scosse il capo e lo osservò interrogativa, « Io e te ritorneremo a Mystic Falls
e faremo finta di credere a questa storiella. Mi sembra che oggi ci sia
l’Homecoming, no? » continuò più malizioso. Nicole annuì, era sempre il primo
sabato dopo l’inizio delle lezioni, « Bene, saboteremo la festa. Sei con me? »
le domandò porgendole la mano. Nicole assottigliò gli occhi, incerta,
osservando lo sguardo limpido di Klaus e il suo sorriso appena accennato.
« Perché dovremmo sabotare l’Homecoming? Che senso ha? » gli
chiese sottovoce.
« Perché ho un piano, dolcezza, un piano che mi permetterà
di uccidere il mio patrigno per sempre, che mi libererà dal dovere di fuggire
sempre da lui, che mi darà finalmente pace,» mormorò dolcemente. Nicole schiuse
le labbra, ancora insicura. Klaus comprese i suoi dubbi e allargò il sorriso,
sfiorandole la guancia, « Non preoccuparti, Nicole Bishop. Non ho intenzione di
far del male ai tuoi amici, né alla tua famiglia. Hai la mia parola,» le
sussurrò. Nicole annuì.
« Sono con te, allora,» gli confermò con voce certa e
sicura. Klaus sorrise, trionfante e si alzò, porgendole la mano, galante, per
aiutarla a fare lo stesso.
« Penso proprio che ti servirà un vestito, sweetheart,» le
comunicò allegro. Nicole arrossì , si morse il labbro inferiore, mentre nei
suoi occhi brillava una luce di gioia, poi si allontanò velocemente da lui, che
l’osservò incredulo. Si sedette dall’altra parte del letto e si chinò per
mettere le scarpe. Klaus rise lievemente divertito, poi scosse il capo e
indossò la camicia bianca della sera prima e le scarpe. Tappò la bottiglia e si
avvicinò all’armadio, poggiandola sui suoi vestiti piegati nel borsone scuro.
Lo chiuse e se lo mise in spalla mentre Nicole lo guardava incredula, con le
sopracciglia arcuate e le labbra increspate da una risata a stento trattenuta.
« Che c’è? » le domandò piccato e Nicole rise del tutto,
avvicinandosi a lui, « È ancora piena per metà e il brandy non si butta mai,»
continuò più imbarazzato. Nicole annuì e smise seguendolo fuori dalla stanza.
« Per me è la vodka, ma penso che il principio sia
esattamente lo stesso,» mormorò per non farsi udire dagli altri ospiti che
stavano risalendo per prendere le proprie cose. Loro scesero e Klaus si diresse
verso la reception. Nicole non si avvicinò, ma guardò una coppia di fratelli
che giocavano a rincorrersi tra i tavoli della sala ristorante. Erano piccoli,
non potevano avere più di cinque anni, e i loro genitori li richiamavano
sottovoce.
« Mark, Thomas, venite qui. Volete che ci rimproverino? »
mormorò la madre, una donna sulla trentina dai lunghi capelli rossi e ricci e
dai grandi occhi color nocciola, mentre il marito si dirigeva verso il più
piccolo, il bambino biondo e più vivace, che stava per sbattere la testa contro
il legno della gamba di una sedia. Non riuscì a prenderlo in tempo e Nicole,
attenta a non farsi notare, spostò la sedia di pochi centimetri, tanto da
permettergli di non ferirsi. Percepì la mano grande di Klaus dietro la schiena
e il suo respiro nell’orecchio e tra i capelli.
« Brava, la mia streghetta,» sussurrò soddisfatto, con la
voce calda e roca che la fece tremare impercettibilmente e arrossì con forza.
Klaus rise, ancora vicino a lei, e Nicole scosse il capo, scansandosi dalla sua
presa e dirigendosi verso l’uscita. La brezza fresca, tipicamente autunnale, la
investì, donandole piacere. Klaus la raggiunse, « Oh non ti sarai mica offesa,
tesoro? » esclamò melodrammatico seguendola mentre velocemente si allontanava
da lui per raggiungere l’auto.
« Ad onor del vero, » esordì divertita e suadente, tornando
a guardarlo. Klaus la fissò, colpito da quel cambiamento repentino e anche dal
suo tono. Non aveva mai sentito quella nota maliziosa nella sua bella voce, «
Damon Salvatore ha sempre l’abitudine di chiamare Bonnie e anche me streghetta.
Siete davvero molto simili,» concluse trattenendo a stento una risata vedendo
la reazione di Klaus. Aveva sollevato il labbro superiore in un’espressione di
puro ribrezzo e aveva scosso il capo con forza, più arrabbiato. Si mosse velocemente,
troppo perché lei potesse scansarlo, e si sentì sospingere contro lo sportello
del passeggero della jeep, incastrata tra la figura longilinea dell’ibrido e
quella liscia dell’auto. Klaus aveva le mani strette ai suoi polsi e la
guardava irato, anche se era ben presente il proprio divertimento.
« Ritira subito quello che hai detto,» sibilò sottovoce, a
un centimetro dal suo volto. Nicole sorrise, incapace di trattenersi, « Io sono
di gran lunga migliore rispetto a quel vampiro da due soldi,» continuò scadendo
con forza ogni parola, ma allentando la presa, liberandola del tutto. Non si
allontanò da lei e Nicole annuì.
« Rilassati, Klaus. Stavo scherzando,» esclamò leggera.
L’ibrido sembrò soddisfatto, sorrise falsamente e indietreggiò, lasciandole la
possibilità di entrare in macchina. Aprì, poi, il cofano e poggiò il borsone,
poi si sedette, « Quanto sei suscettibile,» soffiò Nicole, guardandolo in
tralice e massaggiandosi i polsi sbiancati. Klaus scosse il capo e mise in
modo.
« Dove vuoi andare, sweetheart? Prada, Versace, Dior,
Chanel, o un negozietto caratteristico? » continuò più allegro. Nicole arrossì,
imbarazzata, e chinò il capo.
« Non ho nulla con me,» sussurrò impercettibile,
torturandosi le dita. Si era esaltata per nulla prima. Aveva dimenticato
persino il portafogli e non aveva neanche la carta di credito che le aveva
regalato suo padre per il suo diciassettesimo compleanno ritenendola oramai
matura per possederla. Klaus poggiò la mano sulle sue e Nicole tornò a
guardarlo con la coda dell’occhio. Le sorrideva rassicurante.
« Non preoccuparti. Offro io. Questa serata dev’essere
perfetta. Non sai da quanto tempo aspetto questo momento,» le rivelò sottovoce.
Nicole avvampò maggiormente e si morse lievemente il labbro inferiore. Sorrise,
poi, e lo ringraziò lievemente. Klaus scosse il capo e avanzò velocemente tra
le vie della città, fermandosi dinanzi a un atelier d’alta moda con degli abiti
principeschi in vetrina. Nicole li osservò adorante come altre ragazze vicino a
lei. Scese dall’auto e si avvicinò all’entrata, guardando il listino dei prezzi
sotto alcuni di essi. Erano esorbitanti, centinaia di dollari per un vestito
che poi non si sarebbe più indossato. Era troppo. Si volse indietro e guardò
Klaus.
« Davvero, non importa. Chiederò a Elena di prestarmi uno
dei suoi, oppure a Care,» sussurrò convinta, anche se era evidente il suo
dispiacere. Klaus scosse il capo, poi sorrise, dolcemente intenerito dal suo
imbarazzo.
« Non per mancarti di rispetto od offenderti, ma sei più bassa
di tua sorella di almeno una decina di centimetri,» mormorò ragionevole. Gli
occhi di tutte le giovani si fissarono su di loro e Nicole arrossì, poi schiuse
le labbra per parlare, ma non uscì alcun suono. Klaus rise e la sospinse
all’interno del locale. La giovane strega si guardò intorno, sognante, con le
labbra schiuse e gli occhi sgranati. Era un negozio abbastanza ampio, dalle
pareti bianche e il pavimento dorato, e pieno di abiti italiani,
prevalentemente, ma anche francesi e americani. V’erano poi delle immagini dei
più grandi stilisti che delimitavano le relative zone. Quella più vicina a loro
sulla destra apparteneva a Choco Chanel, splendida nel suo tubino nero, mentre
alla sinistra v’era Giovanni Versace e più avanti Mario Prada e Christian Dior.
Klaus le poggiò le mani sui fianchi e sorrise lievemente, « Io li ho conosciuti
tutti,» le sussurrò. Nicole sorrise e annuì.
« Posso esservi utile? » domandò gentilmente una donna sulla
quarantina che doveva essere la proprietaria. Aveva i capelli neri e folti
raccolti una crocchia signorile e il volto ovale segnato da qualche ruga del
tempo, le labbra sottili e colorate da un rossetto intenso e gli occhi neri
proprio come i suoi abiti, una camicia di seta, una gonna lunga sino al
ginocchio e delle decolté.
« Sì. Cercavamo un abito per questo splendore di giovane
donna. Lei cosa ci consiglia? » domandò Klaus cordialmente, mostrandola alla signora.
Nicole sgranò gli occhi per quel complimento enorme e altamente esagerato. La proprietaria
giunse le mani e la osservò lungamente, poi sorrise e schioccò le labbra.
« Sarebbe perfetta con un bel turchese, un po’ più chiaro
dei suoi occhi, o un glicine per enfatizzarle la pelle. »
« Lo pensavo anch’io,»
concordò Klaus, annuendo lievemente.
« Io… Io mi sono sempre vestita di azzurro. Mia madre diceva
che mi donava,» sussurrò Nicole imbarazzata.
« Allora seguimi, tesoro. Ho un Versace che fa al caso tuo,
» le comunicò prendendole la mano e dirigendosi verso sinistra. Gli abiti erano
disposti in modo circolare ed era impossibile vederli. V’era solo un’unione di
colori bellissimi con al centro l’affresco dello stilista e il logo della casa
d’appartenenza. Sulla parte sinistra v’erano le scarpe poggiate su dei ripiani
illuminati da delle luci invisibili e dei divanetti candidi. La donna li fece
accomodare e Nicole guardò Klaus, incerta. L’ibrido le sorrise, affascinante e
rassicurante, carezzandole lievemente la mano e facendole l’occhiolino.
« Potrai gloriarti di un Versace,» le sussurrò senza farlo
udire alla signora.
« Ma...,» replicò incerta. Klaus la interruppe, facendole
cenno di guardare verso la proprietaria e Nicole si volse prontamente. Le stava
mostrando un abito meraviglioso con un sorriso dolce impresso nei lineamenti
nell’osservare la sua reazione. Meraviglioso era altamente riduttivo ed
eufemistico. Era di un turchese intenso, lungo e aveva delle linee perfette,
semplici e armoniose per far risaltare il corpo di chi lo indossava. Era molto
scollato e sui fianchi aveva delle pieghettature che creavano uno splendido
gioco di luci e ombre.
« Vorresti provarlo, cara? » le domandò la donna
riportandola alla realtà. Nicole si indicò, incredula, ma non se lo fece
ripetere. Si alzò e la proprietaria le indicò che il camerino era dietro
l’affresco. Prese il vestito e si diresse a passo svelto. Appena entrò le luci
si accesero e chiuse la porta nascosta. Aveva uno specchio dinanzi a sé e si
guardò. Sembrava sconvolta. Scosse il capo, sospirò e si svestì velocemente per
poi indossare l’abito. Era di seta, morbidissimo e aderiva perfettamente al suo
corpo. Si avvicinò e si guardò. Sembrava più adulta. Si sistemò meglio le
spalline. Il seno si notava troppo, anche se non aveva delle dimensioni molto
importanti. Guardò le scarpe. Le sue converse nere non facevano una bella
figura sotto quell’abito così sofisticato. Le tolse e uscì. Percepì lo sguardo
di Klaus su di sé e si volse verso di lui. Aveva le labbra lievemente schiuse,
sembrava stupito, oppure meravigliato. Arrossì e sorrise impercettibilmente.
« Fatti vedere, tesoro,» sussurrò la donna soddisfatta.
Nicole avanzò e allargò le braccia, timorosa sino a quando lei non sorrise, «
Perfetta. Sei fortunata. È proprio la tua misura. Anche se…,» obbiettò
contrariata, avvinandosi. Le separò le spalline, aprendo la scollatura, «
quest’abito è pensato così per esaltare le forme femminili,» mormorò
gentilmente notando il suo imbarazzo, « Sentiamo cosa ne pensa il tuo ragazzo,»
la esortò volgendosi verso Klaus. Nicole arrossì visibilmente e scosse il capo
per comunicarle che non era il suo ragazzo, ma non lo disse ad alta voce
perdendosi nel sorriso di Klaus. L’ibrido si alzò e le venne incontro.
« Sì, è davvero molto bella. Le sta bene,» confermò
facendola sorridere di cuore e aumentare il battito.
« Tu, tesoro, ti piaci? » Nicole annuì più volte, incontrando
lo sguardo di Klaus e ringraziandolo. La proprietaria si avvicinò alla zona
delle scarpe e ne prese un paio. Erano sandali neri, lucidi e altissimi con le
fasce che seguivano il piede sino ad arrivare alla caviglia, « La modella che
ha sfilato ha indossato questi, ma io non credo che sia il tuo genere,»
aggiunse gentilmente. Nicole annuì ancora una volta.
« Sono davvero belli, ma io non so portare tacchi così alti
e poi mi vesto moto raramente di nero,» soggiunse sommessamente. Klaus le
sfiorò il braccio in una carezza lieve, facendola sentire al sicuro.
« Infatti. Parlando con il tuo ragazzo, un buon consigliere,
devo dire, pensavo a un paio di decolté celesti, con il tacco basso, ma ben
marcato, per slanciarti,» le comunicò prima di avanzare verso l’esterno e
sceglierne un paio. Nicole guardò Klaus e gli sorrise.
« Non so come ringraziarti. Io… Nessuno ha mai fatto questo
per me,» sussurrò impercettibilmente. Klaus arcuò le sopracciglia e sollevò gli
angoli delle labbra in un sorriso appena accennato, poi le fece cenno di
sedersi per indossare le scarpe con un fiocco di vernice bianca. Nicole annuì e
si accomodò, chinandosi.
« Puoi vederti allo specchio,» la invitò la donna. La
giovane annuì e si guardò con un sorriso. Non sembrava più nemmeno lei, la
ragazza che indossava sempre i jeans e le scarpe basse, ma una donna adulta.
Esclamò sorpresa e meravigliata, sbattendo le palpebre, e Klaus rise
leggermente.
« Dimmi, tesoro, è meglio questo o un abito di tua sorella?»
le domandò poi carezzevole, avvicinandosi a lei e poggiandole il mento sulla
spalla. Il riflesso le diede l’immagine che avrebbe potuto avere una coppia di
fidanzati innamorati e sussultò lievemente, poi sorrise, « Può indossarlo
ancora? » domandò cordialmente alla donna, scostandosi di poco da lei, « Non
penso avremo il tempo di cambiarci lì, vero cara?» continuò dolcemente.
« Sì, durate l’Homecoming diventa tutto davvero molto
confuso e non sarebbe proprio il caso, poi hai detto che questa serata sarà
speciale e dovremmo arrivare al meglio,» continuò con un sorriso imbarazzato.
« Certo che sì. Quindi, ricapitoliamo, un abito e delle
decolté Versace e un completo da cerimonia di Gucci. Spero proprio che sarete i
reali della festa,» esclamò la donna avvicinandosi alla cassa. Klaus la seguì e
Nicole era in procinto di fare lo stesso, quando l’ibrido alzò la mano per
bloccarla volgendosi a tre quarti verso di lei continuando ad avanzare. Nicole
lo guardò interrogativa, ma rimase lì, dopo aver preso le sue cose dal camerino.
Lo vide pagare alla cassa, non ammaliare la donna, e ne rimase sorpresa e
colpita. Era un vero regalo e non voleva che risultasse sminuito da qualcosa di
sovrannaturale. Il battito le si accelerò e arrossì, sorridendo raggiante e
felice. Klaus si volse verso di lei, forse attirato da quelle emozioni, e le
sorrise affascinante mentre la donna gli porgeva una busta e lo scontrino.
« Aspettami qui, tesoro. Faccio in un attimo,» esclamò prima
di chiudersi in camerino. La proprietaria le si avvicinò e si sedette sul
divanetto bianco. Le sorrise gentilmente e Nicole ricambiò allegra.
« Siete davvero molto belli e affiatati. State insieme da
molto? » le domandò curiosa, ma non indiscreta. La giovane scosse il capo e
sbatté le palpebre.
« In realtà, lui non è il mio ragazzo. Non so nemmeno io
cosa c’è tra di noi,» sussurrò mentendo a se stessa. La donna se ne accorse e
sorrise.
« Ti consiglio di scoprirlo presto, prima che qualcun’altra
gli metta gli occhi addosso o che qualcuno li metta su di te,» le consigliò gentilmente.
Nicole arrossì e guardò verso il camerino. Forse Klaus aveva ascoltato tutto e,
da una parte, era davvero meglio così. Annuì e sorrise. Mimò il suo consenso
solo con le labbra poiché Klaus era appena uscito, « Potete, cortesemente,
attendermi un attimo? Voglio regalarvi un paio di accessori,» continuò
dirigendosi verso il bancone. Nicole lo guardò e sgranò gli occhi chiari,
avvampando e schiudendo le labbra. Se aveva pensato che la sera prima fosse
bello, dovette ricredersi. In giacca e cravatta era splendido, forse avrebbe
semplicemente preferito che si fosse rasato. Non le piaceva quella peluria su
di lui, in qualche modo, pur essendo sempre bellissimo, gli deturpava il viso
magro. Klaus le fece l’occhiolino e si sedette al suo fianco. La donna le porse
un mascara, un gloss rosato antico e fermaglio a forma di farfalla turchese con
delle perle bianche. Le prese due boccoli laterali e li fermò dietro la testa,
creando un’acconciatura semplice, ma molto adatta, lasciando che gli altri
ricci le ricadessero morbidamente sulle spalle. Nicole la ringraziò di cuore e
accettò i doni che le porgeva con un sorriso ampio e raggiante, poi salutarono
e uscirono. Il Sole era in procinto di tramontare e per le strade non
passeggiava quasi nessuno. Si sedettero e Nicole lo guardò, imbarazzata.
« Nicole, davvero, se mi ringrazi, ti tolgo quel vestito di
dosso e lo riporto al negozio,» esclamò più divertito che collerico. La ragazza
arrossì e sorrise, poi annuì. Aveva poggiato la gonna e la canotta sul sedile
posteriore e si sporse per prendere il telefono. Elena l’aveva chiamata, un
paio di volte. Compose il numero e si portò il cellulare all’orecchio. Le
rispose prontamente.
« Nicole, dove sei finita? » le domandò incerta, con la voce
acuta e preoccupata. Sembrava indaffarata, forse si stava preparando per il
ballo.
« Io… Ho avuto dei servizi da fare. Ho dormito dalla signora
Flowers. Quando sono uscita dal bar, ero troppo stanca per tornare a casa, » le
mentì velocemente. Non le piaceva farlo, non a sua sorella, ma era necessario, constatò
vedendo Klaus con la coda dell’occhio, « Ci vediamo all’Homecoming, sorellina.
Mi sembri nervosa, è successo qualcosa? » chiese gentilmente.
« No, non preoccuparti. Va tutto bene. Solo che Jer mi
sembrava triste e mi ha raccontato di averti detto delle cose che non pensava
assolutamente, però tu ti eri intristita e avevi pianto. Quindi mi sembrava
giusto chiamarti per riferirtelo,» le spiegò dolcemente. Anche lei le aveva
mentito. Chiuse gli occhi e sospirò lievemente. Non avrebbero dovuto esserci
bugie in una famiglia.
« Ti ringrazio. Non mi sono offesa, credimi. È Jer, qualche
volta esplode e non era un argomento facile da affrontare, ma era meglio se
litigasse con me che con te. Hai già i tuoi problemi a cui pensare,» affermò
atona.
« Che vuoi dire? » le domandò confusa e incredula.
« Parlo di Stefan e Damon. Insomma non dev’essere il massimo
avere due fratelli vampiri che litigano per te, oppure sì. Dipende dalla
prospettiva,» aggiunse ridente. Elena sbuffò.
« Sei ancora ubriaca, sorellina. Fatti passare la sbornia e
vieni a scuola. Ci vediamo lì,» la salutò chiudendo la comunicazione. Nicole
rise lievemente e gettò il telefono dietro. Klaus sorrise, sornione, e la
guardò in tralice.
« Dipende anche dai fratelli, tesoro,» la corresse malizioso
e provocante.
« Oh non saprei. Mai stata protagonista di un triangolo,
preferisco le relazioni stabili,» mormorò aprendo il mascara e poi abbassando
lo specchietto. Erano entrati in autostrada già da qualche minuto e Klaus
andava ancora più veloce di lei. Si truccò leggermente, dando volume alle
ciglia e illuminando le labbra, poi, soddisfatta, sorrise e tornò a guardarlo.
Non aveva replicato, ma aveva disteso le labbra sereno e pacato, « Il camion
con la tua famiglia? » gli domandò curiosa.
« Ho chiamato un amico. Lo riporterà lui a Mystic Falls, »
le comunicò atono, non spostando gli occhi dalla strada. Incominciò a vedere le
prime uscite per Mystic Falls e sgranò gli occhi, volgendo lo sguardo verso il
tachimetro.
« Un ibrido? » domandò interessata, tornando al discorso e
celando il timore. Se non fosse stata un po’ su di giri la sera prima, mai
sarebbe andata ad una velocità talmente alta, però Klaus era un ibrido e aveva
i riflessi pronti per qualsiasi evenienza. Quella constatazione la rilassò
notevolmente. Klaus annuì e rise leggermente.
« Tutti loro torneranno a Mystic Falls. Sono tutti previsti
nel mio piano. Però noi due avremo il ruolo di protagonisti, dolcezza,»
soggiunse accattivante, sorridendole. Nicole scosse il capo e sbuffò.
« Lo ebbi anche due anni fa, sai?» ricordò sottovoce,
chiudendo per un istante gli occhi, « Fui incoronata reginetta dell’Homecoming
dal preside in persona, » continuò dolcemente assorta in quel giorno così
felice. Elena l’aveva abbracciata appena era scesa dal palco esclamando che ne
era sicura mentre Nicole aveva pensato che la corona sarebbe stata meglio sul
capo della sorella che sul suo, ma non l’aveva detto. Quando era tornata a casa
e sua madre l’aveva vista, ne era rimasta così felice dal piangere per la
commozione. Era stata una serata stupenda. Non l’avrebbe mai potuta replicare.
Klaus sorrise e poggiò la mano sulla sua, carezzandola lievemente.
« Se vuoi, puoi riprovarci,» le mormorò gentilmente. Nicole
scosse il capo con foga e sciolse il sorriso, negli occhi un’espressione di
pura amarezza.
« Perché dovrei? Non è solo per te, per il piano, è per me.
Io non sono più quella ragazza ed è totalmente inutile tentare di mostrarmi in
modo diverso da quello che sono. Non ne sono mai stata in grado. Da piccola
tentavo sempre di non parlare perché tutti ritenevano che la mia sincerità
fosse altamente inadeguata, però poi Elena mi ha fatto capire che è proprio
questo a rendermi quello che sono,» gli confessò, mantenendo il contatto tra le
loro mani. Klaus svoltò e uscì dall’autostrada, dirigendosi verso il Wickery
Bridge. Annuì e sfiorò il dorso della sua mano in un’ultima carezza lieve poi
si scostò leggermente. Percorsero il ponte in silenzio, Nicole guardando verso
il fiume che scorreva blando sotto di loro. Elena non aveva mai superato
quell’incidente, e nemmeno lei. Anche se era lontana da casa, non aveva mai
smesso di pensare a loro, alla sua famiglia e sperava che un giorno, non molto
vicino, questo era certo, sarebbero potuti tornare ad essere legati dal quel
profondo vincolo che li avrebbe portati a morire gli uni per gli altri.
« Ho detto ai miei ibridi di allagare la palestra della
scuola,» mormorò Klaus. Nicole aggrottò le sopracciglia, « e a Tyler di
spostare la festa a casa sua così da avere tutto sottocontrollo. Mikael non può
entrare a casa Lockwood,» continuò vedendola ancora incerta. Nicole annuì,
guardandolo lievemente intristita dal suo tono così spento. Gli carezzò il
braccio rassicurante, per infondergli calore e Klaus le sorrise con più
dolcezza, svoltando verso la villa. Il Sole era tramontato del tutto e una
notte senza stelle, illuminata solo da una Luna crescente, brillava sopra di
loro. La festa era ormai pronta per tutto e si domandò come Tyler, che non
aveva mai saputo organizzare nemmeno un appuntamento perfetto, fosse stato in
grado di allestire tutto quello che vide. Schiuse le labbra e un suono incerto
sfuggì dalle sue labbra. Klaus rise poi uscì e, velocemente, aprì il suo
sportello, porgendole la mano per scendere. Nicole l’accettò quasi senza
vederlo.
« Ma come diavolo ha fatto? » esclamò con la voce soffocata
e gli occhi sgranati. Klaus sbuffò divertito e la condusse verso l’entrata
principale che era aperta. Klaus doveva essere già stato invitato a entrare in
precedenza e Nicole si fermò ai piedi della scalinata, sentendo dei rumori di
passi discenderla. Vide Carol e le sorrise dolcemente. La donna l’abbracciò, gentilmente,
osservandola con soddisfazione, poi si guardò intorno, sorpresa quanto lei da
ciò che vide. Nicole percepì la mano di Klaus cingerle il fianco e lo guardò,
ma la vista dell’ibrido era su Carol non su di lei. Sorrideva cortese e la
donna lo guardò interrogativa.
« Dovresti andare in chiesa, Carol, e pregare per gli
abitanti di Mystic Falls affinché non compiano degli errori madornali questa
sera, sindaco,» l’ammaliò. Nicole aveva ancora gli occhi sgranati nel vedere il
suo sorriso avvenente, ma non lo fermò. Sapeva quel che faceva e poi non le
aveva ordinato nulla di malvagio. Avrebbero avuto tutti necessità di un aiuto
divino quella sera. Klaus rinfrancò i suoi pensieri, « Ne avranno bisogno.»