Capitolo 14
Anger
« Guardami, Nicole,» le sussurrò Klaus, con la voce
arrochita dal desiderio e dalla passione. La giovane aprì gli occhi, li
spalancò, e vide il suo sorriso affascinante e perfetto, incantevole. Le
illuminò l’anima, ma delle ombre si avvicinavano progressivamente,
disilludendola di poter ancora vivere quell’istante di pura perfezione, lì, tra
le sue braccia forti e passionali che sembravano cingerle la parte più intima
di sé. Gli carezzò lievemente la guancia irsuta, poi Klaus si portò la sua mano
sulle labbra posando un dolce bacio galante su di essa. Il cuore le battè con
più energia, come per richiamarla e farle comprendere che non poteva continuare
così, mentre si immergeva nei suoi occhi, limpidi come specchi d’acqua. La
osservavano confusi da quegli atteggiamenti così dissimili da quelli che aveva
avuto solo pochi istanti prima. La verità era che, seppur la sua parte più
razionale le stesse ordinando di allontanarsi, fuggire, nascondersi da quei
sentimenti così inadeguati alla situzione, non poteva farlo perché avrebbe
ferito l’unica persona che le facesse battere davvero il cuore. Si morse il
labbro inferiore, gonfio per i suoi baci, e scosse il capo, addolorata. Era
stata una folle, lo sapeva bene. Aveva ceduto, ma avrebbe dovuto subito fare un
passo indietro per rinsavire. La razionalità riprese il ruolo di imperatrice
nella sua mente e si lasciò condurre da lei fiduciosa che fosse la guida più
adatta e autorevole. Aveva avuto dinanzi a sé Niklaus, il ragazzo umano
completamente innocente e puro, non Klaus, l’ibrido immortale che distruggeva e
spezzava vite dalla notte dei tempi, ed era stato meraviglioso conoscere quella
splendida parte dell’Immortale. Però doveva ritornare a essere Klaus, l’assasino
della sua famiglia, il torturatore di Mystic Falls, prima che Nicole facesse
qualcosa di totalmente avventato e buttasse al vento il suo rapporto con Elena
che stava tentando di ricostruire con le unghie e con i denti.
« Non posso, Klaus,» sussurrò con un filo di voce acuta e
istabile, afflita come se le avessero appena inferto un colpo di pugnale dritto
al cuore. Poggiò entrambe le mani sul suo petto per allontanarsi e, stupito da
quelle parole, meravigliato da lei, Klaus non oppose resistenza, scostando le
mani dalla sua schiena. Nicole indietreggiò di un solo passo, per non poter più
sentire il suo respiro rovente, che le causava mille brividi e insieme calore,
sulla pelle perlacea, in quel momento arrosata sulle guance rotonde. Trattene
un singulto che era in procinto di squassarle il petto, però una lacrima le
rigò il volto. Klaus schiuse le labbra, ancora più sorpreso, dispiaciuto che
potesse essere lui la causa del suo dolore. Tremava, l’ibrido che non si era
mai piegato a nulla e a nessuno tremava dinanzi a lei come un fuscello scosso
da un vento imperioso e impetuoso. Le sfiorò il volto con i polpastrelli e
Nicole non ebbe la forza di scostarlo nuovamente da sé.
« Perché? Perché piangi? » le domandò sottovoce vedendo che
le lacrime che le velavano gli occhi chiari aumentavano sempre di più a ogni
istante.
« Perché io non dovrei essere qui con te, Klaus, ma a casa,
con la mia famiglia. Non avrei dovuto baciarti, non avrei dovuto stringerti,
non avrei dovuto fare niente questa sera,» esclamò tremante per le lacrime e i
singhiozzi, portandosi le mani sulle tempie e chiudendo gli occhi, serrandoli.
Percepì Klaus farsi più vicino, a un soffio da lei e tornò a guardarlo,
incapace di trattenersi e di controllare le proprie emozioni.
« Avresti potuto fermarmi, dovuto farlo se non mi volevi,»
affermò con la voce ragionevole, lievemente acuta, poi un barlume di
consapevolezza illuminò i suoi occhi quando le vide schiudere le labbra, «
Oppure il problema è che mi volevi, Nicole? » domandò più serio, quasi
minaccioso tanto da farle tremare il cuore. Era la verità, ma non avrebbe mai
potuto rivelargliela. Si volse e Klaus non la bloccò. Avanzò velocemente verso
la jeep e mise in moto senza guardare nulla, specialmente lui, immobile nel
punto in cui l’aveva lasciato. Superò abbondantemente i limiti di velocità e
percorse le vie della cittadina con il cuore a mille e le lacrime che le
inumidivano il volto pallido. Singhiozzò e si fermò di colpo, con una sgommata
fragorosa. Non poteva guidare in quelle condizioni. Si portò una mano sulle
labbra e pianse, il petto scosso da mille singulti e il corpo tremante. Avrebbe
solo voluto che Klaus non le avesse rivolto quell’ultima domanda, il colpo di
grazia per la sua mente provata dal continuo desiderio di cedere e la determinazione
nel ricordare chi erano loro due nel mondo. Non era mai stata brava a mentire,
Nicole, soprattutto a se stessa e sapeva che prima o poi avrebbe agito
impulsivamente. Quella sera era stata perfetta per un folle gesto, erano
accaduti mille avvenimenti che li avevano portati a quello e a Nicole, in tutta
onestà, non era dispiaciuto. Non sarebbe stata onesta se avesse detto il
contrario, anche se, sicuramente, sarebbe apparsa molto più integra e morale.
Si asciugò le lacrime, ferendosi gli zigomi che subito si arrossarono. Non
doveva piangere, voleva soltanto tornare a casa e sperare che Elena stesse già
dormendo per non farle la paternale sulla scelta di aver salvato Klaus e
Mikael. Riprese a guidare, più calma, e arrivò subito a casa, parcheggiando nel
vialetto dietro l’auto di sua sorella. Si chiuse lo sportello alle spalle con
un tonfo fragoroso ed entrò in casa. Si guardò intorno e vide tutte le luci
spente e le finestre serrate. Dovevano essere andati a letto. Avanzò verso la
sala, fiduciosa che per quella notte potesse essere tranquilla, poi si bloccò
di botto riconoscendo la sagoma di sua sorella accomodata sul divano. Appena
sentì il suono dei suoi tacchi contro il pavimento, Elena si girò e si issò in
piedi, inconcrociando le braccia al petto e guardandola con disappunto.
« Davvero, Ele, oggi non è proprio la giornata adatta a una
discussione. Sono stanca, ho sonno e voglio andare soltanto a dormire,» affermò
risoluta, prima che sua sorella potesse incominciare a parlare, alzandosi le mani
in segno di resa. Elena annuì e degluitì, avanzando verso di lei. Era in
pigiama, i capelli legati in una coda alta e le gambe coperte dal pantalone
grigio, i piedi scalzi.
« Ieri notte non sei stata dalla signora Flowers, Nicole,»
sussurrò standole dinanzi, non volendo accettare il suo rifiuto. Nicole alzò
gli occhi al cielo, si appoggiò allo stipite della porta e si tolse le scarpe,
lasciando i piedi liberi sul pavimento, « E quel vestito sicuramente non l’hai
comprato a Mystic Falls,» continuò più dura. Nicole sospirò e si slegò i
capelli, avanzando verso il divano come se non l’avesse udita. Elena la
raggiunse subito sedendosi accanto a lei e poggiando la mano sulla sua, « Cosa
sta succedendo, sorellina? Hai dimenticato chi è lui? Cos’è?» si corresse con
la voce più alta di un’ottava, incredula. Nicole arrossì, avvampò, e si scostò
un boccolo dal volto. Scosse il capo.
« Non l’ho fatto, Elena,» mormorò atona, cominciando ad
abbassare la chiusura del vestito, avendo visto un pigiama posato sul tavolo.
Si cambiò velocemente, dinanzi allo sguardo scettico e dubbioso di sua sorella,
poi si accomodò nuovamente, dopo aver piegato dolcemente l’abito.
« E allora perché sei dalla sua parte? Che diavolo ti
prende? Perché non hai permesso che Damon lo uccidesse una volta per tutte?»
quasi urlò agitata e arrabbiata, indispettita da tutta quella indifferenza che
sua sorella ostentava. Percepirono i passi ovattati sulle scale e volsero lo
sguardo verso il loro fratellino, probabilmente attirato dai rumori nel soggiorno.
Avanzò verso di loro e si sedette sul tavolino, dal lato di Elena, come per
farle notare che non era dalla sua parte, ma da quella della bruna. Schiuse le
labbra e aggrottò le sopracciglia, però non emise alcun suono. Dire la verità
era impossibile, semplicemente inammissibile, ma, se avesse detto una bugia, se
ne sarebbero subito accorti.
« Mi dispiace, Elena,» scandì ogni parola amareggiata, con
il respiro corto e le lacrime che premevano agli angoli degli occhi per poter
fuoriuscire.
« Perché, Nicole? Io non capisco,» sussurrò Jeremy, posando
la mano sulla sua. Scosse il capo, non sapendo dare una giustificazione
accettabile per loro, poi Elena sospirò e si issò in piedi. Avanzò verso le
scale e le salì velocemente scomparendo dalla loro vista. Jeremy le posò un
lieve bacio sulla guancia, poi fece lo stesso. Non bramosa di pensare ancora,
rimuginare su quella serata, Nicole si stendette sul divano e si corpì,
chiudendo gli occhi e sperando di addormentarsi il prima possibile.
Dormì e sognò quei baci mille e mille volte in quelle ore,
un sorriso a incresparle le labbra e un’espressione beata sul volto. Avrebbe
voluto che ci fosse stato un finale diverso quella sera, ma era meglio che si
fosse fermata, che fosse fuggita, come una codarda, da lui, dalle sue braccia,
dal suo cuore nobile e fiero come quello di un principe antico e glorioso. I
rumori nella cucina la destarono, facendola sobbalzare. Si mise a sedere, con
lo sguardo ancora assonnato e vide sua sorella preparare la colazione, causando
volontariamente tutti quei fragori come per farla svegliare di proposito.
Indossava una tuta, probabilmente era in procinto di andare a correre. Si alzò
e avanzò, abbandonandosi, poi, sulla panca.
« Si può sapere perché fai tanto rumore? » borbottò stanca,
poggiando i gomiti sul tavolo e coprendosi le orecchie per non sentire la
padella contenente uova e pancetta sbattere sul fornello scoppiettante.
«Oh, sei sveglia. Finalmente,» esclamò, volgendosi con un
tono innocente che la irritò poiché negli occhi vedeva solamente diffidenza,
incredulità e dispiacere. Era arrabbiata con lei, e tanto. Poggiò la tazza di
caffè davanti a lei e le sorrise, falsamente, come mai lo era stata, « Jer deve
andare a lavoro tra un po’. Quindi sveglialo tu, per favore,» aggiunse con più
gentilezza, incapace di essere davvero cattiva con lei, « Io vado a correre. Ci
vediamo al Grill. Devo vedermi con Bonnie e vorrebbe un tuo parere da strega,»
le comunicò avanzando verso la porta, poi sbuffò e si girò a guardarla, «
Ovviamente se sei disponibile e Klaus non ti reclama,» soggiunse malevola e
ironica prima di uscire. Nicole sbuffò e chiuse gli occhi, sorgeggiando il
caffè con calma, per non addormentarsi lì sul tavolo. Subito dopo si alzò e
poggiò le uova e la pancetta sul piatto. Aprì il frigo e prese un contenitore
di succo d’arancia pr poi versarlo in un bicchiere alto. Si diresse verso la
camera di suo fratello, aprì la porta e poggiò la sua colazione sul comodino,
scansando il cellulare e le cuffie. Jeremy dormiva beatamente, il volto di
bambino rivolto al soffitto e scoperto totalmente. Gli carezzò la guancia
teneremante e vide le sue palpebre tremare mentre dalle labbra sfuggiva un
suono di diniego.
« Jer, svegliati. Farai tardi a lavoro,» sussurrò dolcemente
prima di posargli un dolce bacio sulla guancia.
« Mi sono licenziato,» le comunicò con la voce ancora
impastata di sonno, incosapevole di cosa aveva appena rivelato. Nicole sgranò
gli occhi, la mano ancora a mezz’aria. Schiuse le labbra, sorpresa.
« Cosa? » domandò sperando che fosse solamente uno scherzo
per poter rimanere ancora un altro po’ a letto. Jeremy schiuse gli occhi e si
mise a sedere, guardandola appena per la timidezza e la vergogna, avvampando.
« Io… Mi hanno licenziato la settimana scorsa,» sussurrò
facendola sobbalzare.
« E quando ce l’avresti detto di grazia? Sei ammattito per
caso? Hai sedici anni, Jer, e noi siamo la tua famiglia. Devi dirci queste
cose, per l’amor del cielo,» esclamò incredula, la voce acuta e le mani
tremanti. Jeremy la guardò arrabbiato e si alzò, scostandola bruscamente da sé,
facendola quasi distendere sul letto disfatto.
« Certo. E tu dicci che sei dalla parte dell’ibrido stronzo
che vuole ammazzarci tutti,» sibilò prima di prendere il bicchiere con il succo
ed entrare in bagno, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo fragoroso.
Nicole sgranò gli occhi, irata, trattenendo lacrime di rabbia, e si alzò,
battendo i pugni chiusi contro la porta. Non le importava se i vicini avessero
ascoltata e l’avessero ritenuta pazza. Jeremy non poteva comportarsi in quel
modo così irrispettoso e insolente. Non sembrava nemmeno più il suo fratellino
dolce e tranquillo. Non era per il posto al Grill, non le importava nulla se
lavorasse o meno, però non poteva celare a loro questioni riguardanti la sua vita.
Erano le sue sorelle che lo amavano con tutta l’anima e avrebbero fatto di
tutto per lui.
« Jeremy Gilbert, esci immediatamente di lì. Ora,» tuonò
collerica, dando un ultimo pugno contro la porta chiusa. Il fratello non le
obbedì, non sentì alcun suono provenire dal bagno, e respirò profondamente per
non far fluire la magia dentro di sé verso l’esterno e abbattere la porta. Un
suono di pura rabbia le fuoriuscì dalle labbra, sembrava quasi animalesco e le
corrose le corde vocali, poi uscì dalla camera di Jeremy, dirgendosi verso quella
di sua sorella. Prese degli abiti a caso dall’armadio ancora aperto e si vestì
velocemente, tentando di calmarsi e non tremare troppo nel chiudere il bottone
dei jeans scoloriti e allacciandosi le converse rosse. Aveva preso una felpa
grigia di una taglia più larga, però non si cambiò, non facendo nemmeno
attenzione al suo aspetto. Scese le scale, ben sapendo che suo fratello non
sarebbe uscito di lì molto presto, e prese al volo le chiavi della macchina,
chiudendo la porta di casa. I vicini erano usciti e la guardavano allibiti.
Doveva aver urlato tantissimo. Arrossì e scosse il capo verso la piccola
signora Austen, una donna anziana che abitava con il suo gatto Leo, facendole
cenno di non preoccuparsi. Si diresse verso la jeep e mise in moto, avanzando
verso il Grill tra le vie poco trafficate della città. Arrivò in pochi minuti
ed entrò nel locale semivuoto, ancora trafelata e rossa di rabbia. Vide sua
sorella e Damon Salvatore giocare a freccette e spalancò le braccia, incredula
e stupefatta, le labbra contratte in una smorfia. Alcune persone la guardarono,
incredule di vedere Nicole Gilbert così vestita. Sicuramente aveva anche i
capelli in disordine, però non le importava.
« Che diavolo stai facendo? » domandò sottovoce a sua
sorella, scendendo le scale e arrivando a pochi passi dai due, facendo voltare
subito Elena, « Sei impazzita, per caso?» continuò tentando di non attirare
l’attenzione di tutti.
« Parlò la strega,» la riprese Damon, facendosi accanto a
Elena come per proteggerla da lei, sua sorella. Lo guardò con disappunto e
rabbia, come se fosse lui la causa dei suoi problemi.
« Che c’è, Nicole? » le chiese, non più arrabbiata come
quella mattina, più sbalordita e perplessa da quel comportamento così inusuale,
« Hai dei capelli orribili e guardati: hai mischiato dei colori assurdi,»
continuò ancora più confusa. Nicole avvampò, non di rabbia, ma di vergona e
mise le mani nella tasca ampia della felpa, torturandosele.
« C’è che il nostro piccolo Jeremy non ci racconta le cose e
mi urla contro se gli dico che non va bene. C’è che tu sei arrabbiata con me
però giochi a freccette con Damon Salvatore e nemmeno questo va bene,» sibilò
contrita, trattenendo le lacrime dinanzi a tutti. Elena schiuse le labbra e le
poggiò le mani sugli avambracci, « E c’è che sembro davvero una sguattera e
questo non va assolutamente bene visto che in questa città tutti mi odiano,»
continuò più triste, guardando sua sorella con malinconia e desiderio di
affetto.
« Non è vero, Nicole,» sussurrò, abbracciandola lievemente,
poi scostandosi, prendendole il volto tra le mani e guardandola seriamente, «
Jeremy è entrato in una spirale distruttiva. Speravo che almeno con te
riuscisse ad aprirsi dato che con me non vuole farlo perché non accetto che sia
ancora innamorato di Anna e abbia tradito Bonnie. »
« Ragazze, ha perso soltanto il lavoro al Grill. Non è da
suicidio,» esclamò Damon sarcastico, tirando un’altra freccetta, sbagliando il
bersaglio.
« Grazie per l’interessamento, ma queste sono questioni
familiari. Occupati del tuo di fratello, non del mio,» affermò Nicole con finta
gentilezza, gettandogli un’occhiata in tralice. Damon le sorrise falsamente e
inclinò il capo. Spalancò gli occhi chiarissimi, guardando oltre la sua figura.
« Klaus,» lo salutò, facendo cenno a Elena di scostarsi da
lei e arretrare verso le sue spalle. La sorella obbedì prontamente, timorosa,
mentre Nicole si voltava verso di lui. Arrossì impercettibilmente nel vedere il
suo sorriso appena accennato, non rivolto a lei, però, ma a Damon.
« Non
fate caso a me, per favore,» affermò divertito. Nicole si
guardò le vesti e poi alzò gli occhi al cielo. Stava davvero malissimo e tutta
la città poteva vederla, lui poteva
vederla. Infatti Klaus scostò lo sguardo da Damon puntandolo verso di lei,
incontrando i suoi occhi limpidi. Non percepì nemmeno le parole di Damon così
concentrata nel guardarlo. Era arrabbiato, con lei, come il resto di Mystic
Falls, del resto, ma con diverse motivazioni. L’aveva abbandonato la sera prima
e Nicole sapeva che l’avrebbe incontrato prima o poi. Solo sperava fosse poi.
E, sinceramente, non vestita in quel modo dopo che la sera prima aveva
sfoggiato un Versace. Avanzò verso di loro, rassicurandoli e mandando Tony a
prendere da bere, e si fermò a pochi passi da lei.
« … Poi volevo sentire cos’hai intenzione di fare con
Mikeal, sweetheart,» affermò interrogativo, scrutandola. Nicole incrociò le
braccia al petto come per proteggersi e scosse il capo.
« È lui a dover decidere. Se sceglie la tomba, penso di
riportarlo a Charlotte e in poco tempo si disidraterà completamente, rimamendo
lì per altri secoli. Però se sceglie di non far del male a nessuno, lo libererò
e tu potrai risvegliare i tuoi fratelli,» gli spiegò atona, guardandosi intorno
per essere certa che nessuno, a parte Elena e Damon, potesse ascoltare quella
conversazione. Klaus annuì meditabondo mentre Damon sbuffò.
« Che bel duo. Mi
soprende che tu sia rimasto in città per l’ora dell’aperitivo, Klaus,»
esclamò ironicamente Damon.
« A quanto
pare la mia sorellina è scomparsa. Devo risolvere la faccenda. Se tu
potessi aiutarmi, Nicole, mi faresti davvero un gran favore. Poi potrai parlare
con Mikeal. A me rivolge solamente insulti e maledizioni. Forse una bella
bionda avrà più successo,» affermò divertito, facendola avvampare per il suo
sguardo languido e accattivante.
« Mia sorella non è ai tuoi servigi, Klaus,» sibilò Elena
irata, con gli occhi infuocati di rabbia. Nicole si volse e le fece cenno di
non dire nulla, « Davvero, Nicole? E quello che ci siamo dette ieri notte non
conta nulla? Devi aiutarmi con Jeremy. Non puoi lasciarmi da sola ad occuparmi
di lui. Sei tornata a casa e mi hai promesso che saremmo stati una famiglia,
che ci avremmo perlomeno tentato,» sussurrò incredula, facendola sentire in
colpa.
« Jeremy è arrabbiato con me, Elena, e, in tutta onestà, mi
ha mancato di rispetto,» affermò ancora offesa da quel comportamento. Elena
sbuffò divertita.
« Sì. Con me lo fa da due anni, se proprio vuoi saperlo.
Però non lo lascio da solo. È mio fratello ed è anche il tuo, anche se ti
ostini a dimenticare chi ti ha cresciuta,» aggiunse con più rabbia. Nicole la
guardò, stupefatta, e schiuse le labbra, scuotendo il capo.
« Io non ho dimenticato proprio un bel niente, Elena. Il
fatto che io accetti che John e Isobel siano i nostri genitori non significa
che io non ricordi Grayson e Miranda,» mormorò veritiera, sfiorandole il
braccio, tentando di imprimere nella sua voce una pacatezza che il suo animo
tremante non possedeva in quel momento. Elena si scansò e la osservò con gli
occhi assottigliati per la collera.
« Credici, Nicole, perché io non lo faccio. Non ci riesco
proprio. Non sei stata al cimitero nemmeno una volta per loro, non sei venuta
neanche al funerale, però sei tornata per John. È sempre stata una questione di
priorità, sorella, e la famiglia viene sempre al secondo posto per te,» affermò
malevola come mai l’aveva sentita prima di andarsene a passo svelto. Nicole
spalancò le labbra e trattenne le lacrime.
« Non è vero,» sussurrò al vento, ben sapendo che la sorella
non potesse più ascoltarla. Si scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta
dinanzi al volto, nemmeno accorgendosi dello sguardo dei due vampiri su di lei.
Tratteneva le lacrime, Nicole, e i singhiozzi, ma non avrebbe pianto, non lì,
non dinanzi a tutta Mystic Falls. Percepì altri sguardi su di sé e alzò il
proprio arcuando le sopracciglia dorate e guardando tutti con superiorità.
« Non avete altro da fare, voi?» cinguettò, scrutandoli con
disprezzo. La rabbia faceva prevalere la parte peggiore di sé e si odiò per
quel tono così ostile, « Possiamo andare,» mormorò rivolta a Klaus che la
osservava sorpreso. Annuì e uscirono insieme dal locale. Nicole sentì lo
sguardo di Damon fisso sulle sue spalle per tutto il tragitto, ma non si voltò.
Era troppo arrabbiata. Si bloccò dinanzi una Porsche nero mentalizzata e Klaus
le fece cenno di sedersi. Nicole accettò con un piccolo cenno del capo e si
accomodò. Una lacrima le rigò il volto pallido, le parole di Elena risuonavano
ancora nella sua mente.
« Calmati, Nicole. Son certo che non pensava davvero ciò che
ha detto,» le sussurrò quasi con dolcezza, sfiorandole la mano. La giovane
scosse il capo.
« Io credo proprio di sì, Klaus. Mi aspettavo che le
dicesse. Era impossibile che mi riaccogliessero senza farmi pesare nulla e non
sarebbe stato nemmeno giusto. Solo che non volevo lo facessero tutti nella
stessa mattinata, non al Grill, davanti a tutti,» esclamò sorridendo quasi
sfiorando l’isteria, « Non ho mai sentito mio fratello parlarmi con quel tono,
urlarmi contro. Io…,» si interrupe asciugando un’altra lacrima e mettendo la
mano tra i capelli, tremante per la rabbia e la vergogna. Dopo schiuse gli
occhi e sollevò gli angoli delle labbra in un’espressione di pura incredulità,
« E poi quella parolaccia, il mio Jeremy? No, è troppo. Non può continuare
così. È solo un ragazzino e questa rabbia gli fa male,» continuò dispiaciuta,
stringendo la mano di Klaus per ricevere calore. Stavano dirigendosi verso
l’immenso palazzo bianco abbandonato. Klaus sospirò fortemente, poi la guardò,
profondamente. Nicole sbatté le palpebre, invitandolo a parlare, più calma
grazie a lui. Si sentiva bene con Klaus, sebbene fosse certa che fosse ancora
incollerito con lei.
« La rabbia è nemica di ognuno, anziano e giovane, come
l’invidia e l’accidia. Però tu non temere, Nicole. Passerà. Tuo fratello è un
ragazzino, l’hai detto anche tu. Crescendo imparerà e ti domanderà perdono. E
so che tu lo accoglierai a braccia aperte perché sei buona e onesta e ami la
tua famiglia,» le mormorò accorato, lo sguardo limpido reso più scuro dalla
serietà del tuo tono, « Tua sorella ha pronunciato solamente falsità questa
mattina,» aggiunse quasi con sdegno, poi tornò calmo e le sorrise, sfiorandole
la guancia con delicatezza e malinconia, come se stesse rimuginando su qualcosa
mille anni luce lontano da lui, « Non ho visto che luce in te, Nicole Bishop.
Sei la degna erede di mia zia,» sussurrò dolcemente. Il cuore aveva accelerato
i suoi battiti a ogni sua parola per l’emozione e il sentimento. Schiuse le
labbra e lo guardò, teneramente colpita dalle frasi che Klaus aveva appena
pronunciato e dai suoi occhi, così puri e appassionati. Fermò l’auto e le baciò
la mano, amorevolmente, galante e cortese, non scostando nemmeno per un istante
gli occhi dai suoi, « Torna a casa. Hai delle questioni da sistemare. Io ho le
mie. Mikael può aspettare, anche se credo abbia già fatto la scelta. Ho bisogno
di quelle bare, Nicole. I miei fratelli aspettano da troppo tempo. Non posso indugiare
oltre,» sussurrò spossato. L’aveva accompagnata a casa. Quella constatazione la
fece per un secondo arrossire e nemmeno lei ne conosceva la ragione. Poi annuì
e si sporse per posare le labbra sulla sua guancia in un lieve bacio pieno di
gratitudine.
« Perdonami per ieri sera,» mormorò sottovoce, prima di
scendere velocemente e avanzare verso casa. Klaus non ripartì fino a che non
aprì la porta d’ingresso, come se attendesse di saperla al sicuro, poi lo sentì
percorrere la via e scomparire dal suo campo uditivo. Entrò e si chiuse la
porta alle spalle. Percepiva dei rumori in cucina e sospirò, camminando verso
di essa e vedendo Alaric ed Elena preparare la cena. Non si accorsero di lei,
stavano parlando di Jeremy mentre Alaric tagliva le verdure ed Elena prendeva i
piatti di ceramica bianca.
« Mio fratello
ribelle… sono preoccupata,» esclamò poggiandoli sulla superficie lignea del
tavolo. Alaric la notò e Nicole le fece cenno di tacere ancora per qualche
istante e il professore continuò nella sua attività, « Sembra proprio che
Nicole si sia alleata con il nemico… sono sbalordita. Mia sorella non è affatto
così, lei non tradisce mai, lei dice sempre la verità e non la nasconde,»
continuò dispiaciuta e incredula.
« Io non nascondo niente, Elena, e non ti ho tradita,»
esclamò Nicole esasperata da quel comportamento, facendo voltare la sorella di
scatto mentre si apriva la porta d’ingresso. Volsero contemporaneamente lo
sguardo verso il loro fratello che, vedendosi osservato, si bloccò per un
istante, poi tornò ad avanzare verso la cucina. Nicole si sedette sulla panca e
serrò le labbra. Era ancora arrabbiata con lui per quell’atteggiamento così
arrogante e sfrontato. Si diresse verso il frigo, senza degnarla di
un’occhiata.
« Mi
spiace, sono solo di passaggio, » comunicò loro prendendo una
bibita. Nicole sbuffò e si alzò, incrociando le braccia al petto e inclinando
il capo. Suo fratello la guardo interrogativo, per nulla dispiaciuto di ciò che
le aveva urlato quella mattina. Quel pensiero la irritò talmente tanto da farle
schioccare le labbra sottili come una frusta.
« Per una volta che potremmo cenare tutti insieme, come una
famiglia, davvero vuoi lasciarci? » gli domandò con finta innocenza, ma il suo
volto era rigido e i suoi occhi infuocati. Jeremy sbuffò, divertito da quel
tono e Nicole poté vedere l’espressione sbalordita di Alaric. Non si era mai
comportato in quel modo così indisponente e altezzoso, soprattutto con le sue
sorelle, a cui Alaric sapeva voler davvero molto bene.
« Perché? » domandò con finta gentilezza, sbattendo le
palpebre e avanzando verso di lei, « Te ne andrai di nuovo o hai intenzione di
trasferirti da Klaus?» Nicole schiuse le labbra e avvampò per quella
insinuazione. Non era possibile che avesse davvero pronunciato quelle parole
rivolto a lei. Era semplicemente inimmaginabile. Però era la realtà e quella
verità le velò gli occhi di lacrime colme di tristezza mista a imbarazzo. Non
potevano davvero credere che li avesse traditi, non i suoi fratelli, e una
parte di lei era certa che non fossero davvero arrabbiati, solo confusi da
quegli atteggiamenti ambigui che v’erano tra lei e Klaus. Quella stessa parte
li comprendeva appieno, però era impossibilità ad abbandonare Klaus. V’era come
una calamita che la legava indossolubilmente a lui, una corda che lei non
voleva spezzare. Non voleva mettere a tacere ancora una volta le sue emozioni,
sebbene era certo e risaputo che Klaus fosse il cattivo della favola,
l’antagonista per eccellenza, il mostro da cui dover scappare, un angelo
caduto. Lei sapeva che non era così. Nessuno si era mai sforzato di vedere
Klaus nel profondo. Non era solo il cattivo, v’era molto di più, ma spiegarlo a
loro era assolutamente fuori discussione. Così tacette.
« O
forse perché sei stato licenziato e non l’hai detto a nessuno? » domandò
Elena irritata da come le stesse parlando e da quella verità sconvolgente.
Jeremy schiuse le labbra, spostando lo sguardo sull’altra sorella, poi chiuse
gli occhi e sospirò leggermente. Inclinò il capo e avanzò di un passo.
«
Possiamo parlarne più tardi, Elena? Tyler mi sta aspettando fuori,» comunicò
speranzoso. Nicole aggrottò le sopracciglia. Non sentì la discussione su Tyler,
non le importava cosa pensassero loro. Tyler era a posto, lei lo sapeva e ne
era sicura. Fu solidale con suo fratello, sebbene fosse arrabbiata con lui, in
quella discussione.
« Suvvia, Elena. Conosciamo Tyler da una vita. Come puoi non
fidarti di lui? » sbuffò volgendo il capo verso di lei e aggrottando le
sopracciglia mentre Jeremy avanzava verso la porta d’ingresso. Elena lo
raggiunse, non prestando attenzione alle sue parole, e lo bloccò, dicendogli
che non sarebbe andato da nessuna parte, soprattutto non con Tyler. Jeremy si
arrabbiò e rivide in lui la stessa espressione di quella mattina mentre
invitava l’ibrido ad entrare. Nicole si avvicinò ai suoi fratelli e lo sguardo
si puntò sul ragazzo. Lei si fidava ancora e gli sorrise, timidamente, un
sorriso che il giovane ricambiò subito. Jeremy fece accomodare Tyler e gli
prese un bicchiere. Nicole si sedette di fronte a lui e il ragazzo la guardò,
ringraziandola di quella gentilezza. Elena non era della sua stessa opinione e,
in tutta onestà, la comprese. Con tutto quello che le stava accadendo, non
provava più fiducia nei confronti di nessuno, solo di pochi intimi e tante
volte nemmeno di quelli.
« No, Tyler non devi andartene. Sei il benvenuto in casa
mia. Certo, se lo è ancora e non mi cacciano da qui,» aggiunse la giovane con
un sorriso appena accennato, pieno di sarcasmo e ironia. Elena si avvicinò a
lei e sentì i suoi occhi fissi sulla sua figura. Tyler aggrottò le sopracciglia
folte e scure e la osservò confuso, poi Alaric, seduto a capotavola, il posto
che aveva sempre occupato suo padre, gli chiese quale fosse la differenza tra
essere ammaliati e avere un sire. La sua risposta la turbò, e molto, anche se
non lo diede a vedere agli altri. Era strano sentir parlare in quel modo così
accorato Tyler Lockwood. Sembrava diverso dal ragazzo di cui si era innamorata
tanti anni prima, ma era fermamente convinta che non fosse malvagio, che non
avrebbe esitato a combattere per salvare Mystic Falls. E poi non v’era alcuna
ragione di combattere. Klaus non era un pazzo, non voleva la guerra, o almeno
era quello che lei pensava, e Mikael, qualunque fosse stata la sua decisione,
non sarebbe stato un problema. Era assurdo rimuginare su quei pensieri,
totalmente folle e insensato, proprio come le domande di Alaric ed Elena.
« Non
lo so. Allora mi strapperei il cuore dal petto,»
esclamò esasperato, allargando le braccia e guardando tutti con disappunto.
Nicole sobbalzò e Jeremy lo guardò turbato, sembrava persino dispiaciuto di
averlo invitato lì.
« Adesso smettetela, tutti quanti. State esagerando. Tyler è
un ospite e non mi sembra ci abbiano insegnato a trattere in questo modo così
sgarbato e maleducato le persone che entravano in casa nostra,» esclamò Nicole
incredula e incapace di comprendere quell’atteggiamento, issandosi in piedi per
poter guardare entrambi i fratelli.
« Posso
ancora decidere di mia volontà,» continuò Tyler. Le sembrò
talmente sincero che dissipò ogni suo minimo dubbio. Il telefonino di Jeremy
squillò e il ragazzo si alzò, allontanandosi di poco e volgendo le spalle ai
presenti. Nicole lo guardò, sospirando leggermente. Era tutto così orribile.
Jeremy non poteva essere cambiato così tanto in sua assenza e gli attacchi di
Elena erano troppo duri da affrontare. La famiglia come se la ricordava lei non
esisteva più oramai. Quel pensiero le fece chinare il capo e velare gli occhi
di lacrime. Sentì lo sguardo di Tyler su di sé, era dispiaciuto di vederla
triste e le rivolse un timido sorriso rassicurante. Si sedette ed Elena fece lo
stesso, vedendo tornare suo fratello. Tyler si alzò e si congedò, guardando
soprattutto lei e Jeremy. Subito dopo Elena e Alaric si alzarono, tornando a
cucinare, mentre Nicole aprì il frigo cercando una birra, o qualcosa di forte,
che non riuscì a trovare. Chiuse lo sportello con uno sbuffo annoiato e guardò
verso il tavolo. Jeremy non c’era più. Al suo posto, nel piatto fondo, brillava
il suo anello. Elena se ne accorse un secondo dopo e chiamò il suo nome
sorpresa di non trovarlo più lì.
« Dov’è
andato? » continuò incredula, prendendo il suo anello tra le dita.
« Non è idea,» mormorò Nicole preoccupata. Percepiva
qualcosa di sbagliato, proprio come durante la notte dell’Illuminazione, un
tragedia che stava per accadere dinanzi ai suoi occhi. Però questa volta non
aveva come protagonista un conoscente, bensì suo fratello, il suo piccolo
Jeremy. Seguì velocemente Alaric ed Elena fuori dalla casa e lo vide in strada,
come se stesse attendendo qualcosa, o qualcuno. Solo che era totalmente
insensato. I suoi occhi era fissi dinanzi a sé e non si voltò quando Elena lo
chiamò. Scese le scale del pianerottolo al fianco di Alaric e lo osservò
confusa, poi un barlume di consapevolezza illuminò le sue iridi quando vide
sfrecciare una macchina a tutta velocità verso suo fratello. Notò che i due
stavano correndo, urlandogli di spostarsi. Lei non ne aveva la forza mentre il
battito le si accelerava. Dopo, scossa da una voce, che assomigliava talmente
tanto a quella di nonna Elizabeth da turbarla nel profondo, corse raggiungendo
sua sorella mentre Alaric continuava, scostandolo appena in tempo. Gli salvò la
vita. Un fragore agghiacciante le occupò il campo udito e sgranò gli occhi
chiari, il respiro si fece più corto e accelerato. L’impatto era stato
violentissimo e vide il corpo di Alaric rotolare per molti metri prima di
fermarsi. Trattenne il fiato, sconvolta, e corse verso Jeremy, mentre Elena
verso Alaric. Si inginocchiò al fianco e gli prese il volto tra le mani.
Sembrava ancora più scombussolato di lei. Gli guardò gli occhi. Le iridi
occupavano tutto l’occhio e scosse il capo. Era stavo evidentemente ammaliato. Ma chi avrebbe mai potuto desiderare la
morte del suo fratellino? Chi poteva essere tanto malvagio da fargli del male?
« Stai bene? » domandò con un filo di voce, terrorizzata.
Jeremy annuì e insieme corsero verso Alaric ed Elena. Il professore aveva
l’anello, sarebbe sopravvisuto, fortunatamente. Tirò un sospiro di sollievo.
« Chi
era prima al telefono? » chiese Elena, sfiorandogli la guancia
candida. Jeremy la osservò confuso prima di rispondere, prima di annientare
ogni suo sentimento.
« Era
Klaus.»