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Autore: Angel666    12/05/2012    2 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Quel giorno pioveva. La cappa che ricopriva Los Angeles si stava sciogliendo in un nubifragio violento che aveva notevolmente raffreddato l’aria.
Rumer guardava il lento scivolare delle gocce sul vetro, cullata dal loro rumore monotono.
Aveva impiegato dei giorni per assimilare l’ultima conversazione avuta con il suo rapitore.
Stava per morire, eppure non aveva paura.
Era piuttosto ovvio che suo fratello non avrebbe mai fatto in tempo a salvarla, troppo impegnato a catturare il più famoso serial killer in circolazione, dall’altra parte della città.
Anche chiedere l’aiuto della polizia a fine caso sarebbe stata una sconfitta per lui.
Se Naomi Misora avesse in qualche modo intuito qualcosa, forse avrebbe potuto fermarlo da sola, lasciando suo fratello libero di andare da lei.
Ma Rumer dubitava che un miracolo del genere potesse succedere, nonostante l’intelligenza già provata dall’agente in passato.
Non era mai stata una persona fortunata nella vita.
Certo, finire ammazzata in un magazzino dimenticato nella periferia di Los Angeles andava ben al di là della semplice sfortuna. Ma poteva davvero arrendersi al destino così facilmente?
No. Doveva lottare fino alla fine, era una questione d’orgoglio.
Ryuzaki era uscito presto come al solito quella mattina; sarebbe stata la sua ultima occasione per provare a scappare una volta per tutte.
Si mise a sedere e, dopo parecchi tentativi riuscì a far scivolare le braccia sotto al sedere, portando i polsi legati davanti a lei. La catena che la teneva imprigionata al palo non era molto lunga, ma abbastanza per permetterle di muoversi un po’ dal muro.
Si guardò le braccia segnate dai lividi per le manette: era dimagrita molto in quel mese di prigionia, tanto che gli anelli di metallo le stavano leggermente larghi attorno ai polsi scheletrici. Eppure per quanto tentasse di chiudere a riccio la mano non riusciva liberarsi.
Provò a tirare con forza, per scardinare il palo di ferro dal muro; provò ad allentare gli anelli della catena, il tutto senza successo. La mano era sempre troppo grande per passare attraverso le manette. Decise di non perdere la speranza.
Volse lo sguardo verso la finestra: l’unico modo per scappare era rompere il vetro e scendere dalla scala antincendio.
La pesante porta di ferro era chiusa da un catenaccio e non lo avrebbe mai aperto senza chiave. Guardò la pioggia scivolare sui vetri e, come in trance tornò a fissarsi i polsi. Aveva bisogno di qualcosa che facesse scivolare la pelle attraverso il ferro, smorzando l’attrito; come quando ti si incastra un anello e devi bagnare il dito per tirarlo fuori.
Chiuse gli occhi, presa da una vertigine improvvisa, ma capì che non c’era altro modo per provare a scappare.
Non aveva molto tempo e quella era la sua ultima occasione.
Con il cuore in gola avvicino la bocca al polso destro. Chiuse gli occhi e con tutta la forza che aveva affondò i denti nella carne, lacerandola.
Subito un mugolio le salì su per gola. Il dolore fu talmente lancinante da mozzarle il respiro e piegarla in due.
Il sapore del sangue le riempì presto la bocca, ma lei non si fermò, continuando a recidere a morsi la pelle.
Più in fretta che poté passò anche all’altra mano, prima che la perdita di troppo sangue le facesse perdere i sensi.
Aveva gli occhi annebbiati dalle lacrime, non riuscendo a reprimere i singhiozzi in alcun modo.
Ma non si fermò.
Cercò di impregnare più possibile i polsi con quel liquido scuro, strofinandoli tra loro per renderli sufficientemente scivolosi e, dopo uno sforzo interminabile, con un ultimo strappo riuscì finalmente a liberarsi dalle manette.
Si fermò un momento a riprendere fiato, ma non si aggirò per l’appartamento a cercare delle bende. Doveva scappare il più in fretta possibile.
In quel momento sentì il rumore della catena alla porta che veniva tolta.
No! Non poteva già essere tornato.
Corse nella camera adiacente e afferrò una sedia accanto alla scrivania, dopo di che la tirò con tutta la forza che le era rimasta in corpo contro la finestra, infrangendola.
Il rumore di vetri rotti attirò l’attenzione di Ryuzaki che si precipitò nella stanza, giusto in tempo per vedere la prigioniera fuggire dalla finestra.
Rumer si arrampicò, graffiandosi braccia e gambe coi vetri rotti;  cadendo a carponi sul ripiano della scala arrugginita fuori dal palazzo.
Era finalmente fuori. Libera.
La pioggia la bagnò improvvisamente, mischiandosi alle sue lacrime e al sangue che le aveva macchiato i vestiti, purificandola.
Si alzò barcollando, attenta a non scivolare sul ferro, ma prima di poter scendere anche solo un gradino sentì qualcuno afferrarla da dietro e tapparle la bocca con una mano, per evitare che gridasse e attirasse l’attenzione di qualche passante.
“Che diavolo…” il ringhio di Ryuzaki si bloccò non appena lui vide i suoi polsi. “Cazzo.”
Senza dire una parola la trascinò di corsa all’interno, poggiandola sul letto. “Che diavolo pensavi di fare?” ripeté strattonandola per le spalle. Da un cassettone vicino al letto recuperò bende e disinfettante, e prese a fasciarle immediatamente i polsi.
Rumer provò a dimenarsi, ma la presa di lui era ferrea, mentre lei sentiva la sua forza scemare velocemente.
“No!” urlò disperata “Lasciami… non voglio morire qui.” Singhiozzava senza riuscire a fermarsi.
“Se non blocchiamo l’emorragia morirai comunque, quindi sta ferma!” ringhiò.
“Lasciami andare, ti prego.” Per la seconda volta era quasi riuscita a scappare e si era invece ritrovata al punto di partenza.
Ryuzaki le poggiò due dita sulla carotide per controllare il battito cardiaco, che era notevolmente diminuito, poi tirò le coperte del letto, coprendola per bene. “Non posso permettermi che ti venga uno shock ipovolemico, non ho materiali sufficienti per curarti qui. Hai perso molto sangue ma se riusciamo a fermare il flusso entro pochi minuti dovresti essere fuori pericolo.” Disse con tono professionale.
La sua voce arrivò ovattata alle orecchie della ragazza, come un suono lontano e sconosciuto. Rumer percepì le gocce dei suoi capelli bagnati caderle sulle guancie, come lacrime artificiali.
“Non devi perdere conoscenza fino a che non sono sicuro di aver fermato il sangue.” Disse lui, armeggiando coi suoi polsi.
“La stanza…gira tutta.” Il suo corpo fu scosso da brividi, per la massiccia perdita di sangue; era innaturalmente pallida, la pelle ricoperta di sudore freddo. Aveva completamente perso la sensibilità alle mani.
Percepì distrattamente un forte calore invaderle il petto. Forse Ryuzaki le aveva iniettato un antidolorifico.
“Tu lo sai.” Sussurrò Rumer ad un tratto, guardandolo negli occhi amaranto.
“Che cosa?”
“Sai che non sto per morire.”
Gli occhi del ragazzo si posarono per un istante sulla sua fronte.
“Sei ancora viva solo perché sono dovuto tornare a prendere i documenti sull’indagine da mostrare a Misora nel pomeriggio. Era una cosa già stabilita quindi non è stata alterata la tua durate vitale. Capisci cosa intendo? Saresti morta senza dubbio per strada se non ti avessi trovato in tempo.
Hai pensato al fatto che il tuo corpo è indebolito per la scarsità di cibo e movimento nell’ultimo mese, prima di prenderti a morsi i polsi? Certo che no! E’ questo il tuo problema Rumer: tu attivi il cervello a prendere iniziative solo quando non è necessario. Saresti collassata a meno di due isolati da qui. Con questo tempo poi non c’è nessuno in giro, questa è una zona poco frequentata. Se non fossi dovuto rientrare adesso non so dove saresti.” Sbottò.
“Sarei libera! Che ti importa di salvarmi se tanto devo comunque morire tra due giorni; hai paura che salti il tuo piano?” gemette. Non poteva sopportare che la sua vita dipendesse da colui che voleva togliergliela.
“Tu non sai che cosa farà tuo fratello.” Rispose.
“Tu invece si? E’ per questo che sei tanto sicuro della tua vittoria, perché non morirò?”
Troppe domande e nessuna risposta da parte di Ryuzaki.
Stava lottando con tutta se stessa per rimanere sveglia, ma sentiva la forza fluire via dal suo corpo senza che lei riuscisse a contrastarla. I brividi erano cessati e una calma innaturale si stava impossessando di lei.
“Dimmi perché lo hai fatto.” Disse Ryuzaki, spostandole dolcemente i capelli bagnati dalla fronte.
“Perché io sono come A. Mi è rimasta soltanto questa scelta.”
Non vide gli occhi del ragazzo spalancarsi per la prima volta dalla sorpresa, poiché cadde in un coma profondo.
 
La sensazione del cotone sotto la guancia le fece credere per un momento di trovarsi a casa sua.
Era adagiata in un letto vero, non certo morbido dal momento che sembrava più una branda, eppure dopo così tanti giorni abituata a dormire per terra sembrava il paradiso. Un profumo dolce impregnava le lenzuola: sapeva di muschio con un retrogusto di fragole. Il suo odore.
Rumer si accorse di avere caldo; era adagiata sotto una vecchia coperta polverosa.
Che accidenti ci faceva in un letto?
Aprì gli occhi e puntò lo sguardo al soffitto: era notte fonda e le luci della strada formavano globi ambrati sul soffitto. Aveva smesso di piovere, ma l’odore della terra bagnata entrava dalla finestra rotta rinfrescando l’aria.
Guardò distrattamente le braccia abbandonate sopra le lenzuola, fasciate dalle strette bende che le aveva messo Ryuzaki.
Che diavolo le era venuto in mente?
La smania di scappare le aveva fatto sembrare quell’idea davvero buona, ma a mente fredda capiva di aver sfiorato la morte per un soffio. Grazie a lui.
Provò ad alzarsi, ma si accorse di non averne la forza. Scivolò giù dal letto, cadendo a carponi, e avvertendo come una scossa elettrica nelle braccia. Non aveva ancora riacquistato del tutto la sensibilità; ci sarebbe voluto del tempo per quello.
Ryuzaki apparve subito sull’uscio, la luce lo illuminava da dietro e non riuscì a vederlo in viso.
“Sei recidiva allora.” Disse sarcastico.
“Devo andare in bagno.” Gracchiò.
Provò a trascinarsi sul pavimento, ma lui entrò nella stanza e senza dire una parola la prese in braccio senza sforzo, come una novella sposa, e la accompagnò in bagno.
Rumer rimase stupita dal suo gesto, però non lo diede a vedere, circondando il suo collo con le braccia per non cadere.
Mentre la lasciava in pace, Ryuzaki andò a prendere una maglietta bianca pulita.
Rientrò senza dire una parola, alzandola in piedi con delicatezza e sfilandole il vestito sporco di sangue dalla testa.
La ragazza guardò con interesse quel pezzo di stoffa rossa spiccare tra le mattonelle bianche del pavimento “Quel vestito era destinato a finire nel sangue.” Sussurrò, ripensando a Quarter Queen.
Era completamente nuda, di fronte a Ryuzaki, eppure non provava il minimo imbarazzo.
Si sentiva come un guscio vuoto.
C’è una soglia oltre la quale il pudore perde ogni significato. Lei l’aveva superata da un pezzo nei suoi confronti.
Il ragazzo le alzò piano le braccia e le infilò la maglietta pulita, stando attento a non toccare le bende. Era piuttosto larga, le arrivava a metà coscia, ma era immacolata e questo sembrò rincuorarla. Si guardarono per un lungo istante, in cui Rumer si chiese se l’avrebbe rincatenata al muro della stanza con la telecamera.
“Questa notte dormirai nel mio letto. Non posso rischiare di metterti le manette e riaprire le ferite.” Disse lui, leggendole la mente.
La prese nuovamente in braccio e la riportò in camera.
Rumer trasalì quando lo sentì sdraiarsi accanto a lei. Il materasso non era molto grande, obbligando i due corpi a stare a stretto contatto.
“Hai paura che tenti di nuovo la fuga?” chiese ironica.
“No. Sono semplicemente stanco.” Le sue profonde occhiaie lo confermavano.
Il silenzio calò nuovamente tra loro; erano sdraiati al buio ognuno perso nei propri pensieri, a fissare il soffitto.
Un tempo gli avrebbe chiesto come erano andate le indagini con Misora quel pomeriggio, ma sentiva che quella curiosità apparteneva ad una vita precedente.
“Se solo potessi vedere la morte del mondo…” mormorò Ryuzaki all’improvviso, così piano che Rumer pensò di averlo immaginato.
“Vedere la morte di ognuno non è un po’ la stessa cosa?” chiese.
“Il mondo riesce vivere senza l’uomo, ma non può accadere il contrario.” Rispose lui in modo ovvio.
“Capisco. Ryuzaki…in tutti questi anni c’è mai stato un momento in cui hai pensato che non ne valesse la pena? Rinunciare a tutto per L intendo.”
“No.” Secco, deciso.
La ragazza lo aveva sospettato. In quel momento Ryuzaki le ricordò uno di quei terroristi di cui l’America aveva tanto paura; pronto a morire pur di compiere il proprio atto di fede. Persone così non erano degne di questo nome per lei: erano automi. Proprio come il ragazzo che giaceva nel buio accanto a lei; non esprimevano mai un’emozione, un pensiero superficiale, uno sguardo o una parola fuori posto. Erano maschere di ferro che vivevano alimentate solo dalla propria rabbia cieca.
E lei voleva suscitare in Ryuzaki una qualsiasi emozione che non fosse la rabbia.
Voleva fargli capire che c’era tanto altro nel mondo che valeva la pena di essere vissuto.
Ma sapeva perfettamente che a lui non interessava vivere.
Non gli interessava nulla al di fuori della sua vendetta.
Anche quel giorno, quando le aveva salvato la vita, non lo aveva fatto per lei, ma solo perché se fosse morta avrebbe sconvolto il suo piano.
Parlava tanto di caos quando invece era lui il primo a seguire il programma. Non era diverso da L in questo; anzi erano così uguali che nemmeno Ryuzaki se ne rendeva più conto. Si illudeva di imitarlo soltanto, quando invece l’essenza del detective era impressa a fuoco nella sua anima, come parte integrante di lui.
Rumer fu colta dal freddo a causa della finestra rotta che faceva entrare il vento notturno, rinfrescato dal recente nubifragio.
Si girò su un fianco e strinse il lenzuolo tra le mani, reprimendo un brivido.
Sentì Ryuzaki muoversi nel buio e cingerla con le braccia da dietro, facendo aderire il petto contro la sua schiena, e coprendo entrambi con l’unica coperta.
Rumer si irrigidì di botto, ma si accorse subito dopo che il corpo del ragazzo era incredibilmente caldo, così si accoccolò tra le sue braccia, chiudendo gli occhi.
“In questo momento il tuo cuore sta pompando molto lentamente il sangue, è normale che tu abbia freddo.” Disse lui. Percepì il suo fiato solleticarle la nuca.
“Così però tu morirai di caldo.” In fondo era pur sempre Agosto.
“Sto bene.” Disse atono.
Ryuzaki aveva sempre il potere di confonderla. Se più di una volta le era capitato di pensare che sarebbe morta per mano del ragazzo, in altri momenti restava sconcertata dalla sua delicatezza.
Ad ogni modo aveva rinunciato a comprenderlo; era pur sempre un folle squilibrato.
Provò a rilassarsi al ritmo del suo respiro. Da quanto tempo non dormiva con un uomo?
E lui quante donne aveva avuto nella sua vita?
Con queste assurde domande scivolò in un sonno profondo e senza sogni.
 
 
 
Il calore dei raggi del sole sul viso la risvegliarono lentamente.
Il rumore proveniente dalla strada entrava con forza dalla finestra rotta.
Rumer aprì gli occhi di malavoglia, rendendosi conto di trovarsi sola nel letto. Si concesse un po’ di tempo per stiracchiarsi e riemerse dalla matassa della coperta polverosa, chiedendosi dove fosse finito il suo ‘coinquilino’.
La testa scura e spettinata di Ryuzaki gli apparve ai piedi del letto. Era seduto a terra, con la schiena poggiata al materasso, intento a fissare una mappa sulla parete di fronte.
Senza alzarsi Rumer si rigirò tra le coperte raggiungendolo. Il ragazzo doveva essersi accorto che si era svegliata, ma non disse una parola, intento a leccarsi le dita dalla solita marmellata di fragole.
Rumer si sporse sulla sua spalla e gliene rubò una grossa manciata dal barattolo, ficcandosela in bocca e assaporandola lentamente. Quello era il sapore di Ryuzaki, e lei ormai ne era assuefatta.
“Dovresti mangiare qualcosa di più sostanzioso. Ti ho messo degli integratori di ferro sul comodino.” Disse il ragazzo senza guardarla.
Rumer lo ignorò e si mise a fissare la parete a sua volta.
Los Angeles.
22 Luglio croce rossa sul LAPD.
27 Luglio croce rossa su East L.A.  con accanto le iniziali R.L.
31 Luglio croce rossa su Hollywood B. B.
4 Agosto croce rossa su Downtown. Q. Q.
13 Agosto croce rossa su West L.A. B. B.
22 Agosto croce rossa su Pasadena. B. B.
I volti delle vittime la guardavano sorridenti da qual muro; ma nei loro occhi poté scorgere una velata accusa.
Sospirò: non avrebbe potuto salvarli comunque; e poi anche lei stava rischiando la vita.
“Dimmi Rumer qual è la cosa più difficile da fare quando bisogna uccidere una persona?”
La domanda di Ryuzaki la lasciò interdetta. E lei che ne sapeva? Non aveva mai ucciso nessuno prima, neanche ci aveva mai provato!
“Immagino non lasciare tracce sulla scena del delitto.” Disse dopo un po’.
“Quella è una conseguenza. La cosa più difficile è proprio uccidere. Gli esseri umani sono fatti in modo da non morire facilmente. Infatti sono creature molti più forti di quanto si pensi: a maggior ragione la loro resistenza si fa estrema nel caso sia un altro essere umano a volerli uccidere. Nessuno vuole morire. Chiunque per difendersi probabilmente è disposto ad uccidere.”
Discorso affascinante se non fosse risultato proprio lui il suo futuro assassino.
“Non mi sembra che tu abbia avuto difficoltà con loro. Al massimo con la prima vittima, che era un uomo adulto. Ma una bambina e una ragazza non mi sembrano vittime particolarmente difficili.”
“Non sto parlando di loro, in fondo erano destinati a morire quel giorno. Ucciderli è stato un processo quasi…naturale.” Disse col suo solito tono indifferente “Sto parlando di me.”
Rumer si alzò a sedere di scatto, allontanadosi da lui.
“Cosa?”
“C’è una cosa che non ti ho detto. Io posso vedere la morte di qualsiasi essere umano, ma non posso vedere la mia.”
La ragazza non seppe cosa dire.
“E’ così fin dalla nascita, non so perché.” Fece lui alzando le spalle. “L’istinto di sopravvivenza è qualcosa di assolutamente naturale, che non può essere controllato; perfino nei suicidi si manifesta, anche se in minima parte. Devo trovare un metodo veloce ed efficace. Non avrò molto tempo a disposizione.” Ragionò.
“Sparati un colpo in testa.” Suggerì lei scettica.
“Dimentichi la parte fondamentale del piano: l’ultima vittima non deve essere riconoscibile, altrimenti L risolverà il caso.”
Rumer guardò le foto sulla parete: l’assassino aveva sperimentato sempre morti diverse con le sue vittime.
Strangolamento, lesione e accoltellamento.
In che modo non si poteva rendere riconoscibile un cadavere? Serviva qualcosa che non destasse sospetti alla polizia, oltre che lo rendesse irriconoscibile agli occhi di L.
Le vennero in mente quei film d’azione dove gli assassini dovevano disfarsi in fretta di un corpo.
“Combustione.” Sussurrò.
“Precisamente. Liquidi infiammabili si trovano in tutte le case. Inoltre in questo modo la polizia non potrà stabilire se c’è stato accanimento sul cadavere come negli omicidi predenti. Le impronte digitali verranno cancellate, e si sa che un corpo carbonizzato non è facile da riconoscere. Stavolta non lascerò alcun indizio sulla scena del crimine e il caso verrà dichiarato irrisolto.” Sembrava soddisfatto del suo folle piano.
“Vuoi davvero darti fuoco?” chiese lei con voce strozzata.
“Non è molto diverso da prendersi a morsi i polsi e rischiare di morire dissanguata.” Constatò il ragazzo.
“Io l’ho fatto per sopravvivere, non per morire!” urlò.
“Io lo sto facendo per vincere.” Si voltò di scatto e la inchiodò coi suoi occhi rossi.
Non aveva senso, era terribile anche solo pensarci.
Rumer guardò la sua pelle bianca e liscia, perfetta come una maschera di porcellana. Lo immaginò avvolto dalle fiamme, con le sue iridi cremisi, mentre gridava simile ad un demone risputato dall’inferno.
Avrebbe voluto dirgli di non farlo, ma a che scopo?
Infine abbassò gli occhi sui suoi polsi fasciati, sconfitta.
Avvertì la mano di Ryuzaki sfiorarle delicatamente i capelli “E’ il nostro ultimo giorno insieme, non dovremmo parlare di cose così tristi.” Si alzò in piedi, lasciandola seduta sul letto. “Mi raccomando prendi gli integratori.” Disse amorevolmente prima di uscire dalla stanza.
 
Rumer passò un tempo interminabile avvolta in quella vecchia coperta a fissare la finestra rotta.
Non sarebbe andata da nessuna parte, oramai. Non ne aveva la forza e questo lo sapeva anche Ryuzaki, per questo l’aveva lasciata sola.
Su di lei aveva indiscutibilmente vinto.
La ragazza si sporse e afferrò le pasticche rosse sul comodino, buttandole giù con un sorso d’acqua tiepida.
Si alzò tremolante, accostandosi al cassettone di ferro accanto al letto; aveva intravisto i suoi vestiti sporgere dal primo cassetto.
Ryuzaki doveva averglieli lavati, ma poi non glieli aveva più restituiti.
Prese a fissare i suoi pantaloni neri tra le mani come se fossero appartenuti ad un estraneo.
Era passato un mese.
Strano quanto il tempo risulti relativo in base a come lo si vive. Si sentiva prigioniera da un anno.
Con lentezza studiata iniziò vestirsi; si tolse la maglietta bianca di Ryuzaki e la ripose nel cassetto piegata, sostituendola con la sua più corta e stretta, infilò i pantaloni che nel frattempo le erano diventati leggermente larghi.
Si guardò in giro alla ricerca di uno specchio, ma non ne trovò nessuno appeso alla parete.
Meglio così.
Si avvicinò alla finestra, stando attenta a non calpestare i vetri sul pavimento, e si lasciò scaldare la pelle dal sole di Agosto.
La strada sottostante era un’anonima via tra due casermoni di cemento grigio. Ogni tanto passava una macchia con la musica a tutto volume che usciva dai finestrini abbassati.
Quello, con molta probabilità, era il suo ultimo giorno di vita. Che cosa avrebbe dovuto fare?
Si dice sempre che se un uomo sapesse esattamente quale sarebbe il suo ultimo giorno lo vivrebbe al massimo, facendo tutte le cose che non ha mai potuto fare prima. E lei?
Avrebbe voluto rivedere i suoi amici: Rachel, Ed, Mark e gli altri ragazzi che avevano più o meno lasciato un segno del loro passaggio nella sua vita.
Avrebbe voluto vedere suo fratello e dirgli che in fondo non ce l’aveva davvero con lui.
Sarebbe tanto voluta andare in vacanza in un bel posto di mare come le Maldive, o uno di quei paradisi tropicali che ti fanno vedere nelle pubblicità d’inverno.
Forse le sarebbe semplicemente piaciuto restare sola, seduta a Central Park a mangiare i suoi amati muffin ai mirtilli.
Ma più ci pensava, più si rendeva conto che tutte queste cose non avevano importanza.
Per tutta la vita non aveva fatto altro che scappare di città in città, spezzando legami e non lasciando tracce di sé alle spalle.
Aveva sempre vissuto come le pareva e per questo si era sempre sentita libera.
In realtà si era accorta di essere semplicemente sola.
“A cosa stai pensando?” sentì la voce tranquilla di Ryuzaki dietro le spalle.
“A come si presuppone che una persona debba vivere il suo ultimo giorno di vita.”
“Capisco. Ultimi desideri da esprimere?”
La ragazza rise “Perché tu li esaudiresti?”
“Dipende dal tipo di desiderio.” Rispose pacato.
“Dimmi dei tuoi, in fondo questo è anche il tuo ultimo giorno.”
“Io non ho rimpianti, e sto per compiere il mio ultimo desiderio.”
Si voltò a guardarlo, era poggiato allo stipite della porta, con la sua solita postura curva e le mani in tasca.
Era strano sapere che qualcosa li legava indissolubilmente: stavano per affrontare lo stesso destino, e questo in qualche modo li portava entrambi dalla stessa parte.
Non fecero nulla per tutto il giorno.
Rumer lo passò sdraiata sul letto a guardare fuori dalla finestra, mentre Ryuzaki si chiuse nella stanza adiacente.
Appena dopo il tramonto la raggiunse con il solito barattolo di marmellata di fragole e un cartone di latte.
“Stavo riflettendo su una cosa.” Lo apostrofò la ragazza “Come farai a suicidarti se anche Misora sarà con te sul luogo dell’ultimo delitto? Non avete risolto insieme l’enigma dell’orologio?”
“Infatti. Staremo insieme, ma non controlleremo lo stesso posto. Nel condominio di Pasadena ci sono due appartamenti probabili come scena del crimine: il 1313 e il 404. Entrambi i proprietari hanno le iniziali B. B, e tramite una scusa li abbiamo convinti a passare la giornata in una lussuosa suite.
Uno appartiene a Blues-harp Babysplit, e sarà quello che occuperò io; mentre l’altro è abitato da una certa Blackberry Brown, dove si sistemerà Misora.”
Davvero un colpo di fortuna, pensò Rumer.
“Sei davvero sicuro che il tuo piano funzioni?” insistette dopo un po’ “Insomma ho capito che vuoi inscenare il tuo suicidio come se fosse un omicidio, ma in base al metodo che mi hai spiegato hai necessariamente bisogno di due chiodi per creare una camera chiusa. E ti è rimasta una sola wara ningyo.”
Ryuzaki la fissò a lungo senza dire una parola. Il suo sguardo rosso la stava mettendo davvero a disagio.
“Che c’è?” sbottò esasperata.
“Anche Misora ha insistito parecchio sulle camere chiuse, ma alla fine sono riuscito a convincerla che l’assassino avesse semplicemente usato una copia della chiave. Questo è l’ultimo delitto, dopo di che nulla avrà più importanza, e lei non potrà dimostrare assolutamente niente. Non si può interrogare un cadavere.” Disse lentamente.“Ad ogni modo sono impressionato ancora una volta dalla tua capacità di osservazione. Sei riuscita a capire da sola l’unica falla del mio piano, e senza aver mai visto la scena del crimine. Attraverso i tuoi ragionamenti non solo hai risolto ogni singolo enigma, ma avresti potuto benissimo farmi arrestare. Se sei davvero così dotata, per quale motivo Wammy non ti ha portato con sé all’orfanotrofio?” chiese, più a sé stesso che a lei.
“Ti sbagli Ryuzaki. Io non sono affatto ‘dotata’ come dici. Mi hai fornito tu tutti i dettagli necessari per risolvere il caso! Da sola non avrei capito neppure la metà degli indizi. Mio fratello meritava di andare in quella scuola per piccoli geni, non certo io.”
“L meritava di andare alla Wammy’s  House e tu no…” sussurrò lui in trance.
“Smettila di fare ragionamenti assurdi.” Lo apostrofò la ragazza “Essere intelligenti è molto diverso da essere geniali, lo hai detto anche tu.”
“Forse hai ragione.” Concesse Ryuzaki. “Eppure non riesco a fare a meno di pensare che dietro a questa storia ci sia un motivo diverso. Senza ombra di dubbio non sei allo stesso livello di L, ma il problema non sei tu, bensì lui.”
“Che cosa intendi dire?”
“Che se Wammy ha deciso di separarvi è perché temeva che tu rappresentassi una distrazione per tuo fratello. Sarebbe stato molto più facile controllare e sfruttare un solo bambino, rispetto a due. Nessun legame con la vita passata: questa è la prima regola alla Wammy’s House.”
Rumer rimase in silenzio ad assimilare quella terribile ipotesi.
“Non ha più importanza, ormai.” Sospirò alla fine. “Ci hanno diviso; siamo entrambi cresciuti adesso e nessuno potrà ridarci il tempo che abbiamo passato lontani.”
Non sapeva se sarebbe sopravvissuta il giorno dopo: preoccuparsi sul passato le sembrava un’inutile perdita di tempo.
Mangiarono la marmellata in silenzio, mentre il buio invadeva la stanza, creando un muro tra loro.
Dopo un po’ Ryuzaki  si alzò e si avvicinò alla finestra. La luce dei lampioni illuminava il suo profilo pallido e privo di espressione.
“Se ti ho fatto tutto questo è solo ed esclusivamente perché sei sua sorella. Non ho mai avuto niente di personale nei tuoi confronti, le nostre strade non si sarebbero mai dovute neppure incrociare.
Ti ho osservato così tanto che mi sembra di conoscerti meglio di chiunque altro, eppure non provo niente per te. Non sento alcun rimorso, ma non ti odio neppure. Non cerco il tu perdono, voglio solo che tu capisca che eri l’unico mezzo per fargliela pagare. Soltanto questo.”
Lei non disse nulla, si limitò a stringere le ginocchia al petto e a fissare le fotografie spillate sulla mappa.
“Hanno pagato troppe persone per questa lotta tra di voi. Una vita per una vita: solo A è morto in fondo; perché non ti sei limitato ad uccidere me e basta?”
“Perché sarebbe stato troppo semplice. Io voglio una vittoria schiacciante nei confronti di L, e un solo omicidio sarebbe passato inosservato agli occhi del mondo. Voglio umiliarlo.”
Rumer si alzò di scatto e si diresse in bagno; le mancava improvvisamente l’aria.
Tuffò la testa sotto l’acqua fredda del lavandino, stringendo con forza i bordi di marmo bianco.
Un mezzo.
Non valeva assolutamente nulla.
Anzi sarebbe stata perfino troppo semplice da eliminare.
Sentiva la rabbia premerle nel petto come una bolla d’aria, ma restava incastrata e non riusciva a esplodere. Avrebbe voluto urlare, piangere, reagire in qualche modo; invece ancora una volta si sentiva inutile ed impotente di fronte ad una situazione più grande di lei.
Tornò in camera e si sdraiò rivolta verso il muro, senza aggiungere una parola, proprio come una bambina offesa.
Ryuzaki non disse nulla; si limitò a lasciarla sola e chiudersi nella stanza affianco.
 
 
 

   
 
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