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Autore: LadySherry    13/05/2012    2 recensioni
« Ci sono due cose che ho imparato da quando sono qui. La prima: mai fidarsi degli estranei. La seconda: mai fidarsi di Bill Kaulitz.»
(...)
«Ma tra il bivio del prendere o lasciare, avevo deciso di prendere.»
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17.

 

 

Si può non amare e tuttavia essere amati.

Ma quando le carte vengono scoperte e tutto viene svelato,

chi sarà il primo a deporre le armi?

 

 

 

Mia mamma diceva sempre quando si vuole una cosa non dobbiamo far altro che allungare una mano ed afferrarla. Ma, prima di afferrarla, dobbiamo assicurarci di avere tutte le carte a posto per non finire nei guai.

Il problema del suo sorriso è che non sempre riesce a scatenare in me reazioni positive. Perciò ogni volta che mi irrita vorrei allungare le mani per afferrare il suo collo e ucciderlo.

Ciò che mi frena rimane, appunto, il lato desiderabile che mi impedisce di finire in galera.

Mi alzo dalle sue ginocchia e mi avvicino al ripiano per afferrare la lattina di Coca Cola lasciata lì sopra prima di venire interrotta dalla sua improvvisa apparizione.

Lo guardo di sottecchi per fargli capire che sono pronta a tutto, come sempre. Pronta a sentirmi dire che non sono abbastanza, che sono tutto, che non sono nemmeno un puntino, che non sono niente.

Pronta a sentirmi dire “ehi, sei troppo bella perfino per me”.

Senza togliersi quel dannato sorriso si sistema meglio il cappellino sulla testa. «Ci ho pensato per tutto il tempo che sono stato via. Ogni volta che vedevo spiccare il tuo nome sul mio cellulare era un po' come immaginarti qui adesso. Mi sono sentito un idiota, un cretino. Io non sono mai stato così, Chiara. Io non sono questo. Io non mi innamoro mai».

Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Cosa stai cercando di dirmi?».

Sospira, rassegnato. «Non lo so, ma ho un grande macello in testa».

«Prova a partire dall'inizio, di solito si fa così» lo incoraggio, abbozzando un sorriso.

Scuote la testa, abbassando lo sguardo. «Non mi sento me stesso.»

«Continuo a non capire. Hai degli squilibri di personalità?».

«No, sei tu che mi squilibri. Ti odierei se provassi almeno un briciolo di rancore nei tuoi confronti. Ho almeno un miliardo e mezzo di motivi per farlo, eppure appena parlano di te non riesco a non pensare che vorrei averti accanto a me. Ma poi ripenso a ciò che sono – o almeno, a ciò che ero – e capisco che non potrò mai essere abbastanza. Tu sei fantastica, giuro. Potrei campare altri cent'anni senza pentirmi di aver approvato la tua assunzione, quel giorno. Tutto questo macello non era previsto».

Fa una pausa. Decido di non parlare, visto che continuo a non capire. Non capisco ciò che sta disperatamente cercando di dirmi. Non capisco se prova affetto nei miei confronti, se è ciò che vuole o ciò che non avrebbe mai voluto desiderare.

Non capisco se sono un bene io.

«Se non fosse successo l'episodio delle chitarre, tu...».

«Preferirei non parlarne, Chiara. E' un fatto chiuso e risolto».

«Se lavorassi ancora per te, se fossi ancora l'assistente di David, tutto questo sarebbe mai successo?».

«E' inevitabile, non mi dire che ti stupisce!».

Mi torna in mente la sera in cui David mi cacciò via dal palazzetto, con tanto di lettera del licenziamento e un biglietto aereo per Berlino.

Ricordo che provai rabbia, dolore, disperazione. Ricordo che Tom fu l'unico a credermi, sin dal primo momento.

«Cosa vuoi da me?» chiedo, incrociando le braccia al petto, appoggiandomi al ripiano dietro di me.

Si alza in piedi e mi raggiunge. Sento la stoffa dei suoi jeans solleticare appena le mie caviglie, segno che è vicino, troppo vicino.

Inchioda i suoi occhi ai miei e rimaniamo così per dei secondi che a me appaiono infiniti, senza un limite.

Dio, se mi abbandoni adesso divento laica, penso, mentre tento con tutte le forze di non cedere a quel piccolo contatto.

«Dimmi che la lontananza per te è troppa. Dimmi che non ce la fai a starmi lontana, che vorresti vedermi tutti i giorni, baciarmi, addormentarti con me al tuo fianco nel letto di casa tua. Dimmi che hai bisogno di me e che non mi lascerai mai andare. Dimmi che il mio lavoro ci impedisce di stare insieme e che per questo tutto ciò è sbagliato e fa male a entrambi».

Posa le sue mani sui miei fianchi e sembra non voler assolutamente staccare il contatto tra i nostri occhi. Mango giù il groppone che mi era formato in gola durante il suo discorso.

Come può chiedermi di allontanarlo, di odiarlo, di far finta di niente?

«Non ha senso, perchè dovrei?» mormoro, abbassando lo sguardo, non trovando più la forza di sostenere la sua disperazione negli occhi.

«Perchè stai rendendo tutto dannatamente difficile. Se ti dicessi che mi piaci, che muoio dalla voglia di baciarti, quanto credi cambierebbero le cose?».

Si allontana e inizia a fare avanti e indietro per la cucina. Non credo di averlo mai visto così agitato, ma fa veramente paura, soprattutto perchè è sempre stato bravo a controllarsi, a non rendere partecipi gli altri delle sue emozioni.

Il fatto è che più lo conosco e più mi viene voglia di dirgli “sì” tutta la vita, per qualsiasi cosa.

Se un giorno mi chiamasse e mi dicesse: “Tu da domani porterai le minigonne”, probabilmente andrei al negozio d'abbigliamento in fondo alla via e ne comprerei cinque di colore diverso, giusto per cambiare, anche se non sono esattamente nel mio stile.

Se mi chiedesse di mollare tutto e di partire, probabilmente farei anche quello.

«Cambierebbe abbastanza da far crollare quella specie di muraglia che hai costruito negli ultimi vent'anni della tua vita!» sbotto, uscendo dalla cucina.

Raggiungo camera mia e sbatto la porta, lasciando Tom in mezzo alla cucina con le braccia ancora a mezz'aria.

Mi butto sul letto e copro la faccia con il cucino, soffocando l'urlo che tenta in tutti i modi di uscire dalla mia bocca. La voglia di tornare di là e prenderlo a pugni è tanta, ma sono fermamente convinta che un po' di silenzio – come se no ce ne fosse mai stato abbastanza, tra me e lui – questa volta farà bene a entrambi.

Sono talmente concentrata che cado nel sonno senza nemmeno accorgermene.

 

 

 

Borbotto qualcosa mentre mi giro nel letto sdraiandomi sull'altro fianco.

Noto che le coperto sono state tirate su fino a coprire le mie spalle. Sorrido.

Come posso odiare quel cretino patentato quando mi stupisce con gesti del genere? Dovrò fare due chiacchierate con Giulia, giusto per farle capire che non è così rozzo come sembra. Apro gli occhi e a tentoni cerco la sveglia sul comodino. Le sei e mezza. Ho dormito quattro ore ed è quasi ora di cena, seguendo le mie abitudini.

Scendo dal letto e mi avvio in salotto dove spero di trovare Tom, ma in casa sembra regnare il silenzio assoluto.

«Tom?» provo a chiamarlo, ma non risponde nessuno.

Sbuffando, entro in cucina, trovando poi un foglietto ripiegato sul tavolo della cucina.

Perfetto, come sempre ha trovato il modo migliore per chiudere una conversazione. Non che questo mi stupisca perchè effettivamente è in pieno stile Kaulitz. Almeno è rimasto sé stesso.

Apro il foglietto e le mie labbra si stendono in un automatico sorriso.

Vuoi essere la mia ragazza? Facciamo come alle elementari, barra la casella del o del no”.

Prendo la penna lasciata accanto al messaggio e, senza esitare, barro la casella giusta.

 

 

 

 

 

 

Note: dovevo postarlo domani, ma non ho resistito!

Buona lettura ;)

  
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