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Autore: MariaChiraOtaku    14/05/2012    1 recensioni
Quando scoppiò la Terza Guerra Mondiale nessuno avrebbe potuto prevederne l'esito. Il mondo cambiò volto e i neri divennero sovrani di una nuova realtà. Cassian, ragazzo bianco di genitori neri, vive in Italia e nemmeno nei suoi sogni più folli potrebbe mai immaginare cosa gli succederà.
Complotti, minacce e tradimenti. Cosa si cela dietro una sconfitta?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Dici che è morto? -.
- Ma figurati: i bianche sono molto più resistenti di quello che credi – fu la risposta.
Io aprii gli occhi di botto e sentii i due tipi che parlavano sussultare.
- Che ti avevo detto? – sussurrò lo stesso di prima.
Io mi limitavo ad osservare il soffitto: non ero in un ospedale, questo era certo. Il soffitto era sporco e non ero sicuramente steso su un letto. Inoltre sentivo qualcosa di freddo legarmi i polsi. Abbassai lo sguardo e riconobbi delle manette di ferro. Provai a muovere i piede, ma mi avevano ammanettato anche quelli.
“Bene” pensai “almeno non mi sanguina niente” mi rincuorai, notando di essere a petto nudo. Una grande fasciatura bianca mi copriva il fianco destro, quello colpito, e sentivo la stretta della garza anche sulla gamba sinistra. Girai la testa e vidi, dietro le sbarre, due uomini in divisa azzurra che mi osservavano. Erano due tipi magrolini e con gli occhi scurissimi; uno aveva i capelli lunghi riuniti in una coda di cavallo, l’altro tanti dread  che gli arrivavano alle spalle.
Io alzai una mano per salutare, ma loro non risposero. Non ci feci caso e chiesi loro che giorno fosse e dove fossimo.
- Sei al carcere di Nisida, idiota. – mi rispose uno dei due. Io alzai un sopracciglio – Non lo avevano chiuso dopo la guerra? -.
- Il sindaco lo ha riaperto tre anni fa: ora è un istituto di custodia cautelare  – mi informò l’altro, quello con i dread. Il secondo sembrava più gentile così decisi di rivolgermi a lui.
- Vuol dire che ancora non ci hanno processati? -.
- Esatto, la vostra udienza è tra due settimane; fino ad allora resterete qui -. Io annuii, sollevato almeno in parte: non ero pronto a sapere quanto tempo avrei dovuto passare in carcere.
– Che giorno è, oggi? – domandai - Io ricordo che, prima di svenire, era Mercoledì, se non sbaglio…? -.
- Oggi è Venerdì – mi disse lui, senza far caso all’occhiataccia rivoltagli dal compagno – sei stato svenuto tutta la giornata di ieri, ma è comprensibile: ti hanno dovuto operare per togliere i proiettili -.
- E i miei compagni? – gli chiesi, preoccupato.
- Il ragazzo aggressivo – continuò, riferendosi a Tommy – è stato operato poco dopo di te e l’altra ragazza… quella dalla pelle leggermente scura… -
- Laila! – consigliai io.
Lui fece spallucce – Se è così che si chiama… comunque, lei sta benone, diciamo che il proiettile l’ha solo presa di striscio -.
- E le altre due ragazze…? -.
- La piccolina non ha problemi, anzi: è stato un casino riuscire a metterla in cella! Continuava a scappare di qua e di là tanto che alla fine l’abbiamo sedata, per farla stare buona. Quella mora sta bene, non è stata ferita, sembra solo leggermente sotto shock -. Io strinsi i denti – Anche lei è qui? -.
- Certo – si intromise l’altro – tutti i tuoi amichetti sono qui! Però le ragazze le abbiamo messe in una zona a parte -.
- Devo vederli… - mormorai.
- Ah, sentilo! – urlò quello dai capelli lunghi – continua a sperare, carino! non riuscirai mai e dico mai a parlare con loro! -.
- Non è esatto – puntualizzò l’altro. Sentivo che la mia simpatia per quell’uomo stava crescendo sempre di più – durante la pausa pranzo non avremo altra scelta che farli incontrare, per non parlare del tempo che passeranno fuori dalle celle. Questo non è un carcere di detenzione: potrai vedere i tuoi amici tutto il giorno. Ma alle dieci scatta il coprifuoco -.
Io sorrisi, rincuorato – Grazie…! -.
Lui sorrise poi si fece più serio – Ti faccio un quadro della situazione: per ora resterete qui. Il carcere è dotato di cento celle. I detenuti, oltre voi, sono venti. Il carcere è dotato di due sale mensa, un cortile, un infermeria e dieci stanze da letto per i poliziotti. L’esterno è composto da un cortile. Le recensioni sono elettriche e ci sono poliziotti ad ogni entrata. Al primo piano ci sono le celle per i maschi al secondo quelle per le donne. Come puoi vedere – ed indicò la mia cella. Io osservai meglio e notai un bagno fatto interamente d’acciaio – qui tutto è in acciaio inox. Misura sei piedi per otto e le pareti sono in mattone. Hai a disposizione, come vedi, due mensole e il tuo letto -. Io osservai le mensole, che in realtà consistevano in due piani di ferro rigido inchiodati alla parete. Il letto era di acciaio e il materasso sottile e duro. La coperta di pail. Mi alzi dal letto lentamente e sentii un dolore al fianco destro, che ignorai. Mi alzi piano e poggia le mani alle mensole per mantenere l’equilibrio con la gamba fasciata.
- Che ore sono? – chiesi, accorgendomi di avere fame.
- Le nove e trenta – mi disse quello dai capelli lunghi – è ora della colazione -. Così dicendo prese un mazzo di chiavi e mi aprì. Io feci un passo verso la porta e mi tenni alle sbarre per non cadere. Il poliziotto mi smanettò i piedi. Intanto l’altro mi diede un maglietta nera. Mi smanettarono un attimo le mani per lasciarmi mettere la maglia. Poi si mise dietro di me e mi fece uscire. Mi ammanettò le mani dietro la schiena e mi costrinse fuori la cella.
Io osservai la struttura. C’erano due piani, più il piano terra. I piani erano quadrati e ad ogni angolo c’era una scala di ferro. le telecamere controllavano ogni cella e il soffitto della struttura era di vetro. La luce proveniva dall’alto e si sentiva il suono di molte celle che venivano aperte. Il poliziotto mi spinse verso le scale e mi fece scendere al piano terra. Il pavimento era di cemento. C’erano quattro sale che si aprivano ad ogni lato. Alla mia destra c’era l’uscita, protetta da tre poliziotti e un cane. Alla mia sinistra la mensa. Il poliziotto mi guidò verso la mensa e io sfruttai l’occasione per lanciare uno sguardo alle altre due stanze. Una, a destra, dava sul cortile che, a sua volta, affacciava sul mare. Quella a sinistra si apriva in un lungo corridoio dove, probabilmente c’erano le stanze dei poliziotti e l’infermeria.
Arrivammo in mensa e incrociammo molti altri poliziotti che portavano i rispettivi detenuti. La mensa era enorme: uno stanzone illuminato da lampade bianche appese al soffitto. C’erano cinque tavoli lunghi e un bancone per il cibo. I detenuti prendevano il cibo al bancone, offerto loro da una cuoca grassa e si andavano docilmente a sedere. Il poliziotto mi tolse le manette e io mi massaggia i polsi. La gamba mi faceva male, ma ero troppo occupato a osservare la stanza: Bianca era lì, da qualche parte.
- Bene – mi disse il poliziotto con i dread – noi ti lasciamo. Mi raccomando: resta tranquillo e non avrai problemi -. Io annuii e sorrisi. Lui mi diede una pacca sulla spalla e si allontanò, insieme all’altro.
Io sospirai e abbassai gli occhi. Non ci voleva proprio la prigione. Mi appoggiai al muro e sentii una stretta al cuore. Chissà dov’era Bianca? E Tommy? Stavano bene? Dovevo trovarli!
Iniziai a camminare per la stanza, evitando i vari detenuti e poliziotti. Osservai con attenzione i tavoli e poi la vidi. Era seduta in un tavolo in fondo alla stanza, con un vassoio vuoto davanti.
Io corsi da lei con il cuore in gola. La chiamai e lei alzò gli occhi. Per un attimo rimasi stupito nel vedere tanta tristezza nei suoi occhi, ma poi una scintilla le illuminò lo sguardo.
Bianca si alzò in piedi e mi sorrise. Io la presi tra le braccia, ignorando il dolore al fianco e alla gamba, ignorando gli sguardi degli altri detenuti, ignorando la fame, ignorando il mondo.
Lei mi baciò il collo e mi strinse forte.
- Hai visto gli altri? – le chiesi, lasciandola andare. Lei scosse il capo. Era leggermente bianca e aveva grandi borse sotto gli occhi. Io le carezzai il volto – Non hai dormito molto in questi giorni, vero? –
Lei scosse il capo – No, sto bene. Solo che la tua operazione mi ha un po’ messo in agitazione per non parlare dell’arrivo nel carcere… -. Si zittì di colpo e abbassò gli occhi. – Non ci credo che siamo finiti in galera… -.
Io sospirai – Lo so – poi le alzai il volto – però non ci hanno ancora processati! Vedrai, andrà tutto bene! -.
Lei sorrise, ma le mie parole non avevano convinto neanche me. non sapendo come farla stare meglio la baciai. Baciare Bianca era una cosa… bellissima. Lei rispose al bacio e sentii che, in quel momento, anche quella squallida mensa era il posto più bello del mondo.
- Scusate il disturbo – si intromise una voce famigliare – ma non mi sembra il momento per amoreggiare! -.
Io mi staccai da Bianca e mi volti di scatto. Tommy, Paula e Laila ci osservavano divertiti.
- Tommy, non avresti dovuto interromperli – lo rimproverò Paula.
- Ma dai – rispose lui – se non fossi arrivato io va a capire quando si sarebbero fermati -.
Bianca arrossì e sbuffò. Io sorrisi e li osservai. Anche se non sembrava a un primo sguardo, tutti e tre erano molto stanchi. Tommy aveva gli occhi tristi e, anche se cercava di non mostrarlo, era avvilito. Laila, invece, si limitava a tenere lo sguardo basso.
Paula, invece, era bianca come un lenzuolo. Il suo fisico minuto non aveva retto allo stress di quei giorni ed era incredibilmente magra.
- Che ne dite di mangiare – disse Tommy, per spezzare il silenzio.
- Dite che è commestibile quello che servono qui? – chiesi io alleggerendo l’atmosfera.
- Non lo, ma spero tanto di si – mormorò Tommy – non ci vedo più dalla fame! -.
Io sorrisi ma la tristezza era ancora nell’aria. Sospirai e osservai i miei compagni. Sapevamo che la galera sarebbe diventata la nostra nuova realtà.
E, forse, avevano tutti smesso di sperare si potersi salvare da una simile realtà.

  
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