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Autore: phoenix_esmeralda    17/05/2012    2 recensioni
"L’odio è freddo come brina che ti avviluppa, lascia insensibile tutto ciò che tocca. È affilato come ghiaccio e come il ghiaccio è tagliente. Ma l’odio gli permetteva di ricordare che un’ingiustizia era in atto, che lui era destinato ad altro, che un uomo non può trasformarsi in animale, in oggetto, neppure volendolo. Neppure non avendo scelta. L’odio, ferendolo con il suo gelo acuminato, gli diceva che la sua condizione era innaturale e che lui stava solo fingendo di non avere una testa, di non avere una dignità."
PRIMA CLASSIFICATA al contest "Un pizzico di drammaticità, introspezione, nonsense e sovrannaturale" di Sherry Dmp ; Seconda classificata al contest "Libera la fantasia che c'è in te" di ButnowImfeelinggod. Premio Speciale Miglior Personaggio Femminile
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Marchi di calore

 
Così ora attende, immobile e silenzioso, concentrando la sua attenzione su tutto quello che può allontanare i pensieri dal dolore. Le gocce di sangue però, hanno smesso di colare sulla sua schiena e lui non trova altri diversivi all’ansia ossessiva di quello che lo aspetta.
Ha deciso che la tratterà come lei tratta lui. Non la guarderà in faccia, non darà segno di considerare le sue parole. Così come lui per lei sarà un oggetto, lo stesso lei sarà per lui.
Quando entrano nella stanza, lui ha gli occhi chiusi. Non li apre, perché non vuole degnare della minima considerazione la principessa di Saridan. E poi non gli è rimasta quasi la forza di respirare, tenere le palpebre chiuse è molto più semplice. Più semplice di vedere lo sguardo di scherno che la principessa rivolge al principe nemico sconfitto.
Tuttavia, anche se a occhi chiusi, non può ignorare la presenza delle persone intorno a lui. Quante sono? Più di una, più di due...
Avverte un sospiro, quasi un gemito. Poi la voce del suo carceriere. - “Siamo stati costretti a renderlo innocuo, non riusciva ad accettare di essere acquistato da voi” - C’era derisione in quella frase. L’aveva morso e quello era il momento della vendetta.
- “Vedo che non vi siete risparmiati. Va bene, potete andare, e anche tu Shalamanka.”
- “Principessa, non sono davvero sicuro che...”
- “Erano questi i patti. Prima di accettare come scorter un principe di Verathan, desidero valutarlo personalmente”
- “Lo so signora e so che avete avuto il permesso di vostro padre, ma il re, se mi permettete, non conosce bene questi luoghi, né la pericolosità di uno schiavo inselvatichito. Andarmene lasciandovi qui è più di quanto il mio animo possa reggere!”
Lei scoppia a ridere. Ha una risata cristallina, quasi infantile e lui la odia. Solo una figlia di Saridan può ridere di fronte all’orrore di un uomo massacrato.
- “Avanti Shalamanka, il tuo animo è più forte di quanto tu immagini. E non sarò sola, ci sono qui mio cugino Laish e il suo scorter, credi che non siano una protezione sufficiente?”
- “La principessa ha ragione” – interviene un’altra voce maschile – “ Io e Yulien veglieremo su Milanda ogni istante. Domani saremo a palazzo con il nuovo schiavo, docile e domato. Lasciateci pure con tranquillità, Shalamanka”
Schiavo docile e domato.
Se gli fosse rimasta saliva in bocca, avrebbe sputato in faccia a quello sciocco selvaggio!
La porta si apre e intuisce che quel tale Shalamanka è uscito assieme al suo carceriere.
Il silenzio cala nella stanza. È tentato di aprire gli occhi e scoprire cosa sta succedendo, ma la vergogna di affrontare lo sguardo della principessa lo spinge a rimandare ancora l’inevitabile. Rifiutandosi di guardarla gli pare quasi di diventare invisibile, come se anche lei, di conseguenza, non possa vederlo.
Poi sente la voce di lei, in un bisbiglio.
- “Laish, è peggio di quanto credessi.”
- “Lo so. Lo temevo.” – il ragazzo sospira – “La carrozza di Shalamanka si è allontanata. Yulien, vai a preparare il carro.”
Di nuovo la porta si apre, passi che si allontanano.
- “Pensa tu ai lacci,  io sono troppo bassa per arrivarci”
Un corpo caldo gli si avvicina, lui si irrigidisce istintivamente. Sente il rumore della lama sulle corde e poi all’improvviso la tensione si spezza e lui si affloscia a terra come un sacco morto. Non ha la forza di salvarsi dalla caduta, poiché le sue gambe non lo reggono più da giorni.
Rimane immobile, accasciato sul pavimento freddo e sa che non potrà ancora ignorare per molto la verità. Vorranno valutarlo e lui non potrà farci niente. Strangolerebbe la principessa, ma non ha la forza neppure di sollevare un braccio. È rimasto legato in quella posizione da così tanto tempo, che gli sembra di non possedere più gli arti superiori.
Qualcuno gli si avvicina, gli sposta i capelli dal viso.
- “Laish...hai visto le sue labbra?”
- “È completamente disidratato!” – un po’ di trambusto – “Ecco, prendi questa”
E succede qualcosa di inaspettato. Metallo freddo gli apre le labbra inondandogli la bocca di acqua fresca. La gola arida sussulta sotto quella benedizione improvvisa.
Poi la borraccia si allontana e lui, istintivamente, l’afferra con una mano, perché ha bisogno di bere ancora, e ancora, e ancora...  La borraccia resta docilmente fra le sue dita, perché nessuno gliela strappa sadicamente, ridendo dei suoi tormenti. La porta alla bocca e beve ancora.
- “Fate piano” – dice la voce – “Dovete bere poco alla volta, oppure rigetterete tutta l’acqua”.
Allora apre gli occhi.
Incontra un viso pallido, punteggiato di lentiggini. Occhi verdi lo stanno scrutando, occhi verde scuro enormi, in un viso minuto e smunto.
Poi abbassa lo sguardo e si rende conto che è successo davvero. Si trova davanti alla principessa di Saridan, la sua mortale nemica, ed è inerme, senza forze, ferito e nudo come un verme. Le ha  strappato di mano la borraccia, perché non sa più sopportare tutta quella sete.
L’umiliazione per un istante gli spezza il respiro, poi arriva l’ondata d’odio e travolge ogni altra emozione. La borraccia cade a terra, stringe i pugni con tutta la poca forza che gli resta e butta fuori la voce, rotta da giorni di sete.
- “Io vi ucciderò. Ve lo giuro! Se oserete portarmi con voi a palazzo, se oserete tenermi schiavo nelle vostre luride stanze, io vivrò solo per assassinarvi! Vi detesto, detesto ogni abitante di questa maledetta terra e se non mi ammazzate in questo momento, arriverà il giorno in cui ve ne pentirete!”
Lo sguardo verde non si adombra, rimane fisso sul suo viso.
“Vi credo, principe. I vostri occhi azzurri sono trasparenti come acqua, posso leggere i vostri sentimenti con chiarezza.”
La porta si riapre, vede entrare un uomo sulla quarantina. Ha capelli castani lunghi fino alla vita, occhi leggermente allungati.
- “È tutto pronto” – dice – “Possiamo andare”
La principessa annuisce, poi si leva il mantello e lo avvolge sul corpo freddo del prigioniero. Lui rimane disorientato. Sono mesi che non possiede un abito e il mantello è soffice e caldo sulla sua pelle.
- “Lascia fare a noi, Milanda”
Quello che deve essere il cugino Laish si china su di lui. È alto, biondino, snello. Lui e il suo scorter lo sollevano e lo costringono a camminare verso l’uscita. Non ha la forza di ribellarsi e lascia che lo trasportino attraverso i corridoi e poi fuori, finalmente, da quel luogo che per mesi è stato teatro di atroci sofferenze.
Lo caricano su un carro e  partono.
Steso sulla schiena, osserva il cielo correre sopra ai suoi occhi. Sono mesi che non respira aria pulita, che non sente il sole sulla pelle. Poi il corvo taglia l’azzurro del cielo e all’improvviso si rende conto di avere una speranza.
Quello è il suo corvo, è ancora lì nonostante siano trascorsi mesi, pronto a portare un messaggio ai suoi alleati.  Possono esserci ancora salvezza e vendetta.
 
Quando raggiungono il limitare di un bosco lo fanno scendere. Lo scorter se ne va con il carro, dicendo che si allontanerà il più possibile per cancellare ogni pista. Laish invece lo prende in spalla, perché lui  non è in grado di muoversi e si addentra nella foresta assieme alla principessa.
Non comprende cosa stia succedendo, ma non ha la forza di farsi domande. Ogni residuo di energia deve essere impiegato per la salvezza e per la vendetta.
Camminano a lungo, quando si fermano è il crepuscolo. Si trovano nel fitto del bosco e lui non può nascondere la sorpresa quando si accorge di un rifugio costruito in cima a un enorme albero. Sembra una vera e propria casa, appoggiata a un ramo solido e gigantesco. Laish si arrampica e fa calare una scaletta di corda, poi torna per portarlo in cima. L’interno della casa è sorprendente, ci sono un tavolo e delle sedie, una credenza ricolma di oggetti e un materasso ampio gettato a terra.
Non sa cosa pensare, ma ha smesso da mesi di fare domande perché uno schiavo non ha diritto a risposte.
Lo appoggiano sul letto e lui rimane seduto immobile, in attesa. Quel viaggio l’ha sfiancato.
Passa un po’ di tempo, Milanda e Laish sono scesi a terra, capisce che hanno acceso un fuoco. Quando lei arriva, tiene in mano una bacinella d’acqua calda e uno straccio.
Si inginocchia dietro di lui e abbassa il mantello. Lui è rigido di tensione, non sa cosa stia per succedere. Ma Milanda intinge lo straccio in acqua calda e sapone e inizia a strofinargli delicatamente le spalle.
- “Avete bisogno di lavarvi, il vostro corpo è gelato” – dice lei e lui si accorge che ha ragione. Solo a contatto con l’acqua calda si rende conto della sua temperatura spaventosamente bassa.
Chiude gli occhi e si chiede cosa stia succedendo. Sa che ci sono cose che stonano, che hanno dell’inspiegabile. La principessa lo guarda in faccia e gli parla. Lo sta lavando con le sue stesse mani. E si trova con lui nella casa sull’albero di un bosco enorme.
Milanda gli pulisce la schiena martoriata con delicatezza e lui si sforza di non gemere di dolore. Poi lei gli gira intorno e gli lava il viso, il petto, i fianchi. Quando arriva all’ombelico, lui si irrigidisce, ricordando le umiliazioni nella casa delle valutazioni. Ma lei si alza e gli chiede di avvicinarsi alla bacinella.
- “Vi aiuterò a lavarvi i capelli”.
Lui oggi non ha la forza di ribellarsi a niente. Non aveva energie quando stava appeso nella stanza ore prima, dopo quel lungo viaggio non ha più neppure pensieri.
Si lascia lavare i capelli e lei lo fa con tocco gentile.
- “I vostri capelli sono nerissimi”- commenta lei – “E la vostra pelle è olivastra. Qui a Saridan abbiamo colori molto più chiari.”
Lui non risponde, ma beve quelle parole e le accantona in un angolo di mente. Sa che più tardi gli frulleranno in testa, perché hanno qualcosa di miracoloso.
Lei gli pettina i capelli umidi e poi gli lascia in mano la spugna.
- “Ecco, lavatevi  il resto del corpo, ora vi porto abiti puliti”
E lo fa davvero. Ha appena finito di sciacquarsi che lei arriva con vestiti maschili di buona manifattura e glieli porge. Ma non è solo quello. Quando lui si è vestito, lei, che era scesa accanto al fuoco, torna con due piatti di minestra e uno glielo lascia fra le mani. Gli raccomanda di mangiare lentamente, perché il suo corpo è disabituato al cibo.
Il profumo gli fa girare la testa, ma si controlla e mangia con lentezza esasperante. Sa che lei ha ragione riguardo al suo stomaco, ma soprattutto sa di non volersi umiliare mangiando come una bestia davanti a lei. Eppure, mentre si porta il cucchiaio alle labbra, il suo braccio trema. Il sapore del cibo gli toglie quasi i sensi.
- “ Principe, non so ancora il vostro nome.”
Lui alza lo sguardo di scatto e la osserva davvero per la prima volta.
Piccola e minuta, con quel visino contornato da una massa di ricciolini fini rossi tenuti a bada da mille forcine. Occhi di un verde scuro liquido, incandescente, troppo grandi per quel viso. Lentiggini ovunque.
 - “Siete una bambina.” – dice lui, sorpreso.
- “Non credo di essere  tanto più giovane di voi.”
- “Ho quasi diciannove anni.”
- “Io ne ho quindici e mezzo. Vedete che fra noi ci sono sì e no tre anni!”
Lui sbatte le palpebre. Fa fatica a distogliere lo sguardo da quegli occhi. Quindici anni e mezzo sono pochi,  ma quegli occhi verdi non sono quelli di una bambina.
- “Come devo chiamarvi?” – domanda ancora lei.
È tentato di ostinarsi e non rispondere, ma sono mesi che nessuno pronuncia il suo nome. Si sorprende all’improvviso di averne uno.
Apre bocca e il suono esce, familiare e stonato allo stesso tempo – “Axel”.
Lei annuisce.
- “Axel, sarò chiara. Siete palesemente denutrito e disidratato e la temperatura del vostro corpo è troppo bassa. La vostra muscolatura è buona, ma è evidente che da troppo tempo non fate sufficiente esercizio fisico. Mi stupisce che non vi siate ancora gravemente ammalato.”
Quelle parole lo fanno infuriare.
- “State dicendo che non valgo tutti i soldi che avete speso per me?” – sbotta, sarcastico – “Sono un acquisto deludente, principessa?”
Neanche stavolta però, riesce a scomporre  il suo sguardo.
- “Sto dicendo che dovete avere riguardo di voi e che non dovete tentare colpi di testa finché non avrete recuperato le forze. Chiamate il vostro corvo se volete e mandate un messaggio ai vostri amici. Sono certa che vi stiano aspettando per delineare con voi la linea d’attacco per rimettervi sul trono.”
Vedendo che lei sa del corvo, Axel è disorientato. Ma lei si alza in piedi e fa un cenno verso la finestra. Il corvo è appoggiato su un ramo poco distante, quando si sente osservato, si alza in volo e lo raggiunge.  Sorpreso, Axel si vede porgere carta e penna.
- “Cosa intendete fare?” – ribatte – “Volete catturare i miei alleati? Pensate che li farei cadere nella vostra trappola?”
- “Non ho interesse per i vostri alleati” – risponde lei e anche se lui non le crede, non può fare a meno di sentirsi attratto ancora una volta dai suoi occhi verdi – “Scrivete ciò che volete, il vostro corvo arriverà a loro e li porterà qui.”
Axel scuote le spalle, confuso da quell’atteggiamento. Qualunque cosa ci sia sotto, quella è un’occasione che non può perdere.
Afferra la biro e scrive:
 
“Sono stato venduto al re di Saridan, ora mi trovo in un rifugio nel folto di una foresta. Seguendo il corvo mi troverete. Portate con voi armi e corde, sono con la principessa di Saridan, decideremo sul momento se catturarla oppure ucciderla.”
 
Affigge in calce la sua firma, poi consegna il biglietto al corvo e lo osserva volare fuori dalla finestra.  La principessa non bada a lui, disinteressata a qualunque messaggio abbia scritto.
Non gli era parsa tanto stupida, ma evidentemente la è.
Laish entra nel rifugio.
- “Dormirò fuori, facendo la guardia. Sarò fuori portata d’orecchio, per cui se tu avessi bisogno non ti sentirò. Dovremo legarlo”
- “Non è necessario, è così debole!”
- “Milanda, lui non ha altri pensieri che ucciderti! Riesci a immaginare cosa possa provare nei tuoi confronti?”
- “Lo so, ma è rimasto legato talmente tanto a lungo... ha i polsi scorticati, la schiena devastata! Non possiamo lasciarlo riposare in pace?”
- “Non a costo della tua vita!”
Laish gli si avvicina e gli lega i polsi uno contro l’altro. La carne infiammata brucia, ma se non altro non ha le braccia dietro la schiena.
Il giovane afferra una coperta ed esce. Axel si ritrova a fissare Milanda, rimasta in sottoveste per la notte.
- “Avete sete?” – gli chiede.
Lui non risponde, ma lei capisce comunque. Gli avvicina una tazza alle labbra e lui beve, ma l’acqua gli va per traverso e si ritrova a tossire. Cerca di pulirsi la bocca con le mani legate, ma è davvero umiliante. Milanda lo osserva in silenzio, poi getta uno sguardo fuori dalla finestra e si alza. Ormai la stanza è illuminata solo dalle candele accese e Axel non comprende subito che lei stringe fra le mani un coltello.
Gli libera le mani e gli consegna un’altra tazza colma d’acqua.
- “Il materasso è vostro” – gli dice – “Sono mesi che non dormite su un letto e anche se questo giaciglio lascia a desiderare, sono certa che lo apprezzerete ben più di me”.
Sorpreso, Axel la osserva coricarsi poco più in là, sopra a una coperta stesa sul pavimento. Beve lentamente, richiamando la lucidità necessaria a capire cosa stia succedendo. Ma la lucidità non arriva.
Per la prima volta da mesi è pulito, caldo e coperto. Indossa abiti, ha la gola bagnata e qualcosa nello stomaco. Si stende sul materasso e la sua comodità lo fa quasi piangere di commozione. Il torpore lo assale all’improvviso e anche se le sue mani libere prudono per il desiderio di uccidere la principessa di Saridan, il resto del suo corpo sprofonda nell’oblio... Un oblio meraviglioso, che assomiglia al piacere puro. Axel si rassegna e si lascia andare.
 
Al risveglio non c’è nessuno che lo prende a calci su un pavimento duro, non c’è nessuna frusta, non ci sono corde. Ha dormito così tanto, che il sole è già alto nel cielo. Indossa ancora i vestiti della sera prima, il materasso è morbido, le coperte calde e accanto al letto qualcuno ha lasciato acqua e pane. E nessuno lo sta sorvegliando.
Axel sa che non è necessario finché ha quel marchio sulla spalla, uno schiavo che gira da solo, senza un permesso scritto dal padrone, viene immediatamente fermato e riportato al mittente.
Eppure questa improvvisa libertà lo lascia smarrito.
Mangia e beve, si lava il viso nel catino e poi si affaccia alla porta della casa. Sotto di lui il fuoco è ancora acceso e Laish sta facendo colazione. O forse sta pranzando, considerata la posizione del sole.
Laish alza la testa verso di lui e gli fa cenno di scendere.
- “Venite, volete un po’ di zuppa?”
Axel scende cautamente, rendendosi conto di aver recuperato parte delle sue forze. Accetta la zuppa e siede in silenzio vicino al fuoco.
- “Milanda mi ha dato il cambio, sta sorvegliando la zona” – gli spiega il giovane – “E se avete voglia di godere dell’aria aperta, io prenderei volentieri il vostro posto sul materasso “ – lancia un’occhiata ai suoi polsi liberi – “Immagino che se non ci avete uccisi stanotte, non lo farete nemmeno oggi. E non ne avreste convenienza, finché avete quel marchio sulla spalla.”
Axel sorride amaramente.
- “Non ne avrei convenienza? Avrei tolto di mezzo due eredi al trono di Saridan, vi sembra poco?”
- “Mi sembra molto poco in effetti, di fronte alla prospettiva di tornare libero e riappropriarsi del proprio regno.”
- “Ma questo non può accadere.”
Laish lo fissa in silenzio, i suoi occhi verdi sono molto simili a quelli della cugina.
- “Axel... è questo il vostro nome, vero? Prestatemi ascolto, voi non siete nostro prigioniero. Se preferite, potete andarvene in qualunque momento.”
- “Non prendetemi in giro, signore. Non ho sufficienti forze per stare allo scherzo.”
- “Chiamate  questo uno scherzo?” – dice lui stupito, guardandosi intorno – “Vi siete domandato perché ci troviamo in un bosco e non al palazzo reale?”
Axel non risponde.
- “Quando mia cugina si è resa conto che fra gli aspiranti scorter c’era anche un principe di Verathan, non ha più avuto pace. Non poteva tollerare che umiliassero a tal punto un essere umano e ha accettato solo per aiutarvi che il re vi acquistasse. Ha chiesto a me e a Yulien di assecondarla nel suo piano, costruendo questo rifugio in cui nasconderci dagli uomini di suo padre. Il re e Shalamanka ci aspettano a palazzo entro stasera, quando non ci vedranno arrivare scoppierà un putiferio. Avete idea dei guai che passerà Milanda, quando sapranno che ha lasciato scappare un principe di Verathan? Suo padre non vedeva l’ora di avervi con lui per sfogare su di voi l’ira che nutre verso il vostro popolo. Mia cugina non passerà dei momenti buoni, di ritorno a palazzo. Per cui vedete... non abbiamo affatto voglia di scherzare.”
Axel scuote la testa frastornato, i suoi occhi azzurri si fissano taglienti su Laish.
- “Vi renderete conto che è difficile credervi, spero.”
Laish scrolla le spalle.
- Avete guardato in faccia mia cugina, principe? Forse sono ingenuo, ma credo che non ci sia assicurazione migliore.” – si alza in piedi scuotendo l’erba dai pantaloni – “Vado a dormire un po’. Vi consiglio di non sprecare tempo a tentare fughe rovinose, sarà Milanda stessa a darvi una libertà più sicura. Se fossi in voi approfitterei di questa giornata per mangiare, passeggiare sotto il sole e riposarvi. Avrete bisogno di energie per riappropriarvi del vostro trono.”
Così dicendo, Laish sale la scaletta ed entra nel rifugio. Non si ferma neppure un istante a controllare le intenzioni di Axel.
Lui, dal canto suo, approfitta del consiglio che gli è stato dato. È inutile tentare la fuga spostandosi dal luogo dove il suo corvo l’ha visto l’ultima volta. I suoi compagni sono l’unica speranza di un’evasione efficace.
In quanto alle parole di Laish, non ci vuole pensare. Le illusioni non fanno più parte del suo campo visivo, Axel crede solo a ciò che ha di fronte agli occhi.
Crede alle ferite sulla pelle, al sorriso perverso di chi gode nel vederlo sottomesso, alle dolorose contorsioni del suo stomaco vuoto. Le parole sono solo parole. Lui stesso ne ha pronunciate tante e non erano che aria che spostava altra aria. “Non farò nulla di ciò che mi chiederete, se non riceverò un po’ di rispetto” 
Axel potrebbe ridere, ripensando alla vanità del suo parlare.
Tuttavia, quando dopo una passeggiata sotto il sole si stende a riposare sull’erba e assapora il piacere di quell’istante, non può fermare i pensieri che dal giorno prima bussano alla soglia della sua coscienza. Li ha tenuti lì, immobili, temendo e assaporando il momento di prenderli in considerazione e adesso che apre uno spiraglio nella loro direzione, gli scappano di mano come sabbia nel vento, avvolgendo tutto ciò che lo circonda.
 
E adesso non può più negare a se stesso  quello che è successo.
La principessa l’ha guardato in viso, dritto negli occhi, gli ha parlato come una donna parla a un uomo. Gli ha dato del voi, lo ha chiamato principe.
Gli ha offerto l’acqua e non ha riso della sua sete. Ha lasciato la borraccia nelle sue mani finché ha voluto.
Poi si è tolta il mantello e l’ha coperto, dal freddo e dalla vergogna.
Ha lavato le sue ferite e i suoi capelli, ma ha rispettato la sua intimità. Gli ha dato vestiti e cibo, e poi il suo giaciglio. Non ha reagito alle sue provocazioni neppure una volta.
E tutto questo è penetrato in Axel, goccia dopo goccia.  Il suo animo inaridito ha bevuto ogni istante dell’umanità che Milanda gli ha offerto. Mentre il suo corpo reagiva difendendosi, odiando, il suo animo si protendeva verso quegli occhi verde incandescente.
Occhi gentili, trasudanti calore. Un calore che si accosta a un corpo contratto dal dolore e dall’odio.
Axel pensava che la sua anima fosse scappata, quando lo avevano trasformato in bestia.
Ma forse era solo congelata nell’odio.
Forse qualcosa ha iniziato a evaporare.
 
Era semplicemente un oggetto indefinito, un corpo per il piacere altrui, un animale da battere. Era ferite aperte, fame, sete, dolore, freddo e desiderio di vendetta.
E poi quelle parole.
“I vostri occhi azzurri sono trasparenti come acqua”
E lui all’improvviso ha di nuovo degli occhi azzurri.
“I vostri capelli sono nerissimi, e la vostra pelle è olivastra”
Ed ecco che lui torna ad avere dei capelli, una pelle.
Poi lei parla del suo corpo denutrito, e lui si ricorda che quel corpo, a uso e consumo degli altri, in verità è suo.
Quando gli ha chiesto il nome, lui all’improvviso è tornato Axel.
Ieri a quell’ora era un animale, come lui stesso si vedeva.   Ma oggi ha un corpo, ha un nome, ha di nuovo un’identità. È bastato uno sguardo caldo, sono bastate parole che danno per scontato ciò che scontato non è più e lui è tornato a essere se stesso.
Axel odia ancora, ma cosa succede quando marchi di calore affondano là, dove il dolore ha lasciato il segno?
Non ne ha idea. Ma mentre il gelo e il caldo combattono per trovare entrambi posto sotto la sua carne, Axel sente la sua anima battere un fremito.
 
 
 
  
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