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Autore: ermete    17/05/2012    13 recensioni
Seguito di "Back to Afghanistan":
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.
Genere: Azione, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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***Ciaooo! Bon, alla fine mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di "Back to London" dopo averlo modificato un pochino! Io ragazze, non so che dirvi °_° mi avete dato così tante gioie con i vostri commenti su Back to Afghanistan che non vorrei deludervi con questo seguito ç_ç non so, infatti, se pubblicherò velocemente come con BTA! Oh, magari poi succede che una volta pubblicato un capitolo mi viene la mega ispirazione per quello dopo e pubblico a manetta, ma non credo XD così come per quanto è successo con BTA, non so ancora quanto durerà questa long, lo scoprirete solo leggendo XD ora, ho messo rating giallo, magari se poi sarò ispirata e tiro fuori qualcosa di soft-hot, o di pseudo violento lo sposterò in arancione! E poi i tag vari... è veramente un tema abbastanza generale, ma siccome ci saranno scene sicuramente fluff (perchè mi conosco!), sapete già se volete leggere o no XD metto di nuovo OOC perchè non si sa mai, al massimo cambio più avanti! Che dire... spero DAVVERO che vi piaccia. Non voglio deludervi <3 buona lettura! ***

Home, Sweet Home
Mancava mezzora all’arrivo a Londra: l’aereo militare che stava riportando a casa i Mastini e Sherlock, infatti, era in perfetto orario e John potè riconoscere il profilo delle coste britanniche dal finestrino.

Si voltò verso Sherlock, rimasto in silenzio per tutto il viaggio, sprofondato all’interno del suo Palazzo Mentale nella speranza di riuscire a ignorare il continuo vociare dei componenti dei Mastini, decisamente troppo logorroici per i gusti del detective.
“Pronto per tornare in vita?” gli domandò John, provando ad attirare la sua attenzione sgomitandolo appena.
Sherlock rispose con un mugolio, e quando John sembrava rassegnato all’idea che non gli rispondesse, si voltò mettendo a fuoco il viso dell’amico “Sono già stufo all’idea di quelli che vorranno farmi domande, chiedere spiegazioni e magari pure abbracciarmi. E’ una fortuna che io non abbia amici.” si corresse in fretta poi, spostando lo sguardo altrove “O quanto meno, l’unico al quale mi importasse veramente spiegare com’è andata, è già sistemato.”
John sorrise per quell’affermazione, d’altronde per Sherlock era già un enorme passo avanti fargli sapere che lo considerava al di sopra degli altri, mentre prima lo dava sempre per scontato, quindi non gli importava che giro di parole usasse per dirlo.
“Qualcuno c’è, Sherlock. La signora Hudson, Greg, Molly... Angelo...” si sforzò qualche istante per cercare qualche altro nome, ma venne fermato dall’altro.
“Allora è una fortuna che si possano contare sulle dita di una mano.” sbuffò, poggiando la nuca sul poggiatesta.
John non potè fare a meno di notare il broncio persistente sul volto di Sherlock “Ma è l’aria di casa che ti mette il malumore? Potremmo trasferirci da qualche altra parte se può farti e farmi stare meglio.” disse in tono scherzoso, ma non vedendo alcuna reazione nel detective, gli si avvicinò un poco col volto, abbassando il tono di voce “Sherlock, seriamente, che c’è?”
“Niente.”
“Non è vero, non c’è bisogno di essere te per capirlo.”
“Mycroft mi ha mandato un sms.” ammise quindi, sbuffando per l’ennesima volta.
“E’ successo qualcosa di grave?” si preoccupò John, posandogli istintivamente la mano sinistra sul polso.
“Ma no... o meglio sì.” a quel punto Sherlock si voltò verso John, scontrandogli delicatamente la fronte con la propria, in quello che sembrava voler essere un gesto affettuoso “Mi ha detto che è pieno di giornalisti, che fanno milioni di domande...” usò altri cinque o sei giri di parole per ripetere lo stesso concetto, sottolineando con quella ridondanza la drammaticità della cosa.
“Beh, non te l’aspettavi? Dovremmo solo evitarli, lasceremo che sia Mycroft a spiegare tutto, è lui il diplomatico della famiglia.” finita la frase ricambiò il gesto di Sherlock, sorridendogli pacificamente.
“Sanno dove abitiamo.”
“Fortuna che abbiamo non una, ma due porte prima che ci entrino in casa.”
Sherlock sorrise di fronte al velo di ironia usato da John, sulla mano del quale posò la propria “E poi, come dicono nei film, dovranno passare prima sul tuo cadavere per poter arrivare a me, vero?”
John rise, piegando appena il capo all’indietro “Sì, ma in teoria dovrei essere io a dirlo, non tu a proporlo.” probabilmente stava per aggiungere qualcosa, ma la voce entusiasta di Matt che annunciava a tutti che stavano per atterrare montò l’entusiasmo dei Mastini e raggelò le mani di Sherlock: John non potè fare a meno di stringergliene almeno una.

Allo stesso centro di reclutamento dal quale John e gli altri Mastini erano partiti, erano presenti i parenti e gli amici dei soldati rientrati in patria, nella fattispecie tra i presenti si potevano riconoscere una commossa Signora Hudson, quindi Molly Hooper, Greg Lestrade e Mycroft Holmes. Al di là dei cancelli, invece, un gruppetto di giornalisti e fotografi veniva tenuto a bada dagli uomini di Mycroft.
I diversi gruppi presenti nell’ampio piazzale si divisero uno ad uno andando incontro ai soldati che via via spuntavano dall’interno dell’hangar. Georgia, una bellissima ragazza bionda dal sorriso innocente, corse incontro a David che, appena la vide, buttò il borsone a terra, prendendola in braccio e facendola roteare almeno due volte prima di fermarsi e stringerla commosso, memore della paura provata nell’ultima missione di non riuscire a rivederla.
Rose e Amelia, due gemelline di sette anni vestite con abiti di stile vittoriano riadattati in chiave moderna, piansero nel vedere Matt ferito ad una gamba, ma quando s’accorsero che il loro fratellone sembrava stare tutt’altro che male, gli saltarono al collo, sbilanciando il giovane all’indietro che nella caduta riuscì ad evitare che tutti e tre si facessero male solo grazie alla sua agilità e alle dimensioni considerevoli del borsone che aveva con sè.
John e Sherlock si videro arrivare incontro una furente Mrs Hudson che quando li raggiunse si mise a schiaffeggiare entrambi sulle braccia e sulle mani, piagnucolando improperi che non si sarebbero mai sognati di sentir uscire dalla bocca della loro padrona di casa.
“Siete due disgraziati! Volete farmi morire di infarto! Ve le farò scontare tutte! Dovrei cacciarvi di casa! Piccoli monelli che non siete altro! Sareste da prendere e appendere per le orecchie finchè non vi entra nel cervello che non dovete fare morire di paura le persone che vi vogliono bene!”
John e Sherlock non ebbero il coraggio di contraddire Mrs Hudson, si limitarono a prendere la loro dose di punizione e le ramanzine continue non osando in alcun modo fermare quell’innocente sfogo: persino il detective sorrise alla sua padrona di casa.
“Le chiedo scusa, Signora Hudson. Non volevo farla preoccupare.” iniziò John, provando a toccarle la spalla con delicatezza, quindi sgomitò Sherlock, che lo seguì non senza aver fatto prima una smorfia svogliata.
“Le chiedo scusa Signora Hudson, non volevo farla preoccupare.” fece da pappagallo a John, cambiando solamente l’intonazione della frase.
La signora Hudson annuì energicamente, asciugandosi il volto con un fazzolettino ricamato, quindi si scostò facendo spazio a Lestrade che osservò Sherlock a lungo, come per sincerarsi che fosse effettivamente lui e non un’impostore.
“Sherlock, maledetto, me l’hai fatta anche stavolta!” gli battè due pacche sulle spalle per poi fare lo stesso con John “Meno male che hai la pelle dura! Mentre aspettavamo che l’aereo atterrasse, ci hanno raccontato che l’ultima missione che hai affrontato è stata particolarmente tosta! Non osare lasciare Londra mai più!”
Molly, che se stava timidamente di lato, si scusò con John non appena ebbe finito di salutare Lestrade, dispiaciuta di non aver potuto condividere il piano di Sherlock con lui: chiese perdono molte volte, smettendo di piangere solo dopo che John l’ebbe rassicurata di non preoccuparsi e di aver compreso le sue motivazioni.
Mycroft si fece avanti per ultimo rivolgendo un sorrisetto malizioso a Sherlock, il quale fece finta di non notarlo tornando a parlare a Molly e Mrs Hudson, mentre a John dedicò una lunga e silenziosa occhiata.
“Sono contento di vedere che sta bene, Dottor Watson.” sciolse l’espressione in uno dei suoi sorrisi diplomatici, celando emozioni che John non riuscì ad intuire “Posso chiederle se è ancora arrabbiato con me?”
John riflettè sulla risposta da dare, lasciando Mycroft sulle spine così come gli Holmes amano far stare gli altri “L’importante è che sia finito tutto bene.” replicò in modo neutro, non dando una vera e propria risposta specifica a quella domanda.
Mycroft ovviamente lo notò “Si sta facendo furbo, John. Com’è che si dice? A star con lo zoppo... ops, modo di dire sbagliato.” lo provocò sarcasticamente.
“Beati gli orbi in un mondo di ciechi, Mycroft.” rispose altrettanto tagliente, divertito almeno in parte da quello scambio, contento di avergli tenuto testa.
Mycroft rise, buttando la testa all’indietro: era una risata corta e secca, ma non per questo falsa “Si è nascosto molto bene, John. Gliene devo dare atto.”
“Voi Holmes sottovalutate troppo gli altri. Che vi serva da lezione.”
“Non succederà mai più.” assicurò Mycroft con tono più rigido, inarcando le sopracciglia “Un giorno vorrei parlarle in privato.”
“Quando vedrò una macchina nera, allora, inizierò a correre.” John si soffermò su Mycroft, rimanendo qualche secondo in silenzio dopo quell’ultima risposta. Anche l’Holmes ricambiò l’occhiata, indugiando per qualche istante finchè entrambi non alzarono la mano stringendosela reciprocamente.
John poi si guardò attorno, sorridendo nel vedere i diversi gruppi familiari riuniti: vide Alec tenere in braccio tutti e tre i figli insieme e fu contento nel ricordare che anche lui s’era congedato definitivamente, desideroso di passare più tempo con le persone che amava.
Bruce e Logan furono accolti da un gruppetto di ragazze che a John ricordavano molto le groupie degli anni ‘80 e per qualche istante si chiese come aveva fatto a non pensare di sfruttare il fascino della divisa anche lui, almeno in passato.
E mentre Christopher si divideva tra la moglie, il figlio e il resto della sua famiglia, David rivolgeva tutte le proprie attenzioni a Georgia: erano ancora abbracciati, nello stesso posto, nello stesso modo, da più di dieci minuti e fu contento del fatto che nessuno fosse andato a disturbarli.
Matt era ancora a terra, coccolato dalle sorelline e circordato da quelli che John individuò come genitori, amici e altri parenti.
Poi si voltò in diverse direzioni, cercando più volte Zach, che finì col trovare semi nascosto, in un punto aperto dell’hangar, metà irradiato dal sole e metà nascosto dall’ombra, in disparte: il dottore si ricordò in quel momento che il giovane cecchino non aveva famiglia e gli si strinse il cuore nel guardarlo mentre osservava il suo compagno circondato da persone. Decise di andarlo a chiamare ed invitarlo a Baker Street quando sentì Matt urlare il suo nome.
Il cecchino infatti, in un momento di respiro concessogli dalle sorelline, si alzò a cercarlo quando non lo vide dietro di sè “Zach! Dove sei Zach?” domandò a gran voce, saltellando su una sola gamba, avendo lasciato le stampelle per terra.
A Zach prese un colpo, non sapeva cosa sarebbe stato giusto fare in quel momento, ma quando vide Matt avvicinarglisi dopo aver scoperto dove si era nascosto, uscì fuori dall’hangar andandogli incontro “Matt, torna dalla tua famiglia.”
“Eh, sì! Ma vieni anche tu!” gli sorrise Matt mentre gli si appoggiava addosso, avendo perso l’equilibrio a forza di saltellare su una gamba sola “Cosa credevi? Pensavi che ti avrei lasciato da solo?”
Zach passò il braccio destro attorno alla vita di Matt, permettendo al compagno di camminare un pochino meglio rispetto al suo saltellare frenetico “Ti ringrazio Matt, ma è la tua famiglia, torni da una missione pericolosa, li hai fatti preoccupare e vorranno stare con te.” sussurrò mentre lo accompagnava vicino al punto in cui erano cadute le stampelle.
“Tu sei importante per me, quindi se loro vogliono stare con me, dovranno stare anche con te.” Matt si fermò, osservando Zach negli occhi: era determinato, non si sarebbe mosso da lì senza il suo compagno “Anche se fossimo solo amici non ti lascerei mai solo di rientro dalla guerra, stupidone.” lo osservava con le sopracciglia inarcate in un’espressione quanto mai seria, espressione che mutò presto, lasciando spazio al solito temperamento giocoso che lo contraddistingueva “Ma per fortuna non siamo solo amici, ehhh?”
Zach scoppiò a ridere e, dimenticando qualsiasi formalità, abbracciò Matt con riconoscenza e affetto “Grazie, Matt. Però, per favore, un pochino di discrez...”
“Ehiii! Venite a conoscere il mio ragazzo!” urlò Matt verso la propria famiglia, suscitando l’entusiasmo delle sorelline e la sorpresa dei genitori “Scusa, dicevi?” rise all’indirizzo di Zach, verso il quale ammiccò “Ho già parlato di te alla mia famiglia, sanno che senza di te non sarei sopravvissuto all’ultima missione, e che senza di te non sopravviverei ogni singolo giorno della mia vita.”
“Non mi avevi detto che ne avevi parlato alla tua famiglia...” Zach scosse il capo dallo stupore, deglutendo un poco di imbarazzo.
“Perchè volevo farti una sorpresa.” sussurrò Matt, per poi chinarsi a prendere le stampelle “Sii te stesso e piacerai a tutti.” ammiccò rialzandosi, sorridendo alla schiera di parenti che si stava avvicinando.
John si gustò la scena da lontano, intenerito dalla dolcezza di Matt e dalla commozione di Zach verso i quali sorrise, alzando un braccio in segno di saluto; anche Sherlock aveva buttato un’occhio sui due cecchini, alternando lo sguardo tra loro e John sul volto del quale lesse uno sguardo piacevole, ridente e felice che fece sentire meglio anche lui.
Lestrade richiamò l’attenzione del piccolo gruppetto battendo due volte le mani e alzando un poco la voce “Forza! Ci stanno aspettando, andiamo!”
John e Sherlock si voltarono all’unisono: la loro mimica mutò percettibilmente, le labbra si arricciarono, le sopracciglia si inarcarono disegnando rughe d’espressione che indicavano un certo grado di fastidio.

John e Sherlock furono praticamente costretti ad andare ad una festa in loro onore organizzata a Scotland Yard: si festeggiavano il rientro di John dall’Afghanistan e il ritorno alla vita di Sherlock, ma entrambi avrebbero preferito affrontare un’altra missione in medioriente piuttosto che partecipare ad una festa piena di persone che reputavano false e a tratti penose. C’erano molti poliziotti, compresi quelli che erano presenti la sera dell’arresto di Sherlock, persino Anderson e Donovan, anche se in disparte.
John e Sherlock, dopo due ore di convenevoli, si erano ritrovati davanti al tavolo delle vivande: il primo stava affogando il malumore nell’alcool, il secondo contando in maniera autistica quante noccioline ci fossero nella ciotola di fronte a sè.
“John...” era la decima volta che Sherlock lo chiamava e il tono stava diventando decisamente lamentoso “Jaaawn...” undicesima.
“Sherlock...” rispose pazientemente John che alternava lo sguardo tra i diversi presenti, divertendosi solo quando vedeva Lestrade che, palesemente sbronzo, ci provava con Molly.
“Ripetimi ancora una volta perchè siamo qui.”
“Perchè è una festa in nostro onore.”
“Davvero? A me sembra solo un pretesto per questi sedicenti uomini di giustizia per bere.” borbottò Sherlock e quando vide John fare spallucce si spazientì, levandogli il bicchiere dalle mani.
“Ehi!” John sbuffò e dopo essersi guardato attorno per l’ennesima volta, prese la sua decisione “Senti, lo sai che ti dico? Hai ragione. Ce ne andiamo.”
“Davvero?” domandò stupito Sherlock che iniziò a seguirlo verso l’ingresso “Finalmente John! Vedo che hai abbandonato quel tuo essere politicamente corretto e fare quello che ti senti. Bene!”
“Quando hai ragione, hai ragione. A loro non frega niente di noi e a noi non frega niente di loro. Molly e Greg li abbiamo salutati, gli altri mi fanno solo arrabbiare.” John raccolse il proprio borsone ed uscì dall’ufficio che era stato riservato per la festa.
Sherlock seguì l’amico, osservandone la postura, registrando il tono di voce e le parole usate “John.”
“Mh?” mugugnò John, mentre cercava di fermare un taxi.
“Stai bene? Mi sembri agitato.”
“Sto bene Sherlock, voglio solo posare questa roba e farmi un doccia.” John si guardò attorno, spostando lo sguardo ovunque, verso i rumori della City: gli stimoli visivi e uditivi erano decisamente troppo luminosi e acuti rispetto al nulla del deserto Afghano.
“Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che sei tornato dalla guerra, vero?” chiese Sherlock mentre seguiva John dentro il taxi.
“Intendi lo stress post traumatico? Beh, non mi hanno sparato stavolta.” fece spallucce, mentre dava l’indirizzo al tassista.
“No ma hai dovuto affrontare tante missioni pericolose, mentre ora sei qui, in città, senza nessun pericolo da affrontare.” Sherlock gli si sedette di fronte e si chinò in avanti, verso John, osservando le sue reazioni.
“E allora? Dove vuoi andare a parare, Sherlock?” rispose rapidamente, quasi senza dargli il tempo di finire la frase.
“Sindrome del soldato. Nevrosi da guerra, chiama come ti pare.”
“Sindrome del... ma che scemenza.” John tamburellò le dita sulla propria gamba, spostando lo sguardo da Sherlock a fuori dal finestrino.
Sherlock si indispettì di fronte a quella reazione che tuttavia lo preoccupò, anche se scelse di non darlo a vedere: decise che avrebbe riaffrontato l’argomento in un altro momento, quindi stette zitto per tutto il resto del tragitto.

Quando John e Sherlock scesero dal taxi, l’ex soldato era decisamente più calmo rispetto a prima: inspirò a pieni polmoni l’aria familiare di Baker Street, alzando lo sguardo verso la via, lo Speedy’s ed i palazzi, verso uno dei quali lasciò cadere la propria attenzione.
“Oh, guarda. Hanno finalmente ricostruito l’appartamento in cui era esplosa la prima bomba di Moriarty.” fece notare John, soffermandosi su quel particolare condominio.
“Mh? Cosa cambia ora che l’hanno riparato?” replicò Sherlock, facendo spallucce.
“Beh, ne va della bellezza della via.” rispose John, mentre veniva trascinato dall'altro verso il 221B.
“Appunto, ripeto, che cosa cambia? Noioso.” sbuffò Sherlock, mentre estraeva le chiavi dal cappotto.
“Chissà se ci abita qualcuno ora. Ma chi vorrebbe abitare in un appartamento dove è esplosa una bomba?”
“John? Da quando ti importa conoscere i vicini?” si spazientì Sherlock, che evidentemente aveva fretta di entrare di nuovo nel loro appartamento, nel posto più ricco di ricordi che li riguardava.
“Hai ragione, Sherlock. Non è importante.” s’arrese John, che poi incoraggiò l’altro a girare la chiave nella serratura, carezzandolo con lo sguardo quando sentì il rumore metallico del chiavistello, l’ultimo confine da sorpassare prima di tornare definitivamente a casa.
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Salirono le scale facendo il minor rumore possibile per evitare che la Signora Hudson si accorgesse del loro arrivo: ne avevano avuto abbastanza di incontri per quel giorno.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.
Sherlock alzò istintivamente gli occhi verso lo smile giallo, salutandolo con un cenno del capo, per poi sospendere lo sguardo in tacita contemplazione: il suo, il loro appartamento. E di nuovo con John “Sai, sono stato qua, di nascosto, a Natale scorso.”
“Sì? A fare cosa?” domandò John per poi avvicinarsi al tavolino del salotto sul quale era posato un vassoio di biscotti “Che gentile Mrs Hudson.”
“Un regalo di Mycroft: ha pensato che mi mancasse questo posto, ed era vero.” seguì John con lo sguardo, sorridendo nel vedere che il nervosismo era sparito, felice di sapere che fosse contento quanto lui di essere di nuovo insieme nell’appartamento dove era cominciato tutto.
“Hai suonato il violino?” espresse il suo gradimento verso i biscotti con un mugolio che, seppur piccolo, raggiunse le orecchie di Sherlock che decise di avvicinarglisi alle spalle.
“No, non ho avuto tempo, sono rimasto solo due ore...” gli sussurrò direttamente all’orecchio provando ad insinuare le braccia tra quelle di John, mentre strofinava il mento sulla sua tempia destra.
All’iniziò John si irrigidì a quel contatto: gli sembrava ancora strano che Sherlock potesse dedicargli delle attenzioni di quel tipo, ma lo lasciò fare, posando le proprie mani sopra quelle di lui che erano finite all’altezza dell’addome “E cosa hai fatto in quelle due ore?”
Sherlock non sapeva bene come muoversi in quel campo, ma quanto sentì la schiena di John poggiarsi su di lui si rilassò, stringendolo a sè mentre con la punta del naso scendeva sul suo profilo: c’era qualcosa di delizioso nel respirare il profumo di John direttamente dal suo viso, dai capelli, dall’orecchio fino a scendere sulla guancia. Dovette deglutire per riuscire a muovere nuovamene la lingua, per poter parlare “Mi sono fatto abbracciare dalla tua poltrona e dal tuo maglione, quello orribile, il più brutto di tutti, quello di Natale. Ma era pur sempre tuo e tu mi mancavi.”
John confermò con un sorriso l’intuizione che aveva già avuto in Afghanistan, ovvero che quando Sherlock si concedeva dei momenti di intimità, anche se pura ed innocente, diventava assolutamente sincero e la cosa, a seconda dell’argomento, lo divertiva o lo lusingava “Beato il maglione, allora.” percepì una leggera scossa di piacere nel sentire il respiro di Sherlock dietro l’orecchio, ruotando istintivamente il volto quando sentì le sue labbra vicine alla guancia.
“John...” mugolò Sherlock che a quel punto non sapeva come andare oltre, tanto che si bloccò di fronte alle labbra dell’altro, deglutendo nuovamente, in cerca d’aiuto.
John sorrise di fronte a quell’innocenza, posando sulle labbra di Sherlock un bacio veloce prima di girarsi e prendergli il volto tra le mani “L’abbiamo detto, faremo con calma.”
“Ma io voglio...” protestò Sherlock che in un impeto di coraggio prese a sua volta il viso di John tra le mani, stampandogli sulle labbra un bacio goffo e maldestro ma che sembrò soddisfarlo molto “Oh! Fatto!”
John a quel punto capì che a Sherlock premeva molto l’idea di riuscire a baciarlo per primo, di sbloccare quel nuovo passaggio di intimità, o semplicemente non ammetteva l’idea di non riuscire a fare qualcosa che gli interessasse, quindi rise divertito ed al tempo stesso intenerito: subito dopo vide il detective allontanarsi soddisfatto e con un sorriso stampato sul volto.
Sistemata quella questione di vitale importanza, Sherlock potè finalmente avvicinarsi alla custodia nera, aprirla con una lentezza maniacale ed estrarne fuori il suo adorato violino “Sono quasi tre anni che non ti suono...” disse a voce bassa, per poi sistemarlo sotto la propria guancia e iniziare a pizzicarlo e carezzarlo con l’archetto.
Era una visione paradisiaca che John volle godersi appieno: si sedette sul divano e osservò il sorriso disegnato sul volto di Sherlock, gli occhi chiusi e le braccia che si muovevano disegnando arabeschi che l’aria traduceva in suoni sublimi paragonabili ai cori degli Angeli.
Chiuse gli occhi a sua volta, lasciandosi cullare dalle note suonate da Sherlock, riascoltandole dopo quasi tre anni, quando credeva che non le avrebbe più sentite, estasiato dalla bellezza di quel momento, commosso dalla consapevolezza di vivere di nuovo il presente con lui.
   
 
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