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Autore: _hush    19/05/2012    15 recensioni
« Non so se è una storia da raccontare, in verità.
Non posso nemmeno dirvi con precisione il motivo per cui lo faccio.
Non posso dirvi se sia una storia d'amore felice, né so nemmeno se sia completamente una storia d'amore.
E' una storia. »
Dal capitolo sedici.
Lo abbandonai sul comodino e mi sdraiai, cercando di districare le coperte da buttarmi addosso. Dopo esserci riuscita, affondai la guancia nel cuscino, fissando il solitario scattare dei minuti della sveglia.
Mezzanotte meno tre.
Mezzanotte meno due.
Mezzanotte meno uno.
Il cellulare squillò.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Soundtrack: Skinny Love, Birdy (http://www.youtube.com/watch?v=XL2Uzz4j01s)





14. Habit
 



 
Era buio.
Forse era notte profonda. Lo era, con ogni probabilità.
Tum.
Vento forte, intorno a me. Freddo, fin nelle ossa. Le acque scure che si agitavano, libere, sotto i miei piedi, profonde, lontane.
Minacciose, ammalianti.
Tum.
Mi alzai d’impeto, gettando con uno scatto le coperte umide di sudore dietro di me. Ondeggiai nella stanza scura, senza equilibrio. La testa era esplosa, erano rimasti i frammenti a urtarmi. Ognuno di essi, uno dopo l’altro, mi si lanciava contro, ancora in preda all’onda d’urto.
Faceva male.
Tum.
Braccia grandi, calde nonostante il gelo sferzante. Mi avvolgevano completamente, vi ero immersa. Quelle mi facevano stare bene.
La strada deserta, e le foglie spose del vento fuggivano con lui.
Tum.
La porta era stata faticosa da trovare.
Afferrai la maniglia con troppa forza, quasi mi ci appoggiai. Spalancai la porta e un corridoio altrettanto buio quanto la mia camera mi si presentò davanti. Di sicuro qualcosa si annidava, nel grumo di nero dell’angolo più lontano.
Ah. Ancora la testa.
Tum.
Luce di pomeriggio. Le stesse braccia, e ricci che mi stuzzicavano la fronte. Una voce roca che mi diceva di continuare a dormire.
La luce che si affievoliva, piano, delicatamente.
Tum.
Camminai lentamente fino alle scale, senza fare rumore. Il mostro nell’angolo era quieto, e mi ignorò. Sentivo bene delle voci sottili provenire dal piano inferiore, e le stavo seguendo, curiosa.
Mi sedetti sul primo gradino, appoggiando la schiena al muro. Dalla sala giungeva solo una luce debole, che bastava a malapena a definire i contorni delle cose.
Chiusi gli occhi e provai a concentrarmi, e d’improvviso le voci si fecero più chiare, quasi fossero di fianco a me.
«… e non è la scelta giusta». Non seppi riconoscere chi parlava.
«Non sta a te decidere cosa io debba fare». Oh, questo sì. Ormai mi era così familiare, la voce bassa di Harry.
«No, è vero. Ma sai benissimo a chi non piacerà questa storia».
«Credi davvero che m’interessi la loro approvazione?»
«Dovrebbe, Harry. L’opinione pubblica …». Riconobbi Liam.
«Non me ne frega un cazzo, dell’opinione pubblica».
Mi alzai in fretta, la mente molto più lucida di prima.
Non riuscii lo stesso a mettere in ordine i pensieri, ma le loro frasi mi erano rimaste bene impresse in testa.
L’unica cosa che riuscii a formulare era che stavo creando troppa confusione. Non volevo farlo. Io volevo diventare invisibile, scomparire, e non stava accadendo ciò. Lo sentivo, era l’inizio di tutto il contrario.
Quasi corsi, per tornare a letto.
 
Tic toc, faceva l’orologio.
 
Sbattei un paio di volte gli occhi, rendendomi conto solo allora di quanto quella sembrasse una scena surreale.
Da telefilm, o fotografia degli anni cinquanta.
Cosa ci faceva Harry, seduto al di là del mio tavolo, a bere tranquillamente la sua tazza di tè, come se fosse diventata un’abitudine? Un braccio appoggiato al piano, come faceva sempre –come facevo io a sapere che lo faceva sempre?- l’altro ad afferrare la tazza, e lo sguardo vagabondo a osservare come sempre tutti i dettagli che più gli piacevano.
Cosa ci facevo io, apparentemente a mio agio, di fronte a lui, a fare colazione insieme?
Tutto suonò alle mie orecchie come lo scoppio di una bolla di gomma da masticare.
E il sogno scoppiò come quella gomma da masticare rosa, uscita dalla mia infanzia, proprio mentre Harry alzava lo sguardo e mi sorrideva felice.
Per qualche ragione, anche se il sogno era finito, sapevo che gli avevo risposto, con un luccichio divertito negli occhi.
 
Il cellulare continuò a vibrare insistentemente e con una certa maniacalità.
Feci emergere di poco la testa da sotto le lenzuola ed allungai un braccio, afferrando il cellulare. Lo portai sotto le coperte e lessi il corto messaggio.
Era di Harry.
“Sono qui davanti. Il campanello non va.”
Chissà perché, rimasi a fissarlo per un po’.
Era passata una settimana. E da allora, non era trascorso un giorno senza che venisse a trovarmi.
Era stato quel sogno, a farmi sembrare tutto ciò strano.
Solo allora, solo in quel momento.
Poi, l’attimo svanì.
Per una volta, una sola, non volevo pensare troppo.
Scesi dal letto e mi vestii, infilando abiti leggeri, perché ormai il freddo era passato. Feci le scale velocemente, accorgendomi che c’era uno strano profumo di fiori nell’aria, e andai verso la porta, cercando di accantonare dalla mente una canzone che continuava a riemergere e a tormentarmi, a tratti. La aprii e come sempre lui mi salutò solo con un sorriso. Io agitai la mano, e lo feci entrare.
Andammo fino alla sala, immersi in una luce bianca e morbida. Le finestre erano chiuse –sigillate, quasi- ma sapevo che il vento soffiava ancora, fuori. Le chiome verdi degli alberi si agitavano, con un movimento quasi ipnotico.
Le osservai, con sguardo perso, fino a che non sentii il tocco della mano di Harry sulla mia. Guardai giù e vidi i suoi occhi verdi che erano molto più seri del sorriso portato sulle labbra. Mi prese il polso e mi fece sedere di fianco a lui, sul divano.
Raggomitolai le gambe sotto al corpo, incominciando a distrarmi di nuovo. Le dita di Harry mi accarezzarono i capelli, e io quasi non ci feci caso. Era un gesto che aveva preso l’abitudine di fare.
Era calato di nuovo quel silenzio tranquillizzante, sulla via.
Dopo poco, non sentii più le mani di Harry che attorcigliavano le mie ciocche. Scese e mi sfiorò una guancia, con fare distratto.
Mi voltai a guardarlo, stupita, e anche lui si girò, sotto il peso del mio sguardo. Ma parve non badarci. «Credo dovresti rincominciare ad uscire, Belle».
Io sbattei un paio di volte le palpebre, e non risposi.
Senza togliere la mano dalla mia guancia mi osservava dritto negli occhi, di nuovo con quella sua strana serietà. «Credo dovresti uscire con me».
Quasi mi venne da ridere, e senza motivo. Sembrava solo assurdo. Non c’era migliore definizione.
Non seppi perché, ma gli dissi che aveva ragione.
 
La notte era già calata, e per le strade, ovunque, si potevano sentire echi di risate.
Il marciapiede, pieno di buche, era ora fitto di pozzanghere. Ne saltai una, mentre Harry la prese completamente. Lo guardai maledire acido la pioggia e non riuscii a non ridere, facendogli un cenno agitato con una mano. «Su, non fare il palombaro e sbrigati, siamo già in ritardo per il primo spettacolo».
Lui scrollò le spalle e mi fece un sorriso sghembo, raggiungendomi e posizionandosi al mio fianco.«E tu non fare la pignola, abbiamo ancora tempo».
«Poco. E sai una cosa» aggiunsi all’ultimo momento, precedendolo di qualche passo, giusto per fargli un dispetto. «da uno come te non mi sarei mai aspettata il cinema, come prima uscita».
Harry fece tre grandi falcate, guadagnando molto terreno. Aveva le gambe dannatamente lunghe. «Ci sono tante cose che non sai».
«Che battuta squallida da uomo del mistero». Feci una piccola corsa, cercando di distanziarlo. Mi voltai indietro, tentata dal fargli uno sberleffo. Lui si fermò un momento, le mani in tasca e l’aria pensosa, poi si mise a correre, superandomi velocemente e quasi scomparendo fra le pallide luci dei lampioni e della strada. «Cosa fai? Non vale!» mi arrivò presto la sua risata. «Al diavolo!» Iniziai a rincorrerlo e risi per davvero, senza neanche accorgermene.
Arrivammo davanti al cinema con il fiatone, e lui ovviamente per primo, ma non ebbe il coraggio di rinfacciarmelo.
Solo poco prima di entrare a prendere i biglietti mi ricordai di chi ero. Del fatto che non era normale che io parlassi così normalmente, o perlomeno negli ultimi tempi. Del fatto che era da mesi che non ero contenta in modo così frivolo. O ancora, del fatto che quella me stessa era semplicemente stata seppellita e nascosta da tanto. Harry me l’aveva fatto scordare, anche solo per quei corti minuti.
Rimasi perplessa a guardare il mio riflesso sulle porte trasparenti e lucide, prima di seguirlo lasciandomi di nuovo fuori.
 
Il film, in realtà, era molto noioso, e non migliorò nemmeno quando iniziammo a lanciare pop-corn sulle file inferiori.
Prima che i soggetti attaccati si decidessero a chiamare le maschere strisciammo fra le poltrone e risalimmo il corridoio buio, ignorando le inutili proteste di una ragazza che diceva di non volere baciare il protagonista, quando poi tutti in sala sapevano che era bensì il contrario.
L’aria frizzante mi pizzicò il viso, restituendomi un po’ di ragione. Mi sentivo molto più sveglia.
Osservai la strada intorno a me, quasi del tutto vuota, se non per qualche passante per la maggior parte delle volte solitario. Le macchine erano lontane –quasi non se ne sentiva il rumore- e l’asfalto bagnato luccicava sotto le illuminazioni dei cartelloni appesi fuori dal cinema. Sollevai lo sguardo e vidi che un paio di stelle, quasi per magia, quella sera erano riuscite a superare il velo grigio di Londra e a pulsare deboli.
Le indicai, con un mezzo sorriso. «Era da tanto che non le vedevo». Udii i passi leggeri di Harry avvicinarsi e mettersi al mio fianco. Guardò anche lui in su, e i ricci gli ricaddero in modo strano, rimbalzando sulla fronte.
«Anche io».
Lo guardai di striscio, poi mi incamminai lenta verso il centro della strada deserta. Era una strana sensazione, essere lì, quasi come se avessi attraversata una barriera. Mi sembrava di essere al centro del mondo, eppure così distante. Mi sentii come mi sentivo tutti i giorni, al centro, ma senza poter realmente toccare le cose e le persone.
Mi piegai e mi sedetti da terra, appoggiata sulle braccia dietro la schiena, con ancora il naso all’insù, rivolto verso il cielo.
Mi raggiunse la voce bassa di Harry, stranamente arrotondata e morbida. «Mi ricorda qualcosa». Disse lentamente, con un tono vagamente ironico.
Io mi voltai verso di lui e gli sorrisi. «Siamo appena stati al cinema, la mia citazione è scusata».
Mi si sedette accanto, sfiorandomi il fianco. «Sei la ragazza più strana con cui sia mai uscito» si fermò un attimo, quasi ridendo fra di sé. Si abbracciò le ginocchia piegate con le braccia. «ma lo sapevo già».
Strana.
Detto da lui, non faceva male.
«Ho la sensazione che adesso accadrà qualcosa». Giocherellai con una ciocca di capelli, tirandola come una molla.
«Che cosa?»
«Non so, tipo un stella cadente».
Non rispose, ma rimase in silenzio. C’era il caldo del suo corpo anche al di là della giacca, e c’erano quelle poche stelle tenaci, e c’era la sua mano che, notai solo dopo, era stretta alla mia sul terreno freddo.
C’ero io che per una volta non avevo voglia di analizzare la situazione, perché riuscivo a stare bene.
Non contai il tempo, e non so dire nemmeno se passò per davvero.
Riprese a scorrere quando arrivò un coro di voci confuse e schiamazzanti dal fondo della strada.
Sembravano solo uomini, da quanto riuscii a distinguere. Grida alte, risate vuote. Più si avvicinavano, più mi sembrava di sentire una voce che avevo sperato di non ricordare. Ma chi c’è ad ascoltare i desideri?
«Ooh, guarda chi c’è!» Doveva essere lui per forza, per forza, vero?
La mia stella cadente.
Era necessario, che io non potessi essere felice.
«Sei tu, Belle?» ci fu una pausa, e la voce arrochita dal fumo di Nikolai si spense per un attimo, come se non fosse mai esistita. «Certo che sei tu. Di nuovo con quel ragazzino, brava».
Harry si agitò, di fianco a me, ma si calmò quando gli posai una mano sulla spalla. «Andiamocene, subito». Mi alzai in fretta e così fece lui.
Nikolai era a qualche metro di distanza, in compagnia di amici che non conoscevo. Nessuno di loro sembrava essere completamente sobrio, ma quando mi voltai verso di lui lo sguardo di Nikolai si fece più attento. «Un marmocchio. Ti sei rifatta presto».
Harry mi prese la mano ed iniziò a camminare via velocemente, dalla parte opposta della via da cui erano arrivati, verso la città più trafficata. C’era qualcosa, però, che mi tirava dall’altra parte, verso di loro.
«Belle, è ubriaco, ignoralo» mi sussurrò Harry, continuando a camminare. Aveva l’aria molto più preoccupata di quanto fosse mai stato. «Ignoralo».
«Marmocchio figlio di puttana» Nikolai gridava ancora, ma ormai lo sentivo lontano. Un coro di risate, e li vidi per l’ultima volta in controluce, offuscati dalle lampadine del vecchio cinema.
 
Quando arrivammo a casa, io non avevo ancora detto una parola.
Mi aprì la portiera con sguardo grave, e mi accompagnò fino alla porta. Si udivano i grilli del grande parco vicino, e la luce sopra la porta dei vecchi sfarfallò strana.
Le stelle si erano coperte.
Quando presi il coraggio di parlare, mi uscì solo un sussurro roco. «Harry, credo che non dovremmo vederci più».
Evitai i suoi occhi, perché sapevo che mi avrebbero dato molto più che fastidio. «Non dirmi che gli hai dato ascolto». Tremò leggermente nell’intonazione, come se la sua voce stesse facendo le montagne russe.
«No» era la verità. Non era per lui, no. Mi morsi un labbro. «è che non credo di essere quella che vogliono vederti di fianco». Feci un sorriso tirato, perché sapevo già che non sarei riuscita a spiegarmi come dovevo. «Sono strana, Harry. Sono troppo strana. Sono una disadattata. Sono malata. Non mi vogliono». Pensavo già alle fan furiose con me, agli agenti che avrebbero protestato perché causavo danni alla sua immagine. Avevo rincominciato a pensare troppo.
Harry mi guardò di nuovo dritto negli occhi, intenso come prima. Le pagliuzze verde scuro e dorate delle iridi scintillarono, e le vidi bene, perché erano così vicine.
Sentivo anche il suo respiro.
Era troppo vicino.
Era troppo vicino, perché quando ritrovai le sue labbra morbide sulle mie, non seppi reagire.
















N.d.A.

Bene, allora.
Come posso fare per scusarmi del ritardo?
Non ci sono scuse, lo so. Sono stata pessima.
E so tutti i motivi per cui sono arrivata a pubblicare solo ora non vi interessano per niente, quindi vi dirò solo che sono stata parecchio impegnata con la scuola ed ho avuto varie faccende personali.
Spero davvero che mi scuserete, perché non potrei essere più dispiaciuta. E spero anche che questo strano capitolo vi sia gradito. Non so cosa pensare, sinceramente. Non lo trovo una completa schifezza, ma poi boh. Insomma, sapete che io le opinioni le esprimo nelle risposte alle recensioni, sono fatta così, mi ci vuole tempo per chiarirmi (?).
Come al solito, un paio di cose. Ho riproposto "Skinny Love" di Birdy perché pensavo ci stesse parecchio, non chiedetemi spiegazioni migliori. Poi, la citazione, diciamo, del film di cui parla Belle mentre è seduta in strada è presa da "The Notebook", anche lì succede circa la stessa cosa.
Infine, volevo ringraziarvi tutte per le numerossissime recensioni per lo scorso capitolo. Non me le aspettavo, non sapete quanto mi avete fatta sentire apprezzata, soprattutto su un tema simile. 
Non so, ecco, se il capitolo sia un buon proseguimento.
Ma grazie, davvero, come sempre.

Vi adoro.

*Sappiate che nella fretta non ho nemmeno riletto. Argh.
*E come al solito, per domande ed eventuali spoiler a richiesta, il mio Twitter: https://twitter.com/#!/Aria_Kerouac .

_hush















23 aprile 2011, vecchia foto di Hannah e Ben, in macchina.
Scattata di nascosto da Belle.

  
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