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Autore: Serith    22/05/2012    2 recensioni
Raphael, gli intrighi dell'alta società francese, la fuga in Romania, un unico obiettivo: la Soul Edge. La sua vita è come una parabola: è ascendente... ma anche discendente.
5. Congiure: Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5. Congiure

 

Era una serata cupa e nuvolosa, l’unica fonte di luce proveniente dalle lanterne infisse fuori dai locali cittadini. Si percepiva un’atmosfera inquieta, complici le suppliche dei mendicanti sul ciglio della strada e la mancanza di risate tonanti e di gemiti provenienti dalle locande e dai bordelli. Era un clima di guerra, denso e pensate come una cappa.

L’uomo non se ne curava. Ascoltava lo scalpitare degli zoccoli del suo cavallo sui sanpietrini, un ritmo costante ed in qualche modo piacevole, unito all’aria fresca della notte che sentiva sulla pelle ed al suo strano odore, un misto di pioggia e di cibo proveniente dalle case circostanti.

Non era preoccupato. Quelle erano le ore predilette dai ladri e dai delinquenti per uscire dai loro rifugi e cominciare ciò in cui erano ferrati, ma sarebbe stato imprudente persino per loro attaccarlo.

Era avvolto in un mantello nero, il cappuccio abbassato a nascondere il suo volto. A meno che non ci si avvicinasse di parecchio non era facile intuire la sua identità, ed il fatto che si aggirasse di notte nascondendo il suo aspetto lo involgeva senza dubbio in affari illeciti. Ed i delinquienti, restando immischiati in essi tutti i giorni, sapevano che era meglio farsi gli affari propri.

 Come se non bastasse, quella parte della città non era controllata da lui; se lo avessero attaccato, la famiglia residente per giustizia avrebbe attuato un’operazione di pulizia. Davvero, sarebbe stato meglio per loro se lo avessero lasciato in pace.

Davanti ad un vicolo buio scorse un paio di prostitute. Una di queste si abbassò il corpetto, mostrandogli il petto smagrito. –Avete forse bisogno di una donna vera, Monsieur?

L’uomo non si fermò. Si limitò ad accennare un sorriso di dubbio significato, che poteva comunicare divertimento disprezzo, od un misto di entrambi. La donna non se la prese; ne aveva passate talmente tante che oramai non si stupiva più di nulla.

Il suo viaggio continuò fino ad una locanda di dubbio gusto, meno affollata e quindi poco chiassosa rispetto alle altre; si poteva scorgere attraverso le finestre la luce discreta dei lumi di candela.

Smontò da cavallo. Subito un garzone gli si avvicinò per prendere le redini dell’animale, sorridendogli come un idiota: - Ce la spassiamo stasera, eh ser?

Il suo tono era quello tipico di chi vuole attaccar boccone, il suo sorriso stupido. L’uomo non rispose, ma si voltò per guardarlo negli occhi. Anche se era notte inoltrata, notò con soddisfazione che lo sciagurato era impallidito. Arretrò un po’ incespicando sui suoi stessi piedi, e s’inchinò impettito: - V-vogliate scusarmi, Monsieur. Non era mia intenzio…-

-Risparmia il fiato.

-S-si Monsieur! Subito, Monsieur.

L’uomo non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Certe volte bisognava avere una tale pazienza con i popolani…

Finalmente il ragazzo si levò dalla sua vista. Entrò nella locanda senza abbassare il cappuccio, ispezionando con lo sguardo l’ambiente. A parte il proprietario che stava pulendo con uno straccio un boccale di birra, c’era solo un gruppetto di uomini raccolti attorno ad un tavolo nell’angolo più lontano da lui, impegnati a giocare a carte. Erano sporchi ed indossavano gli abiti da lavoro più logori che avesse mai visto. Sembrava che la sua entrata non avesse suscitato in loro particolare interesse, ed erano troppo tranquilli e rilassati per comportarsi come se stessero facendo finta di nulla. Ciò significava che erano innocui.

L’unico che sembrava preoccupato era il locandiere; alla sua vista l’espressione sul suo volto non era mutata, ma la mano con cui teneva lo straccio aveva esitato. Ovviamente dovevano averlo informato del suo arrivo, o non sarebbe stato così ansioso. Di tanto in tanto i cattolici organizzavano retate per arrestare chiunque fosse coinvolto in qualche modo con il Calvinismo… persino chi non lo era direttamente, ma che collaborasse per esso.

-Avete bisogno di qualcosa, Monsieur?

-Si,- disse l’uomo socchiudendo gli occhi, fingendo di ponderare la sua risposta. Infine a testa alta, sorridendo concluse:- Ho bisogno di un giglio.

Il locandiere spalancò gli occhi. –Seguitemi, Monsieur.

Gettando un’occhiata al gruppo in fondo al locale, posò lo straccio ed il bicchiere sul bancone dietro cui stava, per poi scortarlo fino ad una porta adiacente ad esso.

L’uomo si ritrovò in una stanza spoglia e mal arredata, con pochi mobili tenuti su alla meno peggio. Notò inoltre che mancavano alcuni oggetti essenziali per l’igiene.

Su un materasso steso a terra sedeva una donna di mezz’età, che al loro arrivo aveva alzato la testa per guardarli stupita.

-Oriane, fa vedere al signore i tuoi gigli- disse in tono perentorio il locandiere, guardandola in occhi che le si allargarono per il messaggio insito in quelle parole.

Il marito si richiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli. –Avvicinatevi, Monsieur- disse lei diligente, spostando il materasso al centro della stanza. L’uomo notò che aveva delle mani callose e brutte, tipiche di chi lavora duramente.

Sulla porzione di terreno precedentemente nascosta dal letto su cui dormiva la coppia stava una botola, talmente ben mimetizzata che, se non ne avesse già varcate altre, non l’avrebbe riconosciuta.

La donna prese dal suo grembiule un chiavistello arrugginito e l’inserì in un piccolo buco vicino ai suoi piedi. La botola si aprì, mostrando degli scalini immersi nel buio, che portavano al passaggio che lui doveva percorrere.

Prima che l’uomo dovesse abbassarsi a chiederle una torcia (umiliandola per la sua mancanza di prontezza, ovviamente), lei gliene porse una, le guance rosse per l’imbarazzo.

Il passaggio era piuttosto lungo ed ampio, e le pareti invece che essere sorrette da semplici travi di legno, erano state rivestite da pietre scolpite. Vi erano anche dei sostegni con delle torce spente, ma l’uomo non le toccò. Era meglio non lasciarsi dietro alcuna traccia.

S’incamminò spedito, ascoltando l’eco dei suoi passi che rimbombava tra quelle mura. Non aveva fretta, ma non era neppure calmo. Da buon osservatore dei comportamenti altrui aveva intuito come fosse importante fare un’entrata di scena che rimanesse positivamente impressa nelle menti della gente.

Proseguì per il passaggio per diversi minuti, finché la sua torcia non illuminò alcune scale che salendo verso l’alto portavano ad una porta di legno, rinforzata da spranghe metalliche; dava l’idea di essere piuttosto pesante.

Si scostò il mantello da cui era protetto per prendere le chiavi che aveva nascosto all’interno della cintura, senza fretta, per poi infilarle nella toppa.

La porta si aprì lentamente, con un cigolio lamentoso che avrebbe potuto inquietare qualcun’altro. Lui non era così impressionabile; pur preferendo delegare il lavoro sporco ad altri, aveva visto e fatto cose considerate spregevoli ai più. Cose la cui colpa ricadeva in genere sul primo sciocco senza un alibi valido, che all’improvviso si ritrovava misteriosamente coinvolto in omicidi causati da avvelenamento o strangolamento, congiure contro l’amico del giorno prima, fraintendimenti causati da bugie che non aveva mai detto.

Tornò ad avvolgerlo la piacevole brezza notturna, mescolata al profumo di erba bagnata. Era appena uscito da quello che aveva tutta l’aria di essere un capanno per gli attrezzi, nel bel mezzo di un vasto e ben curato giardino. Ad alcune decine di metri si stagliava nel buio la linea fastosa di una villa, la meta della sua piccola gita notturna. Che ironia, per lui, uscire da un posto del genere!

Dopo aver spento la torcia su una fontana posta strategicamente vicino al passaggio, si premunì di chiudere la porta a chiave; dopodiché si concesse alcuni momenti per ammirare il posto in cui si trovava.

Era la prima volta che utilizzava quella via segreta, ma era già stato lì diverse volte. Tuttavia la sobria eleganza delle composizioni floreali non aveva perso il suo appeal su di lui, ed ogni volta era come se fosse la prima.

Non era un vero e proprio esteta, ma dava importanza ai piccoli dettagli, che potevano fare la differenza nel quadro d’insieme. Ed in quella tela in particolare, spiccavano le rose, i fiori più belli in quella moltitudine di piante a terra od in vasi di terracotta disposti in figure geometriche, il tutto circondato da una discreta siepe e da pini maestosi.

L’uomo si avvicinò ad un cespuglio di rose, avvolgendone una con la mano guantata. Era di uno splendido color rosso vivo, i petali ampi ed ad occhio di una piacevole consistenza. Con un gesto deciso ne recise il gambo, infilandolo poi al sicuro in una tasca interna del suo mantello. Di certo, pensò sogghignando, il padrone di casa non avrebbe fatto complimenti.

Camminando verso la villa notò non per la prima volta che era più grande di quel sembrava dal capanno, e piuttosto bella, forse anche più di quella dove vivevano lui e la sua famiglia. A quel pensiero fu invaso da un sottile senso di fastidio, che scacciò con un gesto della mano stizzito. In ogni caso, il padrone di casa aveva avuto pessimo gusto nella decisione di disporre piante di geranio sui balconi di ogni facciata dell’abitazione.

Il rintocco dei suoi colpi sulla porta avvisò subito la servitù, che lo accolse con il dovuto rispetto. Ora che era dentro non aveva più bisogno del mantello da viaggio, che rimosse da sé con un gesto fluido ed elegante; lo porse alla serva che gli aveva aperto senza nemmeno guardarla.

Conosceva piuttosto bene quei corridoi e quelle stanze, perciò non aveva bisogno di una guida. Mentre camminava evitava di guardarsi attorno: ora che era aveva raggiunto la sua meta, non aveva bisogno di far attendere ulteriormente i suoi “amici”. O forse, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, non voleva indursi in quel vago stato di malessere che lo aveva colto prima. All’improvviso ed apparentemente senza rigor di logica sentì un principio d’irritazione crescere in lui, ma la tenne sotto controllo. Non era proprio il caso, nel colloquio che avrebbe di lì a poco intrapreso, di farsi intrappolare anche in minime distrazioni.

Entrò in una camera matrimoniale. Il suo occhio acuto cadde sul letto e sulle sue lenzuola, lì dove non molto tempo prima l’insoddisfatta signora del maniero gli aveva proposto di rotolarsi. Lei era attraente, perciò la tentazione c’era stata, ma non abbastanza forte da correre il rischio di rovinare l’amicizia con il marito. Era certo della verità che sesso e politica fossero strettamente intrecciati, ma in quel caso non gli avrebbe portato alcun vantaggio.

L’uomo trovò nascosta dentro un armadio una porta già aperta, con delle scale che portavano ad un corridoio. Lì percorse a passo spedito, fino a raggiungere un grande salone sotterraneo, al cui grande tavolo stavano seduti alcuni uomini e perfino qualche donna. Al suo arrivo si voltarono tutti quanti, ed uno di questi, sogghignando disse:

-Buonasera, Monsieur Raphael. Vi stavamo aspettando.

Raphael sogghignò a sua volta al padrone di casa:- Monsieur Jacques, amico mio. Davvero notevole l’idea del passaggio segreto.

-Sapete che mi piacciono le cose eccentriche. Prego, sedetevi pure. Avete notizie sui risvolti della battaglia di Coutras?

Raphael unì le mani a coppa, le dita intrecciate. Muoveva i pollici pensierosamente, come se stesse valutando con attenzione la sua risposta. –Temo di no, signori miei. Ho mandato alcuni dei miei migliori messaggeri sul campo, ma non hanno ancora fatto ritorno.

-Questo è un bel problema- disse un altro nobile, un uomo con un’ispida barba nera ed il doppio mento. –Come possiamo stabilire le nostre mosse, se non sappiamo da dove partire?

Una donna con un vestito color rosso bordeaux disse la sua:-E’ comunque preferibile se mandiamo uomini e mezzi sul campo di battaglia. Non dubito che i nostri alleati possano vincere anche senza il nostro aiuto, ma sarebbe una garanzia in più…

-Se posso permettermi, - disse all’improvviso Raphael -a mio parere al momento è preferibile non intervenire. Dopotutto la battaglia è cominciata in favore dei protestanti, e questo stato di vantaggio perdurerà ancora per un po’ di tempo.

Una donna attraente con una vistosa parrucca bionda si sporse verso di lui. -Monsieur Sorel, sappiamo benissimo che anche voi simpatizzate per Enrico IV. Perché non mostrarci apertamente favorevoli al Calvinismo, se ciò a lung’andare ci porterà dei vantaggi?

C’era una sottile differenza tra il dichiararsi apertamente protestanti ed il simpatizzare per essi, ma questo Raphael non lo disse.

-Perché, mia incantevole signora, la guerra è ancora giovane, e le risorse limitate. Se entrassimo apertamente in guerra, che sia nell’una o nell’altra fazione, pur vittoriosi ne usciremmo distrutti. – Il breve discorso fu interrotto da una pausa per enfatizzare il concetto. Poi, guardando l’intero consiglio, disse:- E’ questo che davvero desiderate, signori miei?

 

*

 

Raphael percorse il tragitto di casa pensando con soddisfazione al suo decisivo intervento alla riunione, che si era protratta per diverse ore. Si poteva già intravedere infatti un certo chiarore all’orizzonte, caratteristico del momento precedente l’alba.

Era un po’ stanco, ma avrebbe avuto tutto il giorno seguente per riposarsi; c’era ancora del lavoro da fare, e l’avrebbe concluso il prima possibile.

Di ritorno al suo maniero s’inoltrò nella stalla per mettere a riposo il suo cavallo. Dov’era lo stalliere quando serviva? Forse la sua pretesa nell’ora più tarda della notte poteva risultare esagerata, ma la cosa lo infastidì un po’.

Dentro l’abitazione regnavano la penombra ed un assoluto silenzio. Raphael si rinchiuse nel suo studio, dove accese una candela che si trovava sopra il suo scrittoio. Ne aprì un cassetto con una piccola chiave che teneva nascosta in una tasca interna della sua giaccia. Al suo interno vi erano una serie di lettere impilate con ordine, indirizzate od inviate ad alcune tra le persone più influenti di Francia: i Montmorency, i Borbone, i D’Orlèans. Raphael prese quella in cima alla pila e la lesse velocemente:

 

Rispettabile Monsieur Sorel,

mi permetto di chiedere nuovamente i vostri migliori privilegi per mandare avanti la causa cattolica. Me medesimo ha saputo da fonti ben informate i maggiori rappresentanti di Rouen legati al credo eretico. Vi chiedo, considerato come vi siete dimostrato degno di fiducia in passato, d’impedire che essi mandino rinforzi in favore dei loro alleati sul campo di battaglia. Dio mi è testimone che questo scontro non è ancora finito, ma forse c’è la speranza che in questi giorni il duca di Navarra vedrà la sua fine.

Ossequi,

Anne de Joyeuse, barone d’Arques.

 

Raphael valutò per un momento se rispondere o no alla missiva, ma concluse subito che non aveva bisogno di lasciarsi indietro una nuova, fresca traccia.

Il suo piano era molto più semplice di quello che trasparisse: eliminare i cattolici fingendosi uno di loro. Il barone d’Arques era stato tra i personaggi più vicini all’attuale re, Enrico III, ma s’era guadagnato l’inimicizia del sovrano dopo aver commesso un atto stupido. Massacrare 800 civili ugonotti, nel momento in cui il tuo re sta cercando di stabilire una situazione di pace, non è esattamente la cosa più saggia da fare.

Ma Raphael sapeva essere molto, molto convincente.

L’occasione di riscattarsi era giunta con la battaglia di Coutras, contro gli uomini di Enrico IV di Navarra, protestante candidato al trono. Se quest’ultimo avesse vinto lo scontro, allora Anne de Joyeuse come comandante dell’esercito sarebbe stato fatto prigioniero e poi ucciso, o sarebbe morto prima nel campo.

Se avessero vinto i cattolici, Raphael avrebbe continuato la sua corrispondenza, e la nobiltà di Rouen, non essendo direttamente coinvolta nella faccenda, non ne sarebbe rimasta compromessa.

I suoi pensieri vennero interrotti dalla vista della maniglia della porta che veniva abbassata. Quest’ultima si aprì lentamente, quasi con timore, lasciando entrare una giovane donna sui vent’anni. Aveva un bellissimo viso somigliante a quello di Raphael, con gli stessi zigomi alti e l’aria importante. Le uniche differenze erano la dolcezza dei suoi lineamenti ed i grandi occhi neri, che avevano però lo stesso sguardo freddo dell’uomo, ma con una punta di malizia. I capelli le scendevano morbidi sulle le spalle, una cascata di boccoli color biondo scuro. Si appoggiò rilassata allo stipite, arrotolandosi una ciocca sull’indice.

-Perché non sei a letto? Un uomo anziano come te ha bisogno di riposo…

Raphael fece ricadere la lettera nel cassetto, senza distogliere gli occhi da lei. Una volta che se ne fosse andata, l’avrebbe fatta a pezzi e poi bruciata. –Potrei chiederti la stessa cosa, Roxanne. Vent’anni ed ancora non ti sposi. Che razza di donna sei?

Le labbra di entrambi si distesero in un sorriso, a cui però non si unirono gli occhi della ragazza. Gli si avvicinò, accoccolandosi sul bracciolo della sedia dove stava l’uomo.

-Lo sai che non mi piace nessuno. E comunque dove troverò mai qualcuno che sia alla mia altezza?

-Dovresti sapere oramai che matrimonio e amore non sono correlati.

Roxanne si lasciò sfuggire una risatina non molto entusiasta. –Credo che Madame Giselle dissentirebbe volentieri. Solo uno schiocco delle dita, e correrebbe subito da te come il cagnolino più fedele.

Raphael si concesse un piccolo sorriso che riusciva tuttavia ad ostentare tutto il suo controllo sulla situazione. Con il braccio destro avvolse le spalle della ragazza, attirandola a sé. –E’ per questo che è la candidata perfetta per essere mia moglie. Non ti preoccupare: ti organizzeremo il matrimonio perfetto, con un uomo la cui intelligenza è inversamente proporzionale al peso totale dell’oro che ha in banca.

Le labbra di Roxanne a quella notizia si distesero in un sogghigno soddisfatto e calcolatore, ma nei suoi occhi si poteva ancora scorgere un cenno di freddezza. Raphael non vi fece caso. Era stato sempre troppo stoltamente tronfio e sicuro di sé per notarlo.

Nella mente di Roxanne di formarono alcune parole, udite non molto tempo prima:

-Una volta che sarà tutto finito, organizzeremo un matrimonio riparatore. Non ti preoccupare: anche se all’inizio avremo ovviamente serie complicazioni, alla fine la situazione si evolverà a nostro vantaggio.

Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta. Il pensiero di quanto denaro e potere avrebbe ottenuto quando esso si fosse eseguito con le sue inevitabili conseguenze, riusciva un po’ a sopprimere il malessere che le saliva in gola di tanto in tanto. Ma preferiva non pensarci: se la sua mente non tornava al piano, allora esso non esisteva.

La ragazza si ridestò dai suoi pensieri. Nulla di essi si manifestò in alcun modo nella sua espressione soddisfatta.

-Quale miglior consiglio, se non quello del proprio fratello maggiore?

Con una certa flemma si alzò dal bracciolo della sedia, compiendo un giro a metà intorno alla scrivania, con i piedi nudi che compivano passi ovattati sopra il tappeto. Finì di fronte a Raphael, faccia a faccia.

Non raccontare nulla di questa conservazione a nessuno. Mi hai sentito, Roxanne? Nessuno.

-E’ un’affermazione assolutamente incoerente con la tua personalità, piccola mia. Non devi stare molto bene.

-Oh? Trovi?

-Trovo. Una risposta riconducibile al tuo carattere sarebbe stata: ‘ricco, stupido, ma anche bello. Non voglio stare accanto ad un fenomeno da baraccone, Raphael.’

-Uhm. Supponevo che quello fosse scontato.

Senza pensarci si toccò i capelli con una mano, attorcigliandosi una ciocca attorno all’indice. L’aria pensierosa venne sostituita nuovamente da uno sguardo complice, la bocca socchiusa in un ghigno. –Tra circa un mese i De Lefevre organizzeranno un ricevimento a cui parteciperanno tutte le famiglie più importanti di Parigi. – s’interruppe un momento, enfatizzando il suo discorso. Al suo trucco rivoltogli contro Raphael fece un sorrisetto cinico, vagamente divertito. La ragazza continuò:-Vorrei che partecipassimo anche noi. Conosciamo qualcuno degli invitati: non sarebbe troppo complicato ottenere un invito a nostra volta.

L’uomo si appoggiò contro lo schienale. –Un ricevimento, dici?- la prospettiva in effetti era allettante. Con un po’ di fortuna sarebbe entrato in contatto con alcuni dei suoi bersagli, affermando allo stesso tempo il prestigio dei Sorel in società. Decise in definitiva, che non era una proposta da gettare via:

-Valuterò con attenzione quello che hai detto, e lo riferirò a nostro padre. Tuttavia, credo che acconsentirà senza problemi alla tua proposta.

La bocca di Roxanne si contraette in un sorriso:- Grazie, fratello mio. Sfrutterò l’occasione per indossare uno dei miei abiti migliori.

La ragazza lasciò lo studio senza aggiungere altro. Per un momento Raphael restò a fissare la porta, poi prese la lettera del barone d’Arques e la bruciò sulla fiammella della candela che teneva sopra la scrivania. Il livello della cera colata da essa indicava che era rimasto lì per diverso tempo. Presto sarebbe andato a letto, concedendosi un meritato riposo.

Non poneva particolare attenzione ai suoi fratelli, ma c’erano delle piccolezze che non potevano sfuggirgli.

Ultimamente Roxanne era strana, rifletté. Dopo un momento però accantonò il pensiero; non era nulla di grave, o che lo riguardasse particolarmente. Era probabile che fosse preoccupata per il partito che avrebbero scelto per lei.

Raphael sapeva che non tutti i desideri di sua sorella si sarebbero avverati, ma si era ben guardato dal dirglielo.

Il suo futuro marito sarebbe stato scelto per il patrimonio che aveva in banca, non per l’aspetto estetico o per l’amabilità del suo carattere.

Ripensò ai suoi occhi inquieti di poco prima con un sorriso senza inflessioni, né di gioia o di tristezza.

Ciò che andava fatto, andava fatto. Presto Roxanne sarebbe cresciuta, in un modo o nell’altro.

 

 

   
 
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