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Autore: CowgirlSara    22/05/2012    5 recensioni
Ognuno ha i suoi piccoli sporchi segreti. Anche le persone più insospettabili. Un omicidio, un prezioso violino. Una vecchia amica di John. E Sherlock a sciogliere i nodi.
Genere: Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DLS
Eccomi qua con il terzo capitolo di questa storia. Forse ci vorrà un po’ di tempo per il quarto, ma dovete perdonarmi per la mia lentezza!
Magari questa storia non tratta degli argomenti più amati su questo fandom, però è la prima cosa che scrivo qui (cioè, la seconda, ma la prima era talmente breve…) e sto ancora, diciamo così, sperimentando. Mi farebbe comunque molto piacere sapere cosa ne pensate!

C’è un leggerissimo spoilerino della 2.03, ma c’è davvero qualcuno che ancora non l’ha vista?!
Io, per precauzione avverto, eh.

Vi lascio quindi alla lettura e aspetto!
A presto!
Sara

Capitolo 3

Il taxi li lasciò davanti ad un elegante palazzo vittoriano di una zona piuttosto elegante della città. Il breve giardino era dominato da due grandi querce dalle foglie verdi e lussureggianti.

John e Sherlock si avvicinarono al portone con passo deciso, ma quando l’investigatore fece per suonare il campanello, il dottore lo chiamò. Holmes si voltò verso di lui spronandolo a parlare, ma con un’espressione chiaramente infastidita.
“Sherlock, stamattina c’è stato il funerale.” Lo informò il dottore; lui aggrottò le sopracciglia perplesso.
“Il funerale di chi?” Chiese infatti.
John spalancò la bocca incredulo: nemmeno si ricordava della vittima? E, soprattutto, perché lui si stupiva ancora che il suo amico rimuovesse certe informazioni…
“Di Holly Barnes!” Esclamò John.
“Ah…” Fece Sherlock. “E allora?” Commentò poi.
“Santo Dio, Sherlock! Era la sua migliore amica!” Sbottò il dottore, tenendolo per un braccio. “Immagino che sarà sconvolta, sarà meglio andarci delicati…”
“Potrebbe essere la colpevole.” Affermò gelido l’altro.
“Ma potrebbe anche non esserlo.” Ribatté John. “Chi vorrebbe essere duramente interrogato in un momento del genere?”
“Non so, non mi è mai capitato…”
“A me sì.” Lo interruppe John. “Ed è stata una delle cose peggiori della mia vita.”
Si fissarono per un lungo momento. Watson sapeva che Holmes, da qualche parte, in un’oasi in mezzo all’arida razionalità del proprio cervello, si sentiva ancora in colpa, lo vedeva ogni tanto affiorare sotto la superficie ghiacciata dei suoi occhi. Era un punto debole di Sherlock che lui si permetteva di usare, ogni tanto. Odiava fargli del male, ma sentiva di non essere ancora in pari col male che gli aveva fatto lui.
“Mi perdonerai mai per quella… cosa?” Domandò infatti Sherlock, più titubante di quello che sarebbe stato normalmente.
“No.” Rispose sbrigativo John. “Ma se ora ti comporti bene, potrei essere più tenero.”
Sherlock sbuffò e scosse il capo, tornando ad occuparsi del campanello, il quale suonò profondo, vibrando all’interno della casa.
Venne ad aprire una bella ragazza castana, un po’ trafelata, con begl’occhi scuri leggermente sfuggenti. Indossava una gonna nera al ginocchio e un maglioncino chiaro.
“La signorina Parker-Lloyd?” Domandò garbatamente il dottore.
“Sì.” Rispose lei, vagando con lo sguardo da un all’altro degli interlocutori. “Voi siete?”
“John Watson.” Si presentò il medico. “Il mio collega Sherlock Holmes.” Aggiunse, indicando l’altro uomo. “Collaboriamo con la polizia per il caso di Miss Barnes.”
“Oh…” Fece la ragazza sorpresa, poi abbassò gli occhi con una leggera smorfia della bocca, che non sfuggì al detective. “Accomodatevi.” Li invitò quindi lei, aprendo di più la porta.
John e Sherlock si scambiarono un’occhiata, prima di entrare in casa. Quando la porta si fu richiusa, seguirono la ragazza in un salone e lei gli offrì del the, che loro accettarono.
Dopo che una linda cameriera ebbe portato un vassoio con un servizio di finissima porcellana e la padrona di casa ebbe versato il the, tutti i presenti aspettavano che qualcuno iniziasse la conversazione.
“Sono ancora un po’ provata.” Esordì Gwendolyn, aggiustandosi un ciuffo sfuggito alla perfetta pettinatura. “Stamattina c’è stato il funerale di Holly.”
Sherlock non si era seduto sul divano come aveva fatto John, ed osservava attento la stanza e la donna dalla sua posizione accanto al camino dai pregiati stucchi bianchi.
Famiglia agiata. Buone scuole. Abiti firmati. Controllata. Non veramente sconvolta. Anello di fidanzamento con pietra di poco valore. Calli ed escoriazioni alle mani dovuti al violoncello. Non il graffio sotto l’orologio. Dovrebbe essere triste invece è arrabbiata.
“Capiamo il suo dolore.” Riprese John. “Ma siamo costretti a farle alcune domande…”
Le sue affermazioni furono interrotte dall’arrivo di un ragazzo. Era alto, i capelli castani chiari e corti. Portava una camicia bianca e dei pantaloni caki.
“Tesoro, va tutto bene?” Domandò a Gwendolyn, per poi osservare per un attimo i presenti.
“Sì, amore. Il mio fidanzato, Matthew Stevens.” Rispose lei, presentando poi il giovane. “I signori aiutano la polizia nelle indagini su… Holly.” Aggiunse la ragazza.
Il ragazzo spalancò gli occhi, che si fecero lucidi, poi appoggiò una mano sulla spalliera del divano su cui sedeva la fidanzata.
“Mio Dio…” Soffiò, prima di sedersi accanto alla donna. “Ci sono delle novità?” Chiese quindi.
“Purtroppo, per ora no.” Rispose Watson. “Siamo qui per chiarire alcune cose.”
Sherlock, nel frattempo, chiuso in un ascetico silenzio, osservava tutto con l’attenzione di un predatore in caccia, lasciando il lavoro sporco nelle mani fidate di John.
Fisico atletico, è uno sportivo. Abbronzatura naturale, lavoro all’aria aperta. Maestro di tennis, probabilmente. Realmente addolorato. Abiti curati ma non di valore. Bracciale di platino, regalo di lei. Matrimonio conveniente. Uomo in trappola.
“Diteci, se possiamo essere utili alle indagini.” Li incitò Matthew.
“Beh…” Fece incerto il dottore, lanciando un’occhiata a Sherlock che lo spronò con un cenno. “Volevamo sapere quando avete visto Miss Barnes per l’ultima volta.”
“Io l’ho vista domenica sera, dopo lo spettacolo, a cena.” Disse il ragazzo; Sherlock non mancò di notare l’occhiata scettica che gli dedicò la fidanzata. “Però lei e Gwen si vedevano ogni giorno per provare insieme, vero tesoro?”
“In realtà, io l’ho vista l’ultima volta mercoledì sera, alle prove in teatro.” Si sbrigò a precisare lei. “Aveva fretta di tornare a casa, forse aveva un appuntamento…”
Stavolta nemmeno a John sfuggì lo sguardo deviante di Matthew, prontamente riportato in riga dalla mano di Gwen che afferrò la sua.
“Noi…” Accennò Watson.
“La ringraziamo, Miss Parker-Lloyd.” Intervenne la voce di Sherlock, interrompendolo. John lo guardò perplesso e interrogativo. “È stata molto gentile, ma ora dobbiamo proprio andare.” Il dottore continuava a fissarlo stupito. “John.” Lo richiamò quindi e lui si alzò dal divano.
“Ehm, ci dispiace di avervi disturbato…” Biascicò incerto il dottore, rivolto agli ospiti. “Grazie.” Anche i due fidanzati li stavano guardando piuttosto esterrefatti.
Pochi istanti dopo, John e Sherlock erano già fuori, sulle scale dell’ingresso. Watson era certamente abituato ai repentini cambi di velocità, di umore, di obiettivo di Sherlock, ma a volte erano così immediati da causargli lievi capogiri.
“Sherlock, che diavolo…” Tentò il dottore esasperato.
“Devo andare al laboratorio del Barts.” Dichiarò l’investigatore, mentre si dirigeva in strada per cercare un taxi.
“A fare cosa?” Domandò John seguendolo.
“Tu vai da Lestrade, procurami una copia del rapporto del medico legale.” Continuò Sherlock, ignorando la domanda dell’amico; una macchina nera si fermò davanti a lui. “Ti aspetto entro le cinque.” Aggiunse il detective, prima di sparire dentro il taxi.
John si ritrovò solo sul marciapiede. Come al solito le spiegazioni di Sherlock si facevano desiderare. Il dottore sapeva che le sue conclusioni lo avrebbero stupito ancora una volta, ma non prima di averlo fatto penare fino all’esasperazione. Si sporse sulla strada e chiamò un altro taxi.

Quando il dottor Watson varcò le porte del laboratorio, Sherlock era seduto davanti al microscopio e non dette segno di averlo visto arrivare. Molly, invece, sobbalzò, sollevando il capo dal computer e sorrise al medico.
“Buonasera, John.” Lo salutò garbatamente; Sherlock fece una smorfia.
“Buonasera, Molly.” Rispose tranquillo Watson, avvicinandosi al grande tavolo illuminato. “Ho preso dei panini, anche per te… vista l’ora.” Aggiunse l’uomo, sollevando una busta bianca.
“Oh, è stato molto gentile!” Esclamò colpita la ragazza. “Allora, se permette, sarò io ad offrire il the.” Continuò lei sorridendo.
“Ti ringrazio…”
I convenevoli furono interrotti da uno schiarimento di voce di Sherlock. La giovane ricercatrice sussultò e John storse la bocca, quindi la ragazza farfugliò alcune scuse ed uscì dalla stanza per prendere il the per tutti. Watson si avvicinò all’altro uomo.
“Sono le cinque e un quarto, John.” Esordì Holmes, con gli occhi fissi nel microscopio. “Ma immagino tu abbia perso tempo a comprare inutili panini.”
“Io sono un essere umano, Sherlock, ho fame.” Rispose infastidito lui. “Non so di cosa vi nutriate voi, sul pianeta Vulcano…(*)” Aggiunse sarcastico, meritandosi un’occhiataccia.
Sherlock, quindi, si spostò verso il portatile posato affianco al microscopio, cominciando a confrontare dati o chissà che.
“Ultimamente sei molto gentile con Molly.” Affermò poi, senza voltarsi.
“Quella ragazza ha rischiato il posto e la carriera per te, ma ho perso la speranza che tu abbia con lei più delicatezza di quanta potrebbe averne un nano da giardino, quindi cerco almeno di non farle pesare la tua austerità.” Spiegò asciutto il dottore.
“Ho ringraziato Molly molte volte.” Replicò arido Sherlock, sempre intento allo schermo.
“Sì, certo, vorrei vedere…” Commentò John.
“Il fatto che tu non fossi presente, non significa che non sia successo.” Dichiarò l’altro. “Il rapporto?” Chiese poi, allungando una mano.
“Prima…” Soggiunse John, esitando in modo che Sherlock fosse costretto a guardarlo. Aveva il fascicolo in mano, ma insisteva a non volerlo dare al detective.
“Cosa?!” Sbottò infatti, spazientito.
“Lestrade mi ha chiesto di riferirti queste esatte parole: «hai un’idea di quanti sederi ho dovuto lucidare per farti avere questi documenti?»” Cantilenò il medico.
Sherlock lo fissò indifferente per un istante. “Spero che fossero sederi più piacevoli di quello di Anderson.” Commentò infine, acchiappando al volo il fascicolo di cartoncino beige.
John sbuffò e lui si mise a studiare immediatamente il rapporto del medico legale riguardante la morte di Holly Barnes.
Molly tornò in quel momento, reggeva le tre tazze di the in equilibrio precario. Le posò sul primo piano a portata di mano, poi ne prese una con delicatezza e si avvicinò alla postazione di Sherlock. Lui le dedicò un’occhiata distratta, tornando subito alle carte.
“Latte e due cucchiaini di zucchero, vero?” Chiese la ragazza al detective; lui la guardò di nuovo, stirando le labbra in una bizzarra imitazione di sorriso.
“Sì.” Le rispose poi. “Grazie, Molly.” Sottolineò quindi, rivolto a lei ma con uno sguardo significativo per John, fermo alla sua sinistra.
“Le schegge sono state sufficienti?” Domandò ancora la giovane ricercatrice.
“Sì.” Annuì nuovamente l’investigatore. “Grazie, Molly.” Fece di nuovo, con lo stesso tono di prima e guardando John allo stesso modo. Lui roteò gli occhi.
“Quali schegge?” S’informò quindi il dottore, cambiando argomento.
“Quelle che Molly ha estratto per me dalla ferita della Barnes.” Spiegò velocemente Sherlock. “E per cui l’ho debitamente ringraziata.”
John ne aveva abbastanza di quel battibecco infantile. Sherlock, quando ci si metteva, poteva essere peggio di un moccioso pedante. Sbuffò, levando gli occhi al cielo.
“Non avrebbe dovuto pensarci la scientifica, o il coroner?” Riprese Watson, continuando ad ignorare le ripicche del suo coinquilino.
“Oh, ma ce ne erano ancora molte.” Intervenne Molly annuendo. “Ne ho estratte alcune prima che il corpo fosse portato via dalle pompe funebri, come mi aveva chiesto Sherlock.” Aggiunse, senza evitarsi un tono sognante sul nome del detective.
John fu preso da un sospetto. Osservò la ragazza, poi Holmes, aggrottando la fronte. Il detective era ancora intento tra il rapporto ed il computer.
“Voi due…” Iniziò il medico, indicandoli con un gesto. “…vi sentite per telefono?”
Molly arrossì con la velocità di una fiammata. Sherlock rimase impassibile e occupato nelle sue cose. John incrociò le braccia.
“Ogni tanto…” Ammise la donna. “A volte… mi chiama.”
Il dottore spostò gli occhi su Sherlock, fissandolo intensamente. Sapeva che lui non avrebbe ignorato uno sguardo del genere, infatti poco dopo alzò gli occhi nei suoi con espressione interrogativa.
“Tu… tu sei…” Fece John.
“Cosa?” Replicò Sherlock. “Affascinante, carismatico e bellissimo?”
John sbuffò un risolino sarcastico e scosse la testa. Lui avrebbe usato altri aggettivi, ma in quel momento ritenne opportuno lasciar cadere il discorso.  
“Che cosa hai scoperto?” Domandò allora, spingendo volutamente la conversazione sull’argomento preferito di Holmes: le sue geniali deduzioni.
“L’arma del delitto.” Enunciò il detective, girando il proprio sgabello in direzione di John. “È un oggetto in legno – abete rosso, specificatamente – ricoperto da diciotto strati di vernice e risalente alla prima metà del diciannovesimo secolo, milleottocentoquarantacique-quarantasei, direi.”
“Hm, bene.” Annuì Watson. “Quindi è stata uccisa con un oggetto di legno, antico.”
Sherlock emise una specie di grugnito spazientito e lo prese per le spalle. “È stata uccisa con uno strumento antico!” Sbottò quindi, scuotendolo appena.  
John spalancò gli occhi. “L’hanno uccisa col Guarnieri?!” Esclamò quindi, sbalordito.
“Ma no!” Sberciò l’altro, levando le mani in aria e spostandosi di fretta oltre il dottore. “No, John! Il Guarnieri è molto più antico! Ed usa tutt’altro tipo di vernice…”
“Sì, scusa la mia ignoranza in fatto di liutai.” Scherzò amaro l’ex soldato.
“Mhhh….” Mugolava nel frattempo Sherlock, gesticolando in giro per il laboratorio.
“Però…” Soggiunse John, pensieroso. “La Barnes era una violinista, è probabile che possedesse un altro violino, visto che il Guarnieri lo aveva in prestito dall’orchestra…”
Sherlock si fermò dall’altra parte del tavolo e fissò con sguardo assente la parete di fronte, poi fece un aggraziato dietrofront e raggiunse il dottore, prendendolo nuovamente per le spalle.
“Ho voglia di baciarti, John.” Dichiarò serissimo. L’altro sbuffò arreso, mentre a Molly precipitava la mascella sul pavimento e li fissava sbigottita.
“Aspetta, prima di scambiare liquidi corporali con me.” Lo bloccò il medico. “Questo ipotetico violino non è stato trovato in casa sua, mi risulta.”
Sherlock lo guardò, aggrottando le sopracciglia. “Dobbiamo verificare l’esistenza del secondo violino.” Dichiarò quindi, lasciando Watson e facendo due passi indietro.
“Potrebbe averlo lasciato in teatro, oppure potrebbe averlo portato via l’assassino, sapendo che era l’arma del delitto.” Ipotizzò John.
“Io controllerò in casa della Barnes, tu vai a teatro.” Annunciò Sherlock, poi guardò l’orologio. “Lo spettacolo inizia tra circa un’ora e mezza. Se il violino non è lì, chiedi a Lestrade.”
Finita la frase, Holmes s’infilò cappotto e sciarpa e prese elegantemente la via d’uscita, ma rientrò dopo pochi secondi.
“Buona serata, Molly e… grazie.” Affermò, sottolineando l’ultima parola, quindi guardò John e gli strinse l’occhio, prima di sparire di nuovo.
Il dottore ridacchiò, esasperatamente divertito. Sherlock era impossibile, ma c’era da dire che aveva senso dell’umorismo, a modo suo. Ad ogni modo, le disposizioni erano date e John doveva rimettersi al lavoro. Pensò che, forse, fosse meglio prendersi uno di quei panini.
“Dottore.” Lo chiamò Molly, mentre lui apriva la busta dei sandwich.
“Sì?” Fece lui, prendendosi il necessario.
“Io la invidio da morire.” Dichiarò la ragazza, lui la guardò perplesso. “Com’è vivere con lui?” Chiese quindi, esplicando il motivo della sua invidia. John sospirò.
“Non per stomaci delicati.” Rispose infine, prima di ficcarsi in tasca l’involucro di un panino e salutare uscendo.

Per Sherlock fu piuttosto semplice violare i sigilli ed entrare nell’appartamento della Barnes. La scientifica, a quanto poteva vedere, aveva rivoltato il salotto da cima a fondo, portando via i cuscini del divano, il tavolino e il tappeto. Oh, la solita noiosissima presunzione di Anderson! Tanto era incapace, anche se si metteva ad interrogare tutti gli acari di quel tappeto.
Il detective sbuffò e, dopo essersi guardato intorno con una giravolta, decise che la sua ricerca poteva cominciare dalla camera da letto.
La casa, in definitiva, non era molto grande, quindi gli ci volle poco tempo per rendersi conto che il violino non era lì. Probabilmente era a teatro, John avrebbe avuto più fortuna.
Si fermò di nuovo in mezzo al salotto, le mani in tasca, scrutando lo spazio in penombra. Doveva pensare. Riflettere sugli elementi raccolti finora. Doveva entrare nel suo palazzo mentale. Ma per farlo aveva bisogno del suo divano.
Sospirò, prima di uscire come era entrato. Sperava che John ritardasse, così avrebbe avuto modo di immergersi nei suoi pensieri in tranquillità.
 
John gironzolava da ormai venti minuti intorno al teatro. Senza il biglietto non c’era stato verso di entrare ed approfittare della vecchia conoscenza col body guard. Ora stava davanti alla porta esterna del backstage, sperando di approfittare di qualcuno che usciva.
Quando la porta di metallo dipinta di rosso si aprì sul vicolo umido, il dottore rimase stupito di trovarsi davanti proprio Matthew Stevens.
Si fissarono per un momento. Il ragazzo sembrò riflettere qualche istante, probabilmente gli sfuggiva dove si erano visti prima.
“Ma lei è…” Mormorò infine.
“Dottor Watson.” Si ripresentò l’uomo, porgendogli la mano. “Ci siamo visti oggi pomeriggio, a casa di Miss Parker-Lloyd.”
“Oh, sì.” Annuì l’altro, stringendogliela. “Lei collabora con Scotland Yard… E’ un medico legale?”
“Una cosa del genere.” Glissò John. “Potrei farle una domanda, Mister Stevens?”
“Glielo ho detto anche oggi, se posso essere utile alle indagini sono a sua disposizione.” Rispose, ed era così sincero che non era necessaria nemmeno la deduzione di Sherlock.
“La ringrazio.” Fece Watson. “Lei, per caso, sa se Holly Barnes possedesse un altro violino, oltre al Guarnieri?” Domandò quindi.
“Beh, certamente.” Affermò Stevens, mentre si accendeva una sigaretta. “Il Guarnieri appartiene alla Fondazione dell’orchestra, lei ne aveva un altro che era appartenuto a sua nonna, ci era molto legata.” John si chiedeva come il giovane sapesse certe cose private, evidentemente gliele aveva raccontate la fidanzata. “Ultimamente lo lasciava qui, nel suo armadietto, non voleva dare nell’occhio prendendo la metro con due custodie.”
“Lei pensa che potrei vederlo? Il violino, intendo…” Soggiunse il medico.
“E per quale motivo?” Replicò Stevens.
“Devo fare una verifica necessaria alle indagini.” Spiegò sbrigativo John, non voleva approfondire troppo.
“Vediamo cosa si può fare…” Tentennò l’altro. “Venga con me.” Lo invitò poi, tornando verso la porta. Watson lo seguì.
Dopo una certa resistenza dell’addetta ai camerini, i due uomini riuscirono ad ottenere la chiave dell’armadietto di Holly. Fu Stevens in persona ad aprire lo sportello.
All’interno c’era qualche effetto personale: una boccetta di deodorante, un golfino verde pallido appeso al gancio, un asciugamano… Nella parte bassa, appoggiata trasversalmente, c’era una custodia da violino rivestita con una decorazione fatta con articoli di giornale incollati.
Matthew rimase per un attimo davanti all’armadietto aperto, con la mano ancora sullo sportello, fissando attonito il contenuto.
“Stevens…” Lo chiamo delicatamente il dottore. Lui sussultò.
“Oh, sì, mi scusi!” Esclamò quindi, poi si strusciò il viso e si allontanò di un passo dall’armadietto. “Mi scusi, ma… c’è ancora il suo profumo…” Mormorò quindi.
John lo fissò per un istante, sembrava veramente turbato. Il giovane si appoggiò a capo basso contro un tavolo, mentre il dottore cominciava a controllare il contenuto.
“Particolare, questa custodia…” Commentò John, prendendo tra le mani il violino.
“Era rovinata, il cuoio intendo.” Spiegò Stevens. “Ma Holly ci era affezionata, perché era di sua nonna, così decise di ricoprirla… Glielo ho visto fare.”
John gli dedicò un’altra occhiata sorpresa e curiosa. Quel tizio non gliela raccontava giusta. Lui non era Sherlock, ma certo non ci voleva un genio dell’intuizione per capire che il giovane e la vittima avevano una relazione. E, a quanto pareva, più seria di quanto faceva pensare la reputazione della Barnes.
“Le dispiace se prendo il violino? Sa, ci sarebbero degli accertamenti scientifici da fare.” Chiese quindi Watson; era sicuro che Sherlock avrebbe voluto esaminarlo di persona.
“Non capisco cosa possa esserci da scoprire sul violino, sarà qui da molto prima della sua morte, ma certamente lei ne sa più di me.” Replicò perplesso Matthew. “Faccia pure.”
John lo ringraziò e annuì, quindi uscirono dai camerini, tornando nel corridoio del backstage. Il dottore aveva il violino sotto braccio.
“Holly aveva dei parenti?” Domandò John, quando furono in direzione dell’uscita.
“Soltanto una sorella in Australia, sarà qui a giorni, purtroppo non è potuta tornare prima…” Rispose l’altro, ma la conversazione fu interrotta dall’arrivo di un gruppo di persone.
“Greg!” Esclamò il medico, quando si trovò di fronte l’ispettore, seguito da Donovan e un paio di agenti in divisa.
“John… Che diavolo ci fai qui?” Ribatté il detective perplesso.
“Io… beh…” Balbettò Watson, cercando una buona scusa, mentre provava a non far notare il violino.
“Il cagnolino da cerca di Holmes, immagino.” Commentò acida la Donovan, il dottore la guardò male.
“Voi, piuttosto…” Riprese John, indicando col capo la combriccola di Scotland Yard. “Volete spiegarmi perché arrivate in forze?”
“Riguarda il signore che ti accompagna, John.” Rispose Lestrade, poi si spostò davanti all’altro uomo. “Matthew Stevens, la dichiaro in arresto per l’omicidio di Holly Barnes.”
“Cosa?!” Esclamò il giovane, del tutto incredulo.
“Ne siete certi?” Ipotizzò il dottore, intervenendo nel discorso.
“Ci sono prove scientifiche che dimostrano la presenza del signor Stevens nell’appartamento della vittima.” Spiegò soddisfatta Sally. “Impronte, sperma e capelli.”
“Io non ho fatto niente!” Gridò Matthew, mentre gli agenti lo ammanettavano e gli leggevano i diritti. “Chiamate Gwendolyn!” Aggiunse, mentre lo portavano via.
“Quello che cos’è?” Si sentì domandare John, mentre stava ancora osservando l’arresto di Stevens; si voltò trovandosi davanti Donovan con gli occhi puntati sulla custodia.
“Ehm, un violino.” Rispose titubante John.
“Ah, e lei lo suona da quando?” Continuò la poliziotta.
“Beh, non io, ma Sherlock…”
“Oh, mi faccia il favore!” Sbottò la donna. “Stiamo cercando anche noi il violino della Barnes!”
John si voltò verso Lestrade con espressione quasi supplicante, sperando che comprendesse a cosa sarebbe andato incontro se non avesse riportato lo strumento a Holmes.
“Mi spiace, John, è una prova.” Affermò il poliziotto, vagamente dispiaciuto.
“Lo metta qui, Dottore.” Lo incitò Sally, porgendogli un sacchetto della scientifica.
Watson, riluttante, sollevò la custodia e la pose all’interno del grande sacchetto di plastica, poi sospirò arreso. Ora cosa avrebbe detto a Sherlock?
Prima di andare, Greg gli si avvicinò. “Dì a Sherlock che deve farci riavere al più presto anche il Guarnieri, non reggo più quel tedesco.” Sussurrò a John, prima di seguire i suoi agenti fuori dal teatro.
Il dottore sospirò di nuovo e si mise le mani in tasca. Cercò di vedere il lato positivo della faccenda: avevano arrestato Stevens, almeno aveva qualcosa da raccontare a Holmes.

John tornò a casa che era ormai notte. Salì le scale lentamente, cercando di preparare qualcosa da dire a Sherlock, sempre che lui non capisse tutto da solo.
La porta del soggiorno era come sempre aperta; lui entrò e si sedette pesantemente sulla poltrona, sospirando. Sherlock era steso sul divano, gli occhi chiusi e le mani giunte sotto il mento, probabilmente immerso nel suo Palazzo Mentale.
“Dov’è il violino?” Chiese però l’investigatore, dimostrando di essersi perfettamente accorto del suo arrivo ma senza cambiare minimamente posizione.
“Era nel suo armadietto, a teatro.” Rispose John.
“Intendo: dov’è ora.” Precisò seccato l’altro.
“L’ha preso Lestrade.” Spiegò il dottore. “Ma ho controllato, non c’erano tracce evidenti.”
“È ovvio.” Commentò lapidario Sherlock.
“Hanno arrestato Stevens.” Riferì allora John.
“Il fidanzato della Parker-Lloyd?”
“Sì.” Annuì Watson. “Cosa pensi che ci facesse Greg a teatro? Ci sono prove della presenza di Matthew nell’appartamento della vittima…”
“Hanno scoperto l’uovo sodo!” Sbottò infastidito Sherlock, portandosi seduto di scatto. “Era l’amante della Barnes, sarà pieno di sue tracce!”
“Ti dirò di più.” Intervenne John. “Secondo me era innamorato di lei.”
“Questa è una deduzione brillante, John, seppure fatta da te.” Fece l’altro.
“Grazie…” Mormorò sarcastico lui; non si poteva lamentare, i complimenti di Sherlock erano sempre di quel tipo e già capire che lo erano necessitava un certo sforzo.
“Dobbiamo tenere anche conto della probabilità che Stevens sia il padre del bambino, diciamo al novantotto per cento.”
“Novantotto?” Soggiunse John.
“Se avessi detto cento mi avresti rimproverato un’eccessiva autostima.” Replicò sostenuto Holmes.
“Andiamo, dillo. So che muori dalla voglia…” Lo spronò il dottore, con un sorrisetto divertito.
“Stevens è, al cento per cento, il padre del bambino di Holly.” Proclamò infine Sherlock.
“Ora sei soddisfatto?” Gli chiese il dottore.
“Molto.” Annuì Sherlock. “Meglio del sesso.”
“Oh, non direi!” Esclamò John ridacchiando.
“Un giorno ti darò la possibilità di smentirmi.” Affermò serio lui. “Quando sarò particolarmente annoiato.”
“Vabbene, ne riparliamo.” Asserì convinto  John. “Adesso, però, che facciamo?”
“Devo pensare.” Dichiarò Sherlock. “Mi serve un po’ di tempo… Tu vai pure a dormire.” Gli disse poi.
“E come ci comportiamo con Stevens?” Domandò il medico.
“Ah, non è lui il colpevole!” Rispose Sherlock, mentre cercava qualcosa sulla scrivania.
“Ma tu hai detto che l’omicidio è legato alla gravidanza, quindi…” Tentò John.
“Lascia stare.” Lo interruppe il detective. “Non sforzare le possibilità limitate del tuo cervello, fai lavorare una mente superiore, vai a letto.”
Una delle solite rispose di Sherlock, ormai non si offendeva nemmeno più, sapeva che il suo coinquilino non gli voleva meno bene solo perché pensava che lui fosse un idiota. Chiunque oltre Sherlock Holmes lo era.
“Vabbene, ho capito.” Affermò arreso il dottore, alzandosi e allargando le braccia. “Ci vediamo domattina.”
“E chiudi la tua porta, se russi mi disturbi.” Gli ordinò Sherlock, rimettendosi sul divano.
“Tranquillo.” Replicò lui rassegnato, mentre raggiungeva le scale. “Mi coprirò anche la testa, per non fare rumore!”

CONTINUA


NOTE:
(*) non potevo tralasciare un riferimento a Star Trek! Io amo questa serie da quando ero bambina e non potevano sfuggirmi le analogie tra il nostro amato Sherlock ed il popolo del pianeta Vulcano, la cui caratteristica principale è il controllare e reprimere le emozioni. Ma come sono soliti dire i Vulcaniani, reprimere le emozioni non significa non averle… Facci i conti, Sherlockino!

Vi saluto come farebbe il mio adorato Mr. Spock!
Lunga vita e prosperità.

   
 
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