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Autore: Annaluz    24/05/2012    0 recensioni
Dopo anni passati a leggere e altrettanti a scrivere poesie, è la prima volta che mi cimento nella prosa. L'ispirazione me l'ha data l'Isola di Pasqua, un posto che mi ha lasciato nel cuore più di quanto avrei creduto possibile. E' lì che è ambientata questa storia.
C'è Rapa Nui e ci sono i Moai; c'è l'Ombelico del Mondo e ci sono amore e guerra, sangue e spiriti, famiglia e amicizia.
La storia sarà lunga, non so ancora quanto. E non so se riuscirò ad aggiornarla in maniera sistematica, ma lo spero, come spero che vi piaccia.
Ma, soprattutto, spero di riuscire ad ottenere dei commenti che mi aiutino a migliorarla. Grazie fin da ora a chi avrà voglia e pazienza di leggermi.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Non dovevo aver perso molto terreno, mi ero allontanata per pochissimo tempo, ma non potevo rischiare di perdere di vista gli altri cavalieri, perciò spinsi Rorotea al galloppo appena fummo fuori dal territorio nemico. Non riuscivo però a dimenticare quello che era accaduto nella foresta, lo strano incontro con l’Aifa’. Mi chiedevo soprattutto come mai non avesse chiamato immediatamente a raccolta i guerrieri del suo villaggio, o come mai non mi avesse attaccata o uccisa o qualunque altra cosa io stessa avrei fatto al suo posto. Mi imposi di smetterla, dovevo concentrarmi sulla corsa e dovevo raggiungere gli altri.
“Vai Rorotea, vai…” urlai al mio cavallo con tutto il fiato che avevo in gola, e decisi che non mi sarei più fermata fino all’arrivo al mio villaggio. Non c’era ormai altro modo di giocarmela. Gli altri si erano allontanati troppo.
All’improvviso mi trovai davanti alle pendici del vulcano Poike, e appena dietro la curva della montagna vidi in lontananza alcuni degli altri. Non riuscii a capire chi fossero, ma spinsi i talloni nei fianchi di Rorotea in maniera spasmodica, finchè non fummo abbastanza vicini da distinguerli. Non era il gruppo di testa, ma non dovevano essere troppo lontani nemmeno loro, visto quanto stavano correndo i cavalieri. Continuai a spronare Rorotea fino a che non superammo di volata il gruppo, che sembrava essersi assottigliato. Evidentemente qualcuno doveva essere rimasto indietro o doveva aver rinunciato. Li passai senza troppa fatica. Sapevo che stavo rischiando di sfiancare Rorotea, e in vista del tratto finale della corsa poteva non essere una buona idea. Ma sentivo di non poter fare altrimenti. Stavamo correndo come avessimo alle calcagna frotte di Aifa’ infuriati. Mi resi vagamente conto dei capelli che mi frustavano viso e spalle, evidentemente dovevo aver perso il laccio di cuoio regalatomi da mio padre; anche il pareo ormai lo stavo perdendo, era rimasto quasi solo intorno al collo e appena poggiato sul petto.
All’improvviso potei scorgere, dietro degli scogli enormi e ferocemente impervi, le sagome del gruppo di testa stagliarsi contro la luce della luna piena. Quella vista mi riempì di nuova determinazione.
“Avanti Rorotea, avanti!” spronai di nuovo il mio cavallo e vidi i profili degli altri avvicinarsi ad una velocità che non credevo possibile. Urlai di gioia mentre li superavo e facevo imboccare a Rorotea il primo tratto della costa sud. Sentii immediatamente degli zoccoli e l’ansimare furioso di un cavallo dietro di me che riguadagnava terreno.
Ero certa che fosse quel pallone gonfiato di Orava.
“Ti eri persa?” lo sentii urlare dietro di me.
“Ho deciso che potevo riposarmi visto quanto siete lenti tu e il tuo cavallo!” risi e urlai nel vento.
Mi fu al fianco un momento dopo. Sorrideva, e per un attimo, un solo attimo, mi sentii di nuovo come fossimo solo Mahinete e Orava. Non il guerriero e la donna degli spiriti.
“Non penserai davvero di poter vincere?” ecco, appunto.
Fu solo un attimo, dopo il quale ci fu il prevedibile e brusco ritorno alla realtà.
Cavalcavamo vicinissimi sulla scogliera. Un solo movimento sbagliato ed entrambi saremmo finiti male, molto male. Ne eravamo entrambi consapevoli, ed avevamo leggermente rallentato l’andatura, come in una sorta di tregua.
“Perchè?” urlò Orava nel vento.
“Perchè, cosa?” gli risposi voltandomi leggermente verso di lui da sopra la spalla.
“Perchè hai voluto correre?” non era irritato e non stava cercando di provocarmi. E questa certezza mi spiazzò al punto tale che l’unica maniera per rispondere, era quella di usare il mio solito e rassicurante sarcasmo.
“Per darti una lezione, sbruffone!” gli urlai sogghignando. Afferrai le redini di Rorotea il più vicino possibile al suo collo e la spronai furiosamente, allontanandomi da lui il più velocemente che potevo. Se fossi rimasta anche solo un altro secondo avrei rischiato di passare dallo stato di assoluta euforia nel quale mi trovavo, a quello decisamente più scomodo, ma indefinibile, nel quale Orava a volte riusciva a gettarmi. Decisi di proseguire con ferocia la mia corsa e non badai nemmeno più al terreno instabile, alle rocce infide e alle onde furiose sotto di me. Volai sulle ali della mia rabbia cieca e della fiducia incondizionata nel mio cavallo. 
Non mi volsi più indietro.
Quello fu solo il primo dei miei errori.
  
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