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Autore: almeisan_    27/05/2012    2 recensioni
E se Elena Gilbert, l’ultima doppelgänger Petrova, stretta in un triangolo fatale, avesse una sorella gemella, totalmente dissimile da lei? E se questa sorella, Nicole, fuggita da Mystic Falls anni prima e di cui non si hanno più notizie, fosse una strega discendente da una delle più importanti dinastie di Salem? E se Klaus, l’ibrido invincibile, proprio per questo cercasse il suo appoggio?
Questa storia si ambienta nella terza stagione, per cui ci sono spoiler per chi dovesse ancora vederle, dall’episodio 3x03 e ha come protagonisti prevalentemente la famiglia Gilbert e quella degli Originari, come sfondo la cittadina di Mystic Falls attraversata dalle morti e dagli scontri soprannaturali e i suoi abitanti.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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18 cap
Capitolo 18
An amazing world

Quando i primi raggi solari le pizzicarono gli occhi ancora chiusi e sognanti, Nicole sospirò, percependo l’arrivo della dormiveglia. Non erano calorosi poiché un vento soffiava, facendola tremare sotto il leggero lenzuolo che la ricopriva interamente. Cercò sul materasso, quasi inconsapevolmente, senza una reale cognizione, la longilinea figura dell’uomo che si era addormentato al suo fianco la sera prima. Non la trovò. Aggrottò le sopracciglia dorate, completamente destata da quel sonno senza sogni che l’aveva accompagnata per tutta la durata della notte, e spalancò gli occhi chiarissimi e timorosi, quasi spaventati, sicuramente mesti e tristi. Avrebbe sperato di trovarlo ancora lì al mattino, ma Klaus non c’era più.
« Nik è andato dai Salvatore. Non voleva svegliarti,» le comunicò una voce femminile, a primo acchito atona, ma leggermente velata di dolcezza. Nicole ne cercò la fonte e la trovò appoggiata sullo stipite della porta, le braccia conserte, gli occhi azzurrini sorridenti. Non ci mise più d’un istante per riconoscerla. Rebekah era unica, non serviva un’intellettuale per comprenderlo. Emanava luminosità, quando era al fianco di suo fratello, e profonda malvagità quand’era da sola. Poteva sembrare una ragazza comune, come le cheerleader della sua scuola, a un primo sguardo, ma, se si esaminava più in profondità, era possibile scorgere un abissale differenza: Rebekah era sola, completamente abbandonata a se stessa, bramosa di quelle attenzioni che un’ordinaria adolescente riceveva ogni giorno quasi senza darci peso. Gli abbracci di una madre, i sorrisi di un padre, gli affetti della propria famiglia, il calore degli amici, la dolcezza di un contatto. Nicole era pienamente convinta che tutto quello le fosse stato negato quand’era divenuta una vampira e se ne dispiaceva poiché notava quanto bene era nel suo cuore. L’aveva visto quando l’aveva sfiorata per la prima volta nel camion. Aveva visto una luce nell’ombra, bontà nelle tenebre di un’anima corrosa dal tempo e dall’odio. Proprio come aveva scorto in quella di Klaus l’imponente dispiacere nell’essere rifiutato da tutti, prima da suo padre, poi da sua madre e infine dalla sua famiglia. Klaus, però, era diverso da Rebekah. In quei mille anni aveva cercato di scacciare quel profondo senso di abbandono uccidendo e torturando mille vittime, come se far del male ad altri potesse in qualche modo essere un rimedio per la propria sofferenza. O forse era solo un esperimento, glaciale, spietato, malvagio. Nicole non voleva neanche pensare a quella possibilità e la scacciò dalla sua mente ritornando alla bella vampira, dai folti e lucenti capelli biondi, che ricadevano a boccoli sulle spalle esili, e dalla pelle perlacea, che era oramai entrata nella stanza. Vestiva in modo semplice, un paio di jeans, dei sandali col tacco alto, una consueta felpa bianca. Nicole annuì e la ringraziò con lo sguardo poi allontanò il lenzuolo da sé e si mise a sedere, « Non è andato via da molto e Mikael si è appena recato all’anagrafe della città per scoprire la nuova dimora della madre della tua amica,» continuò più annoiata accomodandosi al suo fianco, « Nik ti ha ordinato la colazione. È al piano di sotto. Faresti meglio ad andare prima che qualcuno la mangi,» le consigliò. Nicole sorrise, teneramente imbarazzata da quelle attenzioni, e annuì, issandosi in piedi, « Mi ha indicato il bagno. Ha detto che i sanitari funzionato, quindi puoi farti una doccia e cambiarti. Quella felpa è orribile. Sicuramente è di tua sorella,»  aggiunse quasi con sdegno, con un’espressione talmente crucciata e imbronciata da farla ridere di gusto. Era già arrivata alla porta e si voltò indietro per guardarla.
« Sì, è di Elena. Ieri non avevo proprio la pazienza di cercare qualcosa nel suo armadio e non ho più i miei vestiti a Mystic Falls. Sono ancora a Chicago, o a Richmond,» ricordò intristita dopo poco. In quella città non aveva più nulla. Era come se si fosse completamente dimenticata di lei per due anni, come se, andandosene, avesse voluto che Nicole non vi si facesse mai più ritorno. Quella città non la desiderava e quella consapevolezza la intristì, facendole chinare il capo mentre le labbra si curvavano verso il basso in un’espressione mesta.
« Bene. Un’occasione in più per tornarci,» esclamò Rebekah allegra, issandosi in piedi e sfiorandole la mani con le proprie. Nicole alzò lo sguardo sino a incontrare quello sorridente, e incoraggiante, della vampira. Sembrava entusiasta e sulle labbra di Nicole apparve un timido sorriso colmo di dolcezza.
« Perché dovremmo andare a Richmond? » domandò incerta, ma comunque briosa, contenta di non essere ostile alla sorella di Klaus, sebbene Rebekah non era solo quello. Sarebbe potuta essere una sua amica, a Nicole sarebbe piaciuto tanto.
« Voglio dei vestiti nuovi e non mi piacciono di negozi di Mystic Falls. Sono pochi e rischierei di indossare qualcosa che ha già comprato qualcun altro,» sbuffò annoiata e, al contempo, furba, facendola sorridere e annuire, « Mi accompagneresti? »
« Certo, sarebbe un vero piacere per me,» affermò dolcemente e Rebekah la guardò soddisfatta, « Però dovrei avvisare Elena e Jeremy. Non voglio si preoccupino che la pecora nera di famiglia li abbandoni un’altra volta,» soggiunse irritata, percependo la collera crescere. Stare con Klaus le aveva fatto dimenticare quanto dolore le avessero causato le parole di Elena la sera prima riguardo la somiglianza tra lei e Isobel. Nicole non avrebbe mai potuto credere di essere paragonata alla donna che le aveva abbandonate quand’erano ancora in fasce, sebbene comprendesse l’afflizione e l’amarezza, la delusione, di sua sorella. Nonostante tutti i suoi desideri di girare il mondo, fuggire via da Mystic Falls, lasciarsi quella piccola vita alle spalle, Nicole aveva sempre promesso loro che quei sogni non sarebbero mai divenuti realtà. Sarebbe rimasta a casa, sino a quando non si fosse sposata, e non si sarebbero mai separati. Era venuta meno a quella promessa, sebbene non fosse sua la colpa, e loro non l’avrebbero mai perdonata del tutto, com’era giusto che fosse. Rebekah alzò le spalle e incurvò le labbra in un’espressione di sufficienza.
« Tu non mi sembri proprio la pecora nera della tua famiglia, anzi. Almeno non pugnali alle spalle le persone che si aprono con te,» borbottò indispettita, assottigliando i begli occhi azzurri. Nicole sorrise, timidamente, e annuì sfiorandole la mano per poi stringerla in un gesto di dolce fraternità.
« Certe volte vorrei non essere mai andata via. Quando sono tornata, tutto era diverso. Elena era più forte, e più debole allo stesso tempo. Troppo seria, troppo ragionevole, non allegra come quella che è sempre stata la mia sorellina. Jeremy oramai è diventato adulto e mi detesta perché ora sa il vero significato di una promessa che io ho infranto. Mi vogliono bene, lo so, ma non riusciranno mai a perdonarmi, non del tutto, e questo mi fa male perché non potrò mai rimediare. Non c’è nulla che io possa fare perché nessuno ci restituirà mai due anni,» confessò. Lo sguardo di Nicole, mesto e amareggiato, s’era chinato sulle loro mani intrecciate e le parole erano fuoriuscite come un fiume in piena. Non avrebbe mai pensato di aver la forza di pronunciarle a voce alta eppure doveva ammetterlo e, dinanzi a un’amica, come sperava che fosse Rebekah, poteva farlo.
« Per la vostra famiglia sono solo due anni. Non rivedo mio fratello Finn da novecento anni e Kol da più d’un secolo. Elijah da novant’anni e mia madre da dieci secoli. La mia famiglia è morta. Non è che un ricordo. E non è stata colpa di Nik, e nemmeno della mamma. Certe volte credo non sia stata neanche di mio padre,» affermò. Nicole rialzò lo sguardo e le si fece maggiormente vicina poiché notò la sofferenza nel volto antico dell’eterna fanciulla. Tremava lievemente e i suoi occhi erano velati di lacrime trattenute. Nicole le carezzò, solo con i polpastrelli, come se temesse di poterla ferire, la guancia rotonda e Rebekah le sorrise, colma di gratitudine, « Siamo stati tutti noi a farci del male come degli sciocchi. Nik ama la nostra famiglia, farebbe di tutto per noi, ne sono certa. Non è il mostro che tutti vogliono dipingere. Nik è il mio fratellone e il suo sorriso sarebbe capace di rischiarare tutte le tenebre del mondo, se solo distendesse le sue labbra un po’ di più,» le mormorò con dolcezza infinita, tanto da farle tenerezza per il bene con cui pronunciava quelle parole, « Lui è meraviglioso, sai? Quand’eravamo umani, era un ragazzo sensibile, onesto, timido persino,» le raccontò facendola sorridere. Tentò di immaginarlo mentre le gote avvampavano per l’imbarazzo, gli occhi si illuminavano di mille emozioni, e si stupì di esserci riuscita all’istante. Il cuore accelerò i propri battiti nel pensarlo umano. Sarebbe stato bello conoscerlo quand’era solo un ragazzo, totalmente impossibile certo, però le sarebbe piaciuto, « Tu riesci a vedere del buono in lui,» affermò seriamente, facendola avvampare. Era vero, ma non si sarebbe mai aspettata che Rebekah potesse con certezza, sebbene non la conoscesse quasi per nulla, quello che era oramai presente nel proprio animo, « E non ti sbagli. Io ed Elijah, a fasi alterne, in tutta onestà, gli siamo rimasti accanto per mille anni e non me ne sono mai pentita,» si  interruppe solo nel sentire la pancia della giovane che brontolava per la fame. Nicole chinò il capo e avvampò, imbarazzata. La sera prima non aveva cenato e non vedeva l’ora di mangiare qualcosa, « Però perdonami. Ho tolto tempo alla tua colazione. La verità è che è così strano scorgere qualcuno tanto vicino a Nik. Ha un carattere difficile, ma tu sei in grado di vedere oltre e ti ringrazio per questo. Nik ne ha bisogno,» mormorò prima di scomparire con una folata di vento gelido che la investì facendola rabbrividire. Nicole si strinse le braccia al petto e cominciò a discendere le scale bianche, e impolverate, che portavano al piano di sotto. I muratori avevano già cominciato a lavorare. La casa era quasi del tutto pronta. Doveva solamente essere ripulita e arredata. Si diresse verso la sala e notò sul tavolo una busta di carta azzurrina che portava il nome della più buona pasticceria in tutta Mystic Falls. Accanto a essa v’era un biglietto che Nicole lesse prontamente.

Mi spiace di essere andato via prima che ti svegliassi, ma devo trovare i Salvatore e le bare. Passa una buona giornata. Spero di rivederti questa sera. Klaus.

Nicole sorrise, quasi senza accorgersene, e arrossì, i battiti accelerati e il respiro tremante. Si scostò un boccolo dal viso portandolo dietro l’orecchio e ripose il biglietto nella tasca dei jeans. Prese la busta e si accomodò sul tavolo. V’era un cornetto ancora caldo, al cioccolato, come piaceva a lei, e un bicchiere di caffè fumante. Fece colazione in silenzio, guardandosi intorno, pensosa, e facendo oscillare le gambe. Era stato gentile con lei, anche la sera precedente, e quelle attenzioni la facevano avvampare per la gioia. Il cellulare vibrò quando ebbe appena finito di bere il caffè e lo estrasse, guardando il mittente. Era Jeremy. Accettò prontamente e si portò il telefono all’orecchio.
« Buon giorno, sorellona,» la salutò allegro, facendola sorridere, « Ti ho svegliata? » aggiunse più preoccupato quando non la sentì rispondere. Quell’accoglienza l’aveva un poco destabilizzata. Sino al giorno prima era arrabbiato con lei e non credeva che gli sarebbe passata tanto presto, eppure quel tono dolce sembrava dirle il contrario.
« No, Jer. Come stai? Va tutto bene? » domandò accorata, discendendo dal tavolo per cercare Rebekah. La vide subito, seduta sul primo scalino di marmo bianco, le mani giunte dinanzi alle labbra mentre osservava gli operai prendere le misure per una porta.
« Sì, tutto okay. Senti, volevo scusarmi per ieri. Sono stato uno stupido e ti ho ferita. Non avrei mai dovuto. Mi dispiace tanto. Ho detto delle cose che non pensavo solo perché tutta questa situazione mi sta facendo impazzire. Anche Elena è dispiaciuta per averti detto che sei uguale a Isobel. Sai che non lo credeva davvero. Puoi perdonarci?» domandò imbarazzato, con un tono talmente speranzoso da farla sorridere e annuire automaticamente.
« Certo, Jer. Non preoccupatevi, va tutto bene. È solo che è così strano sentirvi parlare in quel modo. Devo solamente abituarmi,» esclamò mestamente, sedendosi al fianco di Rebekah che l’osservava confusa da quell’atteggiamento. In effetti era inusuale il modo che aveva Nicole di rapportarsi con i propri fratelli. Avrebbe perdonato loro qualsiasi colpa o peccato senza battere ciglio, ma non sarebbe mai stata in grado di perdonare se stessa per averli abbandonati, per essere venuta meno alla parola data.
« Non è vero, Nicole. Tu non devi abituarti proprio a nulla. Io ed Elena abbiamo sbagliato,» sussurrò dolcemente. Nicole era commossa e tratteneva a stento le lacrime mentre le labbra tremavano per l’emozione e la gioia. Rebekah posò la mano sulla sua. Stava udendo tutto ciò che Jeremy pronunciata e voleva esserle vicino. Come un’amica, « Però non voglio vederti al fianco di Klaus. Mi urta anche solo pensarti con lui. È un assassino e tu sei così buona e pura. Non puoi macchiarti con il sangue che lui versa ogni giorno. Non lo permetterò. Dovessi ammazzarlo io stesso,» sibilò duro, autorevole, accigliato, una minaccia che per un attimo la fece sussultare. Stava parlando  seriamente. Rebekah aveva scostato prontamente la mano, come scottata da quelle parole e Nicole alzò lo sguardo su di lei. Aveva le labbra contratte, Rebekah, mentre negli occhi già divampava un fuoco malevolo e iracondo. I zigomi si stavano scurendo e Nicole scosse il capo, facendole cenno di calmarsi, che tutta quella rabbia non sarebbe valsa a nulla.
« Jer, non parlare così, te ne prego. Non lo sopporto. Non sembri nemmeno tu,» sussurrò turbata, quasi con un tono di supplica. Sentì Jeremy sospirare pesantemente mentre Rebekah tratteneva la collera dentro di sé. Gli occhi le tornarono azzurri, come di consueto, e le labbra lievemente imbronciate in un’espressione meditabonda.
« Invece lo sono. Non sono solamente il fratellino della doppleganger e della strega, quello che resta sempre a casa e non può far nulla per loro, che non deve causare problemi con i vampiri perché altrimenti potrebbe farli arrabbiare e lasciarsi ammazzare,» esclamò contrito, e indispettito. Nicole sorrise e scosse il capo, per la tenerezza nei confronti di quel piccolo ragazzo che aveva il potere di farla sentire così bene.
« Jeremy Gilbert, ascoltami,» lo invitò gentilmente, con voce dolce e pacata, tentando di farlo ragionare, « Io non ti ho mai chiesto di badare a me né voglio che tu resti inerme dinanzi a tutto quello che succede, ma Klaus non ha alcuna intenzione di farmi del male. Ne sono pienamente sicura,» lo rassicurò ferma e convinta dei propri pensieri. Trovò nello sguardo limpido di Rebekah conferma alle proprie parole e le sorrise.
« Quindi adesso stai con lui o cosa? » domandò con la voce più acuta di un’ottava, incredula e scettica, sbalordita.
« Io e Klaus non stiamo insieme, Jer,» affermò imbarazzata, senza darlo a vedere, mentre le gote avvampavano, infuocate da quella domanda che l’aveva scossa nel profondo. Si affrettò a continuare per impedire ai suoi pensieri di rivolgersi verso la bella figura dell’ibrido, « Non devi assolutamente pensare una cosa del genere. Ma vogliamo entrambi la pace e in questa città mi sembra che siamo gli unici. I Salvatore stanno muovendo guerra contro qualcuno che non vuole assolutamente combattere mentre potremmo vivere un’esistenza felice,» mormorò accorata vedendo Rebekah annuire a ogni parola. Non volevano combattere. Volevano solo avere la loro famiglia indietro per poter vivere nuovamente insieme. Proprio come avrebbe voluto far lei con i suoi fratelli.
« Sì, ed Elena diventerebbe una sacca di sangue ambulante,» la interruppe Jeremy. Percepì un singhiozzo provenire da lui e le venne un tuffo al cuore. Si portò la mano al petto e chinò il capo. Rebekah le afferrò il telefono e se lo portò all’orecchio. Nicole schiuse le labbra, come per pregarla di non far nulla di avventato, e Rebekah le sorrise, annuendo a quella richiesta.
« Se mio fratello avrà la sua famiglia indietro, non necessiterà di crearsene una nuova e la tua sorellina, sebbene io stessa le voglia strapparle il cuore dal petto, trascorrerà la sua bella vita in un’inutile ricerca d’identità crogiolandosi nella scelta,»  esclamò leggere la vampira al suo fianco. Jeremy non parlò per qualche secondo e Rebekah non le restituì il telefono, forse poiché era lei a voler sentire la risposta di suo fratello.
« Io… Non so dove si trovino le bare dei tuoi familiari, Rebekah,» sussurrò timidamente, quasi imbarazzato d’essere stato ascoltato dalla vampira. Nicole fu in grado di notare un impercettibile sorriso distendere le labbra rosee e piene di Rebekah nel sentire la riservatezza nel tono di Jeremy e lei stessa fu teneramente colpita da quel cambiamento.
«  Ne sono consapevole, Jeremy Gilbert, altrimenti ti avrei già torturato per far soffrire tua sorella e per estorcerti informazioni,» replicò dura e minacciosa, ma negli occhi chiari brillava una luce divertita. Le porse il telefono e Nicole lo accettò di buon grado.
« Jer, io e Rebekah andiamo a Richmond,» mormorò dolcemente, « Devo sistemare alcune faccende di pa… dello zio John,» si corresse dandosi mentalmente della sciocca, chiudendo gli occhi, la fronte corrugata, e mordendosi il labbro inferiore. Si scostò un boccolo dal volto e attese che Jeremy rispondesse, dopo che ebbe sospirato pesantemente, come spossato da quell’appellativo. Come incredulo dinanzi all’affetto profondo che nutriva nei confronti di quell’uomo tanto inconsueto e particolare, che non sorrideva quasi mai e quando lo faceva v’era sempre un’ombra di dolore sul bel volto giovane.
« Nicole, non devi preoccuparti di ciò che penso io. Voi siete le mie sorelle, a prescindere di chi siate figlie. Siamo cresciuti insieme e voi mi siete sempre state accanto. Tu ed Elena non sarete mai delle cugine per me,» le rivelò seriamente, facendola sorridere e annuire, anche commuovere. Era bello sentirgli dire quelle parole, le riscaldava il cuore e la faceva tremare per la consapevolezza di sapere che sarebbero sempre stati fratelli.
« Io… Oh Jer, è così difficile da capire e so di poter prendere che tu lo faccia, ma John è mio padre e gli voglio bene. Si è sempre preso cura di me e non mi ha mai giudicata, mentito o fatto mancare nulla,» esclamò speranzosa che lui la comprendesse, che almeno riuscisse a farlo. Non s’era accorta di parlare al presente, tanto presa dalla memoria di quel genitore che tanto le mancava, come la pioggia nel deserto, come il risveglio dopo un incubo, « Nemmeno Grayson, non fraintendermi, te ne prego,» aggiunse con ovvietà, ben ricordando quanto il suo padre adottivo fosse dolce e amorevole con lei ed Elena, con tutti in verità, « Però John è il mio papà e non posso dimenticare questo,» sussurrò dolcemente, intenerita dal ricordo degli occhi azzurri di suo padre che l’osservavano colmi d’affetto. Jeremy rise, leggero, e Nicole aggrottò le sopracciglia confusa da quella reazione, sorpresa e lievemente indispettita. Però non era una risata malevola, o di scherno, bensì dolce e accogliente, intenerita quasi.
« Sei meravigliosa, Nicole. Riusciresti a voler bene a chiunque, a perdonare qualsiasi cosa. Sei così pura e candida, così luminosa, così te stessa,» esclamò sbalordito, ma immensamente soave e benevolo. Nicole arrossì visibilmente, sebbene non l’avesse dinanzi a sé e scosse il capo, come turbata da quell’affermazione.
« Scusami, Jer, devo andare. Ciao,» affermò velocemente prima di interrompere la chiamata, senza udire la risposta di suo fratello. Il cuore le batteva con troppa energia e le lacrime premevano agli angoli degli occhi per fuoriuscire e fluire sulle gote arrossate. Le ricacciò indietro, con forza, e si issò in piedi, le gambe tremanti, « Io vado a farmi una doccia,» esclamò rivolta a Rebekah che l’osservava incredula, le labbra schiuse e gli occhi assottigliati.
« La seconda porta a sinistra della stanza di Nik,» le comunicò atona, ancora incerta. Nicole si diresse velocemente verso la stanza che le aveva indicato la vampira e si chiuse la porta alle spalle. Era entrata in una camera rettangolare, completamente bianca, quasi immacolata, con alcune piastrelle dorate posate accanto al lavabo ovale. Dinanzi a sé aveva una doccia e alcuni flaconi contenenti bagnoschiuma, shampoo e balsami. Ne prese uno e sgranò gli occhi chiari. Era il più costoso in circolazione. Sorrise. Non poteva essere davvero così stupita. Klaus bramava solamente il meglio per sé, doveva sempre essere stato così, o almeno da quando era divenuto un vampiro. Arrossì per quella constatazione improvvisa. Una parte di lui, Nicole non sapeva quanto fosse forte o motivata, voleva lei e Nicole sapeva di non essere il meglio. Non si era mai sentita anonima, né, tanto meno, una nullità come ragazza, però tutte quelle attenzioni non le erano state dedicate da alcuno, nemmeno da Tyler. Forse soltanto nei primi tempi, o dopo le loro liti. Scosse il capo. Non era bene che lei accostasse il nome di Tyler a quello di Klaus, sebbene lo facesse già da alcuni giorni. Tyler era stato il suo fidanzato per tre, bellissimi, anni mentre Klaus era nella sua vita solo da poche settimane. Non era possibile che fosse talmente incuneato all’interno della sua anima, spazzando via ogni dolore, ogni senso d’oppressione con un solo sorriso, un bacio, trascorrendo la notte al suo fianco, scaldandola con il proprio calore. Quel pensiero, sebbene non ne comprendesse totalmente la ragione, le fece venir voglia di piangere, ma ricacciò indietro le lacrime e si spogliò velocemente, avendo notato che v’erano dei vestiti posati sul mobile, anch’esso di vernice bianca. Sotto il getto d’acqua caldissima, continuò a rimuginare poiché la sua mente si rifiutava di interrompere quel flusso ininterrotto di pensieri. Klaus era la prima persona che la faceva sentire viva dopo innumerevoli mesi, che erano divenuti anni. Klaus era qualcosa di nuovo, sconvolgente, che la terrorizzava, facendole sperare che avesse una via di scampo, per fuggire da lui. La terrorizzava, sì, era vero. Perché Klaus turbava la quiete del proprio essere, spezzava ogni sua convinzione con la sola forza del proprio cuore morto, che con lei tornava a battere come se solo Nicole potesse renderlo vivo, umano. E Nicole non voleva essere quello per lui. Sbuffò, la parte più sincera di sé, quella che la spronava sempre ad affermare il vero, sebbene tante volte le avesse causato problemi per la spiacevolezza dell’onestà. Nicole non avrebbe dovuto, però lo voleva. Voleva Klaus, bramava sentirlo al suo fianco, insieme a lei. Desiderava ogni suo bacio, ogni sua carezza, ogni suo sguardo meravigliosamente carico di emozioni di un passato troppo lontano per lei, irraggiungibile. Deglutì, a vuoto, e chiuse il occhi. Poi chiuse anche il rubinetto e uscì, avvolgendosi in un accappatoio bianco poggiato accanto agli abiti, un semplice top glicine e un paio di jeans scuri. Si asciugò e si vestì velocemente. Non voleva far attendere Rebekah più del dovuto, nonostante volesse accrescere la distanza tra di loro, dilatarla, per evitare di confrontarsi con lei sul fratello o su quello strano comportamento che l’aveva portata a interrompere la telefonata. Jeremy non avrebbe dovuto dirle che non era cambiata. Oramai non era più quella ragazza, tanto serena, spensierata, onesta, solare, un po’ troppo espansiva. No, non lo era più. Le avevano portato via tutta quella gioia di vivere, lasciandole solamente il sorriso che non voleva spegnersi del tutto. Sarebbe stato troppo crudele da sopportare se avesse perso anche quell’ultimo elemento positivo. Scosse nuovamente il capo, con più foga ed energia. Non doveva rimembrare ancora il passato, le faceva male. Uscì e si richiuse la porta alle spalle. Rebekah era in cima alle scale, a pochi metri da lei, lo sguardo azzurro puntato verso il piano inferiore, verso un’imponente figura che osservava gli operai lavorare senza posa. Era Mikael. Nicole si avvicinò alla vampira millenaria e le poggiò la mano sulla spalla, destandola dalle proprie meditazioni. Rebekah sobbalzò, visibilmente, poi si volse e le sorrise, accogliente, raggiante, sebbene i suoi occhi rimasero mesti e malinconici.
« Andiamo? » le domandò dolcemente, sottovoce, e Rebekah annuì, quasi timidamente. Scesero la bella scalinata di marmo bianco e Mikael si volse, posando lo sguardo sulla figlia con un lieve sorriso a increspargli le labbra sottili. La vampira aveva le braccia conserte, un’espressione risoluta e seria impressa nei bei lineamenti, il capo alto e fiero.
« Avvisa Nik. Credo torneremo in serata,» gli comunicò atona. Era arrabbiata con lui, Nicole lo percepiva bene e anche il cacciatore fasciato da un elegante smoking scuro. Annuì, un impercettibile movimento del capo, poi il suo sguardo glaciale si spostò su Nicole.
« Mi spiace averlo allontanato da te, questa mattina,» si scusò, sebbene il suo tono fosse divertito, e non dispiaciuto, « È stato altamente imbarazzante vedervi insieme, ma Niklaus deve ritrovare le bare dei nostri familiari,» aggiunse con più serietà, guardandola dritta negli occhi, come per scrutarle l’anima. Nicole era arrossita, di botto, nel sentire quelle affermazioni, e scosse prontamente il capo, schiudendo le labbra. Non sapeva cosa dire, come replicare. Era lei ad essere imbarazzata, non Mikael, soprattutto perché Klaus era appena apparso. Era appoggiato sullo stipite della porta, anche se un attimo prima avrebbe giurato di non averlo notato, con le braccia conserte e un ghigno a rigargli le belle labbra.
« I Salvatore sono introvabili. Ho setacciato la città, ma sono come… scomparsi,» affermò irritato, frizionandosi i ricci dorati e battendo un piede contro il pavimento, come per calmarsi. Rebekah mugugnò qualcosa di incomprensibile per lei, arrabbiata quanto il fratello, mentre Mikael rimase calmo, come si fosse aspettato quell’eventualità. Nicole li guardò, tutti e tre. Sembravano una famiglia molto più di quanto lo erano lei, Elena e Jeremy. Avvampò e sgranò gli occhi, maledicendosi per quel pensiero. Era cattivo, perfido, e i suoi fratelli non lo meritavano, lei stessa non lo meritava. Avevano fatto di tutto per restare uniti e quella meditazione non rendeva loro giustizia.
« Andiamo a Richmond, Nicole,» affermò, nonostante sembrasse più un ordine che una richiesta gentile. Nicole si ritrovò ad annuire quasi senza accorgersene, « Qui non possiamo essere utili e comincio davvero a odiare questa dannata città. Trovate le bare. Voglio rivedere Elijah. Lui è l’unico con un po’ di sanità mentale nella nostra famiglia, l’unico di cui ci si possa davvero fidare,» mormorò più addolorata, afflitta, la voce più acuta di un’ottava, spezzata. Le lacrime le velano gli occhi chiarissimi e Nicole sgranò i propri. Mai avrebbe pensato di vederla piangere, non Rebekah. Le sfiorò la mano, tentando di infonderle serenità e, oltre al dolore, lesse della riconoscenza mista all’empatia nel suo bellissimo sguardo azzurro.  
« Stai esagerando, Bekah,» esclamò Klaus, la voce arrochita dalla rabbia crescente. Volse per un solo istante lo sguardo a lui prima di ritornare alla sorella. Aveva i pugni stretti e gli occhi assottigliati, colmi di un bagliore collerico e dispiaciuto insieme.
« Davvero, Nik? Hai ammazzato la mamma, ci hai rinchiusi in una bara. Pensaci bene, non sono io quella che ha dato di matto per mille anni,» sussurrò prima di afferrarle il braccio e uscire di casa velocemente. Si scusò per quel gesto non appena la mise giù, accanto alla jeep di suo fratello, con un lieve sorriso a cui Nicole ricambiò con uno più ampio, carezzandole il volto.
« Lui vi vuole bene, lo sai,» mormorò dolcemente. Rebekah annuì, seria, austera quasi e le fece cenno di accomodarsi sul sedile del guidatore mentre lei si avvicinò a quello del passeggero. Entrarono e Nicole mise in moto l’auto, percorrendo il vialetto e svoltando verso l’autostrada.
« Lo so, ma questo non significa che debba perdonarlo. Nik è la mia famiglia, ma lo sono anche la mamma, papà e i nostri fratelli. Lui non avrebbe mai dovuto comportarsi così, pugnalarci,» esclamò irritate mentre nuove lacrime fluivano sulle sue belle guance abbronzate, «Finn, il povero Finn,» continuò più dispiaciuta, costernata, poggiandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi, « Non riesco a ricordare nemmeno il suo volto certe volte,» mormorò prostrata, quasi indignata, « E Kol. Sarà anche l’eterno bambino, infantile e immaturo, ma gli voleva un bene dell’anima,» terminò crucciata. Nicole aggrottò le sopracciglia, addolorata di sentirla parlare in quel modo, e poggiò una mano sulla sua.
« Io… Non posso capirti, Rebekah, né, tanto meno, voglio giustificare Klaus per quello che vi ha fatto. Dev’essere stato terribile per te, non riesco nemmeno a immaginarlo,» continuò con più dolcezza, un timido sorriso sulle labbra. Rebekah annuì, la fronte corrugata nell’atto di comprendere dove volesse arrivare, sebbene la ragazza stessa non fosse in grado di comprenderlo, « Forse dovreste solamente parlare, quando i tuoi fratelli saranno di nuovo in vita,» aggiunse meditando tra sé sul significato delle parole che aveva appena pronunciato. Le pensava, davvero, e Rebekah annuì, dolcemente, come immersa nei propri ricordi della sua famiglia. Dovevano essere stati veramente uniti, un tempo, poi qualcosa doveva essere incrinato, indissolubilmente, lacerandoli dall’interno e portandoli a compiere gesti estremi. Non conosceva gli altri fratelli, però era sicura che volessero anche loro ricostruire tutto dalle fondamenta, se aveva inteso bene dai racconti di Mikael e Rebekah. Klaus non le aveva parlato molto dei suoi fratelli, si era soffermato su sua madre e Mikael, mai su Elijah, o Finn, o anche Kol. Doveva soffrire davvero tantissimo per non discorrere di loro e quella verità faceva intristire anche lei.
« Sei gentile,» affermò sottovoce, quasi guardinga, totalmente dimentica della tenerezza che prima l’aveva colta. Nicole aggrottò le sopracciglia per il repentino cambio d’umore e schiuse le labbra, ma Rebekah l’interruppe continuando, « Perché? Io per te non sono nulla, e nemmeno Mikael, però tu sei sempre onesta e sincera, dolce. Cerchi di dare una mano, anche se non ci conosci. Perché? Non sembri avere un secondo fine,» aggiunse poi, meditabonda, come se cercasse di comprendere qualcosa che andava oltre la facciata. Non trovandola. Nicole non aveva cattive intenzioni, né nei suoi confronti né in quelli di nessun altro. Sorrise, timidamente, e guardò il più vicino cartello. Indicava che Richmond era a poco più di mezzora.
« Non ce l’ho, infatti,» confermò soavemente, scoccandole un sorriso mite quando le vide schiudere le labbra rosee, « Ho sempre pensato che la famiglia fosse qualcosa di sacro e nella vostra mi ci rivedo tanto. Siete uniti, nonostante tutto quello che vi è accaduto. Ho notato con quanto amore parli di loro, penso che sia così anche per gli altri,» aggiunse ferma e certa dei propri pensieri, « Farei di tutto per Elena e Jeremy e prima sia per i miei genitori adottivi che per papà e la zia Jenna,» mormorò più triste, con più mestizia e dolore nel ricordare tutte le persone che aveva oramai perduto per sempre. Lacrime afflitte le velarono gli occhi, ma continuò a guidare, calma e rilassata, percependo il respiro di Rebekah farsi più regolare.
« Posso farti una domanda? » le domandò criptica e sibillina. Nicole si volse, per un attimo, sbalordita da quella richiesta. Rebekah le sembrava una persona abbastanza espansiva e non credeva avesse bisogno di un consenso per fare una domanda. Annuì, educatamente, interessata da ciò che avrebbe potuto chiederle, «  È molto indiscreta e non vorrei turbarti, ma avrei necessità di saperlo,» continuò con un tono più rassicurante e allegro. Nicole annuì, ancora una volta, « Sei innamorata di Niklaus? » mormorò a bruciapelo, prendendola alla sprovvista. Per poco non frenò bruscamente la macchina, solo perché dietro v’era un discreto traffico e non voleva generare un incidente di natura assai ampia, ma il cuore prese a batterle con troppa foga e il respiro le divenne corto. Le labbra erano schiuse, gli occhi sgranati, le fronte corrugata. Dire che era sorpresa era un eufemismo. Non se lo sarebbe mai aspettata. Tutto, ma non quello. Se era innamorata di Klaus. Ci pensò, sebbene non ne avesse alcuna necessità. La risposta le appariva sin troppo chiara, limpida e cristallina. Meravigliosamente sbagliata per tutta quella situazione, ma non sapeva mentire a se stessa e non voleva apprendere quella capacità proprio in quel momento. Deglutì e si inumidì le labbra, « Scusami,» esclamò riportandola alla realtà. Quasi la ringraziò mentalmente di averle evitato di rimuginare ancora su quella che oramai era la propria verità, « Sapevo che ti avrebbe turbato. Non so cosa mi sia passato per la mente, però Nik è così preso da te. Dovevo sapere se era anche per te così,» continuò più imbarazzata, la voce acuta, non stridula, bensì incerta e quasi a disagio. Quando aveva affermato che Klaus era preso da lei, era avvampata e le mani, ancorate al volante, avevano tremato per molto più d’un istante. Klaus. Preso da lei. Era paradossale, sfiorava il ridicolo, però Rebekah lo conosceva molto meglio di lei e doveva sapere cosa abitasse nell’animo tormentato di suo fratello, « Però sono stata indiscreta, fin troppo. Non devi rispondere. Se non vuoi, o se non sei pronta,» aggiunse titubante, non percependo alcun suono fuoriuscire dalle sue labbra. No, non era pronta. Non ancora, forse non lo sarebbe mai stata. Se l’avesse ammesso ad alta voce tutto sarebbe cambiato. Sarebbe divenuto troppo reale per essere affrontato. Non voleva perdere nessuno, non a causa dell’amore. E poi a cosa avrebbe portato? A nulla. Klaus era preso da lei, sì, ma serbava nella parte più recondita della sua mente il dolce ricordo della sua Tatia. Non sarebbe mai riuscita a spodestarla se nessuna, e dovevano esserci state molte donne vista l’avvenenza dell’ibrido, l’aveva fatto in mille anni. Non voleva essere un surrogato, per nessuno, tanto meno per una persona per la quale provava un sentimento così forte. Sarebbe stato aberrante, troppo triste, certamente inutile e motivo di una sofferenza troppo grande per essere sopportata. E lei non voleva più soffrire. Al secondo posto, dopo una donna morta mille anni prima. Non era solamente triste, era patetico e Nicole nutriva troppa stima nei confronti di se stessa per esserlo. Scosse il capo con foga e si scostò un boccolo dal volto, poi volse lo sguardo a Rebekah.
« Non sei stata indiscreta, Rebekah,» mormorò dolcemente, intenerita dall'interesse che mostrava la vampira, poi le sorrise, una mite increspatura delle labbra a cuore, « Io ti capisco. Se fossi nella tua stessa situazione per Jer, anche io lo chiederei alla fortunata,» aggiunse raggiante, prima di aprirsi in una leggera risata per riportare nell’abitacolo un’atmosfera soave. Rebekah sorrise e annuì.
« Alla vampira fantasma?» domandò ironicamente facendola ridere di gusto, sino a sentire eclissata ogni tristezza. Era simpatica, Rebekah, un’anima pura nel corpo di una vampira millenaria.
« Spero la dimentichi presto. Ho tanta paura per il mio Jer,» le confessò mesta, abbassando lo sguardo e sospirando lievemente, « È cambiato, e non è un bene. Però so che non è stata colpa di Anna,» aggiunse comprensiva e affettuosa. Non l’aveva mai conosciuta, ma le era sembrata una brava persona in quei pochi istanti in cui l’aveva scorta quand’era un fantasma, « Devono essersi amati così tanto. Con Bonnie sarebbe stato più semplice. Bonnie è una ragazza normale, un’adolescente matura per la propria età, questo sì, ma è sempre una giovane donna. Anna era una vampira. E con questo non voglio dire di avere nulla contro di voi, però non augurerei a nessuno di innamorarsi di una persona che non potrà mai essere tua,» mormorò, mordendosi poi il labbro inferiore. Non avrebbe mai dovuto parlare in quel modo dinanzi a una vampira come Rebekah. Si sarebbe sicuramente offesa e Nicole non voleva incrinare quel bel rapporto che vedeva sul loro orizzonte. Eppure, ogni volta che pensava ai vampiri, la sua mente si indirizzava verso sua madre. Isobel aveva abbandonato persino Alaric, l’uomo che amava talmente tanto da sposarlo, per divenire una di loro.
« In che senso? Vi sono state molte storie tra vampiri e umani,» sussurrò incuriosita, incerta di ciò che volesse esprimere con quelle ultime frasi. La guardava con le sottili sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata.
« Sì, ma gli umani, nella maggior parte dei casi, sono divenuti vampiri perché non volevano perdere le persone che amavano,» contestò rimanendo sempre con lo sguardo puntato alla strada. Non voleva che scorgesse le emozioni presenti nei suoi occhi. Stava mettendo se stessa in quell’ultima parte di discorso. Lei e Klaus. Tutte quelle che sensazioni che l’ibrido immortale le faceva vivere.
« Perdonami, non riesco davvero a comprenderti,» affermò Rebekah, più incerta.
« Non c’è nulla da capire, Rebekah. Non sto dicendo assolutamente nulla. È solo che… Non lo so. Lascia perdere,» mormorò con un sorriso turato, tornando a guardarla. La vampira scosse il capo, con foga, e le fece cenno di riprendere il discorso.
« No, continua, per favore. È ovvio che una strega parli in questo modo, voi siete delle servitrici, noi degli abomini,» esclamò comprensiva e condiscendente. Toccò a Nicole scuotere il capo, poi tornò alla strada.
« Io non vi odio, Rebekah, affatto,» affermò veritiera mentre lacrime, segno di un’emozione che non sapeva bene qualificare, le velano gli occhi. Era vero. Sebbene fosse cresciuta in una famiglia di cacciatori, non odiava i vampiri, non tutti perlomeno. Solo quelli malvagi e senza scrupolo alcuno, che si gloriavano della propria potenza e uccidevano i più deboli senza battere ciglio. Per loro provava un profondo disprezzo, però sapeva che non erano tutti così. Ve ne erano diversi che le avevano dimostrato di poter essere buoni. Primo tra tutti Stefan, « Però non capisco come facciate a non temere l’immortalità. È così anormale per me,» esclamò, rivelando infine tutte le proprie paure. Era liberatorio aprirsi con qualcuno che avrebbe potuto darle qualche risposta. Rebekah rimase in silenzio per alcuni attimi, facendole pensare che non avrebbe mai risposto.
« In effetti, io l’ho sempre temuta, ma c’era Nik con me. Sapevo che tra le sue braccia ero al sicuro, che lui mi avrebbe protetta da ogni pericolo e la paura scompariva,» sussurrò intenerita dai propri ricordi tanto da farle nascere un sorriso spontaneo sulle labbra, « Nik è sempre stato capace di atti di profonda malvagità, ma anche di gentilezza e amore. È difficile, arduo, comprenderlo, ma troveresti un mondo all’interno della sua anima, un universo meraviglioso, complesso, pieno di luci e ombre,»  le rivelò dolcemente, facendole aumentare i battiti cardiaci, tremare persino. Avrebbe voluto urlarle di smetterla. Quel senso dell’onore e l’amore verso la propria famiglia si ribellavano a quel sentimento che le squassava l’animo nel ricordare la bellezza degli occhi di Klaus. Sarebbe morta pur di poterli rivedere ancora una volta, « E so che non dovrei dirtelo per Elena, o Jeremy o per i tuoi amici. Però tu lo ami, Nicole, e tu stessa sai che non è un errore,» mormorò con tenerezza infinita, poggiando una mano sulla sua, stringendola per farle percepire il proprio calore oltre il freddo della pelle. Accostò la macchina. Non riusciva più nemmeno a guidare, a osservare l’asfalto, il panorama, i cartelli che le dicevano di essere a pochi kilometri dalla città che già si poteva scorgere. Non era in grado nemmeno di respirare a dovere. Uscì dalla macchina, velocemente, scattando fuori dallo sportello, avanzando verso il guard rail di metallo grigio. Poggiò le mani aperte su di esso e tentò di ripristinare le capacità respiratorie, inspirando profondamente, gli occhi chiusi, serrati. Doveva sembrare una pazza e forse lo era davvero. Lo amava. Lei lo amava. Si era innamorata di Klaus. Era tutto così dannatamente vero da spaventarla a morte. Perché era finalmente a casa, dove aveva sempre voluto essere.
  
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