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Autore: Silver Pard    28/05/2012    2 recensioni
Il lieto fine dipende dal punto di vista.
[ Raccolta di rivisitazioni fiabesche:
01 ~ Cenerentola – Lei era acqua, e non esiste ostacolo che non possa superare.
02 ~ La bella addormentata – Profondamente addormentata e indescrivibilmente bella: se l’è cercata.
03 ~ La bella e la bestia – Le manca la Bestia.
04 ~ Il gatto con gli stivali – Il Gatto non è più tanto accomodante.
05 ~ Cappuccetto Rosso – Facciamo un gioco.
06 ~ Le fate – A volte le si tagliavano così tanto le labbra che i diamanti parevano rubini.
07 ~ I sei cigni – Il sesto fratello, il sesto cigno si abbandona alla deriva, dilaniato tra due mondi.
08 ~ Biancaneve – E si sveglia con il labbro rotto a morsi e gli occhi neri di odio e il cuore pieno di ghiaccio.
09 ~ Mr Fox – Osa, osa, ma non osare troppo, o il sangue dentro il cuore ti si ghiaccerà di botto.
10 ~ Hansel e Gretel – Soprattutto, ha paura del modo in cui sua sorella guarda alla strega.
11 ~ Tremotino – Il tuo nome è panna nella sua bocca, ma nelle dosi giuste, tutto è veleno. ]
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Master ~ Padrone






Il Marchese è un uomo pallidino e nervoso che avrebbe potuto conservare la bellezza di un tempo, se la paura e le ansie costanti non avessero solcato il suo viso. Accoglie con un sorriso impacciato e teso, non riesce mai a mantenere l’attenzione fissa sugli ospiti. La ragione della sua distrazione talvolta si palesa. Il Gatto entra nella stanza con una sicurezza che i re possono solo invidiare.

Il Marchese ha paura del Gatto. Forse lo odia, ma di certo ne ha paura.

Quello si accovaccia sul davanzale, accanto al fuoco e al tavolo, e lo rimira con lo sguardo divertito e altezzoso tipico delle specie feline. Sua moglie ride dei suoi timori, e ciononostante lei e la servitù stanno sempre alla larga dal Gatto.

Non ha mai avuto un nome. Solo “il Gatto.” I bambini lo chiamano “Micio,” e il Marchese si chiede sempre quand’è che comincerà a fare le scarpe (stivali) a tutti loro. Sa che sta solo aspettando il momento giusto. È un gatto, dopotutto.

Un nome, Padrona? è ciò che la Signora di Carabas gli immagina domandare in tono vuoto, disdegno stupefatto negli occhi d’oro, la parola “Padrona” impregnata di spontaneo e quasi impercettibile scherno. Che me ne farei di un nome? Sappiamo tutti benissimo chi sono. A volte si degna di avvicinarsi agli ospiti, guardandoli con singolare disprezzo finché il Marchese non lo presenta a disagio come “Il Marchese di Carabas.”

I suoi ospiti pensano sia una battuta.

(Signor Marchese di Carabas è il vostro nuovo nome, mio Padrone. Non siete mai stato nessun altro. Tenetelo bene a mente.)

« Micio » lo chiama imbarazzata la Marchesa, sentendosi ridicola, e sapendo che non c’è logica ragione per tanto nervosismo. È solo un gatto. Quello alza la testa e tira sdegnosamente su col naso. Viene colta, come ogni volta che la sua strada incrocia quella del Gatto, da un’improvvisa empatia con i topi.

Una volta, lo trovava incantevole. All’epoca era lucente e mellifluo, naturalmente elegante; aveva mormorato timidamente al suo nuovo marito che quel muso le pareva dipinto da fate, che avevano tracciato quei disegni irregolari e marmorizzati con dita affusolate. Suo marito aveva riso tanto a lungo e così forte che aveva temuto morisse soffocato.

Allora era un gatto bellissimo. Forse è la sua immaginazione, o l’isteria latente che riveste ogni parte della tenuta dei Carabas, ma adesso sembra più grosso. Più feroce.

(Brava gente che falciate, se non dite che tutto questo grano appartiene al signor Marchese di Carabas, sarete tutti triturati a pezzettini, come carne da polpette.)

Anche suo padre era rimasto colpito dal Gatto, ricorda. Lei lo aveva trovato dolce quando, con quelle sue curate zampette bianche (stivali? Quelli non saranno mica), aveva presentato loro una lepre, un pesce e una coppia di fagiani… Suo padre era rimasto colpito dal servilismo del Gatto. Qualunque uomo riesca ad asservire un gatto, aveva detto il giorno del suo matrimonio quando lei aveva pianto e lo aveva implorato di non portarla all’altare, è un uomo degno di rispetto.

(Brava gente che mietete, se non dite che tutto questo grano appartiene al signor Marchese di Carabas, io)

Ha imparato a voler un gran bene (ad amare, addirittura) suo marito, anche se forse in segreto lo guarda un po’ dall’alto in basso. La sua fortuna è un gatto molto astuto, dopotutto.

(Brava gente)

Ricorda il loro primo banchetto insieme, quando aveva visto uno sconosciuto con abiti presi in prestito che la fissava dall’altro capo del lungo tavolo, suo padre allegro e caloroso. Aveva capito che stava prendendo in considerazione l’idea di affidarla a quell’uomo, di prenderlo come futuro genero, come futuro re. Aveva un volto abbastanza gradevole, rammenta di aver pensato; ricorda anche di aver notato che aveva le mani ruvide e piene di calli – le mani di un lavoratore, altro dettaglio che aveva apprezzato, perché era stanca di bellimbusti pallidini che non facevano che blaterare di caccia, cavalli e falconi. Si era detta che forse era un nobile abbastanza saldo da non temere che si sapesse che svolgeva lavori umili, ma prima della fine della cena aveva scoperto che era un ricco nobile quanto lei una lavandaia.

Non sapeva come usare le posate, si rifiutò di mangiare fino all’arrivo del Gatto; poi il Gatto gli si accovacciò sulla spalla, si mise a fargli le fusa all’orecchio mentre lui gli accarezzava goffamente le orecchie, nervoso, con tocchi leggeri – decisamente insufficienti per una reazione così entusiasta. Lei lo aveva preso in giro, dicendo che forse il Gatto gli stava bisbigliando qualcosa all’orecchio, perché tutto sommato lui le piaceva (non abbastanza da sposarlo, perché un marito e un pretendente sono molto spesso due cose assai diverse) e aveva pensato che, dovendo essere molto affezionato al Gatto, lui avrebbe apprezzato il complimento. Per tutta risposta lui era caduto nel panico fino al sibilo arrabbiato del Gatto, che lo aveva placato all’istante.

(Non sapete quanto siete stato fortunato, Padrone.)

Il Gatto lo aveva seguito fedelmente durante il tour del palazzo che aveva dato loro suo padre, come oggi non farebbe mai, e i commenti del ragazzo erano stati puntuali, intelligenti, penetranti… e sempre seguiti da un tenue miaodel Gatto.

Era a disagio, chiaramente un po’ teso tra i nobili e i cortigiani. Lei lo osservava e si era accorta, sorridendo con meravigliata gioia – e forse era stato questo a convincere suo padre più di ogni altra cosa, perché era stato un brav’uomo che per lei aveva voluto la felicità, oltre che un buon partito – che a volte imitava il Gatto in tutta la sua superba e sofisticata superiorità. In quel momenti, si amalgamava alla perfezione.

(Posso rendervi ricco, se solo mi ci ingegno.)

Il Gatto non è più tanto accomodante. A volte le capita di guardare suo marito, che guarda il Gatto, e capisce, senza parlare, che lui si sta chiedendo quando morirà e che spera con fervore succeda presto.

« Non per dire, Padrona » le dice un giorno la sua domestica personale, con una cauta occhiata di sbieco per controllare che il Gatto non sia nei paraggi. « ma quella cosa mi dà i brividi. »

Lei stessa ha un po’ paura del Gatto, anche se lei è la sua favorita: si accoccola accanto al fuoco quando lei va a leggere lì, le permette addirittura – a volte – di accarezzargli le orecchie. Le fa fusa a profusione; suo marito spergiura di riuscire a sentirle dal corridoio, benché i muri siano fatti di pietra spessa oltre mezzo metro. È contento di lei, e lei è lieta di accontentarlo, e si dimentica di quanto suo marito rabbrividisca alla vista del Gatto, dimentica i domestici che arrivano a voltarsi e uscire dalla stanza che avevano intenzione di pulire quando ci vedono il Gatto dentro, dimentica il terrore che la assale quando vede il Gatto sporgersi sopra la culla per sbirciare il bambino… Suo marito era pur sempre un contadino, per quanto lei abbia imparato ad amarlo. È solo superstizioso, pensa in quei momenti accanto al fuoco, il suono costante e pesante delle fusa del Gatto che riempiono l’aria come tuoni lontani, il pelo tanto soffice contro le sue dita tremanti.

(Non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali, e vedrete come la sorte non sia stata tanto cattiva con voi quanto credete.)

Ogni tanto si chiede come suo marito sia incappato in questa tenuta, perché chiaramente non ci vive dalla nascita. Nella loro prima settimana lì si perdeva sempre; aveva impiegato un mese per scoprire l’entità delle sue terre, e negli anni è capitato ancora che ammettesse, con evidente imbarazzo, di essersi perso. Lei è abbastanza saggia da non fare domande – il suo matrimonio è pieno di compromessi discreti come questo.

Crede di conoscere già la risposta, ma si sente stupida per averci anche solo pensato. Quando i suoi occhi incontrano quelli del Gatto, è la prima a distogliere lo sguardo.

(Fate silenzio, ragazzo.

« Ma Gatto- »

Niente ma! Non vi avevo detto che vi avrei procurato una fortuna? E non è stato forse così? Dov’è la vostra obiezione? Non è questo il momento per acquisire una coscienza, ragazzo.
)

Lei sa. Certo che sa. Sarà una principessa, ma non è stupida.

Talvolta si chiede, irrazionalmente – dev’essere un pensiero irrazionale, si ripete, anche se ha molta paura di sbagliarsi – se adesso il Gatto esigerà il suo primogenito. È un bel bambino, Costantino, sebbene un po’ incline al rischio. È affascinato dal Gatto come il gatto da lui sin da quando era un neonato con le guance paffute, e a volte pensa sia fermamente convinto di avere nove vite come il Gatto.

(Un dono per Sua Altezza Reale il Re dal mio munifico, egregio padrone, il Marchese di Carabas.)

La prima parola di Costantino è stata “Gatto.” La seconda è stata “Micio.”

Era stata ad accudire la sua culla per mesi, aveva atteso con estrema pazienza le sue prime parole, volendo sentire dal suo amato figlio che lui sapeva quando lei gli volesse bene e che ricambiava il suo affetto per lei, intrappolata in un matrimonio con un uomo che non conosceva e non era sicura avrebbe mai potuto amare (era un’inguaribile romantica, prima del suo matrimonio). La parola “Gatto” fu come lo schiaffo che suo marito non le ha mai dato. Quando la sua parola successiva era stata “Micio” le era venuta una crisi isterica – con grande sardonico divertimento del Gatto, in aggraziato equilibrio sulla sbarra in legno del lettino – e i domestici l’avevano messa a letto che ancora piangeva, e l’avevano assistita per giorni finché non aveva ritrovato la forza per affrontare ancora una volta suo figlio e provare a estorcergli un “mamma.”

Per quell’episodio odia ancora il Gatto. Appena un po’. Ha la sensazione che lui lo sappia. Di certo, suo marito ne è convinto. « Non guardarlo così » la implora a bassa voce, e non riesce a velare completamente l’esasperazione nei propri occhi quando gli rivolge lo sguardo. Ha il sospetto che questa sia l’unica ragione per cui il Gatto non le serbi rancore per il suo odio.

(Ah, notevole invero, ma potete, essendo voi una creatura di tale grandiosa – e imponente, certamente siete imponente – stazza, trasformarvi in qualcosa di piccolo… qualcosa come… un topo?)

Finge di non capire la paura di suo marito, e forse è per questo che il Gatto le si rannicchia in grembo e le concede di accarezzargli il pelo marmoreo. Non gli importa che lei menta; forse è proprio per questo che lei gli piace, essendo lui stesso il signore delle menzogne.

(Vi confesso che la cosa mi sembra impossibile…)

Si sveglia nella notte, sudata, la testa piena di immagini dei suoi figli soffocati nel sonno dal pelo folto del Gatto, incubo ricorso spesso sin dalla nascita di Costantino, perché il Gatto tende a sdraiarsi nel lettino accanto ai bambini quando sono appena nati. Il Gatto è la ragione per cui va dalla sua vecchia balia a chiedere pozioni e polveri per evitare il concepimento, e ancora ricorda di come la scoperta delle arti della donna l’aveva stupita e sbalordita. Il Gatto è la ragione per cui i suoi figli nascono sempre a diversi anni di distanza, perché ogni volta attende che superino la prima infanzia prima di poter tirare un sospiro di sollievo, prima di poter sopportare anche solo il pensiero di averne un altro. Si aspetta sempre che questa sia la volta buona che il Gatto si stanchi di loro e semplicemente-

(… un topolino davvero saporito. Dormi sereno, topolino, farò buon uso della tua dimora.)

-si stiracchi. Si rotoli sulla schiena. Prema il corpo pesante e peloso contro le loro bocche piccole come boccioli di rosa.

A volte si domanda come sia morto il padre di suo marito, come abbia fatto il Gatto a capitargli in eredità.

(Non state ad affliggervi, nuovo padrone)

Sogna suo marito, che affoga davanti agli occhi del Gatto, perché ovviamente non sa nuotare, ha paura delle acque profonde e sempre ne ha avuta fin dal giorno in cui suo padre l’ha incontrato mentre faceva il bagno

(Aiuto! Il Marchese di Carabas sta affogando!)

nel fiume. Il Gatto costituisce il mondo dei suoi sogni, con gli occhi d’oro luccicanti e scaltri. Costituisce il mondo al di fuori dei suoi sogni.

Il Gatto al momento dormicchia sul suo letto e la guarda con gli occhi mezzi socchiusi, l’ozio personificato. Allunga una mano, prudente, aspetta che lui le dia il suo tacito permesso prima di accarezzare i disegni curvilinei e ondeggianti dipinti sul suo muso da dite fatate.

(Obbeditemi, e la vostra fortuna è bell’e fatta.)

Sì, ha paura del Gatto, ma è un padrone generoso, finché la servitù se ne sta al posto suo.
   
 
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