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Autore: puntoeacapo    28/05/2012    3 recensioni
Tra me e Ian Somerhalder non c’era nulla se non un bel principio d’amicizia. Già.
Quando smetterò di avere pensieri poco amichevoli su quelle labbra o su quei occhi, forse.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Paul Wesley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A/N: Eccoci qui con questo capitoletto.

1 Note nel testo E' la protagonista in Custodi del Cuore, storia scritta da Anastasia da cui prende spunto 'Vincitrice per sbaglio'. Come avrete ben capito, la nostra Anastasia ha finalmente ricevuto la bella notizia. Sinceramente non vedevo l'ora.

L'avventura, in poche parole, inizia solo ora.

Spero di aver scritto di emozioni e situazioni più realistiche possibili perché era quello il mio intento.
Accetto molto volentieri consigli su qualunque cosa ;)

A presto allora!
Baci,
{-Eyes

 

Benvenuta in famiglia, Annie.

Mi ero svegliata alle due del mattino.
Dico io, alle due! Poteva essere il primo segno della fine, davvero.
Avevo seriamente avuto l’input di scagliare il cellulare contro la parete e di rimettermi sotto le coperte –non sarebbe stata la prima volta, certo-  ma poi Puck aveva abbaiato.
Lo aveva fatto perché anche lui avrebbe continuato a dormire volentieri – tale cane, tale padrone e si era stizzito a livelli che avrei potuto considerare olimpici senza molta fatica. Ad ogni modo, aveva avuto il potere di svegliarmi completamente  -  e quando dico ‘completamente’  intendo anche i ricordi.

Tutto quello che era successo durante la giornata di ieri, tutto quello che sarebbe successo in poche ore.

Sentii improvvisamente la gola secca.
Avevo fatto bene a mettere la sveglia così in anticipo, allora. Sì, perché prima che mi alzassi dal letto passarono trenta minuti buoni, durante i quali non ero riuscita a muovere le gambe neanche di un centimetro ed ero rimasta a guardare il soffitto nella camera ancora buia.

Avevo bisogno del mio tempo per scrollarmi di dosso il panico.
Il lato positivo? Non ero svenuta, non ancora almeno. (In ogni caso avevo programmato una sveglia di riserva. Tanto per smentire le voci sulla mia paranoia, ovvio.)

Alla fine ero riuscita ad alzarmi, cercando d’ignorare la rigidità dei miei muscoli che – apparentemente- non avevano proprio una voglia matta di collaborare e rendere, magari, le cose un po’ più semplici.
Non potei fare a meno di sospirare, seduta sul bordo del letto, stropicciandomi gli occhi con due dita; in questo genere di situazioni, c’era solo una cosa che una ragazza come me poteva fare: buttarsi sotto la doccia, abbastanza a lungo da rinsecchire sotto il getto freddo.
Era un bene che conoscessi me stessa così bene: mettere la sveglia anticipata era stata un ottima precauzione per evitare di perdere l’aereo delle cinque meno un quarto. Dovevo essere all’aeroporto minimo un’ora prima per il check-in, in più quando viaggiavo amavo prendermela con comodo per evitare stress.

Ovvero, evitare altri stress.

Alle tre meno dieci ero di fronte allo specchio incorporato all’anta esterna dell’armadio, vestita in maniera molto semplice con pantaloni stretti e chiari, una canotta a spalline larghe nera e delle Sneakers fuori stagione. Mi stavo asciugando il lunghi capelli bruni, cercando di far diventare quei boccoli qualcosa che non somigliasse ad un incrocio tra un cespuglio e una strada drittissima.
Mi piacevano i miei capelli naturali, con semplici boccoli che mi cascavano sulle spalle, il problema era sempre dopo la doccia, quando erano bagnati e quindi  i riccioli non erano mai definiti. Né lisci, né ricci.. un mistero che mai avrei tentato davvero di comprendere.

Ecco, pensare a qualcosa come i miei capelli mi aveva aiutato. Strano, vero?
Misi la giacchetta nera e decisi di legarmi la chioma – completamente asciutta ormai- in un’alta coda. La frangia era a posto.
Nonostante le lamentele e i bronci indignati del principe, feci entrare Puck nel trasportino mentre afferravo il trolley e uscivo di casa.

Per farmi accompagnare all’aeroporto avevo chiesto un passaggio a mio padre che – dopo la sua ramanzina unita a combo con quella di mia madre mezz’ora dopo, solo perché non li avevo avvertiti- aveva deciso di accontentarmi solo per assicurarsi che arrivassi sana e salva sull’aereo.
Forse aveva letto la disperazione nella mia voce quando gli avevo detto che non avevo avvertito neanche me stessa di quello che stava per accadere; sta’ di fatto che dovetti subire raccomandazioni – anche dalla mamma, via cellulare- almeno fin quando non arrivai a destinazione.
Avevano il numero di Kristine, sapevano dove andavo, con chi ero e anche perché . Tutte le cose di livello standard che i genitori dovevano sempre sapere, anche quando la figlia aveva la bellezza di ventiquattro anni.
 E lo fecero, mi lasciarono andare, dicendomi che ero diventata grande ormai e che lo capivano.
Per qualche istante avevo provato l’impulso di battere i piedi a terra e imbronciarmi tanto per strepitare che non era vero, che ero ancora piccola e che preferivo andare in castigo piuttosto che volare in America.

Sorrisi e scossi la testa, abbracciai mio padre sussurrandogli  all’orecchio un ‘grazie’ e un ‘mi farò sentire appena arrivata’.

Stavo per andarmene oltre i metal detector quando papà mi chiamò nel silenzio dell’aeroporto; era talmente presto che non c’era quasi nessuno, oltre me e qualche uomo d’affari piuttosto impettito nel suo vestito elegante.

“Annie!”

Mi voltai verso di lui con un sorriso e uno sguardo interrogativo.

“Ti voglio bene!”

Io risi apertamente, sentendo l’ansia scivolare via sulla pelle come acqua rinfrescante. Alzai la mano per salutarlo e gli mimai con le labbra un “Anch’io.”

***

Viaggiare in aereo non era mai stato un problema. L’eccitazione per il mio primo viaggio con Puck mi aveva fatto scordare, almeno momentaneamente, il motivo della mia ansia. E quella palla di pelo era esaltata tanto quanto me e mi stava rendendo il lavoro oltremodo più semplice.
Mi resi ancora una volta conto di quanto quel cane fosse importante per me guardandolo del suo piccolo box – immaginandolo sorridente- e sapendo che poteva succedere di tutto là dove stavo andando ma lui mi sarebbe rimasto… fedele.

Chiusi gli occhi e forse dormii per un paio di ore.

***

L’aeroporto di Atlanta era affollato, e molto anche. Il confronto con quello che avevo lasciato a Milano era venuto automatico e ne stavo uscendo un po’ traumatizzata.
Il mio orologio segnava l’una meno un quarto del pomeriggio e il viaggio era durato la bellezza di nove ore filate; sentivo la schiena tutta rotta e volevo sgranchirmi le gambe, quindi camminare un po’ tra la folla mi fece bene.

Il fuso orario di sei ore mi aveva lasciato spossata e un po’ frastornata; ma andava bene anche così, era il mio primo viaggio all’estero dopo tutto. Mi aspettavo quel tipo di effetti collaterali, non mi preoccupavano più di tanto – non sarei morta per un po’ di stanchezza in più.

Guardai la folla di persone che aspettava agli arrivi e divenni all’istante rossa come un peperone. Impossibile non notarlo il mega cartellone gigante di quella psicotica di Kristine che su uno sfondo nero aveva dipinto con vernice rosso sangue -Welcome to Mystic Falls, Khloe. 1 -
L’avevo raggiunta immediatamente abbassando quel cartellone sibilandole contro  “Tu. Sei. Pazza.”
Lei sorrise e trillò contenta un “Benvenuta!!” Avvolgendomi in un abbraccio stritolatore, forse con l’intento di uccidermi.
Puck venne sballottato nel trasportino– povera bestia-  e al suo verso di disapprovazione mi staccai sorridente dalla furia bionda. Sorrisi “Avremo tempo per dirci quanto ci siamo mancate a vicenda. Adesso però prendiamo la mia valigia su quel coso che gira e filiamocela, sono esausta.”

Kristine mi aveva afferrato per un braccio trascinandomi al recupero valige e, neanche il tempo di capire cosa stava succedendo, aveva iniziato a parlare di tutto e di più, di quanto fosse entusiasta del mio arrivo e di quanto io fossi fortunata ad avere un’amica come lei che mi stava cambiando la vita.

Mi limitai ad ascoltare sorridente e – anche se non l’avrei mai ammesso- completamente d’accordo con lei.

***

La casa di Kristine era assolutamente stupenda. Enorme ma anche molto accogliente; era una villa di tre piani con giardino e piscina incorporata sul retro, tanto lussuosa che non mi sarei stupita d’incontrare qualche cameriere o maggiordomo.
I genitori della mia cara amichetta erano ricchi sfondati, inutile dirlo, e teoricamente quella era la loro casa delle vacanze; la biondina aveva solo avuto occhi abbastanza dolci e coccolosi da lasciarsela regalare.

Scossi la testa buttando il trolley sul letto matrimoniale di quella che sarebbe stata la mia stanza; mi guardai in giro e sorrisi.
Era molto spaziosa e aveva anche un bagno privato – cosa che mi avrebbe risparmiato scene imbarazzanti con la mia migliore amica o con chiunque lei invitasse a casa sua. Personalmente mi definivo  una ragazza abbastanza riservata, soprattutto da quel punto di vista, e Kristine era stata carina a ricordarlo.
Il letto era molto grande, accostato al muro opposto di quello della porta d’ingresso e perfettamente posizionato all’angolo facendo così in modo da aver il lato della testata e quello sinistro attaccati alla parete.

Se mi sedevo sul letto, davanti a me potevo anche vedere una scrivania con un posto perfetto dove mettere il laptop che mi ero portata dall’Italia e dei fogli bianchi all’angolo del tavolo con sopra qualche penna colorata, vicino ad un quaderno ad anelli e ad un quaderno normalissimo.

Alzai gli occhi al cielo, non trattenendo il sorriso.

“Toc, toc”

Rivolsi lo sguardo a Kristine che era entrata sorridente e ricambiai l’allegria gratuita. “Come va?” Mi chiese raggiungendomi sul letto dove mi ero sdraiata di schiena, allungandosi accanto a me.

Io ridacchiai “Non so.” Mi voltai verso di lei guardandola: aveva le mani intrecciate dietro la testa e fissava il soffitto, ghignando. Tramontai gli occhi e mi decisi a domandare con finta innocenza “Da quanto tempo, esattamente, questa stanza è pronta per me?”

“Non so di cosa tu stia parlando.” Fece lei senza convincermi neanche un po’.

“Diciamo che il materiale per scrivere, il posto perfetto per un portatile e il copriletto blu, mi hanno suggerito questa pazza idea…”

Lei rise puntando i suoi occhi verdi nei miei “Beccata.” Poi mi fece la linguaccia. “Hai fame?”

“Da matti.”

“Bene. Ho ordinato la pizza, dato che so che l’adori. Oggi è dedicato a te e non m’importa se sei stanca: hai avuto il viaggio in aereo per dormire, questo pomeriggio è mio. Non vedo l’ora!” Trillò saltellando mentre usciva dalla mia nuova stanza.

Mi gridò un “Muoviti!!” che aveva il retrogusto terrificante di una minaccia e che, quindi, mi esortò facilmente ad alzarmi dal letto.

Kristine aveva pensato proprio a tutto quello che mi piaceva e che – nel corso degli anni- era rimasto tale e quale a quando ne avevamo entrambi sedici.
Qualcosa mi diceva che il copriletto del  mio colore preferito – il blu- e il necessario per buttarmi nella mia passione – la scrittura- erano solo l’inizio.

Mentre chiudevo al porta della mia stanza e sentivo abbaiare Puck al piano di sotto, scossi la testa.
Per essere un nuovo capitolo della mia vita, tutto mi pareva abbastanza .. familiare.

---

Avevo passato il pomeriggio precedente e quella stessa mattina con la Gordon, cosa che – a dire il vero- mi aveva rilassato molto – nonostante l’unica cosa che avessimo fatto era stata quella di straparlare su gli argomenti più disparati e anche futili.
Avevo  liberato la mente ed ero uscita dall’auto di Kristine – che mi aveva accompagnato- abbastanza tranquilla.  Quello che accadde dopo invece fu molto veloce: arrivata a destinazione rimasi semplicemente paralizzata davanti all’entrata di quell’immenso edificio dove si trovavano gli studi.
Potevo sentire il mio cuore distruggere dall’interno la gabbia toracica, da quanto forte batteva e pulsava. Nelle orecchie solo il tum-tum frenetico che diede ritmo ai miei passi incerti e lenti.

Quando vidi le porte degli studi all’improvviso mi sentii due differenti persone: la prima, la stessa Anastasia che non aveva voluto mandare la sua storia al concorso, voleva scappare via senza mai più tornare; la seconda invece provava il fortissimo desiderio di entrare e far vedere a tutti di cos’era realmente capace.

Con inqualificabile sorpresa fu la seconda a prevalere e a infondermi un’effimera sicurezza che mai avevo provato. Non sapevo quanto sarebbe durata e, onestamente, me ne importava poco: l’importante era provarci e affrontare quel colloquio con il massimo della determinazione.
Era un’occasione unica nella vita, che diavolo!

Ancora non lo sapevo ma, andando avanti nel tempo, avrei dato a quel momento un importanza strettamente significativa. Fu così che l’America, che quella nuova avventura non ancora iniziata, cominciò a cambiarmi l’anima.

***


L’ambiente in cui mi trovavo era parecchio confortevole: il salottino non aveva grandi pretese in grandezza ed io ero comodamente seduta su una delle due poltroncine nere. La simpatica ragazza della Hall mi aveva detto di aspettare tranquilla l’arrivo dei produttori, che avrei poi incontrato di persona, per parlare di quanto stava accadendo, e quindi cercavo di calmarmi osservando ciò che mi circondava.

Le pareti bianche erano ornate da qualche quadro di pittura moderna che donava  colore e vitalità e all’angolo vicino alla porta c’era una pianta verde, perfettamente tenuta e curata.
Nella parete opposta – alla sinistra di dov’ero io seduta- la parete era vetrata e vantava una meravigliosa vista sulla città Americana della Georgia, in cui il mio sguardo si perse completamente affascinato.
Mi chiesi come potesse essere di sera, con la luce della luna anziché con quella del sole del pomeriggio; il mio lato romantico ogni tanto usciva fuori facendomi volare con la testa fra le nuvole e questo riusciva a rendermi oltremodo sbadata e goffa in parecchie situazioni.
Sperai che chiunque dovesse arrivare arrivasse in fretta e cercai di trovare somiglianze confortanti e familiari lì dove mi trovavo.
Sembrava il salotto di una normale casa moderna, le due poltrone – su una delle quali ero seduta io- erano disposte in modo semplice rivolte ad un ulteriore divanetto color panna per tre persone .
Tra me e il divanetto c’era un tavolino di cristallo disposto ordinatamente su un tappeto bianco dall’aria pelosa e morbida.

Se da una parte ero timorosa di stonare in tutto quello, dall’altra ne ero tremendamente ammaliata.

Era questa l’America?

Il rumore della porta che si apriva mi fece scattare in piedi con il cuore a mille, ormai dimentica dei miei pensieri pensosi e con il cuore a mille alla vista delle persone davanti a me.
Erano Julie Plec e Kevin Williamson in persona.

Beh, ovvio, proprio nessun motivo per andare nel panico. Proprio nessuno.
Cazzo.

“Tu devi essere Anastasia.” Iniziò la donna con un sorriso dolce, guardandomi solo un attimo, prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione ai fogli che teneva in mano. “Anastasia Di Marco, dico bene?”

L’unica cosa che riuscii a fare fu annuire poco convinta. Ero io? Ne eravamo sicuri? Scossi la testa mentalmente e cercai di far valere l’educazione che mi avevano inculcato i miei genitori dalla culla; tesi la mano  “E’ un vero onore per me conoscervi.”  E, nonostante tutta la nonchalance,  non potei evitare di sentirmi le guance andare in fiamme.
Kevin mi strinse la mano, formale tanto quanto me, mentre Julie mi concesse un tenero sorriso materno invitandomi a tornare seduta così da poter cominciare a parlare.

“Sarò schietta con te.” Annunciò sedendosi accanto all’altro produttore sul divanetto, mentre io cercavo di rilassarmi sulla poltrona di prima “Il tuo lavoro ci piace, e anche parecchio. L’intreccio è intrigante e ci sono talmente tante idee dentro da perdersi.”

“Ma..?” Azzardai timorosa e scettica di tutti quei complimenti; in fondo sembrava proprio ci volesse un terribile ma alla fine di quel discorsetto tanto positivo.

Julie mi sorrise e si rivolse a Kevin che cominciò a parlare con fare tecnico “Hai inserito molti nuovi personaggi e per ora hai scritto solo la prima parte di quello che potrebbe essere un buon lavoro. Non vorremmo ritrovarci con un Cast troppo numeroso e non aver il tempo di dare la giusta importanza a tutti gli ambiti.”

Arricciai le labbra inconsciamente, cosa che facevo sempre quando cominciavo a pensare in modo mostruosamente serio.

“Mh.” Iniziai “Vero. Per il momento i nuovi personaggi sono quattro contando anche Khloe..” poi però feci spallucce sorprendendo anche me “Non vedo perché non ci debbano stare tutti anche nella tempistica. Comunque quello che avete letto non è stato certo scritto per essere un copione, è naturale che alcune cose vengano cambiate. Migliorate per l’occasione.. No?” Il mio tono si fece ingenuo verso la fine ma credo che fosse stato proprio quello a far sorridere dolcemente Julie.

“E’ quello che pensavamo anche noi,” Iniziò “ma hai dato origine tu a questi personaggi. Prima di fare alcunché volevamo chiederti se saresti stata in grado di svolgere questo lavoro; in fondo è quello che andresti a fare ed è il motivo per cui sei qui, ma non è facile come sembra. Possiamo entrambi assicurartelo: sarà dura.”

Deglutì nervosa ma con cipiglio combattivo “So di potercela fare, soprattutto perché lo voglio.” La mia determinazione nella voce stupì in primis me che, dentro, mi sentivo tremare come una foglia. Stavo parlando con autori di fama mondiale e stavo pure facendo la presuntuosa. Non era da me, decisamente. “E’ il mio sogno più grande e non c’è cosa al mondo che desideri di più. Non getterò la spugna tanto facilmente.”
Ero sincera, ora che ero lì davanti a loro non potevo certo gettare al vento quell’opportunità di realizzazione.

Quello che accadde dopo mi lasciò a bocca aperta e ad occhi sgranati. Sia Julie che Kevin si alzarono rilassati e fu la produttrice a sorridermi “Bene. Era quello che volevamo sentirci dire. Hai quello che cercavamo.”

La facciata che avevo messo in piedi pochi istanti fa crollò miseramente, facendomi balbettare un “C-come?” molto patetico.

Julie ridacchiò per poi farsi subito sera “Le basi di una buona storia sono facili da trovare, soprattutto se si cerca nel mondo come abbiamo fatto noi.”  Stiracchiò un sorriso orgoglioso e continuò “Quello che serve, oltre i requisiti base, è altro. E’ la passione perché è quella che ti farà andare avanti quando le cose si metteranno male.”

Tremai leggermente a quella previsione così terrificante. La Plec mi stava già avvisando che era totalmente impossibile per me evitare i guai e le situazioni complicate; probabilmente era l’esperienza della donna a parlare e, in quei pochi secondi, non riuscii ad evitare di sentirmi fin troppo piccola in confronto.
Contenni un sospiro e la lasciai finire, dandole tutta la mia attenzione.

 “Ci sarà molto lavoro da fare ma siamo qui apposta, no?”

Boccheggiai guardandoli, ancora da seduta. Non risposi perché altrimenti avrei balbettato ancora e fortunatamente  ci pensò Kevin a togliermi dall’impiccio di qualsiasi domanda ovvia “Sei dei nostri, Anastasia.”

Se fossi stata un personaggio dei Looney Tunes probabilmente la mia mascella sarebbe cascata fino al pavimento e lo avrebbe anche sfondato, andando ancora più giù. Mi alzai automaticamente ma senza fiatare, mi sentivo gli occhi lucidi e il mio sguardo rimbalzava freneticamente dalla figura di Julie a quella di Kevin.
In qualche modo non riuscivo ad accettare le implicazioni – meravigliose, terrificanti – delle loro parole e stavo facendo la figura dello stoccafisso.

Non potei fare altro che paragonare quella donna al lato affettuoso di mia madre che non avevo mai visto; posò una mano sulla mia spalla e sorrise “Ti abbiamo tenuto sulle spine per essere certi della nostra decisione ma, adesso, sei entrata a far parte della nostra grande famiglia.”

“..Grazie.” Non riuscii a dire altro, con la voce rotta per l’emozione, e mi pulii freneticamente con la manica della T-shirt quella lacrima che era sfuggita al mio controllo.
Lei mi abbracciò, e fu strano perché era più bassa di me ma tanto calorosa e gentile che me ne stavo letteralmente innamorando. Era molto meglio di come la descrivevano sulle News.

“Andiamo ragazze!” Fece divertito Kevin, che ci aspettava alla soglia della porta “Dobbiamo andare!”

Io mi lasciai andare ad un sorriso sincero e “Dove?” Chiesi accettando la mano di Julie e seguendola fuori da quel salottino.

“Ad ufficializzare tutto, cara.” Mi rispose allegra “Si va a conoscere il Cast, stanno aspettando solo te in fondo!”

…Ok.
Porca di quella -

TBC
   
 
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