A/N: Eccoci
qui
con questo capitoletto.
1 Note
nel
testo E' la protagonista in Custodi del Cuore, storia
scritta da
Anastasia da cui prende spunto 'Vincitrice per sbaglio'. Come avrete
ben
capito, la nostra Anastasia ha finalmente ricevuto la bella notizia.
Sinceramente
non vedevo l'ora.
L'avventura,
in poche parole, inizia solo ora.
Spero di
aver scritto di emozioni e situazioni più
realistiche possibili perché era quello il mio intento.
Accetto molto volentieri consigli su qualunque cosa ;)
A presto
allora!
Baci,
{-Eyes
Benvenuta
in famiglia, Annie.
Mi ero
svegliata alle due del mattino.
Dico io, alle due! Poteva essere il primo segno della fine, davvero.
Avevo seriamente avuto l’input di scagliare il cellulare
contro la parete e di
rimettermi sotto le coperte –non sarebbe stata la prima
volta, certo- ma
poi Puck aveva abbaiato.
Lo aveva fatto perché anche lui avrebbe continuato a dormire
volentieri – tale
cane, tale padrone – e
si era
stizzito a livelli che avrei potuto considerare olimpici senza molta
fatica. Ad
ogni modo, aveva avuto il potere di svegliarmi completamente -
e
quando dico ‘completamente’
intendo anche
i ricordi.
Tutto
quello che era successo durante la giornata di
ieri, tutto quello che sarebbe successo in poche ore.
Sentii
improvvisamente la gola secca.
Avevo fatto bene a mettere la sveglia così in anticipo,
allora. Sì, perché
prima che mi alzassi dal letto passarono trenta minuti buoni, durante i
quali
non ero riuscita a muovere le gambe neanche di un centimetro ed ero
rimasta a guardare
il soffitto nella camera ancora buia.
Avevo
bisogno del mio tempo per scrollarmi di dosso il
panico.
Il lato positivo? Non ero svenuta, non ancora almeno. (In ogni caso
avevo
programmato una sveglia di riserva. Tanto per smentire le voci sulla
mia paranoia,
ovvio.)
Alla fine
ero riuscita ad alzarmi, cercando d’ignorare
la rigidità dei miei muscoli che – apparentemente-
non avevano proprio una
voglia matta di collaborare e rendere, magari, le cose un po’
più semplici.
Non potei fare a meno di sospirare, seduta sul bordo del letto,
stropicciandomi
gli occhi con due dita; in questo genere di situazioni, c’era
solo una cosa che
una ragazza come me poteva fare: buttarsi sotto la doccia, abbastanza a
lungo
da rinsecchire sotto il getto freddo.
Era un bene che conoscessi me stessa così bene: mettere la
sveglia anticipata
era stata un ottima precauzione per evitare di perdere
l’aereo delle cinque
meno un quarto. Dovevo essere all’aeroporto minimo
un’ora prima per il
check-in, in più quando viaggiavo amavo prendermela con
comodo per evitare
stress.
Ovvero,
evitare altri stress.
Alle tre
meno dieci ero di fronte allo specchio
incorporato all’anta esterna dell’armadio, vestita
in maniera molto semplice
con pantaloni stretti e chiari, una canotta a spalline larghe nera e
delle
Sneakers fuori stagione. Mi stavo asciugando il lunghi capelli bruni,
cercando
di far diventare quei boccoli qualcosa che non somigliasse ad un
incrocio tra
un cespuglio e una strada drittissima.
Mi piacevano i miei capelli naturali, con semplici boccoli che mi
cascavano
sulle spalle, il problema era sempre dopo la doccia, quando erano
bagnati e
quindi i riccioli non erano mai definiti. Né
lisci, né ricci.. un mistero
che mai avrei tentato davvero di comprendere.
Ecco,
pensare a qualcosa come i miei capelli mi aveva
aiutato. Strano, vero?
Misi la giacchetta nera e decisi di legarmi la chioma –
completamente asciutta
ormai- in un’alta coda. La frangia era a posto.
Nonostante le lamentele e i bronci indignati del principe, feci entrare
Puck
nel trasportino mentre afferravo il trolley e uscivo di casa.
Per farmi
accompagnare all’aeroporto avevo chiesto un
passaggio a mio padre che – dopo la sua ramanzina unita a
combo con quella di
mia madre mezz’ora dopo, solo
perché non li avevo avvertiti- aveva
deciso di accontentarmi solo per assicurarsi che arrivassi sana e salva
sull’aereo.
Forse aveva letto la disperazione nella mia voce quando gli avevo detto
che non
avevo avvertito neanche me stessa di quello che stava per accadere;
sta’ di
fatto che dovetti subire raccomandazioni – anche dalla mamma,
via cellulare-
almeno fin quando non arrivai a destinazione.
Avevano il numero di Kristine, sapevano dove andavo, con chi ero e
anche perché
. Tutte le cose di livello standard che i genitori dovevano
sempre sapere,
anche quando la figlia aveva la bellezza di ventiquattro anni.
E lo fecero, mi lasciarono andare, dicendomi che ero diventata
grande
ormai e che lo capivano.
Per qualche istante avevo provato l’impulso di battere i
piedi a terra e
imbronciarmi tanto per strepitare che non era vero, che ero ancora
piccola e
che preferivo andare in castigo piuttosto che volare in America.
Sorrisi e
scossi la testa, abbracciai mio padre
sussurrandogli all’orecchio
un ‘grazie’ e un
‘mi farò sentire appena
arrivata’.
Stavo per
andarmene oltre i metal detector quando papà
mi chiamò nel silenzio dell’aeroporto; era
talmente presto che non c’era quasi
nessuno, oltre me e qualche uomo d’affari piuttosto impettito
nel suo vestito
elegante.
“Annie!”
Mi voltai
verso di lui con un sorriso e uno sguardo
interrogativo.
“Ti
voglio bene!”
Io risi
apertamente, sentendo l’ansia scivolare via
sulla pelle come acqua rinfrescante. Alzai la mano per salutarlo e gli
mimai
con le labbra un “Anch’io.”
***
Viaggiare
in aereo non era mai stato un problema.
L’eccitazione per il mio primo viaggio con Puck mi aveva
fatto scordare, almeno
momentaneamente, il motivo della mia ansia. E quella palla di pelo era
esaltata
tanto quanto me e mi stava rendendo il lavoro oltremodo più
semplice.
Mi resi ancora una volta conto di quanto quel cane fosse importante per
me guardandolo
del suo piccolo box – immaginandolo sorridente- e sapendo che
poteva succedere
di tutto là dove stavo andando ma lui mi sarebbe
rimasto… fedele.
Chiusi
gli occhi e forse dormii per un paio di ore.
***
L’aeroporto
di Atlanta era affollato, e molto anche.
Il confronto con quello che avevo lasciato a Milano era venuto
automatico e ne
stavo uscendo un po’ traumatizzata.
Il mio orologio segnava l’una meno un quarto del pomeriggio e
il viaggio era
durato la bellezza di nove ore filate; sentivo la schiena tutta rotta e
volevo sgranchirmi
le gambe, quindi camminare un po’ tra la folla mi fece bene.
Il fuso
orario di sei ore mi aveva lasciato spossata e
un po’ frastornata; ma andava bene anche così, era
il mio primo viaggio
all’estero dopo tutto. Mi aspettavo quel tipo di effetti
collaterali, non mi
preoccupavano più di tanto – non sarei morta per
un po’ di stanchezza in più.
Guardai
la folla di persone che aspettava agli arrivi
e divenni all’istante rossa come un peperone. Impossibile non
notarlo il mega
cartellone gigante di quella psicotica di Kristine che su uno sfondo
nero aveva
dipinto con vernice rosso sangue -Welcome to Mystic Falls, Khloe. 1
-
L’avevo raggiunta immediatamente abbassando quel cartellone
sibilandole contro
“Tu. Sei. Pazza.”
Lei sorrise e trillò contenta un
“Benvenuta!!” Avvolgendomi in un abbraccio
stritolatore, forse con l’intento di uccidermi.
Puck venne sballottato nel trasportino– povera
bestia- e al suo verso di
disapprovazione mi staccai sorridente dalla furia bionda. Sorrisi
“Avremo tempo
per dirci quanto ci siamo mancate a vicenda. Adesso però
prendiamo la mia
valigia su quel coso che gira e filiamocela, sono esausta.”
Kristine
mi aveva afferrato per un braccio
trascinandomi al recupero valige e, neanche il tempo di capire cosa
stava
succedendo, aveva iniziato a parlare di tutto e di più, di
quanto fosse
entusiasta del mio arrivo e di quanto io fossi fortunata ad avere
un’amica come
lei che mi stava cambiando la vita.
Mi
limitai ad ascoltare sorridente e – anche se non
l’avrei mai ammesso- completamente d’accordo con
lei.
***
La casa
di Kristine era assolutamente stupenda. Enorme
ma anche molto accogliente; era una villa di tre piani con giardino e
piscina
incorporata sul retro, tanto lussuosa che non mi sarei stupita
d’incontrare qualche
cameriere o maggiordomo.
I genitori della mia cara amichetta erano ricchi sfondati, inutile
dirlo, e teoricamente
quella era la loro casa delle vacanze; la biondina aveva solo avuto
occhi
abbastanza dolci e coccolosi da lasciarsela regalare.
Scossi la
testa buttando il trolley sul letto
matrimoniale di quella che sarebbe stata la mia stanza; mi guardai in
giro e
sorrisi.
Era molto spaziosa e aveva anche un bagno privato –
cosa che mi avrebbe
risparmiato scene imbarazzanti con la mia migliore amica o con chiunque
lei
invitasse a casa sua. Personalmente mi definivo una ragazza
abbastanza
riservata, soprattutto da quel punto di vista, e Kristine era stata
carina a
ricordarlo.
Il letto era molto grande, accostato al muro opposto di quello della
porta
d’ingresso e perfettamente posizionato all’angolo
facendo così in modo da aver
il lato della testata e quello sinistro attaccati alla parete.
Se mi
sedevo sul letto, davanti a me potevo anche
vedere una scrivania con un posto perfetto dove mettere il
laptop che mi
ero portata dall’Italia e dei fogli bianchi
all’angolo del tavolo con sopra
qualche penna colorata, vicino ad un quaderno ad anelli e ad un
quaderno
normalissimo.
Alzai gli
occhi al cielo, non trattenendo il sorriso.
“Toc,
toc”
Rivolsi
lo sguardo a Kristine che era entrata
sorridente e ricambiai l’allegria gratuita. “Come
va?” Mi chiese raggiungendomi
sul letto dove mi ero sdraiata di schiena, allungandosi accanto a me.
Io
ridacchiai “Non so.” Mi voltai verso di lei
guardandola: aveva le mani intrecciate dietro la testa e fissava il
soffitto, ghignando.
Tramontai gli occhi e mi decisi a domandare con finta innocenza
“Da quanto
tempo, esattamente, questa stanza
è
pronta per me?”
“Non
so di cosa tu stia parlando.” Fece lei senza
convincermi neanche un po’.
“Diciamo
che il materiale per scrivere, il posto
perfetto per un portatile e il copriletto blu, mi hanno suggerito
questa pazza
idea…”
Lei rise
puntando i suoi occhi verdi nei miei
“Beccata.” Poi mi fece la linguaccia.
“Hai fame?”
“Da
matti.”
“Bene.
Ho ordinato la pizza, dato che so che l’adori.
Oggi è dedicato a te e non m’importa se sei
stanca: hai avuto il viaggio in
aereo per dormire, questo pomeriggio è mio.
Non vedo l’ora!” Trillò
saltellando mentre usciva dalla mia nuova stanza.
Mi
gridò un “Muoviti!!” che aveva il
retrogusto
terrificante di una minaccia e che, quindi, mi esortò
facilmente ad alzarmi dal
letto.
Kristine
aveva pensato proprio a tutto quello che mi
piaceva e che – nel corso degli anni- era rimasto tale e
quale a quando ne
avevamo entrambi sedici.
Qualcosa mi diceva che il copriletto del mio colore preferito
– il blu- e
il necessario per buttarmi nella mia passione – la scrittura-
erano solo
l’inizio.
Mentre
chiudevo al porta della mia stanza e sentivo
abbaiare Puck al piano di sotto, scossi la testa.
Per essere un nuovo capitolo della mia
vita, tutto mi pareva abbastanza .. familiare.
---
Avevo
passato il pomeriggio precedente e quella stessa
mattina con la Gordon, cosa che – a dire il vero- mi aveva
rilassato molto –
nonostante l’unica cosa che avessimo fatto era stata quella
di straparlare su
gli argomenti più disparati e anche futili.
Avevo liberato la mente ed ero uscita dall’auto di
Kristine – che mi
aveva accompagnato- abbastanza tranquilla. Quello che accadde
dopo invece
fu molto veloce: arrivata a destinazione rimasi semplicemente
paralizzata
davanti all’entrata di quell’immenso edificio dove
si trovavano gli studi.
Potevo sentire il mio cuore distruggere dall’interno la
gabbia toracica, da
quanto forte batteva e pulsava. Nelle orecchie solo il tum-tum
frenetico
che diede ritmo ai miei passi incerti e lenti.
Quando
vidi le porte degli studi all’improvviso mi
sentii due differenti persone: la prima, la stessa Anastasia che non
aveva
voluto mandare la sua storia al concorso, voleva scappare via senza mai
più
tornare; la seconda invece provava il fortissimo desiderio di entrare e
far
vedere a tutti di cos’era realmente capace.
Con
inqualificabile sorpresa fu la seconda a prevalere
e a infondermi un’effimera sicurezza che mai avevo provato.
Non sapevo quanto
sarebbe durata e, onestamente, me ne importava poco:
l’importante era provarci
e affrontare quel colloquio con il massimo della determinazione.
Era un’occasione unica nella vita, che diavolo!
Ancora
non lo sapevo ma, andando avanti nel tempo,
avrei dato a quel momento un importanza strettamente significativa. Fu
così che
l’America, che quella nuova avventura non ancora iniziata,
cominciò a cambiarmi
l’anima.
***
L’ambiente in cui mi trovavo era parecchio confortevole: il
salottino non aveva
grandi pretese in grandezza ed io ero comodamente seduta su una delle
due
poltroncine nere. La simpatica ragazza della Hall mi aveva detto di
aspettare
tranquilla l’arrivo dei produttori, che avrei poi incontrato
di persona, per
parlare di quanto stava accadendo, e quindi cercavo di calmarmi
osservando ciò
che mi circondava.
Le pareti bianche erano ornate da qualche quadro di pittura moderna che
donava colore e
vitalità e all’angolo vicino alla
porta c’era una pianta verde, perfettamente tenuta e curata.
Nella parete opposta – alla sinistra di dov’ero io
seduta- la parete era
vetrata e vantava una meravigliosa vista sulla città
Americana della Georgia,
in cui il mio sguardo si perse completamente affascinato.
Mi chiesi come potesse essere di sera, con la luce della luna
anziché con
quella del sole del pomeriggio; il mio lato romantico ogni tanto usciva
fuori
facendomi volare con la testa fra le nuvole e questo riusciva
a rendermi
oltremodo sbadata e goffa in parecchie situazioni.
Sperai che chiunque dovesse arrivare arrivasse in fretta e cercai di
trovare
somiglianze confortanti e familiari lì dove mi trovavo.
Sembrava il salotto di una normale casa moderna, le due poltrone
– su una delle
quali ero seduta io- erano disposte in modo semplice rivolte ad un
ulteriore
divanetto color panna per tre persone .
Tra me e il divanetto c’era un tavolino di cristallo disposto
ordinatamente su
un tappeto bianco dall’aria pelosa e morbida.
Se da una
parte ero timorosa di stonare in tutto
quello, dall’altra ne ero tremendamente ammaliata.
Era
questa l’America?
Il rumore
della porta che si apriva mi fece scattare
in piedi con il cuore a mille, ormai dimentica dei miei pensieri
pensosi e con
il cuore a mille alla vista delle persone davanti a me.
Erano Julie Plec e Kevin Williamson in persona.
Beh, ovvio,
proprio nessun motivo per andare nel panico. Proprio nessuno.
Cazzo.
“Tu
devi essere Anastasia.” Iniziò la donna con un
sorriso dolce, guardandomi solo un attimo, prima di rivolgere
nuovamente la sua
attenzione ai fogli che teneva in mano. “Anastasia Di Marco,
dico bene?”
L’unica
cosa che riuscii a fare fu annuire poco
convinta. Ero io? Ne eravamo sicuri? Scossi la testa mentalmente e
cercai di
far valere l’educazione che mi avevano inculcato i miei
genitori dalla culla;
tesi la mano “E’
un vero onore per me
conoscervi.” E, nonostante tutta la nonchalance, non potei evitare di
sentirmi le guance andare
in fiamme.
Kevin mi strinse la mano, formale tanto quanto me, mentre Julie mi
concesse un
tenero sorriso materno invitandomi a tornare seduta così da
poter cominciare a
parlare.
“Sarò
schietta con te.” Annunciò sedendosi accanto
all’altro produttore sul divanetto, mentre io cercavo di
rilassarmi sulla
poltrona di prima “Il tuo lavoro ci piace, e anche parecchio.
L’intreccio è
intrigante e ci sono talmente tante idee dentro da perdersi.”
“Ma..?”
Azzardai timorosa e scettica di tutti quei
complimenti; in fondo sembrava proprio ci volesse un terribile ma
alla
fine di quel discorsetto tanto positivo.
Julie mi sorrise e si rivolse a Kevin che cominciò a parlare
con fare tecnico
“Hai inserito molti nuovi personaggi e per ora hai scritto
solo la prima parte di quello che
potrebbe
essere un buon lavoro. Non vorremmo ritrovarci con un Cast troppo
numeroso e
non aver il tempo di dare la giusta importanza a tutti gli
ambiti.”
Arricciai
le labbra inconsciamente, cosa che facevo
sempre quando cominciavo a pensare in modo mostruosamente serio.
“Mh.” Iniziai “Vero. Per il momento i
nuovi personaggi sono quattro contando
anche Khloe..” poi però feci spallucce
sorprendendo anche me “Non vedo perché
non ci debbano stare tutti anche nella tempistica. Comunque quello che
avete
letto non è stato certo scritto per essere un copione,
è naturale che alcune
cose vengano cambiate. Migliorate per
l’occasione.. No?” Il mio tono si
fece ingenuo verso la fine ma credo che fosse stato proprio quello a
far sorridere
dolcemente Julie.
“E’ quello che pensavamo anche noi,”
Iniziò “ma hai dato origine tu
a
questi personaggi. Prima di fare alcunché volevamo chiederti
se saresti stata
in grado di svolgere questo lavoro; in fondo è quello che
andresti a fare ed è
il motivo per cui sei qui, ma non è facile come sembra.
Possiamo entrambi
assicurartelo: sarà dura.”
Deglutì nervosa ma con cipiglio combattivo “So di
potercela fare, soprattutto
perché lo voglio.” La mia
determinazione nella voce stupì in primis me
che, dentro, mi sentivo tremare come una foglia. Stavo parlando con
autori di
fama mondiale e stavo pure facendo la presuntuosa. Non era da me,
decisamente.
“E’ il mio sogno più grande e non
c’è cosa al mondo che desideri di più.
Non
getterò la spugna tanto facilmente.”
Ero sincera, ora che ero lì davanti a
loro non potevo certo gettare al
vento quell’opportunità di realizzazione.
Quello
che accadde dopo mi lasciò a bocca aperta e ad
occhi sgranati. Sia Julie che Kevin si alzarono rilassati e fu la
produttrice a
sorridermi “Bene. Era quello che volevamo sentirci dire. Hai
quello che
cercavamo.”
La
facciata che avevo messo in piedi pochi istanti fa
crollò miseramente, facendomi balbettare un
“C-come?” molto patetico.
Julie
ridacchiò per poi farsi subito sera “Le basi di
una buona storia sono facili da trovare, soprattutto se si cerca nel mondo come abbiamo fatto
noi.” Stiracchiò
un sorriso orgoglioso e continuò
“Quello che serve, oltre
i requisiti
base, è altro. E’ la passione perché
è quella che ti farà andare avanti quando
le cose si metteranno male.”
Tremai
leggermente a quella previsione così
terrificante. La Plec mi stava già avvisando che era
totalmente impossibile per me
evitare i guai e le
situazioni complicate; probabilmente era l’esperienza della
donna a parlare e,
in quei pochi secondi, non riuscii ad evitare di sentirmi fin troppo
piccola in
confronto.
Contenni un sospiro e la lasciai finire, dandole tutta la mia
attenzione.
“Ci
sarà molto
lavoro da fare ma siamo qui apposta, no?”
Boccheggiai
guardandoli, ancora da seduta. Non risposi
perché altrimenti avrei balbettato ancora e fortunatamente ci pensò Kevin a
togliermi dall’impiccio di
qualsiasi domanda ovvia “Sei dei nostri, Anastasia.”
Se fossi
stata un personaggio dei Looney Tunes
probabilmente la mia mascella sarebbe cascata fino al pavimento e lo
avrebbe
anche sfondato, andando ancora più giù. Mi alzai
automaticamente ma senza
fiatare, mi sentivo gli occhi lucidi e il mio sguardo rimbalzava
freneticamente
dalla figura di Julie a quella di Kevin.
In qualche modo non riuscivo ad accettare le implicazioni – meravigliose, terrificanti –
delle loro
parole e stavo facendo la figura dello stoccafisso.
Non potei
fare altro che paragonare quella donna al
lato affettuoso di mia madre che non avevo mai visto; posò
una mano sulla mia
spalla e sorrise “Ti abbiamo tenuto sulle spine per essere
certi della nostra
decisione ma, adesso, sei entrata a far parte della nostra grande famiglia.”
“..Grazie.” Non riuscii a dire
altro, con la voce rotta per l’emozione,
e mi pulii freneticamente con la manica della T-shirt quella lacrima
che era
sfuggita al mio controllo.
Lei mi abbracciò, e fu strano perché era
più bassa di me ma tanto calorosa e
gentile che me ne stavo letteralmente innamorando. Era molto meglio di
come la
descrivevano sulle News.
“Andiamo
ragazze!” Fece divertito Kevin, che ci
aspettava alla soglia della porta “Dobbiamo andare!”
Io mi
lasciai andare ad un sorriso sincero e “Dove?”
Chiesi accettando la mano di Julie e seguendola fuori da quel salottino.
“Ad
ufficializzare tutto, cara.” Mi rispose allegra
“Si va a conoscere il Cast, stanno aspettando solo te in
fondo!”
…Ok.
Porca di quella -